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16.11.1959 nasce la FILMOTECA VATICANA

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2009 22:51
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15/11/2009 22:51
 
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Come fu raccontata la giornata del «Pastor Angelicus»

Un'udienza aperta a tutto il mondo


La Filmoteca Vaticana iniziò l'analisi sistematica del materiale conservato in archivio, per valutare innanzi tutto il tipo di filmati e verificare lo stato di conservazione delle pellicole. A mano a mano che procedeva il lavoro di individuazione dei titoli e di visione, si andava delineando un patrimonio audiovisivo interessante, una vera e propria documentazione filmata sulla storia della Chiesa e degli uomini che in essa avevano prestato il proprio servizio, a partire dal 1886, anno in cui il cinema nascente muoveva i primi passi e riprendeva la benedizione di Leone xiii nei Giardini Vaticani.

Tra i filmati legati alla vita della Chiesa e dei pontificati, uno suscitò particolare interesse. Si trattava di Pastor Angelicus; quando il film venne passato alla moviola, si vide subito che la pellicola era in buono stato e, facendo un confronto con altri archivi cinematografici, si scoprì che si trattava di una delle pochissime copie non danneggiate dal tempo, un 35 millimetri molto ben conservato.
Il film, un'opera artistica di grande fascino per l'epoca in cui era stato realizzato, nasce come omaggio del cinema alla figura di Pio XII, sullo sfondo della seconda guerra mondiale. Siamo nel 1942. Il Centro cattolico cinematografico e la Cines producono questo documentario nel quale la macchina da presa segue da vicino il Pontefice nella sua giornata, passando dai suoi momenti di vita pubblica e quelli di vita privata, utilizzando anche vecchie riprese e fotografie che fanno riferimento al periodo dell'infanzia e a quello precedente l'elezione al Pontificato.

L'occasione di questo singolare documento storico è la celebrazione del xxv anniversario episcopale di Papa Pacelli Pio XII e sono proprio le immagini della solenne celebrazione giubilare in San Pietro a chiudere gli ottanta minuti della pellicola, un vero contributo del cinema ai festeggiamenti del Pontefice. La notizia di un film sulla figura di Pio XII aveva suscitato grande curiosità sin dall'inizio e si era diffusa in Italia, ma anche nel resto del mondo, tanto che Pastor Angelicus fu poi distribuito in Francia, Germania e Spagna. Per l'epoca si trattava di un'opera grandiosa e soprattutto meritevole di portare il Papa a contatto con tantissimi fedeli, attraverso il potere emotivo dello schermo.

Il momento storico che fa da sfondo alla realizzazione di Pastor Angelicus è senza dubbio uno dei più difficili per l'Europa e per il mondo intero, segnato da una serie di eventi drammatici che si rincorrono e proprio questa situazione contribuirà a dare al film un significato particolare, intenso e spirituale, di là da quello commerciale.

Il Centro cattolico cinematografico ottiene il permesso di eseguire le riprese all'interno del Vaticano, evidenziando l'intento apostolico della produzione e allo stesso tempo il desiderio del Pontefice di trovare un mezzo per essere vicino alle sofferenze dell'umanità, dimostrando la sua fiducia nel mezzo, strumento di comunicazione capace di affiancarsi agli altri in uso all'epoca per diffondere il suo messaggio di pace al mondo intero.

Il ruolo di Papa Pacelli in questa iniziativa è da subito molto attivo; lui stesso approva il progetto, visiona con attenzione la sceneggiatura e "interpreta" il ruolo principale, inflessibile e attento a ogni dettaglio, proprio perché consapevole del potere dell'immagine. Nella primavera del 1942 il Vaticano diventa dunque un set cinematografico unico. Sotto la regia di Romolo Marcellini e l'aiuto regia di Ennio Flaiano, al suo primo lavoro, gli operatori iniziano le riprese e in otto mesi girano metri e metri di pellicola. La biografia di un Papa ancora in vita diventa un documento cinematografico singolare, trasformando il film in un'udienza aperta a tutto il mondo.

Il giudizio positivo della critica e il consenso del pubblico non tardano ad arrivare. Il film fa sentire alla gente la vicinanza del Papa, ma non solo. Esso è, infatti, interpretato da molti come un'apertura ufficiale da parte della Chiesa all'uso del cinema, considerato non solo uno strumento per fare spettacolo e intrattenere, ma un altro mezzo di cui servirsi per comunicare. Le sale cinematografiche si riempiono, catturando lo spettatore, grazie anche a un sapiente lavoro di ripresa che sfrutta l'impatto emotivo dei primi piani.

In quegli anni, il cinema ha già assunto un'importanza economica e sociale notevole e, soprattutto, è evidente la sua vocazione come strumento utile alla comunicazione, ma anche alla propaganda. Quasi naturale che fosse proprio Pio XII, un Papa che ha avuto un rapporto costante con i media, ad accettare di lasciarsi riprendere nella sua giornata, nei contatti con la gente, con i bambini, con i soldati, vicino alle persone, nella consapevolezza che comunicare se stesso e il messaggio di amore al mondo poteva svolgere un importante ruolo di sostegno, di conforto, di evangelizzazione.
Difficilmente, in un altro modo, gli sarebbe stato possibile raggiungere così tante persone, nonostante la radio diffondesse la sua voce e gli permettesse di essere vicino ai fedeli, aprendo uno spiraglio alla speranza. Ma vedere il Papa era tutta un'altra cosa. Il film si avvale di uno stile narrativo semplice e misurato, artisticamente arricchito da una splendida fotografia, che offre un'affascinante testimonianza dell'operato del Pontefice, senza mai scadere nello spettacolare.

Il titolo, Pastor Angelicus, fa riferimento alla profezia di Malachia, il vescovo irlandese del XII secolo che avrebbe dato tale appellativo al 260° successore di Pietro, appunto Papa Pio XII, guida spirituale dei cattolici in un mondo che, nell'anno della sua elezione, si apprestava a entrare in guerra. Il suo motto era Opus iustitiae pax ("la pace è l'opera della giustizia") e fino al 1° settembre 1939 egli aveva cercato di impedire lo scoppio della guerra e aveva lanciato il famoso appello diffuso dalla Radio Vaticana. Ma la guerra scoppia e il Papa si serve della moderna tecnica per essere vicino ai cattolici di tutto il mondo.

A cinquanta anni di distanza, quel film è capace di suscitare interesse e continua a essere richiesto. Il Papa torna nelle case di molti con quello stesso messaggio, valido allora come oggi, dimostrando che il mondo ha ancora bisogno di pace, quella pace cui Pio XII aveva sempre fatto richiamo.

Tra le ultime acquisizioni la documentazione per immagini dell'attività
della Pontificia Commissione di Assistenza ai profughi voluta da Pio XII

In primo piano la solidarietà con la guerra sullo sfondo


Nella storia della Chiesa, un impegno costante è stato il servizio a favore dei più deboli. Lo stretto rapporto che ancora unisce la Chiesa e la carità si è rinnovato attraverso i secoli, come elemento sostanziale del messaggio evangelico. Monasteri, centri specializzati, volontari e fedeli hanno sempre svolto questa missione, con maggiore impegno nei momenti più difficili della storia, a fianco degli uomini, a sostegno delle loro necessità fondamentali, materiali, ma anche spirituali.

Tale impegno rivive in una serie di immagini filmate che la Filmoteca Vaticana ha acquisito recentemente, una raccolta di settanta pellicole in 35 millimetri che provengono dall'archivio della Pontificia Opera di Assistenza (Poa). Pio XII

Questo materiale ripercorre l'attività dell'organizzazione, che inizia ufficialmente il 18 aprile 1944, quando monsignor Ferdinando Baldelli, su incarico di Pio XII, istituisce la Pontificia Commissione di Assistenza ai profughi (Pca). Sullo sfondo della seconda guerra mondiale si mette in moto un apparato di sostegno che, con slancio ed energia, ha come priorità quella di soccorrere i profughi del conflitto e riuscire a distribuire gli aiuti che arrivano, soprattutto dagli Stati Uniti, attraverso il Vaticano. La Pca inizia, dunque, la sua attività in coincidenza dell'ultima fase della guerra e proseguirà poi nel difficile contesto dei primi sforzi per la ricostruzione.

Proprio mentre nel mondo corrono notizie dolorose di stragi e morte, la Radio Vaticana trasmette gli innumerevoli appelli per ritrovare i militari e i civili dispersi, nonostante i tentativi di ridurla al silenzio. Così, oltre all'istituzione di un vero e proprio ufficio informazioni, si cerca di rispondere ai bisogni di tante persone travolte dalla guerra e di far fronte alle nuove sfide caritatevoli della tragica realtà bellica.

L'intenzione di Pio XII è di riuscire a creare una vera e propria rete di cattolici in tutto il mondo, per ottenere gli aiuti da distribuire alle popolazioni bisognose, maggiormente colpite dal conflitto. Ma ben presto, nella pratica, ci si rende conto che l'emergenza è superiore alle aspettative e può presentarsi sotto molteplici aspetti, tanto che, a ridosso della guerra, nel 1945, la Pca si trova a far fronte a una serie di problematiche ben più ampie:  la guerra crea prigionieri, feriti, orfani, disperde le famiglie. L'organizzazione riesce comunque a portare avanti un'immensa opera benefica, che ottiene la fiducia di altri organismi internazionali e di governi, che inviano i soccorsi necessari ad ampliare il raggio di azione.

Occorre occuparsi dei rimpatriati, per i quali viene predisposto un primo punto di riposo e di distribuzione dei pasti (circa 700 al giorno), nonché in alcuni casi l'assistenza ospedaliera. Si cerca così di facilitare il ritorno di tutti quelli che hanno combattuto e sofferto, assistendo i reduci nei loro bisogni primari, con la distribuzione di pane, frutta e farmaci, anche perché molti di loro escono dalla prigionia in condizioni di salute davvero precarie.

In quegli anni segnati dalla guerra, la condizione sociale impone continui sforzi per far fronte a una serie di emergenze differenti, che necessitano sempre di nuovi adeguamenti e, a un certo punto, le iniziative assistenziali non furono più occasionate solo dall'urgenza  del  momento.  Si  giunse alla consapevolezza  che  occorreva un sistema  più  continuativo e in progressiva  evoluzione,  per adeguarsi alle mutate  esigenze  assistenziali,  come nel caso delle mense e delle colonie per ragazzi.

Negli anni a seguire, infatti, l'operato della Pca andò concentrandosi soprattutto sull'assistenza alle famiglie in difficoltà e ai bambini. Nacquero così le mense dei poveri, che presero poi il nome di "Refettori del Papa", mentre continuava  l'assistenza ai carcerati, che proprio grazie alla Pca potevano rimanere in contatto con le famiglie. Nel 1947  sorsero  le  colonie  estive, che vennero gestite grazie all'impegno disinteressato  di  un notevole numero di  volontari  per assistere i bambini, tra cui medici,  suore,  cappellani e assistenti.

Superata l'emergenza della guerra e degli anni a essa successivi, nel 1953 la Pca fu chiamata Pontificia Opera di Assistenza e ricevette una personalità giuridica e un proprio statuto, conferitole dalla Santa Sede.

Sullo sfondo della lenta ripresa nell'Italia del dopoguerra, la finalità rimaneva quella di provvedere all'assistenza materiale e morale dei poveri più in generale, aiutandoli pertanto sul piano sociale, assistenziale, ma anche su quello spirituale, secondo i principi della carità evangelica.

Fu così che orfani, braccianti, emigranti, profughi, trovarono conforto grazie agli ingenti contributi che venivano offerti, partendo principalmente da quelli alimentari. Attraverso i filmati è possibile vedere come l'associazione seguiva ogni fase di questo delicato processo, che iniziava con l'individuazione delle necessità e proseguiva con la distribuzione degli aiuti, attraverso un percorso di controllo e preparazione dei generi alimentari di base.

Le assistenti sociali svolgevano all'interno dell'associazione un ruolo primario, tanto che vennero istituite scuole specifiche per la loro preparazione. Esse schedavano ogni singolo caso, così da poter informare l'organizzazione centrale nei dettagli. L'aiuto che veniva fornito qualche volta riguardava anche l'esecuzione di diverse pratiche burocratiche, svolte al posto dei diretti interessati.

Il settore sanitario è stato un altro campo importante nel quale la Poa ha operato, riuscendo a contare negli anni sul contributo di oltre 1.800 medici, che prestavano la propria opera volontaria presso istituti dotati di moderne attrezzature. Oltre a questo impegno pratico, vennero create le cappelle mobili, per assicurare un'assistenza sacramentale e la possibilità dell'Eucaristia a tutte le persone che non potevano raggiungere una chiesa.

L'opera della Poa raggiunse tutta l'Italia, ma nel sud del Paese, la ricostruzione si trovò a fare i conti con una disoccupazione più alta che altrove e così, con particolare attenzione alla gioventù, vennero creati centri di addestramento professionale per avviare i ragazzi a vari mestieri.

Ma la Poa è stata presente anche là dove le tragedie della natura hanno portato distruzione, basta pensare alle alluvioni nel Polesine e al disastro del Vajont.
Nel 1970 Paolo VI decide che è giunto il momento di sciogliere la Poa, poiché ritiene che essa abbia ormai storicamente esaurito il suo compito. Questo significa la fine di un'epoca, ma non certo l'esaurirsi della missione caritativa della Chiesa. L'anno successivo, 1971, l'eredità della Poa viene, infatti, raccolta dalla Caritas, un organismo pastorale creato dalla Conferenza episcopale italiana.

Attraverso le immagini in bianco e nero, conservate nell'archivio, che testimoniano la lunga attività della Pontificia Opera di Assistenza, sullo schermo scorrono i volti della sofferenza, della paura, del dolore più profondo, a cui le parole non possono aggiungere nulla; uomini e donne senza tempo, così diversi e così uguali, nella tragedia della guerra, della fame, della malattia, delle catastrofi naturali. E per tutti loro non solo il conforto materiale, seppur essenziale e primario, ha portato consolazione,  ma  anche l'appoggio spirituale che, attraverso l'amore di Cristo, si è fatto azione.




(claudia di giovanni)



(©L'Osservatore Romano - 15 novembre 2009)

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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