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Il sacro TIMOR DI DIO uno dei Doni dello Spirito Santo

Ultimo Aggiornamento: 30/11/2009 11:40
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30/11/2009 11:34
 
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Ma in concreto cosa può significare? [SM=g1740752]

Innanzitutto nel riconoscere in ogni situazione che Dio è presente e provvidente, anche in quelle in cui i contorni esistenziali e vocazionali non sono chiari.

Una sofferenza, una gioia inattesa, una scelta significativa, una umiliazione improvvisa, tutte situazioni in cui si rivela la nostra crescita nel timore di Dio e che è al contempo sono lo stimolo fiducioso che Dio ci da per andare oltre, fuori gli schemi del politicamente corretto, del perbenismo e dell'ipocrisia; della quiete borghese; degli schemi che ci siamo costruiti per sopravvivere.

Dio ti chiama oltre, magari in una situazione "feriale" che umanamente sembra stantia. E proprio del timore di Dio portare la creatura a sentirsi veramente "pellegrino e forestiero in questo mondo" eppure amante di questo mondo per cui Cristo ha dato la vita.

Significa ancora avere il cuore docile verso i pastori che il Signore ti ha donato.

Non solo ascoltare obbedienti il magistero del Papa e dei pastori ma comprendere che è facile magari amare, rispettare e seguire il Papa senza amare, rispettare la figura genitoriale che Dio ti ha messo accanto, per esempio un parroco. Anzi il rispetto obbediente verso il papa presuppone proprio che tu lo abbia verso il tuo parroco e il tuo vescovo.



Vivere il timore di Dio significa amare ed onorare i genitori al di la delle proprie colpe e dei propri fallimenti educativi e affettivi. Significa dunque perdonare la figura genitoriale che Dio ti ha messo nella vita; questo è dono di Dio e vero timore del Signore!

Significa essere umili, cioè veri e consapevoli che, pur piccoli o grandi, così siamo solo grazie a Dio e per Dio e che non possiamo appropriarci di nulla; né dei carismi, né dei servizi, né delle opere che abbiamo compiuto o facciamo, né del potere che siamo chiamati ad esercitare in alcune situazioni lavorative, familiari, professionali, ecclesiali.

Il dono del Timore dunque è il dono della libertà.



Più si è liberi più si aiuta i fratelli ad esserlo; senza appropriarci mai di ciò che abbiamo compiuto.

Significa, dunque, non tergiversare nel cercare una guida spirituale.

Il maestro non solo arriva quando il discepolo è pronto.. ma tante volte è proprio il discepolo che manca più della guida.

E' il discepolo che fa la guida, perché permette a Dio di entrare nel tuo cuore ed in quello di chi ti guida cercando la volontà di Dio e solo quella. Ci si lamenta della mancanza di guide nello Spirito, ed è vero.

Ma più ancora manca il discepolo, il timorato di Dio, l'uomo e la donna umili che cercano sinceramente e solo di rispondere, come Francesco, a queste due domande:

"Chi sono io Signore e chi sei Tu?"

E ancora: "Signore cosa vuoi che io faccia?".

Sono queste le domande che fanno la dignità di ogni uomo e di ogni donna e che sono la fonte della gioia.



Vale la pena, a questo proposito, narrare l'episodio famosi di Francesco della Perfetta Letizia:

"Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone a tempo di verno, e il freddo grandissimo fortemente il cruciava, chiamò frate Leone il quale andava un poco innanzi, e disse così: "Frate Leone, avvegnadio ch'e frati minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e buona edificazione, nondimeno scrivi, e nota diligentemente, che non è ivi perfetta letizia". E andando più oltre, santo Francesco il chiamò la seconda volta: "O frate Leone, benché ‘l frate minore illumini i ciechi, distenda gli attratti, cacci i demoni, renda l'udire a' sordi, l'andare a' zoppi, il parlare a' mutoli e (maggior cosa è) risusciti il morto di quattro dì, scrivi che non è in ciò perfetta letizia". E andando un poco, santo Francesco grida forte: "O frate Leone, se ‘l frate minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienzie e tutte le scritture, sì ch'e sapesse profetare e rivelare non solamente le cose future, ma eziandio i segreti delle coscienzie e degli animi, scrivi che non è in ciò perfetta letizia".

Andando un poco più oltre, santo Francesco ancora chiamò forte: "O frate Leone, pecorella di Dio, benché ‘l frate minore parli con lingua d'angeli e sappi i corsi delle stelle e le virtù dell'erbe e fossongli rivelati tutti i tesori della terra e cognoscesse le nature degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e degli uomini e degli arbori e delle pietre e delle radici e dell'acque, scrivi che non ci è perfetta letizia". E andando anche un pezzo, santo Francesco chiama forte: "O frate Leone, benché ‘l frate minore sapesse sì bene predicare, che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo, scrivi che non è ivi perfetta letizia". E durando questo modo di parlare bene due miglia, frate Leone con grande ammirazione il domandò, e disse: "Padre, io ti prego dalla parte di Dio, che tu mi dica ove è perfetta letizia". E santo Francesco gli rispuose. "Quando noi giugneremo a Santa Maria degli Angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta del luogo, e '1 portinaio verrà adirato e dirà: "Chi siete voi?" e noi diremo: "Noi siamo due de' vostri frati" e colui dirà: "Voi non dite vero: anzi siete due ribaldi, che andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via", e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame, infino alla notte; allora, se noi tante ingiurie e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbazione e sanza mormorazione, e penseremo umilemente e caritativamente che quel portinaio veracemente ci cognosca e che Iddio il faccia parlare contra noi, o frate Leone, scrivi che ivi è perfetta letizia.

E se noi perseverremo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate, dicendo: "Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, ne albergherete"; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore o frate Leone, scrivi che qui è perfetta letizia. E se noi, pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte, più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amor di Dio con gran pianto che ci apra e mettaci pur dentro: e quelli più scandalezzato dirà "Costoro sono gaglioffi importuni; io gli pagherò bene come sono degni" e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali noi dobbiamo sostenere per lo suo amore: o frate Leone, scrivi che in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Leone. Sopra tutte le cose e grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per l'amor di Cristo sostenere pene, ingiurie, obbrobri, disagi. Però che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri ma di Dio; onde dice l'apostolo: "Che hai tu, che tu non l'abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui, perché te ne glorii, come se tu l'avessi da te?" Ma nella croce della tribolazione e della afflizione ci possiamo gloriare, però che questo è nostro.
E però dice l'apostolo "Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro signore Gesù Cristo"'. Al quale sempre sia onore e gloria in saecula saeculorum.
Amen."

Qui, nella minorità di Cristo e del suo discepolo (cioè noi), si compie il dono del Timore.

Ma anche da qui inizia, passo dopo passo, ogni giorno questo cammino di libertà che diventa discernimento vocazionale.




Nella coppia [SM=g1740752]

Nella vita di coppia il timore di Dio è ben enucleato dalla breve frase di Paolo: "Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo" (Ef 5, 21).

Il rapporto di coppia è una relazione comunionale, la quale, nella visione della chiesa, non prevede una figura che si sottomette l'altra così come potremmo intenderla in maniera "carnale", bensì un reciproco amore e rispetto modellando i propri sentimenti su quelli che Cristo ha per la chiesa. Infatti i ruoli di coppia espressi nel capitolo 5 della lettera agli Efesini, pur avendo carattere non transeunte ma normativo (a differenza delle cattive interpretazioni relativiste), prendono spunto e fondamento dal Timore di Dio su cui entrambi, l'uomo e la donna, sono chiamati a vivere e a nutrirsi. Abbiamo già affrontato l'argomento su un'altra riflessione qui.

Paolo invita la coppia a vivere il proprio amore, la propria vita basandosi sui passi di Cristo, dunque nella capacità di guardare l'altro come parte di se stessi (come la propria carne, cioè la propria persona), aiutandolo e sostenendolo nei momenti, in cui, forse, sarebbe più semplice abbandonarlo, nelle piccole o grandi difficoltà; nelle piccole o grandi infedeltà.

Le prove nella vita di coppia sono proprio quelle che si presentano quando l'energia da investire per l'altro sembra ormai cedere il posto a scelte più drastiche e difficili, ma ciò altro non provoca che perdita e svuotamento definitivo, mentre il dono del timore di Dio, se vissuto pienamente, ci fa (ri)accogliere l'altro come fonte di nuova energia e a non vederlo, quindi, come causa di perdita di quest'ultima.

Ecco la spiegazione del precetto paolino che ha introdotto questo paragrafo, dove la sottomissione è una sottomissione generata da una forza d'amore e non da una forza violenta, da un dono, un "essere per".

E' il Timore di Dio che ti fa amare l'altro senza "se" e senza "ma"; è il dono del Timore di Dio che fa cogliere la bellezza, la forza e la fecondità di un amore dato alla statura di Cristo.

Si potrebbe dire che la vita di coppia, elevata a sacramento da Cristo mediante il patto del matrimonio (cf. CCC nn. 1601ss), quando basata sul timore di Dio esalta la comunione di vita e di amore fra uomo e donna.

Ed è questo amore che rafforza quel legame mirato alla procreazione e alla fecondità sia fisica che spirituale.

Inoltre, nel legame indissolubile del matrimonio non può essere concepibile un divorzio, poiché quest'ultimo risulta minare quel dono del timore di Dio, tanto essenziale, per quanto abbiamo potuto sinora verificare, per la vita di un cristiano.

Certamente, il rifiuto del divorzio e del nuovo matrimonio da parte di Gesù non è soltanto un ripristino dell'ordinamento legato alla creazione, voluta da Dio, ma significa anche che il matrimonio può essere il campo dove si attua il suo comandamento di un amore incondizionato. Tale amore incondizionato non è tanto un dovere ma soprattutto un dono che si riceve.

Con il rifiuto del divorzio si intende anche, in particolare, difendere la donna dal ripudio arbitrario da parte dell'uomo, una prassi che era assai diffusa nel giudaismo e nell'antichità ma che, allo stato attuale, può benissimo essere intesa anche da parte della donna verso l'uomo. L'amore tra uomo e donna dunque è un dono che Dio fa alla coppia per esprimere esistenzialmente l'amore fedele con cui Egli ci ama e ci ha amato in Cristo.

Le parole di Gesù sul divorzio rendono l'uomo responsabile del fatto che, ripudiando sua moglie, egli la induce a risposarsi - un atto considerato da Gesù come «adulterio».



Anche nella vita di coppia, dunque, il timore di Dio gioca un ruolo importante, tanto importante da essere un fondamentale agente di coesione, una sorta di collante che permette alla coppia di vivere come se i due fossero "una sola carne" (Gen 2, 24); si potrebbe affermare che, per la validità di un matrimonio, qualora lo si voglia ridurre ai minimi termini, è essenziale la presenza "coltivata" del dono del timore di Dio. Senza quest'ultimo si rischia, infatti, di cadere nella trappola da cui Gesù stesso desidera metterci in guardia quella del considerare un legame come frutto solamente di un "sentimento" e non soprattutto di una scelta libera e coscienziosa di dar la vita per l'altro come maturazione del proprio cammino personale con Dio nella luce del suo Timore.


...continua....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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