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Apparizioni della Madonna a Fatima

Ultimo Aggiornamento: 08/12/2009 17:47
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08/12/2009 17:33
 
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 25/06/2004 22.55
"" Nel Portogallo si conserverà sempre la dottrina
( doguema, nell'originale lusitano) della fede"".


Si tratta di una strana profezia su cui mi sono interrogato.
Vuole dire che altrove si smarrirà solo il senso della vera fede, fermo restando che tutti i dogmi verranno conservati dal punto di vista dottrinale ma non pratico,  oppure significa che altrove sarà anche dottrinalmente misconosciuto un dogma particolare?
Sono più propenso ad immaginare che si tratti di un abbandono generalizzato della pratica di fede da parte di tanti credenti il che può essere equiparato ad una apostasia di fatto (e che già possiamo vedere in atto), fermo restando che il Magistero, assistito dallo SPirito Santo continuerà fino alla fine ad indicare la strada giusta affinchè chiunque possa avere un punto sicuro di orientamento, tenuto conto della profezia di Cristo che dice che  le porte degli inferi non potranno prevalere contro la Sua Chiesa.
Per questo si diceva:
....Non si giunge a comprendere il disinteresse per un testo come il Catechismo della Chiesa Cattolica, senza sospettare notevoli lacune di conoscenza in fatto di religione cattolica.

  Una Chiesa che rifiuta o neglige la responsabilità della riflessione è destinata a un rapporto religioso informe e a una unità che può essere politica o di volontariato, ma non è quella prioritariamente voluta da Cristo circa la fede ""

Nella pratica di vita cristiana il Portogallo conserva senza dubbio una maggiore semplicità e aderenza ai dettami del Vangelo.
Potrebbe essere questo che vuole dire la profezia di Fatima?

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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 07/07/2004 16.03
MEMORIA E PROFEZIA DELLA "MARIALIS CULTUS"
A trent’anni dall’Esortazione apostolica di Paolo VI

Corrado Maggioni, S.M.M.

            Trent’anni fa, il 2 febbraio 1974, il Papa Paolo VI indirizzava a tutti i Vescovi l'Esortazione apostolica Marialis cultus. Redatta in uno stile semplice e chiaro, anche quando affronta argomentazioni impegnative, la sua importanza è nota a tutti, sia per il grato consenso mostrato dai Pastori, sia per l'interesse riscosso presso i teologi, sia perché punto autorevole di riferimento in campo mariano in questi anni di recezione del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica che ne è sgorgata.

            Fu un pronunciamento autorevole che suscitò universalmente la sensazione di essere la parola giusta, detta al momento giusto, nel modo giusto. In anni particolarmente difficili per la pietà mariana, all'incrocio di tendenze opposte e in una fase di maturazione, la sua pubblicazione fu come l'accensione di una lampada che aiutò tutti a vedere meglio il posto di Maria nella pietà liturgica e non: gli scettici trovarono nelle parole di Paolo VI convincenti indicazioni per una fondata impostazione della pietà verso la Madre di Gesù; i sostenitori vi trovarono la sintesi di quanto avrebbero voluto dire e promuovere circa la comunione orante con la Madre di Cristo e della Chiesa; i timidi vi trovarono validi motivi per una riscoperta della presenza viva di Maria nel mistero del culto cristiano; i nostalgici vi trovarono la spiegazione che col rinnovamento liturgico nulla si era inteso togliere all'alma Madre di Dio, ma solo purificare affinché risplendesse meglio ciò che doveva brillare; i fanatici vi trovarono indicati i limiti di una corretta e fruttuosa devozione verso la Santissima Vergine; gli ostili, infine, vi trovarono il necessario richiamo a stimare, nella preghiera comune e personale, la compagnia e l'esempio di Maria.

L'intento di Paolo VI

            L’Esortazione apostolica, fin dall'Introduzione, si annuncia caratterizzata per: l'armonia con la dottrina conciliare espressa specialmente in Sacrosanctum Concilum n. 103 e Lumen gentium nn. 66-67; la sintonia con i princìpi e le scelte del rinnovamento liturgico, senza trascurare le manifestazioni della pietà popolare; la proposta di riflessioni e criteri di indole teologico-liturgica e pastorale; il valore di magistero mariano del Papa, in una congiuntura ecclesiale ed epocale di mutamenti evidenti.

            Ecco come lo stesso Paolo VI presenta l'intenzione che lo animava: «Giudichiamo, quindi, conforme al nostro servizio apostolico trattare, quasi dialogare con voi, venerabili Fratelli, alcuni temi relativi al posto che la beata Vergine occupa nel culto della Chiesa, già in parte toccati dal Concilio Vaticano II e da noi stessi, ma sui quali non è inutile ritornare, per dissipare dubbi e, sopratutto, favorire lo sviluppo di quella devozione alla Vergine che, nella Chiesa, trae le sue motivazioni dalla Parola di Dio e si esercita nello Spirito di Cristo». Il desiderio sotteso al documento non è soltanto di contrapporsi al "gelo mariano" di quel periodo, quanto di promuovere in positivo l'incremento del culto mariano, indicandone le poste in gioco, la strada maestra della liturgia, le dimensioni irrinunciabili, gli orientamenti da potenziare, i sentieri da percorrere per un sincero rinnovamento della pastorale.

            Il vantaggio della Marialis cultus è d'essere stata pensata e composta alla luce del Concilio Vaticano II e dei libri liturgici del Rito romano già rinnovati (Calendario, Messale, Liturgia delle Ore, Rituali). La sua preziosità sta nell'aver congiunto, in un'unica trattazione, le dimensioni liturgica e non della pietà mariana, mostrando le loro peculiarità, distinzioni, sintonie.

Il culto di Maria nella liturgia

            La parte prima (nn. 1-23) può definirsi un'esposizione sintetica, a livello di contenuto e di metodo, del rapporto che intercorre tra Maria e la liturgia. Paolo VI aiuta a cogliere la luce concentrata nel gioiello rappresentato dal n. 103 della Sacrosantum Concilium: di questo breve ma intenso testo vengono, per così dire, dispiegati i fondamenti teologico-liturgici, sviluppati i contenuti impliciti, illustrata in concreto la verità delle sue asserzioni, mostrato come la professione ecclesiale del cap. VIII della Lumen gentium (carico della genuina tradizione della Chiesa in ascolto della Rivelazione) trovi riscontro ed espressione privilegiata nei momenti e testi della celebrazione del mistero di Cristo. La liturgia, vien riconosciuto e confermato, è il luogo naturale e proprio per venerare Maria e fare esperienza dei frutti della comunione orante con lei.

            Il primo punto: La Vergine nella restaurata liturgia romana, offre anzitutto una lettura interpretativa della commemorazione di Maria nell'Anno liturgico. Sulla base della revisione del Calendario, che «ha permesso di inserire in modo più organico e con un legame più stetto la memoria della Madre nel ciclo annuale dei misteri del Figlio» (n. 2), sono passati in rassegna i tempi dell'Anno, le solennità, le feste e le memorie mariane. L'Avvento (nn. 2-4) è da considerare «un tempo particolarmente adatto per il culto alla Madre del Signore»; il tempo di Natale «costituisce una prolungata memoria della maternità divina, verginale, salvifica, di colei la cui illibata verginità diede al mondo il Salvatore» (n. 5); di ogni solennità viene evidenziato il fulcro del mistero celebrato, così come delle feste e memorie, tanto nel caso di commemorazione di eventi evangelici che di espressione di sensibilità locali od orientamenti di pietà irradiatisi nel tessuto ecclesiale.

            Sono quindi considerati alcuni aspetti e temi contenuti nei principali libri liturgici: il Messale (nn. 10-11), il Lezionario (n. 13), la Liturgia delle Ore (n. 13), altri Rituali (n. 14). Il frequente ricorso a espressioni tratte dalla liturgia risulta un'indicazione importante, poiché invita a valutare e valorizzare i testi liturgici (pericopi bibliche, orazioni, prefazi, antifone) quale fonte eccellente per cogliere l’operativa presenza di Maria nella celebrazione dei santi misteri ed interiorizzare così il sentire che la Chiesa in preghiera nutre per la Vergine Maria (memoria, lode, comunione, supplica).

            Nella linea del Concilio di promuovere il culto, specie liturgico, verso la santa Madre del Signore, nel secondo punto: La Vergine modello della Chiesa nell'esercizio del culto (nn. 16-23), è approfondito un aspetto particolare del rapporto tra Maria e liturgia. L'esposizione relativa a «Maria quale modello dell'atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri» (n. 16) è organizzata intorno alle celebri quattro qualificazioni con cui Paolo VI connota l'esemplarità: Maria è la Vergine in ascolto (n. 17), la Vergine in preghiera (n. 18), la Vergine Madre (n. 19), la Vergine offerente (n. 20).

            Celebrare i misteri di Cristo con e come Maria, educa a viverli in comunione con lei e sul suo esempio; a credere, sperare e amare come lei; a lodarla, invocarla, sentirla Maestra di vita spirituale, Madre che guida i figli a vivere nello Spirito di Cristo.


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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 07/07/2004 16.05
CONTINUA.....

Corrado Maggioni, S.M.M.

Per rinnovare la pietà mariana

            Nella parte seconda (nn. 24-39), l’Esortazione raccoglie l'invito di LG 67 a considerare, come meritano, le forme non-liturgiche di devozione mariana. Mentre ribadisce la stima sincera per le molteplici pratiche di pietà sviluppatesi accanto al culto liturgico, secondo le circostanze di luogo e di tempo, della sensibilità e tradizione dei vari popoli, la Marialis cultus si mostra preoccupata che i pii esercizi siano sottoposti ad opportuna revisione, in modo tale che appaiano pervasi da ricchezza dottrinale, bellezza di forma, rispetto della tradizione ed insieme apertura alle istanze meritevoli del nostro tempo. Per inquadrare e facilitare tale compito, affidato alle Conferenze episcopali, diocesi, famiglie religiose, comunità dei fedeli (n. 24), Paolo VI formula alcuni principi e orientamenti pratici.

            In primo luogo è sottolineata l'importanza della nota trinitaria, cristologica ed ecclesiale nel culto della Vergine. La pietà mariana deve rispecchiare ed esprimere la relatività di Maria a Dio Padre, che l'ha scelta come Madre e cooperatrice del suo divin Figlio e nostro Redentore, colmandola senza misura del dono del suo Santo Spirito. Particolare accento è dedicato al nesso tra lo Spirito di Dio e la Vergine di Nazaret (nn. 26-27). Insieme alla prospettiva trinitaria e all’indissolubile vincolo che associa Maria alla persona e all'opera del Figlio, la pietà mariana deve manifestare in modo perspicuo la dimensione ecclesiale: essa «permetterà ai fedeli di riconoscere più prontamente la missione di Maria nel mistero della Chiesa» (n. 28).

            In secondo luogo, non senza novità di vedute particolarmente feconde, l’Esortazione sosta su quattro orientamenti da tener presenti nell’opera di revisione e nel creare eventuali nuove pratiche di pietà.

            Con l'orientamento biblico si chiede che la pietà mariana sia lievitata dalla Parola della Rivelazione. L'impronta biblica non può limitarsi all'uso di testi e simboli tratti dalla Scrittura, ma «richiede che dalla Bibbia prendano termini e ispirazione le formule di preghiera e le composizioni destinate al canto; ed esige, sopratutto, che il culto della Vergine sia permeato dei grandi temi del messaggio cristiano, affinché, mentre i fedeli venerano colei che è Sede della Sapienza, siano essi stessi illuminati dalla luce della divina Sapienza...» (n. 30).

            Trattando dell'orientamento liturgico, Paolo VI ricorda l'impegno di tradurre nella pratica le sagge parole di Sacrosanctum Concilium n. 13 sul rapporto "liturgia e pii esercizi". Non si tratta di disprezzare le devozioni, quanto di armonizzarle, sintonizzarle e subordinarle alle azioni liturgiche; neppure si tratta di sovrapporre o mescolare i pii esercizi con le celebrazioni liturgiche, prassi chiaramente da disapprovare: «Avviene talora che nella stessa celebrazione del sacrificio eucaristico vengano inseriti elementi propri di novene o altre pie pratiche, con il pericolo che il memoriale del Signore non costituisca il momento culminante dell'incontro della comunità cristiana, ma quasi occasione per qualche pratica devozionale» (n. 31).

            Significativo interesse deve prestarsi all'orientamento ecumenico: la pietà mariana non può misconoscere «l'ansia per la ricomposizione dell'unità dei cristiani» ed è pertanto chiamata ad assumere «un'impronta ecumenica» (nn. 32-33).

            Infine, quattro numeri (34-37) sono dedicati a promuovere l'orientamento antropologico, ossia «l'attenta considerazione anche delle acquisizioni sicure e comprovate delle scienze umane». Quanto scritto da Paolo VI conserva ancor oggi la sua efficacia: si noti ad esempio lo stimolo a riflettere sul rapporto tra la Vergine di Nazaret e la donna di oggi, chiamata in causa sia nell'ambito domestico che nel campo politico, sociale e culturale (n. 34). Sensibilità, intelligenza, lucidità contraddistinguono queste pagine, tese a far incontrare gli uomini e le donne di oggi col mistero dell'umile e alta più che creatura, come la loda Dante.

            La sollecitudine del Papa non dimentica, inoltre, di richiamare l'attenzione su deviazioni e atteggiamenti cultuali erronei: esagerazioni, vana credulità, pratiche puramente esterioriste, sterile sentimentalismo, «non devono esistere nel culto cattolico» (n. 38).

continua........


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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 07/07/2004 16.06

Angelus Domini e Rosario

            Nella parte terza dell'Esortazione, Paolo VI offre delle indicazioni su due pii esercizi molto diffusi in Occidente: l'Angelus Domini (n. 41) e il Rosario (nn. 42-54). Sopratutto a quest'ultimo riservava una diffusa trattazione, per porne in risalto il valore, il significato, l'indole evangelica, la fecondità spirituale, la fisionomia particolare consegnataci dalla tradizione ecclesiale. Correvano tempi non facili per il rosario. L’argomento è stato ampiamente ripreso e rilanciato con sapienza da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae (2002), aprendo ulteriori prospettive alla contemplazione di Cristo con gli occhi e il cuore di Maria. E’ ancora viva l’eco dell’Anno del Rosario.

            Tra i vari aspetti, la Marialis cultus sostava sul rapporto tra liturgia e rosario: «Se in tempi non lontani poté sorgere nell’animo di alcuni il desiderio di vedere annoverato il rosario tra le espressioni liturgiche, ed in altri, per la preoccupazione di evitare errori pastorali del passato, un’ingiustificata disattenzione verso il medesimo rosario, oggi il problema si può facilmente risolvere alla luce dei principi della Costituzione Sacrosanctum Concilium: le celebrazioni liturgiche e il pio esercizio del rosario non si devono né contrapporre né equiparare. Ogni espressione di preghiera riesce tanto più feconda, quanto più conserva la sua vera natura e la fisionomia che le è propria. Riaffermando quindi il valore preminente delle azioni liturgiche, non sarà difficile riconoscere come il rosario sia un pio esercizio che si accorda facilmente con la sacra liturgia. Come la sacra liturgia, infatti, esso ha un’indole comunitaria, si nutre della Sacra Scrittura e gravita intorno al mistero di Cristo. Sia pure su piani di realtà essenzialmente diversi, l’anamnesi della liturgia e la memoria contemplativa del rosario hanno per oggetto i medesimi eventi salvifici compiuti da Cristo»(n. 48).

           

Valore teologico-pastorale del culto mariano

            Nella Conclusione (nn. 56-58), l’Esortazione si sofferma sul valore teologico e pastorale del culto della Vergine Maria, quasi a voler sintetizzare i motivi di fondo, nel culto cristiano, della pietà verso la Vergine e a far riecheggiare, in modo mirabile, l'amore che il popolo cristiano le ha incessantemente tributato nel corso dei secoli. Si veda, esemplarmente, la trasparenza del seguente passaggio: «La pietà della Chiesa verso la Vergine Maria è elemento intrinseco del culto cristiano. La venerazione che la Chiesa ha reso alla Madre di Dio in ogni luogo e in ogni tempo - dal saluto benedicente di Elisabetta (cf Lc 1,42-45) alle espressioni di lode e di supplica della nostra epoca - costituisce una validissima testimonianza che la norma di preghiera della Chiesa è un invito a ravvivare nelle coscienze la sua norma di fede. E, viceversa, la norma di fede della Chiesa richiede che, dappertutto, si sviluppi rigogliosa la sua norma di preghiera nei confronti della Madre di Cristo» (n. 56).

            Conoscere, celebrare e sperimentare la presenza viva di Maria e la sua missione nel popolo di Dio è formidabile fermento di efficacia pastorale per il rinnovamento del vivere in Cristo. «La pietà verso la Madre del Signore diviene per il fedele occasione di crescita nella grazia divina: scopo ultimo, questo, di ogni azione pastorale. Perché è impossibile onorare la Piena di grazia senza onorare in se stessi lo stato di grazia, cioè l'amicizia con Dio, la comunione con lui, l'inabitazione dello Spirito» (n. 57).

Un insegnamento da custodire

            Alla domanda che cosa è stato effettivamente recepito della Marialis cultus non esistono risposte univoche: la linea per una realistica risposta proviene dal confronto tra i principi-orientamenti lì enunciati e la concreta prassi delle nostre comunità.

            In questi trent’anni, dal punto di vista liturgico, ulteriori sviluppi si sono avuti con la pubblicazione delle Messe della Beata Vergine Maria: l'Introduzione, specie i nn. 12-18, costituisce un prolungamento di riflessione sul celebrare i misteri di Cristo con e come Maria; l’aver disposto le messe secondo i tempi dell'Anno liturgico è segno del naturale inserimento del ricordo di Maria nella dinamica sacramentale che scandisce il pellegrinaggio della Chiesa.

            Un significativo approfondimento esplicativo e propositivo, anche pratico, sulla memoria di Maria nella pietà liturgica, con attenzione pure alla pietà popolare, è stato offerto nella Lettera Orientamenti e proposte per la celebrazione dell'Anno mariano, pubblicata dalla Congregazione per il Culto Divino nel 1987. Del medesimo anno, illuminato dall’Enciclica Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II, è l'Istruzione della Congregazione per le Chiese Orientali: L'enciclica "Redemptoris Mater" e le Chiese Orientali nell'Anno mariano. Il pensiero delle tradizioni d'Oriente, dà occasione di osservare che un fratello ortodosso non avrebbe difficoltà a sottoscrivere che «la pietà della Chiesa verso la Vergine Maria è elemento intrinseco del culto cristiano» (MC n. 56, espressione ripresa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 971). Sarebbe probabilmente anche difficile oggi trovare qualche fratello protestante che dissenta in blocco sulle linee portanti della Marialis cultus.

            Se, a livello liturgico, la pietà ecclesiale verso Maria ha avuto il suo rinnovamento (vedi i libri liturgici, compreso la editio tertia del Missale Romanum), non mancano oggi indicazioni per un rinnovamento anche della pietà popolare in suo onore, esposte nel Direttorio su pietà popolare e liturgia, pubblicato dalla Congregazione per il Culto Divino nel 2002. Anche in questa rilevante materia la Marialis Cultus ha il merito di aver tracciato la strada.

            C'è chi dice che l'abbondante produzione di documenti magisteriali provochi inflazione, o chi sostiene l'idea che, dopo trent'anni, un documento sia ormai superato, o chi si accontenta di conoscere l’insegnamento pontificio solo attraverso le presentazioni che ne vengono fatte di seconda mano. Ritornare a meditare sulle sapienti ed elevate parole di Paolo VI non è solo rinfrescare la nostra conoscenza della figura di Maria nel mistero del culto cristiano, ma anche trarne rinnovate luci per un'esperienza viva di lei, raccogliendo in tal modo la voce del Concilio là dove «esorta tutti i figli della Chiesa, perché generosamente promuovano il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine e abbiano in grande stima le pratiche e gli esercizi di pietà verso di lei» (LG 67). E' questa l'esortazione che Paolo VI avrebbe voluto «vedere dappertutto accolta senza riserve e tradotta in pratica con zelo» (n. 23).

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