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IL PRIMATO DEL SUCCESSORE DI PIETRO NEL MISTERO DELLA CHIESA

Ultimo Aggiornamento: 05/07/2013 09:17
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03/07/2012 15:49
 
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Spiritualità domenicana

 commento di San Tommaso all’incontro di Gesù con i primi due discepoli

Gv 1,35-42: «"Il giorno dopo Giovanni stava di nuovo là con due discepoli, e, fissando Gesù che passava, disse: Ecco l'Agnello di Dio. Due discepoli udirono queste parole e andarono dietro a Gesù. Gesù si voltò, e, visto che lo seguivano, domandò loro: Chi cercate? E quelli gli dissero: Rabbi (che tradotto vuol dire maestro), dove abiti? Egli rispose loro: Venite e vedrete. Andarono e videro dove egli abitava, e rimasero con lui per quel giorno. Era circa l'ora decima. Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù. Questi trovò dapprima suo fratello Simone, e gli disse: Abbiamo trovato il Messia (che tradotto vuol dire il Cristo). E lo condusse a Gesù. Gesù fissando bene in lui lo sguardo, disse: Tu sei Simone, il figliuolo di Giona: tu ti chiamerai Cefa, che vuol dire Pietro».

Perché Giovanni, a differenza di Cristo, predica sempre dallo stesso luogo

Il teste lo presenta con la frase: «Il giorno dopo Giovanni stava di nuovo là con due discepoli».
Col dire che «stava» mette in rilievo tre caratteristiche di Giovanni.
Intanto il suo modo d'insegnare, che era diverso da quello di Cristo e dei discepoli di lui. Infatti Cristo insegnava spostandosi qua e là, tanto che Matteo (4,23) scrive: «Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe...».
Così pure gli apostoli insegnavano percorrendo il mondo, attuando l'ordine ricevuto (vedi Mt 28,13): «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura». Giovanni invece insegnava stando fisso in un luogo.
Perciò nel Vangelo si legge: «Giovanni stava...», il che significa che stava fermo in un posto oltre il Giordano, e là istruiva intorno al Cristo tutti quelli che andavano da lui.
La ragione per la quale Cristo e i suoi discepoli insegnavano viaggiando è la seguente: la predicazione di Cristo muoveva alla fede mediante i miracoli.
Perciò egli e i discepoli andavano nelle varie regioni per far conoscere i miracoli e la virtù di Cristo.
Al contrario la predicazione di Giovanni non era confermata dai miracoli; infatti più oltre si dirà (Gv 10,41): «Giovanni non fece alcun miracolo». Essa era piuttosto convalidata dal suo prestigio e dalla santità della sua vita. Perciò «stava» fermo in un luogo, affinché persone da ogni parte potessero recarsi da lui ed essere indirizzate a Cristo. Inoltre, se Giovanni avesse viaggiato qua e là ad annunziare il Cristo, senza far miracoli, ciò avrebbe reso meno credibile la sua testimonianza; poiché avrebbe dato, l'impressione di far ciò in modo importuno e quasi per farsi strada.

Secondo, tale stabilità mette in risalto la costanza di Giovanni nella verità. Egli non era una canna agitata dal vento, ma restò saldo nella fede, conforme I'avvertimento dell'Apostolo (1 Cor 10,12): «Chi crede di stare in piedi stia attento a non cadere»; e nell'atteggiamento del profeta Abacuc (2,1): «Starò fermo al mio posto di vedetta».

Infine possiamo vedere nel verbo stare un significato allegorico: poiché in latino stare significa pure fermarsi, cessare. Leggiamo, per es. 2 Libro dei Re (4, 6): «... e l'olio ristette». Perciò Giovanni venne a fermarsi quando giunse il Cristo, perché quando si presenta la verità deve cessare la figura. Giovanni cessa, perché la Legge passa.

Giovanni, a differenza degli profeti, testimonia la presenza di Gesù

282 - Si passa poi a descrivere la certezza, quale modo con cui viene data la testimonianza: è una attestazione fatta di presenza; infatti il testo dice: «... fissando Gesù che passava».
A tale proposito va notato che già i Profeti avevano parlato di Cristo. Come dicono gli Atti degli apostoli (10,43), «di lui tutti i Profeti rendono testimonianza». E anche gli apostoli testimoniarono Cristo percorrendo le contrade del mondo, secondo le parole del Signore (At 1,8): «Sarete miei testimoni a Gerusalemme, e in tutta la Giudea, ecc.». Ma allora non lo testimoniarono mentre era presente, bensì in sua assenza. I Profeti quindi parlarono del Cristo venturo, gli apostoli del Cristo ormai passato.
Invece Giovanni diede testimonianza a Cristo mentre l'aveva sotto gli occhi. Perciò sta scritto: «... fissando Gesù», naturalmente e con gli occhi del corpo e con quelli della mente, secondo l'esortazione del Salmista (Sal 83,10):. «Guarda il volto del tuo Cristo,..».; e il vaticinio di Isaia. (52, 8): «Lo vedranno con gli occhi, faccia a faccia».
II testo aggiunge: «... che passava», per alludere al mistero della Incarnazione, per cui il Verbo di Dio ha assunto una natura mutevole, come leggeremo nei capitoli seguenti (cf. Gv 16,28): «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo...».

Giovanni dice: «Ecco l'Agnello di Dio»

283 - Nel testo evangelico segue la formulazione della testimonianza: «Ecco l'Agnello di Dio». Frase che non svela soltanto la virtù di Cristo, ma esprime per essa un senso di ammirazione, secondo il detto di Isaia (9,6): «Sarà chiamato col nome di Ammirabile...».
E realmente possiede una potenza meravigliosa questo agnello, il quale una volta ucciso ha ucciso il leone, quel leone del quale sta scritto (1 Pt 5, 8): «Il vostro avversario, il diavolo, si aggira come un leone ruggente, cercando chi divorare». Per tale motivo lo stesso agnello meritò di essere chiamato leone vittorioso e glorioso. Così nell'Apocalisse (5, 5): «Ecco ha vinto il leone della tribù di Giuda».
Giovanni dà una testimonianza concisa: «Ecco l'Agnello di Dio!», sia perché i discepoli ai quali la presentava erano già istruiti abbastanza sulla realtà di Cristo da quanto avevano udito da lui; sia anche perché quelle poche parole bastavano per esprimere ciò, a cui, mirava Giovanni, e che altro non era se non condurli a Cristo.
Però non dice loro: Andate da lui; affinché non sembri che i discepoli facciano un favore a Cristo nel seguirlo ma mette in risalto la grazia che li arricchisce, in modo che essi considerino una fortuna poterlo seguire. Di qui l’esclamazione «Ecco l’Agnello di Dio!», cioè, «ecco colui che possiede la grazia e la virtù di purificare dai peccati». Difatti, come abbiamo spiegato sopra, l'agnello veniva offerto per i peccati.

Andrea e Giovanni seguono Gesù

284 - Nei versetti seguenti, a cominciare dalla frase: «I due discepoli, sentendolo parlare così... », vengono descritti i frutti di tale testimonianza.
In primo luogo, vengono presentati i frutti della testimonianza di Giovanni e dei suoi discepoli, in secondo luogo il frutto proveniente dalla predicazione di Cristo, là dove dice: «L'indomani decise di partire per la Galilea».

Riguardo al primo punto vengono descritte separatamente due cose: primo, il frutto prodotto dalla testimonianza di Giovanni. Secondo, quello derivato dalla predicazione di uno dei suoi discepoli, a cominciare dal versetto: «Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due...».
Circa gli effetti della testimonianza di Giovanni vengono esaminate due cose: primo il cominciamento di questo frutto; secondo il suo compimento operato da Cristo, là dove si dice: «Gesù si voltò...».

285 - Per il cominciamento il testo inizia con la frase: «I due discepoli», che erano con lui, «sentendolo parlare (Ecco l'Agnello di Dio!), seguirono Gesù». Letteralmente: «Andarono con lui».
Su questa pericope ci sono da fare, secondo il Crisostomo, quattro considerazioni.
Primo, si noti che qui Giovanni parla mentre Cristo tace; e per la parola di Giovanni i suoi discepoli si aggregano al Cristo. Ora questo fatto accenna a un mistero. Infatti Cristo è lo sposo della Chiesa, mentre Giovanni è l'amico e il paraninfo dello sposo. Ebbene, il compito del paraninfo è quello di consegnare la sposa allo sposo e di trasmetterne verbalmente i patti; invece il compito dello sposo è quello di tacere per un senso di riserbo, e di disporre poi della sposa a suo piacimento. Alla stessa maniera i due discepoli sono consegnati a Cristo da Giovanni quasi fossero fidanzati con lui mediante la fede. Qui Giovanni parla e Cristo tace; ma poi è il Signore che istruisce con diligenza coloro che ha accolto.
Secondo, va notato che quando Giovanni aveva proclamato la dignità del Cristo, affermando: «Egli è stato fatto prima di me...»; oppure: «... Io non sono degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali», nessuno si era convertito. Ora invece che parla delle umiliazioni di Cristo e del mistero dell'Incarnazione, subito alcuni discepoli si mettono al suo seguito. E questo avviene perché l'umiltà di Cristo e le sofferenze da lui sofferte per noi ci muovono maggiormente. Ed ecco perché nel Cantico dei Cantici (1,2) è detto di lui: «Il tuo nome è come olio profumato che si spande», si traduce cioè nella misericordia, con la quale hai procurato la salvezza di tutti; e continua: «per questo le fanciulle ti hanno molto amato».
Terzo, le parole della predicazione sono come un seme che cade su terreni diversi: in uno porta frutto e in un altro no. Così quando Giovanni predica non tutti i suoi discepoli si convertono a Cristo, ma due soltanto, vale a dire quelli che erano ben disposti. Gli altri, al contrario, guardano a Cristo con invidia, e vengono a porgli dei quesiti, come vediamo nel racconto di Matteo (9,14).
Quarto, si noti che i discepoli di Giovanni, una volta ascoltata la sua testimonianza sul Cristo, non si azzardarono a parlare subito all'improvviso con lui, ma cercarono di conversare con lui in un luogo appartato, privatamente e quasi guardinghi, con una certa vergogna e di nascosto. Del resto nell'Ecclesiaste (8,6) si legge: «Per ogni cosa c'è un tempo e un'occasione opportuna».

Gesù si voltò e disse: "che cosa cercate?"

284 - Nei versetti seguenti, a cominciare dalla frase: «I due discepoli, sentendolo parlare così... », vengono descritti i frutti di tale testimonianza.
In primo luogo, vengono presentati i frutti della testimonianza di Giovanni e dei suoi discepoli, in secondo luogo il frutto proveniente dalla predicazione di Cristo, là dove dice: «L'indomani decise di partire per la Galilea».

Riguardo al primo punto vengono descritte separatamente due cose: primo, il frutto prodotto dalla testimonianza di Giovanni. Secondo, quello derivato dalla predicazione di uno dei suoi discepoli, a cominciare dal versetto: «Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due...».
Circa gli effetti della testimonianza di Giovanni vengono esaminate due cose: primo il cominciamento di questo frutto; secondo il suo compimento operato da Cristo, là dove si dice: «Gesù si voltò...».

285 - Per il cominciamento il testo inizia con la frase: «I due discepoli», che erano con lui, «sentendolo parlare (Ecco l'Agnello di Dio!), seguirono Gesù». Letteralmente: «Andarono con lui».
Su questa pericope ci sono da fare, secondo il Crisostomo, quattro considerazioni.
Primo, si noti che qui Giovanni parla mentre Cristo tace; e per la parola di Giovanni i suoi discepoli si aggregano al Cristo. Ora questo fatto accenna a un mistero. Infatti Cristo è lo sposo della Chiesa, mentre Giovanni è l'amico e il paraninfo dello sposo. Ebbene, il compito del paraninfo è quello di consegnare la sposa allo sposo e di trasmetterne verbalmente i patti; invece il compito dello sposo è quello di tacere per un senso di riserbo, e di disporre poi della sposa a suo piacimento. Alla stessa maniera i due discepoli sono consegnati a Cristo da Giovanni quasi fossero fidanzati con lui mediante la fede. Qui Giovanni parla e Cristo tace; ma poi è il Signore che istruisce con diligenza coloro che ha accolto.
Secondo, va notato che quando Giovanni aveva proclamato la dignità del Cristo, affermando: «Egli è stato fatto prima di me...»; oppure: «... Io non sono degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali», nessuno si era convertito. Ora invece che parla delle umiliazioni di Cristo e del mistero dell'Incarnazione, subito alcuni discepoli si mettono al suo seguito. E questo avviene perché l'umiltà di Cristo e le sofferenze da lui sofferte per noi ci muovono maggiormente. Ed ecco perché nel Cantico dei Cantici (1,2) è detto di lui: «Il tuo nome è come olio profumato che si spande», si traduce cioè nella misericordia, con la quale hai procurato la salvezza di tutti; e continua: «per questo le fanciulle ti hanno molto amato».
Terzo, le parole della predicazione sono come un seme che cade su terreni diversi: in uno porta frutto e in un altro no. Così quando Giovanni predica non tutti i suoi discepoli si convertono a Cristo, ma due soltanto, vale a dire quelli che erano ben disposti. Gli altri, al contrario, guardano a Cristo con invidia, e vengono a porgli dei quesiti, come vediamo nel racconto di Matteo (9,14).
Quarto, si noti che i discepoli di Giovanni, una volta ascoltata la sua testimonianza sul Cristo, non si azzardarono a parlare subito all'improvviso con lui, ma cercarono di conversare con lui in un luogo appartato, privatamente e quasi guardinghi, con una certa vergogna e di nascosto. Del resto nell'Ecclesiaste (8,6) si legge: «Per ogni cosa c'è un tempo e un'occasione opportuna».

Maestro dove abiti?

290 - Segue la risposta dei discepoli: «E quelli dissero: Rabbi…».
Richiesti di una cosa, ne rispondono due.
Primo, dicono perché seguono Cristo: cioè per imparare; ed e per questo che lo chiamano Rabbi, ossia Maestro. Come se dicessero: Chiediamo che tu ci insegni. Infatti già presupponevano quello che si legge in Matteo (23,10): «Uno solo è il vostro Maestro: il Cristo».
Secondo, rispondono interrogando a loro volta: «Dove abiti?». In senso letterale sì può dire che cercavano realmente la dimora di Cristo. Infatti, date le cose mirabili e grandi che di lui avevano udito da Giovanni, non si contentano di interrogano sommariamente e una volta sola, ma volevano farlo spesso e a fondo; perciò ne volevano conoscere la casa, per poter accedere spesso a lui, secondo il consiglio del Savio (Sir 6,36): «Se vedi un uomo sensato, vanne in cerca di buon mattino»; e secondo la sentenza dei Proverbi (4, 34): «Beato l'uomo che mi ascolta e che veglia quotidianamente alle mie porte».
In senso allegorico la casa di Dio è il cielo, secondo l'espressione del Salmista (122,1): «A te innalzo i miei occhi, a te che dimori nei cieli». Perciò quei due chiedono a Cristo dove abiti, perché dobbiamo seguirlo per giungere al cielo, ossia alla gloria celeste.
In senso morale poi, la domanda: «Dove abiti?», esprime il desiderio di sapere quali debbano essere gli uomini, per esser degni di ricevere Cristo affinché abiti in essi. Di tale inabitazione così si parla in Ef 2,22: «Voi pure siete parte di questo edificio, che ha da essere abitacolo di Dio nello Spirito». E nel Cantico dei Cantici (1,6): «Dimmi, amore dell'anima mia, dove pascoli, dove tu riposi nel meriggio».

“Venite e vedete”: in quale modo si incontra Gesù

291 - Segue l'istruzione dei discepoli da parte di Cristo, con quelle parole: «Venite e vedete...». In proposito notiamo tre cose: primo, viene descritta tale istruzione; secondo, viene esaltata l'obbedienza dei discepoli: «Vennero e videro... »; terzo, viene precisato il tempo di tale evento: «Era quasi l'ora decima»,

292 - Per prima cosa egli dice: «Venite e vedete...» dove io abiti. Ma qui nasce un problema: come fa il Signore a dire: «Venite e vedete dove io abito», quando altrove (Mt 8,20) dichiara: «Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo»?
Risposta: A detta del Crisostomo, quando il Signore dichiara che «il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» vuole soltanto chiarire di non avere una abitazione propria; non già che non avesse alloggio in casa d'altri. Egli quindi nel dire: «Venite e vedete» invitava quei due a vedere questo alloggio.
In senso mistico tale invito, «Venite e vedete», serve a indicare che la dimora di Dio, sia quella della grazia, che quella della gloria, non si può conoscere se non per esperienza: perché non si può esprimere a parole. Nell'Apocalisse (2,17), vi si allude in quel passo: «A chi vince.., darò un sassolino bianco, e nel sassolino sta scritto un nome nuovo, che nessuno sa, se non chi lo riceve». Di qui l'invito: «Venite e vedete»: venite col credere e con l'operare; vedete con l'esperienza e con il contemplare.

293 - Si deve notare che a questa conoscenza si giunge in quattro modi.
Primo, mediante il compimento di opere buone ed è per questo che dice: «Venite». Già il Salmista (4,3) aveva detto: «Quando verrò e comparirò al cospetto di Dio?».
Secondo, mediante la quiete e la calma dell'anima. «Calmatevi e vedete che io sono Dio...» (Sal 45,11).
Terzo, mediante il godimento della dolcezza di Dio. «Gustate e vedete come è soave il Signore» (Sal 33,9).
Quarto, mediante l'esercizio della devozione. Geremia esortava: «Alziamo i nostri cuori insieme con le palme...» (Lam 3,41). Ecco perché il Signore risorto dirà (Lc 24, 39): «Palpate e vedete...».

Andarono e videro e rimasero con lui per tutto quel giorno

294 - Segue subito nel testo l'obbedienza dei discepoli: «Andarono e videro»; e poiché accedendo videro, e vedendo non vollero lasciarlo, si aggiunge: «E rimasero con lui per tutto quel giorno». Infatti, come il Signore dirà in seguito (Gv 6,45), «chiunque ha udito il Padre ed ha appreso viene a me». Quelli invece che si allontanano da Cristo non l'hanno ancora veduto, o conosciuto come bisogna vederlo.
Ma questi che lo videro con una fede perfetta «rimasero con lui per tutto quel giorno». Ascoltando e vedendo trascorsero un giorno felice e una notte beata, da dover esclamare con la regina di Saba: «Beati i tuoi uomini e beati i tuoi servi, che stanno sempre davanti a te» (1 Re 10,8). Perciò, come esorta sant'Agostino «edifi-chiamogli anche, noi nel nostro cuore una casa, in cui egli venga stare e a insegnare».
Usa l'espressione «per quel giorno», perché non può esserci notte, dove c'è la luce di Cristo, il sole di giustizia.

295 - Segue nel testo la determinazione dell'ora: «Era quasi l'ora decima». E l'Evangelista ha voluto rilevarla, per mettere in risalto, nel senso letterale, la virtù di Cristo e dei discepoli. Infatti l'ora decima è l'ora del tramonto: perciò la circostanza fa onore a Cristo, il quale era tanto zelante nell'insegnare, da non rifiutarsi di istruirli per l'ora così avanzata, ma si mise a istruirli alla decima ora. Proprio secondo il consiglio dell'Ecclesiaste (11,6): «Al mattino semina la tua semente, e la sera non stia oziosa la tua mano...».

296 - Ciò fa ugualmente onore alla temperanza dei due discepoli. Poiché all'ora decima in cui gli uomini sono soliti cenare, ed essere meno sobri e meno disposti ad apprendere la sapienza, essi erano così sobri e disposti all'ascolto da non essere distolti né dal cibo, né dal vino. Non c'è però da meravigliarsi, perché erano discepoli di un maestro, Giovanni, la cui bevanda era l'acqua, e le cui vivande erano le locuste e il miele selvatico.

297 - Secondo Agostino l'ora decima sta a significare la Legge, che venne promulgata nei dieci comandamenti. Perciò era l'ora decima quando questi due vennero e si trattennero con Cristo; affinché la Legge avesse in Cristo quel compimento, che non aveva ricevuto dai giudei. Ecco perché a quell'ora, nella decima ora, Cristo per la prima volta viene chiamato Rabbi, cioè Maestro.

Andrea, fratello di Simon Pietro...

298 - Nella frase seguente: «Andrea, fratello di Simon Pietro...», viene presentato il frutto prodotto da uno dei discepoli di Giovanni, convertitosi a Cristo.

E in proposito vengono precisate tre cose: primo, la descrizione di quel discepolo; secondo, il frutto che da lui ebbe inizio; terzo, si descrive la maturazione del frutto, compiuta da Gesù: «Gesù, fissando bene in lui lo sguardo, disse...».

299 - La descrizione di detto discepolo implica varie cose: primo, il nome: «Andrea, fratello di Simon Pietro...». Andrea significa virile, e richiama l'esortazione del Salmo (30, 25): «Comportatevi virilmente, e prenda coraggio il vostro cuore». Ne viene qui ricordato il nome per sottolineare i suoi privilegi: sia perché fu il primo a convertirsi perfettamente alla fede di Cristo; sia perché se ne fece predicatore. Cosicché come santo Stefano fu il primo martire dopo Cristo, così sant'Andrea fu il primo cristiano.

Secondo, la descrizione accenna alla parentela: «... fratello di Simon Pietro», e ciò perché più giovane di lui. Ma anche questo ridonda a suo onore; perché, pur essendo minore di età, divenne primo nella fede.
Terzo, accenna alla scuola da cui proveniva; poiché «egli era uno dei due che avevano udito da Giovanni». Di lui solo però si ricorda il nome, per mettere così in evidenza l'insigne privilegio di Andrea. Si tace invece il nome dell'altro discepolo: o perché quest'altro era l'Evangelista Giovanni, il quale ha l'abitudine di non nominare mai se stesso, per umiltà, nel proprio Vangelo quando si parla di lui; oppure, secondo il Crisostomo, perché costui non fu un personaggio insigne, e non fece nulla di grande; cosicché non avrebbe giovato a nulla fare il suo nome. Allo stesso modo Luca nel cap. 10 si astenne dal riferire i nomi dei settantadue discepoli, che il Signore mandò due a due davanti a sé, perché non furono persone importanti e celebri, come furono invece gli apostoli. Ovvero, come pensava Alcuino , quel discepolo era Filippo: e ciò logicamente; perché l'Evangelista subito dopo aver riferito di Andrea, parla di Filippo: «Il giorno seguente Gesti volle andare in Galilea, e trovato Filippo...».
Quarto, Andrea viene elogiato per la sua incondizionata devozione: «.,. avevano seguito Gesti». Ecco perché avrebbe potuto ripetere con Giobbe (23, 11): «Alle orme di lui s'attenne il mio piede».

Andrea ne parla a Simone, suo fratello

300 - Passa a trattare del frutto iniziato da Andrea, con le parole: «Questi trovò dapprima suo fratello Simone...». Per prima cosa viene indicato colui presso il quale fece frutto, cioè suo fratello: e ciò sottolinea la perfezione della sua conversione. Infatti, come dice san Pietro nell'Itinerarium Clementis, è segno evidente di una perfetta conversione quando il convertito, nella misura in cui è piti affezionato a qualcuno, phi s'industria di convertirlo a Cristo. Perciò Andrea, perfettamente convertito, non tenne per sé il tesoro che aveva trovato, ma si affrettò e corse subito dal fratello, per comunicargli i beni ricevuti.

Ecco perché il testo usa la frase: «Questi», ossia Andrea, «trovò dapprima suo fratello Simone», che evidentemente cercava; affinché come era suo fratello carnale, cosí diventasse suo fratello di fede. Nei Proverbi (18,19) si legge: «Un fratello aiutato da un fratello è come una città fortificata». E nell'Apocalisse (22,17): «Chi ascolta dice: Vieni».

301 - In secondo luogo si riferiscono le parole di Andrea: «Abbiamo trovato il Messia (che tradotto vuol dire il Cristo)».
Secondo il Crisostomo, Andrea risponde qui a un quesito non formulato. Se uno gli avesse chiesto su quale argomento fosse stato istruito da Cristo, la risposta sarebbe risultata evidente: era stato istruito a riconoscere, mediante le testimonianze della Scrittura, che Gesù era il Cristo. Perciò dice: «Abbiamo trovato...». La frase mostra inoltre che lo aveva cercato a lungo col desiderio, memore dell'insegnamento dei Proverbi (3,13): «Beato l'uomo che trova la sapienza...».
Il termine ebraico Messia equivale al greco Cristo, e al latino Unto, consacrato; poiché Gesù fu unto in modo speciale con l'olio invisibile che è lo Spirito Santo. Ecco perché di proposito lo chiama con questo nome, accennando alle parole del Salmo (44,8): «Ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio di letizia a preferenza dei tuoi uguali», ossia di tutti i santi. Infatti i santi ricevono tutti l'unzione con quest'olio; ma costui fu unto e consacrato in maniera singolare, ed è singolarmente santo. Per questo, nota il Crisostomo, qui non è chiamato semplicemente Messia, bensì «il Messia», con l'articolo determinativo.

«... lo condusse da Gesù» e Gesù svela a Pietro la propria divinità

302 - In terzo luogo viene posto il frutto che Andrea ottenne con Pietro: «... lo condusse da Gesù».
E in ciò risalta l'obbedienza di Pietro; perché accorse subito, senza ritardo.
E si noti la devozione e dedizione di Andrea: lo condusse a Gesù, non a se stesso (ben sapendo di essere una fragile creatura); quindi lo condusse a Gesù perché lui direttamente lo istruisse.
Indicava così quale debba essere l'impegno e lo sforzo dei predicatori: non devono ambire per sé i frutti della predicazione così da cercare il proprio vantaggio e il proprio prestigio, ma devono portare a Gesù, ossia a rendere a lui gloria ed onore. San Paolo di sé diceva (2 Cor 4, 5): «Noi non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo...».

303 - Si passa quindi a descrivere il compimento, la maturazione di questo frutto: «Gesù fissando bene in lui lo sguardo, disse...». Cristo volendo sollevare Simone alla fede nella propria Divinità, cominciò a produrre opere che sono proprie della Divinità, svelando cose occulte.
Primo, cominciò a svelare cose occulte, ma presenti. «Fissò bene in lui il suo sguardo», vale a dire che lo scrutò con la virtù della sua Divinità e gli disse qual era il suo nome: «Tu sei Simone». Né c'è da meravigliarsi; perché, come è detto in 2 Sam 16, 7, «l'uomo guarda all'apparenza, il Signore guarda al cuore».
Inoltre questo nome si addice a Pietro per il suo significato mistico. Infatti Simone significa obbediente, e indica che l'obbedienza è indispensabile per chi si converte a Cristo mediante la fede. Negli Atti (5,32) si accenna al fatto, che «Dio dà lo Spirito Santo a coloro che gli obbediscono».

304 - Secondo, rivela cose occulte, ma passate, svelandone la paternità: «... sei figliuolo di Giovanni»; perché così era chiamato tuo padre. Oppure, secondo Matteo, «figlio di Giona», «Simone Bariona».
Entrambi i nomi offrono validi significati mistici. Perché Giovanni significa grazia, e indica che gli uomini vengono alla fede di Cristo mediante la grazia, secondo l'espressione paolina (cf. Ef 2,5): «per grazia siete stati salvati...».
Giona invece significa colomba, e indica che noi veniamo resi stabili nell'amore di Dio dallo Spirito Santo che ci è stato dato, come si legge nell'Epistola ai Romani (5, 5): «La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato dato».

305 - Terzo, svela le cose occulte del futuro, dicendo: «Tu ti chiamerai Cefa, che vuoi dire Pietro», mentre in greco significa capo.
E tutto ciò è intonato al mistero; affinché colui che doveva essere a capo di altri e vicario di Cristo, fosse radicato nella fermezza. Di qui le parole evangeliche (Mt 16,18): «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».

306 - Abbiamo qui un problema di esegesi letterale. Perché Cristo impose il nome a Pietro all'inizio della sua conversione, e non volle che venisse così denominato fin dalla nascita?
Ci sono in proposito due soluzioni. Secondo il Crisostomo i nomi imposti da Dio stanno a indicare una certa eminenza di grazia spirituale. Ora, quando Dio conferisce a qualcuno una grazia speciale fin dalla nascita, gli impone fin da allora il nome che esprime tale grazia. Ciò è evidente nel caso di Giovanni Battista, che ebbe il nome da Dio prima che nascesse; perché fu santificato fin dal seno materno. Talora invece questa eminenza di grazia specialissima viene conferita nel corso degli anni; e allora tali nomi vengono imposti da Dio non alla nascita, bensì nel corso degli anni. Ciò è evidente nel caso di Abramo e di Sara, ai quali venne cambiato il nome quando ebbero la promessa che si sarebbe moltiplicata la loro stirpe. Allo stesso modo anche Pietro venne così denominato da Dio quando fu chiamato alla fede di Cristo e alla grazia dell'apostolato, e quando specialmente venne costituito principe degli apostoli di tutta la Chiesa; il che non avvenne per gli altri apostoli.
Invece secondo sant'Agostino il motivo di tale dilazione sta nel fatto che, se egli fosse stato chiamato Cefa fin dal principio, non sarebbe risultato con chiarezza il mistero. Perciò il Signore volle che ricevesse quel nome soltanto allora, affinché col mutamento del nome apparisse il mistero della Chiesa, che era fondata sulla confessione di fede dell'apostolo Pietro. Pietro infatti viene da pietra; «e la pietra era Cristo» (1 Cor 10, 4). Perciò nel nome di Pietro è figurata la Chiesa, che è edificata sopra una pietra immobile, ossia su Cristo.


Pubblicato 18.01.2012

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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