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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Significativo esempio di apologetica cattolica e civile dialogo: l'importanza della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 29/05/2010 13:30
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27/05/2010 19:50
 
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[SM=g1740722] ottimo intervento dell'amico Daniele di Sorco


Al di là delle differenze sistemiche (i medievali avevano un metodo organico o scolastico, i padri speculativo o positivo), non esiste una differenza di fondo tra come questi e quelli concepivano l'esistente. Entrambe le scuole di pensiero erano realiste, ossia ritenevano che l'intelletto umano fosse capace di conoscere con certezza la realtà (nell'ambito, ovviamente delle sue capacità) mediante l'esperienza prima e la ragione astrattiva poi. La divina rivelazione costituisce una fonte ulteriore della conoscenza, ma non ne altera il meccanismo di fondo, anzi lo presuppone, perché, se la conoscenza non avvenisse in modo certo e dimostrabile, la rivelazione non avrebbe alcun senso, restando confinata, come tutto il resto, nell'ambito dell'opinabile.

Certo, la filosofia dei padri e dei medievali differisce in molti aspetti: si pensi soltanto alle prove metafisiche circa l'esistenza dell'Essere increato. Ma la concezione di fondo resta la medesima, checché né dicano gli studiosi di matrice hegeliana (ai quali si debbono la maggior parte dei nostri testi scolastici), che, nella loro mania storicizzatrice, fanno di S. Agostino un platonico, di S. Tommaso un tomista, e con questo credono di aver individuato una opposizione insolubile tra le due principali correnti del pensiero cattolico.

Se essi avevano, come in effetti ebbero, una concezione della reatà del tutto analoga, perché aderire alla rivelazione cristiana implica aderire anche a un certo tipo di pensiero filosofico, ne segue che la loro idea di Chiesa non poteva essere radicalmente differente.

E in effetti, come potremmo noi pensare, non dico di professare la dottrina di Cristo, ma anche solo di conoscere la figura di Cristo, se non attraverso la Chiesa? È la Chiesa che ha scritto le memorie relative alla sua vita. È alla Chiesa che da Lui fu assicurata la prerogativa di custodire il suo messaggio in modo infallibile per ciò che riguarda la fede e la morale ("portae inferi non prevalebunt": e che cosa c'è di più infernale dell'errore?). È la Chiesa che, di fatto, ha conservato e trasmesso questo messaggio alle generazioni future. Così che, rifiutando la Chiesa, rifiutando la sua divina costituzione, si arriva a rifiutare anche Cristo.

Storicamente questo fenomeno si mostra con evidenza nella parabola del protestantesimo. Partiti dal rifiuto dell'autorità della Chiesa, i riformatori approdarono prima al libero esame e, quindi, ad una pluralità potenzialmente infinita di dottrine. Passarono poi a rifiutare l'autorità dei Padri, perché contraria alle loro eresie. Infine, giunsero a rigettare persino l'autorità del testo sacro, considerato frutto di fantasie e rielaborazioni, piuttosto che di testimonianze verosimili. Il protestantesimo liberale, al quale è approdata la maggior parte delle confessioni riformate storiche, si può definire una sorta di agnosticismo cristianizzato. I suoi fautori riconoscono che nella Sacra Scrittura la storia non è discernibile dal mito. Bisogna quindi riconoscere che Gesù fu certamente una gran figura, ma di lui sappiamo molto poco. Di fatto, credere in un Gesù del genere o essere agnostici è la medesima cosa. E non caso, questi protestanti fanno causa comune con i laicisti nella battaglia per la dissoluzione della morale.

L'ispirazione stessa della Bibbia può esserci garantita soltanto dalla Chiesa. Si dovette aspettare il III secolo perché il Canone delle Scritture fosse ufficialmente definito. Inoltre che gli Apostoli fossero testimoni ispirati e attendibili, lo desumiamo pure dagli scrittori ecclesiastici del tempo. Il fatto che la Bibbia contenga, in qualche passo, l'affermazione della sua ispirazione è un argomento inconsistente, poiché tutti i testi religiosi dicono di essere di origine divina, ma non tutti di fatto lo sono: il Corano, pur dicendo di essere ispirato, non lo è.

Quanto alla purezza del messaggio cristiano, è evidente che esso non può essere lasciato alla libera interpretazione di ciascuno. Sarebbe come se la rivelazione non ci fosse stata affatto. Nel Vangelo stesso, l'agiografo ci dimostra come il demonio stesso utilizzi la Scrittura per ingannare. La molteplicità e la varietà di dottrine che caratterizzano il protestantesimo, dottrine, è bene ricordarlo, opposte l'una con l'altra, è la prova più chiara di come il libero esame sia molto distante dalla verità divina, che, per definizione, non può che essere una.

Non si anteponga l'esperienza con la conoscenza. Si sperimenta solo ciò che si conosce e dopo averlo conosciuto. "Nihil volitum, quin cognitum", dicevano gli antichi. E del resto, l'esperienza scollegata dalla conoscenza razionale, si riduce a sentimentalismo, soggetto, come tale, agli sbandamenti dell'umore. Si assiste, allora, al cristiano che, di fronte a qualche sventura esistenziale, passa senza difficoltà all'agnosticismo. Il fatto è che la vita consiste sì nel conoscere Gesù, ma conoscere Gesù significa conoscere il suo messaggio. Che cos'ha fatto Gesù, per i tre anni della sua vita pubblica? Ha insegnato. Che cos'ha fatto prima di lasciare i discepoli e ascendere al Padre? Ha detto agli apostoli di divulgare in tutto il mondo i suoi insegnamenti. Non ha detto di farlo conoscere, perché credere in Gesù sic et simpliciter, prescindendo dai suoi insegnamenti, è inutile. Nel Vangelo troviamo ripetuti ammonimenti verso coloro che dicono di credere in Gesù ma non credono ciò che insegna o non si comportano secondo il suo volere.

San Paolo dedica la maggior parte delle sue lettere alla battaglia contro le eresie. A che scopo, se il credere in Cristo fosse superiore al credere nella verità da lui predicata?

I santi Padri hanno fatto lo stesso. Anzi, è da lì che ha cominciato a svilupparsi una conoscenza sempre più approfondita della dottrina: dalla lotta contro gli errori.

Non possiamo dire che la dottrina oggi professata dalla Chiesa cattolica sia diversa da quella insegnata dagli Apostoli. Questa sta a quella come le equazioni di primo grado agli integrali (per usare un paragone matematico), ma si tratta pur sempre della stessa scienza, degli stessi principii. Del resto, esisterebbero gli integrali senza equazioni di primo grado? Niente affatto. I Padri, fin dagli inizi, non ebbero nulla in contrario a questo organico e non contraddittorio sviluppo della dottrina. San Vincenzo da Lerino, nel V secolo, poteva scrivere che la Chiesa, in ambito di dottrina, non diceva mai "nova", ma tutt'al più "nove".

D'altra parte, se pensiamo alla causa della fede, dobbiamo riconoscere che credere nella Chiesa è in necessario presupposto per riconoscere il primato di Dio. La Sacra Scrittura, infatti, non è che la fonte remota della fede. "Remota" perché la sua interpretazione non è univoca e immediatamente conoscibile. Di fronte a un passo che mi crea dubbi, di fronte a una apparente contraddizione, di fronte alla difficoltà di estrarre la dottrina da libri così numerosi e disparati, quale criterio devo adottare? Quello del lume privato della mia ragione? Ma in questo caso, la fonte prossima della fede non è più qualcosa di origine divina. Sono io, è la mia ragione. E alla ragione dei singoli Dio non ha mai promesso infallibilità alcuna, come del resto dimostra l'infinità variabilità delle interpretazioni bibliche dei riformati. Posso aggiungere, alla Bibbia, la sacra Tradizione. Ma resta pur sempre una fonte remota. Anzitutto, quali sono i testi della Tradizione? Come interpretarli? Come armonizzarli? Ci si presentano, a ben vedere, le stesse difficoltà che avevamo ravvisato nell'uso della Bibbia sola.

Il cattolico, invece, adotta come fonte prossima della sua fede non lam propria privata ragione, ma il Magistero vivo della Chiesa, nella persona del suo Capo, al quale Gesù ha fatto numerose promesse relative alla sua infallibilità in docendo ("Conferma i tuoi fratelli", "Pasci le mie pecorelle", "Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa"). Al cattolico, ma in generale al realista, non interessa ciò che egli ritiene vero, ma ciò che è vero.

Se si nega l'esistenza di un'autorità infallibile in grado, su questa terra, di conservare e tramandare non solo il deposito della fede, ma anche, in molti casi, quello della conoscenza naturale, l'unica alternativa possibile è lo scetticismo, il dire, cioè, che non siamo in grado di conoscere la verità e non lo saremo mai: ignoramus et ignorabimus.

Il conseguimento della vera libertà è relativo a quello della verità. Gesù dice infatti: "La verità vi farà liberi". Liberi da che cosa, se non dall'errore e dalle sue conseguenze? E dalla libertà dipende, in ultima analisi, anche la felicità. La vera libertà non è dunque il mero esercizio del libero arbitrio, ma l'esercizio del libero arbitrio secondo verità. Questo concetto, spesso negato nella speculazione, è da tutti riconosciuto nella vita pratica. Il mio libero arbitrio mi consente di gettarmi sotto a un treno o di non farlo. Ma chi direbbe che il gettarsi sotto al treno è un atto di libertà?

Ceto, non che l'uomo debba essere sollecito in primo luogo della sua felicità. Questo non è che un fine secondario della sua esistenza. Il fine primario per il quale è stato creato è rendere gloria a Dio, ed è in questo che si ravvisa, in primo luogo, il primato del divino sull'umano. L'aspirazione alla felicità è subordinata e ordinata a questo primo fine. Ma anche qui bisogna badare a non confondere piacere con felicità, e felicità immanente o imperfetta con felicità trascendente o perfetta. La vera felicità, quella che appaga tutte le aspirazioni dell'uomo, è l'eterna beatitudine del Paradiso, beatitudine derivante dalla contemplazione di Dio e dalla conformazione perfetta della nostra alla Sua mente. Tutto ciò che non è finalizzato, direttamente o indirettamente, a questo, è felicità apparente, destinata ad essere cancellata dal tempo o dai rovesci della fortuna. Tutto ciò che, oltre a non essere finalizzato, è un ostacolo al Paradiso, perché costituisce peccato, non deriva da libertà, ma da mancanza di libertà. Quella mancanza per cui noi siamo essere imperfetti, visto che l'imperfezione consiste in primo luogo nella capacità di compiere il male.

Vediamo, dunque, come una chiara percezione del nostro fine ultimo ci illumina circa il concetto che dobbiamo avere di verità. Non si tratta di una percezione, di un sentimento, di una esperienza che è tale solo di nome (solo i mistici hanno esperienza di Dio, perché lo percepiscono attraverso i sensi; le persone normali, no, poiché una sensazione non è un'esperienza), ma della conoscenza intellettiva del messaggio rivelato. Conoscenza che non può avvenire direttamente, perché Dio non si manifesta a ciascuno di noi, ma attraverso l'autorità da Lui stesso designata per la conservazione della sua dottrina. Chi non crede nella Chiesa, in ultima analisi, non crede in Dio, ma in se stesso, perché fa della propria coscienza privata la causa prossima della propria fede. Non è fede, dunque, come giustamente dice san Tommaso, ma un'opinione.

Sant'Agostino, come ogni cattolico, era della stessa idea, tanto che poteva scrivere: "Non crederei al Vangelo, se non me lo dicesse la santa Chiesa". Perché? Perché credere al Vangelo per autorità propria non è diverso dal credere a qualunque altro libro. Anche l'irreligioso crede in certi valori, ma certamente non si può dire che abbia la fede. La fede, infatti, è l'atto con cui si crede a qualcosa non per autorità nostra, ma per autorità di qualcun altro. E poiché l'autorità di Dio, si manifesta attraverso la Chiesa, sant'Agostino diceva di credere ai Vangeli per l'autorità della Chiesa.

Gli altri Padri, con parole ed espressioni diverse, attestano tutti la medesima fede. Nessuno avrebbe pensato di derivare la propria fede direttamente e immediatamente da Dio, salvo fenomeni mistici specialissimi e singolari.


[SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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