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DOSSIER di Agenzia Fides sulla CLAUSURA

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2010 22:42
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29/06/2010 22:41
 
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Agenzia FIDES – 10 agosto 2009


DOSSIER FIDES www.fides.org



LA CLAUSURA




“Il luogo dove c’è la purezza di chi ha dedicato la propria vita a Gesù Cristo, dove si ammira il silenzio, dove la Sacra Liturgia si celebra con gioia partecipata e adorazione”: intervista a Don Vincenzo Macera, Parroco della Chiesa San Giuseppe Lavoratore, a Formia
“Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente” (San Paolo, Lettera ai Filippesi 1,3-5)

Il Cardinale Franc Rodè, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica: “Guardarsi dal pericolo dell’attivismo”

“Il Signore conosce la mia nullità”: intervista a Madre Scolastica Mastrocola, Abbadessa del Monastero di Santa Scolastica di Cassino

La prima cosa che vorrei sottolineare è che abbiamo tutti più o meno l’illusione della libertà; vedo bene questo in tutte le persone che incontriamo e anche nei giovani monaci che entrano.
Si pensa di essere liberi in misura che si approfondisce la vita spirituale e ci si rende conto che si è tutti più o meno schiavi di qualcosa.

E’ Cristo che è venuto per liberarci, liberarci attraverso la sua croce ed è venuto ad invitarci ad una alleanza un’amicizia con Dio alla quale tutti gli uomini hanno la possibilità di rispondere liberamente. La vita monastica è un modo di rispondere a questa chiamata a questa vocazione di intimità con Lui.
La vita monastica, contrariamente a quello che si potrebbe credere, è si una scuola per servire Dio e in realtà scuola di liberazione. Ci si libera di tutti i legami. I legami più forti che ci tengono legati alla terra e che ci impediscono di unirci a Dio.
E’ dunque veramente liberamente, molto liberamente che un monaco è portato a consacrarsi completamente a Dio e questa libertà è assolutamente indispensabile perché possa perseverare fino alla fine.
Perchè la vita monastica è una lotta spirituale che dura tutta la vita, una buona lotta per unirsi definitivamente, completamente, perfettamente nella carità a Dio e a tutti i nostri fratelli.

(Dom Louis Marie de Geyer d’Orth, Abbazia St. Madeleine, Le Barroux,
tratto da www.diopaceodominio.it)
Il luogo dove c’è la purezza di chi ha dedicato la propria vita a Gesù Cristo, dove si ammira il silenzio, dove la Sacra Liturgia si celebra con gioia partecipata e adorazione: intervista a Don Vincenzo Macera, Parroco della Chiesa San Giuseppe Lavoratore, a Formia

“E’ un ambiente piccolo, dove vivono undici suore, tutte bengalesi. Spesso i missionari portano la gente a fare incontri con le monache, a confrontarsi, a pregare con loro. E’ una presenza, un richiamo, una testimonianza di grande fede, che dà la misura di quanto sia necessario contemplare il Mistero, come ha affermato Benedetto XVI”. Questo racconta Don Vincenzo Macera, Parroco della Chiesa San Giuseppe Lavoratore, a Formia, che dal 26 gennaio al 12 febbraio 2009, ha visitato il Monastero delle Suore Clarisse di Santa Chiara a Dinajpur, in Bangladesh, inaugurato il 16 maggio 2008. “La caratteristica di queste Suore Clarisse Adoratrici è quella di vivere la povertà più assoluta e di avere l’adorazione perpetua ininterrotta”, aggiunge Don Vincenzo.

Era già stato in Bangladesh?
Sì, ventotto anni fa. Ora sono tornato per finalità missionarie e per verificare la mia vocazione sacerdotale.

Come ha trovato il paese a distanza di tanti anni?

Come sa, il Bangladesh è un paese quasi interamente mussulmano e i cattolici rappresentano una piccolissima minoranza rispetto ai 150 milioni di abitanti. Già questa è una grande difficoltà che incontra l’evangelizzazione, pur tenendo presente che i missionari che ho incontrato sono aperti e attenti al dialogo con il mondo mussulmano. Bisogna anche tenere presente che il Bangladesh è uno dei paesi più poveri del mondo e la situazione non è cambiata rispetto al mio primo viaggio, anche se ho notato che accanto a situazioni d’indigenza, di povertà estrema, c’è tanta gente che si dà da fare, che vuole costruire situazioni di sviluppo.

Si è recato in Bangladesh anche per finalità missionarie, diceva…

Sì, perché insieme ad un ingegnere laico italiano curiamo nel paese un piccolo progetto di accompagnamento allo studio per i ragazzi, che prevede il pagamento delle spese per lo studio per 5-6anni, nella Diocesi di Dinajpur , a nord. Una goccia nell’oceano e Non si tratta di adozioni e rappresenta solo un piccolo sostegno all’opera dei missionari che è veramente formidabile. Sono stato in un lebbrosario, a Taigal, sempre nel nord del paese, dove sono state di recente inaugurate una scuola nuova ed una Chiesa nuova, che si fonda sul lavoro dei catechisti.

Che aiuto danno le Suore di clausura che ha conosciuto ai missionari?

L’aiuto più grande. Nelle loro adorazioni pregano incessantementre per sacerdoti e religiosi dedicati all'apostolato diretto, di cui si sentono collaboratrici autentiche. Vivendo per Gesù Cristo, ci ricordano che la fonte di ogni azione è il Signore e che, per convertire il cuore, è necessario che il Signore intervenga. L’incontro con loro mi è rimasto nel cuore, perché con loro s’impara a crescere nella dimensione del servizio.

Che cos’è per lei la clausura?

Sono stato a Roma, per molti anni, confessore delle monache Agostiniane dei Santi Quattro Coronati: sono state per me una scoperta straordinaria. La clausura è il luogo dove c’è la purezza di chi ha dedicato la propria vita a Gesù Cristo, dove si ammira il silenzio, dove la Sacra Liturgia si celebra con gioia partecipata e adorazione.


Il 2 febbraio 2008, Festa della Presentazione del Signore al Tempio e XIII Giornata della Vita Consacrata, il Card. Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, ha presieduto nella Basilica Vaticana la Celebrazione Eucaristica per i Membri degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

Nella sua omelia, intitolata “Testimoni della grande speranza”, il Cardinale Rodè ha tra l’altro affermato:
“Il Santo Padre ricorda esplicitamente come la suprema libertà, che la speranza cristiana infonde nel credente, si è in modo particolare rivelata nel martirio, ma anche in tutti coloro che, durante la storia, hanno rinunciato a tutto per seguire Cristo, «a partire dai monaci dell’antichità fino a Francesco di Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l’amore di Cristo» (SS 8). Il Papa, poi, aggiunge: «per noi che guardiamo queste figure, questo loro agire e vivere è di fatto una ‘prova’ che le cose future, la promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza» (SS 8).

Le persone alle quali il Papa fa riferimento siamo noi consacrati. Siamo noi ad essere chiamati ad una testimonianza visibile e credibile della “grande speranza” di cui la Chiesa è portatrice e di cui gli uomini hanno bisogno per non restare imprigionati nel proprio piccolo orizzonte e rassegnarsi, alla fine, al fallimento della morte”.

Il Cardinale ha aggiunto: “Il periodo di difficoltà che sta attraversando la vita consacrata non ci può far dimenticare che, dopo Gesù, l’incomprensione, la debolezza, l’emarginazione e la morte stessa, diventano luoghi in cui fermenta la vita. Sono questi i momenti in cui siamo chiamati a rendere più trasparenti gli atteggiamenti che costituiscono le strutture portanti della sequela evangelica: la fiducia in Dio e il dono di sé. È nella prova che siamo chiamati a rendere più evidente la scelta radicale che abbiamo fatto. Già Giovanni Paolo II aveva ricordato «che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l’impegno della fedeltà... La sconfitta della vita consacrata, non sta nel declino numerico, ma nel venir meno dell’adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione» (VC 63).

Per il resto sappiamo che «la Chiesa non può assolutamente rinunciare alla via consacrata» (VC 105) e al suo «insostituibile contributo alla trasfigurazione del mondo» (VC 110), perché, come diceva Paolo VI, è la missione stessa della Chiesa che verrebbe ad essere compromessa (ET 3). Già Santa Teresa, edotta dallo stesso Signore e pur prendendo atto che gli Istituti non erano affatto fiorenti, aveva scritto: «Che sarebbe del mondo se non vi fossero i religiosi?» (Vita 32, 1i). Benedetto XVI, riportando un pensiero di San Bernardo e di un antico scrittore ecclesiastico sulla responsabilità dei monaci per l’intero organismo della Chiesa, afferma: «Il genere umano vive grazie a pochi; se non ci fossero quelli il mondo perirebbe» (SS 15). Il Concilio, a sua volta, ha solennemente affermato che la vita consacrata «appartiene irremovibilmente (inconcusse) alla vita e alla santità della Chiesa» (LG 44 ).

Questo significa, aggiunge Giovanni Paolo II, che essa «non potrà, mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante» (VC 29). Per questo la vocazione alla vita consacrata... nonostante le sue rinunce e le sue prove, ed anzi in forza di esse, è cammino “di luce”, sul quale veglia lo sguardo del Redentore: “Alzatevi e non temete” (VC 40).

Il Cardinale ha concluso il suo intervento, affermando: “Lasciando tutto per seguire Cristo, voi consacrati e consacrate, in modo particolare, siete chiamati a diventare parabola concreta e profezia esistenziale dell’impotente onnipotenza di un «amore eterno ed infinito che tocca le radici dell’essere» e conquista le persone (VC 18b), dimostrazione e prova della «preminente grandezza della virtù di Cristo regnante e della infinita potenza dello Spirito Santo mirabilmente operante» (LG 44c). La Chiesa ha costante bisogno di questi testimoni, perché il messaggio che annuncia la certezza assoluta dell’amore che salva sia reso “visibile”. I consacrati, proprio perché hanno scelto Dio come loro unica eredità e spendono la vita a cercarne il volto, rendono palese testimonianza della grande speranza e diventano ministri della speranza degli altri (cfr. VC, 34).
La testi
monianza profetica della vita consacrata e, forse, la più necessaria per la Chiesa di oggi, è proprio quella di proclamare il primato assoluto dell’amore di Dio e, insieme, mantenere vivo e visibile il desiderio dell’incontro definitivo con Lui. Un desiderio che esprime il dinamismo più intimo della Chiesa-Sposa che cerca il suo Signore e, allo stesso tempo, dà la misura del suo amore e della sua fedeltà. S. Paolo scrive: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù. Dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1). Egli non fa una esortazione, esprime piuttosto una constatazione: chi è risorto, cerca le cose di lassù. Il segno che si è entrati nella vita nuova e la si vive è tenere viva come una fiamma la “grande speranza”. Ebbene, sono i consacrati che, in forza delle loro rinunce radicali per “vivere di Dio solo”, sono chiamati non solo a tenere accesa questa fiamma, ma anche a renderla manifesta. È un servizio che la Chiesa si aspetta da loro e di cui i cristiani, continuamente assillati dalle preoccupazioni di questo mondo, hanno particolarmente bisogno per non rischiare di disperdersi e restare prigionieri di beni che periscono”.

“Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente” (San Paolo, Lettera ai Filippesi 1,3-5)

Quello stesso giorno, a conclusione della celebrazione eucaristica, Benedetto XVI ha detto queste parole: “Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente” (Fil 1,3-5): con queste parole di San Paolo, nel contesto dell’Anno Paolino, il Papa si è rivolto ai religiosi ed alle religiose raccolti nella Basilica di San Pietro, ricordando che “in questo saluto, indirizzato alla comunità cristiana di Filippi, Paolo esprime il ricordo affettuoso che egli conserva di quanti vivono personalmente il Vangelo e si impegnano a trasmetterlo, unendo alla cura della vita interiore la fatica della missione apostolica”.

Il Santo Padre ha proseguito: “nella tradizione della Chiesa, san Paolo è stato sempre riconosciuto padre e maestro di quanti, chiamati dal Signore, hanno fatto la scelta di un’incondizionata dedizione a Lui e al suo Vangelo. Diversi Istituti religiosi prendono da san Paolo il nome e da lui attingono un’ispirazione carismatica specifica. Si può dire che per tutti i consacrati e le consacrate egli ripete un invito schietto e affettuoso: ‘Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo’ (1 Cor 11,1)… imitarlo nel seguire Gesù, carissimi, è via privilegiata per corrispondere fino in fondo alla vostra vocazione di speciale consacrazione nella Chiesa.”
Dalla stessa voce di San Paolo infatti “possiamo conoscere uno stile di vita che esprime la sostanza della vita consacrata ispirata ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza” ha sottolineato il Papa, che ha spiegato: “Nella vita di povertà egli vede la garanzia di un annuncio del Vangelo realizzato in totale gratuità, mentre esprime, allo stesso tempo, la concreta solidarietà verso i fratelli nel bisogno… Paolo è anche un apostolo che, accogliendo la chiamata di Dio alla castità, ha donato il cuore al Signore in maniera indivisa, per poter servire con ancor più grande libertà e dedizione i suoi fratelli… Quanto poi all’obbedienza, basti notare che il compimento della volontà di Dio e l’ ‘assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese’ ne hanno animato, plasmato e consumato l’esistenza, resa sacrificio gradito a Dio”.

Un altro aspetto fondamentale della vita consacrata di Paolo sottolineato dal Papa è quello della missione: “Egli è tutto di Gesù per essere, come Gesù, di tutti; anzi, per essere Gesù per tutti… A lui, così strettamente unito alla persona di Cristo, riconosciamo una profonda capacità di coniugare vita spirituale e azione missionaria; in lui le due dimensioni si richiamano reciprocamente. E così, possiamo dire che egli appartiene a quella schiera di "mistici costruttori", la cui esistenza è insieme contemplativa ed attiva, aperta su Dio e sui fratelli per svolgere un efficace servizio al Vangelo”.

Infine, citando la recente Istruzione su Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, Benedetto XVI ha auspicato che l’Anno Paolino alimenti ancor più nei consacrati “il proposito di accogliere la testimonianza di san Paolo, meditando ogni giorno la Parola di Dio con la pratica fedele della lectio divina… Egli vi aiuti inoltre a realizzare il vostro servizio apostolico nella e con la Chiesa con uno spirito di comunione senza riserve, facendo dono agli altri dei propri carismi, e testimoniando in primo luogo il carisma più grande che è la carità”.

Il Cardinale Franc Rodè, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica: “Guardarsi dal pericolo dell’attivismo”.

Secondo le stime ufficiali più aggiornate – diffuse nel novembre 2008, in concomitanza della plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, oggi la presenza dei monaci nel tessuto ecclesiale parla di oltre 12.800 monaci residenti in 905 monasteri. In media, le comunità maschili sono composte in media da 15 religiosi, prevalentemente collocate in ambiente cittadino, con un coinvolgimento nell’attività pastorale della Chiesa locale. Le monache sono circa 48.500, distribuite in 3520 monasteri, due terzi dei quali situati in Europa.
Il cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione, intervenendo all’inaugurazione della plenaria, ha detto – ha riferito Radio Vaticana - che la vita monastica attraversa oggi “un’ora di grande difficoltà, un’ora non di decadenza spirituale, ma di povertà e di debolezza”, con comunità “che si avviano dolorosamente verso una diminuzione e anche una fine”.

Tuttavia, ha affermato, proprio per la loro capacità di forte attrazione verso le cose dello spirito, le comunità monastiche conservano una grande responsabilità e da esse la Chiesa attende “una testimonianza limpida e forte della presenza di Dio e della sua vicinanza che è amore per ogni essere umano”.
Il Cardinale prefetto ha sviluppato in tre punti la sua riflessione: vivere il celibato e la vita comune in modo radicale, guardarsi dal pericolo dell’attivismo, prestare attenzione alla formazione per ritrovare una teologia sapienziale.

Riguardo al pericolo dell’attivismo, il cardinale Rodé ha stigmatizzato un “grande rischio” dell’attuale vita monastica: quello, ha rilevato, “di una certa febbre della missione, di una tentazione di visibilità e sovraesposizione, magari animate dalle migliori intenzioni, ma pericolose – ha osservato - per quella gratuità e quella semplicità che è autentico stile cristiano e che aiuta a comprendere la ‘follia della croce’ assunta da chi nulla antepone all’amore di Cristo”. Dunque, ha concluso, nonostante le difficoltà se il monachesimo “resta fedele” alla sua vocazione di “cercare Dio in Cristo Gesù”, può “giungere a far sgorgare dalla vita la celebrazione, in modo che la fede celebrata sia forza alla trasmissione della fede e la fede vissuta sia traccia di umanizzazione e di cultura autentica”.


(continua il Dossier)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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