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I CASTIGHI DI DIO....COSA SONO? E CHE COSA E' L'IRA DIVINA?

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2017 00:21
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06/11/2016 23:31
 
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Terremoti e castighi divini

san_benedtto_norcia

(di Roberto de Mattei)A partire dal 24 agosto di quest’anno l’Italia è stata colta da una serie di violente scosse sismiche, che dopo due mesi, non accennano a diminuire.  Le scosse, secondo i sismologi, sono state migliaia, di intensità e magnitudine diversa. Fino ad oggi hanno provocato un numero limitato di vittime, ma gravi danni alle chiese e agli edifici pubblici e privati, privando dei loro beni e delle loro case decine di migliaia di italiani.

La scossa del 30 ottobre, la più grave dopo quella del 24 agosto, si è avvertita in tutta Italia, da Bari a Bolzano e ha avuto il suo simbolo nel crollo della cattedrale di Norcia. La notizia della distruzione della Basilica ha fatto il giro del mondo. Della chiesa sorta sulla casa natale di san Benedetto rimane solo una fragile facciata. Tutto il resto è scomparso in una nuvola di polvere. Molti mass media, come l’americana Cnn, hanno sottolineato il carattere simbolico dell’evento, scegliendo, l’immagine della cattedrale crollata per l’homepage dei loro siti.

Un tempo gli uomini erano capaci di leggere i messaggi di Dio in tutti gli avvenimenti che sfuggivano alla loro volontà. Tutto ciò che accade, infatti, ha un significato, espresso dal linguaggio del simbolo.Il simbolo non è una rappresentazione convenzionale, ma è l’espressione più profonda dell’essere delle cose.

Il razionalismo moderno, da Cartesio ad Hegel, da Marx al neo-scientismo, ha voluto razionalizzare la natura, sostituendo alla verità del simbolo l’interpretazione puramente quantitativa della natura. Il razionalismo oggi è in crisi, ma la cultura postmoderna che si abbevera alle sue stesse fonti intellettuali, dal nominalismo all’evoluzionismo, ha creato un nuovo sistema di simboliche, a differenza da quelli antichi, non rinviano alla realtà delle cose, ma la deformano come in un gioco di specchi. Il codice simbolico che si esprime in tutte le forme della comunicazione postmoderna, dai tweet ai talk-show si propone di creare emozioni  e di suscitare sentimenti, rifiutando di cogliere la ragione profonda delle cose

La cattedrale di Norcia, ad esempio, è un simbolo di arte, di cultura, di fede. La sua distruzione evoca, per i media la perdita del patrimonio artistico dell’Italia centrale, ma non può essere immagine del crollo della fede o dei valori fondamentali della Civiltà cristiana.

Il terremoto poi, malgrado sia usato nel linguaggio comune per indicare sconvolgimenti culturali e sociali, non può mai rinviare a un intervento divino, perché Dio può essere solo presentato come misericordioso, mai come giusto.

Chi parla di “castigo divino”, incorre immediatamente nella diffamazione mediatica, come è accaduto a padre Giovanni Cavalcoli, le cui parole a Radio Maria sono state definite “affermazioni offensive per i credenti e scandalose per chi non crede” dal sostituto alla Segreteria di Stato mons. Angelo Becciu.

Ma se scandalo c‘è, è proprio quello provocato dalla presa di posizione del prelato vaticano che dimostra di ignorare la teologia cattolica e l’insegnamento dei Papi, come Benedetto XVI, che nell’udienza del 18 maggio 2011, parlando della  preghiera di intercessione di Abramo per Sodoma e Gomorra, le due città bibliche punite da Dio a causa dei loro peccati, afferma:

“Il  Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio» (Ger 2,19)”.

Come dimenticare che tra agosto e settembre del 2016 sono state celebrate le prime unioni civili in Italia? “Ricostruiremo tutto” ha dichiarato il premier italianoMatteo Renzi.

Ma il 23 luglio 2016 lo stesso Renzi ha apposto la sua firma al decreto attuativo della Legge n. 76/2016, o Legge Cirinnà, che legalizza il matrimonio omosessuale in Italia. Questa legge è un terremoto morale, perché abbatte le mura della legge divina naturale. Come immaginare che questa legge sciagurata sia priva di conseguenze?  Chi non rinuncia al buon senso se ne rende immediatamente conto. Oggi l’uomo si ribella a Dio e la natura si ribella all’uomo. O meglio, l’uomo si ribella alla legge naturale, che ha il suo fondamento in Dio, e il disordine della natura esplode.

La legge Cirinnà non distrugge le case, ma l’istituzione della famiglia, producendo una devastazione morale e sociale non meno grave di quella materiale del terremoto. Chi può negarci il diritto di pensare che il disordine della natura è permesso da Dio come conseguenza della negazione dell’ordine naturale attuato dalle classi dirigenti dell’Occidente? E poiché i simboli tollerano diverse letture, come dar torto a chi vede nella facciata di una cattedrale il simbolo di ciò che oggi, sotto l’aspetto umano, sembra rimanere della Chiesa cattolica: un cumulo di macerie? Le dichiarazioni di mons. Becciu, uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco, sono l’espressione di un mondo ecclesiastico in rovina che attira su di sé altre rovine.

Dalla promulgazione dell’Esortazione Amoris Laetitia agli onori resi a Lutero a  Lund, papa Francesco non ha certo contribuito a riportare ordine in questo mondo in frantumi.

Il Papa ripete che non si devono costruire muri, ma bisogna abbatterli: ebbene i muri crollano, ma con loro crolla la fede e la morale cattolica, crolla la Civiltà cristiana, che a Norcia, patria di san Benedetto, ha la sua simbolica culla.

Eppure, se la cattedrale si è sgretolata, è restata in piedi la statua di San Benedetto al centro della piazza antistante. Attorno a questa statua si sono riuniti  un gruppo di monaci, di suore e di laici, recitando il rosario. Anche questo è un messaggio simbolico che ci parla dell’unica ricostruzione possibile: quella che si fa in ginocchio, pregando.

Accanto alla preghiera occorre però l’azione, la lotta, la testimonianza pubblica della nostra fede nella Chiesa e nella Civiltà cristiana che risorgerà dalle macerie. La Madonna a Fatima lo ha promesso. Ma prima del trionfo del Cuore Immacolato, la Beatissima Vergine ha previsto anche un castigo planetario per l’umanità impenitente. Bisogna avere il coraggio di ricordarlo. (Roberto de Mattei)





DIO CASTIGA

Ovviamente anche S. Francesco d’Assisi (quello vero) ha parlato dei santi castighi di Dio.
Dalla “Legenda Maior” di S. Bonaventura da Bagnoregio:

“Come potrò segnarti con la croce, se finora sei vissuto seguendo gli istinti della carne, senza timore dei giudizi di Dio? Ad ogni modo, per la devozione e le preghiere di queste persone che intercedono per te, ti benedirò col segno della croce in nome del Signore. Tu, però, sappi che andrai incontro a castighi più gravi, se una volta guarito, tornerai al vomito. Perché il peccato d’ingratitudine si merita sempre punizioni peggiori delle prime”.

“Due cose risultarono ben chiare contemporaneamente nella fine disastrosa di uno solo: quanto siano giusti i castighi di Dio e quanto fosse penetrante lo spirito profetico di Francesco”.

Ma una notte, il beato Francesco apparve in sogno a uno di quei frati e gli disse: “Alzati e va in fretta con il tuo compagno alla casa del vostro ospite. Poiché egli, accogliendo voi, ha accolto Cristo e me, io voglio ricambiare le sue dimostrazioni di bontà. Sappi che egli è diventato cieco in castigo dei suoi peccati, che non si è ancora preoccupato di purgare con la confessione e la penitenza”.


MAGISTERO
 

«Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» così inizia l’Atto di dolore secondo la prima delle dieci formule presenti nel Rito del sacramento della penitenza o confessione. Lo diciamo più chiaramente: i nostri peccati hanno meritato i castighi di Dio. 

 



Amoris laetitia”, la legge, la libertà. Risposta al padre Sorge


Nell’ultimo numero di «Aggiornamenti sociali» (n. 11, novembre 2016), storica rivista dei gesuiti, il padre Bartolomeo Sorge, che della rivista è direttore emerito, pubblica un articolo, intitolato «A proposito di alcune critiche recenti a papa Francesco» (pagg. 751 – 756) nel quale si occupa di «critiche, piuttosto serie, venute specialmente dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia» e si propone di confutarle. Precisato che fra tali critiche ce ne sono alcune preconcette mentre altre, che «vengono da persone illuminate e fedeli», sono «fatte senza arroganza, e lasciano trapelare un’evidente o malcelata contrarietà», il padre Sorge sceglie, come esemplificativi della seconda categoria, i casi del professor Robert Spaemann, «uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi», e del sottoscritto, «giornalista cattolico, apprezzato vaticanista del Tg1».

Beh, grazie, caro padre! Devo dire che mai  mi sarei aspettato di meritare la sua attenzione, e ancor meno di essere accostato, sotto il titolo «Due voci critiche qualificate», a un pensatore del calibro del professor Spaemann.

Comunque, eccomi al tema: sia nel caso di Spaemann (secondo il quale «Amoris laetitia» costituisce una palese frattura con il precedente magistero della Chiesa) sia nel mio articolo «La Chiesa e la logica del “ma anche”» (28 maggio 2016, in www.aldomariavalli.it) secondo Sorge siamo di fronte a «tensioni che interpellano il servizio apostolico del nostro tempo». Quali sono? Eccole: «Quelle tra dottrina e pastorale, tra coscienza soggettiva e obiettività della legge e tra misericordia e giustizia».

In sintesi, secondo il padre Sorge papa Francesco sta seguendo la strada giusta quando sostiene che la dottrina non deve e non può mai essere fredda e distante, perfetta in se stessa ma lontana dalla realtà delle persone, perché deve avere una natura e una finalità pastorale. Sta seguendo la strada giusta anche quando raccomanda che le persone non siano rese schiave da una legge che, nella sua pretesa obiettività, non sa fare i conti con le situazioni soggettive, e infine ha ragione quando ricorda che la misericordia non è contraria alla giustizia, non è buonismo o sentimentalismo, ma è un andare oltre la giustizia con il perdono.  Secondo il padre Sorge, «alla luce del realismo di Dio», Francesco è a sua volta realista quando chiede che «si prenda atto della molteplicità dei condizionamenti» a cui l’uomo di oggi è sottoposto.

Capisco bene lo sforzo di Francesco, e di pastori come il padre Sorge, di calare il Vangelo nella realtà dell’uomo del nostro tempo.  Tuttavia ritengo che lungo questa via,  a forza di prendere in considerazione i condizionamenti a cui l’uomo è sottoposto, si finisca con l’operare un ribaltamento: anziché aiutare l’uomo a mettersi in ascolto di Dio, c’è il rischio di porre Dio alle dipendenze dell’uomo e delle sue giravolte. Il che rende l’uomo non più libero, ma più schiavo.

La dottrina stessa, oltre che la pastorale, può essere piegata a questo ribaltamento. Succede ogni volta che, con il proposito di andare un po’ «incontro all’uomo», viene ammorbidita o, per dirla con Francesco, resa meno fredda. Ma qual è il prezzo di questa operazione? È che non si sa più di che cosa si sta parlando. La dottrina perde la sua chiarezza e la Verità si offusca. E in questo modo l’uomo non diventa più libero di scegliere o non scegliere la Verità. Diventa solo più confuso. E quindi meno libero. Come spiega Spaemann, scegliere senza sapere bene di che cosa si sta parlando non è un aiuto per l’uomo: è la forma più estrema di mancanza di libertà.

Quando, come a tratti succede in «Amoris laetitia», emerge la tendenza non a mettere al centro Dio e la sua Verità oggettiva, ma l’uomo con le sue esigenze e i condizionamenti a cui è sottoposto, non si aiuta l’uomo a essere più libero: lo si illude di esserlo. Quando, come pure vediamo a tratti in «Amoris laetitia», viene spiegato che l’importante non è tanto il contenuto della norma, quanto il modo in cui una determinata situazione è vissuta, in coscienza, dall’individuo, rischiamo di lasciare campo aperto al dilagare del soggettivismo e del relativismo. Non abbiamo più l’uomo in ascolto di Dio, perché consapevole che Dio è Verità e che tale Verità è oggettivamente buona, ma abbiamo Dio adattato alla soggettività umana. Non abbiamo più i diritti di Dio e i doveri dell’uomo, ma i diritti dell’uomo e i doveri di Dio. Ebbene, dirà qualcuno, dov’è il problema? Il problema è che questa non è la strada della liberazione, ma la strada della schiavitù: l’uomo schiavo di se stesso.

Il dramma della modernità è tutto in questo ribaltamento, che è penetrato anche nella Chiesa e in base al quale l’uomo diventa l’idolo di se stesso. E così si condanna alla schiavitù e quindi, alla fin fine, all’infelicità. Quando non c’è più la libertà di seguire il vero bene, ma solo la libertà di interpretare la Verità di Dio a seconda dei propri bisogni e di ciò che è bene in base a una valutazione soggettiva, semplicemente non c’è alcuna libertà. E se non c’è la libertà c’è la schiavitù. E se c’è la schiavitù non c’è la felicità.

Stupisce che uomini di Dio mostrino la tendenza a considerare la legge, nella sua oggettività e chiarezza, quasi come un ostacolo sulla strada che porta a Dio, quando invece la legge oggettiva e chiara è l’unico strumento che permette la scelta responsabile e quindi l’autentica libertà e quindi la felicità.

Tutti gli attacchi di questi giorni contro il padre Giovanni Cavalcoli, che a Radio Maria ha osato accennare al castigo divino come conseguenza del peccato originale, nascono in buona parte dalla difficoltà, ormai manifesta anche fra tanti buoni credenti, di rapportarsi a Dio in quanto legislatore. Colpa e castigo sono categorie troppo nette. Non ci siamo più abituati. Ci sentiamo più a nostro agio nel giustificazionismo, dove tutto è vago e indeterminato, dove non si sa bene quale sia lo spazio della responsabilità. Non ci stiamo costruendo un Dio misericordioso e che perdona, ma un Dio comprensivo e che giustifica. Sono due cose diverse.

Come ho già ricordato, il mio articolo citato dal padre Sorge si intitola «La Chiesa e la logica del “ma anche”». E che cosa scrive a un certo punto l’amico Sorge? Scrive così: «Va tenuta presente non solo l’obiettività della legge, ma anche la complessità delle situazioni». Eccolo lì il «ma anche», cavallo di Troia del relativismo. Cioè della confusione. Cioè della mancanza di libertà. Cioè dell’infelicità (anche se camuffata da libertà e felicità).

L’articolo del padre Sorge si conclude così: «In sostanza, il modo in cui sono vissute queste tensioni e le posizioni  critiche assunte al riguardo rivelano le resistenze o le difficoltà di comprendere l’invito di papa Bergoglio a una “Chiesa in uscita”, preferendo rimanere ancorati alle certezze tradizionali, ben custodie dalle vecchie e solide “mura del tempio”».

A parte il fatto che l’espressione «Chiesa in uscita» mi sembra a sua volta generica e indeterminata, voglio dire all’amico padre Sorge che ho afferrato il messaggio in codice.

«Oltre le mura del tempio» è il titolo di un libro che abbiamo scritto insieme nel 2012. Ma non mi sento in contraddizione. Resto convinto che la testimonianza, specialmente da parte del laico credente, vada portata ovunque, ben oltre le mura del tempio. Ma quale testimonianza? Di un Dio genericamente comprensivo o di un Dio autenticamente misericordioso? Di un Dio che cancella la colpa dell’uomo o di un Dio che la assume in Gesù, suo mediatore e mio redentore? Di un Dio che  mi offre una consolazione superficiale o di un Dio che mi libera dal peccato? Di un Dio che si è fatto uomo o di un uomo che vuole farsi Dio?

Aldo Maria Valli



 

[Modificato da Caterina63 11/11/2016 13:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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