00 17/05/2012 14:29

FEDE CRISTIANA E DEMONOLOGIA*

 

La S. Congrégation pour la Doctrine de la Foi a chargé un expert de préparer l’étude suivante, qu’elle recommande vivement comme base sûre pour réaffirmer la doctrine du Magistère sur le thème : « Foi chrétienne et démonologie ».

Nel corso dei secoli la Chiesa ha sempre riprovato le varie forme di superstizione, la preoccupazione ossessiva di satana e dei demoni, i diversi tipi di culto e di morboso attaccamento a questi spiriti;1 sarebbe perciò ingiusto affermare che il cristianesimo, dimentico della signoria universale di Cristo, abbia fatto di satana l’argomento preferito della sua predicazione, trasformando la buona novella del Signore risorto in messaggio di terrore. Al suo tempo, san Giovanni Crisostomo dichiarava ai cristiani di Antiochia: « Non ci fa certamente piacere intrattenervi sul diavolo, ma la dottrina della quale esso mi offre lo spunto risulterà assai utile a voi ».2 In realtà, sarebbe un errore funesto comportarsi come se, considerando la storia già risolta, la redenzione avesse ottenuto tutti i suoi effetti, senza che sia più necessario impegnarsi nella lotta di cui parlano il nuovo testamento e i maestri della vita spirituale.

UN DISAGIO DEL NOSTRO TEMPO

In questo errore si potrebbe cadere anche oggi. Da molte parti, infatti, ci si domanda se non sia il caso di riesaminare su questo punto la dottrina cattolica, a cominciare dalla sacra scrittura. Certuni credono impossibile una qualsiasi presa di posizione – come se il problema potesse esser lasciato in sospeso! – osservando che i libri santi non permetterebbero di pronunziarsi né a favore né contro l’esistenza di satana e dei suoi demoni; il più spesso, però, questa esistenza è apertamente revocata in dubbio. Certi critici, ritenendo di poter identificare la posizione propria di Gesù, pretendono che nessuna sua parola garantirebbe la realtà del mondo demoniaco, mentre l’affermazione della sua esistenza rifletterebbe piuttosto, là dove ricorre, le idee di scritti giudaici, oppure dipenderebbe da tradizioni neotestamentarie e non da Cristo; poiché essa non farebbe parte del messaggio evangelico centrale, non impegnerebbe più, oggi, la nostra fede e noi saremmo liberi di abbandonarla. Altri, più obiettivi e più radicali nello stesso tempo, accettano le asserzioni della sacra scrittura sui demoni nel loro senso ovvio, ma aggiungono subito che, nel mondo d’oggi, esse non sarebbero accettabili neppure per i cristiani. Anch’essi, dunque, le eliminano. Per alcuni, infine, l’idea di satana, qualunque ne sia l’origine, non avrebbe più importanza e, attardandosi a giustificarla, il nostro insegnamento perderebbe credito e farebbe ombra al discorso su Dio, che, solo, merita il nostro interesse. Per gli uni e per gli altri, finalmente, i nomi di satana e del diavolo non sarebbero altro che personificazioni mitiche e funzionali, il cui significato sarebbe soltanto quello di sottolineare drammaticamente l’influsso del male e del peccato sulla umanità. Puro linguaggio, quindi, che la nostra epoca dovrebbe decifrare per trovare un modo diverso di inculcare ai cristiani il dovere di lottare contro tutte le forze del male nel mondo.

Queste prese di posizione, ripetute con sfoggio di erudizione e diffuse da riviste e da certi dizionari teologici, non possono non turbare gli spiriti: i fedeli, abituati a prendere sul serio gli avvertimenti di Cristo e degli scritti apostolici, hanno l’impressione che discorsi del genere intendano, in questo campo, imprimere una svolta alla opinione pubblica e coloro, tra essi, che hanno una conoscenza delle scienze bibliche e religiose, si domandano fin dove condurrà il processo di smitizzazione avviato in nome di una certa ermeneutica.

* * *

Di fronte a postulati di questo genere e per rispondere al loro processo mentale, dobbiamo, in breve, fermarci anzitutto al nuovo testamento per invocarne la testimonianza e l’autorità.


IL NUOVO TESTAMENTO E IL SUO CONTESTO

Prima di ricordare con quale indipendenza di spirito Gesù si sia sempre comportato nei confronti delle opinioni del suo tempo, è importante notare che i suoi contemporanei non avevano tutti, a proposito di angeli e di demoni, la credenza comune che certuni sembrano oggi loro attribuire e dalla quale Gesù stesso dipenderebbe. Un’annotazione con la quale il libro degli Atti illustra la polemica provocata tra i membri del sinedrio da una dichiarazione di san Paolo, ci fa sapere infatti che, a differenza dei farisei, i sadducei non ammettevano « né risurrezione, né angelo, né spirito », cioè, come il testo viene inteso da buoni interpreti, non credevano alla risurrezione e, quindi, neppure agli angeli e ai demoni.3 Così, a proposito di satana, dei demoni e degli angeli, l’opinione dei contemporanei sembra divisa tra due concezioni diametralmente opposte; come, dunque, pretendere che Gesù, esercitando e dando ad altri il potere di scacciare i demoni e, nella sua scia, gli scrittori del nuovo testamento, non abbiano fatto altro che adottare, senza il minimo spirito critico, le idee e le pratiche del loro tempo? Certo, Cristo, e a maggior ragione gli apostoli, appartenevano alla loro epoca e ne condividevano la cultura; Gesù tuttavia, a motivo della sua natura divina e della rivelazione che era venuto a comunicare, trascendeva il suo ambiente e il suo tempo, sfuggiva alla loro pressione. La lettura del discorso sulla montagna è sufficiente del resto a convincersi della sua libertà di spirito come del suo rispetto per la tradizione.4 Perciò, quando egli rivelò il significato della sua redenzione, dovette tener conto evidentemente dei farisei, i quali, come lui, credevano al mondo futuro, all’anima, agli spiriti e alla risurrezione; ma anche dei sadducei, i quali non ammettevano queste credenze. Quando i primi lo accusarono di scacciare i demoni con la complicità del loro principe, egli avrebbe potuto scagionarsi, schierandosi con i sadducei; ma, così facendo, avrebbe smentito ciò che egli era e la sua missione. Egli dunque, doveva, senza rinnegare la credenza agli spiriti e alla risurrezione – che aveva in comune con i farisei – dissociarsi da costoro ed opporsi, non meno, ai sadducei. Pretendere dunque oggi che il discorso di Gesù su satana esprima soltanto una dottrina mutuata dall’ambiente, senza importanza per la fede universale, appare, di primo acchito, come un’opinione poco informata sull’epoca e la personalità del Maestro. Se Gesù ha usato questo linguaggio, se soprattutto egli lo ha tradotto in pratica nel suo ministero, è perché esso esprimeva una dottrina necessaria – almeno per una parte – alla nozione e alla realtà della salvezza da lui portata.

LA TESTIMONIANZA PERSONALE DI GESÙ

Anche le principali guarigioni di ossessi furono da Cristo compiute in momenti che risultano decisivi nei racconti del suo ministero. I suoi esorcismi ponevano e orientavano il problema della sua missione e della sua persona, come provano a sufficienza le reazioni che suscitarono.5 Senza mettere mai satana al centro del suo vangelo, Gesù ne parlò tuttavia solo in momenti evidentemente cruciali e con dichiarazioni importanti. Prima di tutto diede inizio al suo ministero pubblico accettando di essere tentato dal diavolo nel deserto: il racconto di Marco, proprio a motivo della sua sobrietà, è decisivo quanto quello di Matteo e di Luca.6 Contro questo avversario egli mise in guardia nel discorso sulla montagna, e nella preghiera che insegnò ai suoi, il Padre nostro, come ammettono oggi molti esegeti,7 appoggiati sulla testimonianza di parecchie liturgie.8 Nelle parabole, Gesù attribuì a satana gli ostacoli incontrati dalla sua predicazione,9 come nel caso della zizzania nel campo del padre di famiglia.10 A Simon Pietro egli annunziò che « la potenza degli inferi » avrebbe tentato di prevalere sulla Chiesa,11 che satana lo avrebbe passato al vaglio insieme con gli altri apostoli.12 Al momento di lasciare il cenacolo, Cristo dichiarò imminente la venuta del « principe di questo mondo ».13 Nel Getsemani, quando i soldati gli misero addosso le mani per arrestarlo, affermò ch’era giunta l’ora della « potenza delle tenebre »:14 ciò nonostante, egli sapeva e aveva dichiarato nel cenacolo che «il principe di questo mondo era ormai condannato ».15 Questi fatti e queste dichiarazioni – bene inquadrati, ripetuti e concordanti – non sono casuali e non è possibile trattarli come dati favolistici da smitizzare. Altrimenti, bisognerebbe ammettere che in quelle ore critiche la coscienza di Gesù, di cui è attestata la lucidità e la padronanza di sé davanti ai giudici, era in preda a fantasmi illusori, e che la sua parola era priva di ogni fermezza; ciò che contrasterebbe con l’impressione dei primi ascoltatori e dei lettori dei vangeli. Si impone perciò la conclusione: satana, che Gesù aveva affrontato con i suoi esorcismi, che aveva incontrato nel deserto e nella passione, non può essere il semplice prodotto della facoltà umana di favoleggiare e di personificare le idee, oppure un relitto aberrante di un lin­guaggio culturale primitivo.


GLI SCRITTI PAOLINI

È vero che san Paolo, riassumendo a larghe linee nella lettera ai romani la situazione dell’umanità prima di Cristo, personifica il peccato e la morte, di cui mostra la temibile potenza; ma si tratta, nel complesso della sua dottrina, di un momento, che non è l’effetto di una risorsa puramente letteraria, ma della sua acuta coscienza dell’importanza della croce di Gesù e della necessità dell’opzione di fede che egli richiede. D’altra parte, Paolo non identifica il peccato con satana; nel peccato, infatti, egli vede prima di tutto ciò che esso è essenzialmente, un atto personale degli uomini, e anche lo stato di colpevolezza e di accecamento nel quale satana effettivamente cerca di gettarli e mantenerli.16 In tal modo, Paolo distingue bene satana dal peccato. L’apostolo, il quale davanti alla « legge del peccato che sente nelle sue membra » confessa anzitutto la sua impotenza senza la grazia,17 è quello stesso che, con estrema decisione, invita a resistere a satana,18 a non farsi dominare da lui, a non dargli occasione o vantaggio19 e a schiacciarlo sotto i piedi.20 Perché satana è per lui una entità personale, « il dio di questo mondo »,21 un avversario furbo, distinto sia da noi che dal peccato, che egli suggerisce. Come nel vangelo, l’apostolo lo vede all’opera nella storia del mondo, in quello che egli chiama « il mistero della iniquità »:22 nella incredulità che si rifiuta di riconoscere il signore Gesù23 e anche nell’aberrazione della idolatria,24 nella seduzione che minaccia la fedeltà della Chiesa a Cristo suo sposo,25 infine nel traviamento escatologico che conduce al culto dell’uomo messo al posto di Dio.26 Certamente, satana induce al peccato, ma si distingue dal male che egli fa commettere.


L’APOCALISSE E IL VANGELO DI SAN GIOVANNI

L’Apocalisse è soprattutto il grandioso affresco in cui risplende la potenza di Cristo risorto nei testimoni del suo vangelo: essa proclama il trionfo dell’Agnello immolato; ma ci si ingannerebbe completamente sulla natura di questa vittoria se non vi si vedesse il termine di una lunga lotta in cui intervengono, mediante le potenze umane che si oppongono al signore Gesù, satana e i suoi angeli, distinti gli uni dagli altri, come pure i loro agenti storici. È infatti l’Apocalisse che, sottolineando l’enigma dei diversi nomi e simboli di satana nella sacra scrittura, ne smaschera definitivamente l’identità.27 La sua azione si svolge in tutti i secoli della storia umana sotto gli occhi di Dio.

Non sorprende perciò che, nel vangelo di san Giovanni, Gesù parli del diavolo e che lo qualifichi « principe di questo mondo ».28 Certamente, la sua azione sull’uomo è interiore; ma è impossibile vedere nella sua figura soltanto una personificazione del peccato e della tentazione. Gesù riconosce che peccare significa essere « schiavo »,29 ma non identifica per questo con satana né questa schiavitù né il peccato, che in essa si manifesta. Il diavolo esercita sui peccatori solo una influenza morale, nella misura in cui ciascuno acconsente alla sua ispirazione:30 liberamente essi ne eseguono i « desideri »31 e fanno « la sua opera ».32 Soltanto in questo senso e in questa misura satana è il loro « padre »,33 perché tra lui e la coscienza della persona umana resta sempre la distanza spirituale che separa la « menzogna » diabolica dal consenso che ad essa si può dare o negare,34 allo stesso modo che tra Cristo e noi esiste sempre la distanza tra la « verità » che egli rivela e propone, e la fede con la quale viene accolta.

Per questo motivo i Padri della Chiesa, convinti dalla sacra scrittura che satana e i demoni sono gli avversari della redenzione, non hanno mancato di ricordare ai fedeli la loro esistenza e la loro azione.

[SM=g1740771] continua....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)