b) La Curia diocesana
177. La Curia diocesana, in generale. “La Curia diocesana consta di quegli organismi e persone che collaborano con il Vescovo nel governo di tutta la diocesi, principalmente nella direzione dell’attività pastorale, nell’amministrazione della diocesi e nell’esercizio della potestà giudiziale” (512). Essa è, infatti, “la struttura di cui il Vescovo si serve per esprimere la propria carità pastorale nei suoi vari aspetti” (513).
La struttura essenziale della Curia diocesana che viene indicata dai cann. 469-494 del Codice di Diritto Canonico, può essere integrata dal Vescovo — senza però alterare gli organismi stabiliti dalla disciplina vigente — con altri uffici con attribuzioni ordinarie o stabilmente delegate, soprattutto di carattere pastorale, a seconda delle necessità della diocesi, della sua ampiezza e delle consuetudini locali.
Il Vescovo nomina liberamente i titolari dei diversi uffici della Curia (514) tra coloro che si distinguono per competenza nella relativa materia, per zelo pastorale e per integrità di vita cristiana, evitando di affidare uffici o incarichi a persone inesperte: dovrà anzi assicurarsi della loro preparazione teologica, pastorale e tecnica e solamente allora introdurle gradualmente nei diversi campi di lavoro specializzato. Per provvedere ai diversi uffici è conveniente che il Vescovo ascolti il parere di alcuni sacerdoti e laici secondo i modi che ritenga opportuni. Se si tratta di presbiteri, il Vescovo curi che abbiano qualche altro ministero con cura d’anime, per mantenere vivo il loro zelo apostolico ed evitare che sviluppino, per mancanza di contatto diretto con i fedeli, una dannosa mentalità burocratica.
I diversi compiti della Curia assicurano il buon funzionamento dei servizi diocesani e la continuità dell’amministrazione, al di là dell’avvicendarsi delle persone. È importante che il Vescovo appena nominato conosca le peculiarità organizzative della Curia e la sua prassi amministrativa e vi si adegui nella misura del possibile, giacché ciò facilita il rapido disbrigo delle pratiche. Questo non impedisce, ovviamente, la doverosa introduzione di miglioramenti funzionali e la correzione accurata di quanto sia meno conforme alla disciplina canonica.
178. Il coordinamento dei diversi uffici. “Il Vescovo diocesano deve vigilare perché vengano dovutamente coordinate tutte le questioni che si riferiscono all’amministrazione della diocesi, e che ciò venga fatto nella maniera più efficace per il bene della porzione del Popolo di Dio a lui affidata” (515).
Il coordinamento dell’attività pastorale della diocesi spetta naturalmente al Vescovo diocesano, dal quale dipendono direttamente i Vicari, generale ed episcopali (516). Se lo ritiene opportuno, il Vescovo può costituire un “Consiglio episcopale” formato dai suoi Vicari, allo scopo di coordinare l’intera azione pastorale diocesana (517).
Il Vescovo può anche stabilire l’ufficio di Moderatore di Curia, con la specifica funzione di coordinare le questioni amministrative e di vigilare perché il personale della Curia adempia
fedelmente il proprio incarico. L’ufficio di Moderatore dovrà essere affidato ad un Vicario Generale, purché particolari circostanze non consiglino diversamente; in ogni caso, il Moderatore deve essere un sacerdote (518).
Nel dirigere e coordinare il funzionamento di tutti gli organi diocesani, il Vescovo terrà presente, come principio generale, che le strutture diocesane debbono essere sempre al servizio del bene delle anime e che le esigenze organizzative non debbono anteporsi alla cura delle persone. Occorre, perciò, fare in modo che l’organizzazione sia agile ed efficiente, estranea ad ogni inutile complessità e burocratismo, con l’attenzione sempre rivolta al fine soprannaturale del lavoro.
179. Il Vicario Generale e i Vicari episcopali. Il Vescovo deve nominare il Vicario Generale, ufficio preminente della Curia diocesana, perché lo aiuti nel governo della diocesi (519).
Anche se di norma è preferibile che vi sia soltanto un Vicario Generale, qualora il Vescovo lo ritenga opportuno, per l’ampiezza della diocesi, o per altra ragione pastorale, ne può costituire anche di più. Avendo tutti la stessa potestà su tutta la diocesi è necessario un chiaro coordinamento della loro attività, nell’osservanza di quanto il Codice dispone circa le grazie concesse da uno o dall’altro Ordinario (520), e in generale, circa l’esercizio delle competenze assegnate a ciascuno.
Quando lo richieda il buon governo della diocesi, il Vescovo può nominare anche uno o più Vicari episcopali. Essi hanno la medesima potestà del Vicario Generale, ma limitata ad una parte della diocesi o ad un certo genere di questioni, in relazione o ai fedeli di un rito particolare o a un determinato gruppo umano. La nomina dei Vicari episcopali deve essere fatta sempre per un certo tempo da determinarsi nell’atto di costituzione (521).
Nella nomina di un Vicario episcopale, il Vescovo farà attenzione a definire chiaramente l’ambito delle sue facoltà, evitando così la sovrapposizione di competenze o, cosa anche peggiore, l’incertezza del titolare o dei fedeli.
Il Vescovo diocesano nomini Vicario Generale o Vicari episcopali sacerdoti dottrinalmente sicuri, degni di fiducia, stimati dal presbiterio e dall’opinione pubblica, saggi, onesti e moralmente retti, con esperienza pastorale ed amministrativa, capaci di instaurare autentiche relazioni umane e di saper trattare gli affari che interessano la diocesi. Quanto all’età, dovranno aver compiuto almeno i 30 anni, ma prudenzialmente, dove è possibile, è auspicabile che abbiano compiuto i 40 anni, e aver raggiunto anche un’adeguata preparazione accademica con il conseguimento del dottorato o della licenza in Diritto Canonico o in Sacra Teologia, o almeno dovranno essere veramente esperti in tali discipline.
Il Vicario Generale e, nell’ambito delle loro attribuzioni, quelli episcopali, in virtù del loro ufficio, hanno potestà esecutiva ordinaria, pertanto possono compiere tutti gli atti amministrativi di competenza del Vescovo diocesano, ad eccezione di quelli che lui stesso abbia riservato per sé e che il Codice di Diritto Canonico affida espressamente al Vescovo diocesano: per esercitare anche tali atti il Vicario necessita di un mandato speciale dello stesso Vescovo.
Il Vescovo diocesano non può nominare agli uffici di Vicario Generale e di Vicario episcopale i propri consanguinei fino al quarto grado. Tali uffici non sono compatibili con quello di canonico Penitenziere (522).
I Vicari debbono agire sempre secondo la volontà e le intenzioni del Vescovo, al quale debbono rendere conto delle questioni principali di cui si occupano (523).
180. Il Cancelliere della Curia e gli altri notai. “In ciascuna Curia deve esserci un cancelliere, la cui principale funzione consiste nel preoccuparsi che si redigano gli atti della Curia, si compilino e si conservino nell’archivio” (524). Tuttavia, la funzione di cancelliere non si limita a questi settori, giacché a lui (e al vicecancelliere, se esiste) competono anche due altri importanti incarichi (525):
a) Notaio della Curia: l’ufficio notarile che detengono il cancelliere e gli altri eventuali notai, ha una particolare importanza canonica, poiché la sua firma fa pubblica fede della realizzazione di atti giuridici, giudiziali o amministrativi, cioè “certifica” l’identità giuridica del documento, il che presuppone una previa qualifica dell’atto stesso e una verifica della sua corretta esposizione per iscritto.
Il Vescovo si serva inoltre dell’aiuto del cancelliere e dei notai per la preparazione dei documenti giuridici, come atti giuridici di vario genere, decreti, indulti, ecc., in modo che la redazione risulti precisa e chiara.
b) Segretario di Curia: con il compito di vigilare, in stretto contatto con il Vicario Generale e, se esiste, con il Moderatore della Curia, per il buon ordine dei compiti amministrativi curiali.
Spetta al diritto particolare di precisare il rapporto del cancelliere con gli altri uffici principali della Curia.
L’ufficio di cancelliere deve essere affidato ad un fedele che si distingua per onestà personale al di sopra di ogni sospetto, abilità canonica ed esperienza nella gestione delle pratiche amministrative (526). Nelle cause in cui può essere implicata la fama di un sacerdote, il notaio deve essere sacerdote (527).
In caso di necessità, o quando il Vescovo lo riterrà necessario, al cancelliere può essere affiancato un vice-cancelliere con le stesse funzioni del cancelliere. Anch’egli dovrà possedere le doti richieste per il cancelliere.
181. Il tribunale diocesano. Il Vescovo esercita la potestà giudiziaria sia personalmente sia mediante il Vicario giudiziale e i giudici (528).
L’amministrazione della giustizia canonica è un compito di grave responsabilità che esige, innanzitutto, un profondo senso di giustizia, ma anche un’adeguata perizia canonica e la corrispondente esperienza (529). Per questo motivo, il Vescovo sceglierà attentamente i titolari dei diversi uffici:
– il Vicario giudiziale, giudice e capo dell’amministrazione giudiziaria deve essere necessariamente costituito dal Vescovo (530). La sua nomina sarà a tempo determinato rinnovabile. Il Vicario giudiziale ed eventuali Vicari giudiziali aggiunti devono essere sacerdoti, aver compiuto almeno 30 anni, essere di integra fama, dottori o licenziati in Diritto Canonico. Il Vicario giudiziale durante la sede vacante rimane in carica, e non può essere rimosso dall’Amministratore diocesano;
– gli altri giudici diocesani, per la cui nomina si richiedono le stesse qualità che per il Vicario giudiziale, che in nome del Vescovo decidono le cause canoniche;
– il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, con l’incarico di vigilare, ciascuno secondo la propria competenza, sul bene pubblico ecclesiale (531). Il Vescovo può affidare questi due uffici a laici esperti, secondo le modalità e le condizioni stabilite dalle norme canoniche (532), in modo che i chierici siano più liberi per svolgere i compiti indispensabili relativi all’Ordine sacro. Qualora lo permetta la Conferenza episcopale, i fedeli laici possono anche essere giudici; di essi, se la necessità lo suggerisce, uno può essere assunto a formare un collegio (533).
Se, per le locali circostanze, varie diocesi costituiscono un tribunale interdiocesano di prima istanza, i Vescovi interessati esercitano in comune le funzioni che spetterebbero a ciascuno rispetto al tribunale diocesano (534).
Consapevole del fatto che l’amministrazione della giustizia è un aspetto della sacra potestà, il cui giusto e tempestivo esercizio è molto importante per il bene delle anime, il Vescovo considererà l’ambito giudiziario come oggetto della sua personale preoccupazione pastorale. Rispettando la giusta indipendenza degli organi legittimamente costituiti, vigilerà tuttavia sull’efficacia del loro lavoro e soprattutto sulla loro fedeltà alla dottrina della Chiesa sulla fede e sui costumi, specialmente in materia matrimoniale. Senza lasciarsi intimorire dall’indole tecnica di molte questioni, saprà consigliarsi e prendere le misure di governo opportune per riuscire ad avere un tribunale in cui risplenda la vera giustizia intraecclesiale.
182. Gli organi pastorali diocesani. Allo scopo di fare della Curia uno strumento idoneo anche per la direzione delle opere di apostolato (535), conviene costituire, secondo le possibilità della diocesi, anche altri uffici o commissioni, sia permanenti che temporanei, con l’incarico di eseguire i programmi diocesani e di studiare le iniziative nei diversi campi pastorali ed apostolici (famiglia, insegnamento, pastorale sociale, ecc.). Il Vescovo esamina e decide circa le proposte di questi organi con l’aiuto dei Consigli presbiterale e pastorale della diocesi.
Per determinare quali uffici o commissioni convenga creare, il Vescovo si servirà delle indicazioni della Santa Sede e delle raccomandazioni della Conferenza Episcopale, e vigilerà anche sulle particolari necessità e sulle abitudini della diocesi. Qualunque sia il modello organizzativo adottato, occorre evitare il crearsi e perpetuarsi di strutture di governo atipiche, che in qualche modo sostituiscano o diventino competitive con gli organi previsti nella legge canonica, cosa che certamente non aiuterebbe l’efficacia del governo pastorale. Questo imperativo ha un necessario corollario a livello parrocchiale, dove il parroco e il Consiglio pastorale debbono effettivamente svolgere la funzione che a ciascuno spetta, evitando l’assemblearismo (536).
Per una maggiore efficacia, bisogna far sì che il lavoro di questi organismi sia ben distribuito e coordinato, evitando le reciproche interferenze, le distinzioni superflue dei compiti o al contrario la loro confusione. Il Vescovo cerchi di inculcare in tutti un forte spirito di collaborazione per l’unico fine comune, e di responsabile iniziativa nel dirigere le proprie questioni. Il Vescovo si incontri frequentemente con i responsabili di questi organi o i delegati, per orientarne il lavoro e incoraggiare il loro zelo apostolico. Risulta utile inoltre che tutti coloro che sono destinati ad una medesima area si riuniscano periodicamente per valutare insieme il comune impegno, scambiare punti di vista e cercare di raggiungere gli obiettivi prefissati.
c) I Consigli Diocesani
183. Il Consiglio Presbiterale. La comunione gerarchica tra il Vescovo e il presbiterio, fondata sull’unità del sacerdozio ministeriale e della missione ecclesiale, si manifesta istituzionalmente per mezzo del Consiglio Presbiterale, in quanto “gruppo di sacerdoti che sia come il senato del Vescovo, in rappresentanza del presbiterio, la cui missione è aiutare il Vescovo nel governo della diocesi conformemente alla norma del diritto, per provvedere nel miglior modo al bene pastorale della porzione del Popolo di Dio a lui affidata” (537).
In questo modo, il Consiglio, oltre a facilitare il necessario dialogo tra il Vescovo e il presbiterio, serve ad accrescere la fraternità tra i diversi settori del clero della diocesi. Il Consiglio affonda le sue radici nella realtà del presbiterio e nella particolare funzione ecclesiale che compete ai presbiteri, in quanto collaboratori primi dell’ordine episcopale (538). Il Consiglio è dunque “diocesano” per natura propria, deve essere obbligatoriamente costituito in ciascuna diocesi (539) e la condizione sacerdotale è requisito indispensabile sia per far parte del Consiglio che per partecipare all’elezione dei suoi membri (540).
Il Consiglio Presbiterale non deve mai agire all’insaputa del Vescovo diocesano, in quanto soltanto a lui spetta convocarlo, presiederlo, determinare le questioni da trattare e divulgare il contenuto delle discussioni e le eventuali decisioni adottate (541).
Anche se organo di natura consultiva (542), il Consiglio è chiamato a coadiuvare il Vescovo su ciò che riguarda il governo della diocesi. Esso è anche la sede idonea per fare emergere una visione di insieme della situazione diocesana e per discernere ciò che lo Spirito Santo suscita per mezzo di persone o di gruppi; per scambiare pareri ed esperienze; per determinare, infine, obiettivi chiari dell’esercizio dei vari ministeri diocesani, proponendo priorità e suggerendo metodi.
Il Vescovo deve consultare il Consiglio nelle questioni di maggiore importanza, relative alla vita cristiana dei fedeli, e al governo della diocesi (543). Dopo aver ottenuto il parere del Consiglio, il Vescovo è libero di prendere le decisioni che ritenga opportune valutando e decidendo “coram Domino”, a meno che il diritto universale o particolare esigano l’assenso del medesimo per determinate questioni (544). Cionondimeno, il Vescovo non deve allontanarsi dall’opinione concorde dei consiglieri senza una seria motivazione, che deve soppesare secondo il suo prudente giudizio (545).
La composizione del Consiglio deve rispecchiare una adeguata rappresentanza dei presbiteri che lavorano a beneficio della diocesi, curando soprattutto la diversità dei ministeri e delle diverse zone, in maniera da riflettere la presenza numerica e l’importanza pastorale di ciascun settore diocesano (546). Se il numero dei sacerdoti della diocesi è molto ridotto, nulla vieta di convocarli tutti. Tale Assemblea del Presbiterio sostituirà quella formale del Consiglio Presbiterale.
Il Consiglio deve elaborare i propri Statuti, nei quali vengono stabilite le norme circa la sua composizione, l’elezione dei membri, le principali materie da sottoporre allo studio, la frequenza delle riunioni, gli incarichi interni (moderatore, segretario, ecc.) ed eventuali commissioni per trattare determinati argomenti, il modo di procedere nelle sessioni, ecc. La proposta di Statuti verrà presentata alla libera approvazione del Vescovo, il quale dovrà comprovarne la conformità alle prescrizioni del Codice e della Conferenza Episcopale e verificare che la struttura progettata sia quella propria di un organo consultivo, senza complessità organizzative che potrebbero toglierle chiarezza (547).
Con il suo atteggiamento di dialogo sereno e attento ascolto di quanto viene espresso dai membri del Consiglio, il Vescovo incoraggerà i sacerdoti ad assumere posizioni costruttive, responsabili, lungimiranti, avendo a cuore soltanto il bene della diocesi. Al di là delle visioni parziali e personalistiche, il Vescovo diocesano cercherà di promuovere all’interno del Consiglio un clima di comunione, di attenzione e di ricerca comune delle soluzioni migliori. Eviterà di dare l’impressione dell’inutilità dell’organismo e condurrà le riunioni in modo che tutti i consiglieri possano esprimere liberamente il loro parere.
Qualora il Consiglio Presbiterale non adempisse la sua funzione per il bene della diocesi o ne abusasse gravemente, il Vescovo, a norma del diritto può scioglierlo, con l’obbligo di costituirlo di nuovo entro un anno (548).
Quando la sede della diocesi diviene vacante, il Consiglio Presbiterale cessa ed i suoi compiti passano al Collegio dei consultori. Il nuovo Vescovo deve costituire nuovamente il Consiglio entro un anno dalla presa di possesso della diocesi (549).
184. Il Collegio dei consultori. “Tra i membri del Consiglio Presbiterale, il Vescovo nomina liberamente alcuni sacerdoti, in numero non inferiore a sei e non superiore a dodici, che formino per cinque anni il Collegio di consultori, al quale competono le funzioni stabilite dal diritto” (550). L’erezione del Collegio mira a garantire una qualificata assistenza al Vescovo, dando il suo consenso e parere secondo quanto stabilito nel Diritto, al momento di prendere importanti provvedimenti di natura economica (551) e, in caso di vacanza o impedimento della sede, ad assicurare la continuità del governo episcopale (552) e l’ordinata successione.(553) La Conferenza Episcopale può stabilire che le funzioni del Collegio vengano affidate al Capitolo cattedrale (554).
Le riunioni del Collegio dei consultori debbono essere presiedute dal Vescovo diocesano o da chi ne fa le veci, i quali si astengono dal votare con i consultori quando al Collegio sia chiesto il parere o il consenso (555).
185. Il Consiglio pastorale. Pur facendo uso della libertà che la disciplina canonica lascia, è bene che in ogni diocesi si costituisca il Consiglio pastorale diocesano, come forma istituzionale di esprimere la partecipazione di tutti i fedeli, di qualunque stato canonico, alla missione della Chiesa. Pertanto, il Consiglio pastorale è composto di fedeli, chierici, membri di Istituti di vita consacrata e soprattutto laici,556 e ad esso spetta, “sotto l’autorità del Vescovo, studiare e valutare quanto si riferisce alle attività pastorali nella diocesi, e suggerire le relative soluzioni pratiche” (557).
I suoi Statuti sono stabiliti e, se è il caso, modificati dal Vescovo (558).
Anche se a rigore non rappresenta i fedeli, il Consiglio deve essere una immagine fedele della porzione del Popolo di Dio che costituisce la Chiesa particolare e i suoi membri debbono essere scelti “considerando le loro distinte regioni, condizioni sociali e professioni, come anche il ruolo da essi svolto nell’apostolato, sia personalmente che in associazione con altri” (559).
Tutti i membri del Consiglio pastorale debbono essere in piena comunione con la Chiesa cattolica e distinguersi per fede sicura, buoni costumi e prudenza (560). Spetta al Vescovo decidere, mediante le opportune indicazioni statutarie, le modalità di designazione dei suoi membri: per esempio, affidando alle parrocchie e ad altre istituzioni la proposta di candidati, riservandosi comunque — forse tramite la conferma di quelli precedentemente eletti — il diritto di escludere coloro che non appaiano idonei.
Il Vescovo convochi il Consiglio almeno una volta l’anno. Lo stesso Vescovo propone le questioni da esaminare, presiede le riunioni, decide se convenga o meno rendere pubblici i temi trattati e determina il modo di realizzare le relative conclusioni (561). Il lavoro del Consiglio è, pertanto, di natura consultiva (562), e deve essere sempre contraddistinto da un delicato rispetto sia della giurisdizione episcopale che dell’autonomia dei fedeli, individui o associati, senza pretese direttive o di coordinamento estranee alla sua natura. Tuttavia, il Vescovo deve tenere nella dovuta considerazione il parere dei membri del Consiglio, in quanto responsabile collaborazione della comunità ecclesiale al suo ufficio apostolico.
Il Vescovo può proporre alle discussioni del Consiglio temi relativi alle attività pastorali della diocesi: (563) come per esempio, il piano pastorale, le diverse iniziative missionarie, catechetiche e apostoliche diocesane, i mezzi per migliorare la formazione dottrinale e la vita sacramentale dei fedeli, il modo di facilitare il ministero pastorale dei chierici, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi della Chiesa, ecc.
Affinché l’operato del Consiglio risulti più efficace, converrà che le sessioni siano precedute da un adeguato studio preparatorio, servendosi a tal fine dell’aiuto delle istituzioni e degli uffici pastorali diocesani.
Circa l’attività dei Consigli pastorali diocesani, è opportuno che i Vescovi ne discutano in sede di Conferenza Episcopale, cosicché ciascuno nella propria diocesi possa utilizzare l’esperienza degli altri.
Il Consiglio pastorale cessa la propria attività durante la sede vacante della diocesi (564) e può essere sciolto dal Vescovo quando non compie le funzioni ad esso assegnate.
d) Il Capitolo dei canonici
186. Compiti del Capitolo e nomina dei canonici. “Il Capitolo di canonici, cattedrale o collegiale, è un collegio di sacerdoti, al quale spetta celebrare le funzioni liturgiche più solenni nella chiesa Cattedrale o nella collegiata; compete inoltre al Capitolo adempiere quegli uffici che il diritto o il Vescovo diocesano gli affidino” (565). Per formare parte del Capitolo, il Vescovo chiami sacerdoti esperti che si distinguano per la dottrina e l’esempio della loro vita sacerdotale, anche tra coloro che attualmente esercitano uffici di rilievo nella diocesi, tenendo tuttavia presente che il Vicario Generale, i Vicari Episcopali e i consanguinei del Vescovo fino al quarto grado non possono ricoprire l’incarico di canonico penitenziere (566).
187. Erezione, modifica e soppressione del Capitolo. L’erezione, che non è obbligatoria, del Capitolo della Cattedrale, la sua modificazione o soppressione sono riservate alla Sede Apostolica (567). Nel rispetto delle leggi di fondazione e tenendo presenti i costumi e gli usi locali, lo stesso Capitolo elabora i propri Statuti, che vengono poi presentati all’approvazione del Vescovo (568). Risulta conveniente compilare un regolamento, in cui si contemplino questioni più dettagliate sul modo di procedere.
188. Uffici nel Capitolo. Ogni Capitolo ha un presidente, come primus inter pares e moderatore delle riunioni. Gli Statuti possono determinare che il presidente sia eletto dai canonici, nel cui caso necessita anche della conferma del Vescovo (569). Tra gli altri uffici del Capitolo — tutti di libera determinazione episcopale (570) – deve annoverarsi quello del penitenziere, con l’importante funzione di assolvere dalle censure canoniche nel foro interno (571). Laddove non è stato costituito il Capitolo dei canonici, il Vescovo deve nominare un sacerdote che svolga le funzioni di penitenziere (572).
e) Il Vescovo amministratore dei beni ecclesiastici della diocesi. L’Economo ed il Consiglio per gli Affari Economici
189. Compiti del Vescovo nell’amministrazione dei beni patrimoniali. In ragione della presidenza che gli compete nella Chiesa particolare, spetta al Vescovo l’organizzazione di quanto relativo all’amministrazione dei beni ecclesiastici, mediante opportune norme e indicazioni, in armonia con le direttive della Sede Apostolica e valendosi degli eventuali orientamenti e sussidi della Conferenza Episcopale (573).
Inoltre, in quanto amministratore unico della diocesi, gli compete:
– vigilare, affinché non si insinuino abusi, sull’ amministrazione di tutti i beni delle persone giuridiche che gli siano soggette (574); stabilire mediante decreto, dopo aver udito il Consiglio diocesano per gli affari economici, quali atti eccedono i limiti e le modalità dell’amministrazione ordinaria; alienare, con il consenso del Consiglio diocesano per gli affari economici e del Collegio dei Consultori, i beni il cui valore sta tra la somma minima e la somma massima stabilita dalla Conferenza Episcopale. Per le alienazioni di beni il cui valore ecceda la somma massima oppure di ex voto o di oggetti preziosi di valore artistico o storico, si richiede anche la licenza della Santa Sede (575);
– dare esecuzione alle donazioni e disposizioni “mortis causa” (chiamate “pie volontà”) in favore delle cause pie. Dovrà in questo caso compiere o far compiere la volontà del benefattore (576).
Nell’amministrazione dei beni, supposta sempre l’osservanza della giustizia, il Vescovo deve occuparsi in primo luogo delle necessità del culto, della carità, dell’apostolato e del sostentamento del clero, subordinando ad esse qualunque altra finalità.
190. Principali criteri che debbono guidare l’amministrazione dei beni. Tali criteri basilari sono i seguenti:
a) Il criterio di competenza pastorale e tecnica: “l’amministrazione economica della diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste, in modo che la si possa proporre come esempio di trasparenza per tutte le altre analoghe istituzioni ecclesiastiche” (577). Il Vescovo, infatti, deve sollecitare la collaborazione del Collegio dei consultori e del Consiglio per gli affari economici nelle materie determinate dalla legge universale della Chiesa (578) e anche quando l’importanza del caso o le sue peculiari circostanze impongano tale regola di prudenza.
b) Il criterio di partecipazione: il Vescovo deve far partecipe il clero diocesano, attraverso il Consiglio Presbiterale, delle decisioni importanti che vuole adottare in materia economica, e chiederne il parere al riguardo (579). Secondo la natura del caso, può essere utile interpellare anche il Consiglio pastorale diocesano.
È altresì opportuno che la comunità diocesana sia al corrente della situazione economica della diocesi. Perciò, a meno che in qualche caso la prudenza suggerisca diversamente, il Vescovo prescriverà di rendere pubblici i rapporti economici alla fine di ogni anno e alla conclusione delle opere diocesane. Parimenti potranno procedere le parrocchie e le altre istituzioni, sotto la vigilanza del Vescovo.
c) Il criterio ascetico, che, secondo lo spirito evangelico, esige che i discepoli di Cristo usino del mondo come se non usassero di esso (cf. 1 Cor 7, 31), e che debbono perciò essere moderati e disinteressati, fiduciosi nella divina provvidenza e generosi con chi è nel bisogno, conservando sempre il vincolo dell’amore.
d) Il criterio apostolico, che induce ad utilizzare i beni come strumento al servizio dell’evangelizzazione e della catechesi. Questa regola deve guidare l’uso dei mezzi di comunicazione e dell’informatica, l’organizzazione delle esposizioni e mostre di arte sacra, le visite guidate a monumenti religiosi, ecc.
e) Il criterio del buon padre di famiglia nel modo diligente e responsabile di condurre l’amministrazione (580). Come manifestazioni particolari di questo criterio, il Vescovo:
– curerà che sia messa al sicuro la proprietà dei beni ecclesiastici in modi validi civilmente e farà osservare le disposizioni canoniche e civili o quelle imposte dal fondatore o dal donatore o dalla legittima autorità. Inoltre, sarà attento che dall’inosservanza della legge civile non derivi danno alla Chiesa (581);
– nell’affidare i lavori osserverà e farà osservare accuratamente le leggi civili relative al lavoro e alla vita sociale, tenendo conto dei principi della Chiesa (582);
– farà osservare le prescrizioni del diritto civile, in special modo quelle relative ai contratti (583) e alle disposizioni “mortis causa” in favore della Chiesa (584);
– dovrà conoscere e far osservare le decisioni della Conferenza Episcopale circa gli atti di amministrazione straordinaria (585) e le condizioni per la cessione e la locazione di beni
ecclesiastici (586);
– provvederà ad inculcare nei pastori e nei custodi di beni un forte senso di responsabilità per la loro conservazione, in modo da impiegare ogni misura di sicurezza per evitare i furti (587);
– promuoverà la preparazione e l’aggiornamento di inventari, anche fotografici, nei quali vengano chiaramente enumerati e descritti i beni immobili e mobili preziosi o di valore culturale (588).
191. Enti patrimoniali per la copertura delle spese della diocesi. Per far fronte alle principali necessità economiche, la disciplina canonica prevede la creazione di due istituti:
a) La diocesi deve provvedere alla remunerazione dei chierici che vi prestano servizio, mediante la costituzione di un istituto o ente speciale per la raccolta dei beni e delle offerte dei fedeli, oppure in un altro modo (589).
b) Nella misura in cui sia necessario, si costituirà anche una “massa comune” diocesana, per sovvenire alle altre necessità della diocesi e per aiutare le diocesi più povere. Tuttavia, a questa
finalità si può provvedere anche mediante convenzioni e istituzioni di ambito interdiocesano o nazionale (590).
È auspicabile che tutte queste istituzioni si costituiscano in modo che abbiano valore anche di fronte alle leggi civili (591).
192. Partecipazione dei fedeli al sostentamento della Chiesa. Il Vescovo provveda con mezzi idonei acciocché i fedeli siano educati a partecipare al sostentamento della Chiesa, come membri
attivi e responsabili; così tutti sentiranno come proprie le opere ecclesiali e le attività benefiche e saranno lieti di collaborare alla buona amministrazione dei beni (592).
Per sovvenire alle necessità della Chiesa, il Vescovo solleciti la generosità dei fedeli tramite offerte ed elemosine, secondo le norme date dalla Conferenza Episcopale (593). Ha inoltre competenza per:
– imporre tributi moderati, osservando le condizioni canoniche (594);
– stabilire, quando convenga, collette speciali in favore delle necessità della Chiesa (595);
– dettare norme sulla destinazione delle offerte ricevute dai fedeli in occasione delle funzioni liturgiche e sulla rimunerazione dei sacerdoti addetti a tali funzioni (596).
A tale riguardo il Vescovo deve attentamente ponderare la reale ed onesta necessità di reperire fondi, ma anche l’opportunità di non aggravare i fedeli con eccessive richieste economiche.
Il Vescovo, infine, non trascuri di istruire ed eventualmente di informare i fedeli sul significato delle offerte di Messe e offerte compiute in occasione dell’amministrazione dei sacramenti e sacramentali, in rapporto al sostentamento del culto e dei sacri ministri e l’aiuto ai poveri; e istruisca i chierici perché si eviti in questa materia ogni apparenza di interesse profano (597).
193. Il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici e l’Economo. In ogni diocesi si deve costituire un Consiglio per gli affari economici, presieduto dal Vescovo o da un suo delegato (598). Simili Consigli dovranno costituirsi anche in ciascuna parrocchia e nelle altre persone giuridiche (599). Per integrare tali organi ci si affiderà a fedeli scelti per la conoscenza della materia economica e del diritto civile, dotati di riconosciuta onestà e di amore per la Chiesa e per l’apostolato. Là dove sia instaurato il ministero, occorre fare in modo che i diaconi permanenti partecipino a questi organi, secondo il proprio carisma.
Insieme al Consiglio diocesano per gli affari economici, il Vescovo esamini i progetti delle opere, i bilanci, i piani di finanziamento, ecc., e prenda decisioni conformi al diritto. Inoltre, il Consiglio diocesano per gli affari economici, unitamente al Collegio dei Consultori deve essere ascoltato per gli atti di amministrazione che, attesa la situazione economica della diocesi, sono di maggiore importanza; per gli atti di amministrazione straordinaria (stabiliti dalla Conferenza Episcopale) il Vescovo necessita del consenso del Collegio dei Consultori e del Consiglio diocesano per gli affari economici. Nell’esecuzione materiale dei diversi atti di amministrazione, salva la sua competenza, il Vescovo si avvarrà della collaborazione dell’economo diocesano (600).
La diocesi deve avere infatti anche un economo, che deve essere nominato dal Vescovo per un quinquennio, rinnovabile, dopo aver sentito il Collegio dei consultori e quello per gli affari economici.
L’economo, che può essere anche un diacono permanente o un laico, deve possedere una grande esperienza in campo economico-amministrativo ed essere a conoscenza della legislazione canonica e civile riguardante i beni temporali e le eventuali intese o leggi civili circa i beni ecclesiastici.
L’economo diocesano deve amministrare i beni della diocesi, sotto l’autorità del Vescovo, secondo le modalità approvate dal Consiglio per gli affari economici e secondo il preventivo approvato. Alla fine di ogni anno, l’economo deve rendere conto delle entrate e delle uscite al Consiglio per gli affari economici (601).
Fraternamente CaterinaLD
"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)