00 09/01/2013 23:17

COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

LA TEOLOGIA OGGI:

PROSPETTIVE, PRINCÌPI E CRITERI *

 

1. Gli anni successivi al Concilio Vaticano II sono stati estremamente fecondi per la teologia cattolica. Sono emerse nuove voci teologiche, soprattutto quelle dei laici e delle donne; teologie provenienti da nuovi contesti culturali, in particolar modo America Latina, Africa e Asia; nuovi temi di riflessione, quali la pace, la liberazione, l’ecologia e la bioetica; approfondimenti di temi già trattati, grazie ad un rinnovamento negli studi biblici, liturgici, patristici e medievali; e nuove sedi di riflessione, come il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Sono tutti sviluppi fondamentalmente positivi. La teologia cattolica ha cercato di percorrere la strada aperta dal Concilio, che ha voluto esprimere «solidarietà, rispetto e amore verso l’intera famiglia umana», entrando in dialogo con essa e offrendo «le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore» [1]. Tuttavia in questo stesso periodo si è anche vista una certa frammentazione della teologia, che nel dialogo sopra richiamato si trova sempre dinanzi la sfida di mantenere la propria identità. Si pone quindi l’interrogativo di che cosa caratterizzi la teologia cattolica e le dia, nelle e attraverso le sue molteplici forme, un chiaro senso di identità nel suo confronto con il mondo di oggi.

2. È evidente che in una certa misura la Chiesa ha bisogno di un discorso comune se vuole comunicare al mondo il messaggio unico di Cristo, sul piano sia teologico sia pastorale. Si può quindi legittimamente parlare della necessità di una certa unità della teologia. Dobbiamo tuttavia comprendere bene che cosa si intende per unità, affinché non vada confusa con l’uniformità o un unico stile. L’unità della teologia, come quella della Chiesa, così come viene professata nel Credo, deve essere strettamente correlata al concetto di cattolicità, come pure ai concetti di santità e di apostolicità [2]. La cattolicità della Chiesa deriva da Cristo stesso, Salvatore del mondo e dell’umanità intera (cfr Ef 1,3-10; 1 Tim 2,3-6). La Chiesa ha quindi dimora in ogni nazione e cultura e cerca di «accogliere tutto per la salvezza e la santificazione» [3]. Il fatto che ci sia un unico Salvatore mostra l’esistenza di un nesso necessario tra cattolicità e unità. Nell’esplorare l’inesauribile Mistero di Dio e le innumerevoli vie attraverso le quali, in contesti diversi, la grazia di Dio opera per la salvezza, la teologia giustamente e necessariamente assume una molteplicità di forme, e tuttavia, nell’indagare l’unica verità del Dio uno e trino e il piano di salvezza incentrato sull’unico Signore Gesù Cristo, questa pluralità deve manifestare tratti familiari distintivi.

3. La Commissione Teologica Internazionale ha già esaminato diversi aspetti del compito teologico in precedenti documenti, in particolare L’unità della fede e il pluralismo teologico (1972), Magistero e teologia (1975) e L’interpretazione dei dogmi (1990) [4]. Il presente testo si propone di individuare i tratti familiari distintivi della teologia cattolica [5]. Si prenderanno in esame quelle prospettive e princìpi di base che caratterizzano la teologia cattolica, e si esporranno i criteri attraverso i quali teologie diverse e molteplici possono comunque essere riconosciute come autenticamente cattoliche e partecipanti alla missione della Chiesa cattolica, che è quella di proclamare la Buona Notizia a persone di ogni nazione, tribù, popolo e lingua (cfr Mt 28,8-20; Ap 7,9) e, facendo loro sentire la voce dell’unico Signore, raccoglierle tutte in un unico gregge con un unico pastore (Gv 10,16). Tale missione richiede la presenza nella teologia cattolica della diversità nell’unità così come dell’unità nella diversità. Le teologie cattoliche dovrebbero essere identificabili come tali, e sono chiamate a sostenersi a vicenda e a rendere conto reciprocamente del proprio operato, come lo sono gli stessi cristiani nella comunione con la Chiesa per la gloria di Dio. Il presente testoconsiste quindi di tre capitoli, in cui vengono esposti i temi seguenti: nella ricca pluralità delle sue espressioni, protagonisti, idee e contesti, la teologia è cattolica, e quindi fondamentalmente una, se scaturisce da un attento ascolto della parola di Dio (cfr capitolo 1); se si pone consapevolmente e fedelmente in comunione con la Chiesa (cfr capitolo 2); e se è orientata al servizio di Dio nel mondo, offrendo agli uomini e alle donne di oggi la divina verità in forma intelligibile (cfr capitolo 3).

 

[SM=g1740758] Capitolo Primo
L’Ascolto della Parola di Dio

4. «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi personalmente e manifestare il mistero della sua volontà» (cfr Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr Ef 2,18; 2 Pt 1,4)» [6]. «La novità della rivelazione biblica sta nel fatto che Dio si fa conoscere attraverso il dialogo che Egli desidera avere con noi» [7]. La teologia, in tutte le sue diverse tradizioni, discipline e metodi, si basa sull’atto fondamentale di ascoltare con fede la Parola di Dio rivelata, Cristo stesso. L’ascolto della Parola di Dio è il principio definitivo della teologia cattolica; conduce alla comprensione, all’annuncio e alla formazione della comunità cristiana: «La Chiesa si fonda sulla Parola di Dio, nasce e vive di essa» [8]. «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1 Gv 1,3) [9]. Il mondo intero deve ascoltare la chiamata alla salvezza «affinché per l'annuncio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami» [10].

5. La teologia è una riflessione scientifica sulla rivelazione divina che la Chiesa accetta per fede come verità salvifica universale. La pienezza e la ricchezza di questa rivelazione sono troppo grandi per essere colte da una sola teologia e, poiché sono recepite in modi diversi dagli esseri umani, di fatto danno luogo a teologie molteplici. Nella sua diversità, tuttavia, la teologia è unita nel servizio all’unica verità di Dio. L’unità della teologia, quindi, non richiede uniformità, ma piuttosto un unico focalizzarsi sulla Parola di Dio e un’esplicazione delle sue innumerevoli ricchezze da parte di teologie in grado di parlare e comunicare tra loro. Analogamente, la pluralità di teologie non dovrebbe significare frammentazione o discordia, ma piuttosto l’esplorazione, secondo modalità molteplici, dell’unica verità salvifica di Dio.

1. Il primato della Parola di Dio

6. «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1). Il Vangelo di Giovanni ha inizio con un «prologo». Questo inno mette in luce la portata cosmica della rivelazione, e il culmine della rivelazione nell’incarnazione del Verbo di Dio. «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1,4). La creazione e la storia costituiscono lo spazio e il tempo in cui Dio rivela se stesso. Il mondo, creato da Dio mediante la sua Parola (cfr Gn 1), è anche, tuttavia, il contesto in cui Dio viene respinto dagli esseri umani. Ciononostante l’amore di Dio verso di loro è sempre infinitamente più grande; «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). L’incarnazione del Figlio è il culmine di questo amore immutabile: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). La rivelazione di Dio come Padre che ama il mondo (cfr Gv 3,16.35) si realizza nella rivelazione di Gesù Cristo, crocifisso e risorto, Figlio di Dio e «Salvatore del mondo» (Gv 4,42). «Molte volte e in diversi modi» Dio ha parlato per mezzo dei profeti nei tempi antichi, ma nella pienezza dei tempi ha parlato a noi «per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-2). «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che ho ha rivelato» (Gv 1,18).

7. La Chiesa venera grandemente le Scritture, ma è importante riconoscere che «la fede cristiana non è una “religione del Libro”; il cristianesimo è la “religione della Parola di Dio”, non di “una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente”» [11]. Il Vangelo di Dio è testimoniato fondamentalmente dalla sacra Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento [12]. Le Scritture sono «ispirate da Dio e, redatte una volta per sempre», quindi «comunicano immutabilmente la Parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo» [13]. La Tradizione è la fedele trasmissione della Parola di Dio, testimoniata nel canone della Scrittura dai profeti e dagli apostoli, e nella leiturgia (liturgia), martyria (testimonianza) e diakonia (servizio) della Chiesa.

8. Sant’Agostino ha scritto che la Parola di Dio è stata ascoltata da autori ispirati e trasmessa dalle loro parole: «Dio parla da uomo mediante un uomo perché ci cerca così parlando» [14]. Lo Spirito Santo non solo ha ispirato gli autori biblici perché trovassero le giuste parole di testimonianza, ma aiuta anche i lettori della Bibbia in ogni epoca a comprendere la Parola di Dio nelle parole umane delle sacre Scritture. Il rapporto tra Scrittura e Tradizione ha le sue radici nella verità che Dio rivela nella sua Parola per la nostra salvezza: «I libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture» [15], e nel corso della storia lo Spirito Santo «introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr Col 3,16)» [16]. «[L]a Parola di Dio si dona a noi nella sacra Scrittura, quale testimonianza ispirata della Rivelazione, che con la viva Tradizione della Chiesa costituisce la regola suprema della fede» [17].

9. Un criterio della teologia cattolica è il riconoscimento del primato della Parola di Dio. Dio parla «molte volte e in diversi modi»: nella creazione, tramite i profeti e i saggi, attraverso le sacre Scritture, e in via definitiva attraverso la vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Verbo fatto carne (cfr Eb 1,1-2).

2. La fede, risposta alla Parola di Dio

10. Scrive san Paolo nella sua lettera ai Romani: «La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Sono due qui i punti di rilievo. Da una parte Paolo spiega come la fede derivi dall’ascolto della Parola di Dio, sempre «con la forza dello Spirito» (Rm 15,19). D’altra parte chiarisce i modi attraverso i quali la Parola di Dio arriva all’orecchio degli esseri umani: fondamentalmente per mezzo di coloro che sono stati inviati a proclamare la Parola e risvegliare la fede (cfr Rm 10,14-15). Ne consegue che la Parola di Dio per ogni tempo può essere proclamata autenticamente soltanto sul fondamento degli apostoli (Ef 2,20-22) e nella successione apostolica (cfr 1 Tm 4,6).

11. Poiché Gesù Cristo, Verbo fatto carne, «è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» [18], è parimenti personale la risposta che il Verbo ricerca, ossia la fede. Per fede gli esseri umani si abbandonano interamente a Dio, in un gesto che comporta il «pieno ossequio» dell’intelletto e della volontà al Dio che rivela [19]. L’«obbedienza della fede» (Rm 1,5) è quindi qualcosa di personale. Per fede gli esseri umani aprono l’orecchio per ascoltare la Parola di Dio e la bocca per offrirgli preghiera e lode; aprono il cuore per ricevere l’amore di Dio che è riversato in loro tramite il dono dello Spirito Santo (Rm 5,5); e abbondano «nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13), una speranza che «non delude» (Rm 5,5). Per fede viva possiamo quindi intendere una fede che abbraccia sia la speranza sia l’amore. Inoltre Paolo sottolinea che la fede evocata dalla Parola di Dio dimora nel cuore e dà luogo alla professione verbale: «Perché se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa professione di fede per avere la salvezza» (Rm 10, 9-10).

12. La fede, quindi, è esperienza di Dio che comporta la conoscenza di Lui, in quanto la rivelazione dà accesso alla verità di Dio che ci salva (cfr 2 Tm 2,13) e ci rende liberi (cfr Gv 8,32). Paolo scrive ai Galati che, in quanto credenti, «hanno conosciuto Dio, anzi da lui sono stati conosciuti» (Gal 4,9; cfr 1 Gv 4,16). Senza la fede sarebbe impossibile penetrare questa verità, perché essa è rivelata da Dio. La verità rivelata da Dio e accettata nella fede, inoltre, non è qualcosa di irrazionale. Piuttosto dà origine al «culto spirituale [logikè latreia]» che Paolo afferma comportare un rinnovamento del modo di pensare (Rm 12, 1-2). Dalle opere della creazione, con l’ausilio della ragione, possiamo conoscere che Dio esiste ed è uno, Creatore e Signore della storia, secondo una lunga tradizione che ritroviamo nell’Antico (cfr Sap 13,1-9) come nel Nuovo Testamento (cfr Rm 1,18-23) [20]. Tuttavia è solamente attraverso la fede che possiamo conoscere che Dio si è rivelato attraverso l’incarnazione, vita, morte e risurrezione del suo Figlio per la salvezza del mondo (Gv 3,16), e che Dio nella sua vita interiore è Padre, Figlio e Spirito Santo.

13. «Fede» è sia l’atto di credere o confidare, sia ciò che è creduto o professato, rispettivamente fides qua e fides quae. Entrambi gli aspetti operano in una unità inscindibile, poiché la fiducia è adesione a un messaggio con un contenuto intelligibile, e la professione non può essere ridotta a semplici parole prive di contenuto, ma deve venire dal cuore. La fede è una realtà al tempo stesso profondamente personale ed ecclesiale. Nel professare la propria fede, i cristiani dicono sia «credo» sia «crediamo». La fede è professata nella koinonia dello Spirito Santo (cfr 2 Cor 13,13) che unisce tutti i credenti a Dio e tra di loro (cfr 1 Gv 1,1-3), e realizza la sua massima espressione nell’Eucaristia (1 Cor 10, 16-17). Sin dai primissimi tempi all’interno delle comunità dei fedeli sono sorte le professioni di fede. Tutti i cristiani sono chiamati a dare una testimonianza personale della propria fede, ma i credi permettono alla Chiesa in quanto tale di professare la propria fede. Questa professione corrisponde all’insegnamento degli apostoli, la Buona Notizia, nella quale la Chiesa resta salda e dalla quale viene salvata (cfr 1 Cor 15, 1-11)

14. «Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri, i quali introdurranno fazioni che portano alla rovina» (2 Pt 2,1) [21]. Il Nuovo Testamento mostra abbondantemente che, sin dai primordi della Chiesa, alcuni hanno proposto un’interpretazione «eretica» della fede comune, un’interpretazione contraria alla Tradizione apostolica. Nella prima Lettera di Giovanni, la separazione dalla comunione d’amore è un indicatore di falso insegnamento (1 Gv 2,18-19). L’eresia, quindi, non solo è distorsione del Vangelo, ma lede anche la comunione ecclesiale. «L’eresia è l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina o cattolica, o il dubbio ostinato» [22]. Chi è colpevole di questa ostinazione nei confronti dell’insegnamento della Chiesa sostituisce il proprio giudizio all’obbedienza alla Parola di Dio (motivo formale della fede), la fides qua. L’eresia ci ricorda che la comunione della Chiesa può essere garantita soltanto se fondata sulla fede cattolica nella sua integrità, e spinge la Chiesa ad una ricerca sempre più approfondita della verità nella comunione.

15. Un criterio della teologia cattolica è che questa ha come propria fonte, contesto e norma la fede della Chiesa. La teologia tiene unite fides qua e fides quae. Espone l’insegnamento degli apostoli, la Buona Notizia su Gesù «secondo le Scritture» (1 Cor 15,3-4), in quanto regola e stimolo/impulso della fede della Chiesa.

3. La teologia, intelligenza della fede

16. L’atto di fede, in risposta alla Parola di Dio, apre a nuovi orizzonti l’intelligenza del credente. Scrive san Paolo: «E Dio che disse “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6). In questa luce la fede contempla il mondo intero in un modo nuovo; lo vede in modo più vero perché, per la potenza dello Spirito Santo, condivide la prospettiva stessa di Dio. Per questo sant’Agostino invita chiunque ricerchi la verità a «credere per comprendere» [crede ut intelligas] [23]. «Abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio», afferma san Paolo, «per conoscere ciò che Dio ci ha donato» (1 Cor 2,12). Inoltre attraverso questo dono siamo attirati ad una comprensione persino di Dio stesso, poiché «lo Spirito conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio». Insegnando che «noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1 Cor 2,16), san Paolo afferma implicitamente che per grazia di Dio abbiamo una certa partecipazione persino alla conoscenza che Cristo stesso ha del Padre e, quindi, alla conoscenza che Dio ha di se stesso.

17. Avendo ricevuto per fede «le impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), i credenti cercano di comprendere ancora più pienamente ciò in cui credono, meditando queste cose nel loro cuore (cfr Lc 2,19). Guidati dallo Spirito e attingendo a tutte le risorse della loro intelligenza, si sforzano di assimilare il contenuto intelligibile della Parola di Dio, in modo che possa diventare luce e nutrimento per la loro fede. Chiedono a Dio di avere «piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale» (Col 1,9). Èquesta la via che conduce all’intelligenza della fede (intellectus fidei) . Come spiega sant’Agostino, tale desiderio e ricerca di intelligenza prende avvio dal dinamismo stesso della fede: «Chi mediante la vera ragione capisce ciò che prima riteneva certo soltanto per fede, è senz’altro da preferirsi a chi desidera ancora capire ciò che crede. Qualora poi costui non sentisse nemmeno un tale desiderio e considerasse quale solo oggetto da credere le verità che ancora dovesse intendere, ignorerebbe a che giova la fede» [24]. Questo lavoro di comprensione della fede a sua volta contribuisce ad alimentare e a far crescere la fede [25]; è così che «[l]a fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» [26]. La via dell’intellectus fidei parte dal credere, che è sua fonte e principio permanente, per arrivare alla visione nella gloria (la visione beatifica; cfr 1 Gv 3,2), della quale l’intellectus fidei è anticipazione.

18. L’intellectus fidei assume varie forme nella vita della Chiesa e nella comunità dei credenti, secondo i diversi doni dei fedeli (lectio divina, meditazione, predicazione, teologia come scienza ecc.). Diventa teologia in senso stretto quando il credente intraprende il compito di presentare il contenuto del mistero cristiano in modo razionale e scientifico. La teologia è dunque scientia Dei nella misura in cui è partecipazione razionale alla conoscenza che Dio ha di sé e di tutte le cose.

19. Un criterio della teologia cattolica è che, proprio in quanto scienza della fede, «fede che cerca di comprendere [fides quaerens intellectum[27], essa è dotata di una dimensione razionale. La teologia si sforza di comprendere ciò in cui la Chiesa crede, perché vi crede, e che cosa può essere conosciuto sub specie Dei. In quanto scientia Dei, la teologia cerca di comprendere in modo razionale e sistematico la verità salvifica di Dio.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)