00 07/05/2013 22:59

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

SUMMI PONTIFICATUS(1)

 PROGRAMMA DEL PONTIFICATO

 

L'arcano disegno del Signore Ci ha affidato, senza alcun Nostro merito, l'altissima dignità e le gravissime sollecitudini del sommo pontificato proprio nell'anno in cui ricorre il quarantesimo anniversario della consacrazione dell'umanità al sacratissimo cuore del Redentore, indetta dal Nostro immortale predecessore, Leone XIII, al declinare del secolo scorso, alle soglie dell'anno santo.

Con quale gioia, commozione e intimo consenso accogliemmo allora come un messaggio celeste l'enciclica Annum sacrum,(2) proprio allorquando, novello levita; avevamo potuto recitare: «Introibo ad altare Dei» (Sal 42,4). E con che ardente entusiasmo unimmo il Nostro cuore ai pensieri e alle intenzioni, che animavano e guidavano quell'atto veramente provvidenziale di un pontefice, che con tanta profonda acutezza conosceva i bisogni e le piaghe, palesi e occulte, del suo tempo!

Come quindi potremmo non sentire oggi profonda riconoscenza verso la Provvidenza, che ha voluto far coincidere il Nostro primo anno di pontificato con un ricordo così importante e caro del Nostro primo anno di sacerdozio; e come potremmo non cogliere con gioia l'occasione per fare del culto al «Re dei re e Signore dei dominanti» (1 Tm 6,15; Ap 19,16) quasi la preghiera d'introito di questo Nostro pontificato, nello spirito del Nostro indimenticabile predecessore e in fedele attuazione delle sue intenzioni? Come non faremmo di esse l'alfa e l'omega del Nostro volere e del Nostro sperare, del Nostro insegnamento e della Nostra attività, della Nostra pazienza e delle Nostre sofferenze, consacrate tutte alla diffusione del regno di Cristo?

Se Noi contempliamo sotto la luce dell'eternità gli eventi esterni e gli interiori sviluppi degli ultimi quarant'anni e ne misuriamo grandezze e deficienze, quella consacrazione universale a Cristo re appare allo sguardo del Nostro spirito sempre più nel suo significato sacro, nel suo simbolismo esortatore, nel suo scopo di purificazione e di elevazione, di irrobustimento e di difesa delle anime e in pari tempo nella sua preveggente saggezza, mirante a guarire e nobilitare ogni umana società e promuoverne il vero bene. Sempre più chiaramente Ci si rivela come un messaggio di esortazione e di grazia di Dio non solo alla sua chiesa, ma anche a un mondo, troppo bisognoso di scuotimento e di guida, il quale, immerso nel culto del presente, si smarriva sempre più e si esauriva nella fredda ricerca di terreni ideali; un messaggio a un'umanità, la quale, in schiere sempre più numerose, si staccava dalla fede in Cristo e più ancora dal riconoscimento e dall'osservanza della sua legge; un messaggio contro una concezione del mondo, a cui la dottrina di amore e di rinunzia del Sermone della montagna e la divina azione d'amore della croce apparivano scandalo e follia. Come un giorno il precursore del Signore a coloro che, cercando, interrogavano, proclamava: «Ecco l'Agnello di Dio» (Gv 1,29), per ammonirli che l'aspettato delle genti (cf. Ag 2,8 Vg) dimorava, sebbene ancora sconosciuto, in mezzo a loro; così il rappresentante di Cristo rivolgeva scongiurando il suo grido potente: «Ecco il vostro Re!» (Gv 19,14) ai rinnegatori, ai dubbiosi, agli indecisi, agli esitanti, i quali o rifiutavano di seguire il Redentore glorioso, sempre vivente e operante nella sua chiesa, o lo seguivano con noncuranza e lentezza.

Dalla diffusione e dall'approfondimento del culto del divin cuore del Redentore - che trovò lo splendido coronamento, oltre che nella consacrazione dell'umanità al declinare del secolo scorso, anche nell'introduzione della festa della regalità di Cristo da parte del Nostro immediato predecessore di felice memoria(3) - sono scaturiti indicibili beni per innumerevoli anime: «un impeto di fiumana», che «rallegra la città di Dio» (cf. Sal 45,5). Qual epoca più della nostra fu così tormentata da vuoto spirituale e da profonda indigenza interiore, nonostante ogni progresso tecnico e puramente civile? Non può forse ad essa applicarsi la parola rivelatrice dell'Apocalisse: «Vai dicendo: sono ricco e dovizioso e non mi manca nulla; e non sai che tu sei meschino e miserabile e povero e cieco e nudo» (Ap 3,17)?

Venerabili fratelli! vi può essere dovere più grande e più urgente di «annunziare ... le inscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8) agli uomini del nostro tempo? E vi può essere cosa più nobile che sventolare il vessillo del Re davanti ad essi, che hanno seguìto e seguono bandiere fallaci, e riguadagnare al vittorioso vessillo della croce coloro che l'hanno abbandonato? Quale cuore non dovrebbe bruciare ed essere spinto al soccorso, alla vista di tanti fratelli e sorelle, che in seguito a errori, passioni, incitamenti e pregiudizi si sono allontanati dalla fede nel vero Dio, e si sono distaccati dal lieto e salvifico messaggio di Gesù Cristo? Chi appartiene alla milizia di Cristo - sia ecclesiastico, sia laico - non dovrebbe forse sentirsi spronato e incitato a maggior vigilanza, a più decisa difesa, quando vede aumentar sempre più le schiere dei nemici di Cristo, quando s'accorge che i portaparola di queste tendenze, rinnegando o non curando in pratica le vivificatrici verità e i valori contenuti nella fede in Dio e in Cristo, spezzano sacrilegamente le tavole dei comandamenti di Dio per sostituirle con tavole e norme dalle quali è bandita la sostanza etica della rivelazione del Sinai, lo spirito del Sermone della montagna e della croce? Chi potrebbe senza profondo accoramento osservare come questi deviamenti maturino un tragico raccolto tra coloro che, nei giorni della quiete e della sicurezza, si annoveravano tra i seguaci di Cristo, ma che - purtroppo, cristiani più di nome che di fatto - nell'ora in cui bisogna resistere, lottare, soffrire, affrontare le persecuzioni occulte o palesi, divengono vittime della pusillanimità, della debolezza, dell'incertezza e, presi da terrore di fronte ai sacrifici imposti dalla loro professione cristiana, non trovano la forza di bere il calice amaro dei fedeli di Cristo?

In queste condizioni di tempo e di spirito, venerabili fratelli, possa l'imminente festa di Cristo re, in cui vi sarà pervenuta questa Nostra prima enciclica, essere un giorno di grazia e di profondo rinnovamento e risveglio nello spirito del regno di Cristo. Sia un giorno, in cui la consacrazione del genere umano al Cuore divino, la quale dev'essere celebrata in modo particolarmente solenne, riunisca presso il trono dell'eterno Re i fedeli di tutti i popoli e di tutte le nazioni in adorazione e in riparazione, per rinnovare a lui e alla sua legge di verità e di amore il giuramento di fedeltà ora e sempre. Sia un giorno di grazia per i fedeli, in cui il fuoco, che il Signore è venuto a portare sulla terra, si sviluppi in fiamma sempre più luminosa e pura. Sia un giorno di grazia per i tiepidi, gli stanchi, gli annoiati, e nel loro cuore, divenuto pusillanime, maturino nuovi frutti di rinnovamento di spirito, e di rinvigorimento d'animo. Sia un giorno di grazia anche per coloro che non hanno conosciuto Cristo o che l'hanno perduto; un giorno in cui si elevi al cielo da milioni di cuori fedeli la preghiera: «La luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo» (Gv 1,9) possa rischiarare loro la via della salute e la sua grazia possa suscitare nel cuore inquieto degli erranti la nostalgia verso i beni eterni, nostalgia che spinga al ritorno a colui, che dal doloroso trono della croce ha sete anche delle loro anime e desiderio cocente di divenire anche per esse «via, verità e vita» (Gv 14,6).

Ponendo questa prima enciclica del Nostro pontificato sotto il segno di Cristo re con cuore pieno di fiduciosa speranza, Ci sentiamo interamente sicuri del consenso unanime ed entusiastico dell'intero gregge del Signore. Le esperienze, le ansietà e le prove dell'ora presente risvegliano, acuiscono e purificano il sentimento della comunanza della famiglia cattolica in un grado raramente sperimentato. Esse eccitano in tutti i credenti in Dio e in Cristo la coscienza di una comune minaccia da parte di un comune pericolo.

Di questo spirito di comunanza cattolica, potentemente aumentato in così ardue circostanze, e che è raccoglimento e affermazione, risolutezza e volontà di vittoria, Noi sentimmo un soffio consolante e indimenticabile in quei giorni, in cui con trepido passo ma fiduciosi in Dio, prendemmo possesso della cattedra che la morte del Nostro grande predecessore aveva lasciata vacante.

Con il vivo ricordo delle innumerevoli testimonianze di filiale attaccamento alla chiesa e al vicario di Cristo, rivolteCi in occasione della Nostra elezione e incoronazione, con manifestazioni così tenere, così calde e spontanee, Ci piace cogliere questa occasione propizia, per rivolgere a voi, venerabili fratelli, e a quanti appartengono al gregge del Signore, una parola di commosso ringraziamento per tale pacifico plebiscito di amore riverente e di inconcussa fedeltà al papato, con il quale si veniva a riconoscere la provvidenziale missione del sommo sacerdote e del supremo pastore. Poiché veramente tutte quelle manifestazioni non erano né potevano essere rivolte alla Nostra povera persona, ma all'unico, altissimo ufficio, al quale il Signore Ci elevava. Se già fin da quel primo momento sentivamo tutto il peso delle gravi responsabilità, connesse con la somma potestà, che Ci veniva conferita dalla Provvidenza divina, Ci era insieme di conforto il vedere quella grandiosa e palpabile dimostrazione dell'inscindibile unità della chiesa cattolica, che tanto più compatta si stringe alla infrangibile rupe di Pietro e le forma attorno tanto più forti murali e antemurali, quanto più cresce la baldanza dei nemici di Cristo.

Questo stesso plebiscito di mondiale unità cattolica e di soprannaturale fraternità di popoli attorno al Padre comune, Ci pareva tanto più ricco di felici speranze, quanto più tragiche erano le circostanze materiali e spirituali del momento in cui avveniva; e il suo ricordo Ci andò confortando anche nei primi mesi del Nostro pontificato, nei quali abbiamo già sperimentato le fatiche, le ansietà e le prove, di cui è seminato il cammino della sposa di Cristo attraverso il mondo.

Né vogliamo passare sotto silenzio quanta eco di commossa riconoscenza abbia suscitato nel Nostro cuore l'augurio di coloro che, sebbene non appartengano al corpo visibile della chiesa cattolica, non hanno dimenticato, nella loro nobiltà e sincerità, di sentire tutto ciò che, o nell'amore alla persona di Cristo o nella credenza di Dio, li unisce a Noi. A tutti vada l'espressione della Nostra gratitudine. Affidiamo tutti e ciascuno alla protezione e alla guida del Signore e assicuriamo solennemente che un solo pensiero domina la Nostra mente: imitare l'esempio del buon pastore, per condurre tutti alla vera felicità, «affinché abbiano la vita e l'abbiano abbondantemente» (Gv 10,10).

Ma in singolar modo Ci sentiamo mossi dall'animo Nostro a far palese l'intima Nostra gratitudine per i segni di riverente omaggio pervenutiCi da sovrani, da capi di stato e da pubbliche autorità di quelle nazioni, con le quali la Santa Sede si trova in amichevoli rapporti. E a particolare letizia si eleva il Nostro cuore nel potere, in questa prima enciclica indirizzata a tutto il popolo cristiano sparso nel mondo, porre in tal novero la diletta Italia, fecondo giardino della fede piantata dai prìncipi degli apostoli, la quale, mercè la provvidenziale opera dei Patti Lateranensi, occupa ora un posto d'onore tra gli stati ufficialmente rappresentati presso la sede apostolica. Da quei Patti ebbe felice inizio, come aurora di tranquilla e fraterna unione di animi innanzi ai sacri altari e nel consorzio civile, la «pace di Cristo restituita all'Italia»; pace, per il cui sereno cielo supplichiamo il Signore che pervada, avvivi, dilati e corrobori fortemente e profondamente l'anima del popolo italiano, a Noi tanto vicino, in mezzo al quale respiriamo il medesimo alito di vita, invocando e augurandoci che questo popolo, così caro ai Nostri predecessori e a Noi, fedele alle sue gloriose tradizioni cattoliche, senta sempre più nell'alta protezione divina la verità delle parole del Salmista: «Beato il popolo, che per suo Dio ha il Signore» (Sal 143,15).

Questa auspicata nuova situazione giuridica e spirituale, che quell'opera, destinata a lasciare una impronta indelebile nella storia, ha creato e suggellato per l'Italia e per tutto l'Orbe cattolico, non Ci apparve mai così grandiosa e unificatrice, come quando dall'eccelsa loggia della Basilica Vaticana Noi aprimmo e levammo per la prima volta le Nostre braccia e la Nostra mano benedicente su Roma, sede del papato e Nostra amatissima città natale, sull'Italia riconciliata con la chiesa, e sui popoli del mondo intero.




[SM=g1740771]  continua.......

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)