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[SM=g1740758] IL PURGATORIO NELLA RIVELAZIONE DEI SANTI

Visto: nulla osta alla stampa.

Torino 10 marzo 1946 Sac. Luigi Carnino, Rev. Del.

Imprimatur.
Can. Luigi Coccolo, Vic. Gen.


         http://it-it.abctribe.com/Disegni/Guide/Generiche/purgatorio(1).jpgINTRODUZIONE

Natura e valore delle rivelazioni private (1): Per rivelazione intendiamo la manifestazione di ve­rità, prima sconosciute. Se la manifestazione ha Iddio per autore, si ha la rivelazione divina.

Quando la rivelazione divina è fatta per il bene del­la Chiesa Universale, si dice pubblica; quando è fatta per l'utilità particolare di coloro a cui è rivolta, si dice Privata.

Rivelazioni private vi furono in tutti i tempi: la Chiesa, approvandole, non intende obbligare i fedeli a crederle, ma soltanto permette che siano pubblicate ad istruzione e a edificazione dei fedeli, e l'assenso ri­chiesto non è atto di fede cattolica, ma di fede umana, fondata sul fatto che esse sono probabili e piamente credibili (Benedetto XIV, De -sere. Dei beat., 1. 11, e 32, n. 11).

Per la pubblicazione di rivelazioni private è richiesta l'approvazione dell'autorità. ecclesiastica.

Le rivelazioni private possono avvenire in tre modi diversi: con visioni, con locuzioni soprannaturali, con tocchi divini.

Le VISIONI sunti percezioni soprannaturali di oggetti che l'uomo non può vedere naturalmente, e sono di tre specie sensibili (od anche corporali od oculari - appa­rizioni -), allorchè i sensi percepiscono una cosa reale naturalmente invisibile all'uomo: è ciò che accadde ai tre bimbi, nativi di Aljustrel, Lucia, Francesco e Giacinta, il 13 maggio 1917, quando prima un lampo, poi un altro li spaventarono, e finalmente videro tutti e tre, sopra un elce, una misteriosa Signora, dallo sguardo radioso, avvolta in un lembo di luce;

immaginative, quando è nell'immaginazione che Iddio produce la voluta impressione, e ciò nella veglia o nel sonno. Così accadeva a S. M. Maddalena de' Pazzi e a S. Francesca Romana di vedere il Purga­torio nelle sue divisioni, nei tormenti riservati alle anime, nella durata dell'espiazione, ecc. ;

intellettuali, allorchè la mente percepisce verità spirituali senza forme sensibili. Così la Beata Angela da Foligno ebbe la visione dei misteri della Somma Bontà, della Somma Bellezza, della Somma Giustizia, dell'Amore di Dio, di Dio nella tenebra, in cui vide Iddio con tanta evidenza e pienezza come nonmai.

Le LOCUZIONI sono manifestazioni del pensiero divino inteso dai sensi esterni o dagli interni o diretta­mente dall'intelletto. Quando i bambini di Fatima videro per la prima volta la Vergine, le parole di lei furono udite solo da Lucia e da Giacinta. Francesco vide, ma non udì nulla, Giacinta udì nel medesimo modo le parole di Lucia e dell'Apparizione.

I TOCCHI divini sono deliziosi sentimenti spirituali impressi nella volontà da una specie di contatto divino e accompagnati da viva luce intellettuale. " Mentre un giorno - racconta la beata Angela da Foligno nelle sue Mirabili Visioni e Consolazioni - ero in contem­plazione della croce di legno e dell'altra che vi faceva su il disteso corpo di Gesù Cristo, e gli occhi miei materiali si colmavano di questa vista, a un tratto, nell'anima mia, sentii accendersi una fiamma d'amore così fervente da ridondare, come una fiumana di leti­zia, su tutte le membra del corpo mio: Vedevo allora e sentivo Gesù Cristo abbracciare l'anima mia con quel braccio che fu per primo inchiodato sulla Croce, e ne provavo una gioia luminosa di una mai provata dolcissima verità. Fu così che conobbi e compresi in qual modo, in questa nostra carne mortale, si fac­cia l'unione con l'eternità di Dio. Da questa letifican­te, inenarrabile visione, da questa gioia durevole e chiara di evidentissima luce, mi venne tanta assicu­razione, tanta certezza di me stessa e di Dio, che non solo non posso avere alcun dubbio sulla elevazione, sulle visioni e sulle parole di Dio, per grazia sua concessemi; ma mi meraviglio come abbia potuto al­tra volta dubitare di queste divine ispirazioni. E se tutto il mondo mi dicesse di essermi ingannata, riterrei tutto il mondo nell'errore e me sola nella verità » (Op. cit. trad. L. Fallacara; Firenze 1926, pag. 121). Si danno delle regole per conoscere se una rivela­zione viene veramente da Dio o è prodotta da cause umane o naturali, o preternaturali ma non divine.

Premettiamo che abitualmente Dio sceglie per le sue rivelazioni persone particolarmente inoltrate per le vie della vita interiore, e che quindi l'indagine sulle qualità soprannaturali della persona che dice di aver avuto rivelazioni è la prima da farsi. Segue l'esame delle qualità naturali. E' persona fisicamente sana o affetta da malattie specialmente nervose? Il suo al­bero genealogico ha precedenti che possano far dubi­tare di vizi, di debolezze, di tare mentali, facilmente ereditabili? Per ciò che riguarda le sue capacità in­tellettuali, è normale, è esaltata, è ipersensibile? E’ priva di pregiudizi, è soggetta a illusioni? Moralmenate, è persona a posto, vi sono nella sua vita pre­cedenti che poco la raccomandano? E' sincera, calma, spassionata? E' umile ed obbediente, specialmente col direttore di spirito? Quale è il suo carattere?

Nei confronti poi della materia delle rivelazioni, per giudicare se sono veramente da Dio, occorre esami­nare se sono conformi alla fede e ai buoni costumi. Leggendo, p. e., relazioni di sedute spiritiche, accade di incontrare con tutta facilità quanto vi ha di più contrario alle verità della fede e alla morale cristiana.

Anche dagli effetti che le rivelazioni producono, si può trarre argomento per giudicare del loro valore. Le apparizioni di Lourdes non potevano produrre frutti migliori; le manifestazioni di Montefalco hanno attratto l'attenzione di numerosi fedeli sul bisogno che le anime del Purgatorio hanno di preghiere, e dove le manifestazioni ebbero luogo è stata inaugurata una cappella per il suffragio, divenuta ormai centro ar­dentissimo di pietà per le povere penanti ».

Diciamo, in ultimo, che non è escluso che una rivelazione, dall'esame delle circostanze che l'accom­pagnarono, risulti vera nella sostanza, ma contenga errori in qualche particolare: è l'elemento umano che si unisce al divino. Può trattarsi di errori scientifici propri dell'epoca della rivelazione, di errori storici, di pregiudizi di una data scuola di mistica, di un dato direttore di spirito, di false interpretazioni, ecc. Quel che interessa è la rivelazione, la verità della sua so­stanza.

Quale fede dobbiamo prestare alle rivelazioni Priva­te? La fede che meritano i loro testimoni e le circostanze ché l'accompagnarono. Trattandosi di Santi, la loro testimonianza è raccomandata dalla loro stessa santità, tuttavia nessuno esclude che essi talvolta si siano potuti ingannare. Quando poi i Santi non sono che testimoni indiretti - ciò che ci accadrà d'incon­trare qualche volta nel corso del nostro lavoro - noi non riponiamo la nostra fiducia in loro, che possono benissimo essere stati ingannati, ma nei testimoni che hanno loro riferito intorno a determinate rivelazioni.

Ai giorni nostri la critica è assai più severa che nel passato nel giudicare sul valore delle rivelazioni. Be­nedetto XIV, nel libro sulle Canonizzazioni, dettò re­gole precise sul modo di condurre le indagini e di vagliare i fatti, che rivestono caratteri straordinari. La Chiesa rimane in un rigoroso e savio riserbo, finchè i fatti non sono minutamente accertati, aspetta lungo, tempo prima di pronunziarsi, e non impone mai ai fedeli di accettare indiscutibilmente quei fatti, che ella permette solo che siano pubblicati.

A noi è richiesto il medesimo riserbo: non dobbia­mo essere dei faciloni, pronti a credere a chiunque dice di aver sentito, di aver veduto... Tuttavia quando la Chiesa permette la pubblicazione di certe rivelazio­ni, persuadiamoci che esse offrono argomenti di cre­dibilità tali, che possiamo prestar sicuramente la no­stra fiducia a chi asserisce di essere stato favorito da Dio di manifestazioni straordinarie.



CAPITOLO I

« NOVISSIMA TUA!... »


Sorella Morte

Eccoci al letto di un cristiano morente: la Chiesa gli ha già impartito l'ultima benedizione; per l'ultima volta ha sentito riposar sul suo cuore il Cuore san­tissimo di Gesù nel Sacramento dell'amore. Quel Dio che si era fatto amico di lui - e di quale amicizia! - fin da quando con la prima Comunione era disceso nel suo petto, sapendolo infermo ha lasciato il suo tabernacolo pervenire a visitarlo, e fra le mani del suo ministro ha percorso, inosservato le vie della città, ov­vero, seguito da pochi fedeli, gli aspri sentieri della campagna; ha fatto il suo ingresso in quella stanza funerea, trasformata per un momento in santuario, si è posato su quelle labbra che il soffio della morte ag­ghiaccerà fra brevi istanti, ed in un mistico ed intenso colloquio con la sua anima gli ha lasciato intravedere i misteri della vita avvenire e gli splendori della eter­nità beata. Indi l'estrema Unzione, come ad atleta che debba prepararsi alla pugna.

Intorno a quel letto i parenti mormorano a bassa voce parole e preghiere e se ne allontanano solo per dare sfogo alle lacrime. L'orecchio del morente è già stato ripercosso dal formidabile appello: - Parti adunque, o anima cristiana!... - Ed ecco all'improv­viso un movimento convulso scorrere per quel corpo irrigidito, ed un singhìozzo soffocato por fine al ran­tolo dell'agonia: esso ha esalato l'estremo sospiro morto.

Si sollevano allora da ogni parte i gemiti e i lamenti della famiglia, che si appressa a colui che or non è altro che un cadavere; gli vengono chiusi que­gli occhi che non si apriranno mai più fino al giorno dell'universale giudizio; gli vengono conserte le mani in attitudine di preghiera, e molte volte, per nascon­dere ai viventi l'orrore della morte, vien posto un velo su quel volto sfigurato; quindi gli amici e i vicini si allontanano tessendo l'elogio del defunto. Finalmente tutto piomba nel silenzio.

Questo è l'aspetto esteriore del gran dramma della morte, che per quanto ci possa sgomentare, non è davvero il più importante. Noi abbiamo considerato il defunto disteso sul letto funebre con le mani con­giunte, col Crocifisso sul petto, nell'attitudine così ben descritta da Lamartine, in quei suoi mirabili versi.

Dai sacri ceri ormai l'ultima fiamma guizzava, e il prete mormorava il canto sì dolce della morte, a lamentevole nenia simile, che la donna mormora al pargolo assopito. Di speranze la sua fronte le tracce serba ancora, e sul suo volto di beltà soave un raggio spira; il labile dolore la sua grazia v'impresse, e la severa sua maestate vi scolpì la morte.



Il Giudizio

Tutto questo per ciò che riguarda il corpo. Doman­diamoci adesso che cosa è accaduto dell'anima im­mortale ed incorruttibile, che poco fa l'informava. E’ questa e la questione veramente interessante per noi in questo studio del Purgatorio.

La Fede c'insegna che l'anima nell'istante medesi­mo in cui si è svincolata dal corpo è comparsa da­vanti al suo Giudice, e tutte le rivelazioni dei Santi ci confermano la verità del giudizio particolare, im­mediato e inappellabile. E siccome su tale argomento ci si presentano rnolte importanti questioni, cerchia­mo qui di studiarle e risolverle per ordine.

Ciò che sopra ogni altra cosa attrarrà l'attenzione, e farà fissare lo sguardo dell'anima, quel primo sguar­do misuratore dell'eternità, sarà la persona del Giu­dice. Dalla Sacra Scrittura apprendiamo che questo Giudice non sarà altro che Cristo. S. Giovanni ci dice che il Padre non giudicherà nessuno, avendo riser­vato al Figlio ogni giudizio: Pater non iudicat quem­quam, omne iudicium dedit Filio (Jo., 5, 22-23). Negli ­Atti degli Apostoli leggiamo che Cristo è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti: Constitutus est a Deo iudex vivorum et mortuorum (Act., 10,, 42). Ermete nel suo libro De Pastore, S. Gregorio Magno: nei suoi scritti, come pure S. Giovanni Damasceno, S. Giovanni Climaco, e in tempi a noi più ­vicini S. Geltrude, S. Lutgarda, S. Francesca Roma­na, S. Teresa e tutte le anime sante, alle quali Iddio ha fatto la grazia di contemplare i misteri dell'altra vita, ci confermano con le loro rivelazioni questa ve­rità di fede.

I teologi fanno questione se l'umanità di Cristo si manifesti visibilmente ad ogni anima, e su questo punto sono molto discordi. Il Card. Bona, nel suo, trattato De discretione spirituum, si esprime così “Alla fine del mondo comparirà Gesù Cristo nel suo corpo e nella sua gloria, quando verrà a giudicare i vivi e i morti; non è certo però se egli apparirà a cia­scun uomo in forma visibile, come taluni scrissero: Non è neppure accertato in qual maniera nostro Si­gnore compirà questo giudizio particolare di ciascun uomo; questo solo si sa che avverrà in un momento, in un batter d'occhio. Ed è perciò che un'apparizio­ne, dirò così, intellettuale di questo Giudice sovrano basterà a compiere tale giudizio” (Op. cit., cap. 20).

- Da ciò risulta che il sapiente Cardinale esita di pro­nunziarsi, quantunque evidentemente propenda per la sentenza negativa. Non mancano tuttavia teologi di merito i quali ritengono che il divin Maestro si sveli a ciascuno nella verità della sua carne trasfigurata e gloriosa, ed avvalorano la loro opinione con ragioni molto plausibili. Tuttavia qualunque sia il modo col quale il divin Salvatore si rivela all'anima, è certo. che nel momento stesso in cui gli occhi del corpo, si chiudono alla luce di quaggiù, lo sguardo dell'anima s'illumina ed intuisce e contempla l'adorabile figura di Cristo, suo Giudice.

Tutto questo ci porta a domandare dove si faccia il giudizio. La risposta è facile: il giudizio si farà in quel luogo medesimo in cui l'anima si separa dal corpo. Che bisogno infatti avrebbe questa di andare lungi di là, a cercare il tribunale che la dovrà giudi­care? La terra è del Signore, dice la Scrittura; ed egli riempie il mondo con la sua presenza. Ciò che a noi impedisce di vederlo, limitati come siamo, sono le mura di questa prigione di carne, che ci circonda, ma nell'ora della morte il velo che ci nascondeva le invisibili realtà si squarcia, e l'anima si trova allora immediatamente sotto lo sguardo del Giudice: Quale istante e quale sgomento sarà mai quello! Avrà luogo allora quel tremendo giudizio, il cui solo pensiero faceva tremare gli anacoreti nelle spelonche dei deserti. Allora l'anima con un solo sguardo abbraccerà tutti e singoli i suoi atti, con tutte le circostanze che li ac­compagnarono, dovendo rendere stretto conto di tutto, persino di una parola inutile, sia pure obliata. Chi potrebbe credere a tanta rigorosa esattezza, se la stessa eterna Verità non ce lo avesse avvertito? Omne verbum otiosum quod locati fuerint homines, reddent de eo rationem in aie iudicii (Matth., 12, 36).

E in qual modo potrà l'anima abbracciar con un solo sguardo il complesso degli atti di tutta quanta la vita? Essa li vedrà nella intelligenza infinita di Dio, al raggio di quel sole di verità, che tutti glie li rischiarerà e che non glie ne lascierà sfuggire alcuno. Al lume di quella luce divina leggerà quel libro, dove tutto è notato, e che le sarà posto sotto lo sguardo.

Liber scriptus proferetur In quo totum continetur Unde mundus iudicetur.

Vi riscontrerà ciascuna delle sue azioni, con tutte le circostanze da cui furono accompagnate, e ne mo­dificarono più o meno la moralità.

Il Giudice chiederà stretto conto di tutto: Redde: rationem villicationis tuae, iam enim non poteris vil­licare (Luc., 16-2). Il tempo del merito e del demerito è passato, la prova è finita, irrevocabilmente fi­nita. - Redde rationem Rendete conto di tutti i vo­stri peccati: io ero là presente quando voi li commet­tevate; io tutto vidi, poichè nulla mi si poteva celare i peccati contro Dio, i peccati contro il prossimo, i peccati contro voi stessi, i peccati contro i doveri del vostro stato, contro i vostri obblighi particolari... –­ Oh! qual cumulo immenso di peccati, dal primo che commettemmo quando incominciò a rischiararsi il lu­me della ragione, fino all'ultimo che commetteremo forse anche sul nostro letto di morte, nel momento di comparire alla presenza del divin Giudice! S. Agosti­no, nelle sue immortali Confessioni, si accusa di colpe che dice di aver commesso in tenerissima età. Tantil­lus puer et tantus peccator! E perchè non dovrà escla­marsi col Profeta, che il numero delle nostre iniquità sorpassa di molto quello dei capelli del nostro capo? iniquitates meae multiplicatae sunt super capillos ca­pitis mei (Ps., 37, 4)­

- Redde rationem. Rendete conto del bene che avreste dovuto fare e che non avete fatto. - Un sa­cerdote trovavasi sul letto di morte, e il suo confessore cercava invano di eccitarlo alla confidenza in Dio, par­landogli del bene che aveva fatto durante la vita, e delle anime che si era studiato di salvare. – Ahimè! - gridava il morente, con voce accorata - perché non mi parlate del bene che io avrei dovuto fare, che potevo fare, e che non ho fatto? - Sì, al tribunale di Dio, contrariamente a quel che avviene qui in ter­ra, al reo si chiede conto anche di quel che non ha fatto di bene, e che pure avrebbe dovuto fare. Iddio porrà da un lato tutte le grazie concesse all'anima: il battesimo, l'istruzione cristiana, le confessioni, le co­munioni, i buoni pensieri, gli ammonimenti, tanta fa­cilità di compiere il bene; e porrà dall'altro lato le nostre opere, e guai allora a colui le cui opere non corrisponderanno alle grazie ricevute, poichè molto sarà domandato a chi molto fu dato.

Ci sarà chiesto conto perfino del bene che abbiamo fatto, ma che non abbiamo fatto così bene come avremmo dovuto. - Vediamo un po' queste pretese virtù, delle quali andavate tanto superbo durante la vita. Oh! quanta lega è mescolata a quest'oro! - I farisei facevano opere buone, ma siccome agivano uni­camente per piacere agli uomini e per acquistarsi fama di virtuosi, il Signore disse di loro: Receperunt mercedem suam... (Matth., 6, 2): hanno ricevuto la loro mercede. Quanti atti virtuosi nel loro oggetto, saranno parimenti degni di disprezzo innanzi a Dio, per­ché compiuti in circostanze cattive, con tiepidezza o per mera abitudine, o perchè fatti di contrattempo, o alla sfuggita, o accompagnati da pensieri di vana compiacenza.

Eppure ancora non è detto tutto. Che sono infatti quelle voci che salgono dall'abisso? Son le voci di coloro che furono un giorno scandalizzati; sono le grida del sangue. - Giustizia e vendetta - gridano i dannati dal fondo dell'inferno - giustizia e vendetta contro quel padre e quella madre, la cui negligenza ci ha lasciato crescere nel vizio e ci ha fatto piombare quaggiù; giustizia e vendetta contro quell'amico, che ci ha messo a parte dei suoi colpevoli piaceri e che perciò deve partecipare ai nostri supplizi; giustizia e, vendetta contro quel miserabile, i cui empi discorsi ci impedirono di convertirci e di salvarci; ah! per sua colpa siamo dannati alle pene di questo carcere perpetuo: e dovrà egli forse salite al cielo, mentre noi bruciamo quaggiù nelle fiamme eterne? - Ahimè! che risponderà allora quella povera anima a tali for­midabili accuse? E non ne avrà ella abbastanza del pesante fardello delle sue colpe, perchè debba cari­carsi di quelle degli altri?

Ecco delineato il giudizio di Dio, tal quale avverrà per ciascuno di noi; ed è questo che fece provare ai Santi angoscie estreme e praticar loro le più rigide pe­nitenze; le storie delle loro vite ridondano di rivela­zioni sul rigore dei giudizi di Dio.

Si legge nelle vite dei santi Padri che un religioso, per nome Stefano, venne trasportato in ispirito al tri­bunale di Dio. Era egli ridotto in agonia sul suo letto di morte, quando eccolo turbarsi improvvisamente e rispondere ad un interlocutore invisibile. I suoi fratelli di religione, che circondavano il letto, ascoltavano­con terrore queste sue risposte: - Fedi, è vero, tale azione, ma mi imposi poi tanti anni di digiuno. - Io - non nego quel tal fatto, ma l'ho pianto per tanti anni. Ancor questo è vero, ma in espiazione ho servito il mio prossimo, per tre anni continui. - Indi, dopo, un momento di silenzio, esclamò: Ah! su questo non ho nulla a rispondere; voi giustamente mi accusate, e non ho altro per mia difesa che raccomandarmi, alla misericordia infinita di Dio. - S. Giovanni Climaco, che riferisce questo fatto, di cui fu testimone oculare ci fa sapere che questo religioso aveva vissuto qua­rant'anni nel suo monastero, aveva il dono delle lingue e molti altri privilegi, avanzava di gran lunga gli altri monaci per la esemplarità della sua vita e pei rigori delle sue penitenze; e conchiude con queste pa­role: Me infelice! che cosa mai diverrò, e qual cosa potrò sperare io sì meschino, se il figlio del deserto e della penitenza trovasi privo di difesa dinanzi a poche colpe leggere? Egli che ha passato una lunga serie di anni fra le austerità e la solitudine, egli ar­ricchito da Dio di privilegi e di doni straordinari, ab­bandona questa vita lasciandoci nella incertezza della sua eterna salute!l...

Ma forse, dirà qualcuno per confortarsi, non si sarà trattato in questo caso che di una visione intellettuale, e i terrori di quel buon monaco sul giudizío di Dio si potrebbero ritenere come effetto della sua immagi­nazione riscaldata dalaa febbre. Ad ovviare a questa difficoltà riferirò la storia della venerabile Angela To­lomei, religiosa domenicana e sorella del beato Gio­vanni Battista Tolomei.

Era ella cresciuta di giorno in giorno in virtù, e per la sua fedeltà nel corrispondere alla grazia divina era giunta ad un alto grado di perfezione, quando si am­malò gravemente. Il suo fratello, ricco egli pure di meriti innanzi a Dio, non poté con tutte le sue fervo­rose preghiere ottenerne la guarigione; ricevette ella perciò, con commovente pietà, gli ultimi Sacramenti, e poco prima di spirare ebbe una visione, nella quale osservò il posto che le era riservato in Purgatorio, in punizione di alcuni difetti che non erasi abbastanza studiata di correggere durante la vita; in pari tempo le furono manifestati i diversi tormenti che le anime soffrono laggiù; quindi spirò raccomandandosi alle preghiere del suo santo fratello. Mentre il cadavere veniva trasportato alla sepoltura, il beato Giovanni Battista, appressandosi al feretro, ordinò alla sorella di alzarsi, ed ella, quasi risvegliandosi da un sonno profondo, ritornò con strepitoso miracolo in vita. Nel tempo che proseguì a vivere sulla terra, quell'anima santa raccontava sul giudizio di Dio tali cose da far fremere di terrore, ma ciò che più di tutto confermò la verità delle sue parole fu la vita che menò, poìchè spaventevoli erano le sue penitenze, avendo perfino inventato nuovi segreti, oltre alle comuni penitenze, per martoriare il suo corpo. Leggiamo che durante l'inverno era solita tuffarsi fino al collo in uno stagno gelato, ove rimaneva per lungo tempo recitando il sal­terio; talvolta bruciava di proposito le sue povere carni, finché il suo corpo diveniva oggetto di orrore e di pietà. E poichè di ciò veniva talvolta ripresa e biasimata, avida com'era di umiliazioni e di contra­rietà, non se la prendeva affatto, ed a coloro che la rimproveravano, rispondeva: - Oh! se conosceste il rigore dei giudizi di Dio, non parlereste così! E che è mai quel che io faccio in confronto dei tormenti ri­servati nell'altra vita alle infedeltà che qui in terra osiamo commettere verso il nostro Creatore? Che è mai, che è mai ciò che io faccio, mentre dovrei fare cento volte di più? - Dopo alcuni anni di così orri­bili penitenze, la serva di Dio fu chiamata dal celeste Sposo all'altra vita, vivo lasciando tra le sue conso­relle il ricordo di sè, delle sue parole e delle sue penitenze.

Ciò che è da osservare in questa storia è che non si tratta di un peccatore che muore in disgrazia di Dio, ma di una fervente religiosa, tutta dedita ai do­veri del suo stato, e che per alcune imperfezioni di nessuna gravità secondo il giudizio degli uomini, subì i rigori del giudizio di Dio. Ahimè! se i giusti sono trattati in tal guisa, che cosa accadrà di noi pecca­tori?

Sono dunque tremendi i giudizi divini! E pensare che ad ogni battito del nostro cuore si rinnova la grande scena: anime ed anime si presentano al trono di Sua Divina Maestà per essere giudicate! Se pen­sassimo a ciò saremmo presi da immensa compassio­ne, e pregheremmo con fervore per tanti infelici che stanno per comparire davanti al loro Giudice.. Ma purtroppo. non vi pensiamo e continuiamo a vivere come se tanti nostri fratelli non ci chiedessero il soccorso delle nostre preghiere. Un giorno saremo anche noi sul letto della nostra agonia e allora sarà spesa per noi la medesima moneta che noi spendemmo per gli altri, saremo pagati con la medesima indifferenza. Adottiamo la santa abitudine di pregare per gli agonizzanti, affinchè un giorno vi sia chi preghi per noi in quell'ora tremenda nella quale tanto ne avremo bisogno.



La difesa

A questo punto sorge spontanea la domanda se nel­l'ora del giudizio l'anima si trovi sola davanti al suo Giudice, ovvero gli spiriti celesti siano presenti a quel­l'atto. Non v'è dubbio che l'Angelo custode accompa­gni ed assista l'anima, sulla quale vegliò durante la vita, come non è escluso che anche il demonio si trovi presente a quell'atto. Nelle rivelazioni di Santa Brigida si legge di un soldato pio e caritatevole, ma tut­tavia non immune da colpe. L'anima di costui com­parve, dopo morto, al tribunale di Dio: era alla sua destra l'Angelo custode in qualità di avvocato, ed alla sinistra il demonio accusatore. Grazie alla devozione avuta per la Vergine, il soldato era morto in grazia di Dio, e a nulla valsero le accuse del maligno (Santa Brigida; Riv., libro Vi, cap. 35).

Una celebre visione, scolpita sulla tomba di S. Dionigi in Francia, ci mostra il re Dagoberto condotto dai demoni all'inferno e strappato dagli artigli dei medesimi dai Santi Martiri Dionisio e Maurizio, coa­diuvati dal glorioso pontefice San Martino. Verso codesti Santi Dagoberto aveva avuto infatti una parti­colare devozione ed in loro onore aveva costruito son­tuose basiliche.

Quanto all'intervento della Vergine, molte sono le rivelazioni avute dai Santi, e qui basterà riferire quanto racconta Sant'Alfonso de' Liguori nella Parafrasi della Salve Regina. Una santa religiosa, per nome Suor Caterina e S: Agostino, aveva la bella abitudine dì pregare per tutti i defunti da lei conosciuti su questa terra. Or nel suo paese viveva una donna di cattivi costumi, per nome Maria, i cui scandali erano tali che gli abitanti del vicinato, indignati dalla sua condotta, la caccia­rono dal paese. Ella si diede allora alla vita dei bo­schi, e dopo qualche mese morì senza assistenza e senza sacramenti. Il suo corpo fu trattato come quello di una bestia e sepolto in un campo, senza una pre­ghiera. Nessuno dubitava che quella vecchia pecca­trice, dopo una simile fine, fosse immediatamente per­duta, e per conseguenza nessuno pregava per lei, nep­pure Suor Caterina. Passarono così quattro anni, alla fine dei quali la pia religiosa vide un giorno un'ani­ma del Purgatorio, che gemendo le disse: - Quanto sono infelice, Suor Caterina! Voi che avete il pio co­stume di raccomandare al Signore tutti i conoscenti trapassati, per me sola non pregate. - E chi siete? - domandò la suora. - Io sono la povera Maria, che morì abbandonata nella grotta. – Come, voi siete salva? - Si, io sono salva per intercessione della Vergine, allorchè mi vidi presso a morire, sola e sen­za aiuti, considerando il numero e l'enormità dei miei peccati, mi rivolsi con fiducia alla Madre dì Dio, di­cendole: O mia Regina, voi che siete il rifugio dei peccatori e dei derelitti, vedete in questo momento il mio supremo abbandono e venite in mio aiuto; voi siete l'unica mia speranza, voi sola potete soccorrer­mi. La Vergine santissima esaudì le mie preghiere e mi ottenne la grazia di una perfetta contrizione, sic­chè morendo fui salva. Ma la divina Madre non li­mitò a questo le sue misericordie, poichè quando fui al divino giudizio, mi ottenne dal suo Figlio divino che il mio purgatorio fosse notevolmente abbreviato, e siccome la giustizia di Dio non può nulla cedere al suoi diritti, così volle che soffrissi in intensità quel che avrei dovuto soffrire di più in durata. In questo momento non ho più bisogno che di qualche Messa, e appena queste saranno celebrate, io verrò liberata dalle mie pene. Siate dunque pietosa verso di me fa­cendornele applicare, ed io vi prometto che quando sarò in cielo non cesserò di pregare Iddio e la Vergine Santa per voi. - Suor Caterina si affrettò a far cele­brare le Messe implorate da quell'anima, e pochi gior­ni dopo la vide salire al cielo e ringraziarla della sua carità.

Questi esempi da noi riportati sono, è vero; convin­centi, ma posti a riscontro con gli insegnamenti della teologia non si può fare a meno di sentirsi scemare quella fiducia, che sembrerebbe dovessero ispirare. È certo che la sorte eterna dell'uomo è irrevocabilmente fissata nel punto della sua morte, e chi credesse che le preghiere dei vivi e l'intercessione della Vergine e dei Santi possano ottenere la salvezza a colui che muo­re in peccato mortale, s'ingannerebbe. Bisogna perciò interpretare le visioni or ora riferite e quelle dello stesso genere, come una espressione simbolica delle grazie ottenute per intercessione dei Santi al peccatore moribondo per condurlo alla penitenza e alla salute.



La sentenza

Non bisogna poi figurarsi questo giudizio come se si svolgesse gradatamente, in un ordine successivo, come nei tribunali di questa terra. La imperfezione della intelligenza umana non può arrivare che passo passo e per una serie di investigazioni alla conoscenza della verità, ma alla luce divina le cose vanno ben diversamente. « Un batter d'occhio »: In ictu oculi e la causa sarà bell'ascoltata. Non vi sarà bisogno di testimoni; perchè il giudice stesso era presente allor­ché furono commesse le colpe; non vi sarà bisogno dell'interrogatorio, poichè un solo sguardo basterà al­l'anima per rivedere tutte e singole le azioni della sua vita, tutte le sue colpe e tutti i suoi meriti, tutto ciò che servirà a condannarla e ciò che varrà ad assol­verla; non vi sarà bisogno di difesa: sarebbe inutile ogni tentativo per commuovere la persona del Giudi­ce. La sentenza sarà in relazione dello stato dell'ani­ma giudicata: Iddio non si lascia commuovere come gli uomini, egli agisce in base alla sua infinita giu­stizia ed ai suoi eterni decreti, e come ad una data misura di meriti sarà attribuito un dato grado di glo­ria, così ad una data misura di colpe sarà assegnato un grado corrispondente di castigo, sicchè l'anima nel momento stesso che conoscerà il suo stato, cono­scerà pure la sua sentenza.

Questa sentenza sarà differente secondo i vari stati in cui si troveranno le anime in punto di morte: Per colui che muore in peccato mortale, Iddio pronunzierà la sentenza dei reprobi: - Va, maledetto, nel fuoco eterno preparato per satana e per gli angeli ribelli. Tu preferisti obbedire a lui sulla terra, va dunque, mise­rabile, a partecipare dei suoi supplizi nell'inferno. -

Mentre a colui che muore nello stato di grazia, e che non ha da subire alcuna espiazione per i falli pas­sati, sarà riservata la parola dell'amore e della beati­tudine: - Coraggio - gli dirà il Signore, coraggio, servo buono e fedele, fosti fedele nel poco, ed ora ti pongo in possesso di un bene molto più grande: vieni a gustare la gloria del tuo Signore. -

Finalmente coloro che morendo bensì nello stato di grazia, hanno ancora macchie di peccati veniali, o non hanno espiato abbastanza le colpe passate, con le pa­role dell'amore udiranno che l'ingresso al Paradiso è differito: - Povera anima; dirà il Signore, un giorno tu godrai della mia gloria, poichè sei cara al mio cuo­re; ma siccome non sei ancora perfettamente pura, va a purificarti nel fuoco espiatore; la durata dei tuoi pa­timenti sarà proporzionata al numero e alla gravità dei tuoi falli. -



Il numero degli eletti

A questo punto è necessario trattare brevemente in merito alla questione del numero degli eletti, questio­ne grave e interessante, che tanto da vicino ci tocca, che fu sempre discussa e sempre rimase insoluta. « E' una questione, scrive il Faber (Il Creatore e la creatura, Parte III, cap. II), ché è un segreto di Dio, un segreto del supremo Giudice, un segreto che l'Altissimo ha riservato tutto a se stesso, ma nella quale egli permette che ci addentriamo solo nella speranza di trovare qualche nuova traccia dello sconfinato amore di Dio ». Dopo tutte le nostre supposizioni, le nostre congetture, le nostre induzioni, la verità sarà sempre, come prima, nascosta in Dio.

Numerosi teologi di grande autorità sono del pa­rere che il numero dei reprobi superi quello degli elet­ti; altri teologi, pure di indiscussa autorità, ritengono il contrario. Cornelio a Lapide riferisce che la mag­gior parte dei teologi che vivevano a Roma ai suoi tempi, riguardando al rilassamento generale dei costu­mi nella loro epoca, sostenevano l'opinione più seve­ra. Mentre i teologi più recenti pare che propendano per l'interpretazione più benigna. Gli argomenti addotti sono solidi da ambo le parti, afferma il Billuard (De Cert. praed., disp. IX, art..7).

Le prove della Sacra Scrittura assicurano il trionfo completo e nella forma più esplicita della opinione più benigna. E i rigoristi, a dire il vero, par che su­dino abbastanza nel tentare di ritorcere queste prove in loro favore (Faber, Op. cit.).

A proposito delle parabole evangeliche addotte co­me prova da ambo le parti, il Bergier si esprime in questo modo: «Se le parabole del Vangelo si possono addurre come prove, noi dovremmo concludere che è la maggioranza e non la minoranza che si salva. Gesù Cristo paragona la separazione dei buoni dai cattivi; nel giudizio finale, alla separazione del buon grano dalla zizzania; ora in un campo ben coltivato la zizza­nia non è' mai più abbondante del grano. La paragona ancora alla scelta tra i pesci buoni e i pesci cattivi; ora qual mai pescatore fu mai tanto disgraziato da pescare più pesci cattivi che pesci buoni? Delle dieci vergini invitate alle nozze, cinque sono ammesse alla festa insieme allo Sposo. Nella parabola dei talenti, due servi sono premiati, uno solo è punito; in quella del festino, di tutti gli invitati uno solo è scacciato » (Bergier, Traíté de la vraie Religion; t. x, pag. 356).

Coloro che sostengono l'opinione più severa sembra che si lascino sopraffare dalla considerazione del male nel mondo e della giustizia divina nei suoi confronti, senza riflettere abbastanza

a) che gli uomini furono creati per un piano di sconfinata misericordia e di sapienza divina, il quale sembrerebbe destinato a fallire, qualora il numero de­gli eletti non superasse quello dei reprobi;

b) che per dare nuovo assetto ai disegni di Dio, sconvolti dal peccato, Iddio stesso non solo si è fatto uomo, ma ha lavato il mondo col suo Sangue prezio­so, ed è morto aprendo le braccia sulla croce e implorando il perdono del Padre perfino sui suoi crocifis­sori ;

e) che fiumi di grazie si riversano continuamente sugli uomini, dopo il sacrificio del Calvario, in tutte le epoche della loro vita, in tutti i luoghi;

d) che insieme a tanto male, che del resto colpi­sce la nostra fantasia assai più del bene, c'è tra gli uomini molto bene; ci si fermi a considerare anche soltanto il bene fatto in seno alla Chiesa, ove per la comunione dei Santi le opere buone tornano a van­taggio di tutti.;

e) che gli uomini, se hanno un inferno che li at­tende nella vita futura, qualora se ne rendano meri­tevoli, hanno altresì la loro fornace di fuoco in questa vita, ove, volenti o nolenti, pagano un tributo di espiazione alla inesorabile giustizia divina. Che tanto fuoco e tanto sangue abbiano uno scopo ristretto nel tempo, nessuno riuscirebbe mai a farcelo comprendere. Non è raro il caso in cui gli uomini fanno insieme il male e la penitenza;

f) che la responsabilità morale degli uomini più spesso che non si creda è assai limitata. Le azioni degli uomini sono spesso assai più perverse del cuore che le commette » (Faber). Fu scritto che nessuno è tanto santo e tanto perverso come la dottrina che pro­fessa. Gesú, che meglio di tutti conosceva il cuore degli uomini, dopo aver implorato il perdono di Dio sui suoi crocifissori, aggiungeva: Non enim sciunt quid faciunt (Luc., 23, 34). Non è raro il caso di rimanere sorpresi per l'ignoranza di persone che frequentano la chiesa e i sacramenti, immaginiamo ciò che deve essere di quelli che sono sempre stati lontani dalla chiesa o non hanno avvicinato i sacerdoti che in cir­costanze rarissime; e ciò senza loro colpa. Special­mente ai giorni nostri, questi ultimi sono moltissimi. E ammirabile lo zelo del Clero per penetrare nelle officine, nelle miniere, nei cantieri, nelle industrie, nonostante le gravi difficoltà... Un numero enorme di creature umane, senza colpa o quasi, vive completa­mente lontano dalla vita e dai problemi dello spirito.

Noi rimaniamo impressionati, ed a ragione, ma Iddio che tutto conosce, giudica molto diversamente da noi;

g) che oltre all'Inferno c'è un Purgatorio, accesa per gli uomini dalla divina giustizia.

Confortiamoci perciò con la visione dell'Apostolo, che, trasportato dalla potenza divina nel regno degli eletti, racconta di aver veduto una infinita moltitudine di beati, di tutte le genti e tribù e popoli e lingue, stanti dinanzi al trono e all'Agnello, vestiti di bianche stole, con palme nelle loro mani, cantanti: Salute al nostro Dio che siede sul trono, e all'Agnello (Apoc, 7, 9, 10).

Tuttavia la grande maggioranza di quelli che si sal­vano, si ferma in Purgatorio. Ciò è ammesso da tutti, dottori e mistici. Nella vita di S. Teresa leggiamo “Osserverò solo - è la Santa che parla - che di tante anime elette da me conosciute in vita, ne ho viste tre sole volare direttamente al cielo senza passare pel Purgatorio: quella del religioso di cui ho parlato nel di­scorso di questo libro, quella del venerabile Pietro d'Alcantara e quella del padre Domenicano rammen­tato più sopra (si tratta del P. Pietro Ybanez, uno dei suoi confessori). Quando si pensi al gran nu­mero di visioni che la Santa ebbe sul Purgatorio du­rante la sua vita, e alla quantità di anime sante che fiorivano allora nella Chiesa di Dio, questa testimo­nianza della Santa ci dispensa da ogni ulteriore ricerca. Ma c'è di più: noi vediamo che gli stessi Santi ca­nonizzati dalla Chiesa non vanno sempre esenti dalle pene del Purgatorio. Si legge nelle opere di S. Pier Damiani che San Severino, Arcivescovo di Colonia, quantunque fosse stato in vita pieno di zelo apostolico e adorno di straordinarie virtù, dovette tuttavia rima­nere per qualche tempo in quel luogo di pene.

La storia riferita da S. Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (Libro IV, cap. 40) circa il santo Diacono Pascasio è davvero, stranissima, poichè dopo la morte di costui, la sua dalmatica distesa sul feretro avendo operato molti miracoli, non c'era dubbio che egli si dovesse trovare tra i beati comprensori del cielo; ep­pure come rivelò egli stesso a S. Germano di Capua, gli rimaneva da fare una lunga espiazione in Purga­torio.

Dopo tutto questo chi potrebbe mai lusingarsi di sfuggire a quella pena? Approfittiamo almeno delle sofferenze della vita presente offrendole a Dio in espia­zione delle nostre colpe, onde voglia il Signore mise­ricordioso abbreviare il nostro soggiorno nel carcere tremendo del Purgatorio.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)