00 07/06/2013 13:17

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

HAURIETIS AQUAS

SULLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ

 

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari locali
che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

«Voi attingerete con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore »(1). Queste parole, con le quali il profeta Isaia simbolicamente preannunziava le molteplici e abbondanti benedizioni di Dio, che l’era messianica avrebbe apportato, spontanee ritornano sulle Nostre labbra, allorché diamo uno sguardo ai cento anni che sono trascorsi da quando il Nostro Predecessore di imm. mem. Pio IX, ben lieto di assecondare i voti del mondo cattolico, si compiaceva di estendere e rendere obbligatoria per la Chiesa intera la Festa del Cuore Sacratissimo di Gesù.

Innumerevoli, infatti, sono le grazie celesti che il culto tributato al Cuore Sacratissimo di Gesù ha trasfuso nelle anime dei fedeli; grazie di purificazione, di sovrumane consolazioni, di incitamento alla conquista di ogni genere di virtù.

Noi pertanto, memori della sapientissima sentenza dell’apostolo S. Giacomo: « Ogni donazione buona e ogni dono perfetto viene dall’alto e scende dal Padre de’ lumi »(2), a buon diritto possiamo scorgere in questo culto, divenuto ormai universale e ogni giorno sempre più fervoroso, il dono che il Verbo Incarnato, nostro Salvatore divino e unico Mediatore di grazia e di verità tra il celeste Padre e il genere umano, ha fatto alla Chiesa, sua mistica Sposa, in questi ultimi secoli della sua travagliata storia. Grazie a questo dono d’inestimabile valore, la Chiesa può agevolmente manifestare l’ardente carità che essa nutre verso il suo Divin Fondatore e corrispondere in più larga misura all’invito che l’evangelista S. Giovanni riferisce come rivolto da Gesù Cristo stesso: « Nell’ultimo gran giorno della festa, Gesù levatosi in piedi, diceva ad alta voce: “ Chi ha sete, venga da me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, dal ventre di Lui sgorgheranno torrenti d’acqua viva ”. Ciò Egli disse dello Spirito che dovevano ricevere i credenti in Lui(3). Agli uditori di Gesù non fu certamente difficile cogliere in quelle sue parole, che contenevano la promessa di una sorgente di «acqua viva » che sarebbe scaturita dal suo seno, una chiara allusione ai vaticini con i quali i profeti Isaia, Ezechiele e Zaccaria predicevano l’avvento del Regno Messianico, come pure alla tipica pietra che, percossa dalla verga di Mosè, versò acqua in abbondanza(4).

La carità divina ha in realtà la sua principale sorgente nello Spirito Santo, ch’è Amore personale sia del Padre che del Figlio in seno all’augustissima Trinità.

Ben a ragione quindi l’Apostolo, quasi facendo eco alle parole di Gesù Cristo, attribuisce allo Spirito Santo l’effusione della carità nell’animo dei credenti: « La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato »(5).

Questo strettissimo nesso, che secondo le parole della S. Scrittura intercorre tra la carità che deve ardere nei cuori dei cristiani e lo Spirito Santo, ch’è Amore per essenza, ci manifesta in modo mirabile, Venerabili Fratelli, l’intima natura stessa di quel culto che è da tributarsi al Cuore Sacratissimo di Gesù. Se è vero, infatti, che questo culto, considerato nella sua propria essenza, è un atto eccellentissimo della virtù di religione, cioè un atto di assoluta e incondizionata sottomissione e consacrazione da parte nostra all’amore del Redentore Divino, di cui è indice e simbolo quanto mai espressivo il suo Cuore trafitto; è vero parimente, ed in un senso ancora più profondo, che tale culto è il ricambio dell’amore nostro all’Amore Divino. Poiché soltanto per effetto della carità si ottiene la piena e perfetta sottomissione dello spirito umano al dominio del Supremo Signore, allorché cioè gli affetti del nostro cuore in tal modo aderiscono alla divina volontà da formare con essa quasi una cosa sola, secondo che è scritto: « Chi aderisce al Signore forma un solo spirito con Lui »(6).

I

Ma, mentre la Chiesa ha sempre tenuto in alta considerazione il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, così da favorirne in ogni modo il sorgere e il propagarsi in mezzo al popolo cristiano, non mancando altresì di difenderlo apertamente contro le accuse di Naturalismo e di Sentimentalismo; è da lamentare che non uguale onore e stima, sia nei tempi passati che ai giorni nostri, questo nobilissimo culto gode presso alcuni cristiani e talvolta anche presso alcuni di coloro, che pur si dicono animati da sincero zelo per gli interessi della religione cattolica e per la propria santificazione.

« Se tu conoscessi il dono di Dio »(7). Ecco, Venerabili Fratelli, il paterno monito che Noi, chiamati per divina disposizione ad essere custodi e dispensatori del tesoro di fede e di pietà, che il divin Redentore ha affidato alla sua Chiesa, Ci sentiamo in dovere di rivolgere a tutti quei Nostri figli; i quali, nonostante che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, trionfando degli errori e della indifferenza degli uomini, abbia pervaso il Mistico Corpo del Salvatore, nutrono ancora dei pregiudizi a riguardo e giungono persino a ritenerlo meno rispondente, per non dire dannoso, alle necessità spirituali più urgenti della Chiesa e dell’umanità nell’ora presente.

Taluni, infatti, confondendo o equiparando l’indole primaria di questo culto con le varie forme di devozione che la Chiesa approva e favorisce, ma non prescrive, lo stimano quasi come alcunché di superfluo, che ciascuno può praticare o no a suo arbitrio; altri, poi, stimano che questo stesso culto sia oneroso e di nessuno o ben modesto vantaggio specialmente per i militanti del Regno di Dio, preoccupati soprattutto di consacrare il meglio delle loro energie spirituali, dei loro mezzi e del loro tempo alla difesa e alla propaganda della verità cattolica, alla diffusione della dottrina sociale cristiana e all’incremento di quelle pratiche e opere di religione, che giudicano molto più necessarie per i tempi nostri; vi sono inoltre alcuni, i quali anziché riconoscere in questo culto un mezzo efficacissimo per l’opera di rinnovamento e di progresso dei costumi cristiani, sia degli individui che delle famiglie, vi vedono una forma di devozione pervasa piuttosto di sentimento che di nobili pensieri ed affetti, e perciò più confacente al femmineo sesso che alle persone colte.

Vi sono anche altri, i quali, ritenendo questo culto come troppo vincolato agli atti di penitenza, di riparazione e di quelle virtù che stimano piuttosto « passive », perché prive di appariscenti frutti esteriori, lo giudicano senz’altro meno idoneo a rinvigorire la spiritualità moderna, cui incombe il dovere dell’azione aperta e indefessa per il trionfo della fede cattolica e la strenua difesa dei costumi cristiani, in mezzo ad una società inquinata di indifferentismo religioso, incurante di ogni norma discriminatrice del vero dal falso nel pensiero e nell’azione, ligia ai princìpi del materialismo ateo e del laicismo.

Come non vedere, Venerabili Fratelli, lo stridente contrasto tra simili opinioni e le pubbliche attestazioni di stima per il culto al S. Cuore di Gesù, professate dai Nostri Predecessori su questa cattedra di verità? Come giudicare inutile o meno adatta per l’epoca nostra quella forma di pietà, che il Nostro Predecessore di imm. mem. Leone XIII non esitò a definire: « pratica religiosa encomiabilissima »; e nella quale additava il rimedio a quegli stessi mali, individuali e sociali, che anche oggi, e indubbiamente in modo più vasto ed acuto, travagliano l’umanità? « Questa devozione, che a tutti consigliamo, asseriva Egli, sarà a tutti di giovamento ». Ed inoltre, aggiungeva questi ammonimenti ed esortazioni, che ben si addicono anche al culto verso il Cuore sacratissimo di Gesù: « Di fronte alla minaccia di gravi sciagure che già da molto tempo sovrasta, è urgente che si ricorra, per scongiurarle, all’aiuto di colui che soltanto, ha la potenza per allontanarle. E chi altri potrà essere costui, se non Gesù Cristo. l’Unigenito di Dio? Poiché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’essere salvati »(8). « A Lui dunque si deve ricorrere, che  è via, verità e vita »(9).

Né meno degno di encomio e giovevole per fomentare la pietà cristiana riconosceva essere questo culto il Nostro immediato Predecessore di fel. mem. Pio XI, il quale nell’Enciclica Miserentissimus Redemptor affermava: «Non son forse racchiusi in tale forma di devozione il compendio di tutta la religione cattolica e quindi la norma della vita più perfetta, costituendo essa la via più spedita per giungere alla conoscenza profonda di Cristo Signore e il mezzo più efficace per piegare gli animi ad amarLo più intensamente e ad imitarLo più fedelmente? »(10).

A Noi poi, non certamente meno che ai Nostri Predecessori, questa sublime verità è apparsa evidente e degna di approvazione; ed allorché iniziammo il Nostro Pontificato, nel contemplare il felice e quasi trionfale incremento del Culto al Cuore Sacratissimo di Gesù in mezzo al popolo cristiano, sentimmo il Nostro animo ricolmo di gioia e Ci rallegrammo degli innumerevoli frutti di salvezza che ne erano derivati a tutta la Chiesa; e questi Nostri sentimenti Ci compiacemmo di manifestare già nella prima Nostra Lettera Enciclica(11). I quali frutti, in questi lunghi anni del Nostro Pontificato — pieni di calamità e di angustie, ma anche ricolmi di ineffabili consolazioni — non sono andati diminuendo né per numero né per qualità né per bellezza, ma piuttosto aumentando. Infatti, varie sono state le opere felicemente iniziate allo scopo di favorire l’incremento sempre maggiore di questo stesso culto: associazioni cioè di cultura, di pietà e di beneficenza; pubblicazioni di carattere storico, ascetico e mistico pertinenti a tale scopo; pie pratiche di riparazione; e soprattutto crediamo degne di menzione le manifestazioni di ardentissima pietà promosse dall’Associazione dell’« Apostolato della Preghiera », al cui zelo si deve principalmente se famiglie, istituti e talvolta anche Nazioni intere si sono consacrate al Cuore Sacratissimo di Gesù; per le quali manifestazioni di culto non di rado, o mediante Lettere, o per mezzo di Discorsi, o anche servendoCi di Radiomessaggi, abbiamo espresso la Nostra paterna compiacenza(12).

Pertanto, commossi nel veder tanta copia di acque salutari, cioè di effusione celestiale di amore superno, che scaturendo dal Sacro Cuore del nostro Redentore, non senza l’ispirazione e l’azione del Divino Spirito, si è riversata su innumerevoli figli della Chiesa Cattolica, non possiamo astenerCi, Venerabili Fratelli, dal rivolgervi un paterno invito, affinché vi uniate a Noi nello sciogliere un inno di somma lode e di fervidissime azioni di grazie a Dio, largitore di ogni bene, esclamando con l’Apostolo: « A Lui che può far tutto, ben al di là di quel che noi domandiamo, o pensiamo, secondo la virtù che opera in noi, a Lui sia la gloria nella Chiesa, e in Cristo Gesù per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen »(13). Ma, dopo aver reso all’Altissimo le dovute grazie, Noi desideriamo con questa Lettera Enciclica di esortar voi e tutti gli amatissimi figli della Chiesa ad una più attenta considerazione di quei princìpi dottrinali, contenuti nella S. Scrittura, nei Ss. Padri e nei teologi, sui quali, quasi su solidi fondamenti, poggia il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù. Siamo infatti pienamente persuasi che soltanto allorché, al lume della divina rivelazione, avremo penetrato più a fondo l’intima ed essenziale natura di questo culto, saremo in grado di convenientemente e perfettamente apprezzarne l’incomparabile eccellenza e l’inesauribile fecondità di ogni sorta di celesti grazie, e per tal modo trarre, dalla pia meditazione e contemplazione dei benefici da esso derivati, motivo a una degna celebrazione del primo centenario dell’estensione della festa obbligatoria del Cuore Sacratissimo di Gesù alla Chiesa universale.

Allo scopo, dunque, di offrire alle menti dei fedeli un pascolo di salutari riflessioni, grazie alle quali essi possano più facilmente comprendere la natura di questo culto e ricavarne più copiosi frutti, Noi ci soffermeremo anzitutto su quelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, che contengono la rivelazione e descrizione dell’infinita carità di Dio per il genere umano, la cui sublime grandezza mai potremo sufficientemente scrutare; poi accenneremo al commento che ce ne hanno lasciato i Padri e i Dottori della Chiesa; infine, procureremo di porre in evidenza il nesso intimo che intercorre tra la forma di devozione da tributarsi al Cuore del Redentore Divino e il culto che gli uomini sono tenuti a rendere all’amore che Egli e le altre Persone della Santissima Trinità nutrono verso l’intero genere umano. Stimiamo infatti che, una volta contemplati alla luce della S. Scrittura e della Tradizione i fondamenti e gli elementi costitutivi di questo nobilissimo culto, riuscirà più agevole ai cristiani l’attingere « con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore »(14), apprezzare cioè tutta l’importanza che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù ha assunto nella Liturgia della Chiesa, nella sua vita interna ed esterna, ed anche nelle sue opere; per tal modo, sarà più facile ad essi raccogliere quei frutti spirituali, che segnino un rinnovamento salutare nei loro costumi, conforme ai voti dei Pastori del gregge di Cristo.

Se vogliamo in primo luogo ben comprendere il valore racchiuso in alcuni testi dell’Antico e del Nuovo Testamento in ordine a questo culto, occorre tener ben presente il motivo del culto di latria che la Chiesa tributa al Cuore del Redentore divino. Orbene, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, tale motivo è duplice. L’uno, cioè, che è comune anche alle altre sacrosante membra del corpo di Gesù Cristo, è costituito dal fatto che il suo Cuore, essendo una parte nobilissima dell’umana natura, è unito ipostaticamente alla Persona del Verbo di Dio; pertanto, esso è meritevole dell’unico e identico culto di adorazione con cui la Chiesa onora la Persona dello stesso Figlio di Dio Incarnato. Si tratta di una verità di fede cattolica, essendo stata solennemente definita nei Concili Ecumenici di Efeso e II di Costantinopoli(15). L’altro motivo, che appartiene in modo speciale al Cuore del Divin Redentore, e che perciò conferisce al medesimo un titolo tutto proprio a ricevere il culto di latria, risulta dal fatto che il suo Cuore, più di ogni altro membro del suo corpo, è l’indice naturale, ovvero il simbolo della sua immensa carità per il genere umano. « È insita nel Sacro Cuore, come osservava il Nostro Predecessore Leone XIII di imm. mem., la qualità di simbolo e di espressiva immagine dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci stimola a ricambiarlo col nostro amore »(16).

È fuor di dubbio che nei Libri Sacri non si hanno mai sicuri indizi di un culto di speciale venerazione e di amore, tributato al Cuore fisico del Verbo Incarnato, per la sua prerogativa di simbolo della sua accesissima carità. Ma questo fatto, se è doveroso apertamente riconoscerlo, non ci deve recar meraviglia, né in alcun modo indurci a dubitare che la carità, la quale è la ragione principale di questo culto, sia nell’Antico, che nel Nuovo Testamento, è esaltata e inculcata con immagini tali, da commuovere potentemente gli animi. Queste immagini, poiché sono contenute nei Libri Sacri che preannunziavano la venuta del Figlio di Dio, fatto uomo, possono considerarsi come un presagio di quello che doveva essere il più nobile simbolo e indice dell’amore divino, cioè del Cuore sacratissimo e adorabile del Redentore Divino.

Per quanto riguarda lo scopo della presente Lettera non crediamo necessario addurre molte testimonianze dei libri dell’Antico Testamento, nei quali sono contenute le prime verità divinamente rivelate; ma stimiamo sia sufficiente far rilevare che l’Alleanza stipulata tra Dio e il popolo eletto e sancita con vittime pacifiche — le cui leggi fondamentali, scolpite su due tavole, furono promulgate da Mosè(17) e interpretate dai Profeti — fu un patto oltre che fondato sui vincoli di supremo dominio da parte di Dio e di doverosa ubbidienza da parte dell’uomo, consolidato e vivificato, anche dai più nobili motivi dell’amore. Infatti, anche per il popolo d’Israele la ragione suprema della sua obbedienza doveva essere non tanto il timore dei divini castighi, che i tuoni e le folgori sprigionantisi dalla vetta del Sinai incutevano negli animi, quanto piuttosto il doveroso amore verso Dio; « Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro è il solo Signore. Amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Queste parole che io oggi ti bandisco, staranno nel tuo cuore »(18).

Non deve pertanto meravigliare se Mosè e i Profeti, che a buon diritto l’Angelico Dottore chiama i « maggiori »(19) del popolo eletto, ben comprendendo che il fondamento di tutta la Legge era riposto in questo comandamento dell’amore, hanno descritto tutti i rapporti esistenti tra Dio e la sua Nazione ricorrendo a similitudini tratte dal reciproco amore tra padre e figli, o dall’amore dei coniugi, piuttosto che rappresentarli con immagini severe ispirate al supremo dominio di Dio, o alla dovuta e timorosa servitù di noi tutti.

Così, ad esempio, Mosè stesso, nel celeberrimo suo cantico di liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto, volendo significare che essa era avvenuta per l’intervento onnipossente di Dio, ricorre a queste espressioni ed immagini, che riempiono l’animo di commozione: « Com’aquila che addestra al volo i suoi piccoli e vola sovr’essi, stese le sue ali (il Signore), sollevò Israele, e lo portò sulle sue spalle »(20).

Ma forse nessun altro tra i Profeti, meglio di Osea, manifesta e descrive con accenti veementi l’amore, mai venuto meno, di Dio verso il suo popolo Nel linguaggio infatti di questo eccellentissimo tra i Profeti minori per profondità di concetti e concisione di espressioni, Dio manifesta un tale amore verso il Popolo Eletto, cioè giusto e santamente sollecito, qual’è appunto l’amore di un padre misericordioso e amorevole, o di uno sposo adirato per il suo onore offeso. È un amore, che, lungi dal venir meno alla vista di mostruose infedeltà e di ignobili tradimenti, prende sì da essi motivo per infliggere ai colpevoli i meritati castighi — non già per ripudiarli e abbandonarli a se stessi — ma soltanto allo scopo di vedere la sposa resasi estranea e infedele, ed i figli ingrati, pentirsi, purificarsi e tornare a riunirsi con Lui con rinnovati e più solidi vincoli di amore. « Quando era fanciullo Israele, io l’amai e dall’Egitto ho chiamato il figlio mio… Ed io ho fatto da balia ad Efraim; ho portato essi in braccio, ma non compresero la cura ch’io avevo di loro. Li ho attirati a me con attrattive piene d’umanità e con vincoli d’amore… Io sanerò le loro piaghe, li amerò spontaneamente, perché la mia collera si è da loro allontanata. Sarò come rugiada, e Israele fiorirà come giglio e dilaterà radici come il Libano »(21).

Accenti simili a questi risuonano sulle labbra del profeta Isaia, allorché, impersonando gli opposti sentimenti di Dio stesso e del Popolo Eletto, esce in queste espressioni: « Sion aveva detto: “ Il Signore mi ha abbandonato, il Signore si è scordato di me! ”. Potrà forse una donna dimenticare il suo bambino, da non sentire più compassione per il figlio delle sue viscere? e se pur questa lo potrà dimenticare, io non mi dimenticherò mai di te! »(22). Né meno commoventi sono le espressioni, con le quali l’Autore del Cantico dei Cantici, servendosi del simbolismo dell’amore coniugale, dipinge con vividi colori i legami di vicendevole amore, che uniscono fra loro Dio e la Nazione da Lui prediletta: «Come un giglio fra gli spini, così l’amica mia tra le fanciulle!… Io sono del mio diletto, e il mio diletto è per me, egli che pascola tra i gigli… Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore, inesorabile come gli Inferi la gelosia: le sue fiaccole sono fiaccole di fuoco e di fiamme »(23).

Tuttavia questo tenerissimo, indulgente e longanime amore di Dio, che, pur sdegnandosi per le ripetute infedeltà del popolo di Israele, mai giunse a ripudiarlo definitivamente, benché siasi manifestato come veemente e sublime, non fu in sostanza che preludio di quell’ardentissima carità, che il Redentore promesso avrebbe riversato dal suo amantissimo Cuore su tutti, e che sarebbe dovuta divenire il modello del nostro amore e la pietra angolare della Nuova Alleanza. Solo infatti Colui che è l’Unigenito del Padre e il Verbo fatto carne « pieno di grazia e di verità »(24), essendosi avvicinato agli uomini, oppressi da innumerevoli peccati e miserie, poté far scaturire dalla sua umana natura, unita ipostaticamente alla sua Divina Persona, « una sorgente di acqua viva », che irrigasse copiosamente l’arida terra dell’umanità e la trasformasse in giardino fiorente e fruttifero.

È nel profeta Geremia che si ha un lontano presagio di questo stupendo prodigio, che sarebbe stato l’effetto del misericordiosissimo ed eterno amore di Dio: « D’un amore eterno ti ho amato e perciò ti ho tirato a me pieno di compassione… Ecco che verranno giorni, dice il Signore, e io stringerò con la casa di Israele e con la casa di Giuda una nuova alleanza… Questa sarà l’alleanza che avrò stretta con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Io metterò la mia legge nel loro interno e la scriverò nel loro cuore, e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo…; perché farò grazia alle loro iniquità e del loro peccato non mi ricorderò più »(25).

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)