00 05/08/2013 10:24

Commento alla prima lettera di S. Giovanni

di Sant'Agostino d'Ippona


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PREFAZIONE

La vostra santità ormai conosce il sistema da noi tenuto nel commentare il Vangelo di Giovanni secondo il criterio della lettura continuata. Ma proprio ora intervengono i giorni delle solenni festività, durante i quali, ormai per tradizione, si leggono annualmente nella Chiesa particolari brani tratti dal Vangelo e non altri. Così dobbiamo momentaneamente interrompere il ciclo già iniziato. Ma non lo tralasceremo del tutto.

Mi chiedevo quali passi della Scrittura, intonati alla gioia di questi giorni, potessi commentarvi con l'aiuto del Signore nel corso di questa settimana, così da contenere la trattazione in sette o otto giorni, quando mi venne in mente l'Epistola del beato Giovanni. Era una buona occasione per ritornare a sentire, col commento della sua Epistola, la voce di colui di cui avevamo, per il momento, messo da parte il Vangelo. Il motivo principale è che in questa Epistola, così dolce a coloro che hanno conservato sano il palato del cuore e possono gustare il pane di Dio, e così conosciuta nella santa Chiesa, si tesse, più che in altri scritti, l'elogio della carità, su cui Giovanni ha detto molte cose, anzi pressoché tutto. Chi ha conservato in sè la capacità di comprendere, è logico che gioisca quando l'ascolta: per lui questa Epistola sarà come olio gettato sul fuoco. Se c'è in lui del fuoco che può essere nutrito, questo verrà nutrito, crescerà, durerà costante. Per altri la lettura sarà come una fiamma che viene accostata all'esca; se prima non bruciava, prenderà subito fuoco non appena le parole giungeranno ad essa. Per alcuni dunque sarà un recare alimento al fuoco che già esiste; per altri un accendere la fiamma che ancora manca: in modo che tutti possiamo gioire insieme della medesima carità. Dove è la carità, ivi è la pace; e dove è l'umiltà, ivi è la carità.

E' tempo ormai di ascoltare la sua parola, a commento della quale noi diremo quanto Dio ci suggerirà, in modo che possiate anche voi comprenderla bene.

 

 I.

LA STESSA VITA SI E' MANIFESTATA

Abbiamo toccato il Verbo di Dio

1. Quello che era da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi e le nostre mani hanno toccato del Verbo di vita (1 Gv 1, 1). Uno che con le sue mani tocca il Verbo, può farlo unicamente perché "il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi" (Gv. 1, 14). Questo Verbo fatto carne fino a potersi toccare con le mani, incominciò ad essere carne nel seno della Vergine Maria. Non fu però allora che incominciò ad essere Verbo, perché lo stesso Giovanni dice che il Verbo "era da principio". Dal momento che avete appena da poco ascoltato le parole: "In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio" (Gv. 1, 1), potete confrontare se Giovanni nella sua Epistola sia in perfetta armonia col suo Vangelo. Qualcuno potrebbe prendere "Verbo di vita" come una certa espressione per designare il Cristo e non il corpo stesso di Cristo che fu toccato con le mani; ma osservate le parole che seguono: e la vita stessa si è manifestata (1 Gv. 1, 2). Dunque Cristo è il Verbo di vita. Ma come si è manifestata? Essa era fin dall'inizio, ma ancora non si era manifestata agli uomini; s'era invece manifestata agli angeli che la contemplavano e se ne cibavano come del loro pane. Ma che cosa afferma la Scrittura? "L'uomo mangiò il pane degli angeli" (Sal. 77, 25). Dunque la vita stessa si è manifestata nella carne. Si è fatta contemplare manifestandosi affinché fosse vista anche dagli occhi la realtà che solo il cuore può vedere, e così i cuori avessero a guarire. Solo col cuore si vede il Verbo, con gli occhi del corpo invece si vede anche la carne. Noi potevamo vedere la carne, ma per vedere il Verbo non avevamo gli occhi; per questo "il Verbo si è fatto carne", carne a noi visibile, affinché fossero risanati in noi quegli occhi che soli ci possono far vedere il Verbo.

Sposalizio tra il Verbo e la carne

2. Noi abbiamo veduto e siamo testimoni (1 Gv. 1, 2). Forse alcuni di voi, fratelli, ignari di greco, non sanno quale significato ha in greco il termine "testimoni", termine comunissimo entrato nel vocabolario religioso. Il greco chiama "martiri" quelli che noi latini diciamo "testimoni". E chi mai non sentì parlare di martirio? Su quali labbra di cristiano non risuona ogni giorno il nome dei martiri? Potesse quel nome stabilirsi anche nel nostro cuore, tanto da farci imitare le sofferenze dei martiri e non mettere invece sotto i piedi i loro esempi. Per questo Giovanni ci ha detto: "Noi abbiamo veduto e siamo testimoni": noi abbiamo veduto e siamo martiri. Essi, dando testimonianza sia di quanto videro come di quanto udirono da coloro che erano stati testimoni oculari, sopportarono tutte le sofferenze del martirio, perché quella testimonianza spiacque agli uomini contro i quali era diretta. I martiri sono i testimoni di Dio. Dio volle avere come suoi testimoni gli uomini, affinché a loro volta gli uomini avessero come loro testimone Dio stesso.

"Abbiamo veduto - dice Giovanni - e siamo testimoni". Dove videro? Nella sua manifestazione. Che significa nella sua manifestazione? Nel sole, cioè in questa luce visibile. Ma colui che fece il sole, come poté essere visto nel sole, se non perché egli "ha posto nel sole la sua tenda e, quale sposo che esce dal talamo, balzò innanzi, come un gigante, verso la sua meta" (Sal. 18, 6)? Chi fece il sole e prima del sole, prima della stella del mattino, prima degli astri tutti, prima di tutti gli angeli. Egli è il vero creatore, poiché: " Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui niente fu fatto" (Gv. 1, 3); ma perché anche con quegli occhi della carne che vedono il sole egli potesse essere visto, pose la sua dimora nel sole stesso, manifestò cioè la sua carne nel chiarore di questa luce terrena. L'utero della Vergine fu la sua stanza nuziale, poiché è là che si sono uniti lo Sposo e la sposa, il Verbo e la carne. Poiché sta scritto: " E saranno i due una sola carne" (Gen. 2, 24); ed anche il Signore dice nel Vangelo: "Dunque non sono due, ma una sola carne" (Mt. 19, 6). Molto opportunamente Isaia ricorda che quei due sono un solo essere; parlando in persona di Cristo dice: "Egli pose sul mio capo una mitra come al suo sposo e mi arricchì di un ornamento come la sua sposa" (Is. 61, 10). Qui, come si vede, è uno solo che parla e si dichiara insieme sposo e sposa, poiché non sono due, ma una sola carne. E ciò avviene perché "il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi". La Chiesa si unisce a quella carne, e si ha così il Cristo totale, capo e membra.

Conosciamo il Verbo con gli occhi della fede

3. Noi - dice Giovanni - siamo testimoni e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi, cioè in mezzo a noi; più chiaramente si direbbe: manifestata a noi. Le cose dunque che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi. Faccia bene attenzione la vostra carità: "Le cose che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi". Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito, anche se non abbiamo visto. Siamo forse meno fortunati di quelli che videro e udirono? Ma perché allora aggiunse: Affinché anche voi abbiate comunione con noi (1 Gv. 1, 2-3)? Essi videro, noi no, e tuttavia noi e loro siamo una cosa sola; la ragione è questa, che abbiamo la stessa fede.

Ci fu un tale che, avendo visto, non credette e volle toccare con mano per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui: "Io non crederò se non metterò le mie dita nel segno dei chiodi e non toccherò le sue cicatrici". Il Signore apparve all’improvviso per lasciarsi toccare dalle mani degli uomini, lui che sempre si offre allo sguardo degli angeli; il discepolo allora avvicinò la sua mano ed esclamò: "Signor mio e Dio mio!". Egli toccò l'uomo e riconobbe Dio. Il Signore allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le mani, essendo egli già in cielo, ma soltanto raggiungerlo con la fede, gli disse: "Tu hai creduto, perché hai visto: beati quelli che credono senza vedere" (Gv. 20, 25-29). In questo passo siamo noi ad essere indicati. S'avveri dunque in noi quella beatitudine che il Signore ha preannunziato per le future generazioni; restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo, perché essi che videro ce l'attestano. "Affinché - afferma Giovanni - anche voi abbiate comunione con noi". Che c'è di straordinario ad aver comunione con degli uomini? Aspetta ad obiettare; considera ciò che egli aggiunge: E la nostra comunione sia con Dio Padre e Gesù Cristo suo Figlio. Queste cose ve le scriviamo, affinché sia piena la vostra gioia (1 Gv. 1, 4). Proprio nella vita in comunione, proprio nella carità e nell'unità, Giovanni afferma che c'è la pienezza della gioia.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)