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COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
L’APOSTOLICITÀ DELLA CHIESA E LA SUCCESSIONE APOSTOLICA
*

(1973)

 

Proemio

Il presente studio vorrebbe chiarire il concetto di successione apostolica, da una parte perché la presentazione della dottrina cattolica al riguardo appaia di maggiore utilità per la vita della Chiesa cattolica, e d’altra parte perché lo esige il dialogo ecumenico.

Il dialogo ecumenico, infatti, è avviato un po’ dappertutto nel mondo, con prospettive d’un avvenire fruttuoso, qualora i cattolici vi parteciperanno nella fedeltà alla loro identità cattolica. Vorremmo dunque presentare la dottrina della Chiesa cattolica relativa alla successione apostolica, allo scopo di confortare i nostri fratelli nella fede e per contribuire allo sviluppo e alla maturazione del dialogo ecumenico.

Enumeriamo alcune difficoltà nelle quali più spesso ci si imbatte:

- Che cosa si può ricavare dalla testimonianza del Nuovo Testamento, considerato scientificamente? Come dimostrare la continuità tra il Nuovo Testamento e la Tradizione della Chiesa?

- Qual è la funzione dell’imposizione delle mani nella successione apostolica?

- Non è forse la tendenza, in certi ambienti, a ridurre la successione apostolica all’apostolicità comune a tutta la Chiesa, o, al contrario, a ridurre l’apostolicità della Chiesa alla successione apostolica?

A monte di tutti questi interrogativi si pone il problema dei rapporti tra la Scrittura, la Tradizione e le dichiarazioni solenni della Chiesa.

Ogni riflessione è subordinata alla visione della Chiesa che, per volontà del Padre, sgorga tutt’intera dal mistero del Cristo nella sua Pasqua, animata dallo Spirito e organicamente strutturata. Noi intendiamo collocare la funzione propria ed essenziale della successione apostolica nella Chiesa intera che confessa la fede apostolica e che rende testimonianza al suo Signore.

Ci appoggiamo alla Sacra Scrittura, che ha per noi il duplice valore di documento storico e di documento ispirato. Come documento storico, il Nuovo Testamento racconta i fatti principali della missione di Gesù e della Chiesa del primo secolo; come documento ispirato, esso attesta questi fatti fondamentali, li interpreta e manifesta il loro vero significato interiore e la loro coerenza dinamica. Come espressione del pensiero di Dio nelle parole degli uomini, la Scrittura ha valore direttivo per il pensiero della Chiesa di Cristo in ogni tempo.

Una lettura della Scrittura che riconosca ad essa, in quanto libro ispirato, un carattere normativo per la Chiesa di tutti i tempi, è necessariamente una lettura all’interno della Tradizione della Chiesa, che ha riconosciuto la Scrittura come ispirata e normativa. Questo riconoscimento del carattere normativo della Scrittura implica fondamentalmente il riconoscimento della Tradizione, in seno alla quale la Scrittura si è maturata ed è stata considerata ed accettata come ispirata. Il suo carattere normativo e il suo rapporto alla Tradizione si condizionano, dunque, scambievolmente. Ne segue che ogni considerazione propriamente teologica della Scrittura è, al tempo stesso, considerazione ecclesiale.

L’insieme del documento ha dunque questo punto metodologico di partenza: ogni tentativo di ricostruzione, che pretendesse isolare le fasi particolari della costituzione degli scritti neotestamentari e separarli dal loro vivo accoglimento da parte della Chiesa, è in sé contraddittorio.

Questo metodo teologico, che vede nella Scrittura un insieme indivisibile legato alla vita e al pensiero della comunità, in seno alla quale è conosciuta e riconosciuta come Scrittura, non significa per nulla neutralizzare il punto di vista della storia in nome d’un apriorismo ecclesiastico che dispenserebbe da una lettura rispondente all’esigenze del metodo storico.

Il metodo adottato permette di percepire i limiti d’un puro storicismo: esso sa bene che un’analisi puramente storica d’un libro preso isolatamente e separato dalla storia del suo influsso non può dimostrare con certezza che il cammino della fede nella storia è il solo possibile. Ma questi limiti della dimostrabilità storica, della quale non è consentito dubitare, non distruggono affatto il valore e il peso proprio della conoscenza storica. Al contrario, il fatto dell’accettazione della Scrittura come tale, che per la Chiesa primitiva ha valore costitutivo, deve sempre essere di nuovo pesato nel suo significato: bisogna cioè ripensare il rapporto fra le parti nelle loro differenze, con l’unità dell’insieme. Ciò implica pure che non si può ridurre la Scrittura stessa a una serie di abbozzi messi uno accanto all’altro, ciascuno dei quali sarebbe alla base di un progetto di vita orientato su Gesù di Nazareth, ma che bisogna comprenderla come espressione di un cammino storico che manifesta l’unità e la cattolicità della Chiesa.

In questo cammino, che comprende tre grandi tappe: il tempo precedente alla Pasqua, il tempo apostolico e quello post-apostolico [1], ogni momento ha la sua propria importanza, ed è significativo che gli uomini apostolici di cui parla la Dei Verbum (n. 18), abbiano potuto elaborare una parte degli scritti del Nuovo Testamento. Allora appare chiaramente in che maniera la comunità di Gesù Cristo ha risolto il problema di rimanere apostolica pur essendo diventata post-apostolica. Esiste per conseguenza un carattere normativo specifico della parte post-apostolica del Nuovo Testamento per il tempo della Chiesa dopo gli Apostoli, edificata certamente sugli Apostoli, i quali hanno essi stessi Cristo per fondamento.

Negli scritti post-apostolici, la Scrittura stessa rende testimonianza alla Tradizione, e già comincia a manifestarsi il Magistero nel richiamo all’insegnamento degli Apostoli (cf. Act 2, 42; 2 Pt 1, 20). Questo Magistero avrà la sua piena fioritura nel secondo secolo, nel momento in cui si espliciterà pienamente il concetto di successione apostolica.

Insieme, Scrittura e Tradizione, meditate e autenticamente interpretate dal Magistero, ci trasmettono fedelmente l’insegnamento di Cristo, nostro Dio e Salvatore, e regolano la dottrina che la Chiesa ha la missione di proclamare a tutti i popoli e di applicare ad ogni generazione fino alla fine dei secoli.

In questa prospettiva propriamente teologica — secondo la dottrina del Vaticano II — noi abbiamo redatto gli enunziati seguenti circa la successione apostolica e sulla valutazione dei ministeri che esistono nelle Chiese e Comunità non aventi ancora piena comunione con la Chiesa cattolica.

I. L’apostolicità della Chiesa e il sacerdozio comune

1. I Simboli di fede confessano che la Chiesa è apostolica. Ciò non significa soltanto che essa continua a confessare la fede apostolica, ma che è decisa a vivere sotto la norma della Chiesa primitiva, espressa dai primi testimoni del Cristo e retta dallo Spirito Santo, che il Signore le ha donato dopo la sua risurrezione. Le Lettere e gli Atti degli Apostoli ci mostrano la presenza efficace di questo Spirito nella Chiesa intera, non solo per quanto concerne la sua diffusione, ma più ancora nella trasformazione dei cuori: egli li rende conformi agli intimi sentimenti di Cristo. Stefano martire ripete le parole di perdono del Signore morente; Pietro e Giovanni, flagellati, gioiscono d’essere stati degni di soffrire per lui; Paolo porta le stigmate (Gal 6, 17), vuol essere configurato alla morte di Cristo (Phil 3, 10), non vuol conoscere altro che il crocifisso (1 Cor 1, 23; 2, 2), e comprende la sua esistenza come un’assimilazione al sacrificio espiatorio della croce (Phil 2, 17; Col 1, 24).

2. Quest’assimilazione ai sentimenti del Cristo e soprattutto alla sua morte sacrificale per il mondo costituisce il significato ultimo di ogni vita che vuol essere cristiana, spirituale, apostolica.

Perciò la Chiesa primitiva adatta il vocabolario sacerdotale dell’Antico Testamento a Cristo, agnello pasquale della Nuova Alleanza (1 Cor 5, 7) e — per riferimento a lui — ai cristiani la cui vita si specifica in rapporto al mistero pasquale. Convertiti dalla predicazione del Vangelo, essi sono convinti di vivere un sacerdozio santo e regale, trasposizione spirituale di quello dell’antico popolo (1 Pt 2, 5. 9; cf. Ex 19, 6; Is 61, 6), resa possibile dall’intervento dell’offerta sacrificale di Colui che ricapitola in sé tutti gli antichi sacrifici ed apre la strada verso il sacrificio totale ed escatologico della Chiesa (cf. S. Agostino, De Civitate Dei, X, c. 6).

Di fatto i cristiani, pietra viva del nuovo edificio che è la Chiesa fondata su Cristo, offrono a Dio un culto nella novità dello Spirito, culto personale, giacché si tratta d’offrire la vita «in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rom 12, 1; cf. 1 Pt 2, 5), e insieme comunitario, perché tutti insieme rappresentano quell’«edificio spirituale», quel «sacerdozio santo» e «regale» (1 Pt 2, 9), il cui scopo è di offrire «sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5).

Questo sacerdozio ha insieme una dimensione morale — deve essere esercitato ogni giorno ed in ogni atto della vita quotidiana —, una dimensione escatologica, in vista dell’eternità futura giacché Cristo ha fatto di noi «un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1, 6; cf. 5, 10; 20, 6), e una dimensione propriamente cultuale, poiché l’Eucaristia di cui vivono è paragonata da San Paolo ai sacrifici dell’Antica Legge ed anche — per con­trasto — a quelli dei pagani (1 Cor 10, 16-21).

3. Ora, per la costituzione, l’animazione e la conservazione di questo sacerdozio dei cristiani, Cristo ha istituito un ministero, attraverso il segno e la strumentalità del quale egli comunica al suo popolo, nel corso della storia, i frutti della sua vita, della sua morte e della sua risurrezione. I primi fondamenti di questo ministero sono stati gettati fin dalla vocazione dei Dodici, che al tempo stesso rappresentano il nuovo Israele nella sua completezza e dopo la Pasqua saranno i testimoni privilegiati inviati per annunziare il Vangelo della salvezza, sono i capi del nuovo popolo, i collaboratori di Dio per l’edificazione del suo tempio (cf. 1 Cor 3, 9). La funzione di questo ministero è essenziale ad ogni generazione di cristiani. Deve dunque trasmettersi a partire dagli Apostoli attraverso una successione ininterrotta. Se si può dire che la Chiesa intera è stabilita sul fondamento degli Apostoli (Eph 2, 20;Ap 21, 14), bisogna anche e inseparabilmente affermare che questa apostolicità comune a tutta la Chiesa è legata alla successione apostolica ministeriale, che costituisce una struttura ecclesiale inalienabile al servizio di tutti i cristiani.








 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)