00 01/05/2014 20:33

  (www.agensir.it) Si svolgerà sabato prossimo, 3 maggio, a Roma (sala S. Pio X, via della Conciliazione 5, ingresso posteriore) il primo grande incontro internazionale pro-vita. La giornata – spiegano i promotori – s’inserisce nelle iniziative sorte attorno alla IV edizione della “Marcia per la vita”; in programma domenica 4 maggio, con inizio alle ore 9 (partenza da piazza della Repubblica, arrivo a Castel Sant’Angelo-San Pietro per il Regina Coeli di Papa Francesco). Come di consueto, la Marcia sarà preceduta il 3 maggio (ore 9.30-18.30) dal convegno nazionale medico-giuridico (“Dai una chance a ogni vita”), organizzato presso l’Ateneo pontificio Regina Apostolorum (Roma, via degli Aldobrandeschi 190). L’incontro internazionale – si legge in una nota – è invece promosso congiuntamente da LifeSiteNews (portale canadese), Human Life International (Usa) e Family Life International New Zealand. VI parteciperanno i rappresentanti di oltre 50 organizzazioni pro-vita attive in una ventina di Paesi, tra i quali – oltre agli Stati Uniti – Francia, Spagna, Belgio, in cui il tema è di particolare attualità. La mattina i lavori si svolgeranno a porte chiuse: i vari rappresentanti pro-life discuteranno di “strategie comuni per la difesa e la promozione di politiche favorevoli al diritto alla vita, da sviluppare nei confronti dei politici, delle autorità religiose, dell’opinione pubblica”.


Rebecca-Kiessling

La gioia di vivere una vita nata da uno stupro. Un colloquio con Rebecca Kiessling

Posted on 01/05/2014 by Il Mastino

Terza ed ultima parte di una trilogia di interviste sullo scontro campale in atto tra cultura della vita e quella della morte. Un colloquio via Skype con Rebecca Kiessling, combattiva militante pro-life americana concepita durante uno stupro e che sarà presente a Roma alla “Marcia per la vita 2014”. Per gridare che ogni singola vita, specie quelle nate, come la sua, da una tragedia, è degna di essere salvata.

Un colloquio di Papalepapale con Rebecca Kiessling prolife americana

 

Precedenti colloqui:

1- L’Uoma: e Dio unisex li creò? Dal pensiero unico dominante al pansessualismo. Un caso editoriale

2- I catari al potere. A volte ritornano, e si dicono “grillini”. Un colloquio con Roberto Dal Bosco

 

 

Intervista a cura di

Luca Dombré

La guerra in atto tra cultura della vita e quella della morte si gioca su territori vastissimi, come abbiamo provato a mostrare nelle due precedenti interviste sul tema. Oltre i campi minati di fasulle libertà, dove cuori e menti di milioni sono ridotti in poltiglia di desideri e pulsioni carnali, cannoneggiati dall’inesauribile fuoco di fila della pansessualizzazione forzata dell’intera società (dai bambini rieducati ai titillamenti genitali fino al Viagra per solleticare gli istinti sopiti di un’età in teoria ormai padrona della carne), oltre questo scenario di annichilimento finale della dignità e della volontà umane, stanno trincee di lotte sanguinose che nessuna edulcorazione può rendere appetibili. Sono fronti periferici scavati per sottrarne alla vista gli smembramenti, troppo orridi perché la superpotenza della morte possa propagandarli, come fa in superficie, travestendoli da legittimi conflitti di liberazione dell’umanità.

La Marcia per la vita. Tutti a Roma per il 4 Maggio.

Questo è il fronte della contesa che le racchiude tutte, la somma delle oscenità che dell’uomo non perseguono l’affrancamento, ma la definitiva umiliazione: la battaglia dell’aborto. Eppure, come in una matrioshka interminabile, all’interno di essa vi sono a loro volta duelli da occultare, scontri in territori di nessuno dove le truppe della vita sembrano aver abbandonato una ridotta di soldati ritenendoli necessari danni collaterali. Sono i figli dello stupro, superstiti di una delle più ignobili violenze.

Di questo manipolo eroico che, contro ogni apparente ragionevolezza, osa gridare il suo nome impronunciabile e sconosciuto ai più, fa parte Rebecca Kiessling, avvocatessa statunitense e battagliera direttrice di “Save the 1” (dove l’uno è quello della pecorella smarrita di evangelica memoria, quella a cui Cristo dà la priorità, come a dire: per la vita si lotta integralmente, nessuno dev’essere lasciato indietro), organizzazione impegnata a testimoniare la potenza lenitrice della vita e dell’amore capace di vincere anche la brutalità più indescrivibile come quella di uno stupro. In una lunga conversazione via Skype tra New York e il suo Michigan, abbiamo tentato di calarci con lei sul terreno della battaglia che certi palati sensibili perfino nel fronte pro-life americano bollano come “estremista” ed irricevibile. Con grande orgoglio di Rebecca, che sarà presente a Roma alla prossima “Marcia per la vita” del 4 Maggio, e dei suoi compagni di lotta il cui motto è eloquente: “100% pro-life, no exceptions, no compromise”.

 Intervista

 

Rebecca Kiessling.

Rebecca, la tua storia e la tua stessa esistenza si possono condensare in un solo termine: scandalo. E lo intendo proprio nel senso più profondamente cristiano della parola, cioè di un avvenimento che sfida con la sua innegabile presenza tutte le menzogne dello spirito del mondo. Quando si parla di aborto, c’è infatti un’ampia probabilità che chi si dice contro di esso, persino cristiano, trovi però accettabile l’eccezione “nel caso di stupro”. Io stesso ti confesso che, prima di imbattermi nella tua esperienza, sebbene anti-abortista anche prima di tornare al cattolicesimo (dopo esserne stato lontanissimo per lunga parte della mia vita), trovavo questa deroga in qualche modo ragionevole, pensando all’incomprensibile dolore di una donna violentata. Sebbene, come detto, la tua sola presenza basterebbe a rispondere alla domanda che sto per farti, ti chiedo di spiegare ai nostri lettori: quali sono i motivi per dire “no” a quell’eccezione?

Se tua madre ha scelto di darti la vita, buon per te. Ma la mia non lo ha fatto. Lei scelse l’aborto. Devo la mia esistenza a tutti gli attivisti, elettori, legislatori pro-vita del Michigan che hanno compreso che la mia vita valeva la pena di essere salvata, persino essendo conseguenza di uno stupro. La maggior parte delle persone non si interessano di tale questione. Io sono in grado di affrontare la gente e so che davvero pochi sarebbero capaci di sostenere impassibilmente tale eccezione e poi guardarmi negli occhi dicendomi che non meritavo di essere protetta e che mia madre avrebbe dovuto abortirmi. Secondo la Corte Suprema degli Stati Uniti, infliggere la pena capitale agli stupratori è una punizione crudele e disumana, e persino i molestatori di bambini non la meritano. Allora per quale motivo un bambino innocente dovrebbe meritare la pena di morte per i delitti del proprio padre?

Quanto ha influito la tua fede cristiana nel formare la tua visione del dramma dell’aborto?

Ero fortemente pro-vita ben prima della mia conversione. Da studente di Giurisprudenza, scrissi una dissertazione filosofica sull’aborto di contenuto assolutamente laico: “Il diritto del bambino non nato a non essere ucciso ingiustamente: un approccio di filosofia del diritto” [qui] Ma all’epoca non conoscevo il mio vero valore. Sapevo che non avrei dovuto essere uccisa, ma ignoravo il mio valore fino a quando scoprii il prezzo pagato per la mia vita. Insomma, non conobbi il mio valore, la mia identità, il mio scopo fin quando non diventai parte della Vite.

Un manifesto con il volto di Rebecca e la significativa domanda: meritavo la pena di morte?

Quali sono i numeri del problema rispetto agli aborti collegati allo stupro? Quante sono le donne che decidono di ricorrere all’aborto e quante invece proseguono la gravidanza fino alla fine?

Di dati disponibili ce ne sarebbero parecchi. Alcuni: secondo il CDC [“Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie”], negli USA si stimano all’incirca 32.000 gravidanze all’anno in seguito a stupro. Altre fonti suggeriscono poi che meno del 50% delle vittime di stupro denunciano il fatto, mentre sono circa il 4-6% del totale a restare incinte. Di queste, il 15-20% sceglie di ricorrere all’aborto, il che rappresenta la metà del tasso della media di gravidanze indesiderate. Oltre il 50% decidono di diventare genitrici: non del “figlio dello stupratore”, ma del PROPRIO figlio.

Quante donne hai conosciuto che si sono pentite di aver aggiunto al male dello stupro quello dell’aborto? Hai riscontrato un tratto comune nelle loro testimonianze?

Alcune delle loro storie sono sul mio sito, ed altre si trovano sul sito “Silent no more”. Ne ho incontrate tante, e spesso sono finite col chiedermi se provo perdono per loro. So che non è a me che devono chiederlo, ma ne capisco il motivo: perché sono una sorta di surrogato del bambino che hanno abortito. Offro loro la speranza che abbiamo in Cristo e il bisogno che abbiamo di capire cosa significhi dire che la Sua grazia è sufficiente, che ciò che Lui ha da dire a riguardo è più importante di quel che noi abbiamo da dire. Non dovremmo mai voler dire che ciò che Dio ha fatto mandando a morire in croce Suo Figlio non è sufficientemente positivo per noi.

 La “logica scientifica” dell’abortismo

Alla Marcia per la vita di Washington con attivisti dell’agguerrito fronte prolife americano.

Soffermiamoci per un attimo sull’aborto in particolare, poi avremo modo di discuterne il significato in relazione a problematiche più ampie. Quello che mi è sempre parso l’argomento più insostenibile nel fronte pro-abortista è l’idea che, dal momento del concepimento, si possa definire un particolare istante in cui un “ammasso di cellule” può improvvisamente definirsi “persona umana”. Ed infatti, non essendo possibile una tale demarcazione, esistono le definizioni più acrobatiche e disparate, segno che uno standard oggettivo in tal senso non può esserci (naturalmente, a meno che non lo si indichi nel momento del concepimento). Com’è possibile che questa “logica” venga tuttora perpetrata come “scientifica”?

L’embrione non è una “cosa”.

Come avvocatessa, ho rappresentato una madre nel primo caso di fertilizzazione in vitro del Michigan, che fu il primo del genere negli USA. Ebbe un bambino concepito da un gruppo con altri cinque embrioni le cui vite erano sospese in soluzione liquida. Per questo motivo, poteva guardare ogni giorno suo figlio pensando che sarebbe facilmente potuto essere uno degli altri cinque. A quel punto, interrogai gli esperti in fertilità di questa clinica ed essi testimoniarono che, dal momento del concepimento, questi bambini sono verificabilmente maschio o femmina. Molte volte si sentono i sostenitori dell’aborto che compiono ricerche sull’embrione riferirsi ad esso come ad una “cosa” [“it”, pronome neutro in inglese, n.d.a.], come se quella “cosa” non fosse umana, non una persona. Allora li devo fermare e correggerli: <<No, stai parlando di un “lui” o una “lei”, non di una “cosa”. E’ la scienza ad affermare che questi bambini hanno un sesso e non sono una “cosa”>>. Metà di essi appartengono ad un sesso differente da quello della madre, non sono parte dei tessuti di questa. Inoltre, molta gente non comprende che, dal momento del concepimento, il DNA dei genitori è completamente, per sempre andato. Cerco di spiegare loro che col concepimento il DNA della persona è totalmente tracciato, il sesso è determinato, il colore di capelli e occhi, c’è tutto.

Come in fondo si legge in Genesi: <<In principio, maschio e femmina li creò>>.

Sì, ed è bellissimo vedere la scienza confermarlo. Insomma, si può osservare che al concepimento siamo creati maschio o femmina, sin dal principio, e la cosa è inequivocabilmente confermata dai ricercatori che, attraverso il loro microscopio, possono verificare da una cellula se sei maschio o femmina. Un’altra cosa che poi trovo interessante è come certa gente possa suggerire che quei “lui” o “lei” non siano esseri umani, mentre sono effettivamente esseri umani viventi.

 Certe contraddizioni della cultura della morte

Tertulliano: già contro l’aborto.

Allarghiamo i nostri orizzonti e consideriamo uno dei tanti cortocircuiti di questa totalitaria cultura (che spazia dall’abortismo, all’ossessione omosessualista, all’antispecismo animalista e ambientalista, ecc.) che nega il diritto naturale e tenta di far convivere il sentimentalismo con un razionalismo che si dice unico depositario della “scienza”, e poi che fa? Ad esempio, arriva a promuovere confusamente una non verificata origine genetica dell’omosessualità (il mantra indiscutibile del “born this way”), ma poi incredibilmente oblitera l’evidenza del patrimonio genetico unico ed irripetibile che si manifesta nel concepimento, una scoperta del XX secolo che il cristianesimo già affermava fin dai suoi inizi. Infatti, già nel II secolo Tertulliano notava: <<E’ già un uomo colui che lo sarà; anche ogni frutto è già contenuto nel seme>>.

Hai fatto riferimento alla ricerca di un gene dell’omosessualità. Se davvero dovessero riuscire a provarne l’esistenza, sono convinta che molti omosessuali diventerebbero subito e fortemente pro-vita. Per una ragione ovvia: si troverebbero ad osservare che molti ricorrerebbero a test genetici per assicurarsi di non avere un figlio omosessuale e così, d’improvviso, quel figlio potrebbe ritrovarsi in un “club” a rischio di eliminazione. Per questo, in un certo senso mi auguro che dichiarino di aver individuato un tale gene, perché sarei felicissima di vederli unirsi ai nostri ranghi. Sono certa che lo farebbero. Non appena dovessero sentire che i bambini omosessuali non nati sono nel mirino per essere abortiti, credo che cambierebbero rapidamente idea. Tuttavia, è triste pensare che ciò è quel che è stato inflitto al sesso femminile, che spesso e volentieri è preso di mira in fatto di aborto senza che i vari gruppi femministi si levino protestando contro questo.

Rebecca Kiessling è spesso in tv per difendere la vita.

In effetti, fa una certa impressione osservare questi due lati della medaglia. La tecnologia può servire a difendere e far sviluppare la vita umana, ma un suo uso spregiudicato può portare all’inverso di utilizzarla per eliminare quella vita se essa confligge coi propri piani. E’ un dilemma che rischia sempre di spalancarsi su un abisso insondabile di orrore.

Esistono molte persone che vedono l’avere bambini come una segreta porta d’accesso alla vita eterna, e si può osservare quanto all’estremo si possano spingere pur di perpetuare il proprio sangue. Anni fa, partecipai ad un seminario sull’adozione e su come certe questioni processuali influiscono sui tre soggetti che ne fanno parte, cioè gli adottati, i genitori biologici e quelli adottivi. Lo trovai molto stimolante e fornirono un saggio di grande interesse. Si trattava di una dissertazione laica, ma ognuno di questi problemi legali possedeva delle dimensioni spirituali e gli corrispondevano delle risposte bibliche. Ad esempio, una di tali questioni era che molti genitori adottivi vivono un senso di perdita di dominio e sentono di stare morendo una morte prematura quando sperimentano l’infertilità. Sentono che la loro stirpe sta per finire e per questo moriranno in eterno, poiché il loro nome non si perpetuerà. Per questo devono prima riuscire a elaborare questa perdita prima di poter adottare.

Un fumettistico albero genealogico. Tutti abbiamo desiderio di conoscere le nostre origini.

E la fede come può aiutare a fare i conti con questa tragica percezione di morte?

Penso a San Paolo quando parla di essere innestati nell’albero della famiglia e per me crescere in una famiglia adottiva è stato molto doloroso nel senso che dicevo, poiché non avevo quella connessione con l’eterno. Frequentavo una scuola ebraica essendo stata cresciuta in una famiglia ebrea e ricordo il nostro insegnante parlare delle dodici tribù d’Israele e del fatto che, in teoria, si poteva risalire fino all’inizio del proprio albero genealogico. Ricordo che si parlava di risalire fino ad Adamo ed Eva, mentre io…non potevo andare indietro nemmeno di una generazione! Per cui, era come se sperimentassi quella perdita dell’eternità, però nel senso opposto. Diventata adulta, ritenevo molto importante stabilire una relazione che mi potesse permettere di cominciare la mia discendenza ed essere infine connessa all’eternità.

Ho trovato la mia guarigione in Cristo e nelle Scritture, e quando lessi che ero innestata nell’albero familiare, ciò significò tutto per me. Quando mi dissero che non ero davvero parte di loro [delle due famiglie: quella adottiva e quella ebraica in senso più lato, n.d.a.], iniziai a sentirmi rifiutata; ma ora avevo questo essere trapiantata in una famiglia attraverso Cristo e fu una cosa di enorme significato per me. E, a quel punto, non trovai più importante avere i miei propri figli biologici, che è la ragione per la quale volevo adottare e per cui, con mio marito, decidemmo prima di adottare.



   continua.............












Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)