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DIFENDERE LA VERA FEDE

Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (2)

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    Caterina63
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    00 22/07/2014 12:13










     Dopo aver esaurito la prima serie: Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità


    apriamo questa seconda parte per aiutare i Vescovi-Cardinalei, il Clero, ma anche noi laici, al santo e sano discernimento.... La Chiesa NON è un giocattolo in mano all'autoritarismo delle nomine... nè è in mano alle voglie di un Papa che dir si voglia, che si alza un mattino e decide magari di fare una Chiesa  A SUA IMMAGINE ... è per questo che, per fare sano discernimento, non basta neppure "leggere le Scritture" perchè queste vanno interpretate e la Chiesa lo ha fatto, per questo usiamo il MAGISTERO ECCLESIALE che comprende tutto il bagaglio dottrinale (Depositum Fidei) della Tradizione la quale va avanti e si sviluppa, certamente, arricchendosi anche di cose nuove, ma le nuove non possono abolire le antiche....   

    Il Vescovo è colui che VIGILA affinchè la dottrina venga impartita senza deformazioni e menzogne.... Preghiamo e agiamo!




    "A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem [LE 5192]: «La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano».

    E nell’enciclica Veritatis splendor [LE 5521] ho aggiunto: «L’autorità della Chiesa, che si pronuncia sulle questioni morali, non intacca in nessun modo la libertà di coscienza dei cristiani.. . anche perché il Magistero non porta alla coscienza cristiana verità ad essa estranee, bensì manifesta le verità che dovrebbe già possedere sviluppandole a partire dall’atto originario della fede.

    La Chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola a non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l’inganno degli uomini, a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa». 

    Un atto aberrante dalla norma o dalla legge oggettiva è, dunque, moralmente riprovevole e come tale deve essere considerato: se è vero che l’uomo deve agire in conformità con il giudizio della propria coscienza, è altrettanto vero che il giudizio della coscienza non può pretendere di stabilire la legge; può soltanto riconoscerla e farla propria".

    (Giovanni Paolo II Discorso al Tribunale della Sacra Rota 10 febbraio 1995

     

    Da Il Timone 22 luglio 2014

     

    Dicevamo giorni fa che aumentano le voci autorevoli o autorevolissime che denunciano l’inaccettabilità del “teorema Kasper”, ossia la possibilità per i divorziati risposati di accedere al sacramento dell’Eucaristia, proposta illustrata dal cardinale Walter Kasper all’ultimo concistoro e che sarà uno dei punti chiave del prossimo Sinodo sulla famiglia. Finora la lista (sommaria) comprendeva:

    il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller; l’ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, il cardinale Walter Brandmüller; uno dei teologi più impegnati e apprezzati da Giovanni Paolo II negli studi su matrimonio e famiglia, il cardinale Carlo Caffarra; uno dei più stimati canonisti della Curia romana, il cardinale Velasio De Paolis; un astro nascente del collegio cardinalizio, come l’ha definito Sandro Magister, ossia il cardinale Thomas Collins; una delle voci più significative dell’attuale teologia australiana, Adam G. Cooper, membro dell’Associazione internazionale di studi patristici.

    A questi nomi va aggiunto un gruppo di otto teologi statunitensi di punta: sette domenicani, di cui sei docenti in quello che oggi è il migliore centro teologico dell’Ordine dei Predicatori negli Usa, la Pontificia Facoltà dell’Immacolata Concezione di Washington (si tratta dei padri John Corbett,  Andrew Hofer,Dominic LangevinDominic LeggeThomas PetriThomas Joseph White) uno, il padre Paul J. Keller, docente all’Ateneo Cattolico dell’Ohio (promosso dalla diocesi di Cincinnati); oltre a loro un laico,Kurt Martens, docente di diritto canonico alla Catholic University of America, sempre di Washington.

    Insieme hanno steso un importante testo che verrà pubblicato in agosto su Nova et Vetera, storica rivista teologica fondata nel 1926 e vicina al mondo domenicano. Il documento sarà diffuso in più lingue, versioni che sono però già filtrate su internet. Qui si può scaricare quella in italiano. Una confutazione sintetica e magistrale, dal punto di vista dottrinale e storico, della tesi kasperiana.

     

    Divorziati-risposati una valutazione teologica
    I Domenicani scendono in campo e rispondono alle stravaganti affermazioni di Kasper
    Recenti-proposte-Una-valutazione-teologica (1).pdf [101.45 KB]
    Download


    Alcuni passi del testo:

     

    "La proibizione del divorzio e di un nuovo matrimonio è chiara già nei più antichi pronunciamenti ufficiali della Chiesa cattolica . Dalla Riforma, inoltre, i papi l’hanno ripetutamente riaffermata. 
    Per esempio, nel 1595 papa Clemente VIII emanò un’istruzione sui cattolici di rito orientale in Italia, sottolineando che i vescovi non dovevano in alcun modo tollerare il divorzio. 
    Altri insegnamenti come questo, sull’impossibilità del divorzio per i cattolici di rito orientale, furono ribaditi da Urbano VIII (1623-1644) e Benedetto XIV (1740- 1758) . 
    Nella Polonia del XVIII secolo, l’abuso di sentenze di nullità era particolarmente diffuso, il che spinse Benedetto XIV ad inviare ai vescovi polacchi tre lettere apostoliche dai toni piuttosto forti per porvi rimedio. 
    Nella seconda di queste, nel 1741, il Pontefice emanò la costituzione Dei miseratione, in cui si richiede un difensore canonico del vincolo per ciascun caso matrimoniale . 
    Nel 1803, Pio VII ricordò ai vescovi tedeschi che i sacerdoti non potevano in alcun modo celebrare seconde nozze, anche se era loro richiesto dalla legge civile, poiché con ciò “tradiranno il loro sacro ministero”. Quindi decretò: “Finché perdura l’impedimento [derivante da un precedente vincolo matrimoniale], se un uomo si unisce ad una donna è adulterio” . Pratiche permissive poste in essere dai vescovi di rito orientale in Transilvania diedero origine ad un decreto del 1858 della Congregazione de Propaganda Fide, in cui si sottolinea l’indissolubilità del matrimonio sacramentale . 
    Infine, l’insegnamento di Leone XIII contro il divorzio nel 1880, in Arcanum, la sua enciclica sul matrimonio, non potrebbe essere più incisivo.
    Come questo excursus storico dimostra, l’affermazione dell’insegnamento di Cristo sull’adulterio e sul divorzio è sempre stata complicata e richiama ogni epoca alla conversione. Che sia così anche nel nostro tempo non deve sorprendere. Una ragione di più, per la Chiesa, per testimoniare tale verità ancora oggi".

     

    La castità e' un dogma della dottrina proclamata ed insegnata da Gesù Cristo

     

    "L’indissolubilità di questa unione non solo è fondamentale per il progetto divino di Dio per l’uomo e per la donna (Mt 19, 3-10), bensì consente all’amore perpetuo e fedele tra loro di servire come segno sacramentale dell’amore di Cristo e della Sua fedeltà per la Sua sposa, la Chiesa (Ef 5, 32).
    La Chiesa rappresenta ormai una delle poche voci rimaste, nella cultura occidentale, a proclamare fedelmente la verità a proposito del matrimonio. La sua teologia, il suo diritto e la sua pratica liturgica sottolineano l’importanza del matrimonio e della famiglia nella società e nella Chiesa medesima. Le coppie sposate collaborano con Dio nella creazione di nuove vite, sono le prime maestre della fede e dunque generano nuovi figli e figlie adottivi a Dio, destinati a condividerne l’eredità eterna. Nella loro fedeltà, i coniugi sono testimoni pubblici dell’incrollabile fedeltà di Cristo al Suo popolo".

     

    "Il cuore delle recenti proposte è una sfiducia sulla castità. In effetti, l’eliminazione dell’obbligo della castità per i divorziati costituisce la principale innovazione delle proposte medesime, dato che la Chiesa permette già ai divorziati risposati, che per un motivo grave (come la crescita dei figli) continuano a vivere insieme, di ricevere la Comunione qualora accettino di vivere come fratello e sorella e se non vi è pericolo di scandalo. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI si sono espressi chiaramente su tale aspetto.


    L’assunto delle attuali proposte, ad ogni modo, è che tale castità sia impossibile per i divorziati. Forse che ciò non evidenzia una velata disperazione nei confronti della castità e del potere della grazia di sconfiggere il peccato ed il vizio? Cristo chiama ognuno alla castità secondo la propria condizione di vita, sia essa quella di persona non sposata, celibe, sposata o separata. Egli promette la grazia di vivere castamente. Nei Vangeli, Gesù ribadisce questa chiamata e questa promessa, insieme con un fermo avvertimento: ciò che causa il peccato dovrebbe essere “tagliato” e “gettato via” perché “conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5:27-32). Infatti, nel Discorso della Montagna, la castità è il cuore e l’anima dell’insegnamento di Gesù sul matrimonio, sul divorzio e sull’amore coniugale.


    Tale castità è frutto della grazia e non una mortificazione o una privazione. Essa si riferisce non alla repressione della propria sessualità, bensì al suo corretto utilizzo. La castità è la virtù attraverso cui si sottomettono i desideri sessuali alla ragione, cosicché la propria sessualità sia al servizio della propria reale finalità anziché della lussuria. Da ciò consegue che la persona casta domina le proprie passioni più che esserne asservita e diviene, quindi, capace di un dono di sé totale e continuo. In breve, la castità è indispensabile per seguire la via di Cristo, la quale è l’unica strada per la gioia, la libertà e la felicità".

    "La cultura contemporanea sostiene che la castità non sia solamente impossibile, ma addirittura dannosa. Questo dogma secolare si oppone direttamente all’insegnamento del Signore. Se lo accettassimo, sarebbe arduo non domandarsi perché esso dovrebbe applicarsi solamente ai divorziati. Non sarebbe ugualmente irrealistico chiedere alle persone celibi di rimanere caste fino al matrimonio? Non dovrebbero essere ammesse anch’esse alla Santa Comunione? Gli esempi potrebbero essere molteplici.
    Alcune coppie risposate civilmente provano davvero a vivere in castità come fratello e sorella. Esse possono anche trovarlo difficile, magari cadere di tanto in tanto, e tuttavia, mosse dalla grazia, si rialzano, si confessano e ricominciano. Se le proposte in oggetto venissero accettate, quante di queste coppie si arrenderebbero nella lotta per rimanere caste?


    D’altro canto, molti divorziati risposati non vivono castamente. Ciò che li distingue da coloro che tentano di farlo (e non sempre vi riescono) è che i primi non riconoscono ancora l’incontinenza come un problema serio, o almeno non hanno ancora intenzione di vivere in castità. Se si permette loro di ricevere l’Eucaristia, anche se prima si sono recate in confessionale, pur con l’intenzione di continuare a vivere in modo non casto (una palese contraddizione), vi è il serio pericolo che essi siano confermati nel proprio vizio presente. E’ improbabile, infatti, che essi crescano nella consapevolezza dell’obiettiva immoralità e gravità della loro comportamento non casto. E’ lecito domandarsi, piuttosto, se la condotta morale di costoro, anziché migliorare, non verrebbe più verosimilmente perturbata o addirittura deformata.


    Cristo insegna che la castità è possibile, persino nei casi più difficili, poiché la grazia di Dio è più potente del peccato. La pastorale dei divorziati dovrebbe essere basata su tale promessa. Se i divorziati stessi non udranno la Chiesa proclamare le parole di speranza di Cristo, e cioè che essi possono realmente essere casti, non tenteranno mai di esserlo".

     

    Chiarimenti sulla prassi ortodossa mai accettata dalla Chiesa

     

    "Inoltre, la Chiesa cattolica ha più volte ribadito di non poter ammettere la prassi ortodossa.

    Il Secondo Concilio di Lione (1274), che si indirizzava nello specifico alla consuetudine della Chiesa ortodossa d’oriente, proclamò che “non è permesso a un uomo di avere contemporaneamente più mogli, né a una donna di avere più mariti. Sciolto invece il matrimonio per la morte dell’uno o dell’altro dei coniugi, essa [la Chiesa romana] dice che sono lecite successivamente le seconde e quindi le terze nozze” .


    In più, le proposte più recenti invocano ciò che neanche gli ortodossi d’oriente accetterebbero: la Comunione per coloro che contraggono unioni civili non consacrate (adulterine). Nella Chiesa ortodossa si ammettono alla Comunione i divorziati risposati solo se, per questi ultimi, le nozze successive alla prima sono state benedette nel rito della medesima Chiesa.

     

    In altre parole, ammettere alla Comunione richiederebbe inevitabilmente che la Chiesa cattolica riconoscesse e benedicesse i secondi matrimoni dopo il divorzio, il che è evidentemente contrario alla dottrina cattolica già stabilita e a quanto espressamente insegnato da Cristo".

     

    "E’ semplicemente impossibile ammettere alla Santa Comunione coloro che perseverano nell’adulterio e allo stesso tempo affermare queste dottrine conciliari. Le definizioni tridentine di adulterio, giustificazione (il che implica la carità così come la fede) oppure il significato e l’importanza dell’Eucaristia sarebbero altrimenti modificate.

    La Chiesa, inoltre, non può trattare il matrimonio come un affare privato, né permettere che esso ricada sotto la giurisdizione dello Stato e neppure che esso sia qualcosa di risolvibile in base ad arbitrari giudizi di coscienza. Dopo un lungo dibattito, tali questioni sono state chiaramente risolte all’interno di un concilio ecumenico e nel modo più solenne. Queste dichiarazioni sono state poi più volte ribadite dal Magistero contemporaneo, anche nel Concilio Vaticano II e nel Catechismo della Chiesa Cattolica" .

     

    Conclusione

     

    "La Chiesa è sostenuta in ogni epoca dallo Spirito Santo, che le è stato promesso da Cristo stesso (Gv 15, 26). Perciò, ogniqualvolta si trova ad affrontare grandi sfide nell’evangelizzazione, essa sa anche che Dio le concederà certamente le grazie necessarie per la sua missione. Molti uomini e donne della nostra epoca si trovano a dover subire grandi sofferenze.

    La rivoluzione sessuale ha provocato milioni di vittime. Tanti hanno profonde ferite, difficili da guarire. Per quanto problematica sia tale situazione, essa rappresenta altresì un importante opportunità apostolica per la Chiesa. L’essere umano è spesso consapevole dei propri fallimenti e pure delle proprie colpe, ma non del rimedio offerto dalla grazia e dalla misericordia di Cristo. Soltanto il Vangelo può realmente soddisfare i desideri del cuore umano e guarire le gravissime ferrite presenti oggi nella nostra cultura.


    L’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, sul divorzio, sulla sessualità umana e sulla castità è certamente difficile da accogliere. Cristo stesso ne era consapevole quando l’ha proclamato. Tuttavia, questa verità porta con sé un autentico messaggio di libertà e speranza: esiste una via d’uscita dal vizio e dal peccato. Esiste una via che conduce verso la felicità e l’amore. Richiamando queste verità, la Chiesa può accettare il compito dell’evangelizzazione nel nostro tempo con gioia e speranza".




    [Modificato da Caterina63 06/02/2015 09:20]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 09/08/2014 10:10

    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AL I CONGRESSO LATINOAMERICANO DI PASTORALE FAMILIARE
    CHE SI SVOLGE DAL 4 AL 9 AGOSTO A CITTÀ DI PANAMA

     

     

    Cari fratelli:

    Mi unisco col cuore a tutti i partecipanti a questo i Congresso latinoamericano di Pastorale familiare, organizzato dal Celam, e mi congratulo per questa iniziativa a favore di un valore tanto caro e importante oggi nelle nostre nazioni.

    Che cos’è la famiglia? Al di là dei suoi problemi più pressanti e delle sue necessità perentorie, la famiglia è un “centro di amore”, dove regna la legge del rispetto e della comunione, capace di resistere all’impeto della manipolazione e della dominazione da parte dei “centri di potere” mondani. Nel cuore della famiglia, la persona si integra con naturalezza e armonia in un gruppo umano, superando la falsa opposizione tra individuo e società. In seno alla famiglia, nessuno viene messo da parte: vi troveranno accoglienza sia l’anziano sia il bambino. La cultura dell’incontro e del dialogo, l’apertura alla solidarietà e alla trascendenza hanno in essa la sua origine.

    Per questo, la famiglia costituisce una grande “ricchezza sociale” (cfr. Benedetto XVI, Lettera enc. Caritas in veritate, 44). In questo senso, vorrei sottolineare due apporti primari: la stabilità e la fecondità.

    Le relazioni basate sull’amore fedele, fino alla morte, come il matrimonio, la paternità, l’essere figli o fratelli, si apprendono e si vivono nel nucleo familiare. Quando queste relazioni formano il tessuto basico di una società umana, le donano coesione e consistenza. Non è quindi possibile fare parte di un popolo, sentirsi prossimo, prendersi cura di chi è più lontano e sfortunato, se nel cuore dell’uomo sono spezzate queste relazioni fondamentali, che gli danno sicurezza nell’apertura verso gli altri.

    Inoltre, l’amore familiare è fecondo, e non soltanto perché genera nuove vite, ma perché amplia l’orizzonte dell’esistenza, genera un mondo nuovo; ci fa credere, contro ogni scoraggiamento e disfattismo, che una convivenza basata sul rispetto e la fiducia è possibile. Di fronte a una visione materialista del mondo, la famiglia non riduce l’uomo allo sterile utilitarismo, ma offre un canale per la realizzazione dei suoi desideri più profondi.

    Infine, vorrei dirvi che, grazie all’esperienza fondante dell’amore familiare, l’uomo cresce anche nella sua apertura a Dio come Padre. Per questo il Documento di Aparecida afferma che la famiglia non deve essere considerata soltanto oggetto di evangelizzazione, ma anche agente di evangelizzazione (cfr. nn. 432, 435). In essa si riflette l’immagine di Dio che nel suo mistero più profondo è una famiglia e, in questo modo, permette di vedere l’amore umano come segno e presenza dell’amore divino (Lettera enc. Lumen fidei, 52). Nella famiglia la fede si assorbe insieme al latte materno. Per esempio, quel gesto semplice e spontaneo di chiedere la benedizione, che si conserva in molte delle nostre nazioni, riflette perfettamente la convinzione biblica secondo cui la benedizione di Dio si trasmette di padre in figlio.

    Coscienti del fatto che l’amore familiare nobilita tutto ciò che fa l’uomo, dandogli un valore aggiunto, è importante incoraggiare le famiglie a coltivare relazioni sane tra i propri membri, a saper dirsi l’un l’altro “scusa”, “grazie”, “per favore”, e a rivolgersi a Dio usando il bel nome del Padre.

    Che Nostra Signora di Guadalupe ottenga da Dio abbondanti benedizioni per le famiglie d’America e le renda fonti di vita, di concordia e di una fede robusta, alimentata dal Vangelo e dalle buone opere. Vi chiedo il favore di pregare per me, perché ne ho bisogno.

    Fraternamente,

    Francesco

     


    L'Osservatore Romano n. 179, 7 agosto 2014





    La Francia riabilita l'Humanae Vitae
    di Lorenzo Bertocchi26-08-2014
    Paolo VI

    Nel caso dei treni è una benedizione che i binari siano paralleli, la stessa cosa purtroppo non vale in altri ambiti, come ad esempio quello del magistero della Chiesa. In questo caso un “magistero parallelo” è più facile che porti al deragliamento, piuttosto che a destinazione; l’esempio da manuale è fornito dalla reazione a cui andò incontro l’ultima enciclica di Paolo VI, ormai prossimo beato.

    Era il 29 luglio del 1968 quando fu presentata l’Humanae Vitae, il pronunciamento del pontefice sul tema scottante dell’amore coniugale e della “regolazione” delle nascite, appena due giorni dopo si alzava violento il vento del dissenso.
    Al n°14 dell’enciclica si ribadiva con chiarezza che «è altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione». Una sconfitta colossale per i molti che da anni tentavano, dentro e fuori la Chiesa, di forzare la mano per ottenere un pronunciamento favorevole sul tema della contraccezione.
    Il 31 luglio 1968, a pagina 16 del New York Times, si poteva già leggere la “dichiarazione Curran”, dal nome del teologo della Catholic University of America che raccolse la diffusa opposizione all’enciclica. Fu solo la prima di una lunga serie di azioni e dichiarazioni che teologi cattolici, e anche alcuni vescovi, fecero in aperto contrasto al magistero del Papa. Sul quotidiano Le Monde l’abate Oraison ne faceva un nuovo caso Galileo: con questo pronunciamento la Chiesa stava rifiutando di riconoscere «le acquisizioni della moderna antropologia».

    Dopo 46 anni, proprio sulle pagine del quotidiano francese, viene pubblicata un’inchiesta che sembra “riabilitare” l’Humanae Vitae. In Francia, secondo uno studio dell’Ined-Inserm dello scorso maggio, i cosiddetti metodi naturali per la “regolazione” delle nascite stanno guadagnando terreno, mentre l’uso della pillola è in netto calo.
    Lucetta Scaraffia sull’Osservatore Romano ha notato, appunto, che «in fondo si tratta di una riabilitazione della vituperata Humanae Vitae».
    L’inchiesta di Le Monde porta alcune testimonianze di donne che hanno scelto di abbandonare la pillola per salvaguardare la propria salute, ma c’è anche chi dice che l’uso del contraccettivo chimico azzera la libido. Un’altra donna racconta che il suo nuovo compagno non apprezza tutti questi prodotti chimici utilizzati sul corpo femminile.
    «Per questo»,  dichiara Marie, 29 anni, «abbiamo approfondito il metodo [naturale] insieme». Una vera tendenza?, si chiedono gli autori dell'inchiesta. Troppo presto per dirlo. Ma devono prendere atto che i vari metodi per stimare il periodo di ovulazione sono una realtà in costante crescita. 

    Meglio tardi che mai, potrebbe dire qualcuno, visto che Paolo VI in questi metodi credeva veramente, non come semplice anticoncezionale “naturale”, ma come strumento per un vero amore. Imparare a conoscere i ritmi del corpo femminile, come ad esempio propone il metodo Billings e altri, non è una forma di repressione, ma conduce a una conoscenza e a un rispetto che permettono di vivere la sessualità in modo veramente libero e pieno.
    Rimanendo aperti a tutto ciò che questo amore porta con sé.

    «Il dominio dell’istinto», si legge al n°21 diHumanae Vitae, mediante la ragione e la libera volontà, «impone indubbiamente un’ascesi…».

    Ma questa disciplina, propria della purezza degli sposi, «ben lungi dal nuocere all’amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano». Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità, «arricchendosi di valori spirituali».

    Paolo VI con l’Humanae Vitae ribadiva che l’amore non ha nulla a che fare con la libertà contrabbandata dalla contraccezione, a meno che non si voglia sostenere che la sessualità sia mera ginnastica, o semplice emozione.
    Paolo VI fece questo contro le valutazioni maggioritarie della Commissione consultiva appositamente costituita. Lo fece contro l’opinione diffusa dai mass media, lo fece contro le spinte in avanti di alcuni vescovi, lo fece nella piena consapevolezza che quando si tratta di verità non è la maggioranza che può stabilirla. Qualcuno ha parlato di profezia...

     



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    Card. Parolin: politici cattolici sostengano valori autenticamente cristiani

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    2014-08-30 Radio Vaticana

    “Essere lievito nel mondo” per portare i valori autenticamente cristiani nella città terrena e realizzare la Città di Dio: questa la missione a cui sono chiamati i legislatori e i politici cattolici.

    Lo ha ricordato ieri il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin portando il saluto del Papa ai partecipanti alla quinta Conferenza annuale dell’International Catholic Legislators’ Network, organizzato a Frascati (28-30 agosto).
    Tre giorni di lavori in cui parlamentari cattolici da tutto il mondo hanno discusso del loro impegno politico e delle difficoltà a tradurre i valori del Vangelo in società sempre più secolarizzate.

    L’International Catholic Legislators’ Network è stato fondato nel 2010 dal cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn e da David Alton, membro cattolico della Camera dei Lord, proprio per sostenere i legislatori cattolici nel loro difficile lavoro. Nel suo intervento, il cardinale Parolin ha voluto ribadire il sostegno della Chiesa a questa preziosa missione al servizio del bene comune, che - ha detto – è “una parte vitale dell’apostolato dei laici”.

    “La Chiesa sa che il vostro lavoro è difficile. Capisce le numerose minacce alla famiglia costituite da politiche e leggi che permettono o addirittura accelerano la sua dissoluzione. Essa è anche pienamente consapevole dell’urgente necessità di alleviare la povertà e di promuovere lo sviluppo integrale dei membri più trascurati della società. Per questo – ha sottolineato il segretario di Stato - come  essa ha bisogno di voi, anche voi avete bisogno della Chiesa che mette a disposizione i suoi sacramenti, consigli e impegno in difesa delle verità morali della legge naturale”.

    Il cardinale Parolin ha quindi concluso con l’incoraggiamento ad approfondire l’impegno personale dei politici cattolici “affinché la loro testimonianza e dialogo con il mondo possano portare frutti duraturi”. (A cura di Lisa Zengarini) 

    (Tratto dall'archivio della Radio Vaticana)





    I vescovi spagnoli: il diritto alla vita non è negoziabile

    Messaggio dei vescovi spagnoli in difesa dei diritti del nascituro

    03/10/2014

    “Il diritto alla vita umana non è negoziabile”: lo scrive a chiare lettere la Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola, in una nota diffusa oggi, al termine della sua 233.ma riunione svoltasi a Madrid. Suddivisa in cinque punti, la nota fa riferimento, in particolare, alla “Legge di protezione dei diritti del concepito e della donna incinta”: già approvata in prima lettura, originariamente la normativa intendeva consentire l’interruzione di gravidanza solo in caso di reale pericolo per la salute psicofisica della madre e vietava l’aborto dopo la 14.ma settimana.

    In attesa del passaggio al Parlamento, però, la legge ha già subito alcune modifiche e sono proprio queste a preoccupare la Chiesa e le organizzazioni pro-life. Ad esempio: il progetto originario vietava l’aborto per motivi eugenetici in caso di malformazioni del non nato e definiva legale l’interruzione volontaria di gravidanza solo se la malformazione risultava “incompatibile con la vita”. Restavano esclusi, quindi, i casi di sindrome di Down o di emofilia, conciliabili con la vita. La nuova versione della normativa, invece, recita: “Gravi anomalie fetali, anche se compatibili con la vita, saranno un motivo legale per l’aborto”.

    Di fronte al dibattito politico sorto intorno a tale normativa, dunque, i vescovi iberici ribadiscono che “la vita umana e sacra ed inviolabile e deve essere tutelata dal concepimento e fino alla morte naturale”, poiché “la scienza stessa prova che sin dal concepimento esiste un nuovo essere umano, unico ed irripetibile, distinto dai suoi genitori”. “Non si può costruire – spiegano i presuli - una società democratica, libera, giusta e pacifica se non si difendono e rispettano i diritti di tutti gli esseri umani, nella loro dignità inalienabile, in particolare il diritto alla vita, priorità tra tutti gli altri”.

    Poi, la Chiesa di Madrid ricorda che “proteggere la vita umana è compito di tutti, soprattutto dei governi” e definisce “una triste eccezione” la Spagna, dove si vuole arrivare a “considerare l’aborto come un diritto”, puntando quindi il dito contro quei rappresentanti istituzionali che, per interesse politico, hanno rinunciato a tutelare la vita dei nascituri, nonostante gli impegni presi in precedenza davanti agli elettori.

    Naturalmente, i vescovi si dicono consapevoli del fatto che “l’esistenza umana non è libera da difficoltà” e ribadiscono che “la Chiesa conosce bene le sofferenze e le carenze di molte persone, alle quali rivolge il suo aiuto, in tutto il mondo, nell’esercizio della carità”, tanto che sono “numerosi i volontari e le organizzazioni di sostegno alla vita e di promozione della donna e della solidarietà con i più bisognosi” che vogliono “estendere la civiltà dell’amore e la cultura della vita” nei confronti di tutti coloro che “vivono nelle periferie sociali ed esistenziali”. Al contempo, i presuli iberici chiedono alle istituzioni pubbliche “uno sforzo più generoso nell’attuazione di politiche efficaci per sostenere le donne incinte e le famiglie”.

    La nota si conclude con un ulteriore appello ad “accompagnare le donne in gravidanza affinché, di fronte a qualsiasi tipo di difficoltà, non scelgano la morte, ma optino per la via della vita, che rappresenta la massima realizzazione della vera libertà e del progresso umano”. (I.P.)




    [Modificato da Caterina63 08/10/2014 20:56]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 30/08/2014 19:20

     


    Corrado Gnerre e gli pseudomonaci che predicano predicano predicano...

    Altri cavalieri coraggiosi 

    GLI PSEUDO MONACI CHE PROPAGANO L'ERESIA (TRA GLI APPLAUSI DEL MONDO)
    Attualità di sant'Atanasio: oggi come allora è in pericolo l'ortodossia della fede
    di Corrado Gnerre

    Agli amici de Il Giudizio cattolico voglio offrire la storia di un grande e famoso santo che però non viene solitamente ricordato nella sua completezza. Si tratta di sant'Atanasio (295-373), colui che difese il mistero dell'Incarnazione dalle minacce dell'Arianesimo, l'eresia che negava la divinità di Cristo. 
    Ma - dicevo - si tratta di un santo grande, anche famoso, ma di cui non si sa completamente tutto. Ed è proprio ciò che solitamente non si ricorda che rende questo santo molto attuale.

    LA GRANDE CRISI DELLA ORTODOSSIA
    L'epoca in cui visse sant'Atanasio fu di grande crisi della ortodossia, cioè della dottrina autentica. Siamo intorno al 360. In quel periodo (così come oggi) la verità cattolica rischiava di scomparire. Celebre è la frase di San Girolamo che descriveva quei tempi: "E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano."
    In tale contesto, sant'Atanasio non si piegò. Egli era un giovane vescovo di Alessandria d'Egitto. Rimase talmente solo a difendere la purezza della dottrina che per quasi mezzo secolo la sopravvivenza della fede autentica in Gesù Cristo si trasformò in una diatriba tra chi era per e chi non per Atanasio.

    LA VITA DI SANT'ATANASIO

    Qualche cenno biografico. Egli nacque ad Alessandria nel 295. Nel 325 presenziò al celebre Concilio di Nicea, in qualità di diacono di Alessandro ch'era vescovo di Alessandria. Concilio famoso quello di Nicea perché fu lì che venne solennemente proclamato la fede nella divinità di Cristo in quanto consustanziale al Padre. E' lì che fu stabilita la definizione per intendere l'uguaglianza del Figlio con il Padre: homoosius, che vuol dire "della stessa sostanza". Attenzione a questa definizione (homoosius) perché questa sarà la sostanza del contendere. 
    Torniamo alla vita di sant'Atanasio. Il 17 aprile del 328 morì il vescovo Alessandro e il popolo di Alessandria d'Egitto chiese a gran voce Atanasio come vescovo. Fu vescovo per ben 46 anni, ma furono 46 anni durissimi, 46 anni di lotta contro l'eresia ariana e contro gli ariani. Questi ovviamente rifiutavano proprio ciò che il Concilio di Nicea aveva detto di Gesù, il termine homoosius, che, come ho già ricordato, vuol dire: della stessa sostanza del Padre.
    Il comportamento degli ariani di quel tempo è indicativo per capire quanto le vicende che toccarono a sant'Atanasio siano straordinariamente attuali. Sant'Ilario di Poiters (315-367) racconta che gli ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù perché sapevano che le loro tesi non potevano essere fondate sulla Tradizione né sul Magistero definito. Si limitavano a fare ciò che solitamente fa chi non sa controbattere in una discussione: invece di rispondere sugli argomenti, calunnia. La discussione dottrinale veniva spesso trasformata in conflitto su questioni personali. Il povero sant'Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all'unicità della Chiesa. Una tecnica che non passa mai di moda. D'altronde il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia.
    Gli ariani però non si limitarono a questo. Operarono anche con grande astuzia. Prima di tutto cercarono di occupare quante più sedi episcopali e poi lanciarono quello che successivamente è stato definito come semiarianesimo. Altra tecnica tipica delle eresie: una volta condannate, riemergono proponendo un compromesso tra la verità e l'errore. Gli ariani propagandarono la necessità di sostituire il termine stabilito dal Concilio di Nicea, homoousion, con il termine homoiousion. Differenza di una sola lettera, minimale, ma che cambiava tutto. Infatti, il primo termine (homoousion) significa "della stessa sostanza", il secondo termine (homoiousion) significa "simile in essenza". Traducendo si capisce quanto la differenza non sia di poco conto.

    SANT'ATANASIO RIFIUTA IL COMPROMESSO DOTTRINALE

    Mentre molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era cedimento sulla dottrina, sant'Atanasio tenne fermo, resistette come un leone. Subì l'esilio per ben cinque volte, ma non cedette. E –come si suol dire- non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva il dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore e quanto fossero pericolosi i semiariani, che invece agli occhi di molti sembravano innocui. Se la prendeva anche con chi voleva accettare il compromesso dottrinale. Sentite cosa diceva a riguardo: "Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l'uomo e l'umanità. Portare il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo." 
    Nel 335 a Tiro, in Palestina, fu convocato un sinodo per dirimere la controversia e dunque per decidere quale atteggiamento avere nei confronti di ciò che affermava sant'Atanasio. Il concilio definì il Vescovo di Alessandria con questi termini: "arrogante", "superbo" e "uomo che vuole la discordia". Il papa Giulio I (?-352) cercò di difenderlo, ma poi di lì a non molto morì e il povero sant'Atanasio fu nuovamente attaccato.

    L'IMPERATORE COSTANZO E PAPA LIBERIO

    Intanto anche il potere politico si accaniva contro di lui: l'imperatore Costanzo l'odiava. Fu convocato un concilio ad Arles e qui si costrinsero i vescovi a sottoscrivere una condanna di sant'Atanasio. Chi si opponeva difendendolo veniva mandato in esilio, fu il caso di Paolino di Treviri. Stessa sorte toccò anche al papa legittimo Liberio (?-366), che venne sostituito da un antipapa, Felice. 
    Fu allora che accadde ciò che viene ricordato come "caduta" di un papa. Liberio, per ottenere il potere e tornare a Roma come papa legittimo, decise anch'egli di accettare l'ambigua definizione semiariana, eppure fino ad allora si era distinto per una convinta definizione dell'homoosius del Concilio di Nicea.  
    Altri concili segnarono il trionfo dell'eresia: quelli non ecumenici di Rimini e di Seleucia, siamo nel 359. Ma era prevedibile che per come era stato trattato sant'Atanasio e soprattutto per come era stata rinnegata la vera fede il castigo fosse alle porte. All'imperatore Costanzo, morto nel 360, successe Giuliano detto "l'apostata" (330-363), che arrivò a ripudiare il battesimo cercando di restaurare il paganesimo.
    Non passò molto tempo e il nuovo imperatore Valente, così come il nuovo papa Damaso, capirono che sant'Atanasio aveva ragione e lo riabilitarono. L'intrepido difensore della fede cattolica morì il 2 maggio del 373.

    MANTENERE ACCESA LA LUCE DELLA FEDE

    Ancora due cose vanno messe in rilievo. La prima: ai tempi di sant'Atanasio a difendere la fede ci fu solo lui e una piccola comunità, i vescovi dell'Egitto e della Libia. Solo loro seppero mantenere accesa la luce della fede. La seconda: è significativo che colui che combatté da solo contro l'eresia ariana, non fu mai un teologo. La sua grande sapienza teologica, più che dagli studi, gli venne dall'incontro con i suoi maestri cristiani che testimoniarono il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano; e soprattutto dall'incontro con il grande sant'Antonio. Ario, invece, raccoglieva grande consenso per la sua grande preparazione biblica e teologica. Era insomma come tanti teologi che oggi vanno per la maggiore nei dibattiti, nelle prime pagine dei quotidiani e nei talk-show televisivi. Atanasio però sapeva quanto qui stesse l'insidia del demonio. Nella sua celebre Vita di Antonio egli riporta un insegnamento del suo grande maestro: "(…) i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scritture. (…). A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni."

    Titolo originale: Attualità di sant'Atanasio
    Fonte: Il Giudizio Cattolico, 09/08/2014
    Pubblicato su BastaBugie n. 362
    e da BoseCuriose



    Da un recente articolo di Padre Giovanni Cavalcoli pubblicato su Riscossa Cristiana, i principali punti deboli del pensiero di bose 

    • un ecumenismo non proprio in linea col Concilio Vaticano II, ma di tendenza protestante, e quindi succube del prestigio di questa forma deviata di cristianesimo, 

    • minimalista dal punto di vista dogmatico,

    • diffidente nei confronti della Chiesa istituzionale in nome di un indisciplinato biblicismo, carismatismo o profetismo,

    • fiacco dal punto di vista liturgico, 

    • debole nella cristologia,

    • inerte per quanto riguarda la testimonianza cattolica, 

    • rinunciatario rispetto al dovere del cattolico di operare per condurre tutti nel seno della Chiesa cattolica.


     Padre Giovanni Cavalcoli O.P.
     
     

    Nel lontano 1972 ero nei primi miei anni di vita religiosa domenicana nella comunità di Chieri, vicino a Torino, in Piemonte. E ricordo che giungevano a noi giovani frati gli echi della vita e delle attività di un’altra comunità in una località chiamata Bose, sempre in Piemonte, dove - così si sentiva dire - si stava realizzando un grandioso esperimento ecumenico d’avanguardia, del tutto nuovo nella storia della Chiesa: una convivenza monastico-religiosa tra membri della Chiesa cattolica, di una Comunità protestante e dell’Ortodossia scismatica, con atti comuni per quanto poteva riguardare i comuni valori cristiani ed invece pratiche e riti distinti per ciò che concerne gli elementi di contrasto. 
    Si parlava di questo luogo con una specie di venerazione, non senza una punta di invidia perché noi Domenicani non eravamo capaci di realizzare imprese del genere.

    Da allora molte volte ho sentito parlare di questa Comunità anche da parte di persone che vi erano state, soprattutto giovani, compresi miei Confratelli. Qualche anno fa nel mio convento di Bologna la mia Comunità accolse per una giornata di spiritualità il Priore della Comunità di Bose, 
    Fratel Enzo Bianchi. 
    So della grande fama di questo Religioso, ma devo dire che l’impressione che mi fece non fu particolarmente favorevole. Non dico che dicesse cose sconvenienti, ma neppure nulla di eccezionale che potesse spiegare la sua fama.

    Ricordo un particolare, e cioè che a un certo punto il suo parlare cadde nel tema dell’umiltà, argomento classico della spiritualità monastica, sul quale hanno parlato tutti i grandi Maestri, come di virtù basilare di tutto l’edificio spirituale, quel “buon terreno”, come dice S.Caterina da Siena, sul quale cresce l’“arbore della carità”.

    Ebbene, giunto improvvisamente su questo argomento, all’apparenza quasi senza una sua precisa intenzione, Bianchi immediatamente interruppe il suo dire fluente e scorrevole, diventò rosso in volto e mi sembrò come confuso ed imbarazzato, fin quasi a farfugliare, dichiarò la sua incapacità a trattare di tale argomento e passò subito ad altro, come se, avendo toccato un tema fastidioso, fosse desideroso di liberarsene al più presto.

    Rimasi molto meravigliato e dissi tra me e me non senza comunicarlo anche ad altri: Ma come? Un monaco che non ha il gusto dell’umiltà? Che non vuol fermarsi a parlare dell’umiltà? Che non ci insegna nulla sull’umiltà?”. Da qui la mia perplessità davanti a questa figura di monaco, peraltro strano anche per il fatto che seppi che egli continuamente gira e viaggia per conferenze ed incontri, mentre di vita solitaria, silenziosa e ritirata pare ne faccia assai poca. Dov’è la beata solitudo, sola beatitudo, della quale parla S.Bernardo?

    Con ciò tuttavia preciso che non intendo detrarre per nulla ai suoi meriti, se non altro per il fatto della sua grande fama nel mondo cattolico e non cattolico, cosa che, se non costituisce prova sicura del valore di una persona, quanto meno è un segnale del quale non si può non tener conto.

    Nel contempo in questi ultimi anni mi son giunte da persone fidate notizie non troppo confortanti sulle attività di Bose, nel senso di un ecumenismo non proprio in linea col Concilio Vaticano II, ma di tendenza protestante, e quindi succube del prestigio di questa forma deviata di cristianesimo, minimalista dal punto di vista dogmatico, diffidente nei confronti della Chiesa istituzionale in nome di un indisciplinato biblicismo, carismatismo o profetismo, fiacco dal punto di vista liturgico, debole nella cristologia, inerte per quanto riguarda la testimonianza cattolica, rinunciatario rispetto al dovere del cattolico di operare per condurre tutti nel seno della Chiesa cattolica.

    Tale mia opinione o impressione mi si è rafforzata dopo aver letto di recente su di un sito cattolico un giudizio assai severo su Bianchi pronunciato da uno dei massimi teologi cattolici di oggi, uomo dottissimo e fedelissimo alla Chiesa, Mons. Prof. Antonio Livi, Accademico Pontificio, autore di numerosissime pubblicazioni di alto livello, illustre tomista, Professore emerito di Filosofia della Conoscenza nell'Università Lateranense, Presidente dell’Associazione internazionale "Sensus communis", Direttore editoriale della Casa Editrice Leonardo da Vinci.

    Mons. Livi, esprimendo ovviamente una sua semplice opinione, come egli stesso afferma, non teme tuttavia di giudicare il Bianchi come “falso profeta” e “neognostico”, il che è peggio ancora di eretico, poiché lo gnosticismo, come è risaputo dagli studiosi, è una forma di presuntuosa e falsa sapienza, sedicente ispirata dallo Spirito Santo, che impedisce o spegne la fede alla radice, considerandosi superiore alla stessa rivelazione divina, espressa nei dogmi della fede comunicati al mondo dalla Chiesa cattolica.

    L’intervento di Mons. Livi ha spinto il direttore di Avvenire, Dott. Marco Tarquinio, ad una forte ed intransigente  difesa di Bianchi, ma senza purtroppo che egli abbia addotto seri argomenti a suo favore, anche se non voglio dubitare delle rette intenzioni del direttore del prestigioso quotidiano cattolico patrocinato dalla Conferenza Episcopale Italiana. Difficile però dire quanto Tarquinio abbia parlato secondo sue opinioni o anche con l’appoggio di qualche prelato della CEI.

    Quanto alla S.Sede, non mi risulta che Bianchi abbia mai avuto da essa particolari elogi o riconoscimenti,mentre, come notava il giornalista Alessandro Gnocchi in un altro recente intervento contro Bianchi, non risulta che la Comunità di Bose, realtà veramente anomala dal punto di vista del diritto canonico, 
    abbia mai ricevuto alcun riconoscimento giuridico da parte di Roma, cosa che certo non depone a favore né della natura né delle attività equivoche e confusionarie di questa strana comunità, che si copre con lo scudo dell’ecumenismo, ma che in realtà realizza un “ecumenismo” che non sembra essere conforme alle direttive della Chiesa.

    Il caso Bianchi o il caso Bose non è l’unico nel confuso e degradato panorama dello ecumenismo italiano ed internazionale, che si richiama in modo sempre meno persuasivo al Concilio per darsi una patente di legittimità, mentre in modo sempre più scoperto questo cosiddetto “ecumenismo”, come del resto tutto il fenomeno modernistico, non è che longa manus di un mondo protestante più che mai vivo, fascinoso ed invadente ancora a cinquecento anni dalla morte del “Riformatore”, come se cinquecento anni di storia non avessero ancora insegnato ai fratelli protestanti che la loro “riforma” è stata in realtà la rovina della Chiesa e alla fine della stessa civiltà, con le corrotte e corruttrici correnti teologiche e filosofiche alle quali la Riforma ha dato ispirazione, nonché le immani tragedie politiche, sociali e militari, che ne sono state l’estrema conseguenza pratica.

    Ecumenismo va bene, ma purchè sia fatto, si vorrebbe quasi dire, “come Dio comanda”, senza essere cioè un pasticcio inconcludente dove i protestanti s’impegolano ancor di più nei loro errori mentre i cattolici allocchi o furbi a seconda dei casi conservano un‘etichetta di “cattolico” priva di contenuto, mentre gli uni e gli altri, sulla loro nave, che affonda, ballano e si considerano i piloti che guidano verso nuove ed esaltanti mete del futuro.

    C’è da augurarsi peraltro che il dibattito attorno a Bianchi e a Bose che si è recentemente acceso si mantenga nei limiti dell’urbanità e della serietà dottrinale, nella volontà di ricomporre le lacerazioni delle quali soffre il mondo cattolico. 
    Di recente si sono presentate occasioni favorevoli per un serio confronto: il dibattito sui “castighi divini” a proposito di De Mattei, l’affare Castellucci, la discussione attorno a Celentano. Nascano da queste occasioni fenomeni di maturazione e di pacificazione e non l’esasperazione dei contrasti, dei quali siamo tutti stanchi e che non riflettono quella mutua carità che Cristo ha voluto per i suoi discepoli.






    [Modificato da Caterina63 01/09/2014 11:30]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 31/08/2014 15:33

      IL CARD. GEORGE: PREPARATEVI, IO MORIRÒ IN UN LETTO, IL MIO SUCCESSORE IN PRIGIONE E IL SUO SUCCESSORE SARÀ MARTIRIZZATO

    da Il Timone 31, agosto, 2014

    Il card. George: preparatevi,  io morirò in un letto, il mio successore in prigione e il suo successore sarà martirizzatoIl cardinale e arcivescovo di Chicago, Francis George, malato da tempo, visto il peggiorare delle sua condizione ha chiesto lo scorso aprile al Vaticano di iniziare il processo per individuare il suo successore. Quello che qui riportiamo è un estratto di un articolo pubblicato sul suo spazio internet nel novembre del 2012.

    [...] «L’eternità entra nella storia umana spesso in modi incomprensibili. Dio fa promesse ma non dà scadenze temporali. I pellegrini che visitano il Santuario di Fatima entrano in una enorme piazza, con il punto delle apparizioni segnato da una piccola cappella su un lato, una grande chiesa a un’estremità, una cappella per l’adorazione altrettanto grande all’altra estremità, un centro per visitatori e per le confessioni. Appena fuori lo spazio principale è stata ricostruita una sezione del muro di Berlino, una testimonianza tangibile di ciò di cui Maria aveva parlato quasi un secolo fa. Il comunismo in Russia e nelle nazioni satellite è crollato, benché molti dei suoi effetti di peccato siano ancora tra di noi.

    Il comunismo impose un modello di vota totalizzante basato su un assunto: Dio non esiste. Il secolarismo è il suo compagno e sodale più presentabile. Per ironia della storia, alcune settimane fa alle Nazioni Unite la Russia si è unita alla maggioranza dei Paesi per opporsi agli Stati Uniti e all’Europa occidentale che volevano dichiarare l’uccisione di un bambino non nato un diritto universale. Chi si trova sul lato sbagliato della storia in questo momento?

    La presente campagna elettorale ha portato in superficie un sentimento anti-religioso, in buona parte esplicitamente anti-cattolico, cresciuto in questo Paese per decenni. La secolarizzazione della nostra cultura è una questione che supera di gran lunga quelle politiche o l’esito di queste elezioni, per quanto siano importanti.

    Parlando alcuni anni fa a un gruppo di sacerdoti, totalmente al di fuori dell’attuale dibattito politico, stavo cercando di esprimere in modo plateale ciò che una completa secolarizzazione della nostra società potrebbe comportare un giorno. Stavo rispondendo a una domanda, non ho mai messo nulla per iscritto, ma le parole furono catturate dallo smart-phone di qualcuno e sono diventate virali, da wikipedia e altrove. Dissi – ed è stato riportato correttamente – che io mi aspettavo di morire in un letto, ma che il mio successore sarebbe morto in prigione e il suo successore sarebbe morto martire in una piazza pubblica. E’ stata omessa però la frase finale, sul vescovo successore di un possibile vescovo martirizzato: “Il suo successore raccoglierà i resti di una società in rovina e lentamente aiuterà a ricostruire la civiltà, come la Chiesa ha fatto tante volte lungo la storia”.

    […] Dio sostiene il mondo, nei buoni e cattivi tempi. I cattolici, assieme a molti altri, credono che solo una persona ha superato e riscattato la storia: Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore del mondo e capo del suo corpo, la Chiesa.  Coloro che si raccolgono ai piedi della sua croce e della sua tomba vuota, non importa la loro nazionalità, sono sul lato giusto della storia. Quelli che mentono su di lui e minacciano e perseguitano i suoi seguaci, in qualsiasi epoca, possono illudersi di portare qualcosa di nuovo, ma finiscono solo per portare variazioni su una vecchia storia, quella del peccato e dell’oppressione umana. Non c’è nulla di “progresso” nel peccato, anche quando viene promosso come qualcosa di “illuminato”». [...]  

    da «Catholic New World»


       



     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 08/09/2014 12:25

      Nei mesi successivi, contro le tesi di Kasper hanno reagito pubblicamente e con particolare vigore i cardinali Carlo Caffarra, Velasio De Paolis, Walter Brandmüller, Thomas Collins.

    Ma ora è di nuovo il prefetto della congregazione per la dottrina della fede a intervenire con forza in difesa della dottrina tradizionale.

    L'intervista è stata raccolta lo scorso giugno da Carlos Granados, direttore della madrilena Biblioteca de Autores Cristianos. È stata rivista dal cardinale e ha come orizzonte il prossimo sinodo dei vescovi, dedicato al tema della famiglia.

    Nella prefazione, un altro cardinale, lo spagnolo Fernando Sebastián Aguilar, già arcivescovo di Pamplona, scrive:

    "Il principale problema, presente nella Chiesa a proposito della famiglia, non è il piccolo numero dei divorziati risposati che desiderano accostarsi alla comunione eucaristica. Il nostro problema più grave è il gran numero di battezzati che si sposano civilmente e degli sposati sacramentalmente che non vivono né il matrimonio né la vita matrimoniale in sintonia con la vita cristiana e gli insegnamenti della Chiesa, che li vorrebbe come icone viventi dell’amore di Cristo verso la sua Chiesa presente e operante nel mondo".

    Il cardinale Sebastián ha ricevuto la porpora da papa Francesco, che ne ha grande stima. Ma certo non può essere classificato tra i sostenitori di Kasper.

    Nell'intervista il cardinale Müller critica anche chi si fa forte di alcune affermazioni di papa Francesco, piegandole a sostegno di un cambiamento della "pastorale" del matrimonio.

    Dice ad esempio:

    "L'immagine dell’ospedale da campo è molto bella. Tuttavia non possiamo manipolare il papa riducendo a questa immagine tutta la realtà della Chiesa. La Chiesa in sé non è un sanatorio: la Chiesa è anche la casa del Padre".

    E ancora:

    "Un semplice 'adattamento' della realtà del matrimonio alle attese del mondo non dà alcun frutto, anzi risulta controproducente: la Chiesa non può rispondere alle sfide del mondo attuale con un adattamento pragmatico. Opponendoci a un facile adattamento pragmatico, siamo chiamati a scegliere l’audacia profetica del martirio. Con essa, potremo testimoniare il Vangelo della santità del matrimonio. Un profeta tiepido, mediante un adeguamento allo spirito dell’epoca, cercherebbe la propria salvezza, non la salvezza che solamente Dio può dare".

    Ecco qui di seguito un estratto dell'intervista nei passaggi dedicati alla questione della comunione ai divorziati risposati, in cui Müller confuta anche un altro dei mantra associati a papa Francesco, quello della "misericordia":

    __________



    LA VERA DIMENSIONE DELLA MISERICORDIA DI DIO

    Intervista con il cardinale Gerhard Ludwig Müller



    D. – Il problema dei divorziati risposati è stato riproposto ultimamente all’attenzione dell’opinione pubblica. Partendo da una certa interpretazione della Scrittura, della tradizione patristica e dei testi del magistero, sono state suggerite soluzioni che propongono innovazioni. Ci si può attendere un mutamento dottrinale?

    R. – Nemmeno un concilio ecumenico può mutare la dottrina della Chiesa, perché il suo fondatore, Gesù Cristo, ha affidato la custodia fedele dei suoi insegnamenti e della sua dottrina agli apostoli e ai suoi successori. Abbiamo sul matrimonio una dottrina elaborata e strutturata, basata sulla parola di Gesù, che occorre offrire nella sua integrità. L’assoluta indissolubilità di un matrimonio valido non è una mera dottrina, bensì un dogma divino e definito dalla Chiesa. Di fronte alla rottura di fatto di una matrimonio valido, non è ammissibile un altro "matrimonio" civile. In caso contrario, saremmo di fronte a una contraddizione, perché se la precedente unione, il "primo" matrimonio o, meglio, il matrimonio, è realmente un matrimonio, un’altra unione successiva non è "matrimonio". È solo un gioco di parole parlare di primo e di secondo "matrimonio". Il secondo matrimonio è possibile solamente quando il legittimo coniuge è morto, oppure quando il matrimonio è stato dichiarato invalido, perché in questi casi il vincolo precedente si è dissolto. In caso contrario ci troviamo di fronte a ciò che è definito "impedimento di vincolo".

    A questo proposito, desidero sottolineare che l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione che ora io presiedo, con l’approvazione dell’allora papa san Giovanni Paolo II, dovette intervenire espressamente per respingere un’ipotesi simile a quella della sua domanda ["ipotesi" sostenuta all'epoca, era il 1993, dagli allora vescovi di Rottenbiurg, Walter Kasper, di Magonza, Karl Lehmann, e di Friburgo, Oskar Saier - ndr].

    Ciò non impedisce di parlare del problema della validità di tanti matrimoni nell’attuale contesto secolarizzato. Tutti abbiamo assistito a nozze in cui non si sapeva bene se i contraenti del matrimonio erano realmente intenzionati a "fare ciò che fa la Chiesa" nel rito del matrimonio. Benedetto XVI ha fatto insistenti richiami a riflettere sulla grande sfida rappresentata dai battezzati non credenti. Di conseguenza, la congregazione per la dottrina della fede ha raccolto la preoccupazione del papa, mettendo al lavoro un buon numero di teologi e di altri collaboratori per risolvere il problema della relazione tra fede esplicita e implicita.

    Che cosa avviene quando un matrimonio è carente perfino della fede implicita? Certamente quando essa manca, sebbene sia stato celebrato "libere et recte", il matrimonio potrebbe risultare invalido. Ciò induce a ritenere che, oltre ai criteri classici per dichiarare l’invalidità del matrimonio, ci sia da riflettere di più sul caso in cui i coniugi escludano la sacramentalità del matrimonio. Attualmente ci troviamo ancora in una fase di studio, di riflessione serena ma tenace su questo punto. Non ritengo opportuno anticipare conclusioni precipitate, dal momento che non abbiamo ancora trovato la soluzione, ma ciò non mi impedisce di segnalare che nella nostra congregazione stiamo dedicando molte energie per dare una risposta corretta al problema posto dalla fede implicita dei contraenti.

    D. – Perciò se il soggetto escludesse la sacramentalità del matrimonio, allo stesso modo di chi, al momento di sposarsi, escludesse per esempio i figli, quel fatto potrebbe rendere nullo il matrimonio che è stato contratto?

    R. – La fede appartiene all’essenza del sacramento. Certo, occorre chiarire la questione giuridica posta dall’invalidità del sacramento a causa di una evidente mancanza di fede. Un celebre canonista, Eugenio Corecco, diceva che il problema sorge quando occorre concretare il grado di fede necessaria perché possa realizzarsi la sacramentalità. La dottrina classica aveva ammesso una posizione minimalista, esigendo una semplice intenzione implicita: "Fare ciò che fa la Chiesa". Corecco aggiunse che nel mondo attuale globalizzato, multiculturale e secolarizzato, in cui la fede non è un dato che si possa semplicemente presupporre, si rende necessario esigere dai contraenti una fede più esplicita, se davvero vogliamo salvare il matrimonio cristiano.

    Insisto nuovamente a ripetere che tale questione è ancora in fase di studio. Stabilire un criterio valido e universale al riguardo non è davvero una questione futile. In primo luogo perché le persone sono in costante evoluzione, sia per le conoscenze che via via acquisiscono col passare degli anni, sia per la loro vita di fede. Il tirocinio e la fede non sono dati statistici! Talvolta, al momento di contrarre il matrimonio una certa persona non era credente; ma è anche possibile che nella sua vita sia intervenuto un processo di conversione, sperimentando così una "sanatio ex posteriori" di ciò che in quel momento era un grave difetto di consenso.

    Desidero ripetere in ogni caso che, quando ci troviamo in presenza di un matrimonio valido, in nessun modo è possibile sciogliere quel vincolo: né il papa né alcun altro vescovo hanno autorità per farlo, perché si tratta di realtà che appartiene a Dio, non a loro.

    D. – Si parla della possibilità di consentire ai coniugi di "rifarsi una vita". È stato anche detto che l’amore tra coniugi cristiani può "morire". Può davvero un cristiano impiegare questa formula? È possibile che muoia l’amore tra due persone unite dal sacramento del matrimonio?

    R. – Queste teorie sono radicalmente errate. Non si può dichiarare estinto un matrimonio col pretesto che l’amore tra i coniugi è "morto". L'indissolubilità matrimoniale non dipende dai sentimenti umani, permanenti o transitori. Questa proprietà del matrimonio è voluta da Dio stesso. Il Signore si è implicato nel matrimonio tra l’uomo e la donna, per cui il vincolo esiste e ha origine in Dio. Questa è la differenza.

    Nella sua intima realtà soprannaturale, il matrimonio include tre beni: il bene della reciproca fedeltà personale ed esclusiva (il "bonum fidei"); il bene dell’accoglienza dei figli e della loro educazione alla conoscenza di Dio (il "bonum prolis") e il bene dell’indissolubilità o indistruttibilità del vincolo, che ha per fondamento permanente l’unione indissolubile tra Cristo e la Chiesa, sacramentalmente rappresentata dalla coppia (il "bonum sacramenti"). Perciò, anche se è possibile sospendere la comunione fisica di vita e di amore, la cosiddetta "separazione di mensa e di letto", per il cristiano non è lecito contrarre un nuovo matrimonio finché vive il primo coniuge, perché il vincolo legittimamente contratto è perpetuo. Il vincolo matrimoniale indissolubile corrisponde in qualche modo al carattere ("res et sacramentum") impresso dal battesimo, dalla confermazione, dal sacramento dell’ordine.

    D. – A questo proposito si parla anche molto della importanza della "misericordia". Si può interpretare la misericordia come un "fare eccezioni" alla legge morale?

    R. – Se apriamo il Vangelo, troviamo che anche Gesù, in dialogo coi farisei a proposito del divorzio, allude al binomio "divorzio" e "misericordia" (cfr Mt 19, 3-12). Accusa i farisei di non essere misericordiosi, dato che secondo la loro subdola interpretazione della Legge avevano concluso che Mosè avrebbe concesso un presunto permesso di ripudiare le loro mogli. Gesù ricorda loro che la misericordia di Dio esiste contro la nostra debolezza umana. Dio ci dona la sua grazia perché possiamo essere fedeli.

    Questa è la vera dimensione della misericordia di Dio. Dio perdona anche un peccato tanto grave come l’adulterio; tuttavia non permette un altro matrimonio che metterebbe in dubbio un matrimonio sacramentale già in essere, matrimonio che esprime la fedeltà di Dio. Fare un simile appello a una presunta misericordia assoluta di Dio, equivale a un gioco di parole che non aiuta a chiarire i termini del problema. In realtà, mi sembra che sia un modo per non percepire la profondità dell’autentica misericordia divina.

    Assisto con un certo stupore all’impiego, da parte di alcuni teologi, dello stesso ragionamento sulla misericordia come pretesto per favorire l’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati civilmente. La premessa di partenza è che, dal momento che Gesù stesso ha preso le parti di coloro che soffrono, offrendo loro il suo amore misericordioso, la misericordia è il segnale speciale che caratterizza ogni autentica sequela. Ciò in parte è vero. Tuttavia, un errato riferimento alla misericordia comporta il grave rischio di banalizzare l’immagine di Dio, secondo cui Dio non sarebbe libero, bensì sarebbe obbligato a perdonare. Dio non si stanca mai di offrirci la sua misericordia: il problema è che noi ci stanchiamo di chiederla, riconoscendo con umiltà il nostro peccato, come ha ricordato con insistenza papa Francesco nel primo anno e mezzo del suo pontificato.

    I dati della Scrittura rivelano che, oltre la misericordia, anche la santità e la giustizia appartengono al mistero di Dio. Se occultassimo questi attributi divini e si banalizzasse la realtà del peccato, non avrebbe alcun senso implorare per le persone la misericordia di Dio. Perciò si comprende che Gesù, dopo aver trattato la donna adultera con grande misericordia, abbia aggiunto come espressione del suo amore: "Va’ e da ora in poi non peccare più" (Gv 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dagli insegnamenti della Chiesa. È tutto il contrario: Dio, per infinita misericordia, ci concede la forza della grazia per un pieno adempimento dei sui comandi e così ristabilire in noi, dopo la caduta, la sua immagine perfetta di Padre del Cielo.

    D. – Evidentemente si pone anche qui la relazione tra il sacramento dell’eucaristia e il sacramento del matrimonio. Come si può intendere la relazione tra i due sacramenti?

    R. – La comunione eucaristica è espressione di una relazione personale e comunitaria con Gesù Cristo. A differenza dei nostri fratelli protestanti e in linea con la tradizione della Chiesa, per i cattolici essa esprime l’unione perfetta tra la cristologia e l’ecclesiologia. Pertanto, non posso avere una relazione personale con Cristo e col suo vero Corpo presente nel sacramento dell’altare e, allo stesso tempo, contraddire lo stesso Cristo nel suo Corpo mistico, presente nella Chiesa e nella comunione ecclesiale. Quindi possiamo affermare senza errore che se qualcuno si trova in situazione di peccato mortale, non può e non deve accostarsi alla comunione.

    Ciò avviene sempre, non solamente nel caso dei divorziati risposati, bensì in tutti i casi in cui ci sia una rottura oggettiva con ciò che Dio vuole per noi. Questo è per definizione il vincolo che si stabilisce tra i vari sacramenti. Perciò bisogna stare ben attenti di fronte a una concezione immanentista del sacramento dell’eucaristia, ossia a una comprensione fondata su un individualismo estremo, che subordini alle proprie necessità o ai propri gusti la recezione dei sacramenti o la partecipazione alla comunione ecclesiale.

    Per alcuni la chiave del problema è il desiderio di comunicarsi sacramentalmente, come se il semplice desiderio fosse un diritto. Per molti altri, la comunione è solamente una maniera di esprimere l’appartenenza a una comunità. Certamente, il sacramento dell’eucaristia non può essere concepito in modo riduttivo come espressione di un diritto o di una identità comunitaria: l’eucaristia non può essere un "social feeling"!

    Spesso viene suggerito di lasciare alla coscienza personale dei divorziati risposati la decisione di accostarsi alla comunione eucaristica. Anche questo argomento esprime un problematico concetto di "coscienza", già respinto dalla congregazione per la fede nel 1994. Prima di accostarsi a ricevere la comunione, i fedeli sanno di dover esaminare la loro coscienza, cosa che li obbliga anche a formarla di continuo e quindi a essere degli appassionati ricercatori della verità.

    In questa dinamica tanto peculiare, l’obbedienza al magistero della Chiesa non è di peso, bensì di aiuto per scoprire la tanto anelata verità sul proprio bene e su quello degli altri.

    D. – A questo punto emerge la grande sfida della relazione tra dottrina e vita. Si è detto che, senza toccare la dottrina, ora è necessario adattarla alla "realtà pastorale". Questo adattamento supporrebbe che la dottrina e la prassi pastorale potrebbero seguire di fatto strade diverse.

    R. – La scissione tra vita e dottrina è propria del dualismo gnostico. Come lo è separare la giustizia e la misericordia, Dio e Cristo, Cristo Maestro e Cristo Pastore, o separare Cristo dalla Chiesa. C’è un solo Cristo. Cristo è il garante dell’unità tra la Parola di Dio, la dottrina e la testimonianza con la propria vita. Ogni cristiano sa che solamente attraverso la sana dottrina possiamo conseguire la vita eterna.

    Le teorie da lei accennate cercano di rendere la dottrina cattolica come una specie di museo delle teorie cristiane: una specie di riserva che interesserebbe solamente qualche specialista. La vita, da parte sua, non avrebbe nulla a che vedere con Gesù Cristo quale egli è, e come ce lo mostra la Chiesa. Il severo cristianesimo si starebbe convertendo in una nuova religione civile, politicamente corretta, ridotta ad alcuni valori tollerati dal resto della società. In tal modo, si otterrebbe l’obiettivo inconfessabile di alcuni: accantonare la Parola di Dio per poter dirigere ideologicamente l’intera società.

    Gesù non si è incarnato per esporre alcune semplici teorie che tranquillizzino la coscienza e in fondo lascino le cose come stanno. Il messaggio di Gesù è una vita nuova. Se qualcuno ragionasse e vivesse separando la vita dalla dottrina, non solamente deformerebbe la dottrina della Chiesa trasformandola in una specie di pseudofilosofia idealista, bensì ingannerebbe se stesso. Vivere da cristiano comporta vivere a partire dalla fede in Dio. Adulterare questo schema significa realizzare il temuto compromesso tra Dio e il demonio.

    D. – Per difendere la possibilità che un coniuge possa "rifarsi una vita" con un secondo matrimonio essendo ancora in vita il primo coniuge, si è fatto ricorso ad alcune testimonianze dei Padri della Chiesa che sembrerebbero propendere per una certa condiscendenza verso queste nuove unioni.

    R. – È certo che nell’insieme della patristica si possono trovare diverse interpretazioni o adattamenti alla vita concreta, tuttavia non c’è alcuna testimonianza dei Padri orientata ad accettare pacificamente un secondo matrimonio quando il primo coniuge è ancora in vita.

    Certamente, nell’Oriente cristiano è avvenuta una certa confusione tra la legislazione civile dell’imperatore e le leggi della Chiesa, che ha prodotto una diversa pratica che in certi casi è arrivata ad ammettere il divorzio. Ma, sotto la guida del papa, la Chiesa cattolica ha sviluppato nel corso dei secoli un’altra tradizione, accolta nell’attuale codice di diritto canonico e nel resto della normativa ecclesiastica, chiaramente contraria a qualunque tentativo di secolarizzare il matrimonio. La stessa cosa è accaduta in vari ambienti cristiani dell’Oriente.

    Talvolta ho scoperto come si isolano e si decontestualizzano alcune citazioni puntuali dei Padri, per sostenere in questo modo la possibilità di un divorzio e di un secondo matrimonio. Non credo che sia corretto dal punto di vista metodologico isolare un testo, toglierlo dal contesto, trasformarlo in una citazione isolata, sganciarlo dal quadro complessivo della tradizione. Tutta la tradizione teologica e magisteriale deve essere interpretata alla luce del Vangelo e in riferimento al matrimonio troviamo alcune parole assolutamente chiare di Gesù stesso. Non credo possibile un’interpretazione diversa da ciò che è stato segnalato finora dalla tradizione e dal magistero della Chiesa senza risultare infedeli alla Parola rivelata.

    __________


    Il libro:

    Gerhard Ludwig Müller, "La speranza della famiglia", Ares, Milano, 2014, pp. 80, euro 9,50.

    __________


    Le ipotesi affacciate da Joseph Ratzinger e tuttora allo studio della congregazione per la dottrina della fede, alle quali il cardinale Müller allude nell'intervista, sono esposte dettagliatamente in questo servizio di www.chiesa:

    > Niente comunione ai fuori legge. Ma il papa studia due eccezioni (5.12.2011)






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 09/09/2014 21:52

      Riflessioni sull’ipocrisia





    ipocrisiaCome è noto, nel denunciare i vizi dai quali dobbiamo guardarci, Gesù insiste in modo speciale sull’ipocrisia. Egli è particolarmente severo contro gli ipocriti e porta molti esempi di ipocrisia, che dobbiamo evitare. Giunge fino al punto di dire che l’ipocrisia conduce alla dannazione (Lc 12,46; Mt 24,51). Chiediamoci perché Gesù dà tanta importanza all’ipocrisia. Prima ancora, però, vediamo in cosa essa consiste. Dopodichè bisognerà vedere come riconoscerla, cosa non facile, ed infine vedremo quali sono i rimedi.


    L’ipocrisia è quell’atteggiamento per il quale il soggetto, per ottenere approvazioni od onori dagli onesti, assume all’esterno un modo di pensare o di agire apparentemente onesto, ma internamente, “sotto sotto”, come si suol dire, l’intenzione è cattiva, ingannevole e dannosa nei confronti di quegli stessi onesti. Si tratta dunque di una forma di finzione o simulazione, che si propone di ottenere un successo mondano acquistandosi una fama immeritata di virtù.


    La parola “ipocrisia” viene dal greco ypò-krisis, che comporta un “giudicare-sotto”: krisis da krino che vuol dire “giudico”, un giudizio nascosto nel cuore, che non corrisponde a quanto diciamo o facciamo esternamente.


    Siccome l’ipocrita non crede veramente nei valori che finge di apprezzare, ma invece mette il proprio io davanti a Dio, non cela in ogni occasione la sua disonestà, che può avere svariatissime forme, ma la manifesta apertamente con coloro che condividono i suoi errori o i suoi misfatti e che quindi possono apprezzarlo.


    Si riscontra questo atteggiamento per esempio nelle società segrete o nell’esoterismo, dove il soggetto si presenta in modo esternamente onorevole e normale verso il pubblico comune, mentre manifesta le sue intenzioni segrete o con i colleghi o agli iniziati.


    Così per esempio l’ipocrita, che in cuor suo magari è massone, si mostra tale con i suoi colleghi, ma, all’occasione favorevole, si mostra cattolico con i cattolici, protestante con i protestanti, ateo con gli atei, idealista con gli idealisti, e così via. E magari secondo lui questo sarebbe il modo di dialogare con tutti.


    Il vizio dell’ipocrisia è particolarmente odioso, viscido, grave e colpevole, perché non è semplicemente un vizio passionale o istintuale, come può essere la lussuria o l’intemperanza, causato più da fragilità che da malizia. L’ipocrita non è impulsivo o maleducato come il passionale o la persona sgarbata, rozza o violenta, che in fin dei conti può nascondere buone benchè velleitarie intenzioni o essere in buona fede o solo psichicamente turbata o immatura, come per esempio i giovani.


    Facilmente l’ipocrita si propone al pubblico come austero moralizzatore di tali persone, mentre egli nell’intimo è molto peggio di loro. Tutto ciò concorre alla creazione della sua immagine o, come si dice, dal suo look, di persona ragguardevole e moralmente esemplare. Per esempio, da una parte si scaglia inorridito contro i pedofili e dall’altra favorisce o approva subdolamente l’eresia e la dissoluzione della fede.


    L’ipocrita può avere ottime maniere, egli è “falso e cortese”, può essere una persona altolocata o socialmente influente, ma intanto cova magari a lungo il veleno nel suo cuore, veleno che all’occasione non mancherà di sputare contro il povero malcapitato indifeso che si fida di lui; dal che si riconosce la presenza di questo cancro in persone che magari un momento prima hanno pregato con te, ti hanno trattato con la massima gentilezza e cortesia, ti danno alla Messa il segno della pace, senza risparmiare lodi e complimenti. Come non sdegnarsi davanti a simili comportamenti? Da qui comprendiamo lo sdegno di Cristo.


    L’ipocrisia dunque è un vizio calcolato, potremmo dire “intelligente”, frequente nelle persone colte, e il suo atto è studiosamente modellato e premeditato con una specie di astuzia o falsa prudenza che la Scrittura chiama “prudenza della carne”, che sa attendere il momento opportuno e le circostanze favorevoli con una perfida pazienza ed abilità, che a volte stupisce.


    Al poveraccio che non ha niente da perdere l’ipocrisia non interessa. E forse è proprio lui un miglior candidato al regno dei cieli. L’ipocrita si finge amico, ma intanto trama nell’ombra e colpisce improvvisamente l’innocente alle spalle restando nascosto, come  un serpente che ti morde. Ecco perchè Gesù chiama gli ipocriti “serpenti” e “razza di vipere”.


    Gesù chiama “lievito” (Lc 12,1) questo vizio, perché sembra stimolare ed incentivare l’azione e l’affermazione di sé magari grazie a una falsa spiritualità o a grandi opere nelle quali si cerca di figurare agli occhi del mondo. Tale atteggiamento può dare addirittura a certi pastori ambiziosi l’illusione o l’apparenza di lavorare in modo “aggiornato” per la Chiesa e per le anime.


    E invece, per dirla sempre col Signore, gli ipocriti percorrono terra e mare, ossia si danno un gran da fare con un enorme dispendio di mezzi, per procurarsi poi dei discepoli e successori che sono peggio di loro.


    Così si spiegano le osservazioni che già troviamo nell’Antico Testamento: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Is 29,13, ripreso da Gesù in M; 7,6); “con la bocca benedicono e maledicono nel loro cuore” (Sal 62,5); “il nemico ha il dolce sulle labbra” (Sir 12, 16-18); “veleno d’aspide sotto le loro labbra” (Sal 140,4); “parla di pace, ma nell’intimo ordisce un tranello” (Ger 9,7); “untuosa è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra” (Sal 55, 21-22); “davanti a te il suo parlare è tutto dolce, ammira i tuoi discorsi, ma alle tue spalle cambierà il suo parlare e porrà inciampo alle tue parole” (Sir 22,26). Questo poi magari lo veniamo a sapere da altri e ci accorgiamo con chi abbiamo avuto a che fare.


     Ma l’ipocrita è difficilmente guaribile, proprio perchè questo peccato non è un impulso costringente come quello di una cattiva passione che in fondo il soggetto non vorrebbe, per cui egli dolorosamente dice con Seneca. “video bona proboque, deteriora sequor”, no, l’ipocrisia è una precisa voluta e sistematica scelta di condotta. Certo essa può trarre occasione dall’invidia, può nascere dalla ribellione del vecchio Adamo contro Dio, può sorgere dall’egoismo, dall’ambizione, dal desiderio di emergere o da fallimenti, disillusioni o frustrazioni subìte.


    L’ipocrita è difficilmente guaribile perché, a causa della sua superbia e ostinazione, è incapace di pentimento. Essendo legge a se stesso, ritiene di non peccare mai, mentre è immerso nel peccato fino al collo. Come prova di ciò basterebbe considerare il fatto che i farisei non si sono affatto pentiti neppure davanti all’esempio e alle parole di Gesù: anzi ciò li ha maggiorate irritati costituendo Gesù un richiamo perentorio alla loro coscienza per loro insopportabile.


    L’ipocrita dà mostra di una spavalda allegria e sicurezza, ma in realtà non può soffocare del tutto la voce della coscienza che lo tormenta, e questo stesso fatto è il residuo di dignità che gli resta: in ogni momento egli ha la possibilità di ascoltarla e di convertirsi.


    L’ipocrisia è per sua essenza un vizio nascosto, come un cancro che a tutta prima non dà segni della sua esistenza, ma al contrario l’individuo sembra sano. Ma è un vizio grave proprio perché proviene dall’intimo, dal cuore, mentre i fatti esterni sembrano buoni.


    E’ possibile in qualche modo almeno per un certo tempo fingere la virtù, fingere la santità.  Eppure ad un’attenta analisi, come si fa con i tumori, è possibile svelare questo vizio. In sostanza l’ipocrita è un falsario, è un impostore, è una persona insincera. Con la sua astuzia diabolica può ingannare per un certo tempo anche un santo, anche un prudente pastore, ma prima o poi le sue insidie appaiono alla luce soprattutto per i frutti amari che esse producono.


    Per esempio, dopo 50 anni di successi del rahnerismo cominciano ad apparire sempre più chiari, diffusi ed impressionanti gli effetti negativi delle sue idee nella dottrina e nel costume morale, per cui si impone sempre più urgente la necessità di porvi rimedio con un recupero della sana dottrina, sia pur quella che sorge dal Concilio Vaticano II, frainteso da Rahner, per cui occorre che la Chiesa stessa  corregga i suoi errori, pur salvando gli aspetti positivi[1].


    Il rimedio all’ipocrisia è la sincerità. Ma occorre intendersi su questa parola. Non si tratta, come alcuni credono, di quella “sincerità” con la quale uno vomita al di fuori senza ritegno e a ruota libera tutto il fango o l’astio che ha nel suo cuore o che emerge dal subconscio, quasi fosse una “ipocrisia” il tentativo di frenare il torrente fangoso o di reprimere questo sfogo violento ed offensivo.


    Al contrario, la vera sincerità è il possesso di una carità sincera, che non si limita a tener dentro l’odio e il disprezzo. Il che non risolverebbe niente. Si tratta dunque di purificare l’interno, affinchè anche la sua espressione esterna sia limpida e pura.


    L’ipocrita è uno che sovverte i valori; mette in primo piano ciò che deve stare sotto, ossia i valori esterni e il proprio io empirico, e pone in secondo piano, funzionale ai primi, i massimi valori, quelli interiori, dello spirito e divini. Da qui la sua doppiezza, slealtà ed incoerenza, che sfocia nel tentativo di servire due padroni; quello vero, ossia Dio, al quale non può sfuggire e quello che si è imposto o alla seduzione del quale ha ceduto, il proprio io, sorgente della sua ambizione e del suo egoismo.


    Rimedio di fondo è dunque l’umiltà, con la quale riconosciamo la nostra dipendenza da Dio nelle piccole come nelle grandi cose, in modo che l’utile sia ordinato all’onesto, il mezzo al fine; all’apparire corrisponda l’essere, alla parola corrispondano i fatti, l’esterno manifesti l’interno e su di esso si fondi, il materiale sia ordinato allo spirituale e l’uomo a Dio.


     


    [1] E’ quello che faccio nel mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito Edizioni Fede&Cultura, II ristampa, Verona 2009.






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 10/09/2014 00:23


      Riportiamo la trascrizione della sintesi della conferenza "Amor, Verdad y Misericordia" tenuta da padre Santiago Martin, fondatore dell'Ordine dei Francescani di Maria, nel maggio del 2014.








    L'Eucarestia è un dono, non un diritto: nessuno può pretenderla.


    (Padre Santiago Martin, FM)





    Voglio affrontare, nella meditazione di questo pomeriggio, una questione che mi preoccupata straordinariamente. Mi preoccupa così tanto che credo sia in gioco – come mai lo è stato in duemila anni – il futuro della Chiesa cattolica. Vedo all’orizzonte la possibilità reale di uno scisma dalle gravi conseguenze.


    Naturalmente la mia opinione non avrebbe maggiore valore se vi fosse unità con le opinioni di persone molto più rilevanti di me.


    L’utilizzazione che si sta facendo del concetto di Misericordia, è un’utilizzazione assolutamente demagogica, pertanto falsa e dannosa. Il concetto di Misericordia, mal compreso, separato dal concetto di Verità – pertanto dal concetto di Amore – può essere dannoso, tremendamente dannoso. Anche per la persona alla quale teoricamente le si chiede di beneficiare.


    Dunque, per l’insieme, il Corpo della Chiesa va incontro ad uno scisma.


     


    Confido, stiamo pregando moltissimo affinché questo non succeda, ma già si parla apertamente di uno scisma come di una possibilità reale.


    Credo che ci sono momenti nella vita in cui c’è bisogno di avere il coraggio di parlare. E parlare francamente, onestamente, perché – come diciamo in spagnolo – : “Colui che avvisa, non è traditore”.


    Affinché non succedano determinati cose – ma ci sono molte, molte possibilità che accadano – è l’ora decisiva di parlare. Lo stanno facendo altri, ripeto, da altre parti: dall’aspetto teologico, patristico, dogmatico, canonico. E io vorrei affrontalo, questo pomeriggio, dalla prospettiva spirituale.


     




    Padre Santiago saluta Papa FrancescoPadre Santiago saluta Papa Francesco

    Il Nuovo Testamento non è l’unico Testamento.


     


    La Rivelazione di Cristo, il Nuovo Testamento, è una rivelazione che complete un’altra rivelazione. Dimenticarlo è togliere le fondamenta dall’edificio, provocandone, dunque, la rovina.



    Dio è amore, sì, ma prima di tutto non ci ha insegnato che è amore. Prima di tutto ci ha insegnato che Egli è l’Onnipotente, che è il Signore, che è il Giudice. Un giudice amoroso, un giudice padre, un giudice misericordioso, ma un giudice.

    Disprezzare il concetto di Dio come giudice, trattare il Giudice come se fosse un criminale: a questo siamo arrivati.

    Gesù afferma che Egli è il cammino e assume il Decalogo come qualcosa che non si può sopprimere. Nessuno può farlo!

    Pertanto, disprezzare la morale come si sta facendo in questo momento, dicendo – come tanti dicono – che il cristianesimo non è un moralismo – e con questo vogliono dire che si può essere cristiani al margine di un comportamento etico – è tradurre il cristianesimo al sentimentalismo.

    Io ho una relazione con Dio sentimentale, più o meno effusiva, dovrei dire non sentimentale, ma sentimentalista o “sensibiloide”. Secondo cui faccio ciò voglio della mia vita e pretendo che Dio sia contento di me.

    Affermare che la Misericordia deve essere applicata al margine della Verità o contro di Essa, questo sì che è contro gli insegnamenti di Cristo. Ed è la verità!


    Affermare inoltre la Verità non esiste o è irraggiungibile, oppure relativa, o che non esiste nessuna verità assoluta, o nessuno verità oggettiva, non solo è negare duemila anni di pensiero cristiano – basato in ciò che sto dicendo, da una definizione di Dio dataci da Egli stesso – ma è anche negare milioni di anni del pensiero proprio dell’umanità. Significa cioè retrocedere culturalmente ad un’epoca anteriore a Socrate. Bisogna avere molto coraggio – o molta ignoranza – per osare dire questo.


    Togliere la verità dal discorso dell’amore è indirettamente una falsificazione demagogica dell’amore stesso, terminando col fare del male alla persona.

    Il Signore non usa per caso questa definizione in quest’ordine – poiché è l’Ordine in cui si deve praticarsi – : “Io sono la Via, la Verità, la Vita”. Non si può arrivare alla Vita se non attraverso la Verità percorrendo una Via. E questo la Chiesa lo ha sempre compreso.

    Quando si raccoglie questo concetto di Misericordia nell’Antico e nel Nuovo Testamento, ci si rendo che la Misericordia di Dio, essendo infinita, è però limitata. Non limitata dalla parte divina, ma dalla parte umana.

    Tu non condizioni il perdono di Dio, tu condizione la restrizione del perdono di Dio.


    Inoltre, questo perdono di Dio, questa Divina Misericordia, può essere intesa solamente come dono, non come diritto. Questo è un altro punto in cui si sta facendo demagogicamente confusione.


    “Io ho diritto…”… Diritto a che? All’Eucarestia? L’Eucarestia è un dono. “Io ho diritto…” … Diritto a che? Al sacerdozio. Il sacerdozio è un dono.


    L’impostazione dell’uomo verso Dio non può essere un’impostazione di diritti. Dev’essere unicamente un’impostazione di gratitudine. Io non ho diritto!

    La Divina Misericordia sta sempre ad un millimetro della mia pelle. Sempre. Ma per poter entravi, per poter oltrepassare questo millimetro, io devo gridare: “Perdonami!”. Devo aprire la porta con il pentimento. “Perdonami!”. E devo tenere la porta aperta con il proposito di rimediare e di non commettere più peccato.


    Dunque questa Divina Misericordia – che uscì dal Cuore di Dio – arriva a me. E io la sperimento come qualcosa di meraviglioso, ma che non merito. Un dono a cui io non ho diritto. E do, come risposta a questa Divina Misericordia, il mio ringraziamento. Un ringraziamento che dev’essere di opere, non solo di sentimento.


    Il primo atto di misericordia da parte di Dio nei nostri confronti è dirci la Verità. Siamo arrivati ad un punto in cui consideriamo come misericordia la menzogna e l’inganno. E pensiamo di essere misericordiosi con la gente, quando la inganniamo e le mentiamo.


    “Devo darti una brutta notizia e una buona notizia: sei malato, ma c’è rimedio”. Questo dice Gesù. Noi invece diciamo: “No, lei non mi può dare questa brutta notizia. Lei può dirmi che sono sano”.


    Perdonami, ma se ti dico che sei sano e non malato, non ti curerai, il male crescerà, pertanto non potrai recuperare la salute – la felicità – né qui, né nell’al di là.

    Tu potrai ricevere il Corpo e il Sangue del Signore se sei eticamente preparato – “Sono la Via” –, se sei dogmaticamente preparato – “Sono la Verità” –, se accetti gli insegnamenti della Chiesa e se sei in Grazia di Dio – “Sono la Vita”. Questa è stata la tradizione di duemila anni! Per questo la Chiesa non può ammettere alla Comunione, per esempio, i protestanti.


    Applichiamo questo ai casi concreti. Si sta parlando dei “divorziati-risposati” che, senza aver ottenuto la nullità matrimoniale, possono ricevere la Comunione. Però si sta prospettano un problema che, in primo luogo, non è il problema della famiglia; si sta prospettando, nel contesto del sinodo sulla famiglia, a tal punto che il cardinal Kasper – colui a cui papa Francesco incaricò la relazione preventiva alla studio di questo sinodo – è arrivato a dire: “Se non si permette ai divorziati-risposati di ricevere la Comunione – sono parole sue – è inutile portare il sinodo a compimento, perché sarebbe una grande defezione”.


    Inoltre, affrontare tale questione in modo isolare, significa cadere in una trappola ignominiosa, che si deve conoscere perché non si può pensare che la ignori colui che la promuove.


    Aperta la porta della Comunione eucaristica al margine dei due punti detti poc’anzi – stare in Grazia di Dio, accettare il Dogma, cioè al margine della Via e della Verità, pretendere di arrivare alla Vita, che è l’unione con Dio, senza passare per la Via e la Verità – accettare ciò in questo caso concreto è aprire la porta a tutti gli altri casi.


    Aperta la porta, la porta rimane aperta.

    Si presenta come misericordioso colui che accetta la richiesta di quella persona concreta che desidera ricevere l’Eucarestia, ma non è nelle condizioni. Le dice: “Sì, ricevila”. Ma tu chi sei per dirlo? Quando proprio Cristo stabilisce le condizioni. Chi è costui? Costui è Cristo? Più di Cristo? Sei il padrone del messaggio? Hai destituito Cristo come fondatore del cristianesimo, per mettere te stesso al suo posto?


    Bisogna inventare, bisogna essere innovatori, per risolvere il problema. S’inventano, si fanno le innovazioni che bisogna fare, ma mai per una strada va contro la Parola di Dio, contro la dottrina della Chiesa di duemila anni.


    Questo andrà a generare, ripeto, del male alla persona che sarà ingannata – le si occulterà la Parola di Dio – che mangerà e berrà indegnamente il Corpo e il Sangue di Cristo, le sarà fatta mangiare la sua propria condanna. Occultando la verità a questa persona, non le farà del bene, perché riceve la Comunione in questo stato non le farà del bene, ma le farà del male.


    Inoltre, si danneggia gravemente la comunità, che andrà chiaramente ad una divisione, ad uno scisma. Bisogna avvertirlo. Ripeto: “Chi avvisa, non è traditore”. Ed è ora di dirlo, prima che sia troppo tardi. Prima che si commettano cose che faranno dire a molti, con ragione, si sta andando contro la Parola di Dio, contro la dottrina bimillenaria della Chiesa.


    Io sento il dovere, nella mia coscienza, di parlare con estrema chiarezza. Credo che lo stiamo facendo in molti – non so se inutilmente – ma questo è il momento di dirlo.


    Non si può andare contro gli insegnamenti di Cristo!

    Nessuno, assolutamente nessuno, nella Chiesa cattolica, può dire: “Avete udito che Gesù disse, ma io vi dico”, perché solamente Gesù è Figlio di Dio. E nessuno, nella Chiesa cattolica, è Dio o al di sopra di Dio. Al di sopra di Gesù Cristo, nella Chiesa cattolica, non c’è nessuno!

     

    Se qualcuno pretende di essere più Dio di Gesù Cristo è automaticamente fuori dalla Chiesa cattolica.

     

    Facciamo un momento di preghiera in silenzio.

    CLICCARE QUI PER VEDERE IL VIDEO DELLA CONFERENZA DI PADRE MARTIN








    [Modificato da Caterina63 10/09/2014 00:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 13/09/2014 20:28

      A PROPOSITO DI OMOSESSUALITÀ 

    “IO DEVO GIUDICARE GLI ATTI”:

    IL CARDINAL BURKE  SMANTELLA
     
    “CHI SONO IO PER GIUDICARE?”


    Articolo di John-Henry Westen tratto dal sito LIFE SITE del 4 Settembre 2014




    S. Em. Rev.ma il Sig. Cardinale Raymond Leo Burke



    Ripropongo, traducendolo rapidamente dall’inglese, questo articolo-intervista interessante che puntualizza senza ambagi la posizione immutabile della Chiesa in materia di morale sessuale e sul diritto di un sacerdote di giudicare gli atti peccaminosi.
     
    Il giornalista scrive, papale papale, che il card. Raymond Burke smantella il famoso interrogativo di Papa Francesco che, è inutile negarlo, così com’è stato espresso, ha creato una grande confusione tra i fedeli ed ha riscosso gli applausi della stampa omosessualista e delle lobbies che in essa si riconoscono o che quella patrocinano con cospicui finanziamenti.

    In realtà Burke, con la signorile correttezza che gli è propria, eppur con la forza della sua cultura e della coscienza della sua missione, intende fugar dubbi interpretativi dell’infelice frase pontificia avulsa dal suo contesto, confermando ancora una volta intatta la Verità. 

    È innegabile – sia chiaro – che il linguaggio approssimativo, la fumosa precarietà e la contraddittorietà di prediche e chiacchierate a ruota libera del Romano Pontefice sollevino perniciosi dubbi sulla dottrina sempre professata dalla Chiesa e sembrino indicar mete inconciliabili con la Sacra Tradizione.

    Per tal motivo interventi seri e profondi, come questo dell’ottimo card. Burke, aprono il cuore alla speranza in un periodo di crisi e sbandamento imperanti nella comunità ecclesiale la cui unità non può esaurirsi nelle oceaniche adunanze osannanti di piazza S. Pietro e nella popolarità facile quanto troppo spesso volubile.

    Dante Pastorelli


    Il Cardinal Raymond Burke, Presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ha rilasciato una lunga intervista televisiva in cui con decisione rettifica le errate interpretazioni del “Chi sono io per giudicare?” di Papa Francesco, citazione che frequentemente è stata usata per insinuare un cambiamento dell’insegnamento della Chiesa in materia di omosessualità.

    L’intervistatore, Thomas McKenna, del Catholic Action Insight, ha chiesto al card. Burke di indicare qualche caso in cui si possano esprimer giudizi alla luce del “Chi sono io per giudicare?” di Papa Francesco.

    “Io devo giudicare gli atti, lo devo” ha risposto il Cardinal Burke. “Tutti i giorni noi  giudichiamo certi atti; questa è la legge naturale: scegliere il bene ed evitare il male”.

    Il Cardinale di Curia ha aggiunto che, mentre possiamo giudicare atti gravemente peccaminosi, non possiamo invece affermare che una particolare persona sia in istato di peccato grave, perché 
    “forse si commettono quegli atti perfino senza aver conoscenza della loro grave peccaminosità o forse si commettono senza pieno consenso, chi può saperlo?”. “Questa enunciata è solo una parte del giudizio, ma gli atti, sì, dobbiamo giudicarli, altrimenti non potremmo condurre una vita buona e morale” ha aggiunto.

    Mc Kenna ha proseguito affermando che sarebbe errato interpretare la frase del Papa per sostenere che si tratta di un appoggio al matrimonio omosessuale, e Burke ha condiviso.
    Il cardinale allora ha toccato lo scottante tasto centrale della tolleranza e dell’intolleranza che è al cuore del dibattito.

    “Io non sono intollerante verso coloro che si sentono attratti da persone dello stesso sesso”, ha detto. “Ho una profonda compassione per loro e specialmente a causa della nostra odierna società in cui molti giovani son trascinati alla pratica omosessuale, in cui non sarebbero caduti nel passato, per via della totale rilassatezza della morale e della corruzione”.
    “Io ho una profonda compassione per loro ma questa compassione significa che io voglio ch’essi conoscano la verità per evitare atti peccaminosi per il loro bene e per la loro salvezza; è così che si cerca di aiutare una persona” ha aggiunto. “Oggi tale posizione è riprovata da un’aggressiva propaganda omosessualista ma questo non significa che non sia il retto approccio da perseguire”.

    Il cardinal Burke ha ammonito che ove noi rimanessimo in silenzio di fronte alle pressioni di un’aggressiva campagna omosessualista “contribuiremmo alla distruzione della nostra società”.

    Per il Cardinal Burke l’approccio non è solo teorico ma anche pratico.

    Egli riferisce che dopo una Messa di Confermazione, una madre gli si avvicinò accusandolo irosamente di aver definito “male” sua figlia. Quando egli chiese a cosa lei si riferisse, la signora rispose che si trattava di articoli ch’egli aveva scritto per un giornale diocesano sulla tradizionale definizione di matrimonio. Sua figlia, disse la donna, era “sposata” con un’altra donna.

    Il Cardinal Burke riferisce la sua risposta  all’irata madre: “No”, aveva detto,  “gli atti che commette tua figlia sono male. Tua figlia non è il male, ma lei necessita di arrivare a comprendere la verità sulla sua situazione”.

    Il Presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica ha sostenuto che oggi vi sono molti equivoci in merito “e tristemente questo induce un gran numero di brave persone a non fare ciò che dovrebbero per aiutare qualcuno che soffre in una simile condizione”.
     








     








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    00 16/09/2014 10:19

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    00 16/09/2014 12:56

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    CHIESA – Il Card. Collins: sui divorziati risposati «la dottrina della Chiesa è immutabile»


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    Il Cardinale e Arcivescovo dell’Ontario (Canada), Thomas Collins (nella foto), in un’intervista rilasciata a Randon Vogt, direttore del Word on Fire Catholic Ministries, ha spiegato come le numerose ragioni, per le quali i divorziati risposati non possono ricevere la Comunione, al di là delle loro disposizioni personali, si riassumano sostanzialmente in una: la «chiave di tutto – ha precisato – non sta nell’aver commesso un peccato; la misericordia del Signore è sovrabbondante, specie attraverso il Sacramento della Riconciliazione. Ma, in caso di divorzio e di seconde nozze, il problema sta nella decisione consapevole di persistere in una situazione duratura di lontananza dal mandato di Gesù». Sua Eminenza ricorda come né la Chiesa, né il Papa, possano cambiare la dottrina rivelata da Dio.


    Per questo non possono ricevere l’Eucarestia: «Dobbiamo trovare strade migliori – ha proseguito – per aiutare chi si trovi in tale stato, offrendo piuttosto una cura amorevole ed efficace, ma senza porre in pericolo la santità del matrimonio, poiché questo avrebbe pesanti ripercussioni su tutto, specialmente in un mondo in cui la stabilità coniugale è già tragicamente compromessa».

    Assecondare queste persone significherebbe dar loro «un sollievo soltanto temporaneo al prezzo però di sofferenze a lungo termine.
    L’indebolirsi dell’istituto nuziale finisce infatti per colpire i bambini, coloro cioè che maggiormente ne hanno a patire con dolore».

    Il Card. Collins ha ricordato come «vi fosse un’aspettativa diffusa che la Chiesa mutasse le proprie posizioni anche negli anni che precedettero l’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae, enciclica con cui si riaffermò invece l’immutabile insegnamento, secondo cui la contraccezione non è in accordo con la volontà di Dio. Questo tipo di aspettativa si basava sull’idea che la dottrina cristiana fosse come la politica di un governo, che muta a seconda delle circostanze o del parere della maggioranza.
    Molti restarono sconvolti e semplicemente decisero di ignorare tale istruzione. Questa è anche la situazione, in cui ci troviamo oggi».

    Il fatto è che «la dottrina cristiana si basa sulla legge naturale, che è stata scritta nei nostri cuori da Dio, nonché sulla Parola di Dio rivelata. Noi scopriamo la volontà del Signore, non la plasmiamo a nostro piacimento: le Scritture e la fede viva della Chiesa ci aiutano a compierLa».




    Grandi manovre per il Sinodo Anche il Corriere vuole "guidare" il Papa

    di Matteo Matzuzzi e Stefano Fontana18-09-2014

    Sinodo dei vescovi

    S'infiamma il dibattito intorno al tema più discusso del prossimo Sinodo straordinario sulla Famiglia (5-19 ottobre): la comunione ai divorziati risposati. L'apertura del cardinale Kasper contestata in un libro scritto anche dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a cui si aggiungono la rivista teologica Communio e il cardinale Pell. 
    Sull'altro fronte l'episcopato tedesco fa quadrato attorno al cardinale Kasper. E in Italia si inserisce il Corriere della Sera che, con un commento di Alberto Melloni, arruola il Papa tra i progressisti e accusa i cardinali fedeli alla dottrina della Chiesa, di compiere manovre per boicottare papa Francesco.

     - I VESCOVI TEDESCHI FANNO QUADRATO ATTORNO A KASPER
        di Matteo Matzuzzi
    In vista del Sinodo si delineano le posizioni sull'argomento più discusso: la comunione ai divorziati risposati. Anche il cardinale Pell contro orientamenti pastorali che cambierebbero la dottrina, ma i vescovi tedeschi annunciano un documento pro-Kasper a favore dell'accesso alla comunione.

     - MELLONI ARRUOLA IL PAPA COME LEADER DEI PROGRESSISTI
       di Stefano Fontana
    A corredo di due pagine del Corriere dedicate all'argomento, il capo della Scuola di Bologna attacca i cardinali che si oppongono alle posizioni di Kasper sulla comunione ai divorziati risposati, accusandoli di manovre contro il Papa, che invece aveva incoraggiato un ampio dibattito.








     18/09/2014 
    Comunione ai risposati, Scola dice no: «Ma snellire i processi di nullità»

    L’Arcivescovo di Milano: «Il problema non è il peccato ma la condizione di vita di chi ha stabilito un nuovo vincolo»



    ANGELO SCOLA*
    MILANO
    Nell’ambito del dibattito sul prossimo Sinodo sulla famiglia convocato da papa Francesco, pubblichiamo in esclusiva un articolo a firma dell’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola. Nella forma integrale apparirà sul prossimo numero (16/2014) della testata bolognese Il Regno, quindicinale edito dal Centro editoriale dehoniano di Bologna. 

    Spesso la Chiesa viene accusata di insensibilità e incomprensione di fronte al fenomeno dei divorziati risposati senza ponderare attentamente il motivo di questa posizione, che essa riconosce fondata nella divina rivelazione. 
    Infatti non si tratta di un arbitrio del magistero ecclesiale, ma della consapevolezza della natura singolare della differenza sessuale e dell’inscindibilità del legame tra eucaristia e matrimonio.

    Eucaristia, singolarità della differenza sessuale, riconciliazione e divorziati risposati: le ragioni del magistero. 
    In questa prospettiva vanno richiamati due elementi che è necessario continuare ad approfondire. Certamente nell’eucaristia, a determinate condizioni, è presente un aspetto di perdono, tuttavia essa non è un sacramento di guarigione. La grazia del mistero eucaristico attua l’unità della Chiesa come sposa e corpo di Cristo e questo esige in chi riceve la comunione sacramentale l’oggettiva possibilità di lasciarsi incorporare perfettamente a lui. 

    Alla luce di questo intrinseco rapporto si deve dire che ciò che impedisce l’accesso alla riconciliazione sacramentale e all’eucaristia non è un singolo peccato, sempre perdonabile quando la persona si pente e chiede a Dio perdono. Ciò che rende impossibile l’accesso a questi sacramenti è invece lo «stato» (condizione di vita) in cui coloro che hanno stabilito un nuovo vincolo vengono a trovarsi. Una condizione che domanda di essere cambiata per poter corrispondere a quanto si attua nei due sacramenti. 

    Nello stesso tempo è importante evidenziare molto meglio come il non accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia di coloro che hanno stabilito un nuovo vincolo non sia da ritenersi una «punizione» rispetto alla propria condizione, ma l’indicazione di un cammino possibile, con l’aiuto della grazia di Dio e dell’immanenza nella comunità ecclesiale. Per questa ragione, ogni comunità ecclesiale è chiamata a porre in essere tutte le forme adeguate per la loro effettiva partecipazione alla vita della Chiesa, nel rispetto della loro concreta situazione e per il bene di tutti i fedeli. 

    Senza negare il dolore e la ferita, la non accessibilità al sacramento dell’eucaristia invita a un percorso verso una comunione piena che avverrà nei tempi e nei modi decisi alla luce della volontà di Dio.

    Nel quadro di una antropologia adeguata poi è decisivo considerare attentamente l’esperienza comune: ogni uomo è situato come «singolo» entro la differenza sessuale, che non può mai essere superata. Misconoscere l’insuperabilità della differenza sessuale significa confondere il concetto di differenza con quello di diversità. Ciò avviene spesso nella cultura contemporanea che al binomio «identità-differenza» sostituisce il binomio «uguaglianza-diversità». 

    La diversità mette in campo la relazione all’altro («inter-personale»). Al contrario, ciò che sperimentiamo nella differenza indica una dimensione insuperabile interna all’io («intra-personale»). È qualche cosa che riguarda l’identità costitutiva di ogni singolo. 

    Le cause di nullità matrimoniale 
    Occorre inoltre prendere in attenta considerazione la condizione di quanti ritengono in coscienza che il loro matrimonio non sia stato valido. 

    La singolarità della differenza sessuale e la intrinseca relazione tra matrimonio ed eucaristia, impongono una riflessione attenta sulle problematiche legate alla dichiarazione di nullità del matrimonio. Quando se ne presenti il bisogno e venga richiesto dai coniugi, diventa essenziale verificare rigorosamente se il matrimonio sia stato valido e pertanto sia indissolubile. Sappiamo bene quanto sia difficile per le persone coinvolte tornare sul proprio passato, segnato da sofferenze profonde. Anche a questo livello emerge l’importanza di concepire in modo unitario la dottrina e la disciplina canonistica. 

    Tra le questioni da approfondire va menzionata la relazione tra fede e sacramento del matrimonio, sulla quale Benedetto XVI è tornato più volte. In effetti la rilevanza della fede in ordine alla validità del sacramento del matrimonio è uno dei temi che la condizione culturale attuale, soprattutto in Occidente, costringe a valutare con molta cura. Oggi, almeno in determinati contesti, non si può dare per scontato che i coniugi con la celebrazione delle nozze intendano «fare quello che intende fare la Chiesa». Una mancanza di fede potrebbe oggi condurre a escludere i beni stessi del matrimonio. Se è vero che non è possibile giudicare ultimamente la fede di una persona, non si può però negare la necessità di un «minimum fidei» senza il quale il sacramento del matrimonio non è valido. 

    Come emerge anche nell’Instrumentum laboris, è auspicabile che a proposito dei processi di nullità si tenti qualche via che non solo ne snellisca i tempi – nel pieno rispetto di tutti i passaggi necessari – ma renda più evidente l’intima natura pastorale di tali processi. In tal senso la prossima Assemblea straordinaria potrebbe suggerire al Papa di valorizzare di più il ministero del vescovo. In concreto, potrebbe suggerire di verificare la praticabilità dell’ipotesi, indubbiamente complessa, di dar vita a un procedimento canonico di carattere non giudiziale e avente come referente ultimo non un giudice (o un collegio di giudici), ma il vescovo o un suo delegato. Intendo un procedimento normato dalla legge della Chiesa, con modalità formali di acquisizione delle prove e di valutazione delle stesse. 

    A titolo puramente esemplificativo si potrebbe esplorare il ricorso ai seguenti elementi: la presenza in ogni diocesi (o in un insieme di piccole diocesi) di un servizio di ascolto delle situazioni di fedeli che hanno dubbi circa la validità del loro matrimonio. Da qui potrebbe prendere avvio un procedimento di valutazione della validità del vincolo, rigoroso nella raccolta di elementi di prova, condotto da un apposito incaricato, da trasmettere al vescovo, con il parere dello stesso incaricato, del difensore del vincolo e di una persona che assiste il richiedente. Il vescovo sarebbe chiamato a decidere in merito alla nullità. Contro tale decisione sarebbe sempre possibile l’appello (da parte di uno o dell’altro coniuge) alla Santa Sede. Questa ipotesi non vuole essere un escamotage per affrontare la delicata situazione dei divorziati risposati, intende piuttosto rendere più evidente il nesso tra dottrina, pastorale e disciplina canonica. 

    *Cardinale Arcivescovo di Milano




    [Modificato da Caterina63 19/09/2014 01:21]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/09/2014 01:26
    Pope Francis Exchanges Christmas Greetings With The Roman Curia
    La misericordia secondo il cardinale Kasper

    L’autore è frate francescano dell’Immacolata, è docente di teologia dogmatica e ha diretto dal 2006 la rivista teologica “Fides Catholica”.

    di Padre Serafino Maria Lanzetta

    Il libro del card. Kasper che ha "fatto tanto bene" a papa Francesco (Angelus del 17 marzo 2013).

    Il libro del card. Kasper che ha “fatto tanto bene” a papa Francesco (Angelus del 17 marzo 2013).

    È da salutare con grande interesse lo sforzo teologico del cardinale Walter Kasper di rimettere il tema della misericordia di Dio non solo al centro della predicazione e della pastorale della Chiesa, ma soprattutto al centro della riflessione teologica. Nel suo recente libro sulla misericordia, apparso in tedesco nel 2012 e poi tradotto in italiano per i tipi della Queriniana (Giornale di Teologia 361) nel 2013, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo – Chiave della vita, il cardinale tedesco, per lunghi anni presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, parte da un’amara constatazione: la misericordia, la quale occupa un posto centrale nella Bibbia, è difatti caduta completamente in oblio nella teologia sistematica, trattata solo in modo accessorio.
    O non occupa un posto centrale nei manuali di teologia sistematica fino alle soglie degli anni 1960, o addirittura manca del tutto in quelli recenti. Se vi compare, occupa un posto del tutto marginale. Nonostante che il pontificato di Giovanni Paolo II avesse dato un grande impulso alla riscoperta della misericordia, come tema teologico e spirituale, grazie soprattutto alla santa polacca Faustina Kowalska, e che Benedetto XVI ne avesse fatto, in un certo modo, la sua direttrice, con la prima enciclica sull’amore, Deus caritas est, il tema rimane ancora nascosto nel suo potenziale sviluppo per la teologia e quindi per la vita cristiana. Il nostro cardinale, dunque, in questo suo testo, di cui ci occuperemo (5a ed. it. del 2014), raccoglie questa sollecitazione, e presenta a livello sistematico il tema della misericordia di Dio.

    Una giustizia che si ritrae nella misericordia?

    La misericordia è una medicina indispensabile, è l’ingrediente che purtroppo manca, ma che a ben guardare rappresenta l’unica vera risposta agli ateismi e alle ideologie così perniciose del XX secolo. Come annunciare di nuovo un Dio, di cui, dopo Auschwitz, faremmo solo meglio a tacerne l’esistenza? Storicamente, a giudizio di Kasper, suffragato da O.H. Pesch, “l’idea di un Dio castigatore e vendicativo ha gettato molti nell’angoscia a proposito della loro salvezza eterna. Il caso più noto e foriero di gravi conseguenze per la storia della chiesa è il giovane Martin Lutero, che fu per lungo tempo tormentato dalla domanda: ‘Come posso trovare un Dio benigno’, finché egli un giorno riconobbe che, nel senso della Bibbia, la giustizia di Dio non è la sua giustizia punitiva, ma la sua giustizia giustificante e, quindi, la sua misericordia. Su di ciò, nel XVI secolo la Chiesa si divise” (p. 25), e così da quel momento, il rapporto giustizia e misericordia divenne una questione centrale della teologia occidentale.

    Il nostro cardinale preferisce non entrare nel tema della giustificazione secondo Lutero, solo la loda (come farà poi anche alle pp. 121.137), anche se ci sarebbero molte cose da dire, una tra tutte: la misericordia giustificante è vista dal riformatore tedesco non come perdono ontologico, come integra riconciliazione dell’uomo con Dio, nella verità e nella giustizia, ma come un essere semplicemente rivestiti dei meriti di Cristo (non dell’uomo), quindi in un intrinseco rimanere peccatori seppur dichiarati giusti. Questa è misericordia di Dio? Dove l’uomo rimane inficiato non solo del vulnus della concupiscenza, ma dalla stessa sporcizia del peccato, pur essendo giusto? Giusti nei peccati? Su questo il card. Kasper si mostra benevolo sorvolando, riferendosi solo allo sforzo immane fatto da ambo le parti, quella cattolica e quella luterana, di trovare un consenso fondamentale sulla dottrina della giustificazione con la Dichiarazione ufficiale comune sulla dottrina della giustificazione, del 31 ottobre 1999, che vedeva attori la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica, rappresentata dal Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, presieduto dal nostro cardinale (cf. p. 26). A questa Dichiarazione, seguita alla Dichiarazione congiunta del 1997, era stato necessario premettere, nel 1998, una Risposta ufficiale cattolica (elaborata di comune intesa tra la CDF e il PCUC, ma firmata solo da quest’ultimo), rimanendovi comunque una visione protestante non conciliabile con quella cattolica, nel tentativo ecumenico di non considerare più le condanne di Trento come divisive per le chiese.

    In ogni caso Kasper è cosciente, nel suo libro, di un assunto: dobbiamo tirar fuori la misericordia “dalla sua esistenza di cenerentola, in cui essa era caduta nella teologia tradizionale” (p. 26). Certamente misericordia non è una visione sdolcinata di Dio, di un Dio possibilista verso i desideri dell’uomo, accondiscendente, buonista, ma è una vera sfida, non solo teologica, ma anche sociale e politica se vogliamo. Dalla vera misericordia deriva un’immagine di Dio come risposta adeguata all’ideologia ancora in voga, tanto quella marxista quanto quella capitalista.

    Il card. Kasper è ben attento nel denunciare tutti i rischi che si nascondono negli accenti quasi ossessivi alla misericordia, ma a volte contro la verità. Un mondo che ha rinunciato a Dio e alla ragione, non può che accontentarsi di buoni sentimenti. Scrive, ad esempio: “La misericordia senza la verità sarebbe priva di onestà; sarebbe semplice consolazione, in definitiva un chiacchierare a vuoto. Viceversa, però, la verità senza misericordia sarebbe fredda, scostante e pronta a ferire” (p. 241).

    Fine primario del libro di Kasper sulla misericordia, comunque, rimane un ridare assetto sistematico alla grande assente nel dibattito e nella speculazione teologici, provocando una coscientizzazione più ampia. Il nostro autore offre, così, dopo aver esaminato attentamente il messaggio della misericordia nell’A.T. e nella predicazione di Gesù, importanti riflessioni per un quadro speculativo generale sulla misericordia. Vogliamo occuparci più a lungo proprio di questo, perché a giudizio di chi scrive, in questo quadro sistematico, si insinua qualcosa che potrebbe sconvolgere l’insieme: facilmente esagerando i tratti misericordiosi di Dio, quando non addirittura spingendoli molto a ribasso. Esaminiamo quest’opera per gradi.

    Beati i poveri in spirito

    La patetica caricatura di Gesù fatta anche da molti suoi ministri.

    La patetica caricatura di Gesù fatta anche da molti suoi ministri.

    C’è una novità quasi radicale di Cristo rispetto al messaggio dell’A.T., commenta Kasper, consistente nel fatto che Gesù, “predica la misericordia definitiva per tutti. No solo a pochi giusti, ma a tutti egli dischiude la via di accesso a Dio… Dio ha messo definitivamente a tacere la propria ira e ha fatto spazio al suo amore e alla sua misericordia” (p. 103). Questa drastica separazione con l’Antica Alleanza, dove sembra, così dicendo, che non ci sia posto per la compassione e l’amore, non appare ben supportata. Basti pensare ai Salmi che lodano l’amore misericordioso del Padre per noi (cf. Sal 117, oltre a quelli che cita anche il nostro autore, convinto che dall’Esodo fino ai Salmi Dio è misericordioso e pietoso, cf. p. 93). La misericordia, in fondo, deriva dallo stesso atto creativo di Dio, che suscita in Lui approvazione e gioia (cf Gen 1,4.10.12.18). Dio non disprezza ciò che ha fatto, non rinnega l’opera delle sue mani.

    Ma ciò che preme sottolineare al cardinale, nell’accento misericordioso del N.T., è piuttosto questo passaggio, in verità molto oscuro: “Suoi destinatari (di Gesù) erano in modo particolare i peccatori; essi sono i poveri in spirito” (p. 103). E questo, sembrerebbe, per il fatto che Gesù è amico dei pubblicani e dei peccatori (cf. p. 104). I peccatori sono i poveri in spirito? Quindi, chi commette i peccati è beato perché ha perso qualcosa nello spirito? Si vede a quali conclusioni potrebbe portare una tale considerazione, quando non a veri errori, che difatti sono già noti in tante predicazioni e infatuazioni misericordiose. La povertà di spirito non è una mancanza materiale di qualcosa (della grazia di Dio?), ma è una condizione interiore, un atteggiamento dell’intelligenza e del cuore, semplici, penitenti e umili, che si pongono davanti a Dio, senza mezzi umani, in ascolto della sua Parola (cf. Mt 5,3 alla luce del Sal 69,33ss.).

    Su questo punto, invece, ha le idee molto chiare un importante teologo protestante, Heinz Zahrnt, il quale dice così, commentando il ministero pubblico del Signore: “I peccatori non sono scusati e la malattia non viene idealizzata. Gesù è un amico dei peccatori, non il loro compagno… Certamente il ritorno del peccatore rimane indispensabile, ma non è la condizione, è piuttosto la conseguenza del dono grazioso di Dio” (Jesus aus Nazareth. Ein Leben, Monaco 1987, p. 109). I poveri di spirito sono coloro che si convertono, non i peccatori che rimangono tali.

    La misericordia specchio della Trinità?

    Kasper rifiuta la visione metafisica classica e fa sua invece la critica di Kant, ben espressa poi in quel “Che cosa possiamo sperare?”. Cioè, la nostra intelligenza è limitata, non può superare il campo del visibile e dell’esperienza umana. Ciò che va oltre non è dato di conoscere, ma è relegato alla speranza, la quale rappresenta un mero postulato (cf. pp. 190-191). Questo anche per Kasper. Infatti, scrive: “Non è possibile superare la critica di Kant ai tentativi di una teodicea; tutti questi tentativi vanno considerati come falliti” (p. 191). Ma ci si pone, almeno qualche volta, il problema che una speranza come semplice presupposizione, ma infatti fondata sul dubbio, è già disperazione?

    La teodicea, legata a una visione essenzialista di Dio, che, tra l’altro, escludeva dagli attributi dell’Essere divino la misericordia, riconducendoli invece, solo ad attributi (forti) come l’onnipotenza, la giustizia, l’infinità, ecc., lascerebbe il posto, nella S. Scrittura, a una forma più esistenziale dell’”Ego sum qui sum” (Es 3,14): non Io sono l’Essere, ma Io sono sempre con voi e per voi (cf. p. 129). Però, se la metafisica ha escluso la misericordia tra gli attributi essenziali di Dio (cf. p. 23), perché essa ci è rivelata da Dio nella sua automanifestazione storica a partire dalla Sacra Scrittura – gli attributi metafisici di Dio riguardano ciò che la ragione può cogliere come universale e senza necessità di una rivelazione soprannaturale –, Kasper in realtà si ingegna a voler collocare proprio la misericordia nella stessa essenza di Dio, come proprietà fondamentale di Dio; di più, al dire del nostro, come “specchio della Trinità” (p. 140). Questo, infatti, gli consente di dover guardare ormai e per sempre alla giustizia dalla misericordia: “Se la misericordia è la proprietà fondamentale di Dio, allora essa non può essere un’attenuazione della giustizia, ma bisogna piuttosto concepire la giustizia di Dio partendo dalla sua misericordia. La misericordia è allora la giustizia specifica di Dio” (p. 137).

    È qui percepibile lo sforzo ecumenico del nostro autore, in un discorso in cui la visione di Lutero sembra costituire lo sfondo grazioso, ma, in ogni caso, ciò che stride è il tentativo di assorbire la giustizia nella misericordia. In teologia la misericordia è qualificabile come dono, una grazia, non un’esigenza, come invece lo è la giustizia, anche se naturalmente contempla anche l’aristotelica epicheia. La misericordia perfeziona e compie la giustizia ma non l’annulla; la presuppone, altrimenti non avrebbe in sé ragion d’essere. E questo anche perché le proprietà o attributi divini, a livello razionale, sono deducibili da ciò che la ragione è capace di esprimere su Dio. S. Tommaso dice: “La misericordia va attribuita a Dio in modo principalissimo (maxime attribuenda); non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli effetti (che produce)” (S. Th., I, q. 21, a. 3).

    Anche se Kant dice di no, la ragione rimane comunque aperta alla realtà come tale, alle cose che sono in quanto sono, alle cose che esistono. Se Dio esiste (come lo sa questo Kasper? Solo dalla fede? Dalla speranza?) la ragione è aperta a tutto l’essere; la ragione è aperta a tutto l’essere perché Dio esiste. Ma questi discorsi possono apparire troppo fissisti, passati di moda.

    Al nostro cardinale preme però dimostrare, con S. Luca (6,36), in un modo che sinceramente ci sfugge, che “la misericordia è la perfezione dell’essenza di Dio. Dio non condanna, ma perdona, dà e dona in una misura buona, sollecita, vagliata e sovrabbondante” (p. 105). Se allora la misericordia appartiene all’essenza stessa di Dio, perfezionandola (sic! In realtà, cosa può perfezionare Dio se non Dio stesso? Ad ogni modo bisogna decidersi se fare uso o meno della metafisica), allora, “nella misericordia non viene certo realizzata l’essenza trinitaria di Dio, questa però diventa concretamente realtà per noi e in noi” (p. 144). Kasper riprende la tesi dell’autoritrazione di Dio nella sua kenosi umana, non nel senso protestante di rinuncia alla sua divinità: per Lutero Dio nella sua kenosi è “raumgebend”, cioè colui che fa spazio all’autodecisione dell’altro, piuttosto nel senso della sua rivelazione. Dio, infinito in sé, si ritrae per fare spazio all’altro; al Figlio e mediante Lui allo Spirito Santo. In Dio, questa ritrazione, nella sua stessa infinità, è kenosi, è autospogliamento di sé, presupposto poi, perché, Dio infinito, possa fare spazio alla creazione. L’autoritrazione trinitaria conosce il momento del suo sublime rivelarsi nell’incarnazione e nella Croce di Gesù Cristo, rivelazione della sua onnipotenza nell’amore. Così Kasper (cf. p. 144).

    Ci chiediamo: se Dio si ritrae per fare spazio all’altro, sia esso una persona divina o il creato, chi sarà l’altro? Dio stesso che si ritrae fino a perdersi nell’altro? L’uomo è l’autospogliamento di Dio? L’umanità di Gesù è l’autospogliamento rivelativo di Dio? Non c’è il rischio che Dio rimanga poi solo il Dio di Gesù Cristo, nella kenosi rivelativa di Dio? E che Gesù Cristo non sia più Dio ma solo la ritrazione del Padre? Domande che crescono e che ci colgono sorpresi. Ma che ci mettono davanti al rischio concreto dell’abbandono della metafisica.

    Come possiamo non disperare

    Kasper nella sua analisi cerca una via mediana tra la posizione di von Balthasar, da cui vuole distaccarsi, e la dottrina della Chiesa, ma alla fine non ci riesce.

    Kasper nella sua analisi cerca una via mediana tra la posizione di von Balthasar, da cui vuole distaccarsi, e la dottrina della Chiesa, ma alla fine non ci riesce.

    Un altro capitolo teologico importante nell’analisi di Kasper è quello riguardante la misericordia in relazione al discorso escatologico. Ancora una volta Kasper, ora suffragato da Hans Urs von Balthasar, si richiede, con la critica della ragion pura di Kant: “Che cosa possiamo sperare?”, domanda che riassume, a suo giudizio, “tutte le domande umane” (p. 158). Come per la ragione filosofica anche per l’intellectus fidei però si pone subito un problema: non tanto cosa ma come possiamo sperare? Qual è il modo teologale corretto di esercitare la speranza? Sembra che, come per la metafisica, anche in ambito escatologico l’analisi di Kasper presenti un vulnus.

    Nella S. Scrittura scopriamo due diverse serie di affermazioni che per Kasper, come già prima per von Balthasar nel suo Sperare per tutti (or. ted. 1986, tr. it. 1989) appaiono inconciliabili. Per von Balthasar difatti rimangono inconciliabili, e cioè, in sintesi: da un lato la dichiarazione incontrovertibile che Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini (1Tm 2,3) e dall’altro, comprensivo di più luoghi scritturistici, il giudizio universale, in cui alcuni andranno alla perdizione eterna e altri alla salvezza eterna (Mt 25,31-46).

    A giudizio di Kasper, le affermazioni salvifiche universalistiche sono di speranza per tutti, ma non riguardano la salvezza effettiva di tutti e singoli gli uomini, mentre le affermazioni che parlano di giudizio e dell’effettiva dannazione non intendono dire di nessun uomo che si sia dannato. Questo dà modo al cardinale tedesco di dedurre quanto segue: “Di nessun essere umano concreto ci è stata rivelata la dannazione eterna e la chiesa non ha mai insegnato in modo dogmaticamente vincolante a proposito di nessuno che egli sia caduto nella dannazione eterna” (p. 166). Neppure di Giuda si potrebbe dire ciò con sicurezza. Qui però sembra che si confonda il magistero dogmatico, che insegna senza alcun dubbio l’esistenza dell’inferno e l’effettiva perdizione di chi muore in stato di peccato mortale (si veda, come sintesi di numerosi interventi, il CCC ai nn. 1033-1035), con una sorta di dichiarazione infallibile che quel tale si è dannato. La Chiesa, come ben sappiamo, non fa “canonizzazioni” per chi si danna, ma insegna infallibilmente, sulla base del chiaro insegnamento del Signore, che l’inferno esiste e che non è vuoto.

    Per Kasper però, e questo è il vero problema della sua analisi, “non possiamo né interpretare le affermazioni storico-salvifiche universali, piene di speranza, nel senso della dottrina dell’apocatastasi, come conoscenza di fatto dell’effettiva salvezza di tutti i singoli, né dedurre dalla minaccia del giudizio e dalla reale possibilità dell’inferno l’effettiva dannazione eterna di singoli essere umani o addirittura della maggioranza degli uomini” (p. 167). E questa è la posizione di Kasper: “Possiamo sperare nella salvezza di tutti, ma di fatto non possiamo sapere se tutti si salveranno” (p. 169). Questo è l’approdo, difatti, del criticismo kantiano. Non si può sperare, contro la fede, la salvezza di tutti. Come non c’è una speranza contro o senza la ragione, analogamente, non c’è speranza teologale contro o senza la fede. Non si può sperare contro le parole chiarissime del Signore: “… e questi se andranno alla perdizione eterna e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,46), come se fossero mere esortazioni a fare i buoni.

    Kasper nella sua analisi cerca una via mediana tra la posizione di von Balthasar, da cui vuole distaccarsi, e la dottrina della Chiesa, ma alla fine non ci riesce.

    Von Balthasar aveva sostenuto che “non si sa se tutti si salveranno, ma si “può” sperare che nessuno si perderà” (Sperare per tutti, p. 13). Alla fine, il teologo di Basilea, rispondendo ai suoi critici in modo acceso, dirà che non solo si può, ma addirittura si deve sperare che nessuno si perderà. Chi pensasse che oltre a se stesso anche solo un altro potesse perdersi eternamente non amerebbe più senza riserve (Breve discorso sull’inferno, or. ted. 1987, tr. it. 1988, p. 57). A conforto della sua idea originaria, più possibilista ma non ancora esclusivista, von Balthasar amava riferirsi a una “nuvola di testimoni”, di mistici, che avrebbero condiviso la sua tesi.

    In realtà, fu dimostrato nello stesso anno 1986 dalla rivista tedesca “Theologisches”, che nessuno dei mistici indicati da von Balthasar sostiene la sua visione di un “inferno vuoto”, con la sola eccezione di Adrienne von Speyr. Tutti i santi e mistici confermano la visione della dottrina della Chiesa: ci sono dei dannati all’inferno, non ultimo il messaggio della Madonna a Fatima. Qualora ci fosse qualche apparente discrepanza tra le visioni dei mistici circa le realtà ultime – Balthasar ad esempio amava riferirsi alla misericordia della piccola Teresa, più che alla teologia mistica della grande Teresa – la cosa va risolta guardando all’insieme dei santi e non a casi isolati e nell’ottica del Magistero della Chiesa.

    Kasper, per rafforzare la sua tesi, cita anch’egli numerose testimonianze di diversi santi, specialmente donne. Ma li cita normalmente secondo von Balthasar. In definitiva, il vero problema di von Balthasar fu la sua dipendenza in toto da Origene, come gli rimproverò Werner Löser: il teologo di Basilea volle svolgere la sua intera opera “nello spirito di Origene”; a differenza di questi, però, non postulò anche la salvezza del diavolo, ma solo quella degli uomini.

    Un Dio che soffre per misericordia?

    Infine, vorremo soffermarci su un altro aspetto sistematico con cui il card. Kasper lumeggia la misericordia di Dio in se stesso. Ora l’accento è posto sulla sofferenza di Dio e si può subito capire che anche qui la questione diventa molto delicata: da un lato è in agguato il cosiddetto patripassianismo, vecchio errore che ammetteva la sofferenza del Padre nella passione del Figlio e dall’altro una sorta di apatia di Dio, ragion per cui molti si sono allontanati da un Dio che sembra non avere un cuore, un Dio freddo calcolatore che rimane muto dinanzi al mistero del dolore e della sofferenza innocente.

    Dio non è apatico, dice Kasper. “Secondo la testimonianza della Bibbia Dio ha un cuore per noi uomini, soffre con noi, gioisce con noi e si affligge per noi e con noi” (p. 183). La Bibbia non conosce un Dio che troneggia in modo insensibile. Venendo al N. T., è lampante l’esempio del Cristo, di colui che assunse per noi la forma di servo umiliando se stesso (cf. Fil 2,6ss.). Un Dio in croce, vero scandalo per il mondo nella stoltezza dei pensieri umani. Il tentativo di Kasper qui è di unire l’insegnamento della Bibbia, cioè di un Dio che soffre per amore con quello della teologia classica e metafisica, secondo cui Dio non può soffrire in se stesso, ciò che sarebbe chiaramente un divenire e perciò una solenne imperfezione.

    A giudizio di Kasper, però, “per la Bibbia… la con-sofferenza di Dio non è espressione della sua imperfezione, della sua debolezza e della sua impotenza, ma è espressione della sua onnipotenza… Egli non può quindi essere passivamente e contro la sua volontà colpito dal dolore, però nella sua misericordia si lascia sovranamente e liberamente colpire dal dolore” (pp. 184-185). Dio nella sua misericordia è libero di soffrire e soffre per noi. Così, conclude Kasper, “oggi molti teologi della tradizione cattolica, ortodossa e protestante parlano della possibilità che Dio ha di soffrire e di con-soffrire con noi” (p. 185).

    È molto importante spiegare che Dio può soffrire, anzi che si è fatto uomo proprio per poter soffrire per noi e con noi. Perciò non è insensibile o apatico. Ma in che modo però parliamo di Dio quando gli attribuiamo la sofferenza? Quale estensione ha il concetto “Dio” in Kasper e negli altri teologi che sostengono, evidentemente senza distinguere, la “sofferenza di Dio” dal Dio in quanto tale? Sembra, a ragion veduta, che Kasper, per appurare la sofferenza misericordiosa di Dio, utilizzi il concetto “Dio” in modo universale, o se vogliamo, in relazione alla Trinità, in modo piuttosto modale. Bisogna chiedersi: Dio soffre in quanto Dio, in quanto Padre, Figlio e Spirito Santo, o non invece in quanto Figlio e soltanto nella sua natura umana? La sofferenza, in verità, è di Cristo e circoscritta alla sua natura umana. La possiamo attribuire anche alla natura divina del Figlio – in questo senso Dio soffre, Dio muore, Dio è in Croce, ecc. – in virtù della “communicatio idiomatum”, comunicazione che non sposta la sofferenza da Cristo a Dio e quindi alla Trinità, ma attribuisce la sofferenza della natura umana del “Christus patiens” alla sua natura divina, nature ipostatizzate dalla persona divina del Verbo e quindi, in ogni caso, delimitata alla seconda persona divina della SS. Trinità. Dio non soffre come Dio ma come uomo in Cristo. L’operazione logicamente scorretta è attribuire in modo improprio ciò che è di Cristo al Dio trino e uno. Certamente vale ciò che dice s. Bernardo di Chiaravalle, che Dio è “impassibilis” ma non “incompassibilis”, capace cioè di compatire ma non di patire, ma non è corretto affiancare questa citazione, con quella di S. Agostino in “Enarrationes in Psalmos” 87,3: il Signore assunse la debolezza umana e la morte non per la miseria della sua condizione ma per la volontà della sua compassione, a quella di Origene in “Homilia in Ezechielem” VI,8, secondo cui Dio “prius passus est, deinde descendit. Quae est ista, quam pro nobis passus est, passio? Caritas est passio” (cf. p. 186). Qui Origene non è accettabile: è contro il dogma della Chiesa ammettere una sofferenza in Dio, addirittura prima della sua incarnazione e trasformare la Carità, che è Amore purissimo e semplicissimo, in sofferenza. Se anche Dio soffre nella sua eternità, chi potrà mai liberarci dalla sofferenza, una volta per sempre? E se Dio soffre, ma per amore, chi darà un senso al mio amore, che è essenzialmente richiesta di non più soffrire?

    Ne va da sé che per Kasper l’unica vera risposta al male, alle tragedie, alle catastrofi naturali è la speranza, e cioè l’esercizio della misericordia. La ragione non può dirci di più e neanche la fede (cf. pp. 187-199).

    Ci si consenta, a questo punto, anche qualche perplessità nel pensare all’impianto della misericordia che soggiacerebbe al “Vangelo della famiglia”, tema introduttivo e linea guida per i lavori del prossimo Sinodo sulla famiglia.

    Qual è difatti la misericordia che dovrebbe fungere ormai da ponte tra “la dottrina della Chiesa sul matrimonio e le convinzioni vissute di molti cristiani”? Forse che i divorziati risposati, che desidererebbero fare la comunione, sono i poveri in spirito, ai quali non resta altro se non la speranza come esercizio della misericordia?

    I santi, in verità, ci insegnano ad essere molto cauti con la misericordia di Dio, a non prenderla sottogamba, né a misconoscerla, chiudendosi in un desiderio di giustizia ad ogni costo. L’apostolo della Germania, S. Pietro Canisio, S.J., dice a tal proposito: “Con la misericordia di Dio vogliamo sempre comportarci in modo da essere conformi alla sua giustizia. Gli uomini ciechi si lasciano sedurre da una confidenza vanitosa nella misericordia di Nostro Signore” (Lettera alla sorella Wandelina van Triest, nata Kanis, Colonia, 23 marzo 1543).

    © www.chiesa (18 settembre 2014)




    Il cardinale scelto da Francesco frena:
    «I divorziati? Questione minore»

    Pell, capo delle finanze vaticane: «La Chiesa non capitoli. Dare una scialuppa ai naufraghi del divorzio. Ma per dirigerli verso gli scogli o verso un porto sicuro?»

    di M.Antonietta Calabrò

    Il cardinale prefetto australiano George Pell (Ansa)Il cardinale prefetto australiano George Pell (Ansa)
     

    «Secondo alcuni il compito primario della Chiesa è fornire una scialuppa di salvataggio ai naufraghi del divorzio... Ma dove devono dirigersi queste scialuppe di salvataggio? Verso gli scogli, verso le paludi o verso un porto sicuro, che si può raggiungere soltanto con difficoltà?». 

    Zattere sì, ma che assicurino la salvezza. 

    Dopo i cardinali Gerhard Ludwig Müller, Raymond Leo Burke, Walter Brandmüller, Carlo Caffarra, Velasio De Paolis e Angelo Scola, anche Pell si schiera contro quelle soluzioni pragmatiche e misericordiose («zattere» appunto), secondo la prassi della chiesa ortodossa, che un altro cardinale, Walter Kasper, vorrebbe che fossero lanciate verso i cattolici divorziati risposati al prossimo Sinodo di ottobre sulla famiglia. 
    Stiamo parlando di George Pell, cioè un componente del cosiddetto C9, il Consiglio dei cardinali scelti da Francesco per aiutarlo nel governo della Chiesa, e prefetto della segreteria per l’Economia, cioè il nuovo «zar» delle finanze vaticane (dove ha messo sottosopra lo Ior). Quindi si tratta di un uomo di fiducia del Pontefice e non di un esponente della vecchia guardia della Curia.

    Anche questa volta la posizione dell’ex arcivescovo di Sydney è affidata a un testo, la prefazione di un libro di due studiosi (Juan José Pérez-Soba e Stephan M. Kampowski, Il vangelo della famiglia nel dibattito sinodale, edito Cantagalli) che già nel sottotitolo si pone «oltre la proposta del Cardinal Kasper».

    Secondo Pell, «la tradizione cristiana e cattolica del matrimonio monogamico indissolubile» va difesa con un dibattito rigoroso ed informato, innanzitutto circoscrivendo il fenomeno alla sua reale portata». Per il porporato australiano, la questione dei divorziati risposati è infatti del tutto «secondaria», non fosse altro per l’esiguità del numero delle persone coinvolte («purtroppo il numero dei cattolici divorziati e risposati che ritengono di dover essere ammessi alla Comunione è molto ridotto»). Essa quindi finisce per impegnare un dibattito interno alla Chiesa convogliandovi energie che forse potrebbero essere meglio impiegate. Afferma infatti Pell, con il suo stile diretto e per niente felpato e curiale: «Le comunità sane non investono gran parte delle loro energie in questioni secondarie».

    Allora perché tutto questo dibattito? 

    Secondo il porporato australiano la questione è ormai diventata «un simbolo», «una posta in palio nello scontro fra ciò che resta del cristianesimo in Europa e un neopaganesimo aggressivo». E aggiunge: «Tutti gli avversari del cristianesimo vorrebbero che la Chiesa capitolasse su questo punto». 

    Poi arriva al punto centrale: «...è fuor di dubbio che la crisi del matrimonio rispecchi la crisi della fede e della pratica religiosa», ma - si chiede Pell - « quale è la gallina e qual è l’uovo?». Mentre «la misericordia è diversa da gran parte delle forme di tolleranza», che pure «è uno degli aspetti più encomiabili delle nostre società pluralistiche». «Una barriera insormontabile, per chi invoca una nuova disciplina dottrinale e pastorale per l’accesso alla Santa Comunione» è, inoltre, una tradizione ininterrotta: cioè «la quasi completa unanimità su questo punto di cui la storia cattolica dà prova da duemila anni». 
    Una tale «severità» - afferma infine il cardinale - «era la norma» anche nei primi secoli del Cristianesimo, cioè «in un’epoca in cui la Chiesa accresceva il numero dei suoi seguaci malgrado le persecuzioni». Come dimostra uno studio per la prima volta tradotto in italiano del gesuita Henri Crouzel (Divorziati «risposati», la prassi della Chiesa primitiva ).

    Pell si lancia infine in un parallelismo tra calo delle nascite e decremento della fede. «Oltre all’intuizione, ormai confermata, che una fede infiacchita significhi meno figli, penso sia altamente probabile che la decisione di non avere figli, o di averne pochissimi, produca essa stessa un grave indebolimento della fede. L’un fenomeno influisce sull’altro». Da uomo pratico, il porporato teme in ogni caso che tutto questo dibattito possa portare a una «delusione ostile» dell’opinione pubblica. In «modo pacato e calmo», bisogna subito «parlar chiaro», evitando che si ripeta quanto avvenne con l’enciclica Humanae vitae quando ci si renderà conto che «un cambiamento sostanziale della dottrina e della pastorale è impossibile».

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

     
    [Modificato da Caterina63 20/09/2014 12:36]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 20/09/2014 16:34

     MERCOLEDÌ 24 SETTEMBRE 2014

    P. Cavalcoli rincara la dose sulla misericordia del cardinale Kasper

     
     
     
     
    In un recente articolo apparso inwww.chiesa il Padre Serafino Lanzetta manifesta alcune osservazioni critiche al libro del Card. Kasper “Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave della vita”.
     
    Dato che il libro di Kasper tocca alcuni temi teologici e morali di grande importanza e attualità, ho ritenuto bene riprendere e sviluppare le sagge annotazioni dell’illustre teologo francescano.
     
    Innanzitutto dobbiamo condividere l’idea di Kasper che il tema della divina misericordia è una grande medicina per guarire dall’ateismo, ma non per il motivo addotto da Kasper, secondo il quale Dio non castiga ma usa solo misericordia, per cui, dopo Auschwitz, dovremmo abbandonare l’idea di un Dio che punisce. 
     
    In realtà, l’idea di Kasper è sbagliata, perché nella Scrittura l’attributo divino della giustizia punitiva è evidentissimo. Si tratta solo di intenderlo nel senso giusto, non come azione divina positiva tesa a recare pena o dolore al reo, ma si tratta di un’espressione metaforica presa dalla comune condotta umana, per significare il fatto che è il peccatore stesso col suo peccato a tirarsi addosso la punizione, così come per esempio chi eccede nel bere è “punito” con la cirrosi epatica. Questo è chiarissimo nella Bibbia. La morte non è qualcosa che consegue al peccato per un irrazionale o casuale intervento divino, ma è la conseguenza logica e necessaria del peccato, così come chi ingerisce un veleno necessariamente muore.


    Kasper poi loda Lutero per il fatto che questi nel passo della Lettera ai Romanidove Paolo parla della “giustizia divina” (3,21), non intende la giustizia punitiva, ma l’azione misericordiosa di Dio, per la quale noi siamo “giustificati gratuitamente per la sua grazia” (v.24), “per mezzo della fede in Gesù” (v.22). 
     
    Giustissimo, senonchè però non sempre nella Bibbia la giustizia divina ha questo senso, ma in molti altri luoghi appare chiaramente come giustizia punitiva, anche se nel senso suddetto. Del resto è ben noto quanto Lutero manteneva il concetto della punizione divina, ammettendo, con la tradizione cattolica, l’esistenza del diavolo e di dannati nell’inferno.
     
    In base a ciò, dobbiamo dire che è falsa l’affermazione di Kasper secondo la quale, con l’avvento di Cristo, “Dio ha messo definitivamente a tacere la propria ira e ha fatto spazio al suo amore e alla sua misericordia” (p. 103). Sono infatti notissimi tutti gli insegnamenti di Cristo circa l’esistenza dei dannati[1] e i passi nei quali Egli redarguisce con molta severità suoi avversari.
     
    Indubbiamente c’è da ricordare che l’“ira divina” è un’espressione metaforica per esprimere appunto la giustizia divina. È infatti evidente che in Dio, purissimo Spirito, non esistono passioni e emozioni. L’ira divina è semplicemente la condizione penosa del peccatore privo della grazia e nemico di Dio. Dio non è nemico di nessuno. Egli, come dice S.Agostino, non ti abbandona, se non sei tu ad abbandonarLo.
     
    La distinzione in Dio fra giustizia e misericordia non si fonda sull’essenza divina, né è proprietà necessaria di tale essenza, ma suppone l’esistenza del mondo, che Dio, se avesse voluto, poteva anche non creare. Infatti, mentre la misericordia è atto dell’amore gratuito di Dio per l’uomo peccatore, per cui questi viene da Dio indotto al pentimento e una volta pentito viene perdonato, sicchè, avendo recuperato la grazia, può compiere opere meritorie per la salvezza, la giustizia divina, come ho già detto, non è un atto positivo di Dio, ma è la giusta e logica conseguenza del peccato.
     
    In questa luce e in questo senso la Bibbia dice che Dio premia i buoni e castiga i malvagi, confermando un’insopprimibile esigenza universale della coscienza morale naturale di ogni uomo onesto e leale. Diversamente, che senso avrebbero gli ordinamenti e gli istituti penali dello Stato e della Chiesa? Ci sarebbe la legge della giungla, dove il forte si mangia il debole e ciascuno non farebbe altro che voler prevalere sugli altri.
     
    Se Dio non punisse i malvagi sarebbe ingiusto, anche se è vero che Egli mostra il suo amore facendo misericordia. Tuttavia la vera misericordia non si attua a scapito della giustizia, ma operando, come dice giustamente Padre Serafino, meglio e al di sopra della giustizia, che comunque va sempre rispettata. Se un peccatore è perdonato e non è punito, ciò non è ingiusto, ma è un’opera divina.
     
    Non si deve opporre l’amore alla giustizia. Esiste infatti e deve esistere un amore per la giustizia. La punizione o l’uso della forza in se stessi non sono peccato, ma lo sono quando la pena è ingiusta, o troppo mite o troppo severa, e quando si usa la forza non in difesa del bene, ma per fare il male. Occorre dunque odiare l’ingiustizia e praticare la giustizia imitando la stessa giustizia divina.
     
    L’impassibilità divina, come giustamente osserva P.Serafino, non è non so quale freddezza o durezza di cuore, ma significa semplicemente l’inviolabilità della natura divina e il fatto che non può essere privata di nulla e nulla le può mancare.
     
    L’idea di un Dio solo misericordioso, che non punisce nessuno, non solo non risolve il problema dell’ateismo, ma lo esaspera. Infatti, la misericordia come tale allevia la sofferenza e solleva dalla miseria, le quali invece, in linea di principio, anche se non caso per caso, sono alla lontana, anche negli innocenti e nei santi, castigo del peccato originale e forse anche dei peccati personali o di quelli di coloro che ci fanno soffrire. 
     
    Ebbene, se dovesse restare solo la misericordia senza la giustizia, allora tutte le pene di questa vita dovrebbero essere effetto della misericordia divina, cosa evidentemente assurda, che ci farebbe sentire beffati da un Dio di tal fatta. E’ vero che se viviamo le nostre pene quotidiane in unione a Cristo crocifisso, sperimentiamo la misericordia divina, non però per un’assurda confusione tra punizione e misericordia, ma perché in Cristo possiamo espiare le nostre colpe per puro dono della divina misericordia.
     
    È ovvio che la tragedia di Auschwitz conduce a chiederci che ne fu allora dell’onnipotenza e della bontà divine. Perché Dio non è intervenuto o non ha impedito? Se ammettiamo la Scrittura come Parola di Dio, l’unica risposta ci viene dalla fede: perché Dio ha voluto invitare il suo Popolo a partecipare ai dolori del Messia. 
     
    L’invito di Kasper alla speranza che simili cose non si ripetano più è giusto, ma intanto il credente non deve spiegare solo il futuro, ma anche il passato e il presente e fuori di Cristo non c’è spiegazione al mistero del male, del peccato e della sofferenza.
     
    Quanto poi sostiene Kasper secondo il quale Kant avrebbe dimostrato l’impossibilità di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio mediante il principio di causalità partendo dalle cose del mondo, è una tesi assolutamente falsa, che contrasta sia con la ragione naturale e ancor più con gli insegnamenti della Chiesa, per esempio col Concilio Vaticano I, basati sulla stessa Sacra Scrittura (Cf Rm 1,19-20 e Sap 13,5).
     
    Inoltre, grave calunnia contro la metafisica è l’accusa di Kasper secondo la quale la dottrina metafisica dell’Ipsum Esse, peraltro ricavata da S.Tommaso d’Aquino da Es 3,14, escluderebbe dagli attributi divini la misericordia: tesi falsissima, dato che la misericordia, dal punto di vista metafisico, non è altro che la manifestazione e l’attuazione dell’infinita bontà divina, attributo che la metafisica deduce dal trascendentale del bonum, in quanto sommo analogato della nozione del bene.
     
    Altro grave errore teologico di Kasper è il credere che la misericordia è la proprietà fondamentale di Dio, (p.137), quasi fosse un attributo della sua stessa essenza. E giunge ad affermare che “la misericordia è la perfezione dell’essenza di Dio” (p. 105), come se Dio si dovesse perfezionare nell’esercizio della misericordia. 
     
    Ora, dobbiamo dire che, essendo la misericordia legata all’azione divina nei confronti del mondo e poiché il mondo non fa parte dell’essenza divina, né Dio lo ha creato necessariamente o per essenza, anche la misericordia non entra necessariamente nell’essenza divina, per cui questa non si perfeziona affatto, in quanto Dio, essendo già di per sé perfezione infinita, non ha assolutamente bisogno di perfezionarsi o di essere perfezionato.
     
    Per quanto poi riguarda la speranza della salvezza, la Bibbia non dice da nessuna parte che dobbiamo sperare la salvezza di tutti, come crede von Balthasar ripreso da Kasper, ma al contrario insegna chiarissimamente che non tutti si salvano, per quanto non sia affatto proibito ma anzi è doveroso pregare per la salvezza dei peccatori, finchè sono in vita. Viceversa io ho il dovere di sperare nella mia salvezza, fondando tale speranza su di un assiduo impegno per la salvezza mia e degli altri.
     
    Kasper non si spinge come per esempio Rahner a dirsi certo che tutti si salvano. La sua tesi è più morbida. Egli ritiene infatti che “Possiamo sperare nella salvezza di tutti, ma di fatto non possiamo sapere se tutti si salveranno” (p. 169). Tale idea non raggiunge però ancora quanto insegnano la Bibbia e il Magistero della Chiesa. Dottrina di fede è invece che non tutti si salvano (Concilio di Trento, Denz.1523 e Concilio di Quierzy dell’853, Denz. 623).
     
    Altro grave errore teologico di Kasper, contrario al dogma cattolico, come lascia intendere Padre Lanzetta, è l’idea di un Dio sofferente. Certo, anche qui possiamo usare la metafora o la comunicazione degli idiomi, in quanto, per esempio, possiamo dire che Dio soffre in Cristo in quanto Cristo è uomo. 
     
    Ma asserire la sofferenza nella natura divina è eresia. Certo Kasper tenta di sfuggire a questa grave conseguenza, ma esce in espressioni contradditorie, che non hanno senso, dicendo che in Dio la sofferenza sarebbe una perfezione e addirittura espressione della sua onnipotenza: “per la Bibbia… la con-sofferenza di Dio non è espressione della sua imperfezione, della sua debolezza e della sua impotenza, ma è espressione della sua onnipotenza… Egli non può quindi essere passivamente e contro la sua volontà colpito dal dolore, però nella sua misericordia si lascia sovranamente e liberamente colpire dal dolore” (pp. 184-185)[2].
     
    Queste posizioni di Kasper, è vero, toccano solo la metafisica, la teologia e il dogma. Di recente si è fatto conoscere un Kasper che, in vista del prossimo sinodo dei vescovi sulla famiglia, a proposito del delicato problema dei divorziati risposati, ha manifestato, in nome della “misericordia”, idee che hanno incontrato opposizioni e critiche nell’ambito dello stesso collegio cardinalizio.
     
    Il mio timore è che le tesi lassiste di Kasper siano la conseguenza delle deviazioni di fondo denunciate da me e da Padre Serafino. Inoltre, insultare la metafisica non è senza conseguenze nel campo della fede, del dogma e della morale. E la vicenda culturale e spirituale del Card.Kasper sembra esserne una prova conturbante ed istruttiva.
     
     
    P. Giovanni Cavalcoli,OP
    Fontanellato, 20 settembre 2014
     
     
    [1] Al riguardo mi permetto di segnalare il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010. 
     
    [2] Al riguardo mi permetto di segnalare i miei studi IL MISTERO DELL’IMPASSIBILITA’ DIVINA, Divinitas, 2, 1995, pp.111-167; LA QUESTIONE DELL’IMMUTABILITA’ DIVINA, in Rivista Teologica di Lugano, n.1, marzo 2011, pp.71-93. 


     







    CITTA' DEL VATICANO - Fra i cinque cardinali firmatari del libro "Permanere nella verità di Cristo" dove si dichiara inammissibile la proposta del cardinale Walter Kasper di aprire in certi casi alla comunione ai divorziati risposati, c'è Velasio De Paolis, canonista, e presidente emerito della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede.

    Eminenza, il vostro libro esce in Italia per Cantagalli il primo ottobre, dunque quattro giorni prima dell'apertura del Sinodo nel quale il Papa auspica un confronto franco sui temi della famiglia. Perché questa operazione?

    "Non c'è stata nessuna operazione. Semplicemente abbiamo voluto contribuire al confronto esprimendo il nostro parere".

    Non potevate prima lasciar lavorare il Sinodo?

    "La casa editrice ha chiesto la disponibilità a che degli interventi precedentemente scritti e pronunciati venissero pubblicati e, per quel che mi riguarda, ho acconsentito senza che vi sia nulla di più del desiderio di offrire un contributo al dialogo successivo. Ho letto che c'è chi addirittura ipotizza un'operazione voluta, un complotto. Non c'è nessun complotto. Solo la volontà di esprimere una posizione. Il mio testo poi, l'ho scritto e reso pubblico già mesi fa".

    La sua posizione circa la possibilità di concedere l'eucaristia ai divorziati risposati non ammette aperture. Perché?

    "In gioco c'è la legge divina, l'indissolubilità del matrimonio. Una legge proclamata solennemente da Gesù e confermata più volte dalla Chiesa, al punto che la norma che afferma che il matrimonio rato e consumato tra battezzati non può essere sciolto da nessuna autorità umana ma viene sciolto solo dalla morte, è dottrina di fede della Chiesa".

    Ma se il Sinodo decidesse di arrivare a una nuova soluzione pastorale lei cosa farebbe?

    "Io obbedirei alla decisione presa. Non avrei nessun problema al riguardo. Però, nello stesso tempo, voglio avere la libertà di dire come la penso senza essere accusato di essere complottista".

    Ieri Francesco ha tenuto un discorso importante. Incontrando in Vaticano i partecipanti al meeting internazionale "Il progetto pastorale di Evangelii gaudium" organizzato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, ha detto: "La Chiesa mi sembra un ospedale da campo, tanta gente ferita che chiede a noi vicinanza. Chiedono a noi quello che chiedevano a Gesù: vicinanza, prossimità, e con questo atteggiamento degli scribi, dei dottori della legge e dei farisei mai, mai faremo una testimonianza di vicinanza"

    "Ha ragione. Occorre prossimità e anche misericordia. Ma il mio no all'eucaristia ai divorziati risposati nasce dalla volontà di dare un contributo come canonista. Se dobbiamo parlarne è utile sapere ciò che la Chiesa fino a oggi ha sostenuto. Fra l'altro, fu già Benedetto XVI a chiedere di lavorare in merito. E già tempo fa espressi una mia opinione ma allora nessuno disse nulla".

    Pensa che il Sinodo arriverà su questo tema a nuove soluzioni?

    "Non sono un profeta. In coscienza mi auguro che la dottrina non venga stravolta. Vedremo comunque cosa succederà nel confronto fraterno e sereno".

    A onor del vero Kasper chiede un cambiamento della prassi, non della dottrina.

    "Ma la prassi è fondata sulla dottrina. Non si può cambiare una prassi se questo cambiamento contraddice la dottrina. Spesso ci si appella alla pastoralità in opposizione alla dottrina, che sarebbe astratta e poco aderente alla vita concreta. È una visione errata della pastorale, dal momento che una pastorale in contrasto con la verità creduta e vissuta dalla Chiesa si trasformerebbe facilmente in arbitrarietà nociva alla stessa vita cristiana. Francesco chiede confronto e, anche pubblicamente, mi sono sentito di offrire il mio pensiero".

    Il Sinodo ha una procedura nuova. Cosa pensa?

    "È una buona modalità seppure implica un grosso impegno per far sì che tutto avvenga senza confusione ma con rigore. Senz'altro tutto procederà nel modo migliore. Tutti noi dobbiamo aiutare in questo senso". 










    LO RIPETIAMO PER TUTTI  Non è possibile che il Sinodo possa ignorare questa AFFERMAZIONE DOTTRINALE, PONTIFICIA E MAGISTERIALE della Chiesa..... se ciò accadesse, sarebbe lo scisma... chi seguirà il cardinale Kasper farà lo scisma... 

    ECCO L'INSEGNAMENTO UFFICIALE DELLA CHIESA:

    "Una questione particolarmente dolorosa, come sappiamo, è quella dei divorziati risposati. La Chiesa, che non può opporsi alla volontà di Cristo, conserva con fedeltà il principio dell’indissolubilità del matrimonio, pur circondando del più grande affetto gli uomini e le donne che, per ragioni diverse, non giungono a rispettarlo. Non si possono dunque ammettere le iniziative che mirano a benedire le unioni illegittime. L’Esortazione apostolica Familiaris consortio ha indicato il cammino aperto da un pensiero rispettoso della verità e della carità..."

    (Benedetto XVI alla Conferenza Episcopale Francese)







    [Modificato da Caterina63 24/09/2014 19:38]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 02/10/2014 12:20



    GRAVI PRESSIONI, INVECE, INCOMBONO SUL SINODO E SULLA CHIESA..... SE VINCESSE QUESTA LINEA SARA' LO SCISMA....

    C'è chi lavora per un Sinodo gay-friendly
    LABUSSOLAQUOTIDIANA - di Tommaso Scandroglio30-09-2014

    Croce arcobaleno

    Venerdì 3 ottobre a Roma, in vista del prossimo Sinodo per la famiglia, avrà luogo la conferenza internazionale “Le strade dell’Amore, per una pastorale con le persone omosessuali e transessuali". L’obiettivo che persegue questo meeting è quello di elaborare «un documento di contributi e proposte al Sinodo per la nuova pastorale che sarà elaborata a partire dal Sinodo». Un pressing psicologico sui padri sinodali dunque. 

    Nell’Appello che spiega il contenuto e le finalità di questa conferenza possiamo leggere: «I cristiani omosessuali italiani stanno effettuando una rivoluzione copernicana: passare dalla condizione di attesa, quella in cui si rimane ai margini, nascosti, sperando che qualcosa accada, che qualcuno faccia qualcosa per cambiare la tua condizione di sofferenza, a quella di abbracciare una visione della speranza che si fa azione, che ti porta a non volerti nascondere più, ad assumere consapevolezza che la propria esistenza è bella, degna e piena come quelle di ogni altra persona e che, quindi, può diventare spunto, materia per interrogare le comunità tutte perché dal Sinodo stesso esca una nuova pastorale, elaborata anche ‘con’ le persone omosessuali e transessuali».  

    L’Appello poi prosegue citando ovviamente la famigerata frase del Papa di ritorno dal Brasile: «La domanda che si è rivolto spontaneamente papa Francesco ‘chi sono io per giudicare un gay?’ è stata un balsamo per molte persone, ed ha in sé la forza progettuale per poter diventare ora un cambiamento concreto, perché la sospensione di giudizio di per sé non è sufficiente. Deve evolvere in crescita delle comunità cristiane nella loro capacità concreta di accogliere, incoraggiare, rispettare le persone omosessuali e transessuali nel loro desiderio di una vita piena, come tutte le persone che ancora oggi si trovano emarginate ed escluse». 

    Questi due stralci hanno un contenuto obliquo perché dicono e non dicono. Da una parte è proprio della pastorale insegnata dal Magistero l’atteggiamento del cristiano, richiamato anche in questo documento, volto ad accogliere le persone omosessuali e a rispettarne la dignità. Su altro fronte però pare che «la sospensione del giudizio» non debba riguardare unicamente la responsabilità soggettiva – che in ultima istanza riguarda solo Dio (ma in parte anche gli uomini: vedi confessione) – bensì proprio le condotte e la condizione omosessuale sulle quali invece il Magistero ha già da tempo espresso un giudizio e un giudizio di condanna. Pare quindi che il documento di questa conferenza inviti il Sinodo ad accogliere non solo la persona omosessuale, ma anche la sua omosessualità.

    I relatori della conferenza saranno: Geoffrey Robinson, vescovo emerito dell’arcidiocesi cattolica di Sidney - Australia; James Alison, teologo e sacerdote cattolico inglese; Antonietta Potente, teologa e suora domenicana; Letizia Tommasone, pastora e teologa Valdese e Joseanne Peregrin, Presidente della Christian Life Community di Malta. 

    Invece tra i partecipanti segnaliamo la presenza della delegazione de la Pastorale de la Diversidad sessuale CVX de Chile (PADIS+), una iniziativa nata all'interno della Comunità ignaziana di Vita Cristiana (CVX) di Santiago del Cile. In un comunicato rivolto ai padri sinodali questa delegazione ci informa che «in accordo col Magistero e la dottrina cattolica, la Chiesa ci propone di vivere la nostra sessualità nella castità, e di riconoscere e accettare che tutti e tutte ci sentiamo chiamati a scegliere una vita celibe, a causa di una condizione innata che avvertiamo come immutabile, ma che per noi non è una scelta. Le nostre vocazioni e chiamate sono molteplici e varie. Non tutti siamo chiamati alla stessa meta. La castità necessita del nostro consenso e della nostra libertà. Così come è formulato, l’insegnamento della Chiesa riguardo a questi temi non offre nessuna alternativa oltre a questa, escludendo altri percorsi e strade di possibile vocazione personale e comunitaria».  In breve: la castità va bene solo se accettata, altrimenti è una forzatura e dunque non sarebbe una scelta ma una imposizione. L’ultima parola sulla condizione omosessuale non tocca a Santa Romana Chiesa, depositaria non della Verità ma unicamente di meri consigli pratici, bensì solo alla persona omosessuale. 

    Castità no dunque ed invece sì alla “famiglia” omo: «La famiglia sembra un orizzonte possibile, che molti e molte già vivono nelle loro relazioni di coppia o insieme a quelli che considerano essere la loro famiglia». Tradotto: se una realtà è già esistente significa che è buona. Se molti omosessuali vivono assieme ed hanno figli questa è già famiglia e le alte sfere della gerarchia cattolica non possono che registrare e benedire questo fenomeno.

    In merito poi all’incompatibilità tra vita religiosa e condizione omosessuale il comunicato così si esprime: «Abbiamo l’impressione che l’invisibilità della sessualità nella vita religiosa, la segretezza di fronte all’omosessualità presente in essa e la lassitudine che abbiamo visto e sentito, ci sfida a voler ancora collaborare affinché molte persone non debbano sperimentare l’incompatibilità della propria omosessualità con la vita religiosa». L’omosessualità non sarebbe un inciampo ad una vita votata completamente a Cristo ma anzi una condizione che facilita un’esistenza incardinata sulla povertà, sull’obbedienza e soprattutto sulla castità.

    Tra le molte riflessioni che si potrebbero fare, forse la più immediata è la seguente: appare molto curiosa l’espressione “cristiani omosessuali” usata in questi documenti. Come se i cristiani fossero eterosessuali e omosessuali. Se accettiamo questo distinguo allora dovremmo accettare un’infinità di altre categorie: i cristiani adulteri e quelli fedeli, quelli ladri e gli onesti, etc. Ed invece omosessualità, infedeltà e furto sono incompatibili con l’aggettivo “cristiano”. L’idea che soggiace in questi elaborati è infine quella solita: l’omosessualità è una condizione o caratteristica naturale della persona, dunque di segno positivo, come essere intelligenti o coraggiosi. Se quindi l’omosessualità è una qualità buona del credente deve essere favorita ed incoraggiata perché utile nel cammino di fede. 

    Il salto è evidente: si chiede al Sinodo non più di tollerare l’omosessualità – perché si tollera solo ciò che è male – ma di promuoverla perché uno dei volti eticamente accettabili dell’uomo. E se l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, tra poco ci sarà qualche teologo che si spingerà a dire che anche Dio è omosessuale. Fanta-teologia? Vedremo.

     


    IL MONACO ORTODOSSO: «CATTOLICI, SU DIVORZIATI E RISPOSATI STATE ALLA LARGA DALLA PRATICA ORTODOSSA»

     
     
    Questa è la testimonianza lasciata sul blog di padre John Zhulsdorf da un suo lettore speciale:
     
    «Sono un monaco della Chiesa ortodossa, sulla via della conversione al cattolicesimo. Ho deciso percorrere questa strada per numerosi motivi, quasi tutti di tipo dottrinale. Benché la mia presa di consapevolezza della verità del cattolicesimo sia stata un processo graduale, ci sono state comunque cose che subito mi hanno fatto capire che il cattolicesimo era da prendere sul serio.
     
    Avendo letto i Padri della Chiesa e ciò che hanno scritto su come discernere una vocazione matrimoniale da una alla vita religiosa, mi era chiaro che gli stessi Padri avevano una idea ben definita del matrimonio e della sessualità; questa lucidità li spingeva a raccomandare la vita celibataria a tutti coloro che potevano abbracciarla e a insistere sul fatto che se un cristiano voleva tenere un piede nel mondo, la sua sessualità doveva essere indirizzata esclusivamente al matrimonio e a un matrimonio con un fine preciso: l’educazione della prole, dono di Dio, in una unità che è alla base della società e riflette l’indissolubile legame tra Cristo e la Chiesa. 

    Nella loro visione del matrimonio e della sessualità, due cose erano certe e ineludibili: la prima, la contraccezione è inconcepibile in un matrimonio cristiano, dal momento che è un bene in sé, benché inferiore a quello della vita religiosa, il cui senso è la generazione e l’educazione dei figli nella fede. La seconda cosa, il matrimonio è di necessità permanente, deve durare fintanto che gli sposi vivono, sia per i doveri e gli obblighi dettati dalla legge naturale, sia per il suo carattere sacramentale. Gli ortodossi possono provare a vantarsi della loro maggiore fedeltà alla tradizione apostolica in certi usi e costumi (antichi calendari, digiuni, periodi in cui pregare in piedi o inginocchiati, ecc.), ma ad un certo punto ho capito che si sono allontanati dalla dottrina cristiana originaria sul matrimonio e la sessualità. 

    È una questione di dottrina, non solo di prassi, il che dovrebbe far riflettere molti ortodossi come ha fatto riflettere me. 
    Mi sono detto: “Se il cattolicesimo è falso e l’ortodossia è vera, come mai il cattolicesimo insegna ancora la verità su matrimonio e contraccezione mentre noi l’abbiamo abbandonata?”. Le disquisizioni dottrinali sul Filioque e l’infallibilità papale possono andare avanti all’infinito; non così per il cristallino insegnamento patristico e apostolico (cioè scritturistico), secondo cui il matrimonio è per sempre ed esclude la contraccezione (cosa che non può essere messa in dubbio da persone intellettualmente oneste). 
    Penso quindi che sarebbe una tragedia se anche solo il cattolicesimo flirtasse con l’idea ortodossa di “oikonomia”, quando la sua fedeltà dottrinale è stata per me una prova chiara della sua rivendicazione di essere la vera Chiesa.

    Da uno che è stato nella Chiesa ortodossa, lasciate che vi dica una cosa: di questo concetto di “oikonomia” si è abusato per giustificare qualsiasi violazione della disciplina canonica. 

    E’qualcosa che il cattolicesimo dovrebbe evitare a tutti i costi. Il termine “oikonomia” significa “buona gestione della casa”. Ciò vuol dire che della “oikonomia” può far parte sia la severità quanto l’essere indulgenti. Il modo appropriato di fare “economia” si trova nella parola latina “dispensatio” – così fu tradotta la parola greca – ovvero soppesare, dosare, compensare. L’idea è che con una “dispensa” si può cercare di ottenere lo stesso bene che si dovrebbe ottenere con la legge, valutando tutte la variabili di una determinata circostanza. Non si tratta di abrogare la legge, ma di raggiungere lo scopo della legge con altri mezzi. 
    Alle volte questo può risultare in un allentamento della disciplina, quando le circostanze indicano che l’applicazione dura e pura della legge può causare un danno. Ovviamente però, questo cercare di raggiungere il bene, lo stesso bene che si deve raggiungere con la legge, scegliendo un approccio differente dopo un’adeguata valutazione di tutti i fattori in campo, non può arrivare a violare la verità o a corrompere la morale, dal momento che ciò non è lo scopo della legge! Sarebbe il suo contrario.
     
    Cattolici! Ascoltate un ex monaco ortodosso:  fuggite questa “economia” spuria che si fa gioco dell’autentico significato del termine! La teologia degli ortodossi è diventata così distorta che giudicano sempre invalidi i sacramenti non-ortodossi, ma ammettono la possibilità che possano diventare validi “per oikonomia”. 

    Ma come può un principio che dovrebbe permettere giudizi prudenti nell’applicazione del diritto canonico, rendere dei sacramenti validi o invalidi retroattivamente? Dove sta il “bene” in un tale confuso concetto di “oikonomia”? 
    Ho conosciuto un prete ortodosso, sposato, psichiatra. Ha avuto una relazione con una delle sue pazienti, cosa che anche il mondo secolare giudica un crimine, meritevole della radiazione dalla professione. 
    Tuttavia il suo vescovo gli ha permesso di divorziare dalla moglie, di “risposarsi” con la sua paziente e di tornare al servizio sacerdotale: tutto in nome della “oikonomia”. Ma io dico: misericordia un cavolo! 

    Qual è stata la misericordia per la moglie del prete? E per i suoi figli? E per la comunità che avrebbe fatto volentieri a meno di avere come parroco un bugiardo, fornicatore e adultero? E per le altre donne che possono diventare sue vittime, ora che costui sa che non ci sono conseguenze per le sue azioni? 
    A tutto ciò porta inevitabilmente una tale idea di “oikonomia”, riguardo alla quale dico: anathema sit! Gli ortodossi dovrebbero vergognarsi di tollerare una tale ipocrisia e un tale tradimento della fede. I cattolici dovrebbero essere orgogliosi di non avere nulla del genere. È una delle ragioni per cui ho preso il cattolicesimo seriamente in considerazione e sono arrivato a credere che rappresenti la vera fede.
     
     
    Pater Augustinus»


     



    Pubblichiamo il numero di Ottobre 2014
     
    E' IL PASSATO 
    CHE GIUDICA IL PRESENTE

     




    E' IL PASSATO CHE GIUDICA IL PRESENTE
    Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VII n° 10 - Ottobre 2014

      “I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti”.
     
      Chi oserebbe oggi parlare così nella Chiesa? Chi avrebbe il coraggio di ripetere queste parole di Papa San Pio X, di cui cade quest'anno il centenario della morte? Le scrisse nella lettera “Notre charge apostolique”, del 1910, indirizzata ai vescovi e arcivescovi di Francia. Certo, S. Pio X lì tratta della concezione secolarizzata della democrazia, ma queste parole possono benissimo riferirsi anche alla situazione della Chiesa, avvelenata oggi al suo interno da una medesima secolarizzazione.
     
      Veniamo spesso accusati, da coloro che non capiscono le scelte operate da noi in questi anni, di essere dei patetici cristiani che guardano al passato, mentre occorre vivere la Chiesa del presente. Anche tra coloro che amerebbero un po' più di tradizione nell'azione della Chiesa, tra i “conservatori timidi” per intenderci, l'imbarazzo è quello di non passare per tradizionalisti, uomini cioè troppo ancorati all'antico.
     
      Invece per noi è chiaro che il passato deve prevalere sul presente, in modo netto.
     
      È il passato che giudica il presente della Chiesa e non il presente della Chiesa che giudica il passato.
     
      Semplicemente perché all'origine c'è Gesù Cristo Nostro Signore, è lui il Capo della Chiesa, la Chiesa è il suo Mistico Corpo. E Cristo ci viene dal passato: la conoscenza di Lui, la Rivelazione divina, la sua Grazia anche, agiscono nel presente ma ci sono consegnate dal passato, dalla ininterrotta trasmissione di verità, santità e grazia, che dagli Apostoli giunge fino a noi attraverso quel processo che si chiama Tradizione.
     
      Potremmo senza il passato essere Cattolici? Conosceremmo Cristo senza questa comunicazione con il passato? Avremmo i sacramenti, se non ci fossero consegnati dalla Tradizione Apostolica, che ci àncora al passato con certezza? Senza il sacerdozio che ci viene dalla successione apostolica, che ci unisce con certezza al passato e cioè a Cristo, avremmo ancora i sette sacramenti con la grazia che salva?
     
      No di certo! Una Chiesa del solo presente sarebbe una non-chiesa, una pura falsità inventata dagli uomini; una vuota casa umana fatta di parole senza Dio.
     
      Cristo e la sua grazia ci sono dunque continuamente consegnati dal passato della Chiesa, perché il presente sia il tempo della salvezza.
     
    Per questo, e non per un gusto personale, vogliamo che sia il passato a giudicare il presente della Chiesa, guidando tutti i giudizi necessari a compiere scelte giuste che evitino mortali errori.
     
      Per sapere se stai pensando e agendo in modo cattolico, devi guardare a ciò che nel passato la Chiesa ha insegnato e fatto. A ciò che, nei secoli, nella Chiesa si è mantenuto costantemente, portando frutti di bene. Altrimenti cadrai nell'errore degli eretici che hanno perso Cristo.
     
      L'alternativa a questo prevalere del passato sul presente, sarà una nuova religione fondata su un “Cristo carismatico” che dipende dal tuo modo di sentire del momento, che dipende dal tuo sentimento; e il tuo sentimento dipende infine dalla mentalità comune che il potere di questo mondo impone.
     
      Hanno fatto così tutti gli eretici della storia della Chiesa, hanno fatto così i Protestanti, volendo stare con Cristo negando tutto il passato della Chiesa, giudicandolo negativamente. E Cristo lo hanno perduto.
     
      È il male del cattolicesimo diffusosi oggi in mezzo a noi. Un cattolicesimo che usa il presente della Chiesa per condannare il suo passato.
     
      Anche i famosi “mea culpa”, con cui anni fa' il Sommo Pontefice domandò perdono per le colpe dei cristiani nella storia, furono usati ideologicamente come condanna della storia della Chiesa: oggi un normale cristiano è portato a pensare che la vera Chiesa di Cristo è quella di oggi, mentre nel passato c'è una Chiesa che deve farsi perdonare quasi tutto quello che ha fatto.
     
      Così si è sovvertito l'ordine della verità e si è introdotta una logica falsa e non cattolica, quella del presente che giudica il passato: il contrario della Tradizione.
     
      La Tradizione resta una delle fonti della Rivelazione assieme alla S. Scrittura; e la Tradizione implica la venerazione del passato della Chiesa, e chi lo nega non è più cattolico.
     
      La mentalità comune oggi è di fatto il ribaltamento della logica cattolica: ti permettono di infangare il passato della Chiesa con una facilità estrema e con una ignoranza estrema; anzi, se lo fai ti lodano pure, perché dimostri di essere un cristiano adulto che ripensa criticamente la sua fede; mentre il presente della Chiesa non puoi azzardarti a giudicarlo, pena l'essere accusato di disobbedienza e scisma.
     
      Che strana questa non-logica della Chiesa ammodernata: l'unico pericolo di scomunica grava su coloro che si permettono di valutare ciò che sta accadendo nel presente della Chiesa. Il mea culpa lo puoi fare battendo il petto dei cristiani di un tempo, ma non puoi farlo sul tuo petto di cattolico del presente.
     
      Sono invece gli Apostoli, sono i Padri della Chiesa, sono i Papi e i Concili dogmatici di duemila anni di Cristianesimo, sono i santi della cristianità a giudicare il nostro presente: in una parola è Cristo con il passato della Chiesa a giudicarci.
     
      Per lo stesso preciso motivo, diciamo che è la Messa della tradizione che giudica il disastro liturgico di oggi.
     
      È la Messa del passato che giudica quella in circolazione oggi e non la accetta. Non è la Messa antica che deve chiedere timidamente il permesso di essere giudicata e tollerata dalla Messa di oggi. Sono i frutti di santità prodotti dalla Messa antica a giudicare lo sgretolamento della presenza cristiana nel mondo, causato anche da una riforma liturgica che non ti permettono di giudicare.
     
     





    [Modificato da Caterina63 10/10/2014 12:08]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 11/10/2014 00:28

      Divorziati, le ambigue soluzioni dei "pietisti"
    di Antonio Livi10-10-2014

    Sinodo

     

    A margine delle discussioni che hanno preceduto e tuttora accompagnano il Sinodo straordinario sulla famiglia (5–19 ottobre 2014) va osservato il continuo e crescente avvicendarsi di “cattivi maestri” e di “falsi profeti” che annunciano come già in arrivo una nuova Chiesa non più sottomessa ai vincoli del dogma e della morale, aperta alle istanze della “base” e pronta a cancellare gli “storici steccati” che separano i cattolici dai protestanti e dagli ortodossi. 

    Molti studiosi italiani hanno messo in evidenza la deriva "anti-dogmatica”, o meglio “a-dogmatica” di questi discorsi, recepiti con entusiasmo (naturalmente!) dai media laicisti, dalla Repubblica al Sole24Ore e alla Stampa (qui scrive tra gli altri Gianni Vattimo, il filosofo del «pensiero debole», che già vent’anni fa chiedeva a gran voce un «cristianesimo senza papa e senza dogmi»). Io ne ho parlato approfonditamente nel mio trattato su Vera e falsa teologia (2012) e più recentemente pubblicando una raccolta di scritti del cardinale Giuseppe Siri che ho intitolato Dogma e liturgia (2014). Ma anche papa Benedetto XVI aveva sapientemente precisato che «pastorale e dogma s’intrecciano in modo indissolubile; è la verità di Colui che è a un tempo “Logos” e “Pastore”, come ha profondamente compreso la primitiva arte cristiana, che raffigurava il Logos come Pastore e nel Pastore scorgeva il Verbo eterno che è per l’uomo la vera indicazione della vita».

    Sull’argomento è poi tornato il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. In un libro-intervista che è uscito un  mese fa contemporaneamente in Italia, in Spagna e negli Stati Uniti (l’edizione italiana, a  cura dell’Ares, si intitola La speranza della famiglia), il porporato tedesco ha messo molto bene in evidenza il carattere a-dogmatico delle proposte di cambiamento della prassi ecclesiastica a riguardo del matrimonio e della famiglia. 

    Nel denunciare l’impossibilità di accettare quelle proposte – che, secondo Walter Kasper e tanti altri, sarebbero giustificate dai mutamenti sociali in atto e dall’insofferenza di molti fedeli alla morale cattolica - il cardinale Müller ha detto con grande precisione teologica: «Un semplice “adattamento” della realtà del matrimonio alle attese del mondo non dà alcun frutto, anzi risulta controproducente: la Chiesa non può rispondere alle sfide del mondo attuale con un adattamento pragmatico. Opponendoci a un facile adattamento pragmatico, siamo chiamati a scegliere l’audacia profetica del martirio. Con essa, potremo testimoniare il Vangelo della santità del matrimonio. Un profeta tiepido, mediante un adeguamento allo spirito dell’epoca, cercherebbe la propria salvezza, non la salvezza che solamente Dio può dare». 

    Sono stati tanti i cardinali (oltre al già citato Gerhard Ludwig Müller, ricordo Carlo Caffarra, Velasio De Paolis, Walter Brandmüller, Thomas Collins e Raymond L. Burke) che hanno voluto pubblicare degli scritti per opporsi, con argomentazioni serene e soprattutto pertinenti, al tentativo di fare pressione sul Sinodo nella speranza di ottenere un pronunciamento della maggioranza dei centonovantuno padri sinodali e addirittura di papa Francesco a favore del cambiamento della prassi pastorale della Chiesa. 

    Ciò peraltro non è possibile che accada, perché costituirebbe un sostanziale cambiamento della Chiesa stessa, ossia l’avvento di quella nuova Chiesa a-dogmatica che da anni tanti cattivi maestri come Hans Küng e tanti falsi profeti come Enzo Bianchi vanno annunciando e preparando (preparando con l’annunciarla), senza peritarsi di attribuire allo stesso papa Francesco i loro disegni rivoluzionari. L’attuazione di tali disegni, per quanto riguarda la pastorale del matrimonio e della famiglia, comporterebbe l’abolizione dell’enciclica Humane vitae(Paolo VI) e dell’esortazione apostolica Familiaris consortio (Giovanni Paolo II), oltre naturalmente ai canoni del Concilio ecumenico di Trento sui sacramenti del Matrimonio, dell’Eucaristia e della Penitenza. 

    Insomma, ci sono solide ed evidenti ragioni per rassicurare quei fedeli che possono essere stati turbati da tante estemporanee e imprudenti esternazioni di alcuni teologi, sia veri (come Dionigi Tettamanzi) che presunti (come Gianfranco Ravasi), i quali si sono dichiarati convinti delle argomentazioni di Walter Kasper sulla necessità di riformare la pastorale. Io vado ripetendo a tutti di stare tranquilli, perché la fede e la speranza teologali ci assicurano dell’indefettibilità della Chiesa, garantita da Cristo stesso, e ciò vuol dire che nessuna maggioranza sinodale (e tanto meno una minoranza, per quanto vociante) finirà per imporre al papa l’autodistruzione della Chiesa, che Cristo gli ha affidato per governarla in suo nome, come suo Vicario.

    Ma prima, oltre a queste considerazioni propriamente teologiche, ho voluto citare una frase del cardinale Gerhard Ludwig Müller perché serve a integrare il discorso con l’opportuno richiamo alla categoria logico-retorica del “pragmatismo”. Il pragmatismo è infatti la versione “performativa” (ossia, operativa) del relativismo, sotto la cui dittatura viviamo ufficialmente dai tempi di papa Benedetto XVI, che la denunciò vigorosamente. L’«adattamento pragmatico» di cui parla Müller consiste nell’adattare la Chiesa alle (presunte) nuove istanze dei fedeli, e anche degli infedeli, ai quali si vuol apparire dialoganti sempre e a ogni costo. Ciò implica la decisione di  mettere in soffitta il dogma, appellandosi alle sole (presunte) esigenze di azione pastorale nella liturgia, nella catechesi, nell’amministrazione dei sacramenti. Si dice infatti e si ripete che «la dottrina non viene toccata ma si affrontano le sfide della società di oggi». In altri termini, la dottrina da una parte e la pastorale dall’altra. Qualcosa come “i commenti separati dalle notizie”, come dicevano i settimanali politici di un tempo. 

    Ma che cosa vuol dire in concreto, che «la dottrina resta immutata mentre la pastorale deve cambiare per adeguarsi ai tempi»? Prima ancora di discutere se questa affermazione è ortodossa, bisogna chiedersi se ha senso. La risposta che io, come studioso di logica e di filosofia del linguaggio, ritengo che si debba dare è che frasi di questo genere non hanno di per sé alcun senso. 

    In effetti, la pastorale è un insieme di decisioni, di iniziative, di scelte, insomma di azioni, i cui soggetti sono persone consapevoli e (si spera) responsabili. Ora, qualunque azione umana, sia di un singolo come privato sia di un singolo come rappresentante di un’istituzione, è regolata intrinsecamente – a rigor di logica, e dalla logica non si scappa – da un’intenzione, da un criterio, quindi in definitiva da dei principi, dunque da una dottrina. Di conseguenza, quando certi teologi e anche certi ecclesiastici con autorità episcopale dicono che cercano soluzioni “pastorali” diverse da quelle che la Chiesa ha adottato finora, e aggiungono che però non intendono cambiare la dottrina, dicono una cosa assolutamente illogica, una cosa che essi vorrebbero fosse presa per buona (ossia, come un’ipotesi plausibile) da parte del pubblico al quale si rivolgono, ma che loro per primi sanno che non ha alcun senso. In realtà quelle frasi sono mera retorica, una cortina fumogena che serva a nascondere i veri obiettivi, i fini reali dei cambiamenti che si vogliono attuare. 

    Non posso certamente sapere che cosa costoro hanno in mente e nella coscienza, ma – stando alla logica dei fatti (e i discorsi sono anch’essi dei fatti) - le possibilità sono solo due: o quelle frasi nascondono l’intenzione di cambiare davvero la dottrina, ma senza dirlo esplicitamente (il che sarebbe proprio da ipocriti, e quindi certamente non è il caso delle persone cui mi riferisco); oppure nascondono un’intenzione che in astratto può apparire meno eterodossa ma in pratica costituisce una minaccia grave per la fede cattolica: l’intenzione di lasciare la dottrina della Chiesa così com’è, senza introdurre cambiamenti formali ma senza nemmeno applicarla alla vita della Chiesa, il che significa cominciare (o continuare) ad agire nella prassi pastorale secondo altri principi e altri criteri: altri principi e altri criteri, che allora sarebbero non-dottrinali, estranei cioè al dogma, quindi indipendenti da quello che Dio ha rivelato come verità salvifiche e che ogni fedele è tenuto a credere nel proprio cuore, a professare esteriormente e a vivere personalmente. Quindi non si tratterebbe di criteri teologici ma di criteri umani, sostanzialmente politici, come si deduce dal linguaggio usato nei loro messaggi e dai mezzi adoperati per diffonderlo nell’opinione pubblica.

    Si tratta di un fenomeno (negativo) di comunicazione sociale che sto studiando da anni nel linguaggio di coloro che parlano di filosofia. Anche tra i filosofi la retorica (l’ambiguità del linguaggio, la sollecitazione dei sentimenti più superficiali e degli ideali utopici, la restrizione mentale) sostituisce troppo spesso l’argomentazione razionale, l’onesta manifestazione dei principi dai quali si parte e dei fini che ci si prefigge. E sempre, quando si agisce con fini politici, l’arma della propaganda si basa sulla suggestione delle parole che ipostatizzano concetti astratti (la Storia, il Futuro, il  Cambiamento, il Progresso, l’Apertura), nella speranza che il pubblico non si accorga  che manca qualsiasi forma di coerenza logica tra questi termini e il “senso comune”, ossia l’esperienza esistenziale, concreta, di tutti gli uomini. 

    Analogamente, molti all’interno della Chiesa si servono della retorica per attuare i loro fini politici, e così facendo uniscono le loro forze alle forze politiche che dall’esterno combattono la vera Chiesa di Cristo. So benissimo che la retorica può essere anche finalizzata a veicolare idee buone (lo insegnava Aristotele molti secoli or sono), così come può essere buona anche la politica. Ma quando la retorica è l’arma che si adopera per trionfare in una discussione teologica come quella che riguarda i problemi della pastorale che il Sinodo sta affrontando, allora la politica (i fini) non può essere buona, perché la missione che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di “fare politica” ma di evangelizzare, santificare, governare in nome di Cristo stesso e con la sua grazia. Nemmeno sarà buona la retorica (i mezzi) perché gli insegnamenti della Chiesa non sono efficaci, non evangelizzano veramente, se non sono semplici, chiari e basati più sulla conoscenza (teologale) della volontà salvifica di Dio che sulla conoscenza (sociologica) della volontà di quei fedeli e di quei Pastori che esprimono le loro personali opinioni umane, di minoranza o di maggioranza che siano.

     - LA GIORNATADibattito acceso sulla comunione, 





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 09/11/2014 14:44

    Intervista completa al Cardinal Burke di Vida Nueva: “a molti sembra che la nave della Chiesa abbia perso la bussola”


     



    L'intervista al Cardinal Burke del settimanale cattolico spagnolo Vida Nueva è diventata famosa per l'espressione "una barca senza timone" presa fuori contesto. L'intervista completa è stata pubblicata dal blog Adelante la Fe - Rorate Caeliversione spagnola [qui] - Leggiamola con attenzione; è equilibratissima, ma è chiara ed esplicita e non devia di uno iota, oltre ad essere sobriamente rivelativa. 
    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

    Il cardinale statunitense Raymond Leo Burke è considerato attualmente uno dei rappresentanti del settore della Curia più ostile ai cambiamenti, come dimostra definendo "critico" il momento presente, in cui per "molti" la Chiesa naviga "come una nave senza timone". Contrario alla tesi del cardinal Walter Kasper sull'ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati – "il matrimonio è indissolubile. Se mi sposo con una persona, non posso vivere con un'altra" –, definisce "sofferenza" l'omosessualità e ritiene che si è cercato di dirigere il Sinodo della Famiglia verso una posizione aperturista.

    Denuncia anche la "manipolazione" che si è cercato di operare sulle informazioni che uscivano dall'assemblea sinodale, e allo stesso tempo è rattristato dalla "confusione" e dalle "difficoltà pastorali" provocate dal dibattito su questi punti caldi. Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica – la Corte Suprema del Vaticano – a partire dal 2008, si dà per sicuro il suo prossimo passaggio alla condizione di cardinale patrono dell'Ordine di Malta, una carica onorifica di scarsa rilevanza [di fatto avvenuto ieri].
    Che sensazioni le ha lasciato il Sinodo? Ci sono stati confronti?

    C'è stata una discussione aperta e forte. Prima si pubblicavano sempre gli interventi dei padri sinodali, stavolta no. Tutte le informazioni provenivano dai riassunti di Padre Lombardi e dagli incontri che organizzava con la stampa. Tali riassunti mi hanno sorpreso, non riflettevano con esattezza il contenuto delle discussioni, davano l'impressione che tutto si stesse dirigendo a favore della posizione esposta dal cardinal Kasper. Il vero shock è arrivato con la Relatio post disceptationem[riassunto degli interventi della prima settimana del Sinodo]. Sembrava un manifesto a favore del cambiamento della disciplina della Chiesa sulle unioni irregolari. Offriva una maggiore apertura alle coppie che convivono al di fuori del sacramento del matrimonio e alle persone che soffrono della condizione di omosessualità.

    Gli altri padri sinodali condividevano la sua opposizione?

    È così. Tutte le persone del mio circolo minore erano sorprese. Abbiamo passato molto tempo a fondare il documento finale sulla Sacra Scrittura e sul Magistero. Bisognava correggere gli errori: per esempio, la teoria che si possano trovare elementi positivi in atti peccaminosi, come la convivenza, la fornicazione e l'adulterio o in atti sessuali tra persone che soffrono della condizione di omosessualità. Questa confusione era molto grave. Abbiamo cercato di far riemergere la bellezza dello stato matrimoniale come unione indissolubile, fedele e destinata alla procreazione creata da Dio. Di fronte alle situazioni difficili, abbiamo operato una distinzione tra l'amore per il peccatore e l'odio per il peccato. Noi moderatori e relatori dei circoli minori abbiamo chiesto che i nostri lavori fossero pubblicati: fino ad allora il pubblico non conosceva il nostro pensiero. Tutto era controllato e manipolato, se posso dirlo.

    Gravi difficoltà pastorali
    Si è cercato di dirigere il Sinodo verso una direzione?

    Sì. Dal momento in cui il cardinal Kasper ha cominciato a esporre la sua opinione, una parte della stampa ha voluto credere che la Chiesa avesse intenzione di cambiare la sua disciplina. Ciò ha creato gravi difficoltà pastorali. Molti vescovi e sacerdoti mi hanno contattato dicendo che persone che si trovano in unioni irregolari andavano in parrocchia esigendo di ricevere i sacramenti: dicevano che era la volontà del Papa. Si tratta di una cosa fondamentale, non di una leggerezza. Il pilastro della Chiesa è il matrimonio. Se non insegnamo e non viviamo bene questa realtà, siamo perduti, smettiamo di essere Chiesa. Nel Sinodo non si possono porre sullo stesso piano gli insegnamenti della Chiesa e una posizione che li contraddice.

    Non si insegnano più bene le verità sul matrimonio?

    C'è una gran confusione a proposito della sua indissolubilità. Se una persona vive una relazione di adulterio pubblico, come è possibile accedere alla confessione con la risoluzione di non peccare più? Come è possibile accedere alla comunione senza scandalizzare la comunità? Si vive pubblicamente uno dei peccati più gravi.
     
    Ritiene impossibile il cammino di penitenza proposto da Kasper affinché alcuni divorziati risposati possano accedere ai sacramenti?
     
    In tale cammino di penitenza entrambe le parti devono vivere castamente. Se non si possono separare, devono vivere come fratello e sorella. Si tratta di una prassi antica. Parlano di legge della gradualità, ma la verità non è graduale, è oggettiva. Il matrimonio è indissolubile: se mi sposo con una persona, non posso vivere con un'altra.

    Un altro tema incandescente è quello dell'omosessualità. Lei ha definito poco fa gli omosessuali "persone che soffrono della condizione di omosessualità". La vede come una malattia?

    È una sofferenza. Dio non ci ha creato affinché l'uomo stesse con l'uomo e la donna con la donna. Risulta chiaro per la nostra stessa natura: siamo fatti per l'unione eterosessuale, per il matrimonio. Mi rifiuto di parlare di persone omosessuali, perché nessuno può essere identificato da questa tendenza. Si tratta di persone che hanno una tendenza, che è una sofferenza.

    Cosa ha pensato quando il Papa ha detto: "Chi sono io per giudicare un gay"?

    Ha detto che non può giudicare una persona di fronte a Dio, sia quale sia la sua colpa. Tuttavia, bisogna giudicare gli atti; non credo che il Papa pensasse altrimenti. Sono atti peccaminosi e contro natura. Il Papa non ha mai detto che possiamo trovare elementi positivi in essi: è impossibile trovare elementi positivi in un atto cattivo.

    Francesco ha parlato nel suo messaggio finale al Sinodo di un "indurimento ostile" e ha deprecato il fatto che alcuni si rinchiudessero "dentro le cose scritte" senza lasciarsi "sorprendere da Dio". Come interpreta le sue parole?

    È difficile. Si possono interpretare nel senso che la dottrina e la disciplina siano contrarie all'azione dello Spirito Santo. Ma questo non è un modo di pensare cattolico. La dottrina e la disciplina sono le condizioni per il vero incontro con Cristo. Ho sentito dire da molti che il Papa non vuole insistere con la disciplina e con la dottrina, ma questa non è un'interpretazione adeguata delle sue parole.

    Alcuni fedeli sono preoccupati dal cammino che ha preso la Chiesa. Cosa dice loro?

    In molti mi hanno manifestato questa preoccupazione. In un momento così critico, in cui esiste la forte sensazione che la Chiesa sia come una nave senza timone, non importa la ragione; è più importante che mai studiare la nostra fede, avere una guida spirituale sana e dare una testimonianza forte della fede.
    Alcuni mi dicono che non è più importante, per esempio, l'impegno nel movimento per la vita. Rispondo loro dicendo che è più importante che mai.

    Le pare che la Chiesa si trovi in un momento in cui sembra non avere nessuno alla guida?

    Ho tutto il rispetto per il ministero petrino e non voglio sembrare una voce contraria al Papa. Vorrei essere un maestro della fede con tutte le mie debolezze, esprimendo le verità che molti sentono oggi. Molti si sentono un po' disorientati perché gli sembra che la nave della Chiesa abbia perso la bussola. Bisogna mettere da parte la causa di questo disorientamento, perché non abbiamo perso la bussola. Abbiamo la costante tradizione della Chiesa, i suoi insegnamenti, la sua liturgia, la sua morale. Il catechismo non cambia.

    Incontro con la cultura
    Come si caratterizza questo pontificato?

    Il Papa parla giustamente della necessità di andare verso le periferie. La risposta della gente è stata molto calorosa, ma non possiamo andare verso le periferie con le mani vuote: ci andiamo con la Parola di Cristo, coi sacramenti, con la vita virtuosa dello Spirito Santo. Non dico che il Papa non lo faccia, ma c'è il rischio di malinterpretare l'incontro con la cultura. La fede non può adeguarsi alla cultura: deve chiamarla alla conversione. Siamo un movimento di controcultura, non un movimento popolare.

    Lei ha affermato che la Evangelii gaudium non è parte del Magistero. Perché?

    Lo stesso Papa afferma al principio del documento che non è magisteriale, che offre solo indicazioni sulla direzione verso cui condurrà la Chiesa.

    Il cattolico comune opera questa distinzione?

    No. Per questo c'è bisogno di una presentazione attenta ai fedeli, spiegando loro la natura e il peso del documento. Nell'Evangelii gaudium ci sono affermazioni che esprimono il pensiero del Papa. Le riceviamo con rispetto, ma non insegnano una dottrina ufficiale.

    __________________________
    (Pubblicato da: RORATE CÆLI 7 novembre 2014)





    Il falso profetismo del clero mondano - Editoriale di "Radicati nella fede", Novembre 2014.

     

     
    IL FALSO PROFETISMO 
    DEL CLERO MONDANO

    Editoriale di "Radicati nella fede"
    Novembre 2014

     
      Scoppia la guerra in qualche parte del mondo e il clero, alto o basso che sia, esprime solidarietà con le vittime e le popolazioni colpite. C'è un'alluvione o un terremoto, ed esprime vicinanza nella preghiera, aggiungendo un'invettiva contro le autorità civili che non hanno saputo prevenire il disastro o sono state insufficienti nei soccorsi. Siamo in crisi economica e questo clero insegna agli economisti cosa bisogna fare per affrontarla, propinando allo stato o agli industriali la propria ricetta ricordando i diritti dei lavoratori.
      Ci siamo ormai abituati a questi immancabili e scontati bollettini ecclesiastici sulla situazione, partoriti nelle altrettanto immancabili riunioni delle conferenze ecclesiastiche.
     
      Ma tutto questo è compito davvero del sacerdozio cattolico? E se lo è in qualche misura, è tutto qui il suo compito?
     
      Dopo aver tanto parlato di Chiesa profetica, manca la profezia, quella vera, quella cattolica secondo Dio. Manca il richiamo del ritorno a Dio.
     
      No, questo richiamo non lo sentirete più! Non sentirete più quelle parole che tornavano fedelmente in ogni tempo e stagione della vita cristiana e specialmente nei momenti difficili e di dolore: “Cari fratelli, questa sofferenza, questa calamità, questa crisi ci richiamano a tornare a Dio, perché non ci capiti qualcosa di peggio!”.
     
      Mai dai pulpiti di oggi si è alzata una voce chiara. Mai si è ricordato che nel dolore Dio ci parla, non soltanto della sua tenerezza, ma anche della nostra conversione. “Fratelli, è perché abbiamo abbandonato il Signore che tutto questo ci viene addosso; facciamo penitenza e torniamo all'osservanza dei comandamenti.”
     
      Qualcuno dirà che qui si fa terrorismo spirituale; che anche il giusto soffre, che la Croce non è sempre conseguenza del peccato personale. È vero.
      Sì è vero, ma il giusto chiamato alla Croce pesante, lo è in riparazione del peccato di tutto il popolo, e quindi non toglie nulla, anzi conferma la verità che le calamità hanno un legame col peccato.
     
      Un testo del grande domenicano P. Calmel (1914-1975) è molto eloquente al riguardo. Scritto nel 1968 (“le pretre et la révolution, 1914-1968”, Itineraire n. 127, novembre 1968, p. 37), denuncia la variazione operata dal clero mondano nello sguardo cristiano sulla storia umana. Un clero mondano che già nella prima metà del '900 passava ad un falso profetismo, ad una falsa lettura della realtà:
      “Il clero mondano fece soprattutto delle variazioni sulla pace perpetua, il disarmo e la promozione sociale”, vantava i soldati morti al fronte (si era alla fine della I guerra mondiale) per “l'emancipazione umana secondo la dichiarazione dei diritti dell'uomo
    - Invece di parlare di Dio al mondo sofferente per la guerra, lavorava come i socialisti perché i morti della grande guerra fossero utili alla promozione umana; al posto della salvezza eterna questo clero si preoccupava dei diritti dell'uomo!

      Ma riprendiamo P. Calmel: “...i preti con il gusto del mondo sono arrivati progressivamente a voler fondere il messianismo soprannaturale del Regno che non è di questo mondo con il messianismo rivoluzionario della massoneria o del comunismo. Questi preti sono entrati nel gioco di Cesare che, dopo la rivoluzione del 1789, aspira più che mai a sostituirsi a Dio, eliminando il peccato originale e le sue conseguenze...”.

    Terribile! È la scomparsa della vita soprannaturale, del Regno che non è di questo mondo, della vita eterna. Questi preti con il gusto del mondo sono diventati i sacerdoti del Naturalismo, della religione che non parla più del peccato e della grazia. Sono preoccupati dei diritti dell'uomo, ma non che gli uomini si salvino dall'Inferno e possano giungere, dopo una vita cristianamente vissuta, in Paradiso. È scomparso il Regno di Dio per fare spazio al regno dell'O.N.U. 
    Sempre Calmel: “I preti con il gusto della rivoluzione insegnano con crescente insistenza da più di vent'anni che la pace di Cristo si confonde con la politica secondo l'O.N.U., e si riassume in essa”. 
     
     “Il prete con il gusto del mondo, il prete “mondano” (…) si è trasformato fino a divenire l'uomo del messianismo terreno (…), si fa complice del Cesare moderno.
     
      Qualcuno dirà che oggi nella Chiesa si è meno propensi al sociale e alle tentazioni della lettura marxista della storia; che questo pericolo fu quello dei preti degli anni '70, tentati dal dialogo coi marxisti. Sì, in un certo senso è vero, il comunismo è crollato, ci si è “imborghesiti” un po' tutti. Ma alla rivoluzione anni '70, quella della solidarietà con gli operai, si è sostituita la rivoluzione borghese, quella della solidarietà con le lotte per i diritti individuali: i diritti alle coppie di fatto, dell'omosessualità, dei divorziati risposati che vogliono la comunione; della libera contraccezione, della libera adozione... e chi più ne ha più ne metta. Si tratta sempre qui della medesima Rivoluzione dettata dal laicismo massonico, che sia di destra o di sinistra poco importa, ...sempre sotto la bandiera dei diritti dell'uomo. Del problema di Dio e della salvezza eterna nemmeno l'ombra!
     
      “Più di un milione e mezzo di giovani cristiani di Francia doneranno la loro vita dal 1914 al 1918, e i preti secondo il mondo, testimoni ebeti di questa ecatombe senza precedenti, non avranno la capacità di cogliere il significato, di comprendere che, se non facciamo ritorno a Dio, delle ondate ancora peggiori ci attendono...
     
      “Se non facciamo ritorno a Dio” ...non lo diranno mai questi preti mondani, non lo diranno mai perché hanno sposato le vecchie rivoluzioni socialiste o le nuove rivoluzioni borghesi e liberali.
     
      E quanti preti, discepoli di questi “testimoni ebeti” hanno fatto carriera, fino a giungere ai gradi alti della gerarchia. Tutti questi li senti parlare: di fronte ai dolori, alle calamità, alle guerre, agli omicidi ...non ricordano mai che occorre tornare a Dio. Esprimono solidarietà, noiosamente e vuotamente ...e il mondo fa finta di ascoltare questi appelli che rispondono al solito copione già scritto.
     
      L'unico stupore sarebbe possibile per la Verità, l'unica Verità.
      Se un prete, anche del più umile borgo del mondo, si alzasse a dire “Fratelli, se non torniamo a Dio, ci capiterà di peggio”, allora il mondo potrebbe fare davvero silenzio e pensare.
     
     


    Ma Dio aveva altri progetti
     



    Alcune inquietanti visioni della beata Anna Caterina Emmerich (beatificata da Giovanni Paolo II)
     
    "Vidi anche il rapporto tra i due papi... Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa. L’ho veduta aumentare di dimensioni; eretici di ogni tipo venivano nella città (di Roma). Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande oscurità... Allora la visione sembrò estendersi da ogni parte. Intere comunità cattoliche erano oppresse, assediate, confinate e private della loro libertà. Vidi molte chiese che venivano chiuse, dappertutto grandi sofferenze, guerre e spargimento di sangue. Una plebaglia selvaggia e ignorante si dava ad azioni violente. Ma tutto ciò non durò a lungo".
    (13 maggio 1820)
     
    "Vidi ancora una volta che la Chiesa di Pietro era minata da un piano elaborato dalla setta segreta [la massoneria], mentre le bufere la stavano danneggiando. Ma vidi anche che l’aiuto sarebbe arrivato quando le afflizioni avrebbero raggiunto il loro culmine. Vidi di nuovo la Beata Vergine ascendere sulla Chiesa e stendere il suo manto su di essa. Vidi un Papa che era mite e al tempo stesso molto fermo... Vidi un grande rinnovamento e la Chiesa che si librava in alto nel cielo".
     
    "Vidi una strana chiesa che veniva costruita contro ogni regola... Non c’erano angeli a vigilare sulle operazioni di costruzione. In quella chiesa non c’era niente che venisse dall’alto... C’erano solo divisioni e caos. Si tratta probabilmente di una chiesa di umana creazione, che segue l’ultima moda, così come la nuova chiesa eterodossa di Roma, che sembra dello stesso tipo...". (12 settembre 1820)
     
    "Ho visto di nuovo la strana grande chiesa che veniva costruita là (a Roma). Non c’era niente di santo in essa.
    Ho visto questo proprio come ho visto un movimento guidato da ecclesiastici a cui contribuivano angeli, santi ed altri cristiani. Ma là tutto il lavoro veniva fatto meccanicamente. Tutto veniva fatto secondo la ragione umana... Ho visto ogni genere di persone, cose, dottrine ed opinioni.
     
    C’era qualcosa di orgoglioso, presuntuoso e violento in tutto ciò,
    ed essi sembravano avere molto successo. Io non vedevo un solo angelo o un santo che aiutasse nel lavoro. Ma sullo sfondo, in lontananza, vidi la sede di un popolo crudele armato di lance, e vidi una figura che rideva, che disse: "Costruitela pure quanto più solida potete; tanto noi la butteremo a terra"". (12 settembre 1820)
     
    La Messa era breve. Il Vangelo di San Giovanni non veniva letto alla fine.
    (12 luglio 1820)
     
    "Vedo il Santo Padre in grande angoscia. Egli vive in un palazzo diverso da quello di prima e vi ammette solo un numero limitato di amici a lui vicini. Temo che il Santo Padre soffrirà molte altre prove prima di morire. Vedo che la falsa chiesa delle tenebre sta facendo progressi, e vedo la tremenda influenza che essa ha sulla gente. Il Santo Padre e la Chiesa sono veramente in una così grande afflizione che bisognerebbe implorare Dio giorno e notte". (10 agosto 1820)
     
    "Poi vidi un'apparizione della Madre di Dio, che disse che la tribolazione sarebbe stata molto grande. Aggiunse che queste persone devono pregare ferventemente... Devono pregare soprattutto perché la chiesa delle tenebre abbandoni Roma". (25 agosto 1820)
     
    "Vidi la Chiesa di San Pietro: era stata distrutta ad eccezione del Santuario e dell’Altare principale. San Michele venne giù nella chiesa, vestito della sua armatura, e fece una pausa, minacciando con la spada un certo numero di indegni pastori che volevano entrare. Quella parte della Chiesa che era stata distrutta venne prontamente recintata… così che l’ufficio divino potesse essere celebrato come si deve. Allora, da ogni parte del mondo vennero sacerdoti e laici che ricostruirono i muri di pietra, poiché i distruttori non erano stati capaci di spostare le pesanti pietre di fondazione". (10 settembre 1820)
     
    "Vidi cose deplorevoli: stavano giocando d’azzardo, bevendo e parlando in chiesa; stavano anche corteggiando le donne. Ogni sorta di abomini venivano perpetrati là. I sacerdoti permettevano tutto e dicevano la Messa con molta irriverenza. Vidi che pochi di loro erano ancora pii, e solo pochi avevano una sana visione delle cose. Vidi anche degli ebrei che si trovavano sotto il portico della chiesa. Tutte queste cose mi diedero tanta tristezza". (27 settembre 1820)
     
    "La Chiesa si trova in grande pericolo. Dobbiamo pregare affinché il Papa non lasci Roma; ne risulterebbero innumerevoli mali se lo facesse. Ora stanno pretendendo qualcosa da lui. La dottrina protestante e quella dei greci scismatici devono diffondersi dappertutto. Ora vedo che in questo luogo la Chiesa viene minata in maniera così astuta che rimangono a mala pena un centinaio di sacerdoti che non siano stati ingannati. Tutti loro lavorano alla distruzione, persino il clero. Si avvicina una grande devastazione". (1 ottobre 1820)
     
    "Poi vidi che tutto ciò che riguardava il Protestantesimo stava prendendo gradualmente il sopravvento e la religione cattolica stava precipitando in una completa decadenza. La maggior parte dei sacerdoti erano attratti dalle dottrine seducenti ma false di giovani insegnanti, e tutti loro contribuivano all’opera di distruzione [difatti ora sono tantissimi i cattolici che diventano protestanti o che si lasciano influenzare dalle sette evangeliche, compresi molti sacerdoti].
    In quei giorni, la Fede cadrà molto in basso, e sarà preservata solo in alcuni posti, in poche case e in poche famiglie che Dio ha protetto dai disastri e dalle guerre". (1820)
     
    "Vedo molti ecclesiastici che sono stati scomunicati e che non sembrano curarsene, e tantomeno sembrano averne coscienza. Eppure, essi vengono scomunicati quando cooperano (sic) con imprese, entrano in associazioni e abbracciano opinioni su cui è stato lanciato un anatema [la massomeria ecclesiastica]. Si può vedere come Dio ratifichi i decreti, gli ordini e le interdizioni emanate dal Capo della Chiesa e li mantenga in vigore anche se gli uomini non mostrano interesse per essi, li rifiutano o se ne burlano". (1820-1821)
     
    "Ho avuto un’altra visione della grande tribolazione. Mi sembrava che si pretendesse dal clero una concessione che non poteva essere accordata. Vidi molti sacerdoti anziani, specialmente uno, che piangevano amaramente. Anche alcuni più giovani stavano piangendo. Ma altri, e i tiepidi erano fra questi, facevano senza alcuna obiezione ciò che gli veniva chiesto. Era come se la gente si stesse dividendo in due fazioni". (12 aprile 1820)
     
    "Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano pericolose per la Chiesa. Stavano costruendo una Chiesa grande, strana, e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti ed avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione. Così doveva essere la nuova Chiesa... Ma Dio aveva altri progetti". (22 aprile 1823)
     

     
    http://www.viapulchritudinis.net/page-201.html
     



    "L’opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, vescovi contro vescovi" (Messaggio di Akita)

     
    Messaggio della B. Vergine di Akita - Apparizioni approvate dal Vescovo del luogo e dalla Santa Sede Romana
    (13 ottobre 1973, terza e ultima apparizione)
     
    "Mia cara figlia, ascolta bene ciò che ho da dirti. Ne informerai il tuo superiore".
    Dopo un attimo di silenzio la Madonna continua dicendo:
    "Come ti ho detto, se gli uomini non si pentiranno e non miglioreranno se stessi, il Padre infliggerà un terribile castigo su tutta l’umanità.
    Sarà un castigo più grande del Diluvio, tale come non se ne è mai visto prima. Il fuoco cadrà dal cielo e spazzerà via una grande parte dell’umanità, i buoni come i cattivi, senza risparmiare né preti né fedeli.
    I sopravvissuti si troveranno così afflitti che invidieranno i morti.
    Le sole armi che vi resteranno sono il Rosario e il Segno lasciato da Mio Figlio. Recitate ogni giorno le preghiere del Rosario. Con il Rosario pregate per il Papa, i vescovi e i preti.
    L’opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, vescovi contro vescovi.
    I sacerdoti che mi venerano saranno disprezzati e ostacolati dai loro confratelli…chiese ed altari saccheggiati; la Chiesa sarà piena di coloro che accettano compromessi e il Demonio spingerà molti sacerdoti e anime consacrate a lasciare il servizio del Signore.
    Il demonio sarà implacabile specialmente contro le anime consacrate a Dio.
    Il pensiero della perdita di tante anime è la causa della mia tristezza. Se i peccati aumenteranno in numero e gravità, non ci sarà perdono per loro.
    Con coraggio, parla al tuo superiore. Egli saprà come incoraggiare ognuna di voi a pregare e a realizzare il vostro compito di riparazione.
    E’ il vescovo Ito, che dirige la vostra comunità".
    E dopo aver sorriso aggiunge:
    "Hai ancora qualcosa da chiedere? Oggi sarà l’ultima volta che io ti parlerò in viva voce. Da questo momento in poi obbedirai a colui che ti è stato inviato e al tuo superiore.
    Prega molto le preghiere del Rosario. Solo io posso ancora salvarvi dalle calamità che si approssimano. Coloro che avranno fiducia in me saranno salvati".

       




    [Modificato da Caterina63 09/11/2014 15:46]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 14/11/2014 15:42
      Il vescovo che sfidò il Pci. Con il sostegno di tre Papi
    di Rino Cammilleri14-11-2014
    Monsignor Pietro Fiordelli, vescovo di Prato negli anni Cinquanta

    Ero studente in Scienze Politiche all’Università di Pisa negli “anni caldi”. Cioè, proprio nell’occhio del ciclone. I docenti da baroni si erano trasformati in tribuni della plebe e i libri su cui dovevo studiare sembravano editi a Mosca (ce n’era anche uno di Carlo Cardia -oggi su tutt’altre posizioni- che propugnava i diritti costituzionali dell’ateismo). Ebbene, quasi tutti questi testi ricordavano con indignazione l’orribile «caso del vescovo di Prato», avvenuto nel 1956, ma mai dimenticato dai livorosi compagni. I succubi democristiani non finivano di vergognarsene sebbene fossero passati quasi vent’anni.

    Il vescovo in questione era Pietro Fiordelli (1916-2004) e fu pastore di Prato per quasi quarant’anni. Fatto vescovo neanche quarantenne, il 12 agosto 1956 fece pubblicare una sua lettera sul giornale della parrocchia al cui responsabile l’aveva inviata. Riguardava due coniugi che si erano sposati col solo rito civile, in quanto lui era un militante comunista. In base al diritto canonico il vescovo invitava il parroco in questione a considerare i due come pubblici concubini e quindi a escluderli dai sacramenti. Non solo. Anche i rispettivi genitori avevano mancato ai loro doveri cristiani permettendo che i figli contraessero matrimonio al di fuori della Chiesa, perciò non si doveva procedere alla tradizionale benedizione pasquale della loro casa. Sempre codice canonico alla mano, il vescovo rincarò la dose ordinando che la sua lettera fosse letta da tutti i pulpiti della diocesi. 

    Lì per lì non successe niente, anche perché ai coniugi in questione e alle loro famiglie non importavaaffatto quel che di loro pensavano i preti e il vescovo, il rito nuziale scelto lo dimostrava. Epperò si era negli  anni Cinquanta e Prato non era ancora divenuta un feudo rosso. La città era piccola, la gente mormorava. Qualcuno arrivò a recapitare pizzini insultanti alla coppia scomunicata. Ma ciò che fece traboccare il vaso, tanto per cambiare, furono i soldi. Infatti, lo sposato “civile” aveva un negozio che in breve si ritrovò la clientela dimezzata. Possibile che fosse tutta colpa dell’anatema vescovile? Infatti, come abbiamo detto, a quel tempo Prato era un centro di dimensioni relative e non è pensabile che la clientela non sapesse che quello nel tempo libero faceva l’attivista del Pci. 

    Boh. Sia come sia, il Partito prese in pugno la faccenda e convinse gli scomunicati a querelare ilvescovo per diffamazione. La cosa finì pure in Parlamento, dove il Pci poteva contare sui reggicoda socialisti, e partì anche una campagna internazionale il cui vero bersaglio era il papa Pio XII, che non molti anni prima aveva avallato la scomunica ai comunisti e a quelli che in ogni modo li aiutavano o condividevano. Del caso di Prato si occupò perfino il famoso settimanale americano Life, creato dal fondatore della rivista Time, Henry Luce, che pubblicò con grande risalto tutte le foto degli implicati nella vicenda pratese. Henri Luce era anche marito di Claire Boothe Luce, prima donna ambasciatrice americana a Roma, fattasi cattolica nel 1946 dopo avere ascoltato un discorso di Pio XII.

    Il Pontefice sostenne subito il suo vescovo mentre tutti gli occhi erano fissi sul tribunale adito dagli scomunicati. E i giudici, trovandosi vasi di coccio tra vasi di ferro, dopo interminabili discussioni in punta di diritto credettero di risolvere la situazione condannando il vescovo di Prato a un’ammenda simbolica, 40mila lire. Ora, la somma non era poco per quei tempi, ma non era nemmeno molto. Però la condanna, anche se simbolica, sempre condanna era. E il vescovo era stato condannato per aver fatto il suo mestiere di pastore a norma di catechismo e dottrina. La quale vieta ai preti di dare i sacramenti a chi non li vuole; o li vuole, sì, ma alle sue condizioni e non a quelle della Chiesa. Si dirà che il querelante allegava di aver visto rarefarsi la sua clientela dopo la pronuncia vescovile.  Tuttavia il bigottismo di certuni non poteva certo essere imputato giudiziariamente al vescovo. Doveva, semmai, il querelante pensarci prima: sapendo come la pensavano i suoi clienti, poteva evitare il gesto inutilmente provocatorio di non sposarsi in chiesa. Oppure, se teneva tanto alle sue idee, essere disposto a pagarne il prezzo. Malgrado ciò il tribunale aveva dato ragione a lui e torto al vescovo. 

    Ma papa Pacelli non era tipo da lasciarsi la mosca sul naso. Non esitò a definire illegale quella sentenza e bacchettò l’inerzia del governo su tutta la vicenda. Sì, perché se si permetteva ai giudici di sindacare quel che i vescovi potevano o non potevano dire nelle materie di loro competenza (riconosciuta dal Concordato) si sarebbe finiti in un regime ideologico laicista (profetico…). Non sazio, il Papa ordinò a tutte le nunziature apostoliche del mondo occidentale di organizzare manifestazioni di solidarietà col vescovo pratese e in segno di protesta arrivò a sospendere il tradizionale ricevimento d’inizio d’anno in onore del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. 

    L’aperta solidarietà al vescovo di Prato arrivò pure, commossa e sentita, da Roncalli (patriarca di Venezia) e Montini (arcivescovo di Milano), futuri Papi, uno Santo e l’altro Beato. Il più sfegatato fu il cardinale di Bologna, Lercaro (poi, però, divenuto progressista), che fece listare a lutto le porte delle chiese della sua Diocesi e suonare le campane a morto ogni cinque minuti per un mese. Monsignor Pietro Fiordelli, nato a Città di Castello (Perugia), morì nella sua Prato. Nel 1986 fu onorato di una lunga visita da parte di Giovanni Paolo II (Santo). 

    La sua vicenda –e il suo insegnamento- tornano d’attualità nel presente momento storico: da qui il libro che Giuseppe Brienza gli ha dedicato, La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, vescovo di Prato (Casa Editrice Leonardo da Vinci), prefazione di monsignor Luigi Negri e postfazione di Antonio Livi, pp.  162. 

    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-vescovo-che-sfido-il-pci-con-il-sostegno-di-tre-papi-10934.htm 






    Il ricatto dell'Occidente: «Aiuti all'Africa solo accettando l'ideologia di genere» 
    di Lorenzo Bertocchi19-11-2014

    da LaBussolaQuotidiana
     

     

    Monsignor Nicolas Djomo

    Qualche giorno fa medici e vescovi cattolici del Kenya hanno denunciato governo e Nazioni Unite, per aver somministrato un vaccino antitetanico che in realtà nasconde finalità di sterilizzazione di massa. Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. In Africa le pressioni internazionali sulla vita e la famiglia sono molte. Al Sinodo straordinario dell’ottobre scorso furono proprio i Padri africani a rilevare le pressioni che devono subire i paesi più poveri per ricevere aiuti finanziari. La condizione, come indica la Relatio Synodi al n°56, riguarda «l’introduzione di leggi che istituiscano il matrimonio fra persone dello stesso sesso».

    «Queste pressioni sono una realtà che viviamo nei fatti», dichiara mons. Nicolas Djomo, presidente della Conferenza Episcopale del Congo, alla Nuova BQ. Il vescovo di Tshumbe è stato uno dei padri sinodali e non esita a specificare la questione: «Le Agenzie delle Nazioni Unite e anche le ONG, molte delle quali europee, sempre di più condizionano i loro aiuti all’accettazione da parte del beneficiario dell’ideologia di genere (Gender), con tutte le conseguenze negative per la famiglia».

    Cosa pensate di fare?
    Dobbiamo continuare a denunciare questo orientamento presso le autorità competenti. Dobbiamo informare i nostri governanti, che spesso non sono al corrente di quello che sta dietro a certe formulazioni linguistiche che in realtà nascondono queste condizioni. Infine, nella nostra pratica pastorale, noi dobbiamo informare i nostri fedeli del pericolo. Dobbiamo anche chiedere agli elettori di sorvegliare i loro rappresentanti perché non votino delle leggi che approvano il matrimonio fra persone dello stesso sesso. È anche urgente integrare nella formazione dei nostri futuri preti una preparazione sicura sull’ideologia di genere e i pericoli che comporta per le nostre famiglie e anche per l’intera società.

    I problemi dell’Africa sono stati sufficientemente tenuti in considerazione al Sinodo?
    È vero che questioni come la possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati a determinate condizioni, e come l’accoglienza delle persone omosessuali, hanno dominato il confronto al Sinodo; in più dobbiamo aggiungere la pressione dei media su questi temi. Ma io non ho avuto l’impressione che i padri sinodali abbiano “trascurato” i problemi pastorali dell’Africa.

    Alcuni Padri sinodali sono sembrati un po' troppo concentrati sui problemi dell'Occidente...
    Noi disponiamo ancora di un anno, questo ci permetterà di meglio presentare i nostri problemi e so che tutti i padri sinodali sono disposti a prendere in considerazione i problemi degli uni e degli altri in base alle caratteristiche regionali o continentali.

    Il dibattito al Sinodo è ruotato intorno al rapporto tra dottrina e pastorale. Cosa ne pensa?
    Papa Francesco l’ha ribadito in diversi modi: non è questione di toccare la dottrina. Secondo lui si tratta di vedere come occuparsi di certi problemi difficili e complessi nel modo in cui il Cristo se ne sarebbe occupato. Pertanto, il problema consiste nel combinare Verità e Misericordia. Penso che l’anno che abbiamo davanti, guidati dallo Spirito Santo, ci permetterà, alla fine del Sinodo dell’ottobre prossimo, di trovare proposte che, nel rispetto della dottrina, permettano agli uomini e alle donne del nostro tempo di vedere il volto di Cristo esigente e compassionevole.

    Quali sono i problemi del matrimonio e della famiglia in Congo e, più in generale, in Africa?
    I problemi principali sono la povertà e la guerra. La povertà ha degli effetti distruttivi sulle famiglie, i membri sono costretti a disperdersi per trovare il modo di sopravvivere, con tutti i rischi che ciò comporta. I ragazzi vivono in strada; le ragazze si avviano alla prostituzione; i genitori sono incapaci di educare e scolarizzare convenientemente i bambini.

    E la guerra?
    Anche le situazioni di violenza, ovviamente, hanno effetti distruttivi. Questi conflitti provocano migrazioni delle famiglie che si trasferiscono in campi di fortuna; la scolarizzazione dei bambini diviene molto difficile e c’è l'impossibilità di avere un proprio reddito. Poi c'è il dramma degli stupri. Questo è diventato un’arma di guerra, distrugge le famiglie e condanna le donne all’esclusione sociale. E i bambini nati da stupro sono condannati a un destino incerto, a volte a subire il rifiuto sociale.

    Cosa può fare la Chiesa per cercare di risolvere questi problemi?
    Credo che la Chiesa in Congo dovrà continuare a fare in modo che il paese sia governato in maniera da garantire una pace durevole, costruire un’economia forte, e permettere così ai cittadini di migliorare le loro condizioni di vita. È il miglior modo di combattere la povertà e proteggere la famiglia.

    Quali altri priorità in vista del Sinodo 2015?
    L’accompagnamento di tanti giovani battezzati che convivono, ma che non camminano verso il matrimonio sacramentale; poi esistono casi di divorziati risposati, ma non nelle proporzioni dell’Europa e dell’America del Nord. Infine, deve preoccuparci la pratica della poligamia, diffusa anche fra battezzati.

    - ENGLISH:  «UN and NGOs barter financial aid for the ideology of gender»
    - ESPAÑOL: «A
    yudas condicionadas a la aceptación de la ideología de género»

     

     



    [Modificato da Caterina63 19/11/2014 23:09]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 19/11/2014 23:22
    «Nessuna scusa alla lobby gay» Inviamo email alla Curia di Milano
    di Riccardo Cascioli17-11-2014

    da LaBussolaQuotidiana
     

     

    Mail alla Curia di Milano 

    Il caso delle scuse della Curia di Milano - per la lettera ai professori di religione in cui si chiedeva di far sapere in quali scuole si svolgono programmi finalizzati a diffondere l’ideologia gender – non cessa di provocare reazioni. Al punto che sabato Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, ha invitato a inviare mail alla Curia di Milano (irc@diocesi.milano.it) con un semplice messaggio: «Noi non ci scusiamo. Vogliamo sapere». Anche noi invitiamo a scrivere allo stesso indirizzo, ma con un messaggio un po’ diverso, di cui parleremo più avanti.

    Il punto di partenza è infatti il notare una novità in quanto sta accadendo. Nelle ultime settimane infatti, a piegare la testa davanti alla pressione omosessualista sono vescovi che pure anche recentemente hanno tenuto posizioni chiare, sostenendo pubblicamente l’unicità della famiglia naturale contro attacchi fuori e dentro la Chiesa. Così si rimane spiazzati nel vedere monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, e il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, scusarsi per colpe non commesse, solo cedendo davanti all’aggressione verbale di giornali laicisti e organizzazioni omosessualiste. 

    E non ci si può non chiedere il perché questo accada. Certo, la pressione esterna è forte e - nel caso di Milano – non deve essere piacevole scoprire che i primi a tradire la missione educativa sono alcuni insegnanti di religione, talmente vigliacchi da passare documenti riservati a Repubblica invece che affrontare a viso aperto il responsabile della Curia e casomai contestare la lettera inviata. Del resto ce lo si poteva aspettare visto che molti insegnanti di religione sono stati formati alla scuola del cardinale Carlo Maria Martini, che conRepubblica flirtava e secondo cui su questi temi «la Chiesa è in ritardo di duecento anni».

    Forse, anche nei vescovi meglio intenzionati subentra un senso di solitudine quando ci si vede circondati da ogni parte e traditi all’interno. E si cede. Forse è per questo. In ogni caso è giusto far sentire a questi pastori che – sebbene i media facciano credere il contrario – c’è ancora un popolo cristiano che segue fedelmente il magistero della Chiesa, è impegnato nello sforzo educativo, e chiede ai suoi pastori una guida sicura e decisa. Per questo è utile anche inviare mail, non tanto per condannare o per insegnare all’arcivescovo il suo mestiere, ma per fare sentire che c’è un popolo che lo sostiene nel resistere alla violenza del mondo e che vive in prima persona la responsabilità educativa, in famiglia e nella scuola. Per questo anche io personalmente ho inviato una mail all’indirizzo irc@diocesi.milano.it con questo testo: «Nessuna scusa a chi vuole manipolare i nostri figli. La Chiesa non può abdicare al compito educativo». E invito tutti a fare altrettanto.

    La questione educativa appunto. È proprio su questo punto che si è consumato il pasticcio della diocesi milanese. L’ufficio della Curia che si occupa dell’insegnamento della religione cattolica si è scusato per avere usato un linguaggio inappropriato. Ma rileggiamo la lettera incriminata, quella che ha fatto parlare di “schedatura” delle scuole da parte della Chiesa milanese: 

    «Cari colleghi, come sapete in tempi recenti gli alunni di alcune scuole italiane sono stati destinatari di una vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale affermando un'idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale. Per valutare in modo più preciso la situazione e l'effettiva diffusione dell'ideologia del "gender", vorremmo avere una percezione più precisa del numero delle scuole coinvolte, sia di quelle in cui sono state effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle in cui sono state solo proposte».

    Cosa c’è di inappropriato in questo testo? Assolutamente nulla, né nella descrizione del fenomeno – assolutamente oggettiva – né nella volontà di capire quanto sia esteso. Per comprendere l’assurdità della canea scatenata da Repubblica e soci basti pensare cosa sarebbe successo se la lettera avesse avuto questo contenuto: «Cari colleghi, come sapete in tempi recenti alcuni alunni di scuole italiane sono state vittima del bullismo omofobico. Per valutare in modo più preciso…». Applausi a scena aperta, «la Chiesa è più avanti del governo», proposta del Nobel per la Pace per l’arcivescovo e via di questo passo.

    Pensiamo invece a cosa ha detto recentemente papa Francesco: «Vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico”. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande educatore: “A volte, non si sa se con questi progetti - riferendosi a progetti concreti di educazione - si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”» (Alla Delegazione dell'Ufficio Internazionale Cattolico dell'Infanzia, BICE, 11 aprile 2014). 

    E di fronte alla chiarezza di queste parole si può ragionevolmente chiedere scusa solo per aver cercato di capire quanto siano vere? Di essersi mobilitati - con molta discrezione e senza fretta - per porre riparo a questi moderni campi di rieducazione?

    L’educazione dei nostri figli non spetta allo Stato e tantomeno all’Arcigay. Spetta anzitutto alle famiglie; e la Chiesa ha tutto il diritto di formare i suoi insegnanti e prepararli a riconoscere e affrontare la gravità dell’ideologia che sta penetrando nella scuola. Ci sono tanti insegnanti che già sono seriamente impegnati in questa decisiva missione educativa. Come potranno affrontare l’ostilità e le imboscate del mondo se appare evidente che al primo baubau saranno mollati da curie e vescovi?

    È bene dunque che la Curia di Milano riprenda chiaramente in mano la situazione e magari chiarisca anche cosa ci sarebbe di inappropriato nel linguaggio usato.

    E a proposito di chiarimenti, oggi se ne impone uno anche al cardinale Scola. Sabato, a margine di un dibattito su tutt’altro tema, è tornato sulla vicenda della lettera ai prof di religione rivendicando da una parte il diritto a impostare certi problemi secondo la prospettiva cattolica, ma anche facendo questa affermazione: «La Chiesa è stata lenta sulla questione omosessuale». È la seconda volta in poche settimane che esprime questo concetto, almeno a quanto riportato dai giornali. Un mese fa, in un’intervista a Repubblica aveva infatti affermato: «È fuori dubbio che siamo stati lenti nell'assumere uno sguardo pienamente rispettoso della dignità e dell'uguaglianza delle persone omosessuali». 

    Allora il direttore di Culturacattolica.it, don Gabriele Mangiarotti, aveva reagito così: «Sono sacerdote da 40 anni, e ho incontrato, nel dialogo e nella confessione, tante persone omosessuali. In questo ministero mi ha aiutato l’atteggiamento della Chiesa, del Catechismo, e mi è sempre sembrato un sostegno che, nella verità e nella misericordia, ha aiutato le persone a un cammino umano e cristiano. E in questo non mi sono trovato né lento né poco rispettoso. E con me tanti altri confratelli. Non capisco proprio questo continuo mea culpa per colpe che non ho commesso!».

    Allora, per uscire dall’ambiguità è bene che il cardinale Scola chiarisca cosa intenda per “lentezza” della Chiesa. Se leggo il Catechismo, non ci sono spazi per equivoci riguardo al rispetto e alla dignità delle persone con tendenze omosessuali. Né ci sono documenti che incitino alla discriminazione o siano accondiscendenti con eventuali violenze. Piuttosto, se guardiamo la situazione di tanti seminari, la realtà di alcune diocesi e settori della Chiesa, dovremmo piuttosto dire che c’è un colpevole ritardo nel rendersi conto della pericolosità di una certa acquiescenza nei confronti dell’omosessualità praticata e teorizzata. A maggior ragione, certe affermazioni stonano considerando l’omosessualizzazione forzata in atto nella nostra società.

    Per cui chiediamo ancora una volta al cardinale Scola di parlare con chiarezza: cosa intende concretamente per «lentezza della Chiesa sulla questione omosessuale»?






     E NESSUNO STRUMENTALIZZI BENEDETTO XVI   



    Divorziati risposati, nessuno arruoli papa Benedetto
    di Riccardo Cascioli  20-11-2014

    da La Bussola quotidiana

    Coincidenza o precisa volontà? Difficile rispondere, ma la pubblicazione di un volume che raccoglie tutti gli scritti del cardinale Ratzinger-Papa Benedetto appare come risposta chiarissima ai tentativi di arruolarlo nel “partito” di Kasper per quel che riguarda l’ammissione dei divorziati risposati alla comunione.

    Il fatto è questo: da “giovane” teologo il professore Joseph Ratzinger scrisse nel 1972 un articolo in cui – pur affermando di non mettere in discussione l’indissolubilità del matrimonio - apriva alla possibilità della comunione nel caso di «un secondo matrimonio che ha provato di aver assunto una dimensione morale ed etica», «vissuto in spirito di fede», con «obblighi morali» verso figli e moglie. Questi passaggi sono stati anche citati dal cardinale Walter Kasper in preparazione al Sinodo a sostegno della sua posizione. Ma ecco la sorpresa: nel volume appena uscito con gli scritti di Ratzinger, quell’articolo del 1972 è stato rivisto dall’autore, che – a quanto riporta il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung - ne ha cambiato la conclusione, invitando invece a riflettere sui processi di nullità. 

    Per il quotidiano tedesco si tratta di una risposta di Benedetto XVI al cardinale Kasper, un modo per non farsi strumentalizzare, ma è anche un intervento – seppure indiretto – nel dibattito che sta infiammando la Chiesa, cosa che nel momento delle dimissioni il papa emerito aveva promesso di non fare. Peraltro Benedetto XVI era già intervenuto recentemente mandando messaggi alla Pontificia Università Urbaniana e ai partecipanti al pellegrinaggio Summorum Pontificum (clicca qui), con parole molto pesanti sia sul significato della missione sia sulla partecipazione alla messa secondo il rito antico. C’è dunque un susseguirsi di interventi il cui significato andrà certamente valutato con attenzione.

    Ma tornando all'argomento in questione, la revisione dell’articolo del 1972 è importante anche per la manovra sempre più evidente che i sostenitori di un cambiamento dottrinale sul matrimonio (per quanto mascherato da scelta pastorale) stanno facendo nel tentativo di dimostrare che anche papa Benedetto avrebbe voluto quelle aperture invocate da Kasper e soci.  

    Un’affermazione esplicita in questo senso arriva ora dal vaticanista di Panorama Ignazio Ingrao, che esce in questi giorni con un libro dedicato al Sinodo e ai suoi retroscena (sarà presentato settimana prossima a Roma con la presenza, tra gli altri, di Emma Bonino).
    In tale libro – secondo la recensione che gli dedica Andrea Tornielli su Vatican Insider – c’è un capitolo intitolato “Chi ha fermato Ratzinger?”, in cui si sostiene che papa Benedetto era disponibile ad aperture sul tema dei divorziati risposati ma fu costretto a desistere per l’opposizione di non meglio precisati teologi e vescovi protagonisti di «una mobilitazione silenziosa e sotto traccia per bloccare ogni iniziativa su quel fronte».

    A sostegno di questa tesi Ingrao fa riferimento a due discorsi di papa Benedetto: il primo ai preti della Val d’Aosta, a Introd nel luglio 2005, il secondo all’Incontro internazionale delle famiglie, a Milano nel giugno 2012.
    Nel discorso di Introd, in risposta alla domanda di un prete, Benedetto XVI citando il modello ortodosso – dice Ingrao – pur considerandolo impraticabile lasciava aperta una strada, che consisterebbe in questa espressione: «Da una parte, dunque, c'è il bene della comunità e il bene del sacramento che dobbiamo rispettare e dall'altra la sofferenza delle persone che dobbiamo aiutare».
    Una strada non più «percorsa» - sosterrebbe Ingrao – per colpa di oppositori interni, ma a Milano avrebbe riaperto la strada con una frase dubitativa: «Forse, se non è possibile l'assoluzione nella confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell'anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati».

    In appendice a questo articolo riportiamo integralmente i due interventi di papa Benedetto XVI citati da Ingrao, perché ognuno possa giudicare quanto fantasiosa e interessata sia l’interpretazione del vaticanista.
    In entrambi, infatti, papa Benedetto si fa sì carico della sofferenza di quanti si trovano in certe condizioni, ma offre soprattutto una meditazione sul valore salvifico della sofferenza e sul significato della comunione spirituale. Tanto è vero che proprio il cardinale Kasper nel suo discorso al Concistoro del febbraio scorso aveva quasi ridicolizzato l’approccio di Benedetto XVI.

    L’invito ad approfondire la questione invece non va nella direzione dell’ammissione alla comunione, ma della riflessione sulla validità di certi matrimoni.
    A Introd cita espressamente la «situazione particolarmente dolorosa di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento».
    Quello che chiede Benedetto XVI è dunque una riflessione sui matrimoni sacramentali senza fede, un tema che se da una parte ha a che fare con il giudizio sulla validità del sacramento stesso, dall’altra richiama al modo in cui i parroci preparano le coppie al matrimonio.

    Ed è ciò che Kasper e soci si guardano bene dal fare, preferendo la scorciatoia della “Comunione per tutti”, una sorta di “6 politico” applicato ai sacramenti. E non si dica che si chiedono condizioni precise e un rigoroso cammino penitenziale: che condizioni si possono chiedere quando già oggi in gran parte delle chiese europee sacerdoti e vescovi non si fanno problemi ad ammettere alla comunione i divorziati risposati (e non solo loro) senza neanche passare dalla confessione?

    Ad ogni modo, l’intervento del Papa emerito taglia la testa al toro: chi vuole ammettere i divorziati risposati alla comunione, almeno non provi ad arruolare né il giovane Ratzinger né il vecchio Benedetto XVI. 

    -------------------------

    BENEDETTO XVI,
    INCONTRO CON IL CLERO DELLA DIOCESI DI AOSTA
    INTROD, 25 LUGLIO 2005

    «Un altro sacerdote ha sollevato il tema della comunione ai fedeli divorziati e risposati. Ecco la risposta del Santo Padre:

    Sappiamo tutti che questo è un problema particolarmente doloroso per le persone che vivono in situazioni dove sono esclusi dalla comunione eucaristica e naturalmente per i sacerdoti che vogliono aiutare queste persone ad amare la Chiesa, ad amare Cristo. Questo pone un problema.

    Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento.
    Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire.

    Non oso dare adesso una risposta, in ogni caso mi sembrano molto importanti due aspetti. Il primo: anche se non possono andare alla comunione sacramentale non sono esclusi dall'amore della Chiesa e dall'amore di Cristo. Una Eucaristia senza la comunione sacramentale immediata non è certamente completa, manca una cosa essenziale. Tuttavia è anche vero che partecipare all'Eucaristia senza comunione eucaristica non è uguale a niente, è sempre essere coinvolti nel mistero della Croce e della risurrezione di Cristo. È sempre partecipazione al grande Sacramento nella dimensione spirituale e pneumatica; nella dimensione anche ecclesiale se non strettamente sacramentale.

    E dato che è il Sacramento della Passione di Cristo, il Cristo sofferente abbraccia in un modo particolare queste persone e comunica con loro in un altro modo e possono quindi sentirsi abbracciate dal Signore crocifisso che cade in terra e muore e soffre per loro, con loro.
    Occorre, dunque, fare capire che anche se purtroppo manca una dimensione fondamentale tuttavia essi non sono esclusi dal grande mistero dell'Eucaristia, dall'amore di Cristo qui presente. Questo mi sembra importante, come è importante che il parroco e la comunità parrocchiale facciano sentire a queste persone che, da una parte, dobbiamo rispettare l'inscindibilità del Sacramento e, dall'altra parte, che amiamo queste persone che soffrono anche per noi. E dobbiamo anche soffrire con loro, perché danno una testimonianza importante, perché sappiamo che nel momento in cui si cede per amore si fa torto al Sacramento stesso e l'indissolubilità appare sempre meno vera.

    Conosciamo il problema non solo delle Comunità protestanti ma anche delle Chiese ortodosse che vengono spesso presentate come modello in cui si ha la possibilità di risposarsi. Ma solo il primo matrimonio è sacramentale: anche loro riconoscono che gli altri non sono Sacramento, sono matrimoni in modo ridotto, ridimensionato, in una situazione penitenziale, in un certo senso possono andare alla comunione ma sapendo che questo è concesso "in economia" - come dicono - per una misericordia che tuttavia non toglie il fatto che il loro matrimonio non è un Sacramento. L'altro punto nelle Chiese orientali è che per questi matrimoni hanno concesso possibilità di divorzio con grande leggerezza e che quindi il principio della indissolubilità, vera sacramentalità del matrimonio, è gravemente ferito.

    Da una parte, dunque, c'è il bene della comunità e il bene del Sacramento che dobbiamo rispettare e dall'altra la sofferenza delle persone che dobbiamo aiutare.

    Il secondo punto che dobbiamo insegnare e rendere credibile anche per la nostra stessa vita è che la sofferenza, in diverse forme, fa necessariamente parte della nostra vita. E questa è una sofferenza nobile, direi. Di nuovo occorre far capire che il piacere non è tutto. Che il cristianesimo ci dà gioia, come l'amore dà gioia. Ma l'amore è anche sempre rinuncia a se stesso. Il Signore stesso ci ha dato la formula di che cosa è amore: chi perde se stesso si trova; chi guadagna e conserva se stesso si perde.

    È sempre un Esodo e quindi anche una sofferenza. La vera gioia è una cosa distinta dal piacere, la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la Croce di Cristo. Solo qui nasce la vera gioia della fede, dalla quale anche loro non sono esclusi se imparano ad accettare la loro sofferenza in comunione con quella di Cristo».


    BENEDETTO XVI
    FESTA DELLE TESTIMONIANZE
    INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
    MILANO 2 GIUGNO 2012

    FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto Alegre)

    MARIA MARTA: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare.
    Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione,qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.

    MANOEL ANGELO: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.
    Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell'umanità tutta.
    Santo Padre,sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?

    SANTO PADRE: Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. 
    Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. 
    Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. 
    Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati.

    Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante.
    Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.






    [Modificato da Caterina63 20/11/2014 14:40]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 28/11/2014 20:12
      cari Vescovi (e cardinali) non tacete più....... parlate!! il gregge è senza pastori....... e se ci siete dormite, vi girate dall'altra parte....


    Padre Volpi "rettifica". Ma non chiarisce

    Padre Fidenzio Volpi e Riccardo Cascioli

    28-11-2014

    Francescani dell Immacolata

    Egregio Direttore, 

    Faccio seguito all'articolo riferito alla mia persona e intitolato "Il caso Forte, le tariffe e… Quanti mugugni tra i vescovi", pubblicato a firma di Matteo Matzuzzi il 25 novembre 2014 sul sito da Lei diretto per esercitare al riguardo il mio diritto di rettifica a norma delle vigenti Leggi sulla Stampa.

    Al riguardo chiarisco quanto segue:

    I) La mia presenza all’Assemblea autunnale della Conferenza Episcopale Italiana, come a tutte le altre Assemblee, è dovuta al fatto che vengo convocato in ciascuna di tali circostanze nella mia qualità di Segretario Generale della Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori, a prescindere da chi mi indirizzi la relativa convocazione; 

    II) In tale circostanza, alcuni Ordinari mi hanno avvicinato per consultarmi in merito alla vicenda dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata, di cui sono Commissario Apostolico; 

    III) E’ opportuno, e rientra nella prassi prudenziale della Chiesa, che ciascun Moderatore Supremo di un Istituto di Vita Consacrata venga consultato dall’Ordinario prima che questi decida in merito all’accoglienza da accordare ad un Religioso suo suddito, specie se Sacerdote.

    IV) Qualora Monsignor Galantino abbia raccomandato ai Vescovi di conformarsi con tale prassi, ciò rientra nelle sue competenze di Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana. 

    Con ossequio.

                                           Padre Fidenzio Volpi OFMCapp.

                                           Commissario Apostolico

     

    Egregio padre Volpi,

    la ringrazio anzitutto per l’attenzione che ha per il nostro quotidiano. 
    Quanto ai suoi chiarimenti riguardo all’articolo citato che – fra le altre cose – faceva riferimento alla sua presenza all’ultima Assemblea generale della CEI svoltasi ad Assisi, mi permetta di precisare alcune cose.

    Che lei sia stato invitato nessuno l’ha messo in dubbio, è sui motivi dell’invito che nascono delle domande, soprattutto in relazione al suo atteggiamento verso alcuni vescovi.

    Mi spiego: dalle sue parole si potrebbe ritenere che come Segretario Generale della Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori (CISM), lei abbia il diritto di partecipare alle assemblee della CEI o, quantomeno, che questa sia la prassi. Ma questo non consta leggendo statuto e regolamento della CEI, dove mai si cita una eventuale partecipazione del segretario CISM. Invece lo Statuto afferma che «A giudizio del Consiglio Episcopale Permanente, possono essere invitati a intervenire alle stesse sessioni, per la trattazione di questioni determinate e con voto consultivo, presbiteri, diaconi, membri di istituti di vita consacrata o di società di vita apostolica, laici» (art.14 §2). E l’art. 10 del Regolamento dice che lo stesso Consiglio permanente «ne stabilisce le modalità di partecipazione». Quindi la sua eventuale partecipazione dovrebbe essere decisa di volta in volta e circoscritta ad alcuni argomenti particolari che la coinvolgono. 

    Da qui si può comprendere lo stupore di molti vescovi che invece l’hanno vista partecipare ai lavori, senza che peraltro sia stato spiegato il motivo. Inoltre, diverse fonti sono concordi nel sostenere che la sua presenza ai lavori dell’assemblea CEI sia piuttosto recente. Sono certo che ci sia un motivo ragionevolissimo alla sua presenza, ma la sua lettera purtroppo non lo chiarisce.

    Quanto poi ai suoi contatti con singoli vescovi, può darsi che qualcuno sia venuto da lei a informarsi (non ho motivo di dubitarne e comunque è cosa di cui non abbiamo parlato), ma ciò che abbiamo stigmatizzato nell’articolo è il fatto che lei abbia affrontato alcuni vescovi con fare e dire intimidatorio, per indurli a non accettare le richieste di incardinazione in diocesi di ex frati Francescani dell’Immacolata. Nella sua lettera lei non smentisce questa affermazione, e del resto le testimonianze che abbiamo in proposito sono varie. Al che ci si chiede fin dove si estendano i poteri del Commissario di un ordine religioso. Non consta di aver mai assistito a qualcosa di simile prima di ora.

    Lei afferma che è prassi prudenziale che un vescovo consulti il superiore dell’ordine religioso da cui proviene un sacerdote che voglia essere incardinato in diocesi. Il che è puro buon senso, ma è appunto una consultazione. Ciò che sta avvenendo invece è una forte pressione - che arriva alle minacce – nei confronti dei vescovi per impedire che alcuni frati possano trovare “rifugio” in qualche diocesi o altro ordine religioso. O Francescani dell’Immacolata secondo la “regola” di padre Volpi, o nulla. Anche qui mi pare sia un fatto senza precedenti che mi sembra contrastare con il più elementare diritto alla libertà di coscienza, prima ancora che con il Codice di Diritto Canonico.

    Nasce spontanea la domanda sul motivo di tanto accanimento, visto che tuttora i motivi del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata - e le sue modalità e limiti temporali – non sono affatto chiari. Né grande aiuto viene dal sito ufficiale.

    Qualcosa in più si capisce invece da un blog che si presenta come prossimo a lei, tanto che si chiama “In comunione con il commissariamento dei Frati Francescani dell’Immacolata” e che, peraltro, all’articolo di Matzuzzi succitato dedica un post semplicemente delirante. Ma in un altro post del 17 novembre, l’anonimo autore  spiega il perché lei sia tanto preoccupato di evitare l’incardinazione di ex frati in diocesi: «Lo scopo finale delle richieste d’incardinazione in Diocesi appare chiaro: è la costituzione di una piattaforma di lancio, magari off shore come quella dell’Arcidiocesi di Lipa nelle Filippine o in diocesi di minoranza cattolica come in Inghilterra,  per raggruppare chierici ordinati in sacris ed ex seminaristi FFI nella speranza di un ribaltone nell’attuale governo della Chiesa universale».

    Insomma, dice il blog, lei agirebbe così – di concerto con chi l’ha invitata ad Assisi - perché sarebbe in atto un complotto per rovesciare papa Francesco ad opera di chierici ed ex seminaristi Francescani dell’Immacolata in combutta con alcuni vescovi che li accolgono in diocesi. Sarebbe veramente da ridere se non fosse che si presenta come spiegazione ufficiosa della vicenda. 

    Spero che lei voglia chiarire anche su questa ricostruzione e sulla precisa natura del blog che parla a suo nome.



      (un grazie a Riccardo Cascioli da parte di questo sito)



    Preti «di strada», s'avanza il pensiero unico
    di Riccardo Cascioli28-11-2014

     

    Alcuni giorni fa avevamo parlato di mal di pancia nell’episcopato italiano, ora pare che il malessere si stia estendendo a tutto il clero. E sì, perché il grande strombazzare nei giorni scorsi a proposito dei quattro preti definiti “di strada” – don Luigi Ciotti, don Vinicio Albanesi, don Gino Rigoldi, don Maurizio Patriciello - che da adesso commenteranno il Vangelo su Rai Uno (clicca qui), nel programma “A sua immagine”, ha provocato non poco disagio in tanti confratelli. Invidia? Niente affatto: a parte i quattro e pochi altri non è che normalmente i preti abbiano la smania di andare in tv. Però alla dignità del loro sacerdozio ci tengono.

    E allora immaginiamo cosa devono aver provato quelle migliaia di sacerdoti con 20-30, oltre 50 anni di messa, che non sono mai andati in cerca né di strade né di periferie, ma che le loro strade e le loro periferie le hanno vissute accompagnando il popolo di Dio con cuore e intelligenza secondo le indicazioni dei rispettivi vescovi. Sentire il segretario della CEI, monsignor Nunzio Galantino, affermare a proposito dei “quattro” che in questo modo «si vuole tradurre in fatti e immagini ciò che Papa Francesco ci chiede senza sosta: quello di essere chiese in uscita e allora anche televisione in uscita», non deve essere stato piacevole. Chiesa in uscita identificata con una sola modalità di presenza, peggio: con chi ha identificato il sacerdozio con alcune scelte di carattere sociale e politico. Non bisogna infatti dimenticare che anche fra i sacerdoti impegnati in opere sociali non tutti condividono le connotazioni culturali di Ciotti e compagni.

    Il giudizio che ha accompagnato questa scelta televisiva equivale a stabilire una graduatoria tra preti “di strada e di periferie” e preti delle istituzioni: preti di serie A e preti di serie B. Tra l’altro quello di serie A - o definito tale - è il clero che fino a qualche anno fa nelle diocesi e al centro della Chiesa italiana ha rappresentato il punto di riferimento per la polemica dura nei confronti del pontificato e della gerarchia della Chiesa. E con la presunzione che chi non faceva certe scelte di carattere sociale e politico non era adeguatamente impegnato come cristiano. Ora, il messaggio inviato dalla CEI è che quelle scelte di carattere sociale e politico sono diventate un elemento di merito per poter accedere al commento dei vangeli in una struttura e un programma televisivo, che ha l’imprimatur dell’episcopato italiano. 

    La scelta di impegnare la Chiesa su certe opzioni politiche e culturali è grave. Certe opzioni sono ovviamente legittime ma anche opinabili, significa appiattire la ricchezza della Chiesa (basti pensare ai movimenti ecclesiali) su una sola modalità, espressione peraltro di una visione teologica e pastorale “progressista”, ma culturalmente subalterna ai poteri dominanti, ideologici e massmediatici. Basta vedere la notorietà attribuita loro in questi anni dai media laici e generalmente anti-cattolici.

    Non a caso a provocare disagio in tanti preti sono anche le dichiarazioni di alcuni dei quattro scelti per la trasmissione RAI, come se finora fossero stati emarginati o tenuti nell’anonimato, quando invece godono da tanti anni di una visibilità mediatica straordinaria. Forse non saranno stati spesso invitati nelle trasmissioni gestite dalla CEI, ma si può dire che almeno lì c’era la possibilità di ascoltare anche altre voci della Chiesa: ora invece sembra stendersi l’ombra del pensiero unico.

    C’è un ultimo aspetto che inquieta vescovi e non solo, ovvero il ruolo del segretario generale della CEI, che sembra essersi assunto anche funzioni di carattere magisteriale. Si ricorda che non è questo il suo compito istituzionale, che è invece limitato a funzioni organizzative e di coordinamento. L’episodio dei preti in tv è solo l’ultimo di una serie di interventi mal digeriti, al punto che ci si può aspettare prossimamente la richiesta di un chiarimento che riporti la segreteria a fare la segreteria anziché impegnare l’intero episcopato italiano in opzioni e scelte – soprattutto nel rapporto Chiesa-mondo -, che non possono essere considerate esclusive. 





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    Scola: Il Papa non cambierà la dottrina

    </header>

    angelo-scola-saluta-la-follaIl Card. Scola dice no alla comunione ai divorziati risposati. “Ne ho discusso intensamente, in particolare con i cardinali Marx, Danneels, Schönborn che erano nel mio “circolo minore”, ma non riesco a vedere le ragioni adeguate di una posizione che da una parte afferma l’indissolubilità del matrimonio come fuori discussione, ma dall’altra sembra negarla nei fatti, quasi operando una separazione tra dottrina, pastorale e disciplina.”

    In un’intervista al Corriere della Sera l’Arcivescovo di Milano interviene a tutto campo sui temi del Sinodo e non solo. Si dice convinto che il Papa non cambierà la dottrina e anche nell’assemblea sinodale “la posizione del magistero a me è sembrata, nelle relazioni dei “circoli minori”, decisamente la più seguita».

    Le falle che si potrebbero aprire concedendo la comunione ai divorziati risposati sono anche di carattere educativo. “Come facciamo, afferma Scola, a dire a dei giovani che si sposano oggi, per i quali il “per sempre” è già molto difficile, che il matrimonio è indissolubile, se sanno che comunque ci sarà sempre una via d’uscita? È una questione poco sollevata, e la cosa mi stupisce molto.»

    La sua proposta per le coppie in crisi va nella linea “indicata anche dal Papa”, vale a dire “restare fedeli alla dottrina, ma di rendere più vicine al cuore della gente e più rapide le verifiche di nullità del matrimonio.” A questo proposito il cardinale sfata anche alcune leggende metropolitane che ultimamente circolano molto. “La Cei da tempo garantisce il finanziamento dei tribunali e ha introdotto avvocati pubblici gratuiti. Oggi in Italia chiunque vuole aprire una causa di verifica di nullità lo può fare anche se non ha i soldi. Se poi ci sono degli avvocati che si fanno pagare abusivamente, questo va duramente colpito».

    Dal punto di vista culturale Scola sottolinea come la rivoluzione sessuale mette duramente alla prova la “proposta cristiana”. Ma a questo proposito “condivido con il cardinale Ruini l’idea che l’opinione pubblica non coincide affatto con l’opinione mediatica. Ma la strada giusta è la strada del pagare di persona. Noi, nel rispetto delle procedure della società plurale, non possiamo esonerarci dal prendere posizione pubblica e quindi dal proporre leggi che riteniamo le migliori. Oggi il rischio più grave è distruggere la filiazione attraverso l’utero in affitto, che significa mettere al mondo figli orfani di genitori viventi, con l’enorme carico di problemi che questo sta già producendo».

    Alla domanda se occorre rinunciare ai cosiddetti principi non negoziabili, l’Aricivescovo di Milano sottolinea che lui ha “sempre parlato di principi irrinunciabili. In ogni caso con l’espressione “non negoziabili” non si voleva dire che non siamo disposti a dialogare con tutti; ma ci sono appunto dei principi per noi irrinunciabili, come l’ossigeno per la vita.”




     
    DALLA CHIESA LASSISTA ALLA CHIESA AGNOSTICA

      Un Dio che non chiede più nulla agli uomini è come se non esistesse. Questo è l'esito tragico di una Chiesa post-conciliare, che sposando una visione mondana della misericordia giunge ad un agnosticismo pratico. Sì, perché se è vero che c'è un ateismo pratico, quello di chi vive come se Dio non esistesse, pur non negando in modo esplicito la sua esistenza, c'è pure un agnosticismo pratico, quello di chi parla di un Dio che resta sconosciuto, che non parla con chiarezza agli uomini, da cui l'uomo trae quello che vuole a seconda delle occasioni, un Dio che, in fondo, è qui solo per valorizzarti, senza chiederti molto.
     
      Sembra essere proprio questa la situazione di gran parte del cattolicesimo odierno, quello vissuto concretamente dalla maggioranza dei battezzati.
     
      Si predica un Dio puro perdono, un Dio consolatorio, che non chiede la conversione personale, che non chiede di cambiare vita. Un Dio pronto ad accogliere le nuove svolte della società, pronto a dichiarare che le immoralità, se vissute con cuore, in fondo non sono proprio immorali.

    I dibattiti in margine al recente sinodo hanno dato ampio esempio di questo. Il matrimonio non tiene più nel nostro occidente decadente, affrettiamoci allora a dire che Dio non chiede una indissolubilità assoluta. La gente non si sposa più, affrettiamoci allora a dire che, se nei conviventi c'è amore sincero, in qualche modo si supplisce al sacramento... e di questi discorsi, non riferiti solo al matrimonio, potremmo citarne tanti.
     
      Alla fine possiamo dire di assistere ad un nuovo parlare di Dio, di un Dio che non chiede nulla agli uomini, di un Dio che non vieta nulla. Ai tempi della contestazione andava per la maggiore il “vietato vietare”: oggi questo slogan alberga nella Chiesa rinnovata, nella Chiesa del post-concilio. “Vietato parlare di un Dio che vieta”, sembra essere questo lo slogan con il quale si riprogrammano i quadri dei cattolici impegnati e soprattutto del clero. Si vuole un clero che accolga, senza richiamare al dovere urgente della conversione. Vietato parlare di castigo, di penitenza, di timor di Dio. La gente ha bisogno di consolazione, si dice, di ritrovare fiducia nella Chiesa, allora per favore non vietate! È l'annoiante ritornello.
     
      Con un colpo di spugna si cancella tutta la Sacra Scrittura, tutto il Vangelo e tutto l'Antico Testamento. Si parla di un Dio che non ritroveremo nella Rivelazione, di un Gesù preso a prestito dal laicismo massonico, ma che non corrisponde a nessun passo del Vangelo. Un Signore che non indica la strada della vita, chiedendo agli uomini di allontanarsi dal peccato; ma di un Signore che si affretta a valorizzare ciò che gli uomini fanno nelle loro ubriacature di peccato.

     Anche gli sforzi della gerarchia sembrano volti a controllare solo quella parte di Chiesa che si attarda a predicare un Dio a cui spiace il peccato, che castiga il peccato, perché l'uomo possa ravvedersi e tornare ad una vita santa. Il “Vietato parlare di un Dio che vieta” diventa “basta con una Chiesa che vieta”. In effetti c'è ancora qualcosa di vietato nelle nostre parrocchie e nelle nostre chiese?
     
      C'è da domandarsi cosa pensino fedeli e pastori, quando nelle messe viene proclamata la Parola di Dio, quando si ascoltano i profeti che annunciano i castighi di Dio e invitano alla conversione, quando nei vangeli si parla degli ultimi tempi, del giudizio finale e del ritorno glorioso di Cristo.
     
      Proprio negli anni in cui si è parlato tanto, nella Chiesa, di dialogo con gli ebrei, si è di fatto censurato tutto l'Antico Testamento. È un Dio moderno quello che sta al centro di troppe chiese, un Dio borghese che benedice le tue scelte emancipate, al passo con i tempi, un Dio che non ti chiede più nulla.
     
      Ma tutta questa falsità è già castigata. Sì, perché un Dio che non ti chiede più nulla è un Dio che di fatto non esiste. Questo è vero anche nel vissuto delle persone: cosa se ne fa l'uomo di un Dio che gli dà sempre ragione?
     
      Ci siamo scavati la fossa da soli.
      Il cattolicesimo ammodernato si è scavato la fossa da solo: predicando un Dio che è pura accondiscendenza, si è trasformato in un cattolicesimo agnostico, che pur non negando l'esistenza di Dio, vive staccato da Dio, perché per lui Dio è sconosciuto. Se Dio mi dà sempre ragione, se benedice le mie scelte a priori, se Dio coincide con me e con la mia volontà, Dio scompare dalla mia vita. È la tragedia della Chiesa post-conciliare che diventa agnostica.
     
      Ecco perché nella Chiesa di oggi si parla tanto della Chiesa stessa e del mondo, e quasi mai di Dio.
     
      Vivendo il Santo Natale ricordiamoci invece che Dio è venuto nel mondo, si è fatto uomo, ha mostrato il suo volto, ci ha parlato lungo i secoli nell'Antico e nel Nuovo Testamento, ci ha detto e ci ha chiesto, e noi dobbiamo ascoltarlo e obbedirgli.
     
      E la Chiesa deve essere semplicemente il fedele eco del Signore che parla.


    - RADICATI NELLA FEDE



    Un pontificato per far emergere l'apostasia silenziosa
    di Enrico Cattaneo
    05-12-2014
    Sinodo

    Dopo il viaggio i Papa Francesco in Turchia, Andrea Riccardi (Corriere della Sera 30/11/14, p. 31) fa una specie di bilancio del pontificato di Papa Francesco. «La visita in Turchia – scrive – segna la maturità del pontificato di Bergoglio». Questo Papa «si qualifica ormai come un leader spirituale europeo... È un uomo di sintesi... La sintesi non è immobilismo, ma proiezione ad extra che mette in crisi conservatori e progressisti». Tuttavia all’interno della Chiesa non mancano «vescovi e cardinali critici sull’agire del Papa... Cerca di ‘piacere’ troppo, – dicono – dando l’impressione di un messaggio cristiano ‘allargabile’... Se non prende nuove decisioni, qualcuno prevede un calo di popolarità... Francesco non fa l’unanimità». Soprattutto nel ‘governo’ «la sintonia con lui non sembra forte». Sono affermazioni interessanti.

    Vorrei però soffermarmi su quanto Riccardi scrive a proposito del recente Sinodo, dove afferma che il Papa «non ha convocato due Sinodi sulla famiglia per ribadire l’esistente. Ha voluto la libera discussione nei lavori sinodali (un inedito). Più si è trasparenti (con la pubblicazione della relazione finale e dei voti) e più il “popolo” vede: il popolo che ama Francesco. Anche se la relazione finale del Sinodo non ha avuto la maggioranza dei due terzi su punti importanti, un successo dal Papa c’è stato: non si parlerà più come prima sulla famiglia». Nei sottotitoli, il CorSera interpreta ciò come «aperture sulla famiglia».

    Questi rilievi meritano qualche commento. Si sente spesso dire che il Papa «non ha convocato due Sinodi sulla famiglia per ribadire l’esistente». Tutti si aspettano quindi dei cambiamenti, delle «aperture», ma a che cosa? In quale direzione? E poi qual è “l’esistente”? Se l’esistente è la dottrina, tutti hanno detto e ripetuto che «la dottrina non si tocca». Allora l’esistente è la pratica. Ma non è un mistero che, almeno a partire dallaHumanae vitae di Paolo VI (1968), la recezione del magistero da parte dei teologi e dei pastori è stata difficoltosa e la pratica si è allontanata dalla dottrina, la quale certamente non manca. Ricordiamo che durante il pontificato di s. Giovanni Paolo II ci fu già un Sinodo sulla famiglia (1980), seguito dall’esortazione apostolicaFamiliaris consortio.
    Ci fu poi nel 1983 una Carta dei diritti della famiglia e nel 1994 una Lettera alle famiglie.
    Ora proprio il questionario inviato in preparazione al Sinodo ha fotografato una situazione non certo rasserenante.
    C’è di fatto uno scollamento tra la dottrina morale della Chiesa e la sua recezione effettiva. La cosa più preoccupante, a mio avviso, non sono le mancanze in se stesse (sempre si è fatto fatica a osservare le norme morali), ma è la loro teorizzazione come qualcosa da riconsiderare in senso positivo. In effetti, buona parte di cattolici (e forse soprattutto tra gli intellettuali) segue per lo più la morale laica dominante, secondo la quale – per fare degli esempi concreti – usare i contraccettivi è normale; prendere le varie “pillole del giorno dopo” è pure cosa accettabile; l’aborto no, per carità, però se una donna lo chiede, perché negarglielo? E poi in alcuni casi ci vuole (come quando la diagnosi prenatale rivela qualche anomalia; o come in caso di stupro, ecc.).
    Quanto alla fecondazione artificiale, omologa o eterologa, essa è vista come un progresso. Non parliamo poi della cultura omosessualista, che ormai sembra accettata da molti anche nella Chiesa, almeno nei suoi presupposti generali, e cioè che l’omosessualità è un dato di natura, e quindi non ha nulla di peccaminoso, anzi è portatrice di valori positivi; e che le convivenze omosessuali vanno tutelate in qualche modo, se non proprio equiparate a “famiglie”.

    Ora se questo è l’esistente, il Sinodo che cosa è chiamato a fare? È vero che Papa Francesco incoraggia la libera discussione e invita a fare scelte pastorali coraggiose, ma questo che cosa significa? Non sono così sicuro, come sembra esserlo Riccardi e molti altri, che il Papa abbia in mente chissà quali «aperture» sulla famiglia. Che cosa significa affermare che dopo questo Sinodo «non si parlerà più come prima sulla famiglia»? Vuol dire che si deve parlare di “famiglie” al plurale, cioè vari tipi di famiglia (etero, omo, single, tripled, ecc.)?
    Vuol dire che si troverà una via per ammettere alla Comunione i divorziati risposati senza passare per una dichiarazione di nullità? Ma anche in questo campo, l’esistente in molti casi è già sfuggito di mano: in alcune parrocchie i divorziati risposati sono tranquillamente ammessi alla Comunione; in altre non si va più tanto per il sottile nel distinguere tra sposati, conviventi, divorziati risposati: tutti sono ammessi alla Comunione. Già che siamo nel campo liturgico, che dire di quelle parrocchie (non molte a dire il vero) dove ormai sono i laici (uomini e donne) che presiedono non solo la liturgia della Parola in mancanza di un presbitero, ma anche celebrano l’Eucaristia?

    Ora il cambiamento auspicato potrebbe andare in due sensi: o legalizzare (per così dire) tutto questo scollamento, facendo una specie di “condono”, anzi giustificandolo con qualche piccolo aggiustamento (tutto, se si vuole, si può giustificare, ricorrendo all’ermeneutica); oppure dire: “Cari fratelli, ci siamo messi su una strada sbagliata, dobbiamo cambiare direzione, perché quella presa non porta da nessuna parte, anzi porta alla perdizione; dobbiamo tornare seriamente alla Parola di Dio, cominciando dai comandamenti; dobbiamo rincentrarci su Cristo e sulla sua grazia, senza la quale nulla è possibile. Questi sono i cambiamenti che il Signore ci chiede”.
    Secondo me il Papa non ha ancora preso posizione, come alcuni fanno credere, ma sta ponendo le basi senza le quali non è possibile nessun cammino, e cioè: Cristo, la sua grazia, lo Spirito Santo, la Parola, la Chiesa, i Sacramenti, il senso del peccato, la riscoperta della misericordia divina.

    Anche sentendo l’aria che tirava al Sinodo, mi chiedo: ma siamo così accecati che non ci accorgiamo più di questa “apostasia silenziosa”, di questo “scisma sommerso” che ha intaccato il cattolicesimo? Ecco allora una possibile interpretazione di questo difficile pontificato, che è quello di Papa Francesco: forse il Signore gli ha dato la missione di far emergere questo male nascosto (chiamiamolo pure “marciume” come ha fatto il Card. Ratzinger), perché vuole purificare la sua Chiesa.
    Questa operazione comporta due momenti distinti, ma correlati: la diagnosi, che va fatta alla luce della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa, non in base alla dottrina del mondo; la terapia, che è quella usata da Gesù nel Vangelo. La diagnosi, se vuole essere vera, va fatta senza sconti e, se non si hanno le fette di salame sugli occhi, è preoccupante.
    E verrà poi anche il momento di riaffermare la dottrina.
    Il problema vero però è la terapia. Oggi non basta più ripetere la dottrina, perché il popolo cristiano nella pratica non la recepisce più, è troppo debole, malato spiritualmente, stordito dalla logica del mondo, disorientato dalla cedevolezza dei pastori e dei teologi. Per questo occorre ripartire dall’ABC del cristianesimo, come sta facendo Papa Francesco, per “attirare” gli uomini a Cristo. Però oltre al cristiano “malato”, e che riconosce di essere tale (cioè peccatore), c’è il cristiano “giusto”, o che crede di esserlo, il quale si indigna della misericordia del Padre e si chiude nella sua “durezza di cuore”. Si rinnova qui la situazione della parabola del “figliol prodigo” o del “Padre misericordioso”, con i suoi due figli, quello minore che, peccatore e quasi morto di fame, ha però l’umiltà di ritornare a casa dal padre; e quello maggiore, l’osservante, che si indigna per l’accoglienza “esagerata” concessa al fratello, e non vuole partecipare alla festa. Se è vero che è questa la missione di Papa Francesco, allora è qualcosa che può portarlo al martirio.



     

    [Modificato da Caterina63 06/12/2014 17:41]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 11/12/2014 09:48

     ALLE RADICI DELLA CRISI: STORIA DELLE OCCASIONI PERDUTE


     


    Papa Benedetto, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclicaLumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto.



    Autore Giovanni Cavalcoli OP
    Autore
    Giovanni Cavalcoli, OP

     

    tu es petrus
    Tu es Petrus …

    Il pensiero cattolico sorge di fatto e di diritto dalla congiunzione dell’attività del Magistero della Chiesa con quello dei teologi. La guida, l’interpretazione autentica e la garanzia della verità della dottrina della fede viene dal Magistero sotto la presidenza del Papa. Compito invece dei teologi è quello di indagare sulle questioni ancora aperte avanzando opinioni o ipotesi interpretative o proponendo nuove soluzioni, onde favorire il progresso della conoscenza della Parola di Dio, sottoponendo al giudizio della Chiesa le scoperte fatte e le nuove teorie.

    dogma
    Stampa d’epoca raffigurante l’assisa del Concilio Ecumenico Vaticano I

    Il Magistero, nel custodire, proporre ed interpretare il dato rivelato e nell’approvare o respingere le dottrine nuove dei teologi, non sbaglia, in quanto gode dell’assistenza dello Spirito di Verità a lui promesso da Cristo fino alla fine del mondo. Invece le dottrine dei teologi, soprattutto quando essi trascurano di misurarsi sul Magistero o ne fraintendono gli insegnamenti, possono essere errate. Ma anche una dottrina teologica certa (theologice certum), seppur rigorosamente dedotta da princìpi di fede, non può mai pretendere di essere considerata nella Chiesa come verità di fede, perché resta sempre semplice dottrina umana, per quanto fondata sulla fede. Solo al Magistero infatti spetta, con sentenza infallibile ed irreformabile, questo gravissimo compito di determinare e definire le verità di fede per mandato di Cristo. Tuttavia, può capitare che una nuova dottrina teologica interpretativa o esplicativa del dato rivelato venga ad avere tanta importanza o validità agli occhi del Magistero, che questi la eleva alla dignità di dogma della fede.

    Nell’insieme storico di fatto del pensiero cattolico occorre pertanto distinguere accuratamente i pronunciamenti dottrinali del Magistero in materia dogmatica o di fede — Papa da solo o col Concilio — dalle dottrine od opinioni correnti fra i teologi, dottrine che, data la loro opinabilità ed incertezza, possono essere legittimamente contrastanti tra di loro, senza che ciò comprometta necessariamente in nessuna di esse il dato di fede o la sana ragione. Alcune teorie possono essere più conservatrici o tradizionaliste, altre più innovative o progressiste: nulla di male, nulla di pericoloso, nulla di cui preoccuparsi, nulla di scandaloso, ma anzi fenomeno normale, fisiologico e proficuo, espressione di legittima libertà di pensiero, che comporta tra le diverse correnti o scuole arricchimento reciproco, a patto che non si spezzi la fondamentale unità, convergenza e concordia sulle verità essenziali e che non si esca fuori dai limiti della retta fede.

    Dante eretici
    Farinata illustra all’Alighieri la condizione degli eretici

    Il regime o funzionamento normale a livello ecclesiale e collettivo del pensare cattolico comporta di diritto e di fatto, nella storia, un certo generale accordo di massima fra le posizioni del Magistero e quelle dei teologi, salvo eccezionali dolorose ed inevitabili deviazioni, che si riscontrano in teologi ribelli, solitamente caratterizzanti il fenomeno o dello scisma o dell’eresia. Questo fenomeno fu grave, macroscopico, diffuso ed impressionante per non dire tragico con la nascita del luteranesimo. Ma nella storia della Chiesa il Magistero è sempre, nel complesso, riuscito a regolare, controllare e dominare il clima o la situazione generale, sì da assicurare alla generale compagine teologica e dei fedeli una certa uniformità, coerenza ed obbedienza allo stesso Magistero, mentre i teologi, dal canto loro, si sono sempre, nell’insieme, sentiti di buon grado per non dire con fierezza rappresentanti del Magistero, sicché il fedele che desiderava conoscere la via del Vangelo e la dottrina della Chiesa poteva sempre rivolgersi al teologo, qualunque teologo, e riceveva da lui la risposta autorevole, chiara, persuasiva e sicura; trovava insomma in lui la guida fidata ed autorevole per camminare nella verità del Vangelo ed essere in comunione con la Chiesa. Chi voleva andarsene dalla Chiesa se ne andava apertamente, come del resto fece lo stesso Lutero — los von Rom! —, e non restava perfidamente ed ipocritamente a distruggerla dal di dentro fingendo di continuare ad essere cattolico e magari spavaldamente come cattolico “avanzato”. In tal modo i nemici della Chiesa, scoperti eventualmente da buoni teologi o denunciati dagli stessi fedeli, erano sollecitamente, senza interminabili tergiversazioni, dichiarati tali dall’autorità ecclesiastica, cosicché erano ben noti, e quindi i fedeli anche meno istruiti avevano modo di riconoscerli, di guardarsene e di stare alla larga, così come si distinguono i funghi buoni dai velenosi.

    Pio X
    il Santo Pontefice Pio X

    I pastori, con la loro dottrina, fedeltà al Papa, prudenza ed amore per il gregge, sapevano smascherare questi impostori, questi anticristi, falsi cristi e falsi profeti, questi lupi travestiti da agnelli e metterli con le spalle al muro. Ricordiamo a tal proposito la stupenda enciclica Pascendi dominici gregis di San Pio X. Oggi invece gli eretici ce la fanno sotto il naso e nessuno se ne accorge, nessuno se ne dà pensiero, nessuno interviene, anzi ricevono lodi e ottengono successo, incarichi di insegnamento e chi si azzarda a far notare che il re è nudo, viene quanto meno preso in giro per non dir di peggio.

    I teologi, un tempo, come sacerdoti e religiosi, in forza del loro mandato ecclesiastico, erano umilmente e diligentemente coscienti della loro missione e quindi della loro grave responsabilità davanti a Dio, ai superiori, alla Chiesa e alle anime del loro delicatissimo ufficio di dottori della verità cattolica, nè passava ad alcuno per la testa di creare dottrine soggettive ed arbitrarie, così come fa il buon medico, il quale si sente rappresentante della scienza medica e si guarderebbe bene dall’inventare pratiche personali senza fondamento scientifico. Invece purtroppo a partire dagli anni dell’immediato post concilio è iniziato un fenomeno gravissimo di scollatura fra Magistero e teologi. Molti vescovi, ingenuamente ed entusiasticamente convinti dell’avvento di una “nuova Pentecoste”, allentarono la vigilanza sostituendo la bonomia alla perspicacia, il rispetto umano allo zelo coraggioso, i propri interessi alla difesa del gregge contro i lupi, il buonismo alla bontà e scambiando per misericordia la debolezza.

    Concilio Vaticano II
    un’assemblea plenaria dell’assisa del Vaticano II

    I teologi, soprattutto coloro che erano stati periti del Concilio (1), dal canto loro si montarono la testa e, alla maniera protestante, cominciarono a farsi credere, indipendentemente e contro il Magistero, come depositari inappellabili della Parola di Dio ed interpreti infallibili della Sacra Scrittura, nonché dei documenti del Concilio, che viceversa distorcevano in senso modernista. A questo punto abbiamo le radici della crisi della quale oggi soffriamo. Esse consistono essenzialmente in questo: che il movimento sovversivo e rivoluzionario dei teologi, quella che è passata alla storia come “contestazione del Sessantotto”, è stato scambiato da molti nel popolo di Dio e tra gli stessi pastori e teologi come una rivoluzione dottrinale operata dallo stesso Concilio, il quale avrebbe mutato dati di fede fino ad allora considerati immutabili, soprattutto circa la superiorità del cristianesimo sulle altre religioni, sul concetto di Rivelazione e della Chiesa e circa la condanna delle eresie del passato, condanna che sarebbe caduta in prescrizione.

    colonnato san pietro
    nuvole sulla Chiesa

    In realtà le nuove dottrine conciliari, rettamente interpretate, al di là di qualche espressione non del tutto chiara, non costituivano affatto una rottura o smentita dei dogmi tradizionali, ma al contrario una loro esplicitazione ed esposizione in un linguaggio moderno, adatto ad essere compreso dall’uomo di oggi, né l’approccio del Concilio alla modernità era da intendersi alla maniera modernistica come acritica soggezione agli errori moderni, ma bensì la proposta di un sano ammodernamento o, come si diceva, “aggiornamento” del pensiero e della vita cristiani, che raccoglieva alla luce dell’immutabile Parola di Dio quanto di valido può esserci nella modernità.

    Sorsero invece due tendenze ecclesiali e dottrinali che videro nelle dottrine del Concilio una rottura o mutamento rispetto alla dottrina tradizionale ed alle condanne del passato, ispirati ad una totale assunzione della modernità: quella dei lefebvriani, i quali, prendendo a pretesto che nel Concilio non si trovano nuove definizioni dogmatiche solenni, negavano l’infallibilità delle dottrine conciliari accusate di essere infette di liberalismo, illuminismo razionalista, indifferentismo, secolarismo, filoprotestantesimo ed antropocentrismo, tutti errori che erano già stati condannati dalla Chiesa nel XIX secolo e nei secoli precedenti, soprattutto al Concilio Vaticano I e a quello di Trento.

    rahner fuma
    il teologo gesuita tedesco Karl Rahner

    L’altra corrente che apparve ed appare tuttora a molti col crisma dell’ufficialità e di interprete dell’ ammodernamento conciliare, è quella che per lungo tempo è stata chiamata o si è autoproclamata “progressista”, titolo visto da molti come altamente positivo ed ambìto, mentre tale corrente chiama con disprezzo “conservatrice”, “tradizionalista” o “integrista”, o più recentemente “fondamentalista” la corrente dei lefevriani, nella quale però include indiscriminatamente tutti coloro che non accettano il suo modernismo. Per lunghi anni questa corrente, oggi fortissima nella Chiesa, grazie soprattutto al contributo di Rahner, ha prosperato fregiandosi dell’onorevole titolo di progressista, riferimento al valore indubbio del progresso, del nuovo e del moderno, ma in realtà per i suoi eccessi sempre più scoperti ed impudenti, tipici di chi prova la falsa sicurezza di sentirsi al comando, si è sempre più rivelata come modernista, e quindi chiara falsificazione dei veri insegnamenti del Concilio, i quali se promuovono il moderno, non certo avallano il modernismo, eresia già condannata da San Pio X.

    Volendo esprimerci nel linguaggio sportivo, potremmo dire che l’autorità ecclesiastica locale ed anche al vertice è stata presa “in contropiede”. Dopo il clima di dialogo e di sereno confronto intra ed extra ecclesiale creato dal carisma straordinario di San Giovanni XXIII, si era largamente sparsa la convinzione nell’episcopato e in molti ambienti teologici che ormai non esistessero più eresie o, se esistevano teologie che si scostavano dalla dottrina ufficiale del Magistero, si trattava per lo più di dottrine discutibili o espressioni di pluralismo teologico o tentativi magari un po’ audaci di innovazione da guardare con benevolenza e interesse. In realtà le cose non stavano affatto così. A cominciare dall’immediato post concilio la tendenza modernista, approfittando dell’immeritata fiducia che seppe astutamente strappare da un episcopato ingenuamente ottimista, cominciò compatta e spavalda a venire alla luce, sicura dell’impunità ed anzi con l’aureola del progressismo, quasi a realizzare un piano precedente internazionale, proveniente soprattutto dai Paesi di tradizione protestante, segretamente elaborato in precedenza.

    falsi profeti
    “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?” [Mt 7, 15-20]

    I pochi che segnalarono il pericolo incombente, come il Maritain, il von Hildebrand, il de Lubac e il Daniélou, non certo sospetti di conservatorismo o chiusi al nuovo, furono visti come personaggi disturbatori, uccelli del malaugurio, nostalgici dell’Inquisizione, guastafeste che, come si suol dire, rompevano le uova nel paniere. Quei “profeti di sventura”, catastrofici e scoraggianti, dai quali San Giovanni XXIII aveva intimato di guardarsi. Eppure non ci si rese conto della grave imprudenza nella quale si era caduti, abbassando la guardia, quasi che fossero scomparse le conseguenze del peccato originale, ed ormai la Chiesa e la teologia avessero iniziato una nuova era di uomini tutti di buona volontà, tutti intimamente sollecitati nel preconscio (Vorgriff) dall’esperienza divina atematica pre-concettuale, tutti cristiani anonimi anelanti a Dio, tutti oggetto della divina misericordia, secondo le mielose formule rahneriane. Nasceva quel “buonismo distruttivo” e quella falsa misericordia recentemente denunciati dal Papa nel suo discorso al sinodo dei vescovi.

    Il Concilio ebbe indubbiamente un’impostazione progressista, nel senso di voler procurare alla Chiesa una nuova spinta o un nuovo slancio verso il futuro, avvalendosi dei valori del mondo moderno: il Concilio, più che sulla necessità di conservare o recuperare o restaurare il perduto, puntò sul dovere di andare avanti, di rinnovare e progredire, mutando ciò che non era più adatto o non serviva più ai nuovi tempi o alle nuove esigenze, che si intendeva preparare e soddisfare in un orizzonte escatologico. Non c’è da meravigliarsi pertanto, se la corrente assai numerosa dei Padri e dei periti che apparve maggiormente interprete del Concilio fu quella che si convenne di chiamare “progressista”, mentre quelli che facevano resistenza al nuovo o non lo comprendevano o troppo insistevano sull’immutabile e sulla tradizione, si cominciò a chiamarli con un certo accento di sopportazione e non di ammirazione, “conservatori” o “tradizionalisti”.

    marcel lefebvre
    L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

    Tra questi ultimi emerse, come si sa, sin di primissimi anni del post concilio la famosa figura di Monsignor Marcel Lefèbvre, che presto cominciò ad attirare un certo seguito, fino a fondare l’altrettanto famosa Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), tuttora esistente e prospera. Monsignor Lefèbvre, sostenitore non del tutto illuminato della sacra Tradizione, che secondo lui il Concilio aveva tradito, insieme con pochissimi altri, invece di scorgere le eresie denunziate dal sant’Uffizio nella teologia dei modernisti, ebbe invece la grande sprovvedutezza di trovarle proprio nello stesso Concilio, che quindi accusò dei terribili errori già condannati dai Papi del XIX secolo, come il liberalismo, il razionalismo e l’indifferentismo.

    Più di recente, negli anni Ottanta, Romano Amerio ha aggiunto alla lista dei presunti errori del Concilio la “mutazione del concetto di Chiesa”. Secondo il suo discepolo Enrico Maria Radaelli, il Concilio avrebbe invece “ribaltato” la Chiesa. Paolo Pasqualucci, dal canto suo, nota la presenza dell'”antropocentrismo”. Monsignor Brunero Gherardini vede invece nei documenti del Concilio una contraddizione col Vaticano I. Lo storico Roberto De Mattei nega poi l’infallibilità delle dottrine del Concilio sotto pretesto che in esse non c’è nessun dogma definito secondo i canoni esposti dal Concilio Vaticano I. Tutti costoro confondono le dottrine del Concilio col modernismo nato dopo di esso. Si tratta di una confusione deleteria la quale, se da una parte comporta una retta definizione di modernismo secondo il criterio offerto da San Pio X, dall’altra accusa di modernismo proprio quel Concilio Vaticano II che, a ben guardare, ne è il saggio antidoto con la sua proposta di un sana modernità alla luce del Vangelo, della dottrina della Chiesa e di San Tommaso d’Aquino, come fece per esempio Jacques Maritain.

    Edward Schillebeeckx
    il teologo domenicano olandese Edward Schillebeeckx

    Fin dal primo sorgere del lefebvrismo Paolo VI assunse nei suoi confronti un atteggiamento molto severo, mentre restò blando e indulgente nei confronti del rahnerismo. Questo comportamento non imparziale purtroppo si è mantenuto nei Pontefici seguenti fino all’attuale. Benedetto XVI tentò un approccio ai lefebvriani col togliere la scomunica ai loro vescovi e col famoso motu proprio Summorum Pontificum. Per la verità il rahnerismo si è fatto sentire anche nella liturgia col fenomeno della profanazione del sacro e della secolarizzazione, conseguenza del falso concetto rahneriano del sacerdozio e la negazione del carattere sacrificale della Messa. Viceversa, i teologi che si riconoscevano nella corrente genericamente ed equivocamente detta “progressista”, si riunirono attorno alla rivista Concilium, tuttora esistente. Ma quando l’equivoco si chiarì ed apparve che alcuni “progressisti” in realtà erano modernisti, allora ci fu la separazione degli uni dagli altri: da una parte, i progressisti onesti e veramente fedeli al Concilio e alla Chiesa, come Ratzinger, von Balthasar, Congar, de Lubac e Daniélou, si accorsero dei criptomodernisti, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg ed altri. Fu così che gli autentici progressisti si separarono dai secondi fondando la rivista Communio. Quanto a Ratzinger, accortosi della tendenza modernista di Rahner, lo abbandonò e lo criticò severamente in Les principes de la théologie catholique (2) del 1982, un anno dopo che fu nominato Prefetto della CDF da San Giovanni Paolo II.

    Alfredo ottaviani e Karol Woytila
    il Cardinale Alfredo Ottaviani con il Cardinale Karol Woytila

    Nel 1966 il Cardinale Alfredo Ottaviani, pro-prefetto del Sant’Uffizio, ormai divenuto Congregazione per la Dottrina della Fede, congiuntamente al Segretario, il dottissimo cristologo Pietro Parente, inviavano un’allarmata lettera (3) ai Presidenti delle Conferenze Episcopali denunciando in 10 punti una serie di gravi errori che stavano serpeggiando tra i teologi cosiddetti “progressisti”. A molti tale grave denuncia deve essere apparsa esagerata o una specie di doccia fredda; ad altri, già infetti dal modernismo, deve aver suscitato irritazione ed essere apparsa un freno reazionario o una insopportabile condanna della nuova teologia promossa dal Concilio.

    La nuova Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), guidata dal Cardinale Franjo Šeper, non dette per la verità prova di un’energia sufficiente a far fronte ai gravissimi problemi denunciati dal Cardinale Ottaviani e da Monsignor Parente, fatto poi cardinale. Questi, con la perspicacia e il coraggio che l’aveva caratterizzato negli anni precedenti, scrisse nel 1983 un aureo libretto (4), che avrebbe potuto essere il testo di un’enciclica pontificia, segnalando le eresie di numerosi teologi, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg, Hulsbosch ed altri. Purtroppo solo in piccola parte e in modo troppo blando la CDF censurò questi autori, i quali nella maggioranza poterono continuare indisturbati a diffondere i loro errori, protetti da potenti forze filoprotestanti e filomassoniche, forse clandestinamente insinuatesi nella Chiesa stessa.

    Tomas Tyn 2
    il giovane teologo domenicano Tomas Tyn

    Sin dai primi anni del post concilio ci fu una schiera di buoni teologi e prelati, i quali si premurarono di commentare i testi conciliari nella linea del Magistero, mostrando la loro continuità col Magistero precedente, difendendoli dall’accusa di modernismo, e sottraendoli alla manipolazione dei modernisti.Tra i suddetti teologi e prelati ci furono il Cardinale Giuseppe Siri, Jacques Maritain, Yves-Marie-Joseph Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Padre Raimondo Spiazzi, Jean Guitton, Jean Galot, i teologi domenicani di Roma, di Firenze e di Bologna, ed il Collegio Alberoni di Piacenza fino al Servo di Dio Padre Tomas Tyn in anni più recenti. Purtroppo, la loro opera meritevolissima nei decenni, non del tutto ignorata dalla Santa Sede, è stata quasi sopraffatta dai due partiti avversi dei lefebvriani e dei modernisti, i primi con attaccamento ostinato e miope ad un tradizionalismo superato, i secondi, forti del successo ottenuto, con una progressiva scalata ai posti di potere nella Chiesa, cominciando nel Sessantotto col conquistare i giornalisti, i giovani, i laici, il basso clero e i religiosi e via via salendo alla conquista dei livelli superiori dell’episcopato e negli anni più recenti penetrando nello stesso collegio cardinalizio.

    I segni conturbanti di ciò li abbiamo avuti di recente in occasione del sinodo dei vescovi, tanto che la parte migliore del collegio cardinalizio, capeggiata dai cardinali Gerhard Ludwig Müller e Raymond Leonard Burke, ha avvertito l’urgenza di intervenire in difesa del Magistero della Chiesa e del Papa, il quale però non pare abbia mostrato nei loro riguardi una sufficiente gratitudine per la preziosa opera da loro svolta.

    Paolo VI 2
    il Beato Pontefice Paolo VI

    Paolo VI, al quale andò il compito gravissimo di far applicare i decreti del Concilio, si trovò subito davanti ad una situazione difficilissima, che egli stesso, come ebbe a confessare dieci anni dopo il Concilio, non prevedeva (5). I modernisti olandesi, con incredibile tempestività, pubblicarono già nel 1966, elaborato sotto l’influsso di Schillebeeckx, con l’autorizzazione del Cardinale Bernard Jan Alfrink, il famoso “Catechismo Olandese”, uscito in Italia nel 1969, che ebbe un enorme successo. Il Catechismo, non privo certo di qualità, ma che è rimasto fino ad oggi il manifesto della Chiesa modernista, conteneva numerose eresie e gravi carenze dottrinali, che Paolo VI fu costretto a far correggere da un’apposita commissione di cardinali nel 1968. Evidentemente questo Catechismo era l’attuazione di un grandioso piano segreto elaborato già durante gli anni del Concilio, durante i quali numerosi periti di orientamento modernista celarono astutamente e slealmente le loro eresie sotto un comportamento esterno corretto, dando anzi a volte un contributo dottrinale lodevole nel corso dei lavori del Concilio. Il loro morbo in loro restò allora in incubazione e venne chiaramente alla luce solo a partire dagli anni dell’immediato post concilio (6). Nel frattempo stava conquistando sempre più consensi il pensiero di Karl Rahner, il quale era stato uno dei più influenti periti del Concilio, consigliere del Cardinale Franz König. Rahner parte dal principio dell’identità dell’essere con l’essere pensato, per cui confonde l’essere come tale con l’essere divino.

    panteismo
    l’antica insidia panteista

    In questa visuale panteistica l’essere umano è ridotto all’essere divino; il divino (la “grazia”) entra nella definizione stessa dell’essere umano, che tuttavia mantiene un aspetto storico (“l’uomo è trascendenza e storia”), che relativizza il concetto di natura umana, il sapere umano e la legge naturale, sul modello hegeliano, mentre l’essere divino è essenzialmente umano. Cristo quindi è il vertice divino dell’uomo e Dio è necessariamente Cristo. Da qui la confusione panteistica della grazia con Dio, intesa come costitutivo dell’uomo. Ogni uomo è essenzialmente e necessariamente in grazia. Essa non può essere né acquistata né perduta. Il peccato non toglie la grazia ma si annulla da sé, perché è contradditorio. Cristo salva non in quanto redentore (concetto mitico), ma in quanto fattore del passaggio dell’uomo a Dio e di Dio che diviene uomo. La fede non è dottrina o conoscenza concettuale, ma incontro con Dio, autocoscienza ed esperienza di Dio pre-concettuale ed atematica (Vorgriff). Essa comporta sul piano dell’azione un’opzione fondamentale per Dio, atto di suprema libertà, per la quale tutti si salvano indipendentemente dagli atti categoriali, empirici e finiti, propri del libero arbitrio, cognitivi e morali, buoni o cattivi, che si pongono sul piano mutevole della storia e del relativo. Da qui la relatività e mutabilità del dogma, inevitabilmente incerto e fallibile, al contrario dell’esperienza di fede comunque salvifica, che è esperienza del divenire di Dio nella storia.

    catechismo olandese
    una delle prime stampe del Catechismo Olandese, subito tradotto in numerose lingue e diffuso in tutto il mondo

    Con l’affermarsi di queste idee di Rahner, la linea di questo Catechismo Olandese, ancora di carattere illuministico-razionalista, assunse un accento manifestamente panteistico hegeliano-heideggeriano nel “Corso fondamentale sulla fede” di Rahner, pubblicato in Germania nel 1976 e in Italia nel 1977. Questa volta nessuna commissione cardinalizia ebbe il coraggio e la saggezza di condannare questo pseudo-catechismo (7), peggiore del precedente. I modernisti, diventati sempre più potenti, cominciavano a far tacere la stessa Santa Sede. Infatti Paolo VI non prese nessun provvedimento. Non ci fu alcuna autorevole confutazione da parte di qualche esponente della Santa Sede o teologo in vista. Anche la CDF, guidata dal Cardinale Seper, non fece nulla. Rahner faceva troppa paura. Per la verità, il grave errore pastorale della Santa Sede fu a mio giudizio quello di lasciarsi prevenire dal Catechismo Olandese, dimenticando la provvidenziale e tempestiva sollecitudine della Chiesa della Riforma tridentina, la quale, immediatamente dopo il Concilio di Trento e quasi come suo documento finale e riassuntivo, pubblicò il famoso e utilissimo Catechismo Tridentino, che fondamentalmente è ancor oggi validissimo.

    Paolo VI, nel corso del suo pontificato, ci ha proposto o da sé o per mezzo della CDF un notevole corpo dottrinale, che oltre a sviluppare le dottrine del Concilio, confuta anche le false interpretazioni e condanna errori insorgenti, ma non è mai stato capace di affrontare di petto ed esplicitamente il problema del rahnerismo. Anzi nominò Rahner membro della Commissione Teologica Internazionale, dalla quale poco dopo, deluso perché si vedeva respinte le sue idee, se ne uscì con tono infastidito e arrogante accusandola di conservatorismo. Paolo VI con molti saggi ed acuti interventi contro il secolarismo, lo spirito di contestazione, l’immanentismo, l’antropocentrismo, il falso carismatismo, il liberalismo, le false novità, il relativismo ed evoluzionismo dogmatico, la profanazione della liturgia, il lassismo e soggettivismo morale, ha girato più volte attorno all’obbiettivo, senza però centrarlo mai del tutto, sicché i rahneriani, con l’audacia e l’ipocrisia che li caratterizza, si sono sempre sentiti al sicuro ed autorizzati a proseguire nelle loro idee e nei loro costumi.

    Paolo VI 3
    il Beato Pontefice Paolo VI

    Il 1974 poteva forse essere l’occasione per risolvere il problema del rahnerismo con una buona condanna dei suoi errori e l’indicazione della vera via del rinnovamento e del progresso della teologia. Ma purtroppo Paolo VI perse anche questa occasione, che era data da un grande convegno su San Tommaso d’Aquino nel VII centenario della morte, organizzato dai Domenicani, che ebbe l’adesione di ben 1500 studiosi di tutto il mondo. Per questa occasione emerse nettamente sulla scena del mondo teologico internazionale la grande figura del dottissimo e sapientissimo Padre Cornelio Fabro, il quale elaborò (8) il progetto della bellissima lettera “Lumen Ecclesiae” del Papa al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine di Frati Predicatori, dedicata a raccomandare, con dovizia di opportuni argomenti, lo studio, l’approfondimento e la diffusione del pensiero di San Tommaso d’Aquino, nonché la sua utilizzazione per il confronto con la cultura moderna, in conformità alle disposizioni del Concilio (9).

    cornelio fabro
    il teologo stimmatino Cornelio Fabro

    Nel medesimo anno 1974 Fabro pubblicava La svolta antropologica di Karl Rahner (10), un’indagine acutissima delle radici gnoseologiche e metafisiche del pensiero di Rahner, uno studio poderoso, nel quale il teologo Stimmatino dimostrava inconfutabilmente, testi alla mano, valendosi della sua eccezionale conoscenza e di San Tommaso e dell’idealismo tedesco, l’abominevole benché fascinosa impostura con la quale Rahner, falsificando gli stessi testi tomistici, pretendeva presentare l’Aquinate, Doctor Communis Ecclesiae, come conforme ad Hegel, il cui idealismo è stato più volte condannato dalla Chiesa. Quale più chiaro tacito messaggio inviato a Paolo VI dell’assoluta necessità di non tenere i piedi su due staffe, ma del fatto che l’affermazione della verità non può non comportare la condanna dell’errore e nella fattispecie la chiara ed inequivocabile affermazione che il rinnovo e il progresso della teologia ordinato dal Concilio non doveva passare da Rahner ma da San Tommaso? E invece nulla venne da Paolo VI. L’opposizione dei buoni teologi non si scoraggiò. Consapevoli della loro responsabilità verso le anime e ligi al loro dovere di fedeltà al Magistero della Chiesa, continuarono a segnalare i pericolosi errori di Rahner, anche se purtroppo, come era da aspettarsi, il rahnerismo non è arretrato, ed anzi si è rafforzato sino ad oggi. La storia di questa terribile lotta all’interno della Chiesa l’ho brevemente narrata nel mio libro su Rahner (11), che va aggiornato per esempio con la persecuzione fatta ai Francescani dell’Immacolata, nella quale non è difficile vedere la vendetta dei rahneriani per il congresso teologico internazionale antirahneriano dei Francescani del 2007 (12).

    elezione Giovanni Paolo II
    prima benedizione urbi et orbi di Giovanni Paolo II

    Con l’elezione di San Giovanni Paolo II si ebbe l’impressione che il papato riuscisse a prendere in mano la situazione. Il Papa nel 1981 sostituì alla guida della CDF il Cardinale Seper con il grande teologo Joseph Ratzinger, ed un immediato risultato si cominciò a notare con un atteggiamento più deciso nei confronti degli errori di Schillebeeckx e la condanna degli errori della teologia della liberazione. Ratzinger riuscì a colpire alcuni seguaci di Rahner, ma lo stesso Rahner, che morì nel 1984, rimase intoccato. Il ricchissimo insegnamento di Giovanni Paolo II corresse indubbiamente molti errori di Rahner, ma lo fece in modo solo allusivo e generico, limitandosi ad esporre la sana dottrina, senza entrare con precisione nel merito delle questioni, come fa il buon medico che fa un’analisi accurata e precisa della malattia, onde apporre l’adeguato rimedio.

    Grande impresa del Papa fu la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica nel 1992. Anche questo indubbiamente fu indirettamente un robusto antidoto contro gli errori di Rahner, benché ovviamente egli non poteva esservi nominato. Interessante come poi Papa Benedetto XVI indicò il Catechismo come criterio per discernere gli errori dei teologi. Il Papa avrebbe avuto due grandi occasioni per affrontare di petto, una volta per tutte, l’annosa ed incancrenita questione: le due grandi encicliche Veritatis splendor del 1993 e la Fides et Ratio del 1998. Solo nella prima c’è un accenno alla distinzione rahneriana, senza che Rahner sia nominato, fra il “trascendentale” e il “categoriale”, che si esprime in morale nell'”opzione fondamentale” e negli “atti categoriali”. Così, ancora negli anni 2004-2005, l’anno prima della morte del Pontefice, la lotta fra rahneriani ed antirahnriani si riaccese alla grande: con un congresso di avversari in Germania nel 2004 (13), al quale seguì, quasi risposta polemica, un convegno a suo favore all’Università Lateranense, durante il quale l’unica voce che si fece sentire in decisa opposizione fu quella di Monsignor Antonio Livi.

    rahner-karl
    Karl Rahner, brinda

    Indubbiamente c’è da restare sconcertati nel constatare il successo ottenuto da Rahner, se egli è stato celebrato nella più prestigiosa delle Università Pontificie Romane. È il segno di una situazione drammatica, che sempre più urgentemente chiede di essere risanata, soprattutto considerando le disastrose conseguenze delle idee di Rahner nel campo della morale e della vita ecclesiale. In questo clima di accesa battaglia mi stupisco e ringrazio il Signore di come col permesso dei miei superiori, ai quali pure sono grato, ho potuto pubblicare il mio libro su Rahner, che ha riscosso un discreto successo, benché mi si riferisca della sorda guerra che i rahneriani gli fanno e del disprezzo del quale lo coprono. Eppure io sono sempre qua, pronto a correggere eventuali errori interpretativi e ed ascoltare ragioni in sua difesa. Ma nessuno si fa vivo.

    prima benedizione urbi et orbi di Benedetto XVI

    Benedetto XVI, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto. Papa Francesco non parla mai di Rahner. Ma non credo affatto che sia la soluzione migliore. Rahner è notissimo e seguitissimo. I suoi gravi errori, che continuano a far danno, sono stati dimostrati ormai da cinquant’anni da una schiera enorme di studiosi e il Magistero della Chiesa in questi cinquant’anni, nella condanna di tanti errori, lascia intravedere ancora l’ombra sinistra del rahnerismo, non assente per esempio nella corrente buonista emersa persino all’ultimo sinodo dei vescovi. Non è giunto dunque il momento di “mettere, come si suol dire, le carte in tavola”? Perché far finta di ignorare ciò che tutti sanno? Ci sono ancora dei ritardatari sedicenti progressisti che non hanno ancora capito da dove viene il male? Se invece è chiara come è chiara la sua origine e la natura, dato che peraltro esistono i rimedi, perché non prenderne atto francamente una buona volta e decidersi a curarlo, viste le sue nefaste conseguenze, dopo una diagnosi precisa e circostanziata? Forse che il male potrà andarsene da solo?

    Fontanellato, 21 novembre 2014

     

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    1. Si narra che Don Giuseppe Dossetti affermasse che “il Concilio lo aveva fatto lui”. Non parliamo poi delle sparate che si sono fatte da parte della grande stampa laicista sulla parte avuta da Rahner al Concilio.
    2. Edizione tedesca Erick Wewel Verlag, Muenchen 1982, edizione francese Téqui, Paris 1985.
    3. Epistula ad venerabiles Praesules Conferentiarum Episcopalium, in Congregatio pro Doctrina Fidei, Documenta inde a Concilio Vaticano secundo expleto (1966-1985), Libreria Editrice Vaticana 1985.
    4. La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983.
    5. “Ci aspettavamo una nuova primavera, ed è venuta una tempesta”.
    6. Sbagliano, quindi, quegli storici, come De Mattei, i quali sostengono, sulla linea di Lefèbvre, che questi periti avrebbero dato un indirizzo modernista al Concilio. E’ possibile, anzi è probabile che alcune tesi moderniste siano emerse durante i dibattiti, il che preoccupò fortemente Paolo VI, ma esse poi scomparvero al momento dei documenti finali. Così pure è sbagliata l’interpretazione del Concilio data dalla Scuola di Bologna, per la quale occorre, nei documenti ufficiali, rintracciare uno “spirito” o l’ “evento” che va oltre la lettera retrivamente conservatrice , e che non consiste altro che nelle sue idee moderniste. Sbaglia pure il card.Kasper a vedere nel Concilio delle “contraddizioni” “tensioni non risolte” tra elementi fissisti e tradizionali superati e il”nuovo”, in continua evoluzione, che non è altro che quel modernismo, per il quale egli simpatizza. Il contributo valido dato da Rahner al Concilio in collaborazione con Ratzinger è illustrato da Peter Paul Saldanha nella sua opera Revelation as “self-communication of God”, Urbaniana University Press, Rome 2005.
    7. Rahner stesso non ebbe la faccia tosta di chiamarlo “catechismo”, ma in pratica è evidentissima la sua intenzione di proporre comunque un’iniziazione alla fede inficiata di gnosticismo protestante e in antitesi con quella cattolica.
    8. Me lo comunicò personalmente in via confidenziale.
    9. Optatam totius, 16 e Gravissimum educationis, 10.
    10. Edizioni Rusconi, Milano.
    11. Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, II ed.
    12. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Un’analisi critica, a cura di Padre Serafino Lanzetta, Edizioni Cantagalli, Siena, 2009.
    13. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Kritische Annāherungen, a cura di David Berger, Verlag Franz Schmitt, Siegbug 2004


     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 15/12/2014 12:13
      La crisi della Chiesa, il bisogno della santità
    di Luigi Negri*

    15-12-2014
     

     

    Piazza san Pietro
    La Chiesa si vive. Dobbiamo partire da questa certezza per comprendere il momento che la Chiesa e la società stanno vivendo. Della Chiesa non si parla come di un oggetto a partire dalle proprie presupposizioni di carattere ideologico, culturale, filosofico o altro. La Chiesa si vive. Per la Chiesa si soffre, per la Chiesa si gioisce, soprattutto si tenta di dare il nostro apporto significativo e creativo.

    Ebbene, lo scandalo della situazione della Chiesa oggi – e uso volutamente la parola “scandalo” - è che la Chiesa è stata buttata in pasto alla stampa. La Chiesa è uno strumento manipolabile e manipolato dalla stampa, da una stampa che in Italia è per il 90% di impostazione laicista e anticattolica. Quindi siamo al paradosso che la mentalità laicista la fa da padrona in casa nostra pretendendo di decidere chi sono i veri ortodossi e chi sono gli eterodossi, qual è la posizione corretta e qual è la posizione del Santo Padre, perché poi ciascuno di questi pretende o millanta un credito presso il Santo Padre. Per cui noi assistiamo impotenti a una manipolazione che è avvilente, cioè avvilisce la fede del nostro popolo. Perché il nostro popolo ha un’esperienza di fede reale e personale che non ha nulla da spartire con le pensate di Eugenio Scalfari e altri.

    Questi possono essere strumenti che verificano una posizione, ma il dialogo – come più volte ha detto Benedetto XVI nel Sinodo sull’evangelizzazione - è l’espressione di una identità forte. Forte non di mezzi, ma forte di ragioni. Se c’è un’identità forte è inevitabile che questa identità ponendosi incontri uomini, situazioni, condizioni, problemi, fatiche; quindi entri in dialogo con chi ha un’altra impostazione. Ma se non c’è un’identità il dialogo è un illusione. Il dialogo è la conseguenza di un’identità, non può essere l’obiettivo. L’obiettivo è l’evangelizzazione.

    È un momento ben definito da quell’affermazione di Paolo VI a Jean Guitton, pochi mesi prima di morire: «All'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia». È un’affermazione che sollecita all’assunzione di un criterio di giudizio a cui consegue un comportamento.

    Voglio ricordare questa splendida frase della lettera di san Giacomo: «Considerate perfetta letizia fratelli miei quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi perché siate perfetti ed integri senza mancare di nulla» (Gc 1, 2-4).

    Questo è il tempo in cui viviamo. Dire che è un tempo di prova, non significa analizzare e programmare una soluzione di questa crisi. È per l’incremento della santità. Dio permette certe cose perché uno assumendo una posizione vera di fronte a Cristo e alla Chiesa, possa diventare "perfetto". Per meno di questo non vale la pena discutere della Chiesa, come non varrebbe la pena discutere di niente.

    Ecco dunque una prima osservazione, che è anche uno dei nodi centrali del cammino conciliare che la Chiesa ha fatto su se stessa, sulla sua identità, e che si è espressa nella Lumen Gentium, Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II  che poi ha trovato il suo approfondimento straordinario nel magistero di Giovanni Paolo II. La Chiesa è un evento di popolo. La Chiesa non è una struttura di mediazione fra un messaggio cristiano e il popolo. La Chiesa è il popolo di Dio, è il popolo generato dal suo Spirito, dallo Spirito del Signore crocifisso e risorto che, comunicandosi a coloro che il Signore sceglie, fa di loro un popolo. Un popolo che non nasce dalla carne e dal sangue, cioè dalle determinazioni naturali, ma nasce dallo Spirito, quindi è una realtà irriducibile a qualsiasi altra formulazione di popolo. È stata la grande esperienza dei primi secoli, perché il tentativo di appiattire la Chiesa sulla realtà ebraica, sulla realtà greca, sulla realtà dei popoli barbari è stata smentita: «Non c’è più né greco né giudeo, né schiavo né libero né uomo né donna perché voi siete un essere solo in Cristo Gesù». 

    Il cristianesimo è la Chiesa, e Cristo arriva fino a te incontrandoti nell’unità dei suoi. Che cosa rende presente il cristianesimo nel mondo? L’unità dei suoi, presente nell’ambiente, in connessione vitale con il vescovo e con il Papa. Sono pagine che ha scritto don Luigi Giussani precedendo la Lumen Gentium. Questo è qualcosa che si deve sempre di nuovo conquistare. Non può essere dato per scontato e non dipende dalle condizioni. 

    Che cosa avviene in questo incontro con Cristo nei suoi? Che cosa avviene nella persona? Avviene l’esperienza della novità. Ma cos’è la novità? La novità della vita è l’esperienza di una corrispondenza imprevedibile ma reale fra questo incontro e la mia umanità. Se la fede non genera questo è un’aggiunta posticcia alla vita. Perché la vita vuole l’eternità, tutta la vita chiede l’eternità. La vita vuole l’eternità, l’incontro con Cristo è la certezza qui ed ora – come spesso diceva papa Giovanni Paolo II –; qui ed ora avviene questo, cioè ti capita di sentirti rivelato nel tuo io più profondo. 

    Cristo incontra il mondo perché lo incontra in me anzitutto, perché la partecipazione alla stessa realtà umana e storica ci accomuna. Portare Cristo nell’ambiente, nel mondo, vuol dire investire la realtà umana del pezzo di società in cui siamo chiamati a vivere della novità della nostra comunità. L’esperienza che Cristo è la risposta alla vita deve diventare ogni giorno che passa più vera per noi, e attraverso di noi deve investire la vita dei nostri fratelli uomini. 

    Questo si chiama missione, la presenza della Chiesa come novità di vita che tende a comunicarsi agli uomini. E la missione assume necessariamente il volto del giudizio. Perché il giudizio è l’incontro fra la concezione della vita, la realtà di vita nuova che viviamo e la realtà umana, storica, in cui vivono gli uomini. La cultura è nata così. Investire il mondo con la serena baldanza di portare la verità di Cristo. Investirla di un giudizio che non è la nostra capacità, è un dovere di coscienza. Paragonare tutto ciò che si incontra con la novità di Cristo che abbiamo incontrato. 

    Questo è un punto fondamentale. Non c’è età della vita che esima da questo, non c’è responsabilità culturale, sociale, politica, economica, ecclesiastica, non c’è nessuna situazione che esima da questo incessante riproporre l’avvenimento di Cristo agli uomini perché io stesso lo comprenda sempre di più. 

    In questo deve essere ripresa quella intuizione di Giovanni Paolo II che definì la missione come l’autorealizzazione della Chiesa. Non una serie di iniziative che si pongono accanto a una Chiesa che ha già trovato la sua consistenza nella sua struttura organizzativa, nel suo pensiero. No, la missione è essenziale perché la Chiesa sia se stessa. La Chiesa non ha il problema di giudicare il mondo e di cambiare il mondo, ha il compito di giudicare il mondo perché i suoi figli e coloro che si convertono possano vivere loro la responsabilità di trasformare il mondo. Non è l’istituzione ecclesiale che trasforma il mondo, è il popolo cristiano che entrando nella società con una certa impostazione ultima dà il suo contributo al cambiamento in meglio della società.

    Eccoci dunque alla seconda osservazione. Qual è la crisi attuale della cristianità (e per cristianità si deve intendere un’esperienza di popolo cristiano che gioca la sua identità in questo momento della storia)? Nel periodo che si estende ai due pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la Chiesa era una realtà che giudicava, e agiva conseguentemente. E quindi dava un suo contributo, maggioritario o minoritario non interessa, dava il suo contributo a favorire una lettura della situazione e una linea di sviluppo adeguata, almeno quella che si poteva pensare come adeguata. Non era un giudizio astratto, ideologico, era il tentativo di investire la situazione di una certezza di giudizio che nasceva dalla certezza della fede.

    Come ha detto George Weigel, a Giovanni Paolo II è stata data la ventura di cambiare il senso della storia. Giovanni Paolo II in forza solo della sua fede, e della sua straordinaria capacità di rivivere tutta la grande esperienza ecclesiale polacca e in essa la grande esperienza del cattolicesimo, ha dimostrato che il comunismo non era invincibile. Anche la cristianità si era mossa fino ai tempi di Giovanni Paolo II schiacciata da una ipotesi terribile: che comunque avrebbero vinto loro. Ed essendo già scritto che avrebbero vinto loro - per la potenza politica, economica, militare - si trattava di salvare il salvabile. Questa espressione tornò continuamente in certi ambiti della cristianità italiana e determinò alcune scelte di tipo ecclesiastico, come ad esempio cosiddetta Ostpolitik, condotta sul filo del “salvare il salvabile”. Il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ridato alla cristianità il senso di una unità reale e di un giudizio, e di una doverosità del giudizio.

    Su questo oggi c’è la crisi. Non è negabile, oggi la cristianità sembra non essere più in grado di dare dei giudizi pertinenti, ma direi di più. Certi settori della cristianità dicono che non è assolutamente necessario dare dei giudizi, anzi che la formulazione dei giudizi rappresenterebbe qualcosa di patologico perché metterebbe in crisi la radicalità e la purezza della fede sporcandola con quelle circostanze di carattere storico e quindi contingenti.

    Ciò significa che l’ideale è una Chiesa senza capacità di giudizio, una Chiesa ridotta individualisticamente a certe pratiche spirituali, a certe emozioni individuali o a una certa pratica caritativo-sociale. Sono le cose da cui Benedetto XVI mette in guardia la Chiesa all’inizio della sua enciclica Deus caritas est, quando dice che il cristianesimo non è né una serie di pratiche spirituali né dei sentimenti né un progetto di carattere caritativo-sociale, ma è un incontro con una Persona, la sequela di Lui, il cambiamento della vita in Lui, la comunicazione di questa vita nuova agli uomini.

    Ci sono degli aspetti gravissimi in questa resistenza al giudizio. La prima implicazione è l’avere alzato bandiera bianca sul problema della vita. Dopo aver combattuto per decenni perché la vita fosse al centro dell’esperienza della famiglia e della società, perché fosse considerata come è, indisponibile a tutti se non a Dio e quindi come un valore irriducibile a qualsiasi altra condizione, da riconoscere e da difendere in tutte le fasi dal concepimento fino alla fine della vita, noi abbiamo incominciato con il nostro silenzio a lasciare spazi larghi, spazi sempre più larghi a una manipolazione insieme intellettuale, morale e politica. Oggi è diventata maggioritaria l’idea che la vita sia una serie di procedure di carattere bio-fisiologico che possono essere conosciute scientificamente e manipolate tecnologicamente.

    Questo silenzio sulla vita, viene poi ribadito da un silenzio pressoché assoluto su quella che è la follia del “gender”, cioè la soppressione della differenza sessuale da qualsiasi indicazione naturale, per una restituzione della sessualità alla pura istintualità, con anche la costruzione di progetti educativi in questo senso. Nelle scuole italiane circola un “progetto amore”, con i riconoscimenti da parte delle autorità scolastiche che devono garantire la buona scuola, progetti che sono demenziali: dove si definisce l’equivalenza maschio-femmina, la compresenza nella stessa realtà personale di due tendenze sessuali che devono essere favorite una dopo l’altra. 

    Aspetti di follia che però sono diventati diffusissimi. E nei confronti dei quali esiste una certa reattività delle famiglie. Le famiglie sono in posizione sanamente reattiva, ma quasi senza mezzi e senza strumenti. Senza strumenti di approfondimento, e senza una guida se non parziale, se non in alcuni posti. Ma siccome qui tutti dicono che sono amici del Papa e che portano avanti la posizione del Santo Padre, io vorrei ricordare che papa Francesco nell’incontro con i vescovi italiani il maggio scorso ha detto: “Siete stati investiti dallo tsunami del gender. E che cosa avete fatto? Nulla”. Francesco ha detto a 250 vescovi italiani “dovevate giudicare il gender e non l’avete fatto”, che significa anche che non si potrà continuare a rappresentare una Chiesa italiana che non affronti il tema del gender: perché è devastante, sta devastando la coscienza e il cuore del nostro popolo. Il silenzio su questo è espressione di una assoluta mancanza di fede.

    Collegato a vita e gender è anche il tema dei cosiddetti “nuovi diritti”. Si tratta della riduzione dei diritti alla istintualità, ideologica o bio-fisiologica, per cui il diritto è quello che uno ritiene, che vuol provare a essere, con la perdita totale del senso della natura. La natura non è una serie di oggetti, la natura è una realtà vivente, subordinata all’uomo ma vivente. E nel dialogo fra l’uomo e la natura, l’uomo acquisisce valori, insegnamenti, che da solo non riuscirebbe a produrre con la sua sola intelligenza. Ecco perché la coscienza entra in rapporto con la natura, e soprattutto la coscienza umana è l’unico punto in cui questo dialogo con la natura acquisisce la fisionomia della legge legata alla natura. Per questo Benedetto XVI nell’ultimo periodo del suo pontificato ha richiamato continuamente la necessità di recuperare la verità della natura, del diritto naturale, perché i diritti non diventassero semplicemente una serie di opzioni di carattere individualistico nel senso deteriore.

    Queste tre battaglie, che ho appena descritto, sono essenziali per la fede. Se si va avanti ancora un po’ di tempo senza una capacità di essere presenti a questo dibattito, senza dare un contributo significativo a questo dibattito, sarà il trionfo del pensiero unico dominante, che ha come caratteristica proprio la volontà di negare la presenza cristiana come una presenza autentica. 

    È necessario passare dalla fede alle opere, di non sottrarre nulla all’impatto con la fede. I vecchi padri della Chiesa dicevano che «quello che non è stato assunto dal Verbo non è stato salvato». Se c’è una cosa nell’esperienza umana, sociale, su cui la fede cristiana non dà un giudizio vuol dire che c’è una realtà del mondo che stando senza l’incontro con Cristo si salva ugualmente e così il Signore non è più il Redentore. Diceva invece l’Instrumentum laboris del primo Sinodo sull’evangelizzazione, allora redatto da Paolo VI, che «la fede è la salvezza dell’uomo, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini».

    Allora c’è una osservazione conclusiva. Una certa cristianità che ha maturato un suo cammino di fede non deve accettare una rilettura parziale o falsificata della storia della cristianità italiana. Che non è la storia di gente che non voleva accettare di non avere più nessuna egemonia e che per avere questa egemonia ha fatto battaglie sul divorzio, sull’aborto e altre. Battaglie inutili – si dice - perché si sarebbero perse senz’altro. In realtà per più di una generazione furono battaglie fatte per la fede, per la maturità della fede. Sconfitta o vittoria sono state uguali, nel senso che hanno consentito a tutti la maturazione della fede. 

    La crisi della Chiesa non è una crisi puntuale, è una crisi ampia. Ma non serve un’analisi che tenda a stabilire le responsabilità. La Chiesa è di Dio, la Chiesa non viene meno, la modalità con cui Dio guida la sua Chiesa eccede le nostre capacità. Però noi abbiamo il compito di fare un’esperienza reale di Chiesa, nel cammino che la Provvidenza ci ha fatto incontrare. Facciamo quello che Dio ci ha chiesto di fare poi Dio prenderà quello che stiamo facendo e gli darà il peso. I modi e i tempi li sceglie Lui, a noi spetta la nettezza della nostra posizione, che viene dalla lealtà con la nostra coscienza, e la nostra storia, e da quella capacità di compagnia che se ce la facciamo nella concretezza delle nostre condizioni, rende meno arduo il cammino. Ricordandoci di quello che diceva il Metastasio: «L’aver compagno al duol, scema l’affanno». 

    * Arcivescovo di Ferrara-Comacchio






     Approfondimento della dottrina? No, è tradimento 
    di mons. Antonio Livi21-12-2014
    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-approfondimento-della-dottrina-no-e-tradimento-11288.htm 

    La adultera

    Il termine che si sente ripetere in questi giorni, anche dopo l'intervista di papa Francesco a La Nación, è quello della necessità di un adeguato "approfondimento" della dottrina. È la tesi di Gianni Gennari (sul Corriere della Sera) a proposito dell'auspicata “retromarcia” del Magistero sui metodi naturali: grandi cambiamenti, ma che sarebbero solo “approfondimenti” della dottrina dell’Humanae vitae. Per analogia questo schema interpretativo viene applicato alla questione “sinodale”, quella della comunione per i divorziati che si sono sposati civilmente. Peraltro questa tesi è sposata anche da Andrea Tornielli (La Stampa), che già tempo fa parlava di “approfondimenti” in riferimento alla nuova dottrina conciliare sulla libertà religiosa.

    Vedendo il ricorso a questa etichetta che i media stanno applicando ai progetti di riforma della dottrina sui sacramenti (il Matrimonio, la Penitenza e l’Eucaristia)  mi sono reso conto ancora una volta di quanto sarebbe auspicabile che i giornalisti si limitassero a informare sull’attualità degli eventi ecclesiali senza continuare a confondere le idee ai cattolici con le loro interpretazioni sociopolitiche (vedi quanto ho scritto recentemente sull’Isola di Patmos). 

    Qualsiasi etichetta apposta ai fatti della Chiesa, anche se appare giornalisticamente efficace, non aiuta affatto a capire di che cosa si tratta. L’etichetta è una pretesa di interpretazione facile e rapida, “prêt-à-porter”, ma l’effetto sull’opinione pubblica è negativo, non solo per l’inevitabile superficialità di questo genere di interpretazione ma anche e soprattutto per il messaggio che indirettamente veicola. L’«approfondimento», etichetta dalla quale sono partito, non è un’eccezione alla regola: il messaggio che con essa viene veicolato è che la Chiesa cattolica, sotto il pontificato di papa Francesco, procede rapidamente verso un mutamento sostanziale della sua dottrina morale, e di conseguenza procede ineluttabilmente verso un mutamento radicale della sua prassi pastorale, con il plauso di tutti, credenti e non credenti. 

    Quelli che sono etichettati come “approfondimenti” sono dunque, nelle intenzioni di chi le sponsorizza, dei mutamenti sostanziali della dottrina fin qui insegnata dal Magistero, e andrebbero pertanto etichettati piuttosto come  “rottura” con la Tradizione. Si tratta infatti di “piccoli passi” nella direzione di una normativa che andrebbe a rivoluzionare la  struttura stessa della disciplina ecclesiastica, a tal punto che – se effettivamente fossero adottati dall’autorità ecclesiastica – comporterebbero una riforma radicale della dottrina: ma non nel senso indicato da Benedetto XVI («riforma nella continuità del medesimo soggetto Chiesa») ma nel senso che papa Ratzinger considerava inaccettabile, ossia di  una vera e propria “rottura” con la Tradizione, ossia con la dottrina del Magistero, dal Concilio di Trento al Vaticano II, dall’enciclica Casti connubii di Pio XI all’esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. 

    Certo, abbiamo sentito in occasione della prima fase del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, non pochi teologi e alti prelati auspicare il superamento (cioè l’abolizione) degli insegnamenti di Paolo VI (Humanae vitae) e di Giovanni Paolo II (Familaris consortio), e poi abbiamo sentito, nella medesima occasione, altri teologi e altri prelati che hanno fatto notare che questi cambiamenti  sono in contraddizione, non con dettagli senza importanza, ma con il significato essenziale, profondo, del messaggio trasmesso dalla Chiesa in quei documenti. 

    Chi scava in profondità, con la ragione teologica, per scoprire quel messaggio nella sua essenza di verità rivelata, si rende conto che una proposta che risulti in netta contraddizione con esso non è che la sua negazione. Insomma, una rivoluzione, una rottura, non certamente uno dei tanti modi con cui può avvenire ed avviene di fatto che la Chiesa progredisca nella comprensione della verità rivelata, secondo la formula, teologicamente perfetta, di una «evoluzione omogenea del dogma». «Omogenea» è quell’evoluzione che porta a una dottrina che rientra nel medesimo “genere”, ossia non propone una dottrina di altro genere, bensì la medesima dottrina arricchita di  modifiche accidentali, con applicazioni pastorali. Insomma, una rottura non può essere chiamata «approfondimento».

    Il termine «approfondimento» è usato dai “vaticanisti”, nella loro proverbiale sudditanza psicologica al linguaggio di volta in volta prevalente nella cultura di massa, perché è il termine che si usa per i commenti e i dibattiti al margine di una notizia. Se i fatti sono separati dalle opinioni, le opinioni sono l’«approfondimento». Che così si chiama perché si ripromette di approfondire il significato di una situazione di attualità o di un fatto di cronaca, senza però l’intenzione di annullarlo. Nessun approfondimento riguardo alla “mafia capitale” finisce col negare che ci sia stata un’inchiesta della magistratura  e di conseguenza uno scandalo e delle gravi ripercussioni politiche. Approfondire vuol dire andare in profondità, e andando in profondità si trova  il “nucleo aletico” di un evento o di una teoria, che è ciò che nel corso dell’analisi resta tale e quale. 

    Se invece cambia, non si può più parlare di «approfondimento»: si deve parlare di “rivoluzione scientifica” (Thomas Kuhn). Applicando questo criterio epistemico alle discussioni in atto in ambito ecclesiale, non si può etichettare come «approfondimento» la proposta di una riforma sostanziale, che piace a chi patrocina l’avvento della nuova “Chiesa universale” di stampo “ecumenico” e “umanistico” dove siano recepite le istanze dello scisma di Oriente e della riforma luterana.

    Queste mie distinzioni possono sembrare cavilli o bizantinismi astratti di fronte a questioni così vitali e coinvolgenti come l’accesso dei cattolici divorziati alla Comunione o l’uso dei contraccettivi nel matrimonio tra fedeli. Ma – dico io –  se un giornalista o un lettore di giornali non ama addentrarsi in questa problematica teologica, si occupi di altro: nessuno gli chiede di avere un  parere personale in merito alle polemiche di scuola tra teologi o in merito alle nomine e alle destituzioni di alti ecclesiastici. Se si tratta di un non credente, si disinteressi di questi problemi interni della Chiesa. Se invece è credente, si interessi solo di quello che la Chiesa insegna in queste e nelle altre materie, senza preoccuparsi di interpretare le intenzioni segrete del Papa o di giudicare se al Sinodo dei vescovi abbiano ragione i conservatori o i progressisti. 

    Nessuno vorrà seguire il mio consiglio; ma allora, se uno intende entrare nel merito di questi problemi, l’unico criterio serio di valutazione è quello teologico, non certamente quello socio-politico, che va bene solo per la cronaca di altro genere: finanziaria, parlamentare, giudiziaria. E il criterio di valutazione deve esser fornito da persone competenti, le cui considerazioni vanno analizzate con pazienza e con l’intenzione di capire nozioni complesse, legate a premesse teoriche non immediatamente intuibili e a una massa enorme di dati storici. Se si farà questo sforzo, la prima cosa che si comprenderà è che ogni vero approfondimento della dottrina rivelata è una migliore comprensione della sua trascendenza rispetto alle vicissitudini storico-culturali.     

    Detto questo, aggiungo che l’intenzione implicita di chi parla di “approfondimenti” è di far giungere all’opinione pubblica cattolica il messaggio di una nuova pastorale che dovrebbe prescindere dal dogma: non solo ignorando nei fatti ma anche proclamandone indirettamente l’inutilità o peggio ancora la funzione negativa, di “freno” alle novità che sarebbero suggerite dallo Spirito Santo. 

    E qui colgo l’occasione per ripetere ancora una volta che questo anti-dogmatismo non è, alla fonte, soltanto un atteggiamento irrazionale, superficiale e incoerente: è molto peggio, è qualcosa di estremamente  pernicioso per la vita di fede della comunità cristiana, perché nasce da un progetto teoricamente ben strutturato che mira decisamente ad attuare nella Chiesa quelle riforme che da anni Hans Küng e i suoi discepoli (Enzo Bianchi) hanno teorizzato come necessarie al “cammino” della Chiesa nella storia e hanno profetizzato come di imminente realizzazione. 

    Queste riforme, che sono ben altro che un mero “approfondimento”, snaturerebbero la Chiesa di Cristo, facendole rinnegare quella coscienza di sé come «sacramento universale di salvezza», non tanto per gli adattamenti della sua azione pastorale alle necessità contingenti (adattamenti che peraltro sono necessari, tant’è che ci sono sempre stati) quanto per il carisma dell’infallibilità (che le consente di custodire e interpretare secondo la “mente di Cristo stesso” la verità rivelata) e per la promessa dell’indefettibilità (grazie alla quale essa è sempre stata e sarà sempre santa, cattolica e apostolica, capace di amministrare il sacramenti della grazia).

    In conclusione, io trovo alquanto ipocrita l’uso dell’etichetta dell’approfondimento per propagandare  una riforma della Chiesa che finisca per  abolire i fondamenti dogmatici della sua fede e della sua disciplina. Perché – come ho spiegato a più riprese – non esiste una prassi che non si richiami, almeno implicitamente, a una teoria, ossia a dei principi regolatori dell’azione, a delle mete da raggiungere in quanto considerate in sé positive, apportatrici di progresso e di felicità. 

    L’antidogmatismo non è altro che la retorica ipocrita di chi, mentre nega al dogma la sua funzione di orientamento della coscienza religiosa, opera in vista di determinati mutamenti della Chiesa che ritiene necessari per la realizzazione della sua utopia politico-religiosa. Il dogma cattolico, che è la verità rivelata da Dio in Cristo, viene messo da parte non perché lo si considera una teoria astratta dalla quale non possa derivare una prassi “aggiornata” ma perché si è scelta una teoria diversa, anzi opposta, in base alla quale si vuole favorire una prassi riformatrice o rivoluzionaria. Insomma, ci si dichiara nemici del dogma come tale, ma in realtà si è sostenitori fanatici di un diverso dogma. 

    Se  uno ascolta tante voci di segno progressista e riformatore, noterà che alcuni, i teologi più ascoltati, hanno il coraggio di parlare chiaramente di questi principi dogmatici, riconducibili allo storicismo, declinato in chiave dialettica secondo lo schema hegeliano del «superamento mediante la negazione» (Aufhebung) del quale ho già parlato in varie occasione (vedi quello che ho scritto su Hans Kung e la sua ecclesiologia). Ma tanti mediocri discepoli e timidi accoliti di questi opinion makers ecclesiali non hanno il coraggio e la capacità intellettuale di dichiarare a quale sistema ideologico e a quali principi dogmatici si ispirano nel proporre certe mutazioni della prassi pastorale come necessarie al progresso della Chiesa nel tempo che sitiamo vivendo. Ecco che allora viene fuori l’insulso discorso della pastorale che, pur rispettando a parole la dottrina, la contraddice nei fatti. E questa contraddizione la presenta ipocritamente come «approfondimento». 


     



    [Modificato da Caterina63 22/12/2014 12:14]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 14/01/2015 21:01
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      Dagli eunuchi per il regno dei cieli agli autocastrati del pensiero unico



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    Statua distrutta



    Perché di fronte all’iconoclastia che impera in Siria, in Iraq e in altre parti turbolente del mondo diciamo che è persecuzione contro i cristiani e i loro simboli e qui, invece, di fronte a fatti simili, diciamo che è “maleducazione”? Perché certi vescovi non chiamiamo più gli atti blasfemi con il loro nome? Attenzione: farsi “eunuchi per il Regno dei Cieli” non vuol dire perdere la virilità intesa come coraggio e fermezza.


    .



    lancillottidi Dorotea Lancellotti


    Così viene presentata una delle ultime profanazioni ai danni della Fede cattolica:



    • Un gruppetto di immigrati ha distrutto una statua della Vergine e ci ha urinato sopra. Ma il vescovo ammonisce: “Non è un atto di odio religioso. Per l’Islam la figura di Maria è molto importante: è la Madre del profeta Gesù concepito nella verginità e la Beata Vergine è la donna più santa – ha commentato il vescovo ausiliare di Perugia-Città della Pieve, mons. Paolo Giulietti – Molti musulmani vengono in preghiera nei santuari mariani del Medio Oriente. Non si può attribuire questo gesto di vandalismo, che come ho detto va condannato in ogni senso, ad un episodio di odio religioso. E’ importante non alimentare la diffidenza reciproca soprattutto in questo momento..”.


    La statua di Maria profanata.

    La statua di Maria profanata.



    Ma c’è dell’altro. Un anziano stava pregando davanti alla Madonnina di via Tilli, inginocchiato con la fotografia della moglie morta in mano, quando è stato aggredito e riempito di botte dal gruppo di “stranieri”, lo hanno insultato e gli hanno strappato pure la foto dalle mani, e se la sono portata via.  Quindi si sono accaniti contro la statua della Vergine, scaraventandola giù dall’edicola e spezzandola in due. Poi, racconta la Nazione, hanno aggravato l’oltraggio spingendosi fino ad orinarci sopra. (1)


    Senza dubbio il vescovo non ha tutti i torti nello spegnere l’incendio ed evitare che il fuoco propaghi soprattutto a fronte di quanto accaduto di recente in Francia (2), e senza dubbio è vandalismo sacrilego quando ci si accanisce contro una statua sacra e benedetta ed è “profanazione” sacrilega quando invece si agisce contro l’Eucaristia, ma quello che ci domandiamo è fino a che punto certi vescovi esprimono il Vangelo della tolleranza e dove inizia invece la paura di dire le cose come stanno, tacendo per timore della propria vita.



    Maleducazione?



    Madonna distrutta in Siria. Lì, però, non diciamo certo che si tratta di maleducazione...

    Madonna distrutta in Siria. Lì, però, non diciamo certo che si tratta di maleducazione…



    Ciò che risulta indigesto è che il vescovo abbia parlato di “maleducazione”, come se per una persona analfabeta o cresciuta in ambienti difficili fosse normale accanirsi contro una persona inerme che sta pregando per la strada davanti ad una icona della Vergine Maria, e frantumandone l’immagine ci urinasse sopra.


    No, questa non è semplice maleducazione, non è un caso di mala-educazione, è piuttosto una vera profanazione, un vero atto di accanimento anti-religioso che il vescovo si guarda bene dal dichiarare tale, trasformandolo in un atto quasi del tutto naturale…- se uno non è ben” educato”!


    Ma “male-educato”, lo dice il termine stesso, significa che qualcuno non è stato bene-educato a vivere con gli altri. Di conseguenza, l’atto compiuto da questi profanatori avrebbe all’origine il coinvolgimento di altre persone che a loro volta avrebbero educato male questo gruppetto di “stranieri”. L’atto vandalo, ma maggiormente l’atto blasfemo, perciò, non verrebbe da un essere semplicemente ignaro di che cosa sia essere bene-educato, quanto piuttosto dall’aver appreso che scagliarsi contro la fede cattolica è un bene, o del tutto normale, al limite è solo “maleducazione”.



    Quando l’atto non è vandalico ma blasfemo…



    Un atto o è vandalico o è blasfemo. Noi propendiamo sempre per il secondo caso, ovunque si trovino icone cristiane distrutte.

    Un atto o è vandalico o è blasfemo. Noi propendiamo sempre per il secondo caso, ovunque si trovino icone cristiane distrutte.



    L’atto vandalico è ben diversodall’oltraggio religioso, dalla profanazione, dalla blasfemia.


    L’atto vandalico è associato infatti all’adolescenza, ad atti burleschi, a gesti irrazionali scaturiti da una ribellione sociale e culturale e da un eccesso di ormoni che ancora prevalgono, a quell’età, sui neuroni. Qui, però, siamo davanti a qualcosa di molto ben più grave e il vescovo in fondo lo dice: la statua è stata ricollocata nella sua postazione originaria e sul luogo della profanazione è stato recitato un Santo Rosario di riparazione. Dalla Diocesi è arrivata una ferma condanna dell’atto sacrilego…


    Quindi o è un atto sacrilego o è un atto vandalico. La responsabilità e la gravità cambiano a seconda dell’atto e dell’intenzione.



    Una vera autocastrazione



    Quasi sempre, la nota frase di Gesù viene legata al tema della sessualità (come in questo libro). Ma il significato telogico è più profondo.

    Il celebre libro di una teologa ultra progressista e fanatica femminista dei decenni scorsi. Quasi sempre, la nota frase di Gesù viene legata al tema della sessualità (come in questo libro). Ma il significato telogico è più profondo.



    Il problema, diciamocelo francamente, sta nel fatto che molti, troppi, tra vescovi e preti, hanno confuso il celibato, il farsi eunuchi, con la rinuncia alla virilità (la quale non è affatto una cosa sessuale): il risultato è che si sono auto-castrati nell’anima e nella mente e pure nel cuore, a tal punto da non provare nulla davanti a simili atti – e questo tanto per dirlo in modo educato e per evitare una accusa di maleducazione – e così si arriva a scambiare un atto blasfemo e sacrilego per maleducazione, così tanto per non usare il termine peccato. Vedono cioè un atto vandalico quando invece si tratta di un atto peccaminoso proprio perchè blasfemo e sacrilego. Uno può anche essere cresciuto per la strada e non conoscere l’educazione, essere anche analfabeta, ma questo non c’entra nulla con atti simili.


    E’ vero che l’eunuco era colui che, privato della virilità, sotto il patto della Legge, non poteva entrare a far parte della congregazione del popolo di Dio (Deut. 23,1), ma Gesù viene a capovolgerne il senso dandogli un nuovo significato (Mt. 19). Il termine diventerà proprio di colui che rinuncerà ai desideri carnali per il regno dei cieli, mantenendo però intatta la virilità, la quale non verrà usata per scopo procreativo o sessuale, ma per supportare virilmente-coraggiosamente il progetto di Dio nel mondo. Quelli di cui è detto che si sono fatti eunuchi a motivo del Regno esercitano padronanza di sé per potersi impegnare nel servizio di Dio. L’apostolo Paolo raccomanda la castità come condotta migliore per i cristiani che non sono infiammati dalla passione. Questi, dice Paolo, possono servire il Signore con più costanza, senza distrazione (1Cor. 7,9 e 29-38), tali eunuchi non sono individui che si siano menomati fisicamente o che siano stati evirati; sono persone che scelgono volontariamente di non sposarsi. I tanti Santi e Martiri – ma anche fra gli sposati – ce lo insegnano.



    Mai attentare alla verità



    Il cardinale Biffi. In mezzo a tanto timore nei riguardi del mondo, le sue parole coraggiose spiccano sempre.

    Il cardinale Biffi. In mezzo a tanto timore nei riguardi del mondo, le sue parole coraggiose spiccano sempre.



    Ora qui c’era un anziano, all’inizio del fatto, che stava pregando per la moglie morta: è questa immagine che il gruppetto selvaggio è andata a colpire per primo, ma il vescovo non dice nulla in difesa di questa persona, tace.


    Siamo ad una svolta a riguardo del farsi  eunuchi per il regno di Dio, siamo agli “aucastrati” per il pensiero unico”



    •  Siamo letteralmente invasi dai travisamenti e dalle menzogne: i cattolici in larga parte non se ne avvedono, quando addirittura non rifiutano di avvedersene. Se io vengo percosso sulla guancia destra, la perfezione evangelica mi propone di offrire la sinistra. Ma se si attenta alla verità, la stessa perfezione evangelica mi fa obbligo di adoperarmi a ristabilirla: perché, dove si estingue il rispetto della verità, comincia a precludersi per l’uomo ogni via di salvezza  (Card. G. Biffi).


    Queste parole del cardinale Biffi ci portano a comprendere come i nostri Pastori, oggi, si stiano defilando davanti a fatti di gravissima portata contro la nostra fede, contro la verità, e il tutto in nome di una falsa tolleranza, di un falso rispetto che, oseremo dire, sotto la protezione dell’impalcatura del politicamente corretto, si usa per evitare discussioni ma anche la responsabilità della autentica educazione per il rispetto del sacro.


    Facciamo un esempio concreto tanto per rimanere in tema: se due genitori avessero un figlio testardamente maleducato, che urinasse nel salotto degli ospiti, o rompesse tutto, come reagirebbero?


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    Altra statua profanata



    Non vi diamo la risposta: ci auguriamo che tutti comprendano il da farsi.


    Nel nostro caso il vescovo, pur riconoscendo l’atto blasfemo, finisce invece con il giustificare il gruppetto che non avrebbe fatto ciò per “odio religioso” ma così, solo per passatempo da bravi maleducati! quasi un  gesto bambinesco o adolescenziale, privo di ripercussione.


    Anzi, se a reagire è la vittima, si rischia l’accusa di qualche fobia e la responsabilità di ogni contro-reazione violenta o meno.



     Gesù non era un buonista…



    Cacciata dei Mercanti dal tempio. Francesco Gessi, 1648.

    Cacciata dei Mercanti dal tempio. Francesco Gessi, 1648.



    Ricordiamo tutti l’unico atto, gesto, in cui il Signore Gesù – nel Vangelo – perde per così dire la santa pazienza e prepara una cordicella che userà come frusta per scacciare i mercanti dal tempio?


    “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri” (Mt. 21,12). È certo che l’interpretazione teologica è assai profonda: non ci si mette a mercanteggiare con Dio; Non si può pagare Dio per ottenere da lui dei favori; la Casa di Dio è sì aperta a tutti, chiunque può e deve accedervi ma proprio per incontrarsi con Dio, con la Presenza reale.


    I ladri, i mercanti sono coloro che (battezzati e non) entrano in questa Casa con tutt’altre intenzioni, e coloro che si lamentano del gesto di Gesù sono coloro che vogliono usare il tempio per altri scopi.


    La reazione di Gesù non viene compresa, o peggio, viene usata: i capi dei sacerdoti infatti sono gonfi d’ira. Il vaso è colmo. A questo punto vogliono veramente sbarazzarsi di questo guastafeste che è Gesù. E qui ci fermiamo per non uscire dal tema.



    Virilità, dove sei finita?



    Don Maggioni, il prete canterino. Con i complimenti - pare - del suo Vescovo.

    Don Maggioni, il prete canterino e ballerino: così rende le liturgie uno spettacolo dozzinale e compiacente, sacrilego. Con i complimenti – pare – del suo Vescovo. Se solo osasse celebrare devotamente in latino, immediatamente sarebbe quasi scacciato dalla diocesi. Aveva ragione Ratzinger: “Quante volte ormai la liturgia è solo una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi”. 



    Santità siate virile” scriveva al Papa la giovane Caterina da Siena.


    Ci viene il sospetto che molti nostri Pastori non siano più in grado di distinguere gli atti gravi (peccati mortali) dagli atti veniali associabili davvero alla semplice mala-educazione. Del resto non sono forse loro stessi, per primi, a compiere atti sacrileghi durante le Messe quando invece di proclamare il Cristo proclamano se stessi dai pulpiti, dagli altari, sostituendo il vero Protagonista con il loro proprio ego?


    Non sono in fondo loro stessi che in nome della par condicio (o meglio dire porco-ndicio) hanno eliminato il Crocefisso dagli altari e sfrattato il Santissimo Sacramento dal centro delle nostre chiese, e non si inginocchiano più davanti al tabernacolo o davanti alla Presenza reale? Non sono forse stati loro, per primi, come ebbe a denunciare Giovanni Paolo II, che negli anni novanta tentarono di rimuovere persino le statue della Vergine, di San Giuseppe e dei Santi per non urtare la sensibilità ecumenica?


    Come valutare ad esempio le tante notizie che vediamo in rete con il sacerdote che riempie la Chiesa di palloncini e luci multi-color, e celebra il Mistero del Sacrificio come se fosse in una discoteca? o balla sfrenatamente e in modo ridicolo i Ricchi-e-Poveri durante la messa di un matrimonio? Il vescovo messo al corrente del fatto (che è in video su youtube) pare che si sia rallegrato del proprio presbitero.


    Dal quotidiano canadese «National Post» del luglio del 2009 venne riportato uno scandalo grave religioso, quello provocato dal primo ministro del Canada, Sig. Stephen Harper. Durante la celebrazione della S. Messa celebrata dall’Arcivescovo André Richard (della Diocesi di Moncton) nella chiesa cattolica di S. Tommaso (a Memramcook). Al momento della comunione il premier (di nota fede protestante! che ci stava a fare in fila per la comunione?) ha ricevuto l’Ostia e dopo averla guardata e forse domandatosi cosa fosse, se l’è messa in tasca. Nel video la sequenza del gesto è chiara e non può essere negata nè fraintesa e mostra a tutti la sacrilega profanazione della Santissima Eucarestia.



     Le regole ci sono… ma chi le applica?



    Giovanni Paolo II: lui conosceva bene il valore dell'Eucaristia.

    Giovanni Paolo II: lui conosceva bene il valore dell’Eucaristia.



    Eppure il testo firmato da San Giovanni Paolo II spiega chiaramente come evitare queste profanazioni:



    • Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca, se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra Ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli…” (3)


    Dunque è questo “pericolo” di profanazioni che i vescovi non riescono più a vedere!


    Per questo parliamo di “autocastrati” del quieto vivere anzichè del più originale e virile “farsi eunuchi” per morire da martiri, per il regno dei cieli. Non basta la riprovazione contro un atto sacrilego, bisogna agire, educare senza dubbio, ma anche agire e agire virilmente.



    Altre notizie ci fanno capire meglio. Forse

    La Chiesa di Rieti da cui sono state sottratte delle Ostie consacrate.

    La Chiesa di Rieti da cui sono state sottratte delle Ostie consacrate.

    La diocesi di Rieti ha dato notizia del fatto che:

    • «Il 6 ottobre 2014, presso la chiesa parrocchiale di S. Maria delle Grazie in Vazia, in circostanze ancora da chiarire, è stato perpetrato il furto sacrilego della Santissima Eucaristia ad opera di ignoti, i quali hanno asportato la pisside con le Particole consacrate e la teca con l’Ostia grande custodite nel tabernacolo. Si invitano i fedeli alla preghiera per la riparazione spirituale di questo grave peccato contro la fede».

    È quanto si legge nella nota stampa diffusa dalla diocesi. Restiamo perplessi davanti alla presa poco virile della diocesi:

    “Si invitano i fedeli alla preghiera per la riparazione spirituale…”.

    Riparazione “spirituale”? No, perdonateci! Non è stato portato via qualcosa di “spirituale”, ma il vero Corpo, la vera Presenza reale di Nostro Signore Gesù ed è stata portata via la pisside non certo per un aperitivo o per un antipasto: sappiamo bene che il furto è collegato alle messe nere. Dove sta l’azione del vescovo con le Messe di riparazione? Dove sta la mobilitazione dei fedeli per una processione di riparazione? Ad un atto così grave deve corrispondere una reazione altrettanto grave, non certo violenta, ma grave nel senso di altrettanto forte e di mediaticamente incisiva.

    Ma questi vescovi ci credono davvero alla Presenza reale?

    Abbiamo notato come certo clero modernista non si faccia scrupoli nel denunciare quei laici che mettono loro il bastone – della giustizia – tra le ruote per frenare le loro nefandezze (4), e abbiamo notato come diventi tutto lecito quando si tratta di profanazioni liturgiche o di atti vandalici contro gli oggetti di culto cattolici. Vescovi pronti a denunciare, a trascinare virilmente in tribunale, il laico cattolico che denuncia le loro nefandezze, ma silenti, eunuchi non evangelicamente parlando, quando ci sarebbe da denunciare il non cattolico che profana oggetti e luoghi di culto cattolici.

    Mons. Crociata è stato chiaro: "Il disprezzo e la violenza verso ciò che c'è di più prezioso per noi credenti - i luoghi sacri, la preghiera, i sacramenti, massimamente l’Eucaristia - sono segno di profondo degrado morale e civile, che chiede una presa di coscienza da parte di tutti"

    Mons. Crociata è stato chiaro: “Il disprezzo e la violenza verso ciò che c’è di più prezioso per noi credenti – i luoghi sacri, la preghiera, i sacramenti, massimamente l’Eucaristia – sono segno di profondo degrado morale e civile, che chiede una presa di coscienza da parte di tutti”

    Latina 2 agosto 2014, comunicato del Vescovo mons. Crociata, il più sensato fra i tanti, riguardo al sacrilegio di dare fuoco alla statua della Madonna e alla dispersione dell’Ostia santa:

    • Nella chiesa parrocchiale  Stella Maris di Latina si sono verificati ancora una volta atti di vandalismo e di profanazione: che sono arrivati alla dispersione della Santissima Eucaristia. A nome mio personale e di tutta la diocesi, esprimo la ferma condanna per tali gesti, che offendono la comunità ecclesiale e i suoi fedeli, ma non meno quanti hanno a cuore la civile convivenza e il rispetto delle persone e delle coscienze. Il disprezzo e la violenza verso ciò che c’è di più prezioso per noi credenti – i luoghi sacri, la preghiera, i sacramenti, massimamente l’Eucaristia – sono segno di profondo degrado morale e civile, che chiede una presa di coscienza da parte di tutti. Domani, domenica 3 agosto, invito alla riflessione e alla preghiera i sacerdoti e i fedeli che si radunano per celebrare il Giorno del Signore. Vogliamo reagire all’atto sacrilego con la riparazione e un accresciuto senso di fede e di comunione ecclesiale.

    O notizie come questa dove ad intervenire non è neppure il vescovo, ma il sindaco:

    “Ora basta! Altra statua della Madonna umiliata, coperta, e un copertone messo sulla testa. Dopo il fatto sconcertante di Perugia…” (leggi qui).

    Correzione fraterna per non diventare ciechi che guidano altri ciechi…

    Il concerto del 1 Maggio: qui, in una delle ultime edizioni, si consumò un atto blasfemo. A pochi passi dal sacro, come si può vedere nella foto.

    Il concerto del 1 Maggio: qui, in una delle ultime edizioni, si consumò un atto blasfemo. A pochi passi dal sacro, come si può vedere nella foto.

    Ci guardiamo bene dal dire ai Pastori cosa debbano o non debbano fare. sappiamo bene che il Signore guida la sua Chiesa e sa scrivere su righe storte, come affermavano Benedetto XVI e Madre Teresa di Calcutta, ma essendo chiamati tutti alla “correzione fraterna” invitiamo i vescovi, questi vescovi che hanno confuso l’essere virili con il farsi eunuchi, ad ascoltare almeno un loro confratello, il vescovo Negri che così denunciò e disse:

    “Andiamo a Roma: a 50 metri o poco più dalla cattedrale che è la cattedrale di tutte le chiese cattoliche del mondo; nella città del Papa, che è tale, come ricorda l’attuale pontefice, in quanto vescovo di Roma. Bene, in questa situazione si dileggia gravissimamente l’Eucarestia utilizzando un preservativo come se fosse un veicolo di salvezza, e viene presentato come veicolo di salvezza perché libera da tutte le malattie. La gente viene invitata a farne uso perché questa è la strada dell’emancipazione, intellettuale, morale, sessuale. Da uno che agisce o balla seminudo in una situazione assolutamente di pena anche dal punto di vista estetico.

    Mons. Negri: l'imperativo per i vescovi dovrebbe essere "Educare un popolo cristiano che diventi cosciente della sua identità".

    Mons. Negri: l’imperativo per i vescovi dovrebbe essere “Educare un popolo cristiano che diventi cosciente della sua identità”.

    “Ebbene, a 50 metri dalla cattedrale di Roma, in un momento in cui centinaia di miglia di persone si raccolgono settimanalmente per incontrare papa Francesco, i sindacati italiani compiono un atto di terribile attacco non alla tradizione cattolica soltanto, ma ad ogni qualsiasi tradizione o posizione culturale che non coincide con questo consumismo becero che se arrivasse alle estreme conseguenze vanificherebbe anche l’utilità e quindi l’esistenza dei sindacati.

    “Per la prima volta da quando il papa Giovanni Paolo II mi ha chiamato ad essere vescovo della Chiesa cattolica in Italia sono profondamente a disagio. Chi siamo, che cosa vogliamo? Chi siamo noi vescovi in Italia e che cosa vogliamo? Educare un popolo cristiano che diventi cosciente della sua identità, e sia in grado di essere quella minoranza creativa di cui ha parlato Benedetto XVI? O siamo gente che ritaglia in questo coacervo di bestialità lo spazio per i piccoli servizi religiosi che saranno chiesti da sempre meno persone. E poi alle stesse persone diciamo cose ovvie come la necessità che ci siano governi efficienti e così via. Cose peraltro giuste, ma non è su questo che  si gioca il destino del popolo italiano, del suo presente e del suo futuro.

    “Non nascondo il disagio, ma non nascondo anche la determinazione di andare fino in fondo in questa battaglia…” (5)

     Per concludere…

    Caterina da Siena: più "virile" lei, nel senso di impavida, che tanti ecclesiastici del suo (e del nostro) tempo.

    Caterina da Siena: più “virile” lei, nel senso di impavida, che tanti ecclesiastici del suo (e del nostro) tempo.

    Se preferite, concludiamo queste riflessioni con le parole di Santa Caterina da Siena dal Dialogo, che di virilità se ne intendeva perché era una donna coraggiosa, e molto:

    • Molto è piacevole a me il desiderio di volere portare ogni pena e fadiga infino a la morte in salute de l’anime. Quanto piú sostiene, piú dimostra che m’ami; amandomi, piú cognosce della mia veritá; e quanto piú cognosce, piú sente pena e dolore intollerabile de l’offesa mia (…) Perché giá ti dixi che quanto era maggiore l’amore, tanto cresce il dolore e la pena. A cui cresce amore, cresce dolore… (…) La pazienza non si pruova se non nelle pene, e la pazienza è unita con la carità, come decto è. Adunque portate virilmente, altrimenti non sareste né dimostrareste d’essere sposi della mia Veritá e figliuoli fedeli..  (S.Caterina da Siena – Dialogo della Divina Provvidenza cap.V).

    E continua:

    “Neuno Stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la sancta giustizia, però che colui che non è correcto e non corregge fa come il membro che è cominciato a infracidare, che, se‘l medico vi pone subbitamente l’unguento solamente e non incuoce la piaga, tucto il corpo imputridisce e corrompe. Cosí è’l prelato, o altri signori che hanno sudditi, vedendo il membro del suddito loro essere infracidato per la puzza del peccato mortale, se esso vi pone solo l’unguento della lusinga senza la reprensione, non guarisce mai, ma guastarà l’altre membra, che gli sono d’intorno legate in uno medesimo corpo, cioè a uno medesimo pastore. Ma se elli sarà vero e buon medico di quelle anime, si come erano questi gloriosi pastori, egli non darà unguento senza il fuoco della reprensione (…)

    “Ma essi non fanno oggi cosí: fanno vista di non vedere. E sai tu perché?

    Santa Caterina scrive: i suoi antichi moniti sono validi anche per l'oggi.

    Santa Caterina scrive: i suoi antichi moniti sono validi anche per l’oggi.

    “Perché la radice de l’amore proprio vive in loro, unde essi traggono il perverso timore servile; però che, per timore di non perder lo Stato o le cose temporali o prelazioni mondane, non correggono; ma  fanno come aciecati…

    “Che se essi vedessero come egli si conserva per la sancta giustizia, la manterrebbero. Ma perché essi sonno privati del lume, non cognoscono; ma, credendolo conservare con la ingiustizia, non riprendono e’l difecti de’ sudditi loro; ma ingannati sono da la propria passione sensitiva e da l’appetito della signoria o della prelazione.

    “E anco non correggono, perché essi sono in quelli medesimi difecti o maggiori. Sentonsi compresi nella colpa, e però perdono l’ardire virile e la sicurtà; e, legati dal timore servile, fanno vista di non vedere. E se pure veggono, non correggono; anco  si lassano legare con le parole lusinghevoli e con molti presenti, e essi medesimi truovano le scuse per non punirli.In costoro si compie la parola che dixe la mia Verità, dicendo: “Costoro sono ciechi e guide de’ ciechi ; e se l’uno cieco guida l’altro, ambedue caggiono nella fossa”.

    (S.Caterina da Siena - Dialogo della Divina Provvidenza cap. CXIX)

     

    Note

     

    1) da IlGiornale.it del 12.1.2015

    2) da papalepapale.com Io non sono Charlie

    3) S. Giovanni Paolo II da Redemptionis Sacramentum n. 92

    4) ricordiamo tutti le vicende accorse a Francesco Colafemmina di FidesetForma a riguardo delle sue denuncie.

    5) da LaNuovaBussola mons. Negri nel 5 maggio del 2013





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 14/01/2015 23:11
      il Discorso dimenticato............ cari Vescovi e sacerdoti, questo è puro MAGISTERO. riscopritelo!


    VIAGGIO APOSTOLICO 
    DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 
    IN BRASILE IN OCCASIONE DELLA V CONFERENZA GENERALE
    DELL’EPISCOPATO LATINOAMERICANO E DEI CARAIBI

    INCONTRO E CELEBRAZIONE DEI VESPRI 
    CON I VESCOVI DEL BRASILE

    DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

    Catedral da Sé, São Paulo
    Venerdì, 11 maggio 2007


     

    Amati fratelli nell’Episcopato!

    «Pur essendo Figlio di Dio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (cfr Eb 5, 8-9).

    1. Il testo che abbiamo appena ascoltato nella Lettura Breve dei Vespri odierni contiene un profondo insegnamento. Anche in questo caso constatiamo che la Parola di Dio è viva e più tagliente di una spada a doppio taglio, penetra fino alla giuntura dell'anima, procurandole sollievo e stimolando i suoi servitori fedeli (cfr Eb 4, 12).

    Ringrazio a Dio per avermi concesso di incontrare un Episcopato prestigioso, che presiede ad una delle più numerose popolazioni cattoliche del mondo. Vi saluto con sensi di profonda comunione e di sincero affetto, ben conoscendo la dedizione con la quale seguite le comunità che vi sono state affidate. La calorosa accoglienza da parte del Signor Parroco della Catedral da Sé e di tutti i presenti mi ha fatto sentire a casa, in questa grande Casa comune che è la nostra Santa Madre, la Chiesa Cattolica.

    Rivolgo un saluto speciale alla nuova Presidenza della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile e, mente esprimo riconoscenza per le parole del suo Presidente, Mons. Geraldo Lyrio Rocha, formulo l’auspicio di un proficuo lavoro nel compito di consolidare sempre più la comunione tra i Vescovi e di promuovere l’azione pastorale comune in un territorio di dimensioni continentali.

    2. Il Brasile accoglie con la sua tradizionale ospitalità i partecipanti alla V Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano. Esprimo il mio ringraziamento per la cortese accoglienza da parte dei suoi membri ed il mio profondo apprezzamento per le preghiere del popolo brasiliano, elevate soprattutto per il successo dell’incontro dei Vescovi ad Aparecida.

    Si tratta di un grande evento ecclesiale che si situa nell’ambito dello sforzo missionario che l’America Latina dovrà assumersi, proprio a partire da qui, dal suolo brasiliano. È per questo che ho voluto rivolgermi inizialmente a voi, Vescovi del Brasile, evocando quelle parole dense di contenuto della Lettera agli Ebrei: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9)Esuberanti nel loro significato, questi versetti parlano della compassione di Dio per noi, espressa nella passione del suo Figlio; e parlano della sua ubbidienza, della sua libera e cosciente adesione ai disegni del Padre, esplicitata in modo speciale nella preghiera nel monte degli Ulivi: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc22,42). Così, è Gesù stesso che ci insegna che la vera via di salvezza consiste nel conformare la nostra volontà a quella di Dio. È precisamente ciò che chiediamo nella terza invocazione della preghiera del Padre Nostro: che sia fatta la volontà di Dio come in cielo così in terra, poiché laddove regna la volontà di Dio, lì è presente il Regno di Dio. Gesù ci attira con la sua volontà, con la volontà del Figlio, ed in questo modo ci guida verso la salvezza. Andando incontro alla volontà di Dio, con Gesù Cristo, apriamo il mondo al Regno di Dio.

    Noi Vescovi siamo convocati per manifestare questa verità centrale, poiché siamo legati direttamente a Cristo, Buon Pastore. La missione che ci è affidata, come Maestri della fede, consiste nel ricordare, come lo stesso Apostolo delle Genti scriveva, che il nostro Salvatore«vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4-6). Questa, e non altra, è la finalità della Chiesa: la salvezza delle anime, una ad una. Il Padre perciò ha inviato il suo Figlio, e «come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi», è detto in San Giovanni (Gv 20, 21). Da qui, il mandato di evangelizzare: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). Sono parole semplici e sublimi, nelle quali sono indicati l’obbligo di predicare la verità della fede, l’urgenza della vita sacramentale, la promessa dell’aiuto continuo di Cristo alla sua Chiesa. Queste sono realtà fondamentali e si riferiscono all’istruzione nella fede e nella morale cristiana, così come alla pratica dei sacramenti. Laddove Dio e la sua volontà non sono conosciuti, dove non esiste la fede in Gesù Cristo, e nella sua presenza nelle celebrazioni sacramentali, manca l’essenziale anche per la soluzione degli urgenti problemi sociali e politici. La fedeltà al primato di Dio e della sua volontà, conosciuta e vissuta in comunione con Gesù Cristo, è il dono essenziale che noi Vescovi e sacerdoti dobbiamo offrire alla nostra gente (cfr Populorum progressio,21).

    3. Il ministero episcopale ci spinge così al discernimento della volontà salvifica, nella ricerca di una pastorale che educhi il Popolo di Dio a riconoscere ed accogliere i valori trascendenti, in fedeltà al Signore e al Vangelo.

    È vero che i tempi presenti risultano difficili per la Chiesa e molti dei suoi figli sono tribolati. La vita sociale sta attraversando momenti di smarrimento sconcertante. Viene attaccata impunemente la santità del matrimonio e della famiglia, cominciando dal fare concessioni di fronte a pressioni capaci di incidere negativamente sui processi legislativi; si giustificano alcuni delitti contro la vita nel nome dei diritti della libertà individuale; si attenta contro la dignità dell’essere umano; si diffonde la ferita del divorzio e delle libere unioni. Più ancora: quando, in seno alla Chiesa, è messo in questione il valore dell’impegno sacerdotale come affidamento totale a Dio attraverso il celibato apostolico e come totale disponibilità a servire le anime, e si dà la preferenza alle questioni ideologiche e politiche, anche partitiche, la struttura della totale consacrazione a Dio comincia a perdere il suo significato più profondo. Come non sentire tristezza nella nostra anima? Ma abbiate fiducia: la Chiesa è santa e incorruttibile (cfr Ef 5, 27). Diceva Sant’Agostino: «La Chiesa vacillerà, se vacilla il suo fondamento; ma potrà forse Cristo vacillare? Visto che Cristo non vacilla, la Chiesa rimarrà intatta fino alla fine dei tempi» (Enarrationes in Psalmos, 103, 2, 5; PL 37, 1353).

    Tra i problemi che affliggono la vostra sollecitudine pastorale c’è, senza dubbio, la questione dei cattolici che abbandonano la vita ecclesiale. Sembra chiaro che la causa principale, tra le altre, di questo problema possa essere attribuita alla mancanza di un’evangelizzazione in cui Cristo e la sua Chiesa stiano al centro di ogni delucidazione. Le persone più vulnerabili al proselitismo aggressivo delle sette – che costituisce motivo di giusta preoccupazione – e incapaci di resistere agli assalti dell’agnosticismo, del relativismo e del laicismo sono in genere i battezzati non sufficientemente evangelizzati, facilmente influenzabili perché possiedono una fede fragile e, a volte, confusa, vacillante ed ingenua, anche se conservano una religiosità innata. Nell’Enciclica Deus caritas estho ricordato che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1). È necessario, pertanto, avviare l’attività apostolica come una vera missione nell’ambito del gregge costituito dalla Chiesa Cattolica in Brasile, promovendo un’evangelizzazione metodica e capillare in vista di un’adesione personale e comunitaria a Cristo. Si tratta infatti di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente Gesù Cristo, attraverso una pastorale dell’accoglienza che li aiuti a sentire la Chiesa come un luogo privilegiato dell’incontro con Dio e mediante un itinerario catechistico permanente.

    Si richiede, in una parola, una missione evangelizzatrice che interpelli tutte le forze vive di questo gregge immenso. Il mio pensiero pertanto va ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose ed ai laici che si prodigano, molte volte con difficoltà immense, per la diffusione della verità evangelica. Molti di loro collaborano o partecipano attivamente nelle Associazioni, nei Movimenti e nelle altre nuove realtà ecclesiali che, in comunione con i loro Pastori ed in conformità con gli orientamenti diocesani, portano la loro ricchezza spirituale, educativa e missionaria nel cuore della Chiesa, come preziosa esperienza e proposta di vita cristiana.

    In questo sforzo evangelizzatore, la comunità ecclesiale si distingue per le iniziative pastorali, inviando soprattutto nelle case delle periferie urbane e dell’interno i suoi missionari, laici o religiosi, cercando di dialogare con tutti in spirito di comprensione e di delicata carità. Tuttavia, se le persone incontrate vivono in una situazione di povertà, bisogna aiutarle come facevano le prime comunità cristiane, praticando la solidarietà perché si sentano veramente amate. La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il Vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il «pane materiale». Come ho potuto mettere in risalto nell’Enciclica Deus caritas est«la Chiesa non può trascurare il servizio della carità, così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola» (n. 22).

    La vita sacramentale, specialmente attraverso la Confessione e l’Eucaristia, assume qui un’importanza di prima grandezza. A voi Pastori spetta il compito principale di assicurare la partecipazione dei fedeli alla vita eucaristica e al Sacramento della Riconciliazione; dovete vigilare perché l’accusa e l’assoluzione dei peccati siano ordinariamente individuali, così come il peccato costituisce un fatto profondamente personale (cfr Esort. ap. postsinodaleReconciliatio et paenitentia31, III). Soltanto l’impossibilità fisica o morale esime il fedele da questa forma di confessione, potendo lui in questo caso ottenere la riconciliazione con altri mezzi (cfr can. 960; cfr Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 311). È opportuno, perciò, inculcare nei sacerdoti la pratica della disponibilità generosa ad accogliere i fedeli che ricorrono al Sacramento della misericordia di Dio (cfr Lett. ap. Misericordia Dei,n. 2).

    4. Ripartire da Cristo in tutti gli ambiti della missione, riscoprire in Gesù l’amore e la salvezza che il Padre ci dà, mediante lo Spirito Santo: tale è la sostanza, la radice della missione episcopale che fa del Vescovo il primo responsabile della catechesi diocesana. Spetta a lui, infatti, la direzione superiore della catechesi, circondandosi di collaboratori competenti e degni di fiducia. È ovvio, pertanto, che i suoi catechisti non sono semplici comunicatori di esperienze di fede, ma devono essere autentici araldi, sotto la guida del loro Pastore, delle verità rivelate. La fede è un cammino condotto dallo Spirito Santo che si compendia in due parole: conversione e sequela. Queste due parole-chiave della tradizione cristiana indicano chiaramente che la fede in Cristo implica una prassi di vita fondata sul duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, ed esprimono anche la dimensione sociale della vita.

    La verità suppone una conoscenza chiara del messaggio di Gesù trasmessa grazie ad un linguaggio inculturato comprensibile, ma necessariamente fedele alla proposta del Vangelo. Nei tempi attuali è urgente una conoscenza adeguata della fede, com’è ben riepilogata nelCatechismo della Chiesa Cattolicacon il suo CompendioFa parte della catechesi essenziale anche l’educazione alle virtù personali e sociali del cristiano, così come l’educazione alla responsabilità sociale. Precisamente perché fede, vita e celebrazione della sacra liturgia come fonte di fede e di vita sono inseparabili, è necessaria una più corretta applicazione dei principi indicati dal Concilio Vaticano II, riguardanti la Liturgia della Chiesa, incluse le disposizioni contenute nel Direttorio per i Vescovi (cfr nn. 145-151), con il proposito di restituire alla Liturgia il suo carattere sacro. È con questa finalità che il mio Venerabile Predecessore sulla Cattedra di Pietro, Giovanni Paolo II, ha voluto rinnovare «un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà… La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i santi Misteri» (Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia, 52). Riscoprire e apprezzare l’ubbidienza alle norme liturgiche da parte dei Vescovi, come «moderatori della vita liturgica della Chiesa», significa rendere testimonianza della Chiesa stessa, una ed universale, che presiede nella carità.

    5. Bisogna fare un salto di qualità nella vita cristiana del popolo, perché possa testimoniare la sua fede in maniera limpida e chiara. Questa fede, celebrata e partecipata nella liturgia e nella carità, nutre e rinvigorisce la comunità dei discepoli del Signore, mentre li edifica come Chiesa missionaria e profetica. L’Episcopato brasiliano possiede una struttura di grande portata, i cui Statuti sono stati recentemente rivisti per la loro migliore attuazione ed una più esclusiva dedizione al bene della Chiesa. Il Papa è venuto in Brasile per chiedere che, al seguito della Parola di Dio, tutti i Venerabili Fratelli nell’Episcopato sappiano essere portatori di eterna salvezza per tutti coloro che obbediscono a Cristo (cfr Eb 5,9). Noi Pastori, sulla scia dell’impegno assunto come successori degli Apostoli, dobbiamo essere fedeli servitori della Parola, senza visioni riduttive né confusioni nella missione che ci è affidata. Non basta osservare la realtà a partire dalla fede personale; è necessario lavorare con il Vangelo alla mano ed ancorati all’autentica eredità della Tradizione Apostolica, senza interpretazioni motivate da ideologie razionalistiche.

    Così, «nelle Chiese particolari spetta al Vescovo conservare ed interpretare la Parola di Dio e giudicare con autorità ciò che risulta essere o non essere in conformità con essa» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo,n. 19). Egli, come Maestro di fede e di dottrina, potrà contare sulla collaborazione del teologo che, «nella sua dedizione al servizio della verità, dovrà, per rimanere fedele alla sua funzione, tenere conto della missione propria del Magistero e con esso collaborare» (ibid., n. 20). Il dovere di conservare il deposito della fede e di mantenere la sua unità richiede una stretta vigilanza, in modo tale che esso sia «conservato e trasmesso fedelmente, e che le posizioni particolari siano unificate nell’integrità del Vangelo di Cristo» (Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovin. 126).

    Ecco quindi l’enorme responsabilità che assumete come formatori del popolo, specialmente dei vostri sacerdoti e religiosi. Sono loro i vostri fedeli collaboratori. Conosco l’impegno con il quale cercate di formare le nuove vocazioni sacerdotali e religiose. La formazione teologica e nelle discipline ecclesiastiche richiede un aggiornamento costante, ma sempre in accordo con l’autentico Magistero della Chiesa.

    Faccio appello al vostro zelo sacerdotale ed al senso di discernimento delle vocazioni, anche per sapere completare la dimensione spirituale, psico-affettiva, intellettuale e pastorale nei giovani maturi e disponibili al servizio della Chiesa. Un buono ed assiduo accompagnamento spirituale è indispensabile per favorire la maturazione umana, ed evita il rischio di deviazioni nel campo della sessualità. Tenete sempre presente che il celibato sacerdotale costituisce un dono «che la Chiesa ha ricevuto e vuole conservare, convinta che esso è un bene per lei e per il mondo» (Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiterin. 57).

    Vorrei raccomandare alla vostra sollecitudine anche le Comunità religiose che si inseriscono nella vita della vostra Diocesi. Esse offrono un contributo prezioso, poiché «vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito» (1 Cor 12,4). La Chiesa non può non manifestare gioia ed apprezzamento per tutto quello che i Religiosi vanno realizzando attraverso le Università, le scuole, gli ospedali ed altre opere ed istituzioni.

    6. Conosco la dinamica delle vostre Assemblee e lo sforzo per definire i diversi piani pastorali in modo che diano la priorità alla formazione del clero e degli operatori della pastorale. Alcuni di voi hanno incoraggiato movimenti di evangelizzazione per facilitare il raggruppamento dei fedeli in una certa linea d’azione. Il Successore di Pietro conta su di voi, perché la vostra preparazione poggi sempre sulla spiritualità di comunione e di fedeltà alla Sede di Pietro, affinché sia sicuro che l’azione dello Spirito non sia vana. Infatti, l’integrità della fede, insieme alla disciplina ecclesiale, è e sempre sarà, un tema che richiederà attenzione e impegno da parte di tutti voi, soprattutto quando si tratta di trarre le conseguenze dal fatto che esiste «una sola fede ed un solo battesimo».

    Come sapete, tra i diversi documenti che si occupano dell’unità dei cristiani si trova ilDirettorio per l’Ecumenismo, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. L’Ecumenismo, ossia la ricerca dell’unità dei cristiani diventa in questo nostro tempo, nel quale si verifica l’incontro delle culture e la sfida del secolarismo, un compito sempre più urgente della Chiesa cattolica. In conseguenza, però, della moltiplicazione di sempre nuove denominazioni cristiane e, soprattutto di fronte a certe forme di proselitismo, frequentemente aggressivo, l’impegno ecumenico diventa un lavoro complesso. In tale contesto, è indispensabile una buona formazione storica e dottrinale, che abiliti al necessario discernimento ed aiuti a capire l’identità specifica di ognuna delle comunità, gli elementi che dividono e quelli che aiutano nel cammino verso la costruzione dell’unità. Il grande campo comune di collaborazione dovrebbe essere la difesa dei valori morali fondamentali, trasmessi dalla tradizione biblica, contro la loro distruzione in una cultura relativistica e consumistica; e ancora, la fede in Dio Creatore ed in Gesù Cristo, suo Figlio incarnato. Inoltre, vale sempre il principio dell’amore fraterno e della ricerca di comprensione e di avvicinamenti reciproci; ma anche la difesa della fede del nostro popolo, confermandolo nella gioiosa certezza che l’«unica Christi Ecclesia… subsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et Episcopis in eius communione gubernata» («l’unica Chiesa di Cristo… sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui» (Lumen gentium8).

    In tale senso si procederà verso un dialogo ecumenico franco, per il tramite del Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane, impegnandosi al pieno rispetto delle altre confessioni religiose, desiderose di rimanere in contatto con la Chiesa cattolica che è in Brasile.

    7. Non costituisce affatto una novità la constatazione che il vostro Paese convive con un disavanzo storico di sviluppo sociale, le cui tracce estreme sono il vasto contingente di brasiliani che vivono in situazione di indigenza ed una disuguaglianza nella distribuzione del reddito, che arriva a livelli molto elevati. A voi, venerabili Fratelli, come gerarchia del popolo di Dio, spetta promuovere la ricerca di soluzioni nuove e colme di spirito cristiano. Una visione dell’economia e dei problemi sociali, dalla prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, porta a considerare le cose sempre dal punto di vista della dignità dell’uomo, che trascende il semplice gioco dei fattori economici. Bisogna, quindi, lavorare instancabilmente a favore della formazione dei politici, come anche di tutti i brasiliani che hanno un determinato potere di decisione, grande o piccolo che sia, ed in genere di tutti i membri della società, in modo tale che assumano pienamente le proprie responsabilità e sappiano dare un volto umano e solidale all’economia.

    È necessario formare nelle classi politiche ed imprenditoriali un genuino spirito di veracità e di onestà. Coloro che assumono un ruolo di leadership nella società devono cercare di prevedere le conseguenze sociali, dirette ed indirette, a breve e lungo termine, delle proprie decisioni, agendo secondo criteri di massimizzazione del bene comune, invece di cercare profitti personali.

    8. A Dio piacendo, carissimi Fratelli, troveremo altre opportunità per approfondire le questioni che interpellano la nostra congiunta sollecitudine pastorale. Questa volta ho voluto, certamente non in maniera esaustiva, esporre i temi più rilevanti che si impongono alla mia considerazione di Pastore della Chiesa universale. Vi partecipo il mio affettuoso incoraggiamento, che è al tempo stesso una fraterna e sentita supplica: perché proseguiate e lavoriate sempre, come già andate facendo, nella concordia, avendo per vostro fondamento una comunione che nell’Eucaristia trova il suo momento culminante e la sua sorgente inesauribile. Vi affido tutti a Maria Santissima, Madre di Cristo e Madre della Chiesa, mentre di cuore imparto a ciascuno di voi ed alle vostre rispettive Comunità la Benedizione Apostolica.

    Grazie!




    "Oggi celebriamo la memoria di San Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa. La sua dedizione allo studio, favorisca in voi, cari giovani, l’impegno dell’intelligenza e della volontà al servizio del Vangelo; la sua fede aiuti voi, cari ammalati, a rivolgervi al Signore anche nella prova; e la sua mitezza indichi a voi, cari sposi novelli, lo stile dei rapporti tra i coniugi all’interno della famiglia. " (Papa Francesco oggi Udienza generale 28.1.2015)



     


    [Modificato da Caterina63 28/01/2015 15:56]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 30/01/2015 18:33

    Intervista con mons. Galantino: c'è dittatura pensiero unico




    Mons. Galantino con Papa Francesco - AP


    30/01/2015 

    Dalla questione del gender alle unioni civili, dalla figura del presidente della Repubblica italiana alle lobby in politica: tanti gli argomenti affrontati damons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, in una intervista rilasciata alla Radio Vaticana. Luca Collodi gli ha chiesto innanzitutto se ci sia, a suo avviso, un uso ideologico della politica oggi:

    Falsità: fanno passare gender come educazione a tolleranza
    R. – E’ sotto gli occhi di tutti che c’è questa strumentalizzazione ideologica di temi che hanno la loro importanza, che hanno bisogno di essere attenzionati. Io mi riferisco ad alcuni diritti individuali - questo è vero – però da qui ad assistere, come stiamo assistendo, ad una sorta di aggressione ideologica, di condizionamento ideologico e quindi di voglia di far prevalere il pensiero unico su alcuni temi specifici, mi sembra che sia sotto gli occhi di tutti. Lei ha citato il tema del gender…La falsità è un’altra: si è cercato di far passare questo discorso del gender come fosse soltanto una educazione alla tolleranza, un’educazione alla convivenza pacifica e quindi l’impegno ad educare ad essere più accoglienti nei confronti di altre realtà. Di fatto è diventato soltanto un grimaldello per portare nella scuola un fatto culturale molto chiaro, che scardina l’antropologia, che scardina la concezione della persona. C’è un equivoco di fondo! Anzitutto io sarei il primo a dire: “Ok, voglio parlare, voglio discutere e voglio capire cosa c’è da fare per evitare l’intolleranza”… Ma quando poi tu vieni e mi presenti una polpetta avvelenata sul piano culturale, allora tu non sei onesto culturalmente!   

    Unioni civili: attenti a “bullismo costituzionale”
    D. – C’è poi la questione delle unioni civili …

    R. - Quella delle unioni civili si pone su un altro piano: lì, noi abbiamo la confusione tra diritti individuali, che sono diritti sacrosanti, e il voler far passare questi diritti individuali come la strada che porta poi alla realizzazione del bene comune. E qui non ci siamo! Non ci siamo per tanti motivi. Intanto perché stiamo parlando di una realtà, quella della famiglia - fondata sul matrimonio di padre e madre, e figli - che tanto per cominciare è garantita dalla Costituzione: e allora chiunque fa passi che vanno avanti o al lato di questa realtà, cercando di scardinare dall’interno, a mio parere realizza una sorta di “bullismo costituzionale”. Più grave è quando questo viene fatto da coloro i quali dovrebbero essere, all’interno della struttura pubblica, garanti della Costituzione.

    Politici e lobby
    D. – Mons. Galantino, perché il governo e il parlamento faticano un po’ sulle famiglie a fare provvedimenti che aiutano le famiglie…

    R. – Sanno benissimo cosa stanno facendo e sanno benissimo che stanno soltanto rispondendo, in questo momento, almeno per quel che appare all’esterno, ad alcune lobby. Punto e basta!

    Guardare ai veri problemi della gente
    D. – Di fatto c’è una rottura tra popolo e politici…

    R. – E’ questo che dovrebbe preoccupare un poco di più i nostri politici e cioè che stanno investendo energie – non so se in energie culturali, perché ne vedo molto poche in giro, devo dire la verità – stanno investendo tempo soprattutto per trattare argomenti che saranno – lo ripeto – importanti per alcune persone, probabilmente anche numericamente rilevanti, ma che non sono i problemi che in questo momento attanagliano veramente la gente.

    Un presidente che sia portavoce di chi non ha voce
    D. – L’elezione di un capo dello Stato autorevole e vicino alla gente può avvicinare, può far superare questo problema? Può far riavvicinare la gente alla politica?

    R. – Secondo me, sì. Soprattutto se il futuro capo dello Stato sarà una persona che ha il coraggio di dire ai nostri amministratori pubblici, di farsi portavoce di chi voce non ne ha; se sarà capace di imporre, per quello che gli permette evidentemente la Costituzione, anche un’agenda politica che sia più realistica, più vicina alla vita delle persone.

    Libertà di espressione non diventi insopportabile volgarità
    D. – La minaccia possibile di un terrorismo islamico preoccupa, soprattutto nel fatto che possa mettere in discussione l’integrazione tra culture e popoli diverse anche in Italia?

    R. – Questo problema lo porrei sul piano culturale. E’ successo che, di fronte ad un utilizzo – si dice – della libertà, c’è stato chi ha detto: “No! La tua libertà finisce dove comincia la mia sensibilità”. E’ stato detto in una maniera sbagliata, sbagliatissima, perché quello che è successo a Parigi è atroce: non si uccide assolutamente! E’ sacrosanta la posizione di Charlie Hebdo, quando chiede libertà di espressione. Però stiamo anche attenti, perché “Je ne suis pas Charlie” quando la libertà, la sacrosanta libertà viene confusa con l’auspicabile satira e con la insopportabile volgarità. Lì, questo è avvenuto.

    La dittatura del pensiero unico
    D. – Vuole aggiungere qualcos’altro su questo tema?

    R. - Allora io aggiungerei una piccola cosa, che è un fatto di costume culturale, chi ha usato la libertà lì, è stato ucciso e tutti – grazie a Dio! – abbiamo detto: questo non bisogna farlo! Però vediamo cosa succede in Italia: se uno si permette di eccepire – come sto facendo io, qui, in questa sede – sulla correttezza di quello che sta avvenendo sul gender o se uno in pubblico si permette di eccepire su quello che il sindaco Marino ha fatto nell’Aula Giulio Cesare tre giorni fa, io vengo condannato all’emarginazione, io vengo ridicolizzato. Allora lì abbiamo detto che la libertà serve e va garantita; io la libertà di dire che a me il discorso del gender sembra veramente una forzatura, anzi una “dittatura del pensiero unico”, io questo non posso dire! Dire al sindaco Marino che negli stessi ambienti in cui lui ha aperto i registri per le unioni civili, prima si parlava di "panem et circenses": ecco che la gente il pane lo va a trovare alle mense Caritas, lo va a trovare in altre realtà, anche non cattoliche, e il “circenses” lo trova lì dentro. Se io dicessi questo, finirei alla gogna… Dico: stiamo attenti, perché qui si usano due pesi, anzi tre pesi, quattro pesi, e tantissime altre misure a seconda della lobby che si vuole servire, a seconda delle logiche che si vogliono perseguire. 



    Papa a vescovi lituani: difendete famiglia da ideologie che la destabilizzano

    Papa Francesco benedice una famiglia - L'Osservatore Romano

    02/02/2015 

     

    Impegnatevi a promuovere la famiglia, contrastando l’influsso di ideologie che vogliono destabilizzarla. E’ l’esortazione di Papa Francesco nel discorso consegnato ai vescovi della Lituania, ricevuti in occasione della visita "ad Limina". Il Pontefice ha rammentato l’eroicità dei presuli lituani durante gli anni bui del regime comunista ed ha messo in guardia da nuove insidie come secolarismo e relativismo. Ancora, Francesco ha esortato l’episcopato del Paese baltico a formare dei laici convinti che diano un valido apporto nella società civile. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Dalla persecuzione comunista alle insidie del secolarismo
    Grazie per l’“eroicità” con la quale avete “attraversato il triste periodo della persecuzione”. Il discorso di Papa Francesco esordisce evidenziando il grande ruolo che i vescovi della Lituania hanno avuto in difesa della libertà negli anni di regime comunista. Quindi, osserva che, se per lungo tempo, la Chiesa lituana “è stata oppressa da regimi fondati su ideologie contrarie alla dignità e alla libertà umana”, oggi deve confrontarsi con altre “insidie” quali il “secolarismo e il relativismo”. Correnti che, avverte, vanno affrontate in due modi: con un “annuncio instancabile del Vangelo e dei valori cristiani” e con “un dialogo costruttivo con tutti, anche con coloro che non appartengono alla Chiesa o sono lontani dall’esperienza religiosa”. Per questo, esorta, “le comunità cristiane siano sempre luoghi di accoglienza, di confronto aperto e costruttivo”.

    Ideologie che vogliono destabilizzare famiglia
    Il Papa rivolge, dunque, il pensiero al grande tema della famiglia e alle “sfide che è chiamata ad affrontare nel nostro tempo”. Francesco incoraggia i vescovi a “curare la pastorale familiare così che i coniugi sentano la vicinanza della comunità cristiana”. E annota che anche la Lituania, ora a pieno titolo nell’Unione Europea, è esposta “all’influsso di ideologie che vorrebbero introdurre elementi di destabilizzazione delle famiglie, frutto di un mal compreso senso di libertà personale”. Le secolari tradizioni lituane, soggiunge, “vi aiuteranno a rispondere” a tali sfide “secondo la ragione e secondo la fede”.

    Formazione di laici convinti
    Altro passaggio significativo del discorso è dedicato alla formazione di “laici convinti” che, evidenzia il Papa, “sappiano prendersi responsabilità all’interno della comunità ecclesiale e dare un valido apporto cristiano nella società civile”. I laici, ribadisce, vanno incoraggiati ad “essere presenti, con la forza di una fede adulta, in ambito civile, culturale, politico e sociale”. Il Pontefice non manca poi di chiedere ai vescovi una particolare attenzione per i seminaristi, i sacerdoti, le persone consacrate e richiama l’importanza dell’ “educazione alla povertà evangelica e alla gestione dei beni materiali secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa”. Infine un pensiero ai poveri giacché - nonostante lo sviluppo economico - in Lituania ci sono “tanti bisognosi, disoccupati, malati, abbandonati”. Siate loro vicini, è l’esortazione di Francesco, non dimenticando quanti, “soprattutto tra i giovani” lasciano il Paese “e cercano di trovare una nuova strada all’estero”.

    Dopo l'incontro con il Papa, Jan Walenty Malinowski ha sentito mons. Lionginas Virbalas, vescovo di Panevėžys:

    R. – Siamo stati in visita "ad Limina": eravamo 11-10 vescovi e il cardinale. Abbiamo portato l’esperienza della nostra vita e della vita della Chiesa lituana, che è composta da sette diocesi. Abbiamo anche raccontato l’esperienza della tanta sofferenza ai tempi della persecuzione ateistica, ai tempi sovietici, ma adesso anche l’esperienza della vita in libertà, della vita delle parrocchie e dell’inserimento nelle scuole. Abbiamo chiesto anche l’aiuto e il parere del Papa su come andare avanti. Lui ci ha incoraggiato e ha incoraggiato specialmente i vescovi, perché siano veramente padri di tutti, ma soprattutto per i sacerdoti. Ha anche condiviso la sua esperienza argentina: quando i sacerdoti non sono abbastanza, prendono parte attivamente nella pastorale i laici, le suore, le religiose. Anche in Lituania molti sacerdoti si occupano di 2-3 parrocchie e questa necessità è sempre più urgente anche per noi: che i laici sempre di più assumano responsabilità in modo attivo e partecipino alla vita della Chiesa.





    Spagna, la "guerra civile" dell'episcopato
    di Gabriel Ariza02-02-2015 da laBussola
    Due vescovi nel mirino: Demetrio Fernandez e Juan Antonio Reig Pla

    Nei giorni scorsi il sito spagnolo Infovaticana (www.infovaticana.com) ha pubblicato indiscrezioni inquietanti secondo cui sarebbe in corso in Spagna una vera e propria campagna orchestrata da alcuni membri della gerarchia ecclesiastica - con l'appoggio di alcuni giornalisti religiosi prezzolati e due cardinali di lingua spagnola - contro alcuni vescovi la cui vera colpa sarebbe quella di essere fedeli al Magistero della Chiesa. L'obiettivo sarebbe quello di spingerli a una rinuncia anticipata, così da poter liberare diocesi importanti a favore di elementi "progressisti". La notizia peraltro trova riscontro in brutali campagne denigratorie contro i vescovi in questione, a cominciare da monsignor Francisco Javier Martínez, arcivescovo di Granada. Per capire i contorni di questa vicenda abbiamo chiesto spiegazioni al direttore di Infovaticana, Gabriel Ariza.

    Attualmente la Spagna può contare su circa settanta vescovi, un terzo dei quali presenterà la propria rinuncia prima del 2020 e quasi l’80% lo farà nei prossimi dieci anni. Alla luce di questi dati possiamo essere certi che si avvicina il tempo di un’autentica rivoluzione all’interno dell’Episcopato spagnolo. Verso dove si dirige il collegio episcopale della Chiesa in Spagna?

    Purtroppo la tanto estesa radicalizzazione delle posizioni dentro la Chiesa Cattolica non è estranea alle curie, e accade che, secondo quanto ha pubblicato questa settimana Infovaticana, un gruppo ridotto di importanti vescovi, con l’appoggio di due cardinali di lingua spagnola, ha definito ciò che considerano debba essere il collegio episcopale spagnolo, nel quale, a giudizio di questa ‘lobby’, esistono alcuni vescovi che “danno fastidio”. 

    Per capire a quale tipo di vescovi ci si riferisce basti pensare a un esempio molto recente: la scorsa settimana ha avuto grande rilievo in Spagna la visita che ha fatto a Papa Francesco una coppia spagnola formata da due donne, una delle quali “transessuale”, visita di cui con certezza il vescovo di Plasencia si è fatto carico, hotel ed aereo inclusi. Il giorno in cui si è diffusa la notizia e di fronte alla confusione creata dai mezzi di comunicazione a motivo delle parole attribuite al Papa e dirette  alla coppia, la diocesi di Alcalá de Henares (guidata dal vescovo Juan Antonio Reig Pla) ha diffuso un comunicato stampa nel quale ricordava, attraverso testi del Magistero, qual è la dottrina cattolica riguardo la transessualità (per la ricostruzione della vicenda clicca qui). In un gesto in cui molti hanno riscoperto una Chiesa che agisce come maestra, oltre che madre, altri hanno voluto vedere una provocazione nei riguardi dello stesso Papa Francesco. 

    Non è un caso che nel mirino di coloro che vogliono danneggiare la Chiesa Cattolica in Spagna, secondo quanto pubblicato da Infovaticana, si trova in testa a tutti proprio il vescovo di Alcalá de Henares, Juan Antonio Reig Pla, seguito dal suo buon amico Javier Martínez, arcivescovo di Granada, da Demetrio Fernández, vescovo di Córdoba, e da due vescovi baschi, Mario Iceta, di Bilbao, e José Ignacio Munilla, di San Sebastián (quest’ultimo molto legato a Radio Maria).

    È inutile dire che tutti i vescovi hanno commesso degli errori, ma nel caso di questi vescovi questi errori, ingranditi, serviranno come pretesto per far cadere le loro teste; nel caso di Cordoba potrebbero utilizzare le relazioni dell’episcopato con una Fondazione vicina a una potente famiglia di Madrid o perfino recuperare una vecchia storia  di un gruppo di suore con la quale cercherebbero anche di coinvolgere un altro dei loro obiettivi: José Ignacio Munilla.

    Questo gruppo si è posto come obiettivo quello di far fuori l’arcivescovo di Granada, e per fare ciò sta utilizzando uno scandalo di pedofilia nel quale l’arcivescovo non si è mosso tanto rapidamente quanto è possibile esigere da un pastore. È nota la brutale campagna persecutoria e denigratoria che alcuni media capeggiati da  Religión Digital, un noto sito mercenario del giornalismo d’informazione religiosa, hanno intrapreso negli ultimi mesi contro  l’arcivescovo di Granada, Francisco Javier Martínez: difficile prevedere come andrà a finire. L’unica cosa certa è che Papa Francesco pochi giorni fa lo ha ricevuto in Santa Marta, dove hanno concelebrato l’Eucaristia, fatto che molti hanno visto come un gesto di appoggio. 

    Fonti della Santa Sede non escludono però la sua rinuncia anticipata a norma del Canone 401.2 del Codice di Diritto Canonico (malattia o cause di forza maggiore), fatto che comporterebbe il secondo grande trionfo di questo gruppo di ecclesiastici, dopo aver ottenuto nello scorso mese di novembre la testa dell’arcivescovo di Zaragoza, Manuel Ureña , la cui lettera di rinuncia anticipata è stata dettata telefonicamente da Papa Francesco dopo una visita del cardinale Santos Abril nella Casa di Santa Marta.

    - TRANSGENDER DAL PAPA, UN VESCOVO SPIEGAdi Lorenzo Bertocchi




    [Modificato da Caterina63 04/02/2015 17:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 07/02/2015 22:27
      Riforma della Chiesa? Riconfermando l'autorità del Papa
    di Ettore Gotti Tedeschi 07-02-2015

    Papa Francesco

     

    Già da fine ‘800 si chiedeva, con insistenza, alla Chiesa cattolica di riformarsi, adattandosi alle esigenze della modernità. Ciò al fine di non perdere parte del mondo cattolico, conquistare il mondo laico e sostenere le vocazioni con proposte più moderne. Questo avvicinarsi alla modernità, pena la credibilità della Chiesa stessa,  significava, già da allora, riformare la liturgia, ridimensionare i dogmi, relativizzare il peccato, accettare le nuove sfide scientifiche, e così via. San Pio X, invece di riconoscere la validità di queste istanze, le condannò. Se le richieste dei modernisti fossero state accolte il Cattolicesimo sarebbe stato trasformato in una specie di socialismo (oggi diremmo in una onlus). Il modernismo sembrò vinto, ma questo “rinnovamento” rimase una tentazione viva, vivissima. 

    Resta pertanto vera l’ipotesi che il cattolicesimo possa esser riformato, come  oggi si insiste a proporre? Forse si, ma come è spiegato nell’Enciclica Lumen Fidei, non come auspica qualche teologo. I nostri ultimi tempi, in modo sempre più accelerato, hanno creato nuove tentazioni, nuove forme di peccato e sempre minor sensibilità nel riconoscerli. Che deve fare la Chiesa, continuare a considerarli peccato o cominciare a scusarli perché sempre più difficili da vincere? In teoria la Chiesa stessa avrebbe dovuto “attrezzarsi” per contrastare l’evoluzione  delle tentazioni e del peccato, invece il rischio corso  è stato quello di configurare il peccato secondo la forza stessa di contrastarlo. Si direbbe che taluni vogliano tutelare la Chiesa dal male anziché rafforzarla per contrastarlo. 

    Ma la  domanda chiave è: la comprensione e la scusa del peccato, implicitamente realizzata, ha migliorato l’uomo e la società? Si deve pensare, come lasciano immaginare alcuni illustri teologi contemporanei, che l’uomo sia più libero e migliore se può peccare, essendo però compreso e scusato (magari solo nella prassi) dalla Chiesa? E pertanto, quale conseguenza di questa comprensione questo uomo si ri-avvicina alla fede? 

    Vorrei esporre alcune riserve  sui rischi di questo atteggiamento. Anzitutto ho l’impressione che invece di trovare le chiese piene di peccatori pentiti e neo convertiti, queste vengono meno frequentate dai fedeli alla tradizione, confusi e disorientati. Ma vengono anche derise da chi vede, compiacendosene, rinnegare i principi  dottrinali. Così come vengono invece apprezzate da chi vorrebbe la Chiesa che finalmente si limita a fare apostolato sociale anziché dottrinale. Le riserve crescono osservando che nei seminari si insegna teologia del relativismo e si insiste, senza adeguata preparazione, a sostenere ecumenismo e dialogo. Intanto, con una certa superficialità, si esalta l’ambientalismo, che prescinde dalla Creazione e, sfuggendo di mano, potrebbe diventare la moderna dottrina universale.

    Capisco bene che oggi una rigida chiusura (tipo Controriforma) che imponga regole rigide esterne di religiosità, non dia certezza di crescere la fede e vincere il male, perché potrebbe   impoverire la pietà, lo spirito e crescere la diffidenza verso un mondo ostile alla Chiesa. Ma il rischio opposto è spegnere la ricerca di unità di vita. Molti ritengono che il vero problema stia ormai (lo ha anche spiegato Papa Francesco illustrando le 15 malattie del clero che evidenziano i difetti di un sacerdozio burocratico) nella scarsa formazione dottrinale e morale del clero, nel “prete per professione” anziché per vocazione, con minor animo sacerdotale e vita interiore. E quello che è grave è che questo, a sua volta, ha provocato sempre minor capacità di influenzare la società. Certo non sono mai mancati i veri santi (e i miracoli), ma l’indifferenza crescente ha causato la diffidenza verso di loro e ridotto la loro capacità di influenza. Si sente sempre più parlare di ecumenismo, non osservando che la prima rottura da sanare è all’interno del mondo cattolico, prima di quella con altre fedi cristiane. 

    Una vera riforma dovrebbe riguardare tre punti: cosa credere, come credere, chi deve avere l’autorità di deciderlo. 

    Le riforme cosiddette moderniste si son sempre occupate di tutti e tre i punti. Ma soprattutto del terzo , avendo sempre avuto l’ansia di cambiare l’Autorità della Chiesa, senza la quale nessuna riforma (cosa e come) sarebbe possibile. Per poter obbedire a coscienze spesso malformate  si vorrebbe non dover obbedire al Papa. Così si denuncia la Chiesa quale impositrice di dogmi, anche coercitivamente. Contemporaneamente  si reclama il diritto alla coscienza di esser cattolici per convinzione anziché per ordine del Papa, si rinuncia all’apostolato, si scusa il peccato, ma soprattutto si fa l’errore che io considero persino più grave: si promuove, come priorità, la soluzione della miseria materiale e sociale, anziché  la soluzione della miseria spirituale. 

    Questa  è la vera origine di tutte le altre miserie ed è il vero “mestiere” della Chiesa.Conseguentemente si rinuncia alla educazione della dottrina cattolica (se non è popolare o politicamente corretta), si rinuncia alla apologetica. Così si lascia crollare la trascendenza a favore della immanenza. La verità non viene più prima della libertà, ma si accetta solo se nasce dal dialogo. I dogmi devono evolvere , ed il primo che deve evolvere è quello della infallibilità del Papa. Tutto ciò  in nome di un progresso di cui neppure si intende il significato. Progresso nella dottrina significa mutarla? No, progresso significa accrescere il valore di una cosa che rimane sé stessa. Mutarla significa trasformarla in un'altra cosa. 

    Se ciò è chiaro penso sia comprensibile che non si tratta tanto di pensare a riforme  per una Chiesa, sacra per il deposito di fede e per i mezzi che deve usare per diffonderla. Forse basta riconfermare l’Autorità del Papa (e la gerarchia) che riconfermi cosa credere e come credere . Il Papa Emerito Benedetto XVI concludeCaritas in Veritate spiegando che per risolvere i nostri problemi (dovuti alla cultura nichilista dominante) non sono gli strumenti che vanno cambiati , bensì gli uomini che li usano. Ciò vuol dire far tornare il cattolico ad esser presente in ogni rapporto sociale, ad esser indispensabile alla società, a tornar ad esser una casta utile ed esser riconosciuto tale, non esser  apprezzato dal mondo solo se fa della assistenza sociale, un socialismo umanitario. 

    Il cattolico deve riconoscere il suo spirito di fede e tornare ad imitare Cristo, per cambiare il mondo. Per riuscirci non può fare a meno dell’Autorità spirituale e morale del Papa, che si impone con la sua credibilità e fede. La Chiesa deve esser si consolatrice ma, prima, deve esser maestra. Si dice che si vorrebbe un Papa liberale, ma in realtà si vorrebbe un Papa più “onorario” che effettivo. Un Papa non ispirato dallo Spirito Santo, un Papa che non fa Magistero, ma si limita a consolare e parlare di  povertà (materiale non spirituale) e occupazione, si vorrebbe un Papa che trasformasse il cattolicesimo “romano”  in cattolicesimo umano. Si rilegga e si mediti l’Enciclica di Papa Francesco “Lumen Fidei”, li è scritto cosa significa “riformare “ la Chiesa.






    Fraternamente CaterinaLD

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    00 10/02/2015 10:19

      In crescita (+700%) i cattolici greci ma la Chiesa è povera


     



    Riprendo dal notiziario SIR [qui].

    Una realtà ecclesiale che diviene un caso emblematico. La drammaticità della situazione e l'incalzare dei problemi spostano la comprensione delle vere cause del male. Mi chiedo la invocata sinodalità permanente - peraltro ancora da studiare imparando dagli ordodossi - a cosa potrebbe giovare se non all'aumento della frammentazione?
    Il problema sta nella 'desistenza' dal governo, quello che raggiunge ogni periferia, di ogni genere, da un "centro" ben centrato in Cristo senza sconti e non con un cristianesimo trasformato in sociologia umanitarista.
    Analizziamo questa dichiarazione: Anche nella Chiesa cattolica ci sono molte cose da correggere e il Papa lo ha ben compreso. Purificare le strutture è quello che il Papa vorrebbe fare con la riforma della Curia. Molti tradizionalisti al suo interno, che sono l’espressione di Chiese forti e potenti, non conoscono le condizioni in cui versa la Chiesa cattolica in molte nazioni del mondo. Andate a parlare con i vescovi di altri Continenti e ascoltate cosa vi diranno…”. Ma davvero la responsabilità dei mancati interventi può essere addossata a quei cosiddetti tradizionalisti espressione di Chiese forti e potenti all'interno della Curia? Intanto dove sono? E che peso hanno nella gerarchia attuale? Come se davvero la riforma sia necessaria ed efficace solo nelle strutture e non anche nelle persone, a tutti i livelli. Ma va fatta con gli strumenti che il Signore ci ha dato, non con le innovazioni rivoluzionarie e avventuristiche del conciliarismo permanente e imperante... Che dialogo, anche all'interno, può mai essere imbastito quando i fraintendimenti sono tali e tanti? Quando una chiesa locale con problemi del genere si sente dire dal Papa "che ha molto a cuore l’ecumenismo e soffre molto perché la sua importanza non viene compresa a pieno?" E ti tira fuori i tradizionalisti della Curia?

    Dialogare con il mondo della politica per la salvaguardia del bene comune, contrastare il pessimismo innescato dalla grave crisi economica e sociale, portare avanti la missione evangelizzatrice e di promozione umana e alimentare il cammino ecumenico: sono queste le principali esortazioni che papa Francesco ha consegnato ai vescovi greci in questi giorni in Vaticano per la loro visita ad limina. Con il loro presidente, monsignor Franghiskos Papamanolis, abbiamo tracciato un bilancio.
    Dal Papa è arrivato l’invito a dialogare con il mondo politico. Invito attuale anche alla luce del recente voto che ha visto trionfare la sinistra e il suo leader Tsipras…
    “Un invito importante ma noi siamo troppo deboli per poter dialogare con il Governo. La realtà è che non abbiamo tanta voce nella società e nel mondo politico ellenico. Siamo una sparuta minoranza del 5,5% che non può pensare di dialogare o dare indicazioni. C’è la Chiesa ortodossa che rappresenta la maggioranza. Quando questa esprime su qualche tema un parere che noi condividiamo allora facciamo conoscere anche il nostro pensiero”.

    La crisi greca è stata ricordata ampiamente nel vostro incontro. Come fronteggiarla senza cedere al pessimismo come invocato da Bergoglio?
    “Con la solidarietà. All’Ue chiediamo solidarietà. Tsipras, nel suo giro nei Paesi dell’Ue, ha chiesto maggiore comprensione di una situazione ormai insostenibile e che non si risolve con l’aumento di tasse da parte del Governo. Solo la solidarietà può alleviare la sofferenza del popolo greco”.
     
    Le risposte dell’Ue non sono state quelle auspicate da Tsipras che ha parlato di “ricatto” dopo che la Bce ha negato il credito ad Atene. Come uscire dall’angolo?
    “Che Unione europea abbiamo! Se questa è la risposta, l’Ue non esiste. Ricordo cosa aveva detto a settembre scorso il Papa a Tsipras: mettere in primo piano la persona e non la speculazione e il guadagno. Ci preoccupiamo più delle banche che delle persone e questo è intollerabile. Ho chiesto al Pontefice di intervenire con tutto il suo prestigio presso i creditori perché non siano così duri con la Grecia”.
     
    Guardando ai temi ecclesiali, Francesco ha richiamato la necessità di un clero motivato, sottolineato l’importanza della vita consacrata, della famiglia e della vocazione. Come intendete perseguire queste piste?
    “Il Papa ci ha incoraggiato ad andare avanti in ogni campo della pastorale e della testimonianza. Abbiamo un clero eroico che serve la Chiesa perché la ama - penso ad esempio a quei preti che ogni giorno percorrono centinaia di chilometri per andare a celebrare messa nei luoghi più lontani e inaccessibili delle loro diocesi - abbiamo dei religiosi che portano coraggiosamente avanti le scuole e con gran fatica. Il Papa ci ha raccomandato la cura e il coinvolgimento degli anziani. In Grecia abbiamo diverse case per ospitare quelli soli e in difficoltà ma rischiano di chiudere per mancanza di fondi. La crisi ci attanaglia per questo chiediamo aiuto per andare avanti. Oggi abbiamo solo le nostre poche forze. Ma quando queste realtà non vengono sostenute nemmeno dalla Santa Sede, cosa resta da dire? Abbiamo fatto visita a Cor Unum: non abbiamo ricevuto nessuna comprensione”.
     
    Qual è il quadro della Chiesa cattolica greca che ha rappresentato al Papa?
    “La nostra Chiesa vive uno stato di precarietà e al tempo stesso di rinnovamento. Innanzitutto per il grande flusso di immigrati: da 50mila fedeli siamo passati a 350mila (+700% di cattolici). Quanto potranno restare cattolici nei luoghi dove si sono stabiliti e dove lavorano se non hanno chiese, catechesi, sacerdoti, strutture? Abbiamo chiesto luoghi di culto: da anni i vescovi in Europa mettono a disposizione le chiese cattoliche agli ortodossi. Purtroppo in Grecia gli ortodossi non ci mettono a disposizione nulla, ad oggi hanno concesso l’uso di sole tre chiese. Chiediamo reciprocità. Abbiamo bisogno di religiosi e sacerdoti che possano anche parlare la lingua madre dei nostri immigrati. Ma le nostre richieste alle varie Conferenze episcopali trovano porte chiuse. Ci sono laici che vorrebbero studiare teologia ma non siamo in grado di sostenerli. Il tempo delle parole è finito, servono i fatti. La Chiesa in Grecia saluta l’arrivo di nuovi fratelli cattolici ma questi andranno via da ortodossi”.
     
    L’incontro con il Papa è durato un’ora e un quarto. Di che altro avete parlato?
    “Il Papa ha molto a cuore l’ecumenismo e soffre molto perché la sua importanza non viene compresa a pieno. Credo che la prima cosa da fare sia purificare le strutture in modo che a un retto credere corrisponda un retto operare. Anche nella Chiesa cattolica ci sono molte cose da correggere e il Papa lo ha ben compreso. Purificare le strutture è quello che il Papa vorrebbe fare con la riforma della Curia. Molti tradizionalisti al suo interno, che sono l’espressione di Chiese forti e potenti, non conoscono le condizioni in cui versa la Chiesa cattolica in molte nazioni del mondo. Andate a parlare con i vescovi di altri Continenti e ascoltate cosa vi diranno…”.
     
    Prima ha citato la riforma della Curia, ne avete parlato e in che termini?
    “Al Papa abbiamo parlato di sinodalità, di sinodo permanente. Come farlo andrebbe studiato e qui l’esperienza del Sinodo permanente della Chiesa ortodossa greca potrebbe esserci di aiuto per capire. Studiare come rendere stabile la Commissione degli otto cardinali, ampliandola innanzitutto. La riforma della Curia non può limitarsi ad aumentare o diminuire i dicasteri, o spostarne il personale. La vera riforma è la purificazione delle strutture”.
     

    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 21/02/2015 16:52



     

    Nel Blog di "unafides" riportiamo le foto che ritraggono: " ....l'impegno  e lo zelo con cui alcuni “Vescovi" cileni partecipano ad un rito pagano in onore del “dio Tata Inti, dio del Sole Inca"....." vedi qui le foto.

    Dire che siamo "scandalizzati" è poco, e sentirsi "furiosi" perchè animati dalla santa inquietudine non  è solo un diritto, ma anche un dovere.

    "Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!" (Mt.18,7)

    Non staremo qui a fare del moralismo, lo scandalo che ci anima non proviene dalle intenzioni di questi Vescovi di cui non vogliamo neppure dubitare la "bontà", ma dal ciò che vediamo e che ci confonde, ci inquieta.

    Dove sta nella Bibbia il culto e l'adorazione al “dio Tata Inti, dio del Sole Inca"?

    Piuttosto leggiamo: Non avrai altro Dio all'infuori di Me.

    Qualcuno dirà: "ma non esageriamo! guarda che non stanno adorando, è solo una condivisione..."

    No! I Vescovi indossano qui abiti liturgici, usano la stola e la casula, usano il camice vesti del Sacerdote per eccellenza, ed usano la mitra che è simbolo dell'autorità del Cristo al quale si deve l'unico culto.

    Lo diciamo onestamente: non avremo ardito ad un articolo se i Vescovi lì presenti si fossero presentati in abito piano, ossia con la sola talare, tanto ci hanno abituati a questi incontri sincretisti, cercando di tollerare il tollerabile - vedi qui, ma qui è diverso, l'uso degli abiti liturgici e gli atti eseguiti dai Vescovi presenziano un culto vero e proprio e il cui celebrante non è un Sacerdote del Cristo, ma un laico, "sacerdote" della sua cultura idolatra, non certo un Sacerdote di Cristo! Quell'uomo ha officiato in favore del dio Inca e non nell'unico Nome che salva: Gesù Cristo!

    Così spiegava Ratzinger sul nostro rapporto con le "altre religioni":

    «Un simile ritorno, il recupero della propria storia, deve ripetersi in continuazione. Avviene nei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto. La Chiesa cerca di farlo ogni anno nei quaranta giorni di preparazione alla Pasqua:uscire nuovamente dal peso del paganesimo, che continua a spingerci lontano da Dio, tornare sempre a rivolgerci a Lui. E all’inizio della celebrazione eucaristica, nella confessione dei peccati, cerchiamo anche noi di riprendere questo cammino, di uscire nuovamente, di tornare ad incontrare sul monte di Dio la sua parola e la sua presenza» (Benedetto XVI - vedi qui).

    e dice ancora:

    «Un approccio falsamente «rassicurante» è quello «mistico», che sfumerebbe la molteplicità delle religioni e dei loro dogmi – con annesse presunte intolleranze - in una esperienza sentimentale, il cui carattere prevalentemente interiore terrebbe al riparo dal conflitto con la ragione..... la religione […] diventa, per così dire, una terapia individuale: la salvezza si trova al di fuori del mondo; per operare in esso non ci viene data altra indicazione al di fuori della forza che si può accrescere ritirandosi regolarmente nella dimensione spirituale. Ma questa forza, come tale, non ha per noi alcun messaggio chiaramente definibile. Nel nostro agire all’interno del mondo restiamo dunque abbandonati a noi stessi» (Benedetto XVI - vedi qui).

    e arriva a concludere:

    «A questo punto, «falliti» i tentativi di sfumare le asperità delle religioni teistiche, relativizzando la propria idea di Dio e i dogmi, per portare in primo piano l’impegno pragmatico o l’esperienza mistica, ci si chiederà: L’attitudine alla pace è legata alla rinuncia alla verità?»

    La risposta è no.

    Ratzinger dice chiaramente che «l’incontro tra le religioni non può avvenire nella rinuncia alla verità, ma è possibile solo mediante il suo approfondimento. Lo scetticismo non unisce. E nemmeno il puro pragmatismo unisce. […] Vanno incoraggiati invece il rispetto profondo per la fede dell’altro e la disponibilità a cercare, in ciò che incontriamo come estraneo, la verità che ci può concernere e può correggerci e farci progredire» (Benedetto XVI - vedi qui).

    E qui ci fermiamo perchè il discorso piega poi verso l'ecumenismo che è cosa assai diversa dal dialogo interreligioso: nel primo caso si cerca la comunione nella Santissima Trinità e nel Dio Uno e Trino, Vivo e che tutti i Cristiani, separati, credono; nel secondo caso si avanza nel dialogo e non comunione, cercando, fra le tante differenze che ci contraddistinguono, "i semi sparsi dallo Spirito Santo" il quale, per altro, non può certo contraddire Se stesso, ne la Sposa del Cristo!

    Tornando alle immagini ed alla gravità del fatto, per comprendere l'enormità dello scandalo, occorre ricordare che la Chiesa, nei suoi Santi Padri e tanti Martiri, fin dai primi secoli aveva risolto ogni riferimento pagano e idolatrico del "dio sole" inserendo a buon diritto l'adorazione al Cristo, il vero ed unico Sole - non il "dio Sole" mi raccomando - ma il Cristo il vero Sole che illumina il mondo, le genti, i cuori e le menti, e l'unico Dio degno di essere adorato.

    Ed è certo che siamo scandalizzati ed inquieti, qui non siamo neppure nel comune paganesimo, ma rientriamo proprio nel panteismo puro! Qui ci troviamo davanti a dei Vescovi della Chiesa che hanno reso un culto panteista, con tanto di usi di paramenti sacri e dove l'incenso lo ha messo il sacerdote Inca....

    La dottrina Inca crede in Wiraqucha, la divinità creatrice del Sole, della Luna e delle stelle, il dio che aveva plasmato i primi uomini nell'argilla.

    Inti (Sole), creatore e protettore degli Inca è sposo e fratello di Mama Quilla (madre Luna) e padre del primo inca, e di Mama Ocllo (madre Uovo)

    Ci facciano capire questi Vescovi: chi ci ha creati? Chi è morto sulla Croce al quale si deve l'unico Culto? e per il quale usate quei paramenti sacri che avete prostituito?

    Vergogna!!

    E per carità cristiana non ci soffermeremo davanti al fatto che i Vescovi e preti non si inginocchiano più davanti a Gesù-Ostia Santa, davanti all'Eucaristia o alla Consacrazione, ma vedete bene come si inginocchiano davanti al nulla!

    VERGOGNA!!!

    Se siamo davanti a quella misericordia di Dio che farà gridare dalla Croce quelle parole supplichevoli: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno", dall'altra parte non siamo principianti, abbiamo duemila anni di storia durante i quali molti hanno tentato di offuscare o cancellare la divina Rivelazione del Dio vero, l'ignoranza non è più scusabile, soprattutto a chi indossa gli abiti liturgici del vero Culto divino ed è Sacerdote di Cristo, l'Alter Christus.

    A ragione Benedetto XVI denunciava:

    Ma dove non c’è più verità alcuna, si può allora modificare qualsiasi criterio valutativo, e, in ultima istanza, dovunque fare in un modo e nell’esatto suo contrario. L’aver rinunciato alla verità mi pare il vero e proprio nucleo della nostra crisi odierna. Dove però la verità non offre più terreno solido, là anche la solidarietà comunitaria — peraltro, ancora tanto considerevole — finisce per sfilacciarsi, poiché anch’essa resta in ultima istanza senza radici. In quale misura, dunque, noi viviamo secondo l’interrogativo di Pilato, apparentemente tanto umile, ma in realtà così presuntuoso: « Ma che cosa è la verità? ». Proprio così, però, noi prendiamo posizione contro Cristo. Certo, quando degli uomini credono di poter disporre a buon mercato e con troppa fiducia della verità è il momento in cui si corre un rischio davvero enorme. Ma un pericolo ancora maggiore incombe là dove l’evidenza comune, la validità e l’obbligatorietà vincolante dell’affermazione del vero vengono addirittura considerate come un qualcosa che non sarebbe più in alcun modo possibile e attuabile.." (vedi qui).

    Siamo in Quaresima e non vogliamo assolutamente infuocare gli animi in modo negativo, al contrario, vogliamo suscitare il santo sdegno, lutto, pianti e lamenti, e il legittimo scandalo per poterlo offrire a Nostro Signore; usare questo fatto doloroso per vivere nel cuore questa Quaresima in Cristo, con Cristo e per Cristo, unendo all'unico Sacrificio perfetto e all'unico vero Culto a Dio, la supplica per il perdono e la conversione di questi Vescovi.

    Perciò chiuderemo l'articolo con alcuni passi della Lettera Enciclica di Pio XI "Ad Catholici Sacerdotii" del 20 dicembre 1935 - vedi qui -

    "Il sacerdote, secondo la magnifica definizione che ne dà lo stesso San Paolo, è bensì un uomo “preso di mezzo agli uomini”, ma “costituito a vantaggio degli uomini per i loro rapporti con Dio” (Eb 5,1): il suo ufficio non ha per oggetto le cose umane e transitorie, per quanto sembrino alte e pregevoli, ma le cose divine ed eterne; cose, che possono essere per ignoranza derise e disprezzate, che possono anche venire osteggiate con malizia e furore diabolico, come una triste esperienza lo ha spesso provato e la prova pur oggi, ma che stanno sempre al primo posto nelle aspirazioni individuali e sociali dell’umanità, la quale sente irresistibilmente di essere fatta per Iddio e di non potersi riposare se non in Lui. (...)

    Ma il sacerdote cattolico è ministro di Cristo e dispensatore de’ misteri di Dio (cf 1 Cor 4,1), anche con la parola, con quel “ministero della parola” (cf At6,4), che è un diritto inalienabile e insieme un dovere imprescrittibile impostogli da Gesù Cristo medesimo: “Andate adunque e ammaestrate tutte le genti,… insegnando loro di osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt 28,19-20).

    La Chiesa di Cristo, depositaria e custode infallibile della divina rivelazione, per mezzo de’ suoi sacerdoti sparge i tesori delle celesti verità, predicando colui che è “luce vera, che illumina ogni uomo che viene a questo mondo” (Gv 1,9),spargendo con divina profusione quel seme, piccolo e disprezzato allo sguardo profano del mondo, ma che, come l’evangelico grano di senape, ha in sé la virtù di mettere radici salde e profonde nelle anime sincere e sitibonde di verità e di renderle, come alberi robusti, incrollabili anche tra le più forti bufere (cf Mt 13,31-32)..." (...)

    Perciò già nell’Antico Testamento, Iddio comandava ai suoi sacerdoti e ai leviti: “Siano dunque santi, perché santo sono anch’io, il Signore che li santifico” (Lv 21,8). E il sapientissimo Salomone, nel cantico per la dedicazione del tempio, questo appunto chiede al Signore per i figli di Aronne: “I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia e i tuoi santi esultino” (Sal131,9).

    Orbene, Venerabili Fratelli, “se tanta perfezione e santità e alacrità – diremo con San Roberto Bellarmino – si esigeva in quei sacerdoti, che sacrificavano pecore e buoi e lodavano Dio per benefici temporali, che cosa mai non si dovrà esigere in quei sacerdoti che sacrificano l’Agnello divino e rendono grazie per benefici eterni?”. “Grande in vero – esclama San Lorenzo Giustiniani – è la dignità dei Prelati, ma maggiore ne è il peso; posti come sono in grado così elevato davanti agli occhi degli uomini, bisogna che anche si innalzino al sommo vertice delle virtù davanti agli occhi di Colui che tutto vede; altrimenti sono sopra gli altri non a proprio merito, ma a propria condanna”.

    ***

    e per amore alla Verità, vi invitiamo a leggere questo testo:

    La Chiesa e noi di San Gregorio Magno

    Laudetur Jesus Christus

       

    Ucciso perché non credeva agli stregoni. Sarà santo
    di Rino Cammilleri23-02-2015  da laNuovaBussolaQuotidiana

    Benedict Daswa

    Si stava meglio quando si stava peggio? A parte qualche caso finito bene, di solito le rivoluzioni sembrano risolversi in un lèvati-tu-che-mi-ci-metto-io e il vecchio aneddoto di Nerone pare restare sempre valido. Ricordate? Mentre passava l’imperatore tutti tacevano cupi, solo una vecchietta gli gridava «lunga vita!». L’imperatore, stupito, si fermò e le chiese come mai lei fosse l’unica a non odiarlo. Quella rispose che nella sua lunga vita aveva troppe volte constatato che il successivo, malgrado le speranze, si era rivelato peggiore del precedente; perciò, aveva giudicato che era meglio tenersi l’attuale. 

    Certo, l’apartheid era una brutta cosa, ma un paragone di cifre tra il Sudafrica boero e quello mandeliano forse riserverebbe qualche sorpresa. Per quanto riguarda la repubblica “arcobaleno”, un tempo la più ricca e avanzata d’Africa, il Papa ha dovuto firmare un decreto di martirio, cosa che spiana la strada alla beatificazione di Benedict Daswa, un nero, e sentite perché. L’uomo, nato nel 1946, era di etnia Lemba e abitava nel Nord del Paese. Suo padre morì presto e il peso della numerosa famiglia ricadde sulle sue giovani spalle: la madre, tre fratelli e una sorella. Nel 1963 abbracciò la religione cattolica, subito seguito da sua madre. Fece il catechista, il muratore in parrocchia e presto divenne un punto di riferimento per la comunità cristiana locale. Aveva studiato e ciò lo portò a ricoprire la carica di direttore della scuola. Si sposò con Evelyn ed ebbe sette figli. La moglie aspettava l’ottavo quando avvenne quel che andiamo a narrare. 

    Daswa viveva con la famiglia nel villaggio di Mbahe, dalle parti di Limpopo. Ma il 25 gennaio del 1990, durante una tempesta, una scarica di fulmini si abbatté sull’abitato e incendiò dei grossi covoni di paglia ammucchiata. Niente di grave, tutto sommato, ma il grosso della gente era animista e subito credette all’intervento degli spiriti maligni. Il capo del villaggio convocò l’assemblea per rimediare e vedere come stornare dalla comunità la malasorte. Occorreva, dunque, individuare esattamente quale demone era il responsabile e trovare il modo di neutralizzarlo. Si decise di affidarsi a uno stregone, che però bisognava, ovviamente, pagare.  Ogni famiglia avrebbe perciò dovuto tassarsi in ragione di 5 rand (la moneta sudafricana) a persona. Daswa, trattenuto dal lavoro, arrivò alla riunione a cose fatte. Ma dichiarò che non aveva alcuna intenzione di pagare, perché lui agli stregoni non credeva. Cercò di spiegare che si era trattato di semplici fulmini, un fenomeno naturale e non demoniaco, ma non ci fu niente da fare. Allora, visto che non riusciva a far sentire ragioni, la buttò sul religioso, la sola cosa che, ancora oggi, troppi africani capiscono: lui era cattolico, disse, e la sua fede gli proibiva di ricorrere agli stregoni. Detto questo, se ne andò. 

    Già, però le influenze maligne permanevano; anzi, forse era proprio Daswa, con la sua miscredenza, ad attirarle. Così ragionò l’assemblea. La riunione venne aggiornata, ma era chiaro che per gli intervenuti il problema era davvero Daswa. Con la sua cocciutaggine non solo avrebbe reso difficoltosa la liberazione del villaggio dagli spiriti cattivi in quel frangente, ma di certo di frangenti del genere ce ne sarebbero stati altri se non si eliminava l’ostacolo. L’ignoranza e la superstizione sono l’anima della barbarie, la quale conosce un solo modo per risolvere i problemi: quello spiccio. Il 2 febbraio una folla di fanatici aggredì e linciò Benedict Daswa a colpi di pietra.
    Era in ginocchio quando gli diedero il colpo di grazia col “knobkerrie”, l’arma tradizionale: un bastone con una grossa protuberanza all’estremità. Mentre gli sfondavano il cranio ebbe solo il tempo di raccomandarsi al Signore. Il “rito” prevedeva che sul capo dell’ucciso venisse versata acqua bollente, e fu eseguito. Lo abbiamo già scritto nella prefazione al libro su Mandela (D’Ettoris editore) e lo ripetiamo: il problema dell’Africa può essere affrontato solo dai missionari e tramite l’evangelizzazione. Se non cambiano le teste, nulla cambierà mai. E le teste, da quelle parti, si cambiano solo per via religiosa. 

       


    [Modificato da Caterina63 23/02/2015 16:24]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 17/03/2015 23:20

      ULTIM'ORA, L'ARCIVESCOVO DI SAN FRANCISCO È COLPEVOLE. DI ESSERE CATTOLICO E DI INDICARE LA SANTITÀ




    Ultim&#039;ora, l&#039;arcivescovo di San Francisco è colpevole. Di essere cattolico e di indicare la santità



    di Benedetta Frigerio


    «C’è una grande confusione e una rinuncia a usare la ragione e a conoscere i fatti. Dicono che sono irremovibile, ma io non posso venire meno al mio compito di vescovo e pastore che deve difendere i più deboli dalla menzogna. Ho sempre ascoltato tutti. Ho spiegato di essere disposto ad aggiungere al regolamento altri punti della dottrina e ho sottolineato la differenza fra pubblico e privato, fra peccato e peccatore».
    Il “regolamento” di cui parla l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Joseph Cordileone con tempi.it è quel documento che lo ha fatto finire in queste settimane sui maggiori giornali statunitensi. Persino il New York Times ne ha parlato e non certo per mettere in buona luce l’alto prelato che porta nel suo cognome chiare origini italiane.
    Nominato il 27 luglio del 2012 da papa Benedetto XVI a capo di una delle diocesi più liberal d’America, Cordileone non ha mai nascosto le sue idee e non è la prima volta che si trova a difendere pubblicamente la morale cristiana. Questa, volta, però, il caso è del tutto particolare, anche perché ad attaccarlo non ci sono solo i media progressisti o gli attivisti delle associazioni gay, ma gli stessi cattolici.

     

    LE PROTESTE: «SI DIMETTA»

    Tutto è cominciato il 3 febbraio scorso, quando Cordileone ha dovuto mettere mano al rinnovo dei contratti degli insegnanti delle scuole superiori cattoliche della diocesi. «Il contratto – spiega – deve essere revisionato ogni quattro anni e io ho deciso di inserire diversi punti dottrinali su cui oggi si fa molta confusione, chiedendo che i docenti non li contraddicessero in aula e nella loro vita pubblica». Niente di strano. «Ho semplicemente ribadito che occorre seguire il magistero cattolico». L’arcivescovo ha, infatti, ricordato quale sia la posizione della Chiesa e del catechismo in merito alla morale sessuale, la contraccezione, l’uso delle cellule staminali.
    È scoppiato un putiferio.
    Un gruppo di docenti, genitori e alunni ha accusato Cordileone di tradire il Vangelo e di alimentare la discriminazione e la paura. Il Mercoledì delle ceneri è stata organizzata una fiaccolata di protesta davanti alla cattedrale di St. Mary in cui è stata data voce a uno studente omosessuale che ha detto: «Siamo qui a pregare che il cuore del vescovo si converta». Il giorno prima, un gruppo di legislatori democratici gli ha inviato una lettera chiedendogli di dimettersi. Diverse associazioni Lgbt lo hanno attaccato e nella campagna mediatica si è persino fatto avanti Sam Singer, uno dei più maggiori strateghi della comunicazione statunitense: «Stiamo tutti pregando perché papa Francesco rimuova l’arcivescovo di San Francisco».

     

    «PROPONGO LA SANTITA’»

    «Dicono che fomento l’odio – spiega Cordileone a tempi.it -, ma non capiscono che la condanna dell’errore non coincide con quella della persona. Anzi, come ho ribadito, si condanna il peccato per amore della nostra fragile umanità». Un’umanità sempre più soggetta «alle continue sollecitazioni della mentalità che spinge verso condotte contrarie alla dignità dell’essere umano: mi sono mosso solo per amore verso i nostri ragazzi perché possano vivere da santi».
    C’è un antefatto poco conosciuto, ma che spiega quali siano le intenzioni pastorali dell’arcivescovo nei confronti degli studenti e dei docenti delle scuole cattoliche. All’inizio dell’anno accademico, Cordileone parlando ai professori spiegò che i giovani che ogni giorno si incontrano in aula non sono una generazione perduta, come spesso si è portati a credere, ma che anche loro possono raggiungere grandi mete, se solo qualcuno è disposto a indicare loro una via. «Dobbiamo aiutare i ragazzi a diventare santi. Siamo qui per questo.
    E come si comincia? Bisogna partire dalle virtù eroiche dei servi di Dio che sono l’umiltà e la castità, non come rinunce ma come frutto dello sguardo sul nostro prossimo, creatura di Dio e, dunque, non manipolabile ma degno di rispetto». Dopo quel discorso, ricorda l’arcivescovo, molti professori «chiesero di parlarmi. Incontrai tanta gente di buona volontà che voleva capire come presentare a tutti queste virtù con decisione e carità». Oggi, però, dove sono? «Non mi stupisco che abbiano paura a mostrarsi pubblicamente. In queste quattro settimane sono stato attaccato da tutti i maggiori media, si è creato un clima da caccia alle streghe che penso abbia intimidito la maggioranza».

     

    IL SOSTEGNO

    Lui, da par suo, non indietreggia di un millimetro. «Quei politici che mi hanno accusato di voler controllare la condotta privata degli insegnanti, mentono. A loro ho risposto così: “Assumeresti come leader della tua causa qualcuno che parli e agisca pubblicamente contro il partito democratico? Assumeresti un repubblicano che insegni e agisca pubblicamente contro il tuo proposito? Se la risposta alla prima domanda è ‘sì’ e alla seconda è ‘no’, siamo d’accordo”. Io rispetto il tuo diritto ad assumere chi vuoi per portare avanti la tua missione. Semplicemente chiedo lo stesso rispetto».
    Oggi l’arcivescovo ammette di sentirsi «spesso solo», anche se sente il sostegno di tanti che gli scrivono. «Ricevo lettere di fedeli da tutti gli Stati Uniti, incontro molti parrocchiani che pregano per me e anche altri preti e vescovi. A non farmi indietreggiare sono la loro vicinanza e le loro preghiere».

     


    Card. Caffarra sulla "notte eretica": diabolica perfidia

    Il card. Carlo Caffarra - ANSA

    19/03/2015 da Radio Vaticana

    “Un insulto d’inarrivata bassezza e di diabolica perfidia a Cristo in Croce”, peraltro con un “tempismo” che “vede in contemporanea il teatrino del Cassero profanare il dramma del Calvario e sulle sponde del Mediterraneo la demolizione delle croci e di ogni simbolo cristiano dalle chiese assaltate dall’Isis”. Così l’arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra, in una nota condanna le immagini blasfeme della “notte eretica” organizzata la scorsa settimana dal circolo Arcigay del Cassero. Un’iniziativa - riferisce l'agenzia Sir - peraltro, stigmatizzata pure dal Comune (“il Cassero si assuma la responsabilità di una grave offesa, che ha molto più del volgare e provocatorio”, si legge in una nota di Palazzo D’Accursio) e da diverse forze politiche cittadine (dal Pd alla destra). 

    La Chiesa non è nemica della libertà, della laicità e della democrazia
    “Non si era ancora giunti a un tale disprezzo della religione cristiana - scrive Caffarra - e di chi la professa da irridere, tramite l’abominevole volgarità dell’immagine, persino la morte di Gesù sulla Croce”. “Addolora, ma non stupisce, constatare - prosegue l’arcivescovo - con che dispiegamento di forze si cerca di far passare l’idea che il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare, siano i nemici della libertà, delle giuste rivendicazioni, del progresso scientifico, della laicità, della democrazia”. 

    La libertà d'espressione non giustifica la libertà d'insulto
    ​“Ogni ideologia che non riesce a farsi alleata la Chiesa - osserva il cardinale - la perseguita ferocemente, sia uccidendo i cristiani sia insultando ciò che essi hanno di più caro. E vede giusto: in una Chiesa fedele al Vangelo non troverebbe mai l’appoggio incondizionato e cieco, di cui ogni menzogna ha bisogno per sopravvivere”. “Quando s’invoca la libertà di espressione - conclude - a giustificazione della libertà d’insulto, c’è da chiedersi se sia prossima la fine della democrazia. E ci si domanda a che titolo l’Istituzione comunale possa concedere in uso gratuito ambienti pubblici a gruppi che li utilizzano per farne luogo d’insulto e di dileggio”. (R.P.)






     Un sacerdote risponde

    Fra i dispiaceri che fanno parte della nostra vita di sacerdoti vi è l’incomprensione (che poi degenera nel disprezzo, nella calunnia ecc) e ora anche la figura di Papa Francesco diventa pretesto per accusarci

    Quesito

    Sono un parroco di un piccolo paese.
    Fra i dispiaceri che fanno parte della nostra vita di sacerdoti vi è l’incomprensione (che poi degenera nel disprezzo, nella calunnia ecc) a causa di alcuni “No” che in coscienza si devono devo dare. 
    Mi riferisco alla solita questione dei sacramenti agli irregolari. Questo diventa a volta drammatico e fonte di discussioni e di litigi in occasione della celebrazione della prima Comunione, dove alcuni genitori divorziati risposati, sposati civilmente, ecc. “pretendono” di ricevere a loro volta la comunione in quel giorno, perché si sentono discriminati rispetto agli altri. La comunione forse non sanno che sia, non ci credono neppure,  e in altre situazioni non avrebbe nessuna attrattiva per loro, ma in quel caso diventa una “rivendicazione” e una fonte di litigi e incomprensioni a non finire. 
    Chiaro che tu lo spieghi in bei modi, motivi il perché del tuo ‘no’... Tutto inutile. Ora ci si mette pure papa Francesco che predica “apertura” “disponibilità” “accoglienza” a questi fratelli (quanto mai è stato il contrario?) … ma non chiarisce che non è in potere di nessun uomo, fosse anche papa, cambiare la volontà di Cristo nel vangelo  che a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio è netta e non ammette dubbi. Il fatto che, certa gente ti sbatta sul muso “Papa Francesco” così grande, così aperto, così innovativo e non come te: “chiuso, ottuso, retrogrado, incapace” è stato avvertito da altre confratelli, in confessionale e non. E’ un equivoco, è chiaro, ma farne le spese siamo noi parroci che quotidianamente dobbiamo affrontare e sostenere queste situazioni che ci portano a dire dei sofferti ‘no’ controcorrente in nome della verità e della fedeltà al Signore. Forse sarebbe bene che qualcuno lo facesse sapere al papa di questo disagio di noi parroci e di questi equivoci che si stanno creando, e forse lui stesso dica una parola chiarificatrice. 
    Mi aiuti padre, sono davvero stanco e avvilito. Ho pensato talvolta, per evitare questo spiacevole inconveniente, in quel giorno, di dare la comunione solo ai bambini e a nessun altro (“Muoia Sansone e tutti i filistei”) ma non so se è la soluzione migliore…. Grazie saluti. 
    Don  P.


    Risposta del sacerdote

    Caro don P.,
    1. comprendo bene l’amarezza di tanti sacerdoti che oltre alla sofferenza per molti che si allontanano dalla casa del Signore ne ricevono anche il disprezzo, come se da loro dovessero imparare a fare il sacerdote, a fare il parroco.
    E in maniera molto sommaria accusano di non essere conformi all’insegnamento e al comportamento di Papa Francesco, che è aperto, va incontro alla gente, ecc…
    La tua non è un’esperienza isolata, ma abbastanza comune.

    2. Che dire di questa situazione?
    Benedetto XVI, prima di lasciare il governo della Chiesa e salutando i parroci di Roma, aveva fatto un grande discorso, che valeva un’enciclica. Aveva distinto tra Concilio reale e Concilio virtuale.
    Il Concilio reale è quello che è stato celebrato ed è quello il cui spirito trasuda dai testi emanati e che sono a disposizione di tutti.
    Il Concilio virtuale è quello fatto dai media, che hanno imposto un’altra immagine del Concilio, un’altra dottrina e un altro magistero che non corrispondono al Concilio reale. Ma alla fine, proprio per la potenza dei media, si è imposto il Concilio virtuale su quello reale.
    Mi pare che si possa dire più o meno la stessa cosa tra il papa Francesco vero e il papa Francesco virtuale e che di fatto presso la gente, soprattutto presso i più fragili e più lontani che dell’insegnamento di Papa Francesco non ne ascoltano e non ne mettono in pratica una parola (l’unica cosa che sanno dire è questa: “è il papa che dice buona sera, buon pranzo!”), si sia imposto papa Francesco virtuale.

    3. Ma Papa Francesco diverse volte ha detto che anche lui “è figlio della Chiesa” e cioè che è obbediente al deposito della fede e al Magistero della Chiesa, a quel deposito che ha ricevuto perché lo custodisca e lo trasmetta intatto.
    Quando gli è capitato, ha avuto occasione di dire che la dottrina della Chiesa non muta.
    Su questo punto non dobbiamo avere alcun timore per un duplice motivo: primo, perché ha manifestato pubblicamente questa sua volontà.
    Secondo, perché siamo certi che Colui che ha detto “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli…. insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20) continuerà ad assistere la sua Chiesa anche nel suo Magistero perché trasmetta in maniera fedele agli uomini le verità che Egli ci ha insegnato e ci ha comandato di osservare.
    È interessante quell’insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato, perché qui il Signore in maniera molto chiara fa riferimento non solo alle verità di fede, ma anche alle verità di morale, che sono le vie che di fatto e concretamente ci conducono a Lui, al cielo.

    4. Nel frattempo ci stiamo abituando a conoscere Papa Francesco, che nel suo modo di presentarsi, di parlare e di agire è certamente diverso dai suoi predecessori.
    Anche i suoi predecessori avevano ognuno una personalità e un carisma proprio. 
    Certamente erano marcatamente diversi l’uno dall’altro.
    Ma rimanevano tutti entro un certo stile o filone al quale eravamo assuefatti e che inconsapevolmente eravamo portati a identificare con l’essere Papa.
    Papa Francesco è al di fuori di questo stile e col suo comportamento, con i fatti più ancora che con le parole, distingue bene ciò che è Magistero e ciò che è connotazione personale.

    5. Di papa Francesco è evidente il fervore evangelico e l’ansia di andare a ricuperare le molte pecore perdute.
    Vuole che tutti gli uomini – soprattutto i più lontani - non si sentano respinti da Dio, che si è incarnato proprio per accoglierli, per curarne le ferite e portarli alla comunione con Sé.
    Conseguentemente vuole che non si sentano respinti neanche dalla Chiesa, che è il prolungamento di Cristo, della sua opera evangelizzatrice e della sua misericordia.
    Questo tutti l’hanno capito e di questo tutti siamo contenti.

    6. Rimane il problema pastorale degli irregolari, acuito dal “Papa Francesco virtuale”, e cioè da quello presentato dai media, come il papa che dice di dare la Comunione a tutti quelli che la chiedono, anche se come dici tu, “la comunione forse non sanno che sia, non ci credono neppure,  e in altre situazioni non avrebbe nessuna attrattiva per loro, ma in quel caso diventa una “rivendicazione” e una fonte di litigi e incomprensioni a non finire”.
    Mi dici che sei tentato da un’opzione radicale, ma della quale avverti subito che forse che non è la strada giusta: dare la Comunione solo ai bambini e non agli adulti.

    7. Secondo me sarebbe necessario percorrere una duplice strada.
    La prima è a livello catechetico: non tanto in riferimento ai bambini (di cui si presuppone o si spera che abbiano imparato la dottrina), quanto piuttosto per gli adulti, per i genitori e i parenti dei bambini della prima Comunione.
    In genere tutti i parroci si preoccupano di fare almeno un incontro con loro per prendere accordi per tanti problemi pratici relativi alla festa.
    Bisognerebbe cogliere l’occasione per far capire ai genitori di che cosa si tratta, partendo dai primi due requisiti che il Catechismo indica per poter fare bene la Santa Comunione.

    8. Il primo di questi requisiti consiste nell’essere in grazia di Dio.
    Molti genitori “irregolari” che rivendicano di poter fare la Santa Comunione almeno in quel giorno non sanno che cosa sia la grazia.
    Allora è necessario spiegare che cosa è la grazia santificante e che per godere della presenza della grazia è necessario osservare i comandamenti del Signore secondo le parole di Gesù: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,23).
    E che prima di mangiare di quel “Pane” è necessario esaminare se stessi secondo le parole della Sacra Scrittura: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).
    Credo che sia necessario avere il coraggio di ripetere anche queste parole di San Paolo: non per privarli di qualcosa, ma per premunirli, per il loro bene.

    9. Il secondo di questi requisiti è il seguente: “sapere e pensare chi si va a ricevere”.
    Si richiede pertanto di vivere bene la Comunione col Signore, di stare insieme con Lui nel raccoglimento e nella preghiera.
    In particolare si richiede di ringraziare il Signore per il grande dono che ci fa per mezzo della Santa Comunione e dell’occasione privilegiata di domandare grazie per sé, per i propri cari vivi o defunti, per la Chiesa, per il mondo intero.

    10. La seconda strada da percorrere è a livello pratico.
    Se una volta si poteva dire ai bambini della prima Comunione che il più bel regalo che i genitori avrebbero potuto fare loro in quella  circostanza sarebbe stata la Santa Comunione (e per molti genitori era un’occasione opportuna per riavvicinarsi alla confessione e alla Comunione), adesso, a motivo dello stragrande numero di irregolari, questo invito non si può e non si deve fare.
    In riferimento a questo in alcune parrocchie si era presa l’abitudine di comunicare prima il figlio e subito dopo i genitori che gli stavano accanto (o dietro) e poi passare al successivo bambino.
    Questa prassi di fatto metteva in risalto chi non poteva fare la Comunione. Anzi, che era necessario “saltarlo”.
    E così agli occhi altrui - in riferimento ai bambini - emergeva quella che poteva sembrare una discriminazione e un’offesa o dispiacere recato ai bambini proprio in quel giorno indimenticabile.
    Ricordo invece che quando io ho fatto la prima Comunione i bambini stavano davanti in semicerchio e i genitori stavano confusi tra la gente. Nessuno poteva verificare se l’uno o l’altro si accostava al Sacramento e così la possibile e odiosa discriminazione era del tutto neutralizzata.

    11. Ecco, caro don P., quello che mi sono sentito di suggerire.
    Come vedi, aveva ragione San Paolo a dire: “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
    Tutto è disposto dal Signore sempre per il meglio.
    Ti assicuro la mia preghiera perché il Signore ti sostenga nelle fatiche, nelle delusioni, nelle incomprensioni e nella mancanza di sostegni umani.

    Ti auguro ogni bene e un fruttuoso lavoro nella vigna del Signore.
    Padre Angelo


     


    Comunicato della Conferenza Episcopale dei vescovi polacchi sulla comunione ai divorziati "risposati"

     
    Riprendiamo da Toronto Catholic witness [qui] by Rorate Caeli.
    In relazione all'articolo precedente sull'eco internazionale delle dichiarazioni dei Cardinale Burke e Tagle in Inghilterra, registriamo anche le posizioni pubbliche di distanza formale dalla tesi sinodale del Card. Kasper da parte dei Vescovi polacchi. 
    I fronti si vanno delineando. Non dimentichiamo che la problematica del matrimonio e della famiglia non è l'unica questione in discussione, ma è quella attorno alla quale e dalla quale sono stati lanciati segnali rivoluzionari di portata ben più ampia e generale.
    Aggiungo alle informazioni che ricaviamo dal testo tradotto che la plenaria dei vescovi polacchi tocca la questione di cui stiamo parlando al punto 3. mentre negli altri punti esamina anche svariati problemi non solo di etica (eutanasia, fecondazione in vitro, aborto) ma anche la persecuzione dei cristiani in tante parti del mondo, la situazione al loro confine orientale (l'Ucraina), le migliaia di sacerdoti polacchi vittime a Dachau, verso cui preparano un Pellegrinaggio in occasione dei 70 anni dalla liberazione del campo. (M.G.)


    I Vescovi della Conferenza Episcopale polacca nella riunione plenaria annuale (368) hanno respinto formalmente la "proposta-Kasper" di dare la comunione ai cattolici sposati sacramentalmente, che vivono seconde "unioni" illecite e peccaminose.
    Nell'affermare formalmente la loro posizione, i Vescovi polacchi rifiutano totalmente il Partito in favore dell'adulterio di cui alla scandalosa ed eretica relatio di medio-termine dello scorso ottobre 2014, e si pongono dalla parte di Nostro Signore Gesù Cristo e della sua dottrina della indissolubilità del santo matrimonio.

    In tal modo, i Vescovi rimangono fedeli alla Familiaris Consortio che si limita a ribadire l'immutata e immutabile verità sul matrimonio cristiano che nessun uomo, anche se si tratti del Papa può cambiare. San Giovanni Paolo II ha ribadito in un discorso alla Rota Romana[cito per esteso in nota 1 per comodità di chi legge] che nessun Papa ha l'autorità di modificare la dottrina della Chiesa. Il Papa è il Pastore universale, tenuto solennemente sotto pena di peccato grave a sostenere gli insegnamenti dell'Unico Cristo e dell'unica Chiesa.

    Dal Comunicato della Conferenza episcopale polacca [qui]: 
    [...] 3. In vista del prossimo Sinodo straordinario dei vescovi a Roma, i vescovi si sono assunti l'impegno di una riflessione sul matrimonio e sulla famiglia. Questa riflessione ha dimostrato l'importanza della famiglia dal punto di vista delle questioni filosofiche, teologiche e giuridiche.
    Una volta l'imprescindibile importanza del sacramento del matrimonio e della famiglia era collegata alla crescita della vita cristiana nella Chiesa.
    Essi hanno sottolineato la necessità di promuovere la pastorale delle famiglie, per rafforzare i fedeli nella comprensione e nell'attuazione del matrimonio sacramentale, inteso come unione sacra e indissolubile tra un uomo e una donna.
    L'insegnamento e la tradizione della Chiesa dimostra che le persone che vivono in unione non-sacramentale si privano della possibilità di ricevere la Santa Comunione.
    A chi vive in tali unioni deve essere garantita la cura pastorale perché possano essere in grado di mantenere la fede e rimanere nella comunità della Chiesa. La cura pastorale per le persone che vivono unioni non-sacramentali dovrebbe tener conto anche dei bambini, che hanno il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla missione della Chiesa. [...]
    [Traduzione di Chiesa e post-concilio] 
    _____________________________
    1. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 21 gennaio 2000, in AAS, 92 (2000), pp. 350-355 
    [...] Tuttavia, va diffondendosi l’idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni [1099 - 1057], e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d’animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L’affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

    7. Questa dottrina, della non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è stata proposta molte volte dai miei Predecessori [Cfr. ad esempio, Pio IX, Lett. Verbis exprimere, 15 agosto 1859: Insegnamenti Pontifici, Ed. Paoline, Roma 1957, vol. I, n. 103; Leone XIII, Lett. Enc. Arcanum, 10 febbraio 1880: ASS 12 [1879-1880], 400; Pio XI, Lett. Enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930: AAS 22 [1930], 552; Pio XII, Allocuzione agli sposi novelli, 22 aprile 1942: Discorsi e Radiomessaggi di S.S. Pio XII, Ed. Vaticana, vol. IV, 47]. Vorrei citare, in particolare, un’affermazione di Pio XII: “Il matrimonio rato e consumato è per diritto divino indissolubile, in quanto che non può essere sciolto da nessuna autorità umana [Can. 1118]; mentre gli altri matrimoni, sebbene intrinsecamente siano indissolubili, non hanno però una indissolubilità estrinseca assoluta, ma, dati certi necessari presupposti, possono (si tratta, come è noto, di casi relativamente ben rari) essere sciolti, oltre che in forza del privilegio Paolino, dal Romano Pontefice in virtù della sua potestà ministeriale” [Allocuzione alla Rota Romana, 3 ottobre 1941: AAS 33 [1941], 424-425.]. 
    Con queste parole Pio XII interpretava esplicitamente il canone 1118, corrispondente all’attuale canone 1141 del Codice di Diritto Canonico, e al canone 853 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, nel senso che l’espressione “potestà umana” include anche la potestà ministeriale o vicaria del Papa, e presentava questa dottrina come pacificamente tenuta da tutti gli esperti in materia. In questo contesto conviene citare anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, con la grande autorità dottrinale conferitagli dall’intervento dell’intero Episcopato nella sua redazione e dalla mia speciale approvazione. Vi si legge infatti: “Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina” [N. 1640].

    8. Il Romano Pontefice, infatti, ha la “sacra potestas” di insegnare la verità del Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente la Chiesa in nome e con l’autorità di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l’eco fedele e l’interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.
    Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici, in modo costante e in un arco di tempo sufficientemente lungo. Essa è stata fatta propria e insegnata da tutti i Vescovi in comunione con la Sede di Pietro nella consapevolezza che deve essere sempre mantenuta e accettata dai fedeli. 
    In questo senso è stata riproposta dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta d’altronde di una dottrina confermata dalla prassi plurisecolare della Chiesa, mantenuta con piena fedeltà e con eroismo, a volte anche di fronte a gravi pressioni dei potenti di questo mondo.
    È altamente significativo l’atteggiamento dei Papi, i quali, anche nel tempo di una più chiara affermazione del primato Petrino, mostrano di essere sempre consapevoli del fatto che il loro Magistero è a totale servizio della Parola di Dio [474] e, in questo spirito, non si pongono al di sopra del dono del Signore, ma si impegnano soltanto a conservare e ad amministrare il bene affidato alla Chiesa.

    9. Queste sono, illustri Prelati Uditori ed Officiali, le riflessioni, che, in materia di tanta importanza e gravità, mi premeva parteciparvi. Le affido alle vostre menti e ai vostri cuori, sicuro della vostra piena fedeltà e adesione alla Parola di Dio, interpretata dal Magistero della Chiesa, e alla legge canonica nella più genuina e completa interpretazione.


     


    [Modificato da Caterina63 19/03/2015 14:50]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 24/03/2015 18:00

      Bagnasco: corruzione in Italia ammorba l’aria. No al gender




    Cardinale Angelo Bagnasco presidente Cei - ANSA





    24/03/2015



    La condanna per le persecuzioni contro i cristiani, "barbare e studiate”, e l'appello all'Italia perchè reagisca a malaffare e corruzione diventati “regime”, sono stati i temi al centro della prolusione con cui il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto ieri il Consiglio episcopale permanente della Cei. Il porporato ha invocato un’Europa più responsabile e attenta al bene comune di fronte al fenomeno delle migrazioni e ha rivendicato la libertà educativa contro ogni colonizzazione ideologica, come la teoria del "gender". Il servizio di Gabriella Ceraso:


    "Sarà un anno di grazia quello che ci aspetta, sulla scia della lieta sorpresa del Giubileo straordinario della Misericordia indetto dal Papa”. Un anno di conversione, di annuncio, di condivisione delle miserie umane.


    Persecuzione è come bestemmia
    E’ in questa prospettiva che il cardinale Angelo Bagnasco colloca la sua riflessione, interrogandosi innanzitutto sul perché delle persecuzioni contro le minoranze in particolare i cristiani che crescono e si incrudeliscono. E’ odio per l’occidente? “Turpe regolamento di conti interno” o “provocazione”, si chiede il porporato?:

    “La ragione non può non condannare tanta barbare e studiata crudeltà. Invocare il nome di Dio per tagliare le gole è una bestemmia che grida al cospetto del cielo e della terra”.

    Eppure, prosegue il cardinale Bagnasco, i martiri cristiani ci ricordano il “vero volto del cristianesimo”:

    “Non sarà di certo una macabra bandiera nera issata al posto di un Crocifisso divelto che potrà uccidere l’amore di Cristo. Esso è ben piantato nel cuore dei suoi discepoli”.

    E all’Europa che lascia andare i propri cittadini a arruolarsi nelle file del cosiddetto Stato islamico il presidente della Cei chiede un esame di coscienza perché, dice, “è svuotare la cultura dei propri valori spirituali, morali e antropologici” a esporre i cittadini a “suggestioni turpi”.

    Corruzione avvelena la speranza
    Poi, lo sguardo del porporato va all’Italia del neopresidente Mattarella. Come il Papa sabato scorso nella sua visita a Napoli, il cardinale punta il dito su malcostume e malaffare diventati “regime ramificato e intoccabile”:

    “Come corpi in stato di corruzione ammorbano l’aria che si respira, avvelenano la speranza e indeboliscono le forze morali”.

    Occorre reagire tutti, è l’invocazione del cardinale Bagnasco, come è altrettanto doveroso - e qui il porporato si rivolge al mondo della cultura e della scuola - risvegliare le coscienze e rivendicare la libertà di educazione di fronte alla “dilagante colonizzazione della teoria del gender” che punta a...

    “...costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno e quindi diventi diritto. Individui fluidi per una società fluida e debole, una manipolazione da laboratorio dove inventori e manipolatori fanno parte di quella 'governance' mondiale che va oltre i governi eletti e che spesso rimanda a organizzazioni non governative, che come tali non esprimono nessuna volontà popolare”.

    Nelle parole del porporato anche la piaga della disoccupazione e delle migrazioni nel Mediterraneo. ”Non basta ripianare i buchi”, ma occorre “investire”, ripete il cardinale, parlando delle eccellenze italiane. E di fronte alla tragedia di uomini, donne e bambini che continuano con speranza ad attraversare il mare, scappando da violenze, guerre e miserie, ricorda che occorre più integrazione e una presenza europea attenta al bene comune e non ai soli interessi nazionali.


      Prolusione del Card. Angelo Bagnasco al Consiglio Episcopale Permanente - Roma, 23/25 marzo 2015


     Cari Confratelli.

    1. L’Anno Santo della Misericordia

    I nostri lavori si aprono avendo nell’anima la lieta sorpresa che il Santo Padre Francesco ha fatto al Popolo di Dio: “Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio.
    Sarà un Anno Santo della Misericordia.
    Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: «Siate misericordiosi come il Padre»” (Papa Francesco, Omelia 13.3.2015).
    Ci aspetta, dunque, un particolare anno di grazia per poter fare, insieme ai nostri amati Sacerdoti e Diaconi, alle persone consacrate, alle nostre Comunità, una più intensa esperienza del cuore misericordioso di Dio, di cui Gesù è “volto vivo” (id). Sembra quasi che ai moltissimi auguri che da tutto il mondo sono arrivati al Papa per il secondo anniversario della sua elezione al ministero petrino, abbia voluto rispondere con un regalo più grande, regalo che è anche un invito e un auspicio, quello di camminare più spediti e lieti nella via della conversione del cuore e della vita personale ed ecclesiale.

    Sì, è un grande dono, e come tale non vogliamo sprecarne neppure un poco, sapendo bene che solamente se volgiamo i nostri occhi al Volto della bellezza, anche noi potremo non solo risplendere della Luce di Cristo, ma altresì illuminare gli altri con la Sua luce, che è verità liberante e salvatrice. E’ questo, infatti, il secondo scopo dell’Anno Santo: “Una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia” (id).
    Cristo è il volto della misericordia del Padre – ricorda il Papa – poiché rende il cuore di Dio vicino, prossimo alla miseria umana, all’umanità povera e umiliata perché affaticata dall’antico peccato e dai peccati personali: è segnata dal “malum mundi” e dai “mala mundi”. Icona evangelica della misericordia di Dio è la parabola del buon Samaritano, nella quale Gesù non solo annuncia l’azione misericordiosa del Padre, ma ne esplicita i diversi sentimenti e i gesti coerenti.  
      
    Ne risulta un quadro tratteggiato con alcune pennellate essenziali, come le cinque vie del prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze ispirate all’Evangelii gaudium (cfr n. 24). L’esperienza della misericordia divina ci fa “uscire”, ci fa prendere il largo sulle strade degli altri. Nessun luogo è talmente lontano o chiuso da essere inaccessibile al Dio misericordioso e pietoso, grande nell’amore. E poi bisogna “annunciare”: anche il samaritano ha annunciato a suo modo la novità di Cristo: lo ha fatto attraverso dei gesti che parlano e dicono che Dio è presente.

    Con l’uscire e l’annunciare si può rimanere ancora esterni alla miseria umana: è necessario anche “abitarla”. Appunto come il Samaritano, che è entrato nella sciagura del malcapitato, nella sua paura e nella sua umiliazione: ha accettato di rallentare il proprio passo, di ritardare la marcia per abitare il bisogno altrui versandovi olio e vino. In questo modo ha svolto anche un’opera “educativa”. Come? Con il suo farsi prossimo ha immesso nel mondo il germe di una rivoluzione; ha posto in questione una visione che toccava non solo il levita di passaggio; ha gettato il guanto della sfida a una cultura individualista. Ha detto “no” a una visione che scarta il debole e lo abbandona al suo destino.
    E così ha iniziato quella “trasfigurazione” della realtà che si compirà in Cristo, il vero, grande Samaritano dell’umanità: con quel gesto ha preso corpo sulla terra il sogno di una umanità nuova e bella che sarà possibile grazie all’irruzione dello Spirito.

    Sull’Evangelii gaudium – sulle considerazioni e le direttrici che traccia – si concentrerà l’attenzione dell’Episcopato italiano nella prossima Assemblea Generale di maggio: ci chiederemo quanto la ricca Esortazione apostolica sia entrata nella mente e nei cuori dei credenti, e sia diventata criterio di vita spirituale e di pastorale. Nelle Conferenze Episcopali delle nostre Regioni a questo ci stiamo preparando, facendo anche un’attenta riflessione sui Lineamenta in vista del Sinodo Ordinario dei Vescovi sulla famiglia, che si celebrerà nel prossimo ottobre.

    Insieme al nostro Clero, rinnoviamo alle persone consacrate la nostra paterna stima e gratitudine: con le nostre comunità vogliamo vivere accanto a loro e con loro questo speciale Anno che il Santo Padre ha dedicato al grande carisma della radicale consacrazione a Dio e alla Chiesa. ...


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    LETTERA DALLA GRAN BRETAGNA
     

    Mentre il cardinale Kasper invita alla preghiera, affinché le decisioni del Sinodo vadano verso uno “sviluppo della tradizione”, circa 500 sacerdoti di Inghilterra e Galles sottoscrivono una lettera in cui chiedono ai padri un “annuncio chiaro e fermo dell’insegnamento morale immutabile della Chiesa”.

    di Lorenzo Bertocchi
    S. Edoardo, Clifford

     

    Sul punto del possibile accesso all’eucaristia per i divorziati risposati, quello su cui il Card. Kasper vorrebbe un particolare “sviluppo”, i presbiteri d’oltremanica hanno una idea decisamente diversa. “Si afferma l’importanza, scrivono, di mantenere la disciplina tradizionale della Chiesa per quanto riguarda la ricezione dei sacramenti, e la dottrina e la prassi rimangano fermamente e inseparabilmente in armonia”. La questione dell’unità tra dottrina e pastorale è il cuore del dibattito sinodale, ne ha parlato recentemente anche Mons. Kurtz, presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. C’è la necessità che venga garantita “l’unità” tra le due, perché, ha detto il prelato statunitense, non si può rompere “l’unità e l’integrità di come noi adoriamo, come crediamo e il modo in cui offriamo la cura pastorale”.

    Il problema, come sollevò con chiarezza il Card. Caffarra, è che dietro al parafulmine del cambiamento pastorale potrebbe nascondersi tutt’altro. Proprio in riferimento alle tesi del cardinale Kasper al concistoro 2014, l’arcivescovo di Bologna disse che “non è questione solo di prassi, qui si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa.” Per questo non si può ridurre il dibattito sinodale ad una semplice questione tra fazioni “politiche”, ma occorre essere attenti alla posta in gioco. Di fronte “alla confusione” i sacerdoti inglesi e gallesi firmatari della lettera ribadiscono la loro “fedeltà incrollabile alle dottrine tradizionali concernenti il matrimonio e il vero significato della sessualità umana, fondata sulla Parola di Dio e insegnata dal Magistero della Chiesa per due millenni”. 

    Il problema del rapporto tra pastorale e dottrina è stato recentemente affrontato anche dal Card. Burke che ha concesso una lunga intervista alla blogger francese Jeanne Smits. Quella di chi pone il cambiamento solo a livello pastorale, mentre rimarrebbe intatta la dottrina, “è una falsa distinzione”, ha detto. Il riferimento, oltre alla questione dell’eucaristia ai divorziati risposati, riguarda anche gli alti temi incerti del sinodo, quello delle cosiddette unioni “irregolari” e dell’omosessualità. “E’ impossibile, ha detto Burke, separare la verità dall’amore, una via fuori dalla verità non può essere una via d’amore”. Se si “dona l’accesso alla Santa Comunione a persone che si trovano in unioni irregolari, si afferma di fatto anche qualcosa sull’indissolubilità del matrimonio”, cioè sulla dottrina. Quindi, come diceva il Card. Caffarra, si può anche dire che non si tocca la dottrina, ma di fatto lo si fa.

    Gira e rigira il punto è sempre lo stesso, come ha fatto notare anche il cardinale africano Sarah. "L’idea di mettere il Magistero in una graziosa scatola separandolo dalla pratica pastorale –ha dichiarato nel libro intervista “Dieu ou rien” – è una forma di eresia, di patologica schizofrenia.” “C’è una battaglia in corso”, ha detto il Card. Kasper in Inghilterra, ed è anche importante che si discuta, come ha chiesto più volte il Santo Padre. Bisogna però fare attenzione.

    Andare oltre l’apparenza, cercare di capire, leggere bene i documenti ufficiali e, soprattutto, non farsi prendere troppo facilmente dai buoni sentimenti. “La misericordia, lo ha detto anche il Card. Kasper, non è morbidezza pastorale”.



     

    Dio o nulla! Grande intervista al card. Robert Sarah

     
    Da una recente sintesi di Marco Tosatti [qui] apprendiamo più ampi stralci dell'intervista al Cardinale Robert Sarah pubblicata su L'Homme Nouveau/n.1588, che di seguito riportiamo per intero, traducendoli dall'originale [qui].
    Ne avevamo dato un consuntivo più ridotto qui, dopo aver raccolto le prime notizie sul libro.

    Giornalista e scrittore Nicolas Diat ha condotto interviste con il cardinale Robert Sarah, pubblicate sotto il titolo Dio o niente, intervista sulla fede. Per L'Homme Nouveau, Padre Claude Barthe e Philippe Maxence si sono intrattenuti informalmente col cardinale guineano dalla parola scintillante come la mattina della risurrezione.
    Philippe Maxence, "Dio o niente", Eminenza, è il programma della santità.Vuole essere un santo?
     
    Cardinale Robert Sarah: Sì, perché questa è la nostra prima vocazione: essere santi, perché il Signore nostro Dio è santo. Con Dio o nulla, vorrei giungere a mettere Dio al centro dei nostri pensieri, al centro del nostro agire, al centro della nostra vita, l'unico posto che Egli dovrebbe occupare. In modo che il nostro cammino di cristiani possa gravitare intorno a questa roccia e a questa ferma certezza della nostra fede. Con questo libro, voglio testimoniare la bontà di Dio, attraverso il racconto della mia esperienza. Dio è al primo posto nella nostra vita, perché Egli ci ama e che il modo migliore per farlo è amarLo il centuplo. Il mondo occidentale ha purtroppo dimenticato la centralità dell'amore divino. E necessario recuperare questa relazione con Dio.
    Per questo, la mia testimonianza è lì per invitare il mondo a non rifiutare Dio. Quando guardo la mia vita, vi vedo, infatti, il segno reale della predilezione divina. Vengo da una semplice famiglia africana e da un villaggio molto remoto dal centro della città. Chi avrebbe potuto dire quando sono nato tutto ciò che Dio avrebbe compiuto? Per diventare seminarista e sacerdote, sono andato dalla Guinea al Senegal passando per la Costa d'Avorio e la Francia. Successivamente, sono diventato vescovo di Conakry in condizioni difficili. Poi sono stato chiamato a Roma, nel cuore della Chiesa. Come tacere, dal momento che ogni fase della mia vita forma un chiarissimo segno dell'azione di Dio su di me?
     

    don Claude Barthe: Quali sono i punti di forza e di debolezza del cattolicesimo africano?
     
    RS: Lei ha ragione a parlare di punti di forza e di debolezza. La Chiesa in Africa è ancora giovane, e tutto ciò che è giovane e fragile. È quindi necessario aumentare il numero di cristiani, non solo in termini quantitativi, ma anche assimilando sempre meglio il Vangelo, aiutando i cristiani a vivere pienamente, senza esitazioni o compromessi, in teoria e in pratica, le esigenze della fede cristiana. I Papi hanno sempre spinto in quella direzione. Quando Paolo VI, nel 1969, designava l'Africa come una «nuova patria di Cristo - nova patria Christi Africa»​​, ha ricordato una realtà che non esclude la necessità per noi africani di accogliere sempre più profondamente il Vangelo. Quando si incontra il Vangelo e quando il Vangelo ci penetra, esso ci destabilizza, ci trasforma, ci cambia radicalmente e ci fornisce orientamenti e riferimenti morali nuovi. È per questo che chiedo davvero con tutto il cuore che Cristo viva in Africa perché l'Africa è oggi la sua nuova patria. Ma nello stesso tempo nella Chiesa africana c'è un vero e proprio dinamismo e penso che davvero essa sia chiamata ad avere un ruolo nella Chiesa universale. La Chiesa in Africa risponde profondamente al progetto di Dio. L'ha voluto fin dalle origini. Quando parlo delle origini, non mi riferisco solo a Sant'Agostino, ma penso anche al fatto che è un paese africano, l'Egitto, che ha accolto la Sacra Famiglia, che ha salvato Gesù. È sempre un africano, Simone di Cirene, che aiutò Cristo a portare la sua croce verso il Golgota. L'Africa è stata coinvolta nella storia della salvezza fin dall'inizio. E oggi, nel contesto di profonda crisi, che vede la fede stessa in discussione e valori respinti, credo fermamente che l'Africa possa apportare nella sua povertà, nella sua miseria, i suoi beni più preziosi : la fedeltà a Dio, al Vangelo, il suo impegno per la famiglia, per la vita, in un momento storico in cui l'Occidente dà l'impressione di voler imporre valori opposti.

    Don CB: Ci sono molti sacerdoti in Africa. È preoccupato per la mancanza di formazione del clero, come troppo spesso accade in Francia?

    RS: Abbiamo molte vocazioni, ma formazione ed esperienza non sufficientemente solide. Vedete, abbiamo spesso giovani sacerdoti che, dopo aver completato gli studi a Parigi o Roma, sono immediatamente chiamati ad insegnare nei seminari. Non ne hanno esperienza sufficiente né realmente consolidata dal tempo e da un rapporto personale con Gesù. Si trovano nella situazione di coloro che hanno delle conoscenze senza effettivamente assimilato sul campo. La nostra tragedia non è la mancanza di sacerdoti, ma la mancanza di sacerdoti  veramente configurati a Cristo e divenuti ipse Christus : Cristo stesso. In qualche modo, noi siamo troppi come sacerdoti. Oggi siamo più di 400.000 sacerdoti nel mondo. Già agli inizi del VII secolo san Gregorio Magno scriveva: «Il mondo è pieno di sacerdoti, ma raramente si incontra un operaio nella messe di Dio; noi accettiamo la funzione sacerdotale, ma non facciamo il lavoro corrispondente a questa funzione». Cos'è che ha rivoluzionato il mondo? Dodici Apostoli totalmente incorporati da Gesù, presi da Gesù. Ci manca questo tipo di sacerdoti. Certamente essi hanno studiato molti testi scientifici, ma si ritrovano incapaci di nutrire il popolo di Dio e portarlo verso la radicalità del Vangelo, perché essi stessi non hanno davvero visto o incontrato Cristo personalmente. Dovrebbero essere come Sant'Agostino. Malgrado le sue doti eccezionali di teologo, le sue parole scaturivano dal suo cuore e dall'esperienza. Questo è il profilo di sacerdoti che vorrei!

    Don CB: Il modo in cui è stata fatta la riforma liturgica e lo spirito liturgico in cui di conseguenza si realizza la formazione dei sacerdoti che non li allontanano dal modello sacerdotale che lei propone?
     
    RS: Constatiamo sempre più che l'uomo cerca di prendere il posto di Dio, che la liturgia diventa un semplice gioco umano. Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in luoghi di applicazione delle nostre ideologie pastorali e di opzioni politiche di parte che nulla hanno a che vedere con il culto spirituale per celebrare come voluto da Dio, il pericolo è immenso. Mi appare urgente mettere più attenzione e fervore nella formazione liturgica dei futuri sacerdoti. La loro vita interiore e la fecondità del loro ministero sacerdotale dipendono dalla qualità del loro rapporto con Dio nel faccia a faccia quotidiano che la liturgia ci dona di sperimentare.

    Don CB: Nel suo libro racconta, a proposito di tale genere di scelte, l'episodio della rimozione del baldacchino della cattedrale di Conakry da parte del vescovo Tchidimbo.

    RS: Sì, è stata una riforma liturgica alla francese! Volevamo migliorare la partecipazione del popolo di Dio nella liturgia, senza mettere in discussione forse abbastanza sul significato di questa «partecipazione». Che cosa significa «prendere parte alla liturgia?». Questo significa entrare pienamente nella preghiera di Cristo. Nulla a che vedere con il rumore, l'agitarsi e il fatto che ognuno rivesta un ruolo come in un teatro. Si tratta di entrare nella preghiera di Gesù, di immolarsi con lui, di essere in qualche modo transustanziati e diventare noi stessi, ostie viventi, sante e gradite a Dio. È esattamente ciò che intende S. Gregorio Nazianzeno, quando ha detto: «Noi parteciperemo alla Pasqua (...). Ebbene, quanto a noi, partecipiamo (...) in un modo perfetto. (...) Offriamo in sacrificio, non giovani tori o agnelli con corna e zoccoli (...). Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull'altare celeste in unione con i cori del Cielo. Ciò che sto per dire va oltre: è noi stessi che dobbiamo offrire in sacrificio a Dio; offriamogli ogni giorno tutta la nostra attività. Accettiamo tutto per Cristo; con le nostre sofferenze, imitiamo la sua passione; col nostro sangue, onoriamo il suo sangue; saliamo verso la Croce con fervore! ». Non si tratta di distribuirci ruoli o funzioni. A poco a poco, siamo chiamati ad entrare nel mistero dell'Eucaristia e celebrarlo come Gesù e come la Chiesa lo ha sempre celebrato. L'Eucaristia deve assimilarci a Cristo, farci diventare un unico essere con Cristo. Io stesso divento Cristo. Benedetto XVI è stato chiaro sul fatto che la chiesa non si costruisce a colpi di rotture, ma nella continuità. laSacrosanctum Concilium, il testo conciliare sulla santa liturgia non sopprime il passato. Ad esempio, non ha mai chiesto di sopprimere il latino o la soppressione della Messa di San Pio V.

    Don CB: Lei sottolinea la necessaria perennità dell'insegnamento morale della Chiesa, nonostante le pressioni delle correnti relativistiche. È l'intera del magistero. Come considerare, per il futuro, la funzione di questo Magistero?

    RS: Bisogna assolutamente conservare fedelmente e accuratamente i dati essenziali della fede cristiana in una intelligenza che cerca di esplorarli in profondità e comprenderli in maniera attiva e sempre nuova. Ma dobbiamo mantenere intatto il deposito della fede e tenerlo al riparo da qualsiasi violazione e da qualsiasi alterazione. Se la Chiesa comincia a parlare come il mondo e ad adottare il linguaggio del mondo, dovrà accettar di cambiare il suo modo di giudizio morale, e, quindi, dovrà abbandonare la sua pretesa di voler illuminare e guidare le coscienze. Così facendo la Chiesa dovrà abbandonare la sua pretesa di essere luce di verità per i popoli. «Dovrà rinunciare a dire che ci sono beni che sono dei fini, che è nobile che l'uomo li persegua non soltanto come valore ma come obiettivo. Soprattutto, dovrà rinunciare a dire che ci sono atti che sono intrinsecamente malvagi di per sé e che nessuna circostanza li consente». Quindi penso che il Magistero deve stare fermo come una roccia. Infatti, se si crea un dubbio, se il magistero si situa nel tempo in cui viviamo, la Chiesa non ha più il diritto di insegnare. L'urgenza effettiva di oggi sta nella stabilità che deve avere l'insegnamento della Chiesa. Il Vangelo è lo stesso. Non cambia. Naturalmente c'è sempre bisogno di un lavoro di formulazione per raggiungere meglio le persone, ma non possiamo, con il pretesto che esse non ascoltano più, adattare la formulazione della dottrina di Cristo e della Chiesa alle circostanze, alla storia o alla sensibilità di ognuno. Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio permanente. C'è un lavoro enorme da fare a questo proposito: rendere comprensibile l'insegnamento della Chiesa, mantenendo intatta la dottrina di base. Ed è per questo che è inammissibile separare la pastorale dalla dottrina: una pastorale senza dottrina è una pastorale costruita sulla sabbia.

    Don CB: Sembra che oggi nella Chiesa non ci un sia limite definito tra coloro che sono fuori e coloro che sono dentro. In Francia, per esempio, ci sono università cattoliche in cui sono esplicitamente insegnate eresie e rimangono « cattoliche ». Nell'ultimo Sinodo, alcuni hanno sostenuto la sua linea, ma altri hanno detto il contrario. Ora tutti sono dati come « cattolici ». Per il bene delle anime, non dovremmo tornare, non solo ad un insegnamento chiaro, ma anche all'affermazione esplicita che questo o quello non è cattolico? 
     
    Penso sia grave lasciare che un sacerdote o un vescovo dica cose che minano o rovinano il deposito della fede, senza chiedergliene conto. Come minimo, Bisognerebbe interpellarlo e chiedergli di spiegare i motivi delle sue osservazioni, senza esitare a richiedere la riformulazione in modo coerente con la dottrina e l'insegnamento secolare della Chiesa. Non possiamo permettere che la gente dica o scriva qualunque cosa sulla dottrina, la morale; cosa che attualmente disorienta i cristiani e crea grande confusione su ciò che Cristo e la Chiesa ha sempre insegnato. La Chiesa non deve mai rinunciare al suo titolo di Mater et Magistra : il suo ruolo di madre e di educatrice del popolo. Come sacerdoti, vescovi o semplici laici, sbagliamo a non dire che qualcosa non va. La Chiesa non deve esitare a denunciare il peccato, il male e ogni cattiva condotta o perversione umana. La Chiesa assume, per conto di Dio, un'autorità paterna e materna. E questa autorità è un servizio umile per il bene dell'umanità. Oggi soffriamo un deficit di paternità. Se un padre di famiglia non dice nulla ai suoi figli sul loro comportamento, non agisce come un vero padre. Egli tradisce la sua ragione e la sua missione paterna. Il primo dovere di un vescovo, quindi, è quello di interpellare un prete, quando le su dichiarazioni non sono conformi alla dottrina. Questa è una responsabilità pesante. Quando Giovanni Battista ha detto ad Erode: «Tu non hai il diritto di prendere la moglie di tuo fratello» , ci ha rimesso la vita. Purtroppo, oggi l'autorità spesso tace per paura di passare come particolarmente intollerante o di capitolare. Come se mostrare la verità a qualcuno significasse volgersi agli intolleranti o fondamentalisti mentre si tratta di un atto di amore.
     
    In Francia, il cattolicesimo istituzionale è in declino mentre la base - il cosiddetto «nuovo cattolicesimo» - è giovane e dinamico. Ma c'è un divario tra questo cattolicesimo di base e molti pastori. Non c'è un problema nella nomina dei vescovi? 
     
     Mi ponete una domanda difficile. Lasciamo che lo Spirito Santo ci lavori, trasformi e rinnovi. Fu lui infatti a rinnovare la faccia della terra. È lui che vivifica e santifica la Chiesa. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, vorrei semplicemente dare questa informazione. La lista dei nomi dei candidati all'episcopato di solito è offerta dalla Conferenza Episcopale Nazionale. La Conferenza Episcopale, consapevole delle sfide di oggi, dei problemi della Chiesa di Francia e della diocesi a provvedervi, suggerisce candidati degni e idonei. La nomina di un vescovo è una enorme responsabilità di fronte a Dio e alla Chiesa. I nomi dei candidati all'episcopato, in altre parole, la « terna » sono presentati al Nunzio Apostolico. Il Nunzio Apostolico, dopo aver ottenuto l'approvazione del dicastero competente, conduce indagini su ciascun candidato. Il nunzio e Roma danno totale fiducia alla coscienza, alla giustizia e all'onestà delle informazioni. Se tutto è fatto nel timore di Dio e per il bene della Chiesa, non c'è ragione che il contributo degli informatori non possa aiutare il Papa a scegliere buoni vescovi. Tutto dipende dalla chiesa locale. Ma vorrei anche sottolineare che a volte ottimi preti non sono fatti per essere vescovi. A volte un buon sacerdote, una volta vescovo divenga irriconoscibile, perché l'autorità, l'esercizio del potere lo hanno cambiato profondamente. Invece di essere un padre, un leader spirituale e un pastore, diventa un capo difficile e povero nei rapporti umani. 
    Dieu ou rien, Entretien sur la foi, Fayard, 422 p., 21,90 €.

    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]









     

    [Modificato da Caterina63 16/04/2015 00:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 02/04/2015 00:22
    INTERVISTA


     



    «Non sono contro il Papa, non ho mai parlato contro il Papa, ho sempre concepito la mia attività come appoggio al ministero petrino. Io vorrei soltanto servire la verità». In questa intervista il cardinale Raymond Leo Burke smonta tutte le accuse.



    di Riccardo Cascioli



    «Non sono contro il Papa, non ho mai parlato contro il Papa, ho sempre concepito la mia attività come appoggio al ministero petrino. Io vorrei soltanto servire la verità».  È amareggiato il cardinale Raymond Leo Burke per la campagna negativa che si è scatenata nei suoi confronti. Sessantasei anni, ordinato vescovo da Giovanni Paolo II nel 1995, stimato esperto di Diritto canonico è chiamato a Roma da Benedetto XVI nel 2008 come prefetto del Tribunale della Segnatura apostolica, per poi essere nominato cardinale nel 2010. 

    In questi mesi è stato dipinto come un fanatico ultraconservatore,anticonciliarista, complottista contro papa Francesco, addirittura pronto a uno scisma nel caso il Sinodo aprisse a cambiamenti sgraditi. La campagna è così forte che anche in Italia diversi vescovi si sono rifiutati di ospitare sue conferenze nelle proprie diocesi. E quando invece da qualche parte gli è consentito di tenere un incontro – come recentemente in alcune città del Nord Italia - trova immancabilmente dei sacerdoti che lo contestano, accusandolo di fare propaganda contro il Papa. «Sono tutte sciocchezze, proprio non capisco questo atteggiamento. Non ho mai detto una sola parola contro il Papa, mi sforzo solo di servire la verità, compito che abbiamo tutti. Ho sempre visto i miei interventi, le mie attività come un appoggio al ministero petrino. Le persone che mi conoscono possono testimoniare che non sono affatto un antipapista. Al contrario sono sempre stato molto leale e ho sempre voluto servire il santo Padre, cosa che faccio anche ora».
    In effetti, incontrandolo nel suo appartamento a due passi da piazza San Pietro, con quei suoi modi affabili e il suo parlare molto spontaneo appare distante mille miglia dall’immagine di arcigno difensore della “fredda dottrina”, come viene descritto dalla grande stampa. 

    Cardinale Burke, eppure nel dibattito che ha preceduto e seguito il primo Sinodo sulla famiglia certe sue dichiarazioni sono effettivamente suonate come una critica a papa Francesco, o almeno così sono state interpretate. Ad esempio, recentemente ha fatto molto rumore quel suo “Resisterò, resisterò” come risposta a una eventuale decisione del Papa a concedere la comunione ai divorziati risposati.
    Ma è stata una frase travisata, non c’era alcun riferimento a papa Francesco. Io credo che siccome ho sempre parlato molto chiaramente sulla questione del matrimonio e della famiglia, c’è chi vuole neutralizzarmi dipingendomi come nemico del Papa, o addirittura pronto allo scisma, proprio usando quella risposta che ho dato in una intervista a una rete televisiva francese. 

    E allora come va interpretata quella risposta?
    È molto semplice. La giornalista mi ha chiesto cosa farei se ipoteticamente – non riferendosi a papa Francesco – un pontefice prendesse decisioni contro la dottrina e contro la prassi della Chiesa. Io ho detto che dovrei resistere, perché tutti siamo a servizio della verità, a cominciare dal Papa. La Chiesa non è un organismo politico nel senso del potere. Il potere è Gesù Cristo e il suo vangelo. Per questo ho risposto che resisterò e non sarebbe la prima volta che questo accade nella Chiesa. Ci sono stati nella storia diversi momenti in cui qualcuno ha dovuto resistere al Papa, a cominciare da San Paolo nei confronti di San Pietro, nella vicenda dei giudeizzanti, che volevano imporre la circoncisione ai convertiti ellenici. Ma nel mio caso io non sto affatto facendo resistenza a papa Francesco, perché lui non ha fatto nulla contro la dottrina. E io non mi vedo affatto in lotta contro il Papa, come vogliono dipingermi. Io non sto portando avanti gli interessi di un gruppo o di un partito, cerco solo come cardinale di essere maestro della fede. 

    Un altro "capo di imputazione" nei suoi confronti è la sua presunta passione per “pizzi e merletti”, come si dice in modo spregiativo, cosa che il Papa non sopporta.
    Il Papa non mi ha mai fatto sapere di essere dispiaciuto del mio modo di vestire, che peraltro è stato sempre entro la norma della Chiesa. Io celebro la liturgia anche nella forma straordinaria del rito romano e ci sono per questo paramenti che non esistono per la celebrazione nella forma ordinaria, ma io indosso sempre quello che la norma prevede per il rito che sto celebrando. Non faccio politica contro il modo di vestirsi del Papa. Poi si deve anche dire che ogni Papa ha un suo stile, ma non è che poi impone questo a tutti gli altri vescovi. Non capisco perché questo deve essere un motivo di polemica.

    Però sui giornali spesso viene usata una foto in cui lei indossa un copricapo decisamente fuori tempo…
    Ah, quella, ma è incredibile. Posso spiegarle. È una foto che si è diffusa dopo che il Foglio l’ha utilizzata per pubblicare una mia intervista durante il Sinodo. L’intervista era stata fatta bene, ma purtroppo hanno scelto una foto fuori contesto, e mi dispiace perché in questo modo hanno dato l’impressione sbagliata di una persona che vive nel passato. Era infatti successo che, dopo essere stato nominato cardinale, sono stato invitato in una diocesi del Sud Italia per una conferenza sulla liturgia. Per l'occasione l’organizzatore ha voluto darmi in dono un antico cappello cardinalizio che non so dove avesse trovato. Ovviamente lo tenevo in mano e non avevo alcuna intenzione di indossarlo regolarmente, ma lui mi ha chiesto di poter fare almeno una foto con il cappello indosso. Questa è stata l’unica volta che ho messo quel cappello sulla mia testa, ma purtroppo quella foto ha girato tutto il mondo e qualcuno la usa per dare l’impressione che io vado in giro così. Ma io non l’ho mai indossato, neanche a una cerimonia. 

    Lei è stato anche indicato come l'ispiratore se non il promotore della “Supplica a papa Francesco sulla famiglia”, che è stata diffusa per la raccolta firme attraverso alcuni siti del mondo tradizionalista.
    Io ho firmato quel documento, ma non è affatto una mia iniziativa o una mia idea. Tantomeno ho scritto o collaborato alla stesura del testo. Chi dice il contrario afferma il falso. Per quel che ne so è una iniziativa di laici, a me è stato mostrato il testo e l’ho firmato, come hanno fatto molti altri cardinali. 

    Un’altra delle accuse che le viene rivolta è quella di essere anti-conciliarista, contro il Concilio Vaticano II.
    Sono etichette che si applicano facilmente, ma non c’è alcun riscontro nella realtà. Tutta la mia educazione teologica nel seminario maggiore è stata basata sui documenti del Vaticano II, e mi sforzo ancora oggi di studiare più profondamente questi documenti. Non sono affatto contrario al Concilio, e se uno legge i miei scritti troverà che cito molte volte i documenti del Vaticano II. Quello su cui invece non sono d’accordo è il cosiddetto “Spirito del Concilio”, questa realizzazione del Concilio che non è fedele al testo dei documenti ma che ha la pretesa di creare qualcosa di totalmente nuovo, una nuova Chiesa che non ha niente da fare con tutte le cosiddette aberrazioni del passato. In questo io seguo pienamente la luminosa presentazione che ha fatto Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia Romana per il Natale 2005. È il famoso discorso in cui spiega la corretta ermeneutica che è quella della riforma nella continuità, contrapposta all’ermeneutica della rottura nella discontinuità che tanti settori portano avanti. L'intervento di Benedetto XVI è davvero brillante e spiega tutto. Molte cose che sono successe dopo il Concilio e attribuite al Concilio non hanno niente a che fare con il Concilio. Questa è la semplice verità.

    Però resta il fatto che papa Francesco l’ha “punita” rimuovendola dalla Segnatura apostolica e affidandole il patronato del Sovrano Militare Ordine di Malta.
    Il Papa ha dato un’intervista al quotidiano argentino La Nacion in cui ha già risposto a questa domanda spiegando le ragioni di questa scelta. Questo già dice tutto e non spetta a me commentare. Io posso solo dire, senza violare alcun segreto, che il Papa non mi ha mai detto né dato l’impressione che volesse punirmi per qualcosa.

    Certo è che la sua “cattiva immagine” ha a che fare con quella che anche il cardinale Kasper, nei giorni scorsi, ha definito la “battaglia sinodale”. Che sembra crescere d’intensità man mano che ci si avvicina al Sinodo ordinario del prossimo ottobre. A che punto siamo?
    Direi che adesso c’è una discussione molto più estesa sui temi trattati dal Sinodo e questo è un bene. C’è un numero maggiore di cardinali, vescovi e laici che stanno intervenendo e questo è molto positivo. Per questo non capisco tutto il rumore che è stato creato l’anno scorso attorno al libro “Permanere nella Verità di Cristo”, a cui io ho contribuito insieme ad altri 4 cardinali e 4 specialisti sul matrimonio. 

    È lì che è nata la tesi del complotto contro il Papa, tesi ribadita recentemente da Alberto Melloni sulCorriere della Sera e che gli è costata una querela dall’editore italiano Cantagalli.
    È semplicemente assurdo. Come è possibile accusare di complotto contro il Papa coloro che presentano quello che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato sul matrimonio e sulla comunione? È certo che il libro è stato scritto come aiuto in vista del Sinodo per rispondere alla tesi del cardinale Kasper. Ma non è polemico, è una presentazione fedelissima alla tradizione, ed è anche della più alta qualità scientifica possibile. Sono assolutamente disponibile a ricevere critiche sui contenuti, ma dire che noi abbiamo partecipato a un complotto contro il Papa è inaccettabile.

    Ma chi è che sta fomentando questa caccia alle streghe?
    Non ho alcuna informazione diretta ma sicuramente c’è un gruppo che vuole imporre alla Chiesa non solo questa tesi del cardinale Kasper sulla comunione per i divorziati risposati o per persone in situazioni irregolari, ma anche altre posizioni su questioni connesse ai temi del Sinodo. Penso ad esempio all’idea di trovare gli elementi positivi nei rapporti sessuali extramatrimoniali o omosessuali. È evidente che ci sono forze che spingono in questa direzione, e per questo vogliono screditare noi che stiamo tentando di difendere l’insegnamento della Chiesa. Io non ho nulla di personale contro il cardinale Kasper, per me la questione è solo presentare l’insegnamento della Chiesa, che in questo caso è legato a parole pronunciate dal Signore. 

    Guardando ad alcuni temi emersi con forza al Sinodo, si è tornato a parlare di lobby gay.
    Non sono in grado di individuare con precisione, ma vedo sempre di più che c’è una forza che va in questo senso. Vedo individui che, consciamente o inconsciamente, stanno portando avanti un’agenda omosessualista. Come questo sia organizzato non lo so, ma è evidente che c’è una forza di questo genere. Al Sinodo abbiamo detto che parlare di omosessualità non c’entrava nulla con la famiglia, piuttosto si sarebbe dovuto convocare un Sinodo apposito se si voleva parlare di questo tema. E invece abbiamo ritrovato nella Relatio post disceptationem questo tema che non era stato discusso dai padri.  

    Una delle giustificazioni teologiche a sostegno del cardinale Kasper che oggi viene molto ripetuta è quella dello “sviluppo della dottrina”. Non un cambiamento, ma un approfondimento che può portare a una nuova prassi. 
    Qui c’è un grande equivoco. Lo sviluppo della dottrina, come è stato per esempio presentato dal beato cardinale Newman o da altri buoni teologi, significa un approfondimento nell’apprezzamento, nella conoscenza di una dottrina, non il cambiamento della dottrina. Lo sviluppo in nessun caso porta al cambiamento. Un esempio è quello dell’esortazione post-sinodale sull’Eucarestia scritta da papa Benedetto XVI, la “Sacramentum Caritatis”, in cui è presentato lo sviluppo della conoscenza della presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, espresso anche nell’adorazione eucaristica. Ci sono stati alcuni infatti contrari all’adorazione eucaristica perché l’Eucarestia è da ricevere dentro. Ma Benedetto XVI ha spiegato - anche citando s. Agostino - che se è vero che il Signore ci dà se stesso nell’Eucarestia per essere consumato, è anche vero che non si può riconoscere questa realtà della presenza di Gesù sotto le specie eucaristiche senza adorare queste specie. Questo è un esempio dello sviluppo della dottrina, ma non è che la dottrina sulla presenza di Gesù nell’Eucarestia è cambiata.

    Uno dei motivi che tornano nelle polemiche sul Sinodo è la presunta contrapposizione tra dottrina e prassi, dottrina e misericordia. Anche il papa insiste spesso sull’atteggiamento farisaico di chi usa la dottrina impedendo che passi l’amore.
    Credo che bisogna distinguere tra quello che il Papa dice in alcune occasioni e coloro che affermano una contrapposizione tra dottrina e prassi. Non si può mai ammettere nella Chiesa un contrasto tra dottrina e prassi perché noi viviamo la verità che Cristo ci comunica nella sua santa Chiesa e la verità non è mai una cosa fredda. È la verità che apre a noi lo spazio per l’amore, per amare veramente si deve rispettare la verità della persona, e della persona nelle situazioni particolari in cui si trova. Così stabilire un tipo di contrasto tra dottrina e prassi non rispecchia la realtà della nostra fede. Chi sostiene le tesi del cardinale Kasper – cambiamento della disciplina che non tocca la dottrina – dovrebbe spiegare come sia possibile. Se la Chiesa ammette alla comunione una persona che è legata in un matrimonio ma sta vivendo con un’altra persona un altro rapporto matrimoniale, cioè è in stato di adulterio, come si può permettere questo e ritenere nello stesso tempo che il matrimonio sia indissolubile? Quello tra dottrina e prassi è un falso contrasto che dobbiamo rigettare.

    Però è vero che si può usare la dottrina senza amore.
    Certo, ed è questo che il papa sta denunciando, un uso della legge o della dottrina per avanzare un’agenda personale, per dominare le persone. Ma questo non significa che c’è un problema con la dottrina e la disciplina; soltanto ci sono persone di cattiva volontà che possono commettere abusi per esempio interpretando la legge in un modo che danneggia le persone. O applicando la legge senza amore, insistere sulla verità della situazione della persona ma senza amore. Anche quando una persona si trova in peccato grave noi dobbiamo amare la persona e aiutare come ha fatto il Signore con l’adultera e la samaritana. Lui è stato molto chiaro nell’annunciare lo stato di peccato in cui loro stavano, ma nello stesso tempo ha dimostrato un grande amore invitandole a uscire da questa situazione. Ciò che non facevano i farisei, che invece dimostravano un legalismo crudele: denunciavano la violazione della legge ma senza dare nessun aiuto alla persona per uscire dal peccato, così da ritrovare pace nella sua vita.


     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 20/04/2015 14:01
     ATTENZIONE: questa sezione si chiude qui e ne apriamo un'altra a questo link:

    Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (3)







     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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