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  Beatificazione di mons. Romero il 23 maggio a San Salvador




Mons. Oscar Romero - RV





12/03/2015



La data della Beatificazione di Oscar Romero è stata fissata: la cerimonia si svolgerà a San Salvador il prossimo 23 maggio. Ieri, a dare l’annuncio nel corso della sua visita in Salvador, è stato mons. Vincenzo Paglia, postulatore della Causa dell’arcivescovo martire, assassinato in odio della fede il 24 marzo 1980. Quali le novità annunciate in conferenza stampa? Paolo Ondarza lo ha chiesto alla collega di Avvenire, Lucia Capuzzi, raggiunta telefonicamente a San Salvador:


R. – Mons. Vincenzo Paglia ha confermato la data, 23 maggio, che sarà la memoria liturgica di Arnulfo Romero e ha annunciato che la Messa di beatificazione si svolgerà a San Salvador e sarà presieduta dal cardinale Amato. Ha voluto ringraziare Papa Francesco per aver firmato il decreto, il 3 febbraio, e ha voluto inoltre ringraziare Papa Benedetto, Papa Giovanni Paolo II e Paolo VI che hanno sempre sottoineato il valore di Romero.


D. – Come è stata accolta la notizia tra i salvadoregni?


R. – L’annuncio della data è stato accolto da un fragoroso applauso durante la conferenza stampa, segno di quanto la gente, quanto gli stessi salvadoregni attendessero questa giornata per poter celebrare il loro arcivescovo. Dopo la tappa della Beatificazione, ci sarà la tappa della Canonizzazione, ha anticipato mons. Vincenzo Paglia, sottolineando però come queste non servano tanto a Romero, che è già santo, ma a tutti noi. La sua testimonianza continua a generare vita e speranza nel popolo salvadoregno e soprattutto in quelle parti del popolo salvadoregno più povere, più emarginate, che hanno sempre trovato una forma di consolazione in mons. Romero.


D.  – ...che lo vedono ancora come un punto di riferimento importante, si rivolgono già a lui come a un santo...


R.  – E’ fondamentale. Già stamattina (ieri - ndr) la gente era in fermento per aspettare questo annuncio. Le persone più umili, i più poveri, aspettavano con ansia che si sapesse la data del loro “monseñor”, non c’è neanche bisogno di aggiungere Romero. E ancora la gente va al feretro di mons. Romero, nella cripta e lì parla con mons. Romero come se fosse vivo e gli racconta le sue pene. E tuttora mons. Romero è un punto di riferimento imprescindibile per i salvadoregni che sono afflitti oggi da nuovi problemi: non più la guerra civile ma la violenza dovuta al narcotraffico e ai “pandillas”.







« Un vescovo potrà morire,
ma la Chiesa di Dio,
che è il popolo,
non perirà mai. »
(mons. Oscar Romero)


Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, fu ucciso da un sicario su mandato di Roberto D'Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA (Alianza Republicana Nacionalista). Nell'omelia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. L'assassino sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare mentre Romero elevava l'ostia nella consacrazione.

             

                                     

                                 


Giovanni Paolo II non presenziò al funerale, ma delegò a presiedere la celebrazione Ernesto Corripio y Ahumada, arcivescovo di Città del Messico. Durante le esequie l'esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un nuovo massacro. Il 6 marzo 1983 Giovanni Paolo II rese omaggio a Romero inginocchiandosi sulla sua tomba, venerato già come un santo dal suo popolo,  nonostante le pressioni del governo salvadoregno.


     


Oscar Arnulfo Romero
 nasce il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios, un piccolo comune nel dipartimento di San Miguel, in El Salvador, da una famiglia modesta e numerosa (è il secondo di otto fratelli). A dodici anni lascia la scuola e lavora come apprendista presso un falegname. L’anno successivo (1930) entra nel seminario minore di San Miguel, retto dai padri claretiani. Tuttavia dopo sei anni, viste le difficoltà economiche in cui versa la famiglia, lascia gli studi e lavora qualche mese nelle miniere d’oro di Potosì, per cinquanta centesimi al giorno. 

Nel 1937, ventenne, entra nel seminario maggiore di San José de la Montana a San Salvador, retto dai gesuiti. Nello stesso anno si trasferisce a Roma e frequenta la Pontificia Università Gregoriana: si licenzia in teologia un anno dopo avere ricevuto l’ordinazione sacerdotale (4 aprile 1942). 
Rientrato in El Salvador, si dedica all’attività pastorale, e l’11 gennaio 1944 celebra la prima messa solenne a Ciudad Barrios. Nel giro di pochi anni diventa segretario della Conferenza Episcopale Salvadoregna e segretario esecutivo del Consiglio Episcopale dell’America Centrale.
 

Nel 1970 è nominato vescovo ausiliare di monsignor Luis Chavez y Gonzales, a San Salvador, e nel 1974 prende possesso della diocesi di Santiago de Maria, una terra povera, sfruttata e vessata da un potere che in questi anni ha il volto violento e repressivo delle giunte militari

Il 12 marzo 1977 viene assassinato padre Rutilio Grande, gesuita, uomo del popolo, da sempre vicino alle rivendicazioni contadine. Il martirio dell'amico colpisce Romero, che ne frattempo è diventato arcivescovo di San Salvador (22 febbraio 1977), e influisce in modo profondo sul suo ministero. 

Romero chiede in modo esplicito che le autorità facciano chiarezza sul delitto e, di fronte al muro di gomma contro cui sbatte, minaccia la chiusura delle scuole e l'assenza della Chiesa Cattolica negli atti ufficiali. L’1 luglio non partecipa alle celebrazione di insediamento del neo-eletto presidente, il generale Carlos H. Romero, espressione perfetta di un regime violento, che uccide gli oppositori, sfama i poveri e non stenta ad allearsi con squadroni della morte e organizzazioni  paramilitari.

 

Romero insiste. Critica il potere e i suoi interpreti in modo esplicito. Diventa la voce degli ultimi; le sue messe sono affollate, le omelie trasmesse dalle radio e pubblicate sui giornali. È una figura scomoda, che spiazza gli ambienti più conservatori della Curia: “Non vogliamo essere giocattoli dei potenti della terra", dice, "ma vogliamo essere la Chiesa che porta il Vangelo autentico, coraggioso, di nostro Signore Gesù Cristo, anche quando fosse necessario morire come Lui sulla croce”. 

Durante l’omelia del 17 febbraio 1980 legge la lettera scritta al presidente Carter, per chiedergli di non offrire aiuti militari ed economici al governo salvadoregno, di non essere complici. Per tutta risposta, il presidente americano scrive in Vaticano chiedendo che Romero sia allontanato dal Salvador. 
Le pressioni su di lui sono sempre più pressanti, le minacce di morte più frequenti. 
Romero non si arrende, non abbassa la testa. 

Il 23 marzo 1980 pronuncia la celebre omelia: “Vorrei rivolgere un invito particolare agli uomini dell’esercito... Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli contadini; ma davanti all’ordine di uccidere che viene da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere […]. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, della legge di Dio, della dignità umana, della persona, non può rimanere in silenzio di fronte a così grande abominazione [...]. In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi chiedo, vi supplico, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione”. 

Il 24 marzo celebra messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, dove risiede.L’assassino spara proprio mentre Romero sta elevando l’ostia. Lo colpisce alla giugulare. Lo uccide sul colpo.  
Nel 1997 la Chiesa cattolica istituisce la causa di beatificazione.


Diffidate, ve ne supplichiamo, di coloro che ne fecero un mito, una bandiera della Teologia della Liberazione, il vescovo Romero era ben lontano da quella teologia e la sua difesa del popolo non aveva nulla da spartire con la dottrina della liberazione comunista.

Questa beatificazione è un atto di giustizia nei confronti di un ottimo Vescovo ucciso in odio alla fede ed alla Dottrina Sociale della Chiesa che Romero intendeva applicare nella sua diocesi.




 





[Modificato da Caterina63 12/03/2015 22:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)