DIFENDERE LA VERA FEDE

Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (3)

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    Caterina63
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    00 20/04/2015 13:59
      Apriamo una nuova sezione proseguendo da quella precedente: 

    Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (2)



    QUANDO RATZINGER METTEVA IN GUARDIA DALL'INGANNO
    DEL «GESÙ SOLO MISERICORDIOSO» CHE PIACE AL MONDO

    Quanto Ratzinger metteva in guardia dall'inganno del «Gesù solo misericordioso» che piace al mondo

    da Joseph Ratzinger, Collaboratori della verità, San Paolo 1994

     

    «… sono tratti costitutivi della fede la disponibilità a soffrire ma anche il coraggio di lottare. Ciò non manca certo a quegli uomini che dicono: la fede dovrebbe essere protesta e resistenza contro il potere di questo mondo. Ma quando si va a vedere più da vicino ci si rende conto che in realtà tali gruppi vogliono per lo più avere un altoparlante per le loro grida e per i loro slogan di partito.

    Accade tutt’altra cosa, invece, quando la Chiesa si oppone ai veri poteri e peccati di quest’epoca, quando essa denuncia la distruzione del matrimonio, la distruzione della famiglia, l’uccisione dei bambini non ancora nati, le deformazioni della fede: allora le si contrappone subito un Gesù che sarebbe stato solo misericordioso, sarebbe stato sempre comprensivo e non avrebbe mai fatto male a nessuno. E viene formulata la massima: non si può essere cristiani a spese dell’essere uomini; e per essere uomini si intende poi ciò che pare e piace a ciascuno. Esser cristiani è un optional gradito, ma non deve costare nulla... Cristo è salito sulla croce: un Gesù disponibile a tollerare tutto non sarebbe stato crocifisso».

     




    e ci uniamo al lutto che ha colpito la Chiesa con la perdita del cardinale George con questo articolo:


    Profezia del card. Francis George (1937-2015): Riposi in pace!

     
    Una boccata di aria pura da Il Timone by Una fides. 
    Il Card. Francis George, arcivescovo di Chicago, è morto ieri (Riposi in pace). Malato da tempo, visto il peggiorare delle sua condizione, ha chiesto al Vaticano di iniziare il processo per individuare il suo successore. il testo è un estratto di un articolo pubblicato sul suo spazio internet nel novembre del 2012.
    «L’eternità entra nella storia umana spesso in modi incomprensibili. Dio fa promesse ma non dà scadenze temporali.
    I pellegrini che visitano il Santuario di Fatima entrano in una enorme piazza, con il punto delle apparizioni segnato da una piccola cappella su un lato, una grande chiesa a un’estremità, una cappella per l’adorazione altrettanto grande all’altra estremità, un centro per visitatori e per le confessioni.

    Appena fuori lo spazio principale è stata ricostruita una sezione del muro di Berlino, una testimonianza tangibile di ciò di cui Maria aveva parlato quasi un secolo fa. Il comunismo in Russia e nelle nazioni satellite è crollato, benché molti dei suoi effetti di peccato siano ancora tra di noi.
    Il comunismo impose un modello di vota totalizzante basato su un assunto: Dio non esiste. Il secolarismo è il suo compagno e sodale più presentabile. Per ironia della storia, alcune settimane fa alle Nazioni Unite la Russia si è unita alla maggioranza dei Paesi per opporsi agli Stati Uniti e all’Europa occidentale che volevano dichiarare l’uccisione di un bambino non nato un diritto universale.
    Chi si trova sul lato sbagliato della storia in questo momento?
    La presente campagna elettorale ha portato in superficie un sentimento anti-religioso, in buona parte esplicitamente anti-cattolico, cresciuto in questo Paese per decenni.
    La secolarizzazione della nostra cultura è una questione che supera di gran lunga quelle politiche o l’esito di queste elezioni, per quanto siano importanti.
    Parlando alcuni anni fa a un gruppo di sacerdoti, totalmente al di fuori dell’attuale dibattito politico, stavo cercando di esprimere in modo plateale ciò che una completa secolarizzazione della nostra società potrebbe comportare un giorno.
    Stavo rispondendo a una domanda, non ho mai messo nulla per iscritto, ma le parole furono catturate dallo smart-phone di qualcuno e sono diventate virali, da wikipedia e altrove.
    Dissi – ed è stato riportato correttamente – che io mi aspettavo di morire in un letto, ma che il mio successore sarebbe morto in prigione e il suo successore sarebbe morto martire in una piazza pubblica. E’ stata omessa però la frase finale, sul vescovo successore di un possibile vescovo martirizzato: “Il suo successore raccoglierà i resti di una società in rovina e lentamente aiuterà a ricostruire la civiltà, come la Chiesa ha fatto tante volte lungo la storia”. […] Dio sostiene il mondo, nei buoni e cattivi tempi.
    I cattolici, assieme a molti altri, credono che solo una persona ha superato e riscattato la storia: Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore del mondo e capo del suo corpo, la Chiesa. Coloro che si raccolgono ai piedi della sua croce e della sua tomba vuota, non importa la loro nazionalità, sono sul lato giusto della storia.
    Quelli che mentono su di lui e minacciano e perseguitano i suoi seguaci, in qualsiasi epoca, possono illudersi di portare qualcosa di nuovo, ma finiscono solo per portare variazioni su una vecchia storia, quella del peccato e dell’oppressione umana. Non c’è nulla di “progresso” nel peccato, anche quando viene promosso come qualcosa di “illuminato”». [...]





    IL TEOLOGO

     

    Nel convocare il prossimo Giubileo, papa Bergoglio si mette sulla scia del discorso con cui papa Roncalli inaugurò il Concilio Vaticano II: non insistere sulla condanna degli errori ma proporre la fede con un linguaggio più adatto ai tempi. C'era allora un ottimismo poi spazzato via dal '68, ma quell'impostazione è oggi ancora valida ma ad alcune condizioni. Eccole.

    di Enrico Cattaneo


    «Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo. La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza» (Papa Francesco, “Alla Congregazione per i vescovi”, 27 febbraio 2014).

    Questo testo dirompente di papa Francesco, si riallaccia non nella lettera, ma nello spirito, al discorso “Gaudet Mater Ecclesia” tenuto da Giovanni XXIII l'11 ottobre 1962 all’inaugurazione del Concilio Vaticano II. La conferma di tale accostamento è venuta proprio dalla “Bolla di indizione del Giubileo straordinario” (n. 4). Precedentemente, quel discorso era stato ripreso da alcuni autorevoli autori con angolature diverse, perché effettivamente esso segna una "svolta" nell'atteggiamento della Chiesa, e il Concilio non farà che seguire e applicare questo orientamento di fondo, non solo nei confronti del mondo moderno, ma anche al proprio interno, oltre che verso i "fratelli separati", il popolo ebraico e le altre grandi religioni. 

    In quel famoso discorso di apertura, il Papa disse chiaramente che lo scopo del nuovo concilio non era quello di condannare gli errori, come era sempre stato fatto nel passato, ma era quello di proporre la fede della Chiesa con un linguaggio più adatto ai tempi: «Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace» (5.1). Non è che non ci siano errori anche gravi, e la Chiesa si è sempre opposta all'errore. Ma oggi, dice il Papa, i tempi sono cambiati, e il modo più efficace per contrastare gli errori del mondo moderno è quello di presentare la bellezza, la coerenza e il bene contenuto nella dottrina cattolica: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando» (7.2). La Chiesa Cattolica intende così «mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati» (7.3). 

    Quando ora Papa Francesco afferma che la Chiesa deve custodire la dottrina «non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo» (testo sopra citato), non fa dunque che riprendere il senso dell’intervento inaugurale di Giovanni XXIII.

    Questo cambio di atteggiamento, secondo Papa Roncalli è sostenuto da una duplice considerazione. Primo: la Chiesa nell'epoca moderna ha attraversato molte difficoltà, opposizioni, persecuzioni, ma con l’aiuto di Dio essa ne è uscita ancora più vigorosa, come se la Provvidenza avesse guidato questi eventi per il bene stesso della Chiesa: «Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa» (4.4).

    Secondo: il Papa ha fiducia che gli uomini stessi, guidati dall'esperienza, respingeranno spontaneamente quegli errori e comportamenti sbagliati, che hanno provocato così immani disastri: «Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita.
    Essi sono sempre più consapevoli che la dignità della persona umana e la sua naturale perfezione è questione di grande importanza e difficilissima da realizzare. Quel che conta soprattutto è che essi hanno imparato con l’esperienza che la violenza esterna esercitata sugli altri, la potenza delle armi, il predominio politico non bastano assolutamente a risolvere per il meglio i problemi gravissimi che li tormentano» (7.2).

    Mentre il primo punto può essere facilmente condiviso leggendo la storia della Chiesa, il secondo sembrerebbe eccedere di ottimismo circa le capacità umane di autoredenzione.

    In effetti, ai tempi di Giovanni XXIII, cioè all’inizio degli anni ’60, nonostante che il mondo fosse diviso in due blocchi e che l’ideologia marxista avesse pervaso la cultura occidentale, c'era ancora nella nostra società una sorta di piattaforma comune tra credenti e non credenti, basata sulla dignità della persona umana, sui "retti principi dell'onestà", sul senso morale naturale.
    Basti pensare alla “Dichiarazione universale dei diritti umani” promulgata dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite nel 1948. Questo ottimismo fu condiviso anche da Paolo VI all’inizio del suo pontificato. È sufficiente leggere il suo discorso di chiusura del Concilio (anch’esso citato nella “Bolla di indizione”, n. 4) o le encicliche Populorum progressioEvangelii nuntiandiEcclesiam suam


    Ma le cose sono cambiate dopo il ’68. Anche l’atteggiamento di Paolo VI è cambiato dopo il ’68. Lì è iniziata quella deriva che ha portato a corrodere sempre più i principi fondamentali dell'agire e del convivere umano. Paradossalmente, il crollo dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est nel 1989 ha aperto la strada a una cultura nichilista, senza più punti di riferimento universalmente validi, quali la sacralità della vita umana, dal suo concepimento naturale alla sua fine naturale; il valore del matrimonio e della famiglia; la dignità della persona umana, che rigetta ogni tipo di sfruttamento, di abuso, di schiavitù, di violenza, di negazione delle libertà fondamentali. 

    Oggi questa piattaforma comune praticamente non c’è più o è molto ridotta. Le società e le nazioni si reggono o su dittature politico-religiose (come l’islam nella sua spaventosa recrudescenza fanatica e bellicosa) o su criteri di maggioranza pilotati da concezioni totalmente pragmatiste, che puntano a inculcare l’idea di supposti nuovi diritti civili, che non hanno altro fondamento che nella volontà individuale intesa come ricerca del benessere.
    Alcuni apporti positivi della modernità, come l’emancipazione della donna, la conoscenza sempre più avanzata sulla natura della sessualità e della procreazione, sono andati però ben oltre i loro primitivi intenti, arrivando a fare della procreazione umana una specie di “fabbrica del figlio” e a proporre come ideale educativo quello di un essere umano destrutturato, che non sa più che cosa significhi essere maschio o femmina se non in base a una propria scelta arbitraria.
    La sessualità genitale poi è stata isolata come un bene in sé, perseguibile sempre e comunque, salve alcune precauzioni sociali e sanitarie. 

    Oggi possiamo dire che anche il magistero di san Giovanni Paolo II sulla dignità della persona umana in tutti i suoi aspetti, un magistero estremamente ricco e profondo, sia stato quasi completamente travolto da questa nuova mentalità. Quanto profondamente essa sia penetrata nella Chiesa stessa, è difficile dirlo, però non è difficile verificare come ampi settori della Chiesa, cominciando da teologi, pastori e parti del laicato, abbiano conosciuto e conoscano grossi sbandamenti, purtroppo non sempre consapevoli, ma tranquillamente assorbiti come normali. Certamente c’è pure stata e c’è nella Chiesa una corrente decisa a lottare e a contrastare apertamente le deviazioni odierne, sulla base dei "principi non negoziabili" fondati sulla legge naturale e avvalendosi dei metodi democratici del libero dibattito, finché sarà possibile.

    Ora con papa Francesco sembra essere ritornati al clima positivo di apertura indicato dal discorso di Giovanni XXIII: la Chiesa vuole presentarsi non più come una rigida e severa custode della dottrina, ma come madre di misericordia, che annuncia un Dio di misericordia e di perdono. Papa Francesco vuole una Chiesa che anzitutto si liberi dalle tendenze "mondane" che sono al suo interno, e poi che si faccia di nuovo missionaria, non col proselitismo, ma col testimoniare la bellezza di una fede intesa anzitutto come incontro con Cristo, come esperienza dell'amore di Dio, la sola che può dare la forza di allontanare il peccato e scegliere la via del bene individuale e sociale.

    La domanda però che ora ci viene è questa: è possibile riprendere l’atteggiamento di s. Giovanni XXIII sopra descritto senza tener conto di un contesto culturale radicalmente cambiato? Sono ancora valide quelle due premesse, o non peccano forse di ingenuità e di ottimismo? La nostra risposta, sulla scia di quanto dice e fa Papa Francesco, è che sì, esse sono ancora valide, purché le si leggano con gli occhi della fede e non come valutazioni umane di tipo storico o sociologico. La parola di Gesù che “portae inferi non praevalebunt” deve valere ancora oggi, non però per farci adagiare in un ottimismo beato, ma per radicarci maggiormente nella fede.
    La Chiesa non deve illudersi che assumendo l’atteggiamento di madre misericordiosa sia sempre meglio accolta e meno perseguitata. 


    La Chiesa non può tacere la verità, e questo il mondo non lo sopporta, perché, come dice san Paolo, tiene la verità “prigioniera dell’ingiustizia” (Rom 1,18). Finché si predica un “volemose bene” generico, nessuno ha nulla da obiettare, anzi tutti applaudono. Ma quando si tratta di entrare nello specifico di che cosa sia volere il bene dell’altro secondo il Vangelo e la dottrina cristiana, quando la Chiesa sarà costretta di nuovo a dire “non possumus”, “non possiamo”, allora il mondo glielo farà pagare, e sceglierà ancora Barabba invece di Gesù. È la storia di sempre. 

    Ma la Chiesa vincerà, non perché andrà a braccetto con il mondo, ma perché, fedele al Vangelo, continuerà ad amare quelli che la odiano e continuerà a pregare per coloro che la perseguitano. La Chiesa vincerà perché alla fine sarà l’unica ancora capace veramente di amare questa umanità e di cercare il vero bene dell’uomo.
    Ma dove trova la Chiesa questa forza? La trova nella sua missione, che non è semplicemente terrena, come una ONU o una ONG o come lo sono alcune religioni. La sua missione è ultraterrena; essa ha il compito di portare gli uomini alla vita e alla felicità eterne, nella unione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e nella comunione dei santi. Per questo il tempo umano, la storia umana è tanto importante, perché qui, nell’adesione o nel rifiuto del vero e del bene, si gioca il destino eterno dell’uomo; e l’uomo, finché vive in questa vita, può sempre fare la scelta che lo salva o lo danna. 


    Per questo la Chiesa ama i peccatori. Essa può odiare solo il male, il peccato, non il peccatore. Anche il peggiore peccatore, finché è in questa vita può sempre convertirsi e salvarsi. C’è solo una creatura degna di odio, perché si è fissata definitivamente e volontariamente nel male, e questa creatura non è umana, ma è uno spirito, chiamato dalla Scrittura “Satana” o diavolo. Esso ha un potere sulla terra non senza una permissione divina, e ha dei ministri capaci di influire sulla storia degli uomini, cercando di portarli anzitutto alla rovina terrena e poi alla dannazione eterna. 

    Se si capisce questo, allora si può vedere l’uomo peccatore con occhi diversi, come uno che è sì responsabile del male fatto, ma che è anche vittima del Tentatore, del Maligno. Perciò la Chiesa prega ogni giorno perche noi tutti siamo “liberati dal Male”. Confesso che a volte, di fronte a tanta cattiveria, crudeltà e malvagità degli esseri  umani, mi sento rivoltare e vorrei gettare la spugna. Solo pensando che essi sono “prigionieri del Maligno” riesco ancora ad amarli per quella parte di loro che potrebbe ancora redimersi e salvarsi. Se non si recupera questa dottrina cattolica, non si capisce più perché la Chiesa debba continuare ad interessarsi degli uomini e non ridursi a un club religioso di gente benestante e benpensante.

    La Chiesa però nel mostrare il suo amore materno verso questa umanità, deve, seguendo il suo Maestro, usare un duplice registro: quello della misericordia, per rincuorare i peccatori invitandoli al pentimento, e quello della severità, per scuotere i corrotti e liberarli dalle loro catene. Infatti ci sono persone talmente invischiate nel male, che le parole di misericordia non li sfiorano neppure, ma solo la prospettiva di una dannazione, cioè di una infelicità e di un tormento eterni potrebbe, caso mai, smuoverle. Dobbiamo comunque tornare a predicare queste cose. Facciamolo pure con un linguaggio nuovo, comprensibile, ma facciamolo. Se no, non ha senso neppure parlare della Croce di Cristo. 

    Questo è lo sfondo del Giubileo della Misericordia. Se non mettiamo in rilievo questo sfondo, non si capirà quasi più nulla di quel Giubileo. Ritornano allora validi i due presupposti dell’azione pastorale indicati da s. Giovanni XXIII: primo, che la gravissima crisi odierna nella Chiesa – crisi di fede, di morale, di pratica (in Francia ad es. il 56% continua a professarsi cattolico, ma solo il 15% si definisce praticante, e chi va a Messa tutte le domeniche non supera il 4%: da OssRom 7-8 aprile 2015, p. 5) – questa crisi, dicevamo, permessa da Dio, tornerà ancora a un bene più grande della Chiesa stessa e delle anime. Secondo, l’attuale andamento delle cose darà frutti «così letali» (per riprendere le parole di Giovanni XXIII), che la gente tornerà spontaneamente al tribunale della propria coscienza e della misericordia. Ma perché ciò avvenga, bisogna molto pregare.





    [Modificato da Caterina63 19/10/2015 13:21]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 20/04/2015 14:09
      FOCUSdi Lorenzo Bertocchi

     

    In California un centinaio di cattolici paga una pagina di un quotidiano per chiedere al Papa la rimozione del vescovo di San Francisco, monsignor Salvatore Cordileone, "colpevole" di opporsi al trionfo della mentalità mondana nella Chiesa. Cordileone è uno dei promotori della Marcia per il Matrimonio, che si svolgerà il 25 aprile.

    Un centinaio di zelanti cattolici californiani ha preso una pagina del quotidiano The Chronicle per chiedere al Papa di “rimuovere” il loro vescovo. Si tratta di monsignor Salvatore Cordileone, arcivescovo di San Francisco, entrato in diocesi nel 2012.

    Si dà il caso che il prelato sia il presidente del Comitato di Difesa del matrimonio della Conferenza episcopale americana, e in California è noto per il suo coraggio nel difendere l’istituto matrimoniale da ogni ideologia che tenti di indebolirlo o mistificarlo. Ma, non solo. Recentemente l’arcivescovo Cordileone è salito agli onori della cronaca perché ha rivisto il contratto degli insegnanti delle scuole cattoliche, inserendo il rispetto di alcuni punti di dottrina, cioè quelli riferiti alla morale sessuale, alla contraccezione e all'uso delle cellule staminali (clicca qui per l'articolo della Bussola che racconta la vicenda). Per questo ha già subito violenti attacchi, perfino sul New York Times.

    Ora arriva questa richiesta di “rimozione” indirizzata direttamente al Papa e che accusa il vescovo, tra l'altro, di aver favorito sacerdoti che “ostacolano la partecipazione delle donne nella Chiesa escludendo le ragazze dal servizio all'altare”; di avere un' agenda “monotematica” contro le unioni tra persone dello stesso sesso; e di non ascoltare i sacerdoti anziani della propria diocesi. “Sembra”, ha dichiarato Frank Pitre, un avvocato firmatario, “che stia andando in una direzione che è completamente opposta a quella di Papa Francesco e sta creando un clima di intolleranza totale”.

    Nibby Brothers, un'altra firmataria, dice che monsignor Cordileone “sta solo causando un sacco di discordia, specialmente tra i giovani della diocesi”. A titolo di cronaca possiamo ricordare che la diocesi in questione, quella di San Francisco, era conosciuta come una delle più liberal degli States prima della nomina di Cordileone. 

    Il problema, secondo la Brothers, sarebbe proprio nel messaggio promosso dal vescovo, una pastorale che allontanerebbe i fedeli in quanto in disaccordo rispetto a come le pecorelle di San Francisco “conducono la loro vita”. Quindi, secondo queste opinioni, sembra debba essere il mondo a dettare l’agenda della Chiesa, e favorire così non lo sviluppo, ma una vera e propria evoluzione del dogma.

    Dalla diocesi è scaturito un comunicato molto chiaro che rileva come questo annuncio a mezzo stampa sia inficiato da “un travisamento dell'insegnamento cattolico, un travisamento della natura del contratto degli insegnanti, e un travisamento dello spirito dell'arcivescovo”. E, conclude il comunicato, “il più grande travisamento di tutti è che i firmatari presumono di parlare per la Comunità cattolica di San Francisco”.

    Fedele alla linea, monsignor Cordileone, che tra l’altro è uno dei quattro membri americani per il prossimo sinodo di ottobre, è uno dei principali promotori della prossima “March for marriage” (Marcia per il Matrimonio) che si terrà il 25 aprile a Washington. La marcia viene promossa dalla Conferenza episcopale a stelle e strisce, con l’intento di far sentire la voce dei cattolici in merito ad un'importante decisione che la Suprema Corte di Giustizia sta per prendere proprio in merito all’istituto del matrimonio. Nel messaggio ai vescovi, firmato da Cordileone e da monsignor Malone, si fa presente che questa decisione della Corte ha la stessa portata di quella che fu presa nel caso Roe vs. Wade che dichiarò l’aborto un diritto. Ora la posta in palio riguarda la necessità di preservare la definizione legale di matrimonio come unione tra un uomo e una donna.

    I centro firmatari incolpano monsignor Cordileone di avere uno stile pastorale ed un linguaggio troppo duri su certi temi, e, per questo, sarebbe troppo distante dallo stile inclusivo del Papa. A questo punto sarebbe interessante capire se hanno letto l’ultimo intervento del Pontefice a proposito dell’ideologia gender. Perché potrebbero avere qualche sorpresa.

       

     




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 24/04/2015 09:55

    GENDER A LUCCA

     




    Una fedele della parrocchia di Quiesa scrive a monsignor Italo Castellani, arcivescovo di Lucca. Il 17 aprile, in Vescovato, si è tenuto un ciclo di incontri sulla teoria “gender” dal titolo “Maschile e femminile in psicologia ed in neuroscienza”.
    I relatori invitati, i professori Petrini e Mascari, hanno spiegato che l'omosessualità è un orientamento sessuale naturale. Forse serve qualche chiarimento in merito.

    di Elisabetta Samek Lodovici


    Eminenza,

    chi Le scrive è una fedele della parrocchia di Quiesa che recentemente Le ha inviato, per conoscenza, un suo scritto indirizzato al Sindaco di Lucca riguardo al riconoscimento da parte delle autorità civili delle unioni di fatto anche omosessuali. 

    Nella Sua cortese risposta a tale scritto Lei mi segnalava che in Vescovato si sarebbe tenuto un ciclo di incontri sulla teoria “gender”. Trattandosi di un tema di grande interesse, ho volentieri partecipato assieme a mio marito alla prima serata in programma il 17 aprile dal titolo Maschile e femminile in psicologia ed in neuroscienza.

    I relatori invitati, i professori Pietro Petrini e Patrizia Mascari, sono sicuramente persone qualificate e accreditate e dalla Sua introduzione ho appreso che il ciclo è il frutto di un complesso lavoro da parte di un team da Lei diretto, che si è con passione dedicato allo studio ed alla organizzazione del corso per un intero anno.

    Pur prendendo atto del meritevole ed encomiabile lavoro intellettuale e dello sforzo organizzativo  profuso dal team mi corre in coscienza  l’obbligo di esprimerLe una certa preoccupazione per le affermazioni e conclusioni tratte dai relatori in tale occasione. 

    Credo di aver capito, ma mi corregga subito nell’ipotesi contraria, che entrambi i relatori (sicuramente il docente Petrini) condividano quanto stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2000 e cioè che l’omosessualità debba essere qualificata come un “orientamento sessuale" naturale. Ancora: l’omosessualità non debba essere più qualificata come un “disturbo della sessualità”, bensì essere equiparata sotto il profilo comportamentale alla stessa eterosessualità:  entrambe infatti sarebbero comportamenti sessuali naturali  e pertanto  andrebbero accettate come “normali.”

    Orbene, se questa è l’impostazione concettuale è inevitabile che ci sia un capovolgimento etico e giuridico dei quadri valoriali ad oggi esistenti. Se, infatti, si parte dell’assunto che la tendenza omosessuale è naturale al pari di quella eterosessuale, allora anche i comportamenti tra omosessuali debbono essere riconosciuti  naturali e degni di approvazione. Come si  riconoscono e si approvano le relazioni affettive tra uomo e donna e si riconosce dignità e tutela alla coppia eterosessuale, lo stesso deve valere giuridicamente per le  relazioni affettive tra omosessuali e per le  “c.d. coppie omosessuali”; come è naturale il desiderio di affettività che si apre alla vita nella coppia eterosessuale, così deve essere reputata naturale  la stessa capacità di amarsi e di amare anche nell’ambito della coppia omosessuale, alla quale non potrà, pertanto, negarsi il diritto ad avere dei figli.

    E’ di tutta evidenza che il quadro sopra delineato è quello che abbiamo quotidianamente davanti ai nostri occhi e che si traduce nell’attacco più insidioso all’opera di Dio:la famiglia. Invero, l’errore in cui si cade e che determina l’attuale deriva etica è l’aver cancellato dall’orizzonte di riferimento dell’agire umano, la legge naturale.

    A mio modesto avviso anche gli esimi relatori sono probabilmente incorsi in questo fraintendimento, altrimenti non sarebbe possibile sostenere l’equiparazione tra omosessualità ed eterosessualità, nonché la loro  riduzione a “meri orientamenti” naturali.

    Invero, se si ha come riferimento la legge naturale la sessualità risulta ordinata alla procreazione, alla vita ed in questo trova il suo scopo, la sua ragion d’essere (al riguardo è interessante la lettura della pubblicazioneIl diavolo di padre Raffaele Talmelli, esorcista diocesano e medico psichiatra, scritta con l’ausilio del giornalista Luciano Regolo ed. Mondadori 2014). Se, per scelta (e non per cause fisiche: menopausa, periodo infertile del ciclo femminile) l’attività sessuale di una persona non è orientata anche alla relazione procreativa, allora tale sessualità  risulta “disordinata”, in distonia con le leggi che governano il creato. 

    Ecco, quindi, che se si ragiona secondo l’ordine naturale delle cose tutto si ricompone in un ottica di Verità. La relazione eterosessuale, avendo per natura lo scopo della generazione, è “secondo natura”; al contrario, la relazione omosessuale, avendo il sesso non orientato allo scopo procreativo, risulta  ontologicamente disordinata e quindi “contro natura”. 

    Alla luce di questa impostazione il modello sociale di riferimento morale e giuridico - tenuto conto in quest’ultimo caso che il  legislatore si interessa della famiglia per garantire la sopravvivenza e la continuità della stessa comunità civile - non può che essere quello della relazione tra uomo e donna e non invece quello della relazione omosessuale.

    Qualsiasi riconoscimento giuridico delle  unioni tra omosessuali determina inevitabilmente l’elevazione di tali comportamenti a modelli di riferimento per tutta la società civile. Tali riconoscimenti ingenerano una grave confusione nella società civile e determinano l’affievolimento della coscienza morale, l’incapacità a percepire l’innaturalità delle condotte omosessuali e  il loro intrinseco disvalore. In questo quadro di relazioni la società umana ne esce malata, chiusa in un individualismo narcisista e mortifero. 

    A fronte di questo ragionamento, condotto sotto un  profilo eminentemente laico, esiste poi il ragionamento illuminato dalla fede che si traduce nella dottrina cattolica. Il catechismo e la Sacra Scrittura sul punto sono chiarissimi: la tendenza omosessuale non è peccato, ma l’attività genitale omosessuale è moralmente inaccettabile. Le relazioni sessuali sono il segno della volontà di Dio  che con un atto di amore vuole la collaborazione nel creare una nuova vita umana  e questo è possibile solo nelle relazioni coniugali eterosessuali. Al riguardo la Chiesa per volontà di Dio è tenuta a mostrare la verità sull’uomo, a indicare la  retta via a tutti gli uomini di buona volontà,  affinchè gli uomini scoprano la Verità che li renderà davvero liberi.

    Sto invece prendendo atto che tanti credenti sul tema della omosessualità sono  confusi, hanno una visione distorta e personalizzata della  stessa   dottrina della Chiesa. Mi pare, altresì, che tale confusione venga alimentata anche dal fatto che alcuni prelati sembrano a disagio nel  richiamare alla verità del magistero i loro fedeli, forse  per non alienarsi le simpatie e la collaborazione e per non turbare l’ambiente parrocchiale. In questo modo però si rinuncia alla difesa della Verità e si diventa inevitabilmente complici della  confusione morale che attualmente dilaga.

    Eminenza, mi rivolgo a Lei  perché è la nostra guida morale e spirituale per eccellenza. Se quanto ho scritto sul pensiero dei relatori dovesse corrisponde a  verità ed essere quindi da Lei condiviso, La esorto umilmente a valutare e vigilare con il team da Lei guidato sulla corrispondenza dei contenuti delle relazioni rispetto ai contenuti della dottrina cattolica affinchè non si corra il pericolo di dover ascoltare interventi in distonia con il magistero della Chiesa e con quanto afferma il Santo Padre.

    Da ultimo, ma non perché sia di minor importanza, Le vorrei anche metter in evidenza che non mi ha del tutto convinto l’equazione con cui il professor Pietrini ha introdotto la sua relazione. Nella sua prima “slide” il docente ha infatti assimilato la situazione in cui si trova l’omosessuale, all’aver una persona i capelli rossi o ad essere mancina. Il professore ha affermato che tali situazioni sono state da sempre stigmatizzate dalla cultura cattolica perché, essendo situazioni “diverse”, tale diversità andava associata al maligno. 

    Orbene, mi pare di ricordare che a tale proposito il relatore abbia altresì affermato che l’elemento che accomuna queste situazioni è la loro diversità rispetto ad una “condizione generale”: l’avere i capelli rossi rispetto ad un mondo dotato di capelli scuri o biondi; l’essere mancino rispetto ad un mondo prevalentemente di destrorsi; l’essere omosessuale rispetto all’essere eterosessuali proprio della maggioranza della persone. Il docente ha quindi affermato che tali diversità in quanto tali sono state valutate in senso negativo e che al contrario sono situazioni naturali, quindi, sul piano della dignità valoriale, equivalenti a quelle “non diverse/normali”. 

    Temo che detta impostazione, pur accattivante e ad effetto, sia intrinsecamente viziata da un errore di metodo. Vengono, infatti, poste sullo stesso piano situazioni tra di loro ontologicamente diverse: i capelli rossi, l’essere mancino sono situazioni secondo natura cioè pienamente ordinate secondo la  legge naturale: lo scopo, la funzione cui sono  preordinati il capello e la mano è pienamente raggiunto. Al contrario nell’omosessuale, la funzione (generare) a cui è preordinato l’organo genitale, è assente, è frustrata. 

    Se il postulato è errato (perché si trattano allo stesso modo situazioni diverse) ne discende che ne risulterà viziata anche la conclusione. Ed infatti, date quelle premesse logiche, il ragionamento conclusivo del docente è stato il seguente: la società è tenuta a prendere coscienza che esistono situazioni “diverse” (i capelli rossi, il mancino e l’omosessuale) ma esse stesse sono  naturali e pertanto devono essere accettate ed equiparate a quelle “normali”. 

    Eminenza, qui mi fermo,  quanto Le ho scritto vuole esser un modesto contributo alla riflessione che si sta svolgendo in questi giorni in tutta Italia. Spero di non averLa intrattenuta in ragionamenti peregrini. Lei mi ha ricordato nella sua lettera che nella Chiesa ogni fedele ha la responsabilità ben precisa di essere testimone del Vangelo e della Verità: spero di poter esser all’altezza di questo compito. 

    Con rinnovata stima e con un deferente arrivederci al prossimo appuntamento.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 25/04/2015 11:18
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      La questione della prassi penitenziale



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    micheletIn una recente intervista (vedi qui) il domenicano Thomas Michelet, uno degli autori dello studio apparso su Nova et Vetera, che stiamo pubblicando a puntate sul nostro Osservatorio (qui in Difendere lo abbiamo postato qui, e lo riproponiamo a fine di questo testo), ha fatto delle importanti affermazioni.


    «La vera difficoltà non è la comunione eucaristica, ma l’assoluzione, che presuppone la rinuncia al peccato. E’ questo che spiega l’impossibilità di ammettere alla comunione eucaristica non solo i divorziati-risposati, ma “tutti coloro che persistono con ostinazione nel peccato grave e manifesto” (CIC, can. 915)». Per il domenicano francese è di fondamentale importanza ribadire ciò, per non dare l’idea che si tratti di una problematica legata solo ai divorziati-risposati. Il problema invece è ben più ampio. Pastoralmente occorre porsi la questione di come affrontare l’impenitenza, che abbraccia sempre più persone. L’impenitenza è infatti un ostacolo che impedisce di ricevere l’assoluzione, che richiede – ricorda il teologo francese – «il pentimento (contrizione), a dichiarazione dei propri peccati (confessione) e la riparazione (soddisfazione), con il fermo proposito di distaccarsene, se non è già stato fatto, di non più commetterlo e di fare penitenza».


    In verità la penitenza, nell’antichità, era considerata non tanto in vista della riparazione, ma come condizione preliminare, per disporsi alla contrizione. La penitenza antica abbracciava molto più tempo e comprendeva tappe liturgiche. Il teologo francese ripropone questa prassi anche per la categoria degli impenitenti, cioè tutti coloro «che fanno fatica a staccarsi completamente dal loro peccato e perciò necessitano di un percorso più lungo», percorso che nella forma attuale del sacramento della penitenza non trova spazio. La proposta di p. Michelet è perciò quella di arricchire l’attuale Rituale, che prevede tre forme sacramentali per il rito della penitenza (1) , con un’altra forma “straordinaria”, radicata nella tradizione di unordo paenitentium.


    La discussione sui divorziati-risposati potrebbe perciò divenire un’occasione per arricchire la prassi penitenziale della Chiesa ed accompagnare tanti fratelli in un cammino che conduca alla vera contrizione, senza la quale la misericordia di Dio non può risanare il cuore dell’uomo.


    _______________________________


    (1) Ricordiamo che le tre attuali forme sono: il rito per l’assoluzione dei singoli penitenti (quella più consueta); il rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale; il rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale (possibile solo in caso di imminente pericolo di morte, per cui il sacerdote non avrebbe tempo di ascoltare le singole confessioni o per grave necessità come disposto dal can. 961 § 1)









    "A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem [LE 5192]: «La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano».

    E nell’enciclica Veritatis splendor [LE 5521] ho aggiunto: «L’autorità della Chiesa, che si pronuncia sulle questioni morali, non intacca in nessun modo la libertà di coscienza dei cristiani.. . anche perché il Magistero non porta alla coscienza cristiana verità ad essa estranee, bensì manifesta le verità che dovrebbe già possedere sviluppandole a partire dall’atto originario della fede.

    La Chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola a non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l’inganno degli uomini, a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa». 

    Un atto aberrante dalla norma o dalla legge oggettiva è, dunque, moralmente riprovevole e come tale deve essere considerato: se è vero che l’uomo deve agire in conformità con il giudizio della propria coscienza, è altrettanto vero che il giudizio della coscienza non può pretendere di stabilire la legge; può soltanto riconoscerla e farla propria".

    (Giovanni Paolo II Discorso al Tribunale della Sacra Rota 10 febbraio 1995

     

    Da Il Timone 22 luglio 2014

     

    Dicevamo giorni fa che aumentano le voci autorevoli o autorevolissime che denunciano l’inaccettabilità del “teorema Kasper”, ossia la possibilità per i divorziati risposati di accedere al sacramento dell’Eucaristia, proposta illustrata dal cardinale Walter Kasper all’ultimo concistoro e che sarà uno dei punti chiave del prossimo Sinodo sulla famiglia. Finora la lista (sommaria) comprendeva:

    il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller; l’ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, il cardinale Walter Brandmüller; uno dei teologi più impegnati e apprezzati da Giovanni Paolo II negli studi su matrimonio e famiglia, il cardinale Carlo Caffarra; uno dei più stimati canonisti della Curia romana, il cardinale Velasio De Paolis; un astro nascente del collegio cardinalizio, come l’ha definito Sandro Magister, ossia il cardinale Thomas Collins; una delle voci più significative dell’attuale teologia australiana, Adam G. Cooper, membro dell’Associazione internazionale di studi patristici.

    A questi nomi va aggiunto un gruppo di otto teologi statunitensi di punta: sette domenicani, di cui sei docenti in quello che oggi è il migliore centro teologico dell’Ordine dei Predicatori negli Usa, la Pontificia Facoltà dell’Immacolata Concezione di Washington (si tratta dei padri John Corbett,  Andrew Hofer,Dominic LangevinDominic LeggeThomas PetriThomas Joseph White) uno, il padre Paul J. Keller, docente all’Ateneo Cattolico dell’Ohio (promosso dalla diocesi di Cincinnati); oltre a loro un laico,Kurt Martens, docente di diritto canonico alla Catholic University of America, sempre di Washington.

    Insieme hanno steso un importante testo che verrà pubblicato in agosto su Nova et Vetera, storica rivista teologica fondata nel 1926 e vicina al mondo domenicano. Il documento sarà diffuso in più lingue, versioni che sono però già filtrate su internet. Qui si può scaricare quella in italiano. Una confutazione sintetica e magistrale, dal punto di vista dottrinale e storico, della tesi kasperiana.

     

    Divorziati-risposati una valutazione teologica
    I Domenicani scendono in campo e rispondono alle stravaganti affermazioni di Kasper
    Recenti-proposte-Una-valutazione-teologica (1).pdf [101.45 KB]
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    Alcuni passi del testo:

     

    "La proibizione del divorzio e di un nuovo matrimonio è chiara già nei più antichi pronunciamenti ufficiali della Chiesa cattolica . Dalla Riforma, inoltre, i papi l’hanno ripetutamente riaffermata. 
    Per esempio, nel 1595 papa Clemente VIII emanò un’istruzione sui cattolici di rito orientale in Italia, sottolineando che i vescovi non dovevano in alcun modo tollerare il divorzio. 
    Altri insegnamenti come questo, sull’impossibilità del divorzio per i cattolici di rito orientale, furono ribaditi da Urbano VIII (1623-1644) e Benedetto XIV (1740- 1758) . 
    Nella Polonia del XVIII secolo, l’abuso di sentenze di nullità era particolarmente diffuso, il che spinse Benedetto XIV ad inviare ai vescovi polacchi tre lettere apostoliche dai toni piuttosto forti per porvi rimedio. 
    Nella seconda di queste, nel 1741, il Pontefice emanò la costituzione Dei miseratione, in cui si richiede un difensore canonico del vincolo per ciascun caso matrimoniale . 
    Nel 1803, Pio VII ricordò ai vescovi tedeschi che i sacerdoti non potevano in alcun modo celebrare seconde nozze, anche se era loro richiesto dalla legge civile, poiché con ciò “tradiranno il loro sacro ministero”. Quindi decretò: “Finché perdura l’impedimento [derivante da un precedente vincolo matrimoniale], se un uomo si unisce ad una donna è adulterio” . Pratiche permissive poste in essere dai vescovi di rito orientale in Transilvania diedero origine ad un decreto del 1858 della Congregazione de Propaganda Fide, in cui si sottolinea l’indissolubilità del matrimonio sacramentale . 
    Infine, l’insegnamento di Leone XIII contro il divorzio nel 1880, in Arcanum, la sua enciclica sul matrimonio, non potrebbe essere più incisivo.
    Come questo excursus storico dimostra, l’affermazione dell’insegnamento di Cristo sull’adulterio e sul divorzio è sempre stata complicata e richiama ogni epoca alla conversione. Che sia così anche nel nostro tempo non deve sorprendere. Una ragione di più, per la Chiesa, per testimoniare tale verità ancora oggi".

     

    La castità e' un dogma della dottrina proclamata ed insegnata da Gesù Cristo

     

    "L’indissolubilità di questa unione non solo è fondamentale per il progetto divino di Dio per l’uomo e per la donna (Mt 19, 3-10), bensì consente all’amore perpetuo e fedele tra loro di servire come segno sacramentale dell’amore di Cristo e della Sua fedeltà per la Sua sposa, la Chiesa (Ef 5, 32).
    La Chiesa rappresenta ormai una delle poche voci rimaste, nella cultura occidentale, a proclamare fedelmente la verità a proposito del matrimonio. La sua teologia, il suo diritto e la sua pratica liturgica sottolineano l’importanza del matrimonio e della famiglia nella società e nella Chiesa medesima. Le coppie sposate collaborano con Dio nella creazione di nuove vite, sono le prime maestre della fede e dunque generano nuovi figli e figlie adottivi a Dio, destinati a condividerne l’eredità eterna. Nella loro fedeltà, i coniugi sono testimoni pubblici dell’incrollabile fedeltà di Cristo al Suo popolo".

     

    "Il cuore delle recenti proposte è una sfiducia sulla castità. In effetti, l’eliminazione dell’obbligo della castità per i divorziati costituisce la principale innovazione delle proposte medesime, dato che la Chiesa permette già ai divorziati risposati, che per un motivo grave (come la crescita dei figli) continuano a vivere insieme, di ricevere la Comunione qualora accettino di vivere come fratello e sorella e se non vi è pericolo di scandalo. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI si sono espressi chiaramente su tale aspetto.


    L’assunto delle attuali proposte, ad ogni modo, è che tale castità sia impossibile per i divorziati. Forse che ciò non evidenzia una velata disperazione nei confronti della castità e del potere della grazia di sconfiggere il peccato ed il vizio? Cristo chiama ognuno alla castità secondo la propria condizione di vita, sia essa quella di persona non sposata, celibe, sposata o separata. Egli promette la grazia di vivere castamente. Nei Vangeli, Gesù ribadisce questa chiamata e questa promessa, insieme con un fermo avvertimento: ciò che causa il peccato dovrebbe essere “tagliato” e “gettato via” perché “conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5:27-32). Infatti, nel Discorso della Montagna, la castità è il cuore e l’anima dell’insegnamento di Gesù sul matrimonio, sul divorzio e sull’amore coniugale.


    Tale castità è frutto della grazia e non una mortificazione o una privazione. Essa si riferisce non alla repressione della propria sessualità, bensì al suo corretto utilizzo. La castità è la virtù attraverso cui si sottomettono i desideri sessuali alla ragione, cosicché la propria sessualità sia al servizio della propria reale finalità anziché della lussuria. Da ciò consegue che la persona casta domina le proprie passioni più che esserne asservita e diviene, quindi, capace di un dono di sé totale e continuo. In breve, la castità è indispensabile per seguire la via di Cristo, la quale è l’unica strada per la gioia, la libertà e la felicità".

    "La cultura contemporanea sostiene che la castità non sia solamente impossibile, ma addirittura dannosa. Questo dogma secolare si oppone direttamente all’insegnamento del Signore. Se lo accettassimo, sarebbe arduo non domandarsi perché esso dovrebbe applicarsi solamente ai divorziati. Non sarebbe ugualmente irrealistico chiedere alle persone celibi di rimanere caste fino al matrimonio? Non dovrebbero essere ammesse anch’esse alla Santa Comunione? Gli esempi potrebbero essere molteplici.
    Alcune coppie risposate civilmente provano davvero a vivere in castità come fratello e sorella. Esse possono anche trovarlo difficile, magari cadere di tanto in tanto, e tuttavia, mosse dalla grazia, si rialzano, si confessano e ricominciano. Se le proposte in oggetto venissero accettate, quante di queste coppie si arrenderebbero nella lotta per rimanere caste?


    D’altro canto, molti divorziati risposati non vivono castamente. Ciò che li distingue da coloro che tentano di farlo (e non sempre vi riescono) è che i primi non riconoscono ancora l’incontinenza come un problema serio, o almeno non hanno ancora intenzione di vivere in castità. Se si permette loro di ricevere l’Eucaristia, anche se prima si sono recate in confessionale, pur con l’intenzione di continuare a vivere in modo non casto (una palese contraddizione), vi è il serio pericolo che essi siano confermati nel proprio vizio presente. E’ improbabile, infatti, che essi crescano nella consapevolezza dell’obiettiva immoralità e gravità della loro comportamento non casto. E’ lecito domandarsi, piuttosto, se la condotta morale di costoro, anziché migliorare, non verrebbe più verosimilmente perturbata o addirittura deformata.


    Cristo insegna che la castità è possibile, persino nei casi più difficili, poiché la grazia di Dio è più potente del peccato. La pastorale dei divorziati dovrebbe essere basata su tale promessa. Se i divorziati stessi non udranno la Chiesa proclamare le parole di speranza di Cristo, e cioè che essi possono realmente essere casti, non tenteranno mai di esserlo".

     

    Chiarimenti sulla prassi ortodossa mai accettata dalla Chiesa

     

    "Inoltre, la Chiesa cattolica ha più volte ribadito di non poter ammettere la prassi ortodossa.

    Il Secondo Concilio di Lione (1274), che si indirizzava nello specifico alla consuetudine della Chiesa ortodossa d’oriente, proclamò che “non è permesso a un uomo di avere contemporaneamente più mogli, né a una donna di avere più mariti. Sciolto invece il matrimonio per la morte dell’uno o dell’altro dei coniugi, essa [la Chiesa romana] dice che sono lecite successivamente le seconde e quindi le terze nozze” .


    In più, le proposte più recenti invocano ciò che neanche gli ortodossi d’oriente accetterebbero: la Comunione per coloro che contraggono unioni civili non consacrate (adulterine). Nella Chiesa ortodossa si ammettono alla Comunione i divorziati risposati solo se, per questi ultimi, le nozze successive alla prima sono state benedette nel rito della medesima Chiesa.

     

    In altre parole, ammettere alla Comunione richiederebbe inevitabilmente che la Chiesa cattolica riconoscesse e benedicesse i secondi matrimoni dopo il divorzio, il che è evidentemente contrario alla dottrina cattolica già stabilita e a quanto espressamente insegnato da Cristo".

     

    "E’ semplicemente impossibile ammettere alla Santa Comunione coloro che perseverano nell’adulterio e allo stesso tempo affermare queste dottrine conciliari. Le definizioni tridentine di adulterio, giustificazione (il che implica la carità così come la fede) oppure il significato e l’importanza dell’Eucaristia sarebbero altrimenti modificate.

    La Chiesa, inoltre, non può trattare il matrimonio come un affare privato, né permettere che esso ricada sotto la giurisdizione dello Stato e neppure che esso sia qualcosa di risolvibile in base ad arbitrari giudizi di coscienza. Dopo un lungo dibattito, tali questioni sono state chiaramente risolte all’interno di un concilio ecumenico e nel modo più solenne. Queste dichiarazioni sono state poi più volte ribadite dal Magistero contemporaneo, anche nel Concilio Vaticano II e nel Catechismo della Chiesa Cattolica" .

     

    Conclusione

     

    "La Chiesa è sostenuta in ogni epoca dallo Spirito Santo, che le è stato promesso da Cristo stesso (Gv 15, 26). Perciò, ogniqualvolta si trova ad affrontare grandi sfide nell’evangelizzazione, essa sa anche che Dio le concederà certamente le grazie necessarie per la sua missione. Molti uomini e donne della nostra epoca si trovano a dover subire grandi sofferenze.

    La rivoluzione sessuale ha provocato milioni di vittime. Tanti hanno profonde ferite, difficili da guarire. Per quanto problematica sia tale situazione, essa rappresenta altresì un importante opportunità apostolica per la Chiesa. L’essere umano è spesso consapevole dei propri fallimenti e pure delle proprie colpe, ma non del rimedio offerto dalla grazia e dalla misericordia di Cristo. Soltanto il Vangelo può realmente soddisfare i desideri del cuore umano e guarire le gravissime ferrite presenti oggi nella nostra cultura.


    L’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, sul divorzio, sulla sessualità umana e sulla castità è certamente difficile da accogliere. Cristo stesso ne era consapevole quando l’ha proclamato. Tuttavia, questa verità porta con sé un autentico messaggio di libertà e speranza: esiste una via d’uscita dal vizio e dal peccato. Esiste una via che conduce verso la felicità e l’amore. Richiamando queste verità, la Chiesa può accettare il compito dell’evangelizzazione nel nostro tempo con gioia e speranza".

     
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 30/04/2015 12:07

    Presidente vescovi Usa: matrimonio solo unione fra uomo e donna




    Il presidente dei vescovi Usa mons. J. E. Kurtz - L'Osservatore Romano





    30/04/2015



    “Il matrimonio è e può essere solo l’unione di un uomo e una donna”. In previsione di un importante pronunciamento della Corte Suprema, il presidente della Conferenza episcopale statunitense mons. Joseph Edward Kurtz, è tornato a sottolineare quella che definisce una “bellissima verità” (a beautiful truth) sul matrimonio, un’”istituzione perenne con radici profonde nella nostra identità, cultura e leggi”.  


    37 gli Stati che riconoscono le cosiddette “nozze gay”
    Dalla mattina di martedì, i giudici supremi hanno cominciato le audizioni riguardanti la costituzionalità delle leggi con cui alcuni Stati vietano i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Si tratta dell’Ohio, del Michigan, del Kentucky e del Tennessee il cui divieto è stato confermato dalla Corte d’appello del 6° Circuito di Cincinnati.  Altri 37 Stati hanno invece riconosciuto i matrimoni omosessuali,  in molti casi per decisione dei tribunali federali alla luce di una sentenza della Corte Suprema del 2013 che ha abolito il divieto federale a tale riconoscimento .

    Il diritto dei bambini ad essere amati da un  padre e da una madre
    In una dichiarazione diffusa sul sito dell’episcopato statunitense, mons. Kurtz sottolinea anche che la verità cattolica sul matrimonio è “inseparabile” dal “dovere” di onorare la dignità che Dio ha donato a ogni creatura umana. E riferendosi direttamente all’atteso pronunciamento della Corte Suprema, afferma di pregare perché i giudici “sostengano la responsabilità degli Stati nel proteggere la bella verità del matrimonio”. Una verità - aggiunge - che riguarda “il benessere essenziale della nazione”, e in particolare dei minori. In questo senso, ribadisce come sia “diritto fondamentale” dei bambini, “di conoscere e di essere amati dal loro padre e madre insieme”. La Chiesa, conclude , “difenderà sempre questo diritto”, rivolgendosi soprattutto alle persone di buona volontà per “continuare questa discussione con carità e civiltà”. (L.Z.)





    Primate d'Irlanda: no a ridefinizione costituzionale del matrimonio

    Il primate d'Irlanda Eamon Martin - AP

    05/05/2015

    Modificare la definizione tradizionale del matrimonio quale unione tra un uomo e una donna “non è una questione banale, è una rottura con la storia umana e con la natura stessa di questa istituzione”. Il Primate d’Irlanda mons. Eamon Martin interviene nuovamente sul referendum con cui il 22 maggio i cittadini irlandesi saranno chiamati ad esprimersi sulla modifica costituzionale che aprirebbe la strada alla legalizzazione delle nozze omosessuali.

    Il matrimonio è molto più che una relazione d’amore tra persone
    Lo fa con un messaggio diffuso il 2 maggio in cui ribadisce le ragioni dei vescovi contro la modifica. Ragioni che, come riaffermato dal Sinodo straordinario sulla famiglia, hanno a che fare con la natura intrinseca del matrimonio e non dettate da un atteggiamento discriminatorio verso le persone omosessuali, che la Chiesa rispetta. “E’ la natura che ci dice che le unioni tra persone dello stesso sesso sono fondamentalmente e oggettivamente diverse dall’unione complementare tra un uomo e una donna per loro stessa natura aperte alla vita”. In questo senso “il matrimonio è molto più che una relazione d’amore tra due adulti consenzienti”.

    In gioco anche la libertà di coscienza
    Ma in gioco con il referendum – avverte mons. Martin - è anche la libertà di coscienza e quindi la libertà di esprimere pubblicamente i propri valori e ciò in cui si crede.  Ciò che preoccupa l’arcivescovo è la situazione in cui si possono trovare i credenti se parlano del matrimonio tra un uomo e una donna, o della differenza tra i due sessi: “Se la società adotta e impone una ‘nuova ortodossia’ del matrimonio ‘gender-neutrale’ definendolo semplicemente come unione tra due persone - uomo e uomo o donna e donna - sarà poi sempre più difficile parlare o insegnare in pubblico il matrimonio come tra un uomo e una donna”. A questo proposito mons.  Martin pone alcuni interrogativi: “Ci saranno azioni legali nei confronti di individui o gruppi che non condividono questa visione? Che cosa dovremmo a questo punto insegnare ai bambini a scuola sul matrimonio o sugli atti omosessuali? Saranno costretti ad agire contro la loro fede e la loro coscienza coloro che continuano a credere sinceramente che il matrimonio è una unione tra un uomo e una donna?”.

    Non avere paura di difendere il matrimonio tradizionale
    Il messaggio conclude quindi con un invito a riflettere e pregare prima di andare al voto il 22 maggio. “Non abbiate paura – è l’esortazione finale - a parlare con coraggio in difesa dell’unione matrimoniale tra un uomo e una donna”. (A cura di Lisa Zengarini da Radio Vaticana)






    Monsignor Luigi Negri
     

    «C'è un cedimento totale a una mentalità estranea al cattolicesimo, anche perché si è lasciato che fossero media laicisti a definire l'immagine della Chiesa». «Oggi c'è una povertà culturale che è anche peggiore di quella materiale». «La persecuzione di tanti cristiani ci ricorda che la posta in gioco è l'adesione a Cristo che ci mette in condizione di poter essere eliminati da un momento all'altro». Così monsignor Luigi Negri, che rilegge i suoi dieci anni da vescovo.

    di Riccardo Cascioli

    «Un fenomeno gravissimo caratterizza la Chiesa del nostro tempo: il cedimento totale alla mentalità catto-laicista, anche perché stiamo accettando che siano i mass media laicisti a definire l’immagine della Chiesa, del prete, di una autentica pastoralità». Non fa sconti alla verità monsignor Luigi Negri, neanche in questi giorni di festa che lo vedranno chiudere questa sera con una solenne messa pontificale nella cattedrale di Ferrara, i festeggiamenti per il X anniversario della sua ordinazione episcopale. Dieci anni sono un soffio, ma se guardiamo indietro non possiamo non riconoscere che molto è cambiato in questi dieci anni: nella Chiesa, in Italia, nel mondo. 

    Monsignor Negri, lei è stato nominato vescovo di San Marino-Montefeltro il 17 marzo del 2005, una delle ultime nomine di san Giovanni Paolo II, morto appena 16 giorni dopo. In questi dieci anni ha perciò conosciuto ben tre Papi. Potrebbe dirci il tratto essenziale di ciascuno dei tre? Cominciamo da san Giovanni Paolo II.
    San Giovanni Paolo II è stato uno dei più grandi evangelizzatori nella storia della Chiesa moderna e contemporanea. Con lui ho avuto la percezione lucidissima che si apriva una fase nuova nel rapporto tra Chiesa e mondo. Voglio ricordare lo straordinario intervento che fece nell’ottobre 1980 al convegno su Evangelizzazione e ateismo in cui disse che bisognava riportare Cristo a contatto del cuore dell’uomo, che usciva distrutto ma non annichilito dalla vicenda moderna e contemporanea. Capii allora che bisognava aprire un dialogo non con le ideologie o con i sistemi politici e culturali, ma con quella realtà umana che precede qualsiasi opzione, consapevole o inconsapevole. San Giovanni Paolo II ha svolto in maniera mirabile questo compito. Ho sempre avuto la percezione che parlasse al livello del cuore dell’uomo, e per questo non si attardasse né in premesse né in conseguenze. Al contrario, andava al fondo della questione, che così valorizza ogni premessa e arriva alle conseguenze. Fermarsi alle premesse o correre alle conseguenze è una proposta assolutamente perdente, dal punto di vista di ciò che la Chiesa deve desiderare: che la gente venga investita dall’annunzio di Cristo presente. Vorrei al proposito ricordare due definizioni che di lui sono state date e che condivido pienamente. Ho in mente il breve messaggio del cardinale Stanislaw Dziwisz in risposta alle mie condoglianze: «Quest’uomo ha insegnato ai cristiani ad essere cristiani e agli uomini di questo tempo ad essere uomini». E George Weigel ha riconosciuto che è stato uno dei pochi uomini a cui è stato dato di cambiare il corso della storia. 

    Una missione a cui ha dato un grosso contributo l’amicizia con chi poi gli è succeduto: Benedetto XVI. 
    Benedetto ha aperto una stagione che ha fatto riscoprire il fascino della ragione, come sfida, come cammino verso il mistero. E senza nessuna tentazione di nostalgia ci ha fatto sentire la grandezza della grande civiltà cattolica, della grande civiltà occidentale che - come disse a Regensburg – nasce dal coinvolgimento di movimenti perenni, che tali rimangono: il domandare greco, il profetismo ebraico, la fede cattolica e la libertà di coscienza moderna. Ha aperto orizzonti di incontro con l’uomo di oggi proprio in forza della sua straordinaria capacità di parlare della ragione e della fede, oltre ad avere dato quel contributo fondamentale alla ripresa di identità dell’avvenimento cristiano con la dichiarazione Dominus Iesus, firmata da Giovanni Paolo II ma che porta il segno indelebile del grande magistero di Benedetto XVI. Mi auguro davvero che la Chiesa a un certo punto riconosca la grandezza intellettuale e la grandezza del suo magistero conferendogli il titolo di dottore della Chiesa.

    Da due anni c’è papa Francesco; ancora presto per un bilancio ma non c’è dubbio che la strada di questo pontificato sia ben marcata
    Francesco ha aperto una prospettiva nuova in cui mi addentro, gradualmente, maturando con lui le prospettive di una rinnovata apertura missionaria, che è quello a cui sono stato formato da 50 anni di convivenza con quel grande teorico della missione e testimone della missione che è stato don Luigi Giussani.

    A proposito di don Giussani. Abbiamo da poco ricordato i dieci anni della sua morte, non ha fatto in tempo a gioire dell’ordinazione episcopale di uno dei suoi amici della prima ora. 
    Ho potuto svolgere la missione di vescovo soltanto perché don Giussani mi ha insegnato ad amare la Chiesa come mio padre e mia madre. Quelle pochissime volte che me ne ha accennato, era evidente che per lui la mia nomina episcopale era un desiderio vivo del suo cuore, che allora io non sapevo valutare. Per lui era la grande conferma della verità del movimento di Comunione e Liberazione. In uno degli ultimi incontri mi disse: se ti faranno vescovo ricordati che sarà un grande messaggio del Papa a tutta la Chiesa. Perché tu nella tua vita, come insegnante e come prete, non hai avuto altro che la sequela del movimento. E l’aver seguito fino in fondo il movimento secondo il papa ti abilita a diventare il capo di una Chiesa.

    E come questo si è riflesso nel suo modo di essere vescovo?
    In questi dieci anni, di cui i primi sette a San Marino-Montefeltro, ho sentito il compito eccezionale di far nascere e rinascere continuamente il popolo cristiano. Perché il vescovo deve fare questo. Il vescovo che rende presente Cristo nella sua comunità deve generare il popolo nella Parola e nei sacramenti e rigenerarlo soprattutto attraverso il ministero del giudizio e della misericordia - perché nella Confessione c’è anche un giudizio non solo la misericordia –. E poi dare la consapevolezza gioiosa di avere un’identità nuova, irriducibile a qualsiasi identità umana e storica, una coscienza nuova di sé e della realtà, un ethos della vita che non si riduce a nessuna forma di sfruttamento, ma vive la carità come incondizionata apertura alla vita di ciascuno. Per il mio temperamento non sarei mai stato capace di abbracciare così il popolo, la sua vita e il suo destino, se non fossi vissuto per 50 anni con un uomo che ha fatto dell’amore a Cristo e alla Chiesa la sua unica ragione di vita.

    San Marino e Ferrara, due realtà diverse ma anche con punti in comune. Dall’incontro con questa gente, cosa emerge quale priorità per la Chiesa?
    Farsi carico della grande povertà non soltanto materiale ma umana, culturale, spirituale. L’ho detto più volte ai responsabili di diverse iniziative e strutture caritative, che pure sono grandi ed esemplari. A Ferrara tutte le nostre risorse sono spese per questa terribile povertà materiale che ha dissolto la tranquillità e il benessere di tante famiglie. Ma dobbiamo anche essere molto chiari: nonostante tanta retorica sui poveri e sulla povertà, questo problema non sarà mai risolto, meno che mai sarà risolto dalla Chiesa. Lo ha detto lo stesso Gesù: «I poveri li avrete sempre con voi, me non avrete sempre». 

    E dando un contributo quotidiano, nel soccorrere chi vive nella povertà, dobbiamo chiederci: noi ci facciamo carico della povertà culturale? Povertà culturale che è figlia di un vuoto esistenziale, di un vuoto di coscienza, di umanità, di capacità di amore, di capacità di sacrificio. Se non stiamo attenti rischiamo di ridurci soltanto al tentativo di aiutare la povertà materiale, di condividere una concezione materialistica della vita. Io penso che sarebbe terribile non avere aperto il cuore ad amare l’umanità di oggi in tutte le condizioni, secondo tutti gli aspetti, secondo tutte le sfide che riceviamo. Ma si può fare questo se al centro c’è l’amore a Cristo. Si ama i poveri perché si ama Cristo, si investe l’umanità di oggi - povera o ricca che sia - dell’annuncio unico: il Signore Gesù Cristo è il redentore dell’uomo e della storia, il centro del cosmo e della storia. 

    Povertà culturale. Il rapporto tra fede e cultura è stato al centro della riflessione di don Giussani e di Giovanni Paolo II. 
    C’è una frase di san Giovanni Paolo II che ha confermato e dilatato il magistero di Giussani su fede e cultura: «La fede che non diventa cultura non è stata veramente accolta, pienamente vissuta, umanamente ripensata». Da questo punto di vista c’è una gravissimo disagio che io percepisco. L’irruzione nel contesto della cultura cattolica di una sorta di catto-laicismo. Un cattolicesimo che tenta di convivere con il laicismo come forma sostanzialmente di rifiuto della tradizione cristiana, della presenza cristiana. Esempio; la storia della Chiesa. È letta e interpretata quasi universalmente anche nel mondo cattolico, come una storia di cui liberarsi. Più piena di ombri ed errori, di colpe e incomprensioni, che di luci. Si tratta di un irrealismo totale, si salvano a malapena i santi, ma secondo una accezione moralistica e pietista che non è un onore ai santi, ma la dimostrazione della meschinità intellettuale con cui si pensa la storia della Chiesa.

    Può fare qualche esempio?
    Da qualche anno durante la messa prego ogni giorno per Antoine Eleonore Leon Leclerc de Juinier, che è stato vescovo di Parigi dal 1782 fino a quando per non piegarsi a Napoleone si dimise da arcivescovo. Andò all’assemblea costituente quando questa decretò la confisca di tutti i beni della Chiesa. Questo vescovo disse una cosa semplicissima: prendetevi pure tutti i soldi, avete l’arroganza di farlo e il diritto vostro ve ne dà la possibilità. Ma io vi anticipo quel che accadrà: nel giro di qualche mese vi dividerete fra voi tutti questi soldi a bassissimo prezzo e i poveri resteranno senza nessuna risorsa perché da secoli la Chiesa francese ha usato i suoi soldi, i suoi beni, per una cosa sola: rendere meno aspra la povertà dei poveri. C’è oggi qualcuno anche a livello ecclesiastico che non solo conosce questa cosa, ma si sentirebbe così in sintonia profonda con quest’uomo, perché in lui si è espressa una coscienza autentica e critica della storia della Chiesa? Non è accettabile che ecclesiastici, uomini di cultura cattolici, abbiano in partenza davanti alla Chiesa e alla sua storia un atteggiamento distruttivo. Salvando a malapena la Chiesa di oggi, come se la chiesa di oggi fosse nata o nascesse improvvisamente senza nessuna connessione vitale, esistenziale, con il flusso della tradizione, che comincia da Gesù e dei suoi amici e arriva inesorabilmente fino a noi oggi.

    In altre occasioni lei ha parlato di catto-laicismo…
    Non è pensabile, non è più sopportabile, che i media anticattolici, laicisti, siano stati messi in condizioni di entrare così massicciamente e grevemente nella vita della Chiesa da fissare loro l’immagine dei preti di prima categoria, da contrapporre al povero clero che ha vissuto l’esistenza secondo le circostanze concrete della propria vita, obbedendo ai propri pastori e cercando di incrementare la vita del popolo che guidavano. È una posizione suicida accettare che il modello della vita ecclesiale sia formulato secondo la posizione di coloro che fino ad adesso – e ancora adesso – vogliono la distruzione della Chiesa. 

    In dieci anni tante cose sono cambiate nel mondo, oggi la persecuzione dei cristiani è un fenomeno senza precedenti:
    Da quando ho fatto mettere sul frontone del palazzo episcopale il segno del Nazareno, quasi ogni giorno centinaia di turisti, si fermano, chiedono, la maggior parte non sa neanche cosa significhi. Comunque questa persecuzione ci ricorda che noi viviamo dentro un confronto escatologico fra la cultura della vita – l’avvenimento di Cristo -  e la cultura della morte, che è il nulla, che diventa l’alternativa a Dio.

    Queste sono le proporzioni dello scontro in cui viviamo, dobbiamo essere consapevoli che la dimensione del martirio morde il nostro quotidiano. Dobbiamo sapere che quello che è in gioco - anche nelle piccole comunità del Montefeltro o della campagna ferrarese – è un’adesione a Cristo che ci mette di fronte al mondo come gente che può essere eliminata da un momento all’altro.

    E in Italia da tanti anni si parla di emergenza educativa…
    Oggi l’emergenza educativa dimostra che si è perduto tempo perché non si è avuto il coraggio di affrontare la necessità di far diventare la Chiesa come aveva chiesto papa Giovanni Paolo II nella Novo Millennio ineunte: Ambiti di scuola di comunione, quindi di cultura. Adesso il gender è una lebbra che si sta diffondendo nei cuori e in questo ha perfettamente ragione papa Francesco. La questione dell’emergenza educativa è arrivata a livelli tali che o ci svegliamo adesso o non ci svegliamo più, ovvero siamo morti.



     


    [Modificato da Caterina63 09/05/2015 11:22]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 11/05/2015 14:15

      La porta chiusa di papa Francesco


    Dalla fine del sinodo del 2014 è intervenuto decine di volte su aborto, divorzio e omosessualità. Ma non ha più detto una sola parola a sostegno delle "aperture" reclamate dai novatori 

    di Sandro Magister




    ROMA, 11 maggio 2015 – La seconda e ultima sessione del sinodo sulla famiglia si avvicina e la temperatura della discussione si alza sempre di più.

    Ha fatto scalpore, da ultimo, la sortita dei vescovi tedeschi, che danno ormai per acquisiti, nel "contesto culturale" della loro Chiesa locale, mutamenti sostanziali di dottrina e di pratica pastorale in materia di divorzio e di omosessualità:

    > Sinodo. I vescovi tedeschi mettono il carro davanti ai buoi (6.5.2015)

    Niente di nuovo, in questo. La gran parte dei vescovi di Germania sono da tempo attestati su posizioni di questo tipo, già da prima che il cardinale Walter Kasper aprisse il fuoco con la memorabile relazione introduttiva al concistoro cardinalizio del febbraio 2014, a sostegno della comunione ai divorziati risposati:

    > La vera storia di questo sinodo. Regista, esecutori, aiuti (17.10.2014)

    La novità è un'altra. E ha per protagonista papa Francesco.

    Fino al sinodo dell'ottobre 2014 Jorge Mario Bergoglio aveva mostrato ripetutamente e in più modi di incoraggiare "aperture" in materia di omosessualità e seconde nozze, ogni volta con grande risalto sui media. Il cardinale Kasper disse esplicitamente di aver "concordato" col papa la sua esplosiva relazione al concistoro.

    Ma durante quel sinodo le resistenze ai nuovi paradigmi si rivelarono molto più forti ed estese del previsto e determinarono la sconfitta dei novatori. La spericolata "relatio post disceptationem" di metà assise fu demolita dalle critiche e lasciò il passo a una molto più tradizionale relazione finale.

    Papa Francesco, nell'accompagnare questo svolgimento del sinodo, contribuì anche lui alla svolta, tra l'altro integrando in corso d'opera la commissione incaricata di scrivere la relazione finale, fin lì dominio sfrontato dei novatori, immettendovi personalità di orientamento opposto.

    Ma è soprattutto dalla fine del sinodo in poi che Francesco ha imboccato una nuova rotta, rispetto a quella da lui inizialmente percorsa.

    Dalla fine d'ottobre del 2014 a oggi non c'è stata più una sola volta in cui egli abbia dato un sia pur minimo sostegno ai paradigmi dei novatori.

    Al contrario. Ha intensificato gli interventi su tutte le questioni più controverse legate al tema sinodale della famiglia: la contraccezione, l'aborto, il divorzio, le seconde nozze, il matrimonio omosessuale, l'ideologia del "gender". E ogni volta ne ha parlato da "figlio della Chiesa" – come ama definirsi –, con granitica fedeltà alla tradizione e senza staccarsi di un millimetro da quanto dissero prima di lui Paolo VI, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI.

    Questo sito ha già pubblicato una prima antologia di tutti gli interventi di papa Francesco sulle questioni citate, dalla fine d'ottobre del 2014 ai primi di marzo del 2015:

    > Diario Vaticano / Il passo doppio del papa argentino (17.3.2015)

    E qui sotto c'è il seguito dell'antologia, con tutti gli ulteriori interventi del papa dalla metà di marzo a oggi: diciotto in meno di due mesi, che si aggiungono ai ventuno del precedente blocco.

    Nel circuito dei media i novatori continuano a godere di grande visibilità e plauso, e Francesco continua a essere dipinto come uno di loro.

    Questo suo presunto sostegno continua a essere dato per acquisito anche dai più accesi ammiratori di Bergoglio, come ad esempio quel "Cenacolo degli amici di papa Francesco" che si riunisce mensilmente a ridosso delle mura vaticane, con suoi mentori i cardinali Kasper e Francesco Coccopalmerio.

    Ma la realtà è tutt'altra. Da perfetto gesuita, Bergoglio è un grande realista e ha già capito – anche solo dallo scorrere i nomi dei delegati eletti dai vari episcopati nazionali – che la prossima sessione del sinodo sarà ancora più sfavorevole ai novatori della precedente.

    Sa che le decisioni finali toccheranno a lui e a lui solo. Ma sa anche che gli sarà impossibile imporre a tutta la cattolicità innovazioni lontane dall'aver raccolto il previo, collegiale consenso dei vescovi.

    I quali non abitano solo nella decadente Chiesa tedesca, ma in Africa, in Asia e in tutte quelle vive "periferie" del mondo a lui tanto care.

    __________



    PAPA FRANCESCO SU ABORTO, DIVORZIO, CONTRACCEZIONE, OMOSESSUALITÀ

    Tutti i suoi interventi dalla metà di marzo a oggi



    1. Dall'udienza generale di mercoledì 18 marzo 2015:

    Oggi mi soffermerò sul grande dono che sono i bambini per l’umanità. È vero, sono un grande dono per l’umanità, ma sono anche i grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere. […] Tutti siamo figli.  E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza. […]

    I bambini portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini! E quando vediamo che il livello di nascita di una società arriva appena all’uno percento, possiamo dire che questa società è triste, è grigia perché è rimasta senza bambini.

    > Testo integrale


    *

    2. Dalla lettera del 20 marzo 2015 alla commissione internazionale contro la pena di morte:

    Il magistero della Chiesa, a partire dalla Sacra Scrittura e dall’esperienza millenaria del popolo di Dio, difende la vita dal concepimento alla morte naturale, e sostiene la piena dignità umana in quanto immagine di Dio. La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio, dal primo istante del concepimento, è frutto dell’azione creatrice di Dio. […] La vita, soprattutto quella umana, appartiene solo a Dio.

    > Testo integrale

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    3. Dall'incontro del 21 marzo 2015 con i giovani di Napoli:

    La crisi della famiglia è una realtà sociale. Poi ci sono le colonizzazioni ideologiche sulle famiglie, modalità e proposte che ci sono in Europa e vengono anche da oltre oceano. Poi quello sbaglio della mente umana che è la teoria del "gender", che crea tanta confusione.

    Così la famiglia è sotto attacco. Come si può fare, con la secolarizzazione che è attiva? Come si può fare con queste colonizzazioni ideologiche? Come si può fare con una cultura che non considera la famiglia, dove si preferisce non sposarsi? Io non ho la ricetta, La Chiesa è consapevole di questo e il Signore ha ispirato di convocare il Sinodo sulla famiglia, sui tanti suoi problemi. Ad esempio, il problema della preparazione al matrimonio in chiesa.

    > Testo integrale

    *

    4. Dall'udienza generale di mercoledì 25 marzo 2015:

    Il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione, in molti paesi si celebra la giornata per la vita. Per questo, vent’anni fa san Giovanni Paolo II in questa data firmò l’enciclica "Evangelium vitae". Per ricordare tale anniversario oggi sono presenti in piazza molti aderenti al Movimento per la Vita.

    Nella "Evangelium vitae" la famiglia occupa un posto centrale, in quanto è il grembo della vita umana. La parola del mio venerato predecessore ci ricorda che la coppia umana è stata benedetta da Dio fin dal principio per formare una comunità di amore e di vita, a cui è affidata la missione della procreazione. Gli sposi cristiani, celebrando il sacramento del matrimonio, si rendono disponibili ad onorare questa benedizione, con la grazia di Cristo, per tutta la vita.

    La Chiesa, da parte sua, si impegna solennemente a prendersi cura della famiglia che ne nasce, come dono di Dio per la sua stessa vita, nella buona e nella cattiva sorte: il legame tra Chiesa e famiglia è sacro ed inviolabile. La Chiesa, come madre, non abbandona mai la famiglia, anche quando essa è avvilita, ferita e in tanti modi mortificata. Neppure quando cade nel peccato, oppure si allontana dalla Chiesa; sempre farà di tutto per cercare di curarla e di guarirla, di invitarla a conversione e di riconciliarla con il Signore. […]

    Tutti – papa, cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli laici – tutti siamo chiamati a pregare per il sinodo. Di questo c’è bisogno, non di chiacchiere! […] Il prossimo sinodo dei vescovi possa ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio.

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    5. Dall'udienza generale di mercoledì 8 aprile 2015:

    Tanti bambini fin dall’inizio sono rifiutati, abbandonati, derubati della loro infanzia e del loro futuro. Qualcuno osa dire, quasi per giustificarsi, che è stato un errore farli venire al mondo. Questo è vergognoso! Non scarichiamo sui bambini le nostre colpe, per favore! I bambini non sono mai “un errore”. La loro fame non è un errore, come non lo è la loro povertà, la loro fragilità, il loro abbandono – tanti bambini abbandonati per le strade; e non lo è neppure la loro ignoranza o la loro incapacità – tanti bambini che non sanno cosa è una scuola. Semmai, questi sono motivi per amarli di più, con maggiore generosità. Che ne facciamo delle solenni dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei diritti del bambino, se poi puniamo i bambini per gli errori degli adulti?

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    6. Dall'udienza generale di mercoledì 15 aprile 2015:

    La differenza sessuale è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi. Ma solo nell’uomo e nella donna essa porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio: il testo biblico lo ripete per ben tre volte in due versetti: uomo e donna sono immagine e somiglianza di Dio. Questo ci dice che non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio.

    La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio. L’esperienza ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze. […]

    La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando se la cosiddetta teoria del "gender" non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. […] Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, lo è per tutti, non solo per i credenti. Vorrei esortare gli intellettuali a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta. […]

    Mi chiedo se la crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione all’incredulità e al cinismo, non sia anche connessa alla crisi dell’alleanza tra uomo e donna. In effetti il racconto biblico, con il grande affresco simbolico sul paradiso terrestre e il peccato originale, ci dice proprio che la comunione con Dio si riflette nella comunione della coppia umana e la perdita della fiducia nel Padre celeste genera divisione e conflitto tra uomo e donna.

    Da qui viene la grande responsabilità della Chiesa, di tutti i credenti, e anzitutto delle famiglie credenti, per riscoprire la bellezza del disegno creatore che inscrive l’immagine di Dio anche nell’alleanza tra l’uomo e la donna. La terra si riempie di armonia e di fiducia quando l’alleanza tra uomo e donna è vissuta nel bene. E se l’uomo e la donna la cercano insieme tra loro e con Dio, senza dubbio la trovano. Gesù ci incoraggia esplicitamente alla testimonianza di questa bellezza che è l’immagine di Dio.

    > Testo integrale

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    7. Dall'omelia in Santa Marta del 17 aprile 2015:

    La grazia dell’"imitazione di Gesù" riguarda, ha detto il papa, "non solo quei martiri di cui ho parlato adesso, ma anche tanti uomini e donne che subiscono umiliazioni ogni giorno e per il bene della propria famiglia, il bene di altre cose, chiudono la bocca, non parlano, sopportano per amore di Gesù. E sono tanti". Questa "è la santità della Chiesa: questa letizia che dà l’umiliazione non perché l’umiliazione sia bella, no: quello sarebbe masochismo"; ma "perché con quell’umiliazione tu imiti Gesù".

    > Testo integrale

    *

    8. Dall'omelia in Santa Marta del 21 aprile 2015:

    "Ci sono anche i martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza dello Spirito Santo, alla voce dello Spirito, che fanno strade, che cercano strade nuove per aiutare i fratelli e amare meglio Dio". E per questa ragione "vengono sospettati, calunniati, perseguitati da tanti sinedri moderni che si credono padroni della verità". Oggi, ha detto il pontefice, ci sono "tanti martiri nascosti" e tra loro ce ne sono numerosi "che per essere fedeli nella loro famiglia soffrono tanto per fedeltà".

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    *

    9. Dall'udienza generale di mercoledì 22 aprile 2015:

    Pensiamo anche alla recente epidemia di sfiducia, di scetticismo, e persino di ostilità che si diffonde nella nostra cultura – in particolare a partire da una comprensibile diffidenza delle donne – riguardo ad un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza. Se non troviamo un soprassalto di simpatia per questa alleanza, capace di porre le nuove generazioni al riparo dalla sfiducia e dall’indifferenza, i figli verranno al mondo sempre più sradicati da essa fin dal grembo materno. La svalutazione sociale per l’alleanza stabile e generativa dell’uomo e della donna è certamente una perdita per tutti. Dobbiamo riportare in onore il matrimonio e la famiglia!

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    10. Dal discorso del 24 aprile 2015 ai vescovi di Namibia e Lesotho:

    Siate generosi nel portare loro la tenerezza di Cristo laddove ci sono minacce alla vita umana, dal grembo materno all’età avanzata, e penso in modo particolare ai malati di HIV e di AIDS. […] Penso anche alle famiglie cristiane, frammentate a causa del lavoro lontano da casa, oppure della separazione o del divorzio. Vi esorto a continuare a offrire loro aiuto e guida. Preparate con nuova fermezza le coppie al matrimonio cristiano e sostenete costantemente le famiglie, offrendo con generosità i sacramenti della Chiesa, assicurando in modo particolare che il sacramento della misericordia sia largamente disponibile. Vi ringrazio per i vostri sforzi nel promuovere una sana vita familiare dinanzi alle visioni distorte che emergono nella società contemporanea.

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    11. Dal discorso del 27 aprile 2015 ai vescovi del Benin:

    So che la pastorale del matrimonio resta difficile, tenuto conto della situazione concreta, sociale e culturale, del vostro popolo. Bisogna però non scoraggiarsi, ma perseverare senza posa, poiché la famiglia che la Chiesa cattolica difende è una realtà voluta da Dio; è un dono di Dio che apporta, alle persone come anche alle società, la gioia, la pace, la stabilità, la felicità. La posta in gioco è importante, poiché, essendo la famiglia la cellula di base sia della società sia della Chiesa, è al suo interno che si trasmettono i valori umani ed evangelici autentici.

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    °

    12. Dall'udienza generale di mercoledì 29 aprile 2015:

    Oggi le persone che si sposano sono sempre di meno; questo è un fatto: i giovani non vogliono sposarsi. In molti paesi aumenta invece il numero delle separazioni, mentre diminuisce il numero dei figli. La difficoltà a restare assieme – sia come coppia, sia come famiglia – porta a rompere i legami con sempre maggiore frequenza e rapidità, e proprio i figli sono i primi a portarne le conseguenze. […]

    Se sperimenti fin da piccolo che il matrimonio è un legame “a tempo determinato”, inconsciamente per te sarà così. In effetti, molti giovani sono portati a rinunciare al progetto stesso di un legame irrevocabile e di una famiglia duratura. Credo che dobbiamo riflettere con grande serietà sul perché tanti giovani “non se la sentono” di sposarsi. C’è questa cultura del provvisorio… tutto è provvisorio, sembra che non ci sia qualcosa di definitivo. […]

    In realtà, quasi tutti gli uomini e le donne vorrebbero una sicurezza affettiva stabile, un matrimonio solido e una famiglia felice. La famiglia è in cima a tutti gli indici di gradimento fra i giovani; ma, per paura di sbagliare, molti non vogliono neppure pensarci; pur essendo cristiani, non pensano al matrimonio sacramentale, segno unico e irripetibile dell’alleanza, che diventa testimonianza della fede. Forse proprio questa paura di fallire è il più grande ostacolo ad accogliere la parola di Cristo, che promette la sua grazia all’unione coniugale e alla famiglia.

    La testimonianza più persuasiva della benedizione del matrimonio cristiano è la vita buona degli sposi cristiani e della famiglia. Non c’è modo migliore per dire la bellezza del sacramento! Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare.

    Per esempio, nei primi tempi del cristianesimo, questa grande dignità del legame tra l’uomo e la donna sconfisse un abuso ritenuto allora del tutto normale, ossia il diritto dei mariti di ripudiare le mogli, anche con i motivi più pretestuosi e umilianti. Il Vangelo della famiglia, il Vangelo che annuncia proprio questo sacramento ha sconfitto questa cultura di ripudio abituale.

    > Testo integrale

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    13. Dal discorso alle Comunità di Vita Cristiana del 30 aprile 2015

    Nel solco degli approfondimenti dell’ultimo sinodo dei vescovi vi incoraggio ad aiutare le comunità diocesane nell’attenzione per la famiglia, cellula vitale della società, e nell’accompagnamento al matrimonio dei fidanzati. Al tempo stesso, potete collaborare all’accoglienza dei cosiddetti “lontani”: tra di essi vi sono non pochi separati, che soffrono per il fallimento del loro progetto di vita coniugale, come pure altre situazioni di disagio familiare, che possono rendere faticoso anche il cammino di fede e di vita nella Chiesa.

    > Testo integrale

    *

    14. Dal discorso del 4 maggio alla Sig.ra Antje Jackelén, arcivescovo luterano di Uppsala:

    Di urgente attualità è la questione della dignità della vita umana, sempre da rispettare, come pure lo sono le tematiche attinenti alla famiglia, al matrimonio e alla sessualità che non possono essere taciute o ignorate per timore di mettere a repentaglio il consenso ecumenico già raggiunto. Sarebbe un peccato se in queste importanti questioni si consolidassero nuove differenze confessionali.

    > Testo integrale

    *

    15. Dall'udienza generale di mercoledì 6 maggio 2015:

    Dobbiamo interrogarci con serietà: accettiamo fino in fondo, noi stessi, come credenti e come pastori anche il legame indissolubile della storia di Cristo e della Chiesa con la storia del matrimonio e della famiglia umana? Siamo disposti ad assumerci seriamente questa responsabilità, cioè che ogni matrimonio va sulla strada dell’amore che Cristo ha con la Chiesa? […]

    La rotta è segnata per sempre, è la rotta dell’amore: si ama come ama Dio, per sempre. Cristo non cessa di prendersi cura della Chiesa: la ama sempre, la custodisce sempre, come se stesso. […] Ha ragione san Paolo: questo è proprio un “mistero grande”! Uomini e donne, coraggiosi abbastanza per portare questo tesoro nei “vasi di creta” della nostra umanità, sono – questi uomini e queste donne così coraggiosi – una risorsa essenziale per la Chiesa, anche per tutto il mondo! Dio li benedica mille volte per questo!

    > Testo integrale

    *

    16. Dal discorso del 9 maggio 2015 ai vescovi del Mozambico:

    Tra le funzioni della conferenza episcopale […] incoraggio un deciso sviluppo dei buoni rapporti con il governo, non di dipendenza, ma di sana collaborazione […], interessandosi in particolare alle leggi che vengono approvate in parlamento. Amati vescovi, non lesinate sforzi nel sostenere la famiglia e nel difendere la vita dal suo concepimento fino alla morte naturale. A tale proposito, ricordate le opzioni proprie di un discepolo di Cristo e la bellezza di essere una madre accompagnata dal sostegno della famiglia e della comunità locale. La famiglia sia sempre difesa come fonte privilegiata di fraternità, rispetto per gli altri e cammino primario della pace.

    > Testo integrale

    *

    17. Dal "Regina caeli" di domenica 10 maggio 2015:

    Saluto quanti hanno preso parte all’iniziativa per la vita svoltasi questa mattina a Roma: è importante collaborare insieme per difendere e promuovere la vita.

    > Testo integrale

    *

    18. Dal discorso dell'11 maggio 2015 ai vescovi del Togo:

    Il est important que les aspects positifs de la famille qui sont vécus en Afrique s’expriment et soient entendus. En particulier, la famille africaine est accueillante à la vie, elle respecte et prend en compte les personnes âgées. Cet héritage doit donc être conservé et servir d’exemple et d’encouragement pour les autres.

    Le sacrement de mariage est une réalité pastorale qui est bien accueillie chez vous, bien que des obstacles d’ordre culturel et légal subsistent encore, empêchant certains époux d’aller au terme de leur désir de fonder leur vie de couple sur la foi au Christ. Je vous encourage à persévérer dans vos efforts pour soutenir les familles dans leurs difficultés, notamment par l’éducation et les œuvres sociales, et préparer les couples aux engagements, exigeants mais magnifiques, du mariage chrétien.

    Le Togo n’est pas épargné des attaques idéologiques et médiatiques, aujourd’hui partout répandues, qui proposent des modèles d’union et de familles incompatibles avec la foi chrétienne.

    > Testo integrale


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    Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

    6.5.2015
    > Sinodo. I vescovi tedeschi mettono il carro davanti ai buoi
    Le risposte della conferenza episcopale al questionario presinodale descrivono ciò che in Germania si fa già: comunione ai divorziati risposati, tolleranza per le seconde nozze, approvazione delle unioni omosessuali

    1.5.2015
    > Sinodo. La proposta di una "terza via"
    Inflessibile contro il divorzio, misericordiosa con i peccatori. La suggerisce un teologo francese. È una nuova forma del sacramento della penitenza, sull'esempio della Chiesa antica

    28.4.2015
    > Contraccezione e aborto. Qual è il male maggiore
    La prima nega la vita a chi potrebbe nascere. Il secondo la toglie a chi è già vivo. Botta e risposta tra due teologi, su una questione che resta aperta alla libera discussione

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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 15/05/2015 20:58

    Mons. Oster rifiuta le richieste dello Zdk

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    Il vescovo di Passau in Germania è un giovane salesiano nominato in diocesi da Papa Francesco circa un anno fa. Con un lungo intervento pubblicato su Facebook risponde punto per punto alle richieste di “rinnovamento” che sono piovute su Roma dal Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK). Fra le “novità” avanzate dal comitato in vista del Sinodo ricordiamo quelle di poter benedire in chiesa le coppie omosessuali e le coppie divorziate risposate.

    A questo proposito mons. Stefan Oster, secondo quanto riporta Le Salon Beige, interviene sottolineando che il discorso dei “valori vissuti” o dei “segni dei tempi” non è sufficiente a rovesciare un insegnamento di 2000 anni che si basa sulla Rivelazione. “Gesù Cristo”, ricorda il vescovo, “non è un “valore”, ma la stessa Parola di Dio”.

    Lo scorso settembre mons. Oser aveva già pubblicato un testo contro quelli che oppongono abusivamente la legge alla misericordia, a volte citando indebitamente lo stesso Papa Francesco.

    Per queste sue posizioni pare che il vescovo di Passau sia divenuto oggetto di una serie di interventi indignati, alcuni dei quali pubblicati sul sito finanziato dalla Conferenza Episcopale tedesca, katholisch.de

    Nel frattempo i suoi confratelli vescovi, che non hanno fatto sentire la loro voce di fronte alle richieste “innovative” della Zdk, rimangono in un loquace silenzio.





    Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente Cei, e papa Francesco
     

    Dopo il Papa, anche la Cei va all'attacco contro l’ideologia gender, il divorzio breve e le unioni omosessuali. Il cardinale Angelo Bagnasco nel suo discorso di apertura all’assemblea generale ha pure ricordato il martirio dei cristiani: «Stare in silenzio davanti a questa carneficina», ha avvertito, «sarebbe diventarne conniventi». Infine, Bagnasco ha annunciato che il 3 ottobre la Chiesa promuoverà una veglia per il Sinodo della famiglia.

    di Matteo Matzuzzi

    Nel suo breve intervento di lunedì pomeriggio, in apertura della 68°Assemblea Generale della Conferenza episcopale italiana che si tiene nell'Aula Nuova del Sinodo fino a giovedì mattina, il Papa aveva esortato i vescovi, «come buoni pastori», a «uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l'identità e la dignità umana». Ieri mattina, è su questo punto che si è soffermata principalmente la ben più corposa Prolusione del cardinale Angelo Bagnasco (per il testo integrale clicca qui). 

    Dopo aver ricordato il cruciale appuntamento del prossimo novembre, quando a Firenze si terrà il Convegno ecclesiale decennale (“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” è il tema), e aver speso parole riguardo la catastrofe sismica in Nepal, l'arcivescovo di Genova ha preso spunto dalla riforma della scuola in discussione per dire «no a una scuola dell'indottrinamento e della colonizzazione ideologica». Auspicando un «sistema italiano della pubblica istruzione nel quale sia la scuola statale sia le scuole paritarie vengano riconosciute a pieno titolo pubblico servizio», Bagnasco ha ricordato che «tra le modifiche approvate in Commissione al testo in questione vi è quella che prevede l'insegnamento della parità di genere in tutti gli istituti». Nient'altro che «l'ennesimo esempio di quella che Papa Francesco ha definito “colonizzazione ideologica”». 

    Qui il presidente della Cei ha ricordato quanto il Pontefice disse nella conferenza stampa aerea diritorno dalle Filippine, lo scorso gennaio: «Entrano in un popolo con un'idea che non ha niente a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un'idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura». Il fatto è che «l'educazione di genere», ha chiosato Bagnasco, «mira in realtà ad introdurre nelle scuole quella teoria in base alla quale la femminilità e la mascolinità non sarebbero determinate fondamentalmente dal sesso, ma dalla cultura». Altro punto dolente è quello che il porporato ha definito «disegno di legge delle cosiddette unioni civili e delle convivenze». A tal proposito, il presidente della Cei ha spiegato che non si tratta di discutere «le scelte individuali delle singole persone», ma di ribadire «la dottrina della Chiesa circa le situazioni oggettive, viste non solo attraverso l'occhio della fede e della Rivelazione, ma anche con l'occhio della retta ragione e dell'esperienza universale». 

    Il problema del testo in discussione è che «ancora una volta conferma la configurazione delle unionicivili omosessuali in senso prematrimoniale. Tale palese equiparazione viene descritta senza usare la parola “matrimonio”, ma in modo inequivocabile», visto che s'afferma che «le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi”, “marito” e “moglie” si applicano anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso». E tale equiparazione, ha proseguito Bagnasco, «riguarda anche la possibilità di adozione, che per ora si limita all'eventuale figlio del partner», ma che in seguito «sarà estesa». E presto, ha aggiunto, «sarà legittimato il riscorro al cosiddetto utero in affitto, che sfrutta indegnamente le condizioni di bisogno della donna e riduce il bambino a mero oggetto di compravendita».

    Importante ribadire il «diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con papà e una mamma, capacidi creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva». A questo proposito, l'arcivescovo di Genova ha voluto riportare alla memoria il discorso che meno spazio ha avuto sui media dei tanti tenuti dal Papa nella sua visita a Napoli dello scorso marzo. Nel pomeriggio, sul lungomare partenopeo, Francesco infatti disse che «la cosiddetta teoria del genere è uno sbaglio della mente umana». Concetto ribadito meno di un mese dopo in udienza generale: s'era domandato, Bergoglio, «se la cosiddetta teoria del genere non sia anche una espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa confrontarsi con essa». 

    Nel mirino della prolusione di Bagnasco è finito anche il divorzio breve. «Si puntava sul divorziolampo e su questo si ritornerà non appena i venti saranno propizi». L'interrogativo da porsi – seppur a cose ormai fatte – è se «sopprimere un tempo più disteso per la riflessione, specialmente in presenza di figli», sia «proprio un bene». Anche qui, il rimando alle parole del Papa, che sempre in udienza generale ebbe a dire (solo poche settimane fa) che «quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso e troppo grande pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio».




    Cardinale Biffi: “Col ‘dialogo’ ad ogni costo i cattolici stanno preparando la propria estinzione”

     

    “Dobbiamo salvare l’identità della Nazione dall’annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà (…)
    Io non ho nessuna paura dell’Islam, ho paura della straordinaria imprevidenza dei responsabili della nostra vita pubblica. Ho paura dell’inconsistenza dei nostri opinionisti. (…)
    Sorprendente che gli opinionisti laici non si accorgano di questi pericoli. (…)
    Ho paura soprattutto dell’insipienza di molti cattolici. (…)
    I cristiani devono piantarla di dire che bisogna andare d’accordo con tutte le idee. (…)
    Il mio compito è di evangelizzare i musulmani. È un gravissimo errore rinunciare all’evangelizzazione. (…)

    “Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo che la storia ricordi. Tutta l’eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai ‘signori dell’opinione’, scalzata dalle coscienze specialmente giovanili. Di tale ostilità, a volta violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci né di aver troppa paura, dal momento che il Signore ce l’ha ripetutamente preannunciato: ‘Non meravigliatevi se il mondo vi odia’. Ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o vogliono prenderne atto. (…)

    “L’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la ‘cultura del niente’, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale.

    “Questa cultura del niente non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà. Solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.

    “Purtroppo né i ‘laici’ né i ‘cattolici’ pare si siano resi conto del dramma che si sta profilando. I ‘laici’, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità. I ‘cattolici’, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta, e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice ‘dialogo’ ad ogni costo, inconsciamente preparano la propria estinzione”.

    (Giacomo card. Biffi, Lettera pastorale “La città di S. Petronio nel terzo millennio”, ottobre 2000)


    cardinale SARAH: NON INGANNARE LA GENTE CON LA PAROLA «MISERICORDIA». DIO PERDONA I PECCATI, MA SE CI PENTIAMO

    Sarah: non ingannare la gente con la parola «misericordia». Dio perdona i peccati, ma se ci pentiamo

    di Matteo Matzuzzi

     

    «Se si considera l’eucarestia come un pasto da condividere, da cui nessuno può essere escluso, allora si perde il senso del Mistero».

    Così ha detto il cardinale Robert Sarah, da pochi mesi prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, intervenuto al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in occasione della presentazione della collana “Famiglia, lavori in corso”, una raccolta di saggi editi dalla casa editrice Cantagalli, in vista del prossimo Sinodo ordinario di ottobre. Una collana che ha l’obiettivo di stimolare il confronto e di toccare tutti i temi “caldi”: omosessualità, sessualità, divorzio, procreazione assistita, eutanasia, celibato.

    Tre volumi hanno aperto la collana, due dei quali scritti da docenti presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: “Eucaristia e divorzio: cambia la dottrina?” di José Granados (che è anche stato nominato consultore del Sinodo dei vescovi) e “Famiglie diverse: espressioni imperfette dello stesso ideale?” di Stephan Kampowski. Il terzo, “Cosa ne pensa Gesù dei divorziati risposati?” è opera di Luis Sanchez Navarro, ordinario di Nuovo Testamento alla Università San Damaso di Madrid. Il Foglio aveva anticipato ampi estratti dei libri dei professori Granados e Sanchez il 15 aprile scorso.

     
    «L’Occidente – ha detto Sarah rispondendo a braccio ad alcune domande che gli sono state poste dall'uditorio – si sta adeguando sulle proprie illusioni». Il problema di tutto, ha rimarcato più volte il porporato, di cui Il Foglio ha anticipato per l’Italia lo scorso 13 marzo un lungo estratto del libro “Dieu ou rien” uscito in Francia presso Fayard, è nella fede. «Se si pensa che anche nel rito del Battesimo non si menziona più la parola "fede", quando ai genitori viene domandato cosa si chiede per il bambino alla Chiesa di Dio, si comprende l’entità del problema», ha aggiunto il cardinale guineano, che ha anche biasimato il senso che viene dato oggi al Catechismo: «I bambini fanno disegni e non imparano nulla, non vanno a Messa».

    Quanto al Sinodo prossimo venturo, l’invito è a non farsi illusioni su cambiamenti epocali: «La gente crede che ci sarà una rivoluzione, ma non potrà essere così. Perché la dottrina non appartiene a qualcuno, ma è di Cristo». Dopo l'appuntamento dello scorso ottobre, ha osservato Sarah presentando i tre volumi, «fu chiaro che il vero fulcro non era e non è solo la questione dei divorziati risposati», bensì «se la dottrina della Chiesa sia da considerare un ideale irraggiungibile, irrealizzabile e necessitante quindi di un adattamento al ribasso  per essere proposta alla società odierna.
    Se così stanno le cose, si impone necessariamente una chiarificazione se il Vangelo sia una buona notizia per l'uomo o un fardello inutile e non più proponibile». La ricchezza del cattolicesimo – ha aggiunto – «non può essere svelata da considerazioni dettate da un certo pragmatismo e dal sentire comune. La Rivelazione indica all'umanità la via della pienezza e la felicità. Disconoscere questo dato significherebbe affermare la necessità di ripensare i fondamenti stessi dell'azione salvifica della Chiesa che si attua attraverso i sacramenti».

     
    Il problema è anche di quei «sacerdoti e vescovi» che contribuiscono con le loro parole a «contraddire la parola di Cristo» E questo, ha detto Sarah, «è gravissimo». Permettere a livello di diocesi particolari quel che ancora non è stato autorizzato dal Sinodo (il riferimento era alla prassi seguita in molte realtà dell’Europa centro-settentrionale) significa «profanare Cristo». Poco vale invocare la misericordia: «Inganniamo la gente parlando di misericordia senza sapere quel che vuol dire la parola. Il Signore perdona i peccati, ma se ci pentiamo». Le divisioni che si sono viste lo scorso ottobre, «sono tutte occidentali. In Africa siamo fermi, perché in quel continente c’è tanta gente che per la fede ha perso la vita».

    Un appello, il cardinale, l’ha anche lanciato contro chi – membro del clero – usa un linguaggio non corretto: «E’ sbagliato per la Chiesa usare il vocabolario delle Nazioni Unite. Noi abbiamo un nostro vocabolario». Una puntualizzazione, poi, l’ha voluta fare su una delle massime che vanno per la maggiore dal 2013, e cioè l’uscita in periferia. Proposito corretto, naturalmente, ma a una condizione: «È facile andare nelle periferie, ma dipende se lì portiamo Cristo.
    Oggi è più coraggioso stare con Cristo sulla croce, il martirio. Il nostro dovere è quello di andare controcorrente» rispetto alle mode del tempo, a «quel che dice il mondo». E poi, «se la Chiesa smette di dire il Vangelo, essa è finita. Può farlo con i modi d'oggi, ma con fermezza».  Infine, un appunto sul calo delle vocazioni sacerdotali nel mondo: «Il problema non è che ci sono pochi preti, quanto capire se quei preti sono davvero sacerdoti di Cristo».

     





    [Modificato da Caterina63 23/05/2015 00:17]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 28/05/2015 19:39

    Card. Parolin: nozze gay in Irlanda, sconfitta per l’umanità




    Il card, Pietro Parolin - RV

    27/05/2015

    Non solo una sconfitta dei principi cristiani, ma anche una sconfitta per l’umanità. Il segretario di Stato vaticano, il card. Parolin, ha definito in questo modo il risultato del referendum sulle nozze gay in Irlanda. Il cardinale è intervenuto ieri sera al premio per la Dottrina Sociale della Chiesa, bandito dalla Fondazione Centesimus Annus. Alessandro Guarasci da Radio Vaticana:

    La famiglia, fondata dall’unione tra due persone di sesso diverso, va sempre  tutelata.  Il cardinale Pietro Parolin:

    “Questi risultati mi hanno reso molto triste. Certo, come ha detto l’arcivescovo di Dublino, la Chiesa deve tenere conto di questa realtà, ma deve tenerne conto nel senso che, a mio parere, deve rafforzare proprio tutto il suo impegno e fare uno sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura. Ed io credo che non sia soltanto una sconfitta dei principi cristiani, ma un po’ una sconfitta dell’umanità”.


    Sulla vicenda dell'ambasciatore francese Laurent Stefanini, nominato dal governo Hollande ma che non ha ottenuto il gradimento dal Vaticano, tra Santa Sede e Francia "il dialogo è ancora aperto e speriamo che si possa concludere in maniera positiva". Lo ha detto il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, a margine di una cerimonia a Roma.


     




    Vescovi Australia: rispetto per i gay, ma non creare confusione sul matrimonio

    Mons. Denis Hart, presidente della Conferenza episcopale australiana - L'Osservatore Romano

    28/05/2015

    “Non creare confusione sul matrimonio”: si intitola così la lunga Lettera pastorale diffusa dalla Conferenza episcopale australiana (Acbc), per ribadire l’importanza del matrimonio tra uomo e donna. Articolato in 17 pagine, il documento -  spiegano i vescovi - nasce dal contesto attuale, in cui si riscontrano “tante discussioni sul significato del matrimonio” e si definisce “una discriminazione” non permettere le nozze omosessuali. Per questo, ribadiscono i presuli, è importante fare chiarezza.

    Sbagliato chiedere equiparazione del matrimonio omosessuale
    La Lettera pastorale parte da un principio essenziale: “il rispetto per tutti”, per ogni essere umano, in quanto creatura di Dio. Le persone omosessuali, quindi, “vanno trattate con rispetto, sensibilità, amore” e “nessuna ingiusta discriminazione, basata su sesso, religione, razza o età” può trovare la Chiesa d’accordo. Tuttavia, chiedere di equiparare il matrimonio omosessuale a quello tra uomo e donna “è sbagliato”, spiega la Chiesa di Sydney, perché si tratta di due cose diverse. “L’unione tra uomo e donna – infatti – è differente da altri tipi di unione: essa è un’istituzione designata a sostenere persone di sesso opposto nella fedeltà reciproca e nei confronti dei figli”. Perciò, “non è una discriminazione” riservare il matrimonio solo a questo tipo di unioni.

    Matrimonio non è mero legame emotivo, ma unione onnicomprensiva
    Al contrario, sottolineano i vescovi australiani, “è ingiusto, molto ingiusto, legittimare la falsa affermazione che non c’è distinzione tra un uomo o una donna, un padre o una madre; è ingiusto ignorare i valori peculiari portati avanti dal vero matrimonio; è ingiusto non riconoscere l’importanza, per i bambini, di avere una mamma ed un papà; è ingiusto cambiare, in retrospettiva, le basi sulle quali si sono sposate le persone in passato”. L’Acbc evidenzia, quindi, un punto importante: il matrimonio non è un mero “legame emotivo”, bensì “un’unione onnicomprensiva, finalizzata non solo al benessere dei coniugi, ma anche alla procreazione ed al benessere dei figli”. Soprattutto, prosegue la lettera, “ciò che permette che questo tipo speciale di unione tra un uomo ed una donna diventi un matrimonio è proprio la differenza e la complementarietà tra i coniugi”, il loro completarsi a vicenda. Per questo, affermano i vescovi australiani, “le relazioni tra persone dello stesso sesso sono una cosa molto diversa e considerarle alla stregua di un matrimonio significa ignorare i particolari peculiari che esso ha”.

    La famiglia provvede alla stabilità sociale
    “Bene fondamentale, caposaldo dell’esistenza umana, benedizione di Dio”, il matrimonio è al centro dell’attenzione della Chiesa cattolica perché esso è “il fondamento di una nuova famiglia ed ogni famiglia basata sul matrimonio è una cellula basilare della società”. Non solo: i vescovi australiani ricordano che “le famiglie provvedono anche alla stabilità sociale, creando amore e comunione, accogliendo la vita, curando i deboli, i malati e gli anziani”. Ed è proprio riconoscendo tale “ruolo cruciale per la crescita della comunità” che i governi riconoscono e regolamentano il matrimonio tra uomo e donna, mentre, ad esempio, non si occupano dei rapporti di amicizia tra le persone.

    Tutelare il diritto dei bambini ad avere un padre ed una madre
    Ma c’è anche un altro significato del matrimonio da non dimenticare, aggiungono i vescovi: quello religioso. Le nozze sono “un sacramento” di cui “Dio è l’autore”, e quindi “la Chiesa afferma che il matrimonio è un’istituzione non solo naturale, ma anche sacra”. Poi, l’Acbc richiama la necessità di “rispettare la dignità dei bambini”, ovvero “il loro naturale bisogno e diritto ad avere una madre ed un padre”, tanto che “numerosi studi affermano che l’assenza di un papà e di una mamma impedisce lo sviluppo dei minori”. In questo senso, “non creare confusione sul matrimonio significa anche non creare confusione nei bambini”, perché “ciò sarebbe gravemente ingiusto”, Tutto ciò, naturalmente, aggiunge la Lettera, non riguarda le famiglie monoparentali non intenzionali che, anzi, la Chiesa “cerca di aiutare nella loro eroica risposta ai bisogni dei figli”. 

    Legittimare matrimonio omosessuale può aprire alla poligamia
    I presuli australiani elencano, poi, dettagliatamente, numerosi esempi di violazione della libertà di coscienza e di credo, come quello di sacerdoti minacciati per aver difeso il matrimonio tradizionale. Senza tralasciare – si legge ancora nel testo - che “permettere i matrimonio omosessuali apre la strada alla legittimazione della poligamia, come già avvenuto in Brasile”.

    Matrimonio non è un’etichetta, ma espressione del piano di Dio per umanità
    La Lettera pastorale si chiude con un appello: “È tempo di agire – scrive la Chiesa di Sydney – perché il matrimonio non è semplicemente un’etichetta che può essere attaccata, di volta in volta, su diversi tipi di relazione, a seconda della moda del momento”. Esso ha, invece, “un significato intrinseco, naturale, antecedente alla legislazione statale” che “riflette il piano di Dio per l’umanità, la crescita personale di ciascuno, dei bambini e della società”. Di qui, l’invito “a tutte le persone di buona volontà a pregare ed a raddoppiare gli sforzi per sostenere il matrimonio” tradizionale, anche grazie alla testimonianza di coppie sposate. (A cura di Isabella Piro)



     
     

     
     
     
     
     
     
    MARCO TOSATTI
    28/05/2015
     

    Varie fonti mi riportano esempi di franchezza incoraggianti accaduti durante l’Assemblea della Cei, sia durante l’incontro a porte chiuse del Papa con i vescovi sia in seguito. E’ noto quanto papa Francesco si sia espresso contro il clima da corte rinascimentale che corre sempre il rischio di riprodursi all’interno delle organizzazioni focalizzate su una singola figura carismatica, e in cui uno stuolo di cortigiani approvano sempre e comunque detti e fatti del Capo, una mancanza di sincerità che non gli è di aiuto. E infatti papa Francesco ha esortato il vescovo autore dell’intervento che succintamente riportiamo più sotto a continuare a parlare con franchezza, senza timidezze. Il presule è titolare di una diocesi che nel passato ha sofferto per una catastrofe naturale.  

    Nel suo intervento, che riportiamo con parole nostre, sostanzialmente ha affermato che l’immagine mediatica del Papa è talmente preponderante da cancellare in pratica il ruolo della Chiesa locale. E in temi difficili, come la questione dei padrini e delle madrine di battesimo, sembra che il Papa sia buono e il vescovo, che cerca di far rispettare le regole stabilite dalla Chiesa, cattivo. Così quando si dice agli interessati: la Chiesa dice che dobbiamo fare così, non possiamo interpretare, quelli rispondono: ma il Papa…  

    Ha poi messo in guardia il Pontefice dalle strumentalizzazioni; troppo spesso si sente dire: il teologo del Papa, il portavoce del Papa, uno che è vicino al Papa. C’è il pericolo, ha detto, che si servano di Lei.  

    Il Papa, ha poi fatto notare, è spontaneo, istintivo. Una dote bellissima, ma il vescovo, scusandosi per osare dare un consiglio, ha detto che certe espressioni spontanee possono costituire motivo di sofferenza. Per esempio, quella data nell’intervista a Valentina Alazraki, sulla sensazione che il suo regno sarà breve. Ma sa come l’ha interpretata la gente? ha chiesto il presule. Che la uccideranno, ma non sarà l’Isis a farlo, ma la Curia romana. Non è bello! 

    Infine una richiesta di carattere diocesano. Sappiamo – ha detto il presule – che il Papa ha ricevuto a Santa Marta questa persone e quell’altra. Da anni ho chiesto udienza per essere ricevuto con i miei preti, che hanno lavorato e lavorano per sostenere la gente dopo il disastro. Ma ancora non c'è stata data la possibilità di concelebrare con il Papa; e credo che questi parroci ne avrebbero diritto. 

    Questo intervento è stato ripreso il giorno successivo da un altro presule, che rimarcando l’assenza di una risposta su problemi precisi, ha chiesto che il Papa si renda conto della necessità di formulare i suoi interventi in maniera precisa e articolata, dal momento che esiste tutto un magistero precedente e che la Chiesa ha una lunga storia e esperienza precedente.




    DOTTRINA
    Mons. Pennisi
     

    Di fronte al risultato in Irlanda e al plauso unanime dei media laicisti, c'è pur sempre mons. Pennisi che va controcorrente e ha il coraggio di dire che se la maggioranza esprime un parere contrario alla Chiesa, la Chiesa deve ricominciare a motivare le proprie convinzioni. Senza piegarsi alla tirannia della maggioranza.

    di Robi Ronza

    “Se la maggioranza della popolazione esprime un parere contrario a ciò che la Chiesa suggerisce e pensa ciò significa che maggiore deve essere lo sforzo educativo da parte della stessa Chiesa, che deve essere capace di motivare sempre le proprie convinzioni”: non si può che essere confortati da queste chiare parole dell’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, intervistato da la Repubblica nella sua veste di segretario della Cei per l’Educazione. Non senza aggiungere un plauso a la Repubblica che una volta tanto ha fatto del buon giornalismo applicando il principio audietur et altera pars (si ascolti anche l’altra campana).

    Alle parole di mons. Pennisi hanno poi fatto seguito quelle del segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, che ha efficacemente definito “una sconfitta per l’umanità” l’esito del referendum irlandese: un giudizio divenuto titolo in diversi quotidiani sia italiani che di altri Paesi tra cui ovviamente l’Irlanda. Finalmente insomma si comincia a contrastare la campagna avviata dell’“internazionale” dei circoli neo-illuministi dell’Occidente che stanno pretendendo di imporre ipso facto come evento atteso e sperato in tutto il mondo qualcosa che invece tra l’altro ha sin qui trovato eco quasi soltanto nei Paesi nord-atlantici, ossia nell’Europa occidentale (Portogallo, Spagna, Francia, Benelux, Paesi scandinavi) e in parte del Nordamerica (Canada e 34 stati membri degli Usa). Al di là dell’area nord-atlantica si contano ancora il Brasile, l’Argentina, il Sudafrica e la Nuova Zelanda. In un altro Paese nordatlantico, appunto l’Irlanda, la sua introduzione è a questo punto imminente. Infine in Slovenia, Colombia e Australia se ne sta discutendo. Viceversa nell’Europa orientale, nell’intera Asia e in quasi tutta l’Africa non se ne parla. Non siamo affatto insomma a quella specie di “marcia dell’Aida” che ogni giorno ci viene raccontata.

    Fermo restando che finora la democrazia continua a essere il migliore dei sistemi politici possibili, resta altrettanto fermo che il consenso dei più in ogni momento dato non è di grande aiuto per quanto concerne la definizione dei valori o più precisamente la ricerca della verità. Nel mondo antico la schiavitù godeva di un consenso generale anche nei paesi più avanzati dell’epoca. Seppur arrampicandosi sui vetri, perfino un genio come Aristotele la giustificava. Se dunque allora ci fosse stato il suffragio universale, la schiavitù sarebbe uscita vincitrice da qualsiasi referendum. 

    Tanto più considerando che la Chiesa è l’ultima grande organizzazione internazionale ancora schierata a tutela della ragione e della natura, nel mondo in cui siamo la strada è quella indicata da mons. Pennisi: la Chiesa deve tornare ad educare, i cristiani devono dire le ragioni della loro fede, esprimere senza complessi la loro cultura e dare testimonianza dell’intensità di vita che caratterizza un’esperienza di fede autentica.

    Dal momento che la cultura laica dominante è spesso settaria, da ciò consegue che l’esperienza cristiana finisce per essere oggetto di continua disinformazione. In qualche caso sarà magari anche in buona fede, per ignoranza, ma disinformazione resta. Facciamo ad esempio il caso dell’edizione di ieri del quotidiano torineseLa Stampa. Sulla sua prima pagina iniziava un commento di Ferdinando Camon, dal titolo “Era una colpa, diventa un diritto”. Il commento si apriva con queste parole: “La vittoria del sì al referendum irlandese sulle nozze gay significa che nella cultura cattolica l’omosessualità non è più la colpa mostruosa che era fino a un papa fa”. Leggendo questa frase uno si domanda: come può uno scrittore, che si presuppone sia una persona colta, scrivere una stupidaggine del genere? Quando mai, “fino a un papa fa”, essere omosessuali era una “colpa mostruosa”? Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato da Giovanni Paolo II nel 1992, dove all’omosessualità sono dedicati i punti 2357-2359, mentre se ne dà un chiaro giudizio si legge tuttavia che gli omosessuali “devono essere accolti con rispetto, compassione e delicatezza”.

    Non ci soffermiamo qui in dettaglio sui contenuti di tali punti, peraltro oggi accessibili a chiunque grazie a Internet, ma non possiamo non domandarci con quale faccia un intellettuale, un professionista della comunicazione come Camon possa rendersi responsabile di una disinformazione del genere. Lo scrittore prosegue poi con una valanga di luoghi comuni di sapore volteriano fino a dire che finora nella Chiesa gli omosessuali non venivano “mai assolti, nemmeno se pentiti”. Per fortuna dunque l’Irlanda ci ha adesso liberato da tanto abominio. Forse per una presunta solidarietà di categoria, Camon si sofferma quindi sui “grandi intellettuali” che hanno vissuto questo dramma. In proposito cita tra l’altro Giovanni Testori che “è passato di là, ha abbracciato la Chiesa e ha maledetto se stesso”. In questo caso, avendo conosciuto di persona Giovanni Testori, sono testimone diretto del fatto che affermare una cosa del genere significa non sapere nulla e non aver capito nulla di lui.

    Sulla prima pagina de La Stampa di ieri non c’era però soltanto la testimonianza di ignoranza colpevole di cui sopra. C’era anche un “Buongiorno” di Massimo Gramellini a modo suo esemplare come documento della natura autoritaria del pensiero illuminato. Oggetto del commento era il giudizio del cardinale Parolin di cui si diceva più sopra. Secondo Gramellini, la Chiesa “a rigor di logica dovrebbe limitarsi a parlare di sconfitta dei propri valori. Non deplorare una sconfitta dell’umanità. A meno di far coincidere i precetti stilati nel corso dei secoli da una comunità religiosa (…) con la natura profonda e insondabile dell’animo umano”. In altre parole Massimo Gramellini ha diritto di dire che cosa è umano e che cosa non lo è; la Chiesa invece no. 

    Come allora non dare ragione e sostegno all’appello di mons. Pennisi? Già solo per rendere impensabili disinformazioni e irragionevoli presunzioni del genere ci attende un lavoro ciclopico.






    [Modificato da Caterina63 29/05/2015 17:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 01/06/2015 09:32
    IL DIAVOLO FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI   
    ecco la lista di chi - A PORTE CHIUSE - TRAMA CONTRO LA CHIESA DI CRISTO.....
    facciano pure i loro minestroni, che tanto risulteranno vomitevoli e prima o poi bolliranno soffiati dal fuoco infernale, uscendo dalla pentola....

    http://sinodo2015.lanuovabq.it/i-partecipanti-alla-riunione-a-porte-chiuse-alla-gregoriana/  
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    partecipanti alla riunione a porte chiuse alla Gregoriana

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    Il vaticanista Edward Pentin ha pubblicato sul National Catholic Register la lista dei partecipanti all’incontro che si è svolto a porte chiuse nei locali della Pontificia Università Gregoriana. Si tratta, come già documentato dalla Nuova Bussola Quotidiana (vedi QUI e QUI), dell’incontro promosso da tre conferenze episcopali (tedesca, svizzera e francese) in vista del prossimo sinodo. L’incontro si proponeva di indagare le strade per nuove vie “pastorali” in materia di matrimonio e famiglia. Di seguito l’elenco dei partecipanti pubblicato su NCR:

    VESCOVI:

    Card. Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale di Germania, Arcivescovo di Monaco-Frisinga

    Arcivescovo Georges Pontier, presidente della Conferenza episcopale di Francia, vescovo di Marsiglia

    Mons. Markus Büchel, presidente della Conferenza episcopale di Svizzera, Vescovo di St. Gallen

    Mons. Franz-Josef Bode, Vescovo di Osnabrück, Germania

    Mons. Heiner Koch, Vescovo di Dresden-Meißen, Germania

    Mons. Felix Gmür, Vescovo di Basel, Svizzera

    Mons. Jean-Marie Lovey, Vescovo di Sitten, Svizzera

    Mons. Bruno Ann-Marie Feillet, vescovo di Reims, Francia

    Mons. Jean-Luc Brunin, vescovo di Le Havre, Francia

    PROFESSORI/SACERDOTI:

    P. Hans Langendörfer SJ, segretario generale, Conferenza episcopale di Germania

    P. Hans Zollner SJ, professore di psicologia, vice-rettore della Pontificia Università Gregoriana

    P. Achim Buckenmaier, professore di teologia dogmatica presso un istituto della Pontifica Università Lateranense; consultore al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

    P. Andreas R. Batlogg SJ, professore di filosofia e teologia, editore della rivista  Stimmen der Zeit

    P. Alain Thomasset SJ, professore di teologia morale al Centre Sèvres, France

    P. Humberto Miguel Yañez SJ, Pontificia Università Gregoriana

    P. Eberhard Schockenhoff, professore di teologia morale presso Albert-Ludwigs-Universität Freiburg, Germania

    P. Philippe Bordeyne, professore di teologia, Institut Catholique de Paris

    Professor Thomas Söding, professore di teologia biblica presso Ruhr-Universität Bochum, Germania

    Professor Werner G. Jeanrond, teologo, Master of St Benet’s Hall, Oxford, England

    Professor François Xavier Amherdt, teologo, University of Fribourg, Switzerland

    Professor Erwin Dirscherl, teologo dogmatico, University of Regensburg, Germany

    Professor Monique Baujard, direttore del Service National Famille et Société della Conferenza episcopale francese

    Professor Eva Maria Faber, teologa e rettore del Chur Theological College, Svizzera

    Professor Thierry Collaud, teologo, University of Fribourg, Svizzera

    Professor Francine Charoy, professore di teologia morale presso Institut Catholique de Paris

    Professor Anne-Marie Pelletier, biblista presso European Institute of Science of Religions (IESR)

    ALTRI:

    Msgr. Markus Graulich SDB, prelato auditore al tribunale della Rota Romana

    Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di S. Egidio of Sant’Egidio

    MEDIA:

    Simon Hehli, giornalista, Neue Zürcher Zeitung

    Tilmann Kleinjung, corrispondente TV ARD

    Michael Bewerunge, corrispondente TV ZDF

    Jörg Bremer, Frankfurter Allgemeine Zeitung, corrispondente dal Vaticano e Italia

    Frédéric Mounier, corrispondente quotidiano La Croix, Francia

    Marco Ansaldo, giornalista de La Repubblica, Italia

    Antoine-Marie Izoard, direttore di, I-Media, Agenzia cattolica francese a Roma

    Father Bernd Hagenkord SJ, direttore Radio Vaticana edizioni tedesca




    MA MOLTI ALTRI VESCOVI E CARDINALI LAVORANO ALLO SCOPERTO PER LA VERITAS



    VESCOVO DI TORINO
    L'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia
     

    L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, scende in campo contro il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. Lo fa con un’intervista concessa al settimanale diocesano di Torino La Voce del Popolo che sarà pubblicata domani. Inaccettabile che si voglia equiparare il matrimonio tra uomo e donna con l’unione gay. 

    di Massimo Introvigne

     domenica 31 maggio 2015.

    A proposito del referendum irlandese, Nosiglia rileva che sbagliava chi pensava che «il popolo d’Irlanda fosse uno dei più cattolici in Europa». In realtà per l’Irlanda «questa qualifica di “cattolico” non regge alla prova dei fatti». Si deve parlare piuttosto di una «appartenenza debole alla fede cattolica», rispetto a cui sono prevalse «la cultura dell’individualismo e la martellante propaganda dei mass-media, tutti orientati al sì ai matrimoni omosessuali». Ma in fondo, ragiona il presule, lo avevamo già visto in Italia nei vecchi referendum su divorzio e aborto. «Molti, che pure si dichiarano cattolici, hanno ormai acquisito nella loro mentalità e costume di vita una netta separazione tra vita privata e vita pubblica, per cui la sfera dell’appartenenza religiosa è vissuta come una scelta individuale. Si ragiona così: “Io sono cattolico e credo nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ma se un altro la pensa diversamente, è giusto che lo Stato laico gli offra la possibilità di soddisfare i suoi desideri garantendogli uguali diritti”».

    Questo ragionamento presentato come di buon senso, è però sbagliato e contrario alla“ragionevolezza” autentica. Infatti, argomenta Nosiglia, «considerare il matrimonio un fatto privato impedisce di coglierne il valore umano, naturale e sociale che esso ha, prima ancora che religioso o conseguente a una scelta dei singoli. In questo modo la vita comune, elemento insostituibile della convivenza sociale, si riduce alla somma di tanti individui separati l’uno dall’altro e autoreferenziali. Il compito dello Stato diventa quello di promulgare leggi che si limitano a riconoscere ogni scelta individuale o di gruppo invece di sostenere soprattutto quelle che contribuiscono a promuovere in modo determinante i valori comuni ritenuti essenziali per la l’intera società». Non si dovrebbe mai dimenticare che «l’attuale forma di matrimonio e di famiglia, mediante la procreazione e l’educazione dei figli che rappresentano il tesoro più prezioso di un Paese, garantisce il suo stesso futuro».

    L’Italia deve seguire l’Irlanda? Lo afferma, rileva l’arcivescovo, «una martellante propagandastrumentale che si avvale di ogni circostanza favorevole per cercare di avallare le proprie idee, sottolineando il fatto che ormai sono poche le nazioni occidentali che non hanno ancora attivato una legislazione sui matrimoni omosessuali». L’Italia però ha una Costituzione che all’articolo 29 definisce la famiglia «società naturale fondata sul matrimonio», e che la famiglia di cui parla la carta costituzionale sia quella «uomo, donna e figli» sembra ovvio all’arcivescovo di Torino. Nosiglia non è contrario a che la legge, anche in Italia, ribadisca certi «diritti ritenuti essenziali a garanzia di ogni persona omosessuale e le sue concrete necessità». Ma non è questa, precisa subito, «l’impostazione» del disegno di legge Cirinnà, che «tende a equiparare il matrimonio tra uomo e donna con l’unione omosessuale, a parte il discorso delle adozioni. L’articolo 3 infatti è chiarissimo perché afferma che tutte le leggi e norme che sono presenti nel Codice Civile relative al matrimonio eterosessuale vanno attribuite e applicate anche per l’unione omosessuale. Di fatto dunque solo nominalmente tale unione non viene chiamata matrimonio».

    Della Cirinnà al presule non piace neanche il «secondo titolo che riguarda le convivenze che in uncerto senso è addirittura più estensivo del precedente, perché riconosce ai conviventi molti dei diritti propri del matrimonio, senza però chiedere adeguati doveri da assumersi da parte di soggetti che peraltro non hanno scelto di regolare comunque la propria unione. In questo modo si depotenzia del tutto lo stesso matrimonio sia civile che religioso, con gravi conseguenze di allontanare sempre più i giovani da un istituto che è sempre stato e non può non restare un architrave fondamentale della nostra società».

    Forse con riferimento anche alle aggressioni contro le Sentinelle in piedi, di cui l’Arcidiocesi di Torinoaveva annunciato la veglia sul proprio sito ufficiale, Nosiglia nota che oggi «chi propugna una visione di matrimonio e famiglia costituzionale e tradizionale viene perfino impedito di dichiararlo con l’accusa di perseguire vie di discriminazione verso chi la pensa diversamente». E ammonisce senza mezzi termini «i politici che dovranno decidere in merito e si riconoscono nei principi cristiani, a mostrarsi coerenti con essi, anche in questa particolare circostanza in cui si richiede coraggio, unità e impegno responsabile». L’arcivescovo raccomanda «alle nostre comunità e a tutte le componenti cattoliche, le famiglie in primo luogo, le associazioni e movimenti laicali, di seguire con attenzione l’evolversi della situazione per conoscere bene quanto sta avvenendo al riguardo in Parlamento, con le molteplici posizioni dei vari senatori e deputati coinvolti». Non si tratta di mere minacce elettorali, ma di una doverosa resistenza «alla cultura e mentalità dominante, che escludono ogni visione di matrimonio e famiglia diversa da quella imposta dalla dittatura dell’individualismo e del “politicamente corretto”».

    Questa dittatura non deve però farci paura. «All’inizio del cristianesimo», conclude Nosiglia, «la Chiesa si è trovata di fronte a situazioni molto simili a quella che oggi vengono propagandate come conquiste moderne (in realtà sono molto vecchie perché già ampiamente vissute nel mondo pagano) e le ha affrontate con l’annuncio del Vangelo del matrimonio e con la testimonianza delle coppie cristiane che subivano anche rifiuti e persecuzioni». È quanto i credenti sono chiamati a fare anche oggi.





    ma ci sono anche buoni cardinali e vescovi... grazie a Dio, ascoltiamoli! Ascoltiamo loro!


     

    La Chiesa come strada per incontrare Cristo oggi, manifestare il Regno di Dio nel mondo, opere di carità con una chiara identità cattolica, riconoscimento dei propri peccati per godere della Misericordia. Così l'arcivescovo di Washington prova a chiarire le idee.

    di Lorenzo Bertocchi

    Oggi ci chiediamo spesso cosa significhi essere cattolici. La questione se l’è posta anche il cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington. Ne è venuta fuori una lettera pastorale, interessante anche di qua dall’Atlantico.

    In primis ci ricorda cosa non è la Chiesa. “Non è un negozio, un club, o un gruppo di interesse”, scrive il cardinale, deludendo subito le attese dei tanti che la vedono solo come una lobby qualsiasi. “La Chiesa non è il risultato di persone con idee affini che si uniscono e decidono di formare una organizzazione, né decidono il suo insegnamento per voto popolare o tendenze sociali”.

    “La sua struttura gerarchica”, e qui sfida un pregiudizio duro a morire, “procede da Gesù, quando annunciò “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16, 18). Nell’Una, Santa, Cattolica e Apostolica, c’è il dono inestimabile dei sette sacramenti, canali di grazia troppo spesso dimenticati e sviliti. “Essere cattolici”, si legge nella lettera, “significa riconoscere il ruolo della Chiesa come il vero strumento creato e dato a noi da Gesù perché la sua opera, compiuta con la sua morte e Resurrezione, possa essere riattualizzata oggi e applicata a noi.”

    Essere cattolici non è un fatto privato, ma ci chiama ad andare fuori, “verso le periferie” direbbe il Papa.
    Si tratta di edificare il Regno di Cristo, quella regalità sociale di Nostro Signore che non è appannaggio di qualche etichetta, ma un’esigenza cattolica. “Siamo chiamati a manifestare il Regno di Dio”, scrive Wuerl, “non solo dentro le nostre chiese, ma nel mondo, edificando il bene comune. Quando corrispondiamo alla grazia di Dio, stiamo estendendo il regno, siamo nella condizione di essere immagine di Cristo per tutti quelli che incontriamo”.
    Tertulliano nella sua opera “Apologeticum” (sec. II) ricorda che i primi cristiani si distinguevano per una carità fuori dal comune: orfani, indigenti, donne, bambini, anziani, malati, tutti erano amati per il semplice fatto di essere persone. Un fuoco che divora, un amore che si mostra nell’azione. Love in action, dicono negli States, e a ben vedere questa è la missione permanente che vuole Papa Francesco per la sua Chiesa in uscita: una carità capace di instaurare il Regno. “La parola di Dio, i sacramenti e le nostre opere di carità”, esorta il cardinale di Washington, “possono trasformare i nostri cuori e ispirarci a cambiare il mondo”. 

    Tutto questo richiede però che sia custodita una vera identità cattolica, e per questo il cardinale indica la strada.
    “Quando andiamo nelle istituzioni della chiesa - parrocchie, scuole, università, organizzazioni caritative, centri sanitari e altri - questi dovrebbero riflettere una vera e propria identità cattolica, in comunione visibile con la Chiesa sia universale, che locale, e fedeltà alla dottrina cattolica”.
    Il problema in effetti c’è, perché capita non di rado che queste istituzioni svolgano la loro azione in aperto contrasto con ciò che la Chiesa propone di credere.
    A questo si aggiunga il fatto che molte legislazioni nel mondo rendono sempre più difficile poter svolgere un insegnamento e una opera veramente cristiana, soprattutto in materia bioetica. Per questo il cardinale Wuerl ricorda che “chiediamo e insistiamo sulla libertà di presentare e dimostrare pubblicamente la nostra fede nelle nostre scuole cattoliche e istituzioni basate sulla fede”.

    In vista dell’anno giubilare della Misericordia non poteva mancare un riferimento. Innanzitutto ci viene ricordata una verità semplice, semplice. “E’ inevitabile che pecchiamo”, cioè il fatto che abbiamo bisogno del Medico, che non è venuto per i sani, ma per i malati. “Ma i nostri fallimenti morali”, avverte subito Wuerl, “non devono oscurare la nostra fede nella verità degli insegnamenti di Cristo”.
    Poi aggiunge un ricordo personale.
    “Quando ero un giovane sacerdote nella decade tra il 1960 e il 1970, c'era molta sperimentazione e confusione nella Chiesa. Gli insegnanti e il clero sono stati incoraggiati da alcuni a comunicare l'esperienza dell'amore di Dio, ma senza riferimento al Credo, ai sacramenti, o la tradizione della Chiesa. Non ha funzionato molto bene. I cattolici sono cresciuti con l'impressione che il nostro patrimonio fosse poco più che un sentimento vagamente positivo su Dio”.

    “Quegli anni di sperimentazione”, chiude Wuerl, “hanno lasciato molti spiritualmente e intellettualmente deboli, e incapaci di resistere allo tsunami di laicità che si è verificato negli ultimi decenni. Abbiamo perso molte persone, perché non siamo riusciti a insegnare sul bene e il male, il bene comune, la natura della persona umana. Questo ha lasciato molti senza la possibilità di ammettere che siamo peccatori, che abbiamo bisogno di Gesù, perché molti non sanno più che cosa è il peccato”. E non ci può essere misericordia senza riconoscere il proprio peccato.





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    Gli attacchi alla famiglia e il suicidio dell’umanità

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    Deciso intervento del Vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi a difesa del matrimonio e della famiglia nell’omelia a Monte Grisa di domenica 31 maggio. I governi non possono negare ai bambini il diritto di crescere con una mamma e un papà..

    Notevole intervento dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi pronunciato domenica scorsa 31 maggio al santuario mariano di Monte Grisa (Trieste). Il Vescovo ha celebrato l’Eucarestia e guidato la recita del Santo Rosario in occasione della chiusura del Mese di Maggio e della conclusione della Peregrinatio Mariae. Quest’ultima è consistita nella preregrinazione nei decanati diocesani e nelle parrocchie della statua lignea della Madonna della Salute conservata nel santuario triestino di Santa Maria Maggiore.

    Durante l’omelia della Santa Messa, l’Arcivescovo ha parlato anche dalla difesa della famiglia che – così ha detto – «rappresenta una ineludibile frontiera per progettare il futuro dell’umanità». Il vescovo ha ben presente «gli attacchi al matrimonio come unione di un uomo e una donna», ma ha detto che essi «rappresentano una sorta di suicidio dell’umanità». Il Vescovo ha riparlato di “natura”, escludendo che il matrimonio tra un uomo e una donna «sia soltanto un prodotto culturale o sociale, un “dono” di un governo o la costruzione dell’uomo».

    Lo Stato, forte magari di maggioranze parlamentari, vuole oggi sovvertire la responsabilità dei genitori nella educazione dei figli e il diritto dei figli di avere una mamma e un papà. A questo proposito l’Arcivescovo ha ricordato che nella fede cristiana l’elemento naturale del matrimonio e della famiglia non è negato, ma elevato a sacramento per cui l’indissolubilità è «qualcosa a cui credere, un dono da coltivare».

    Le decise parole dell’Arcivescovo sono state indirizzare a tutti i fedeli. Non è però fuori luogo fare riferimento anche alle recenti prese di posizione del Sindaco di Trieste Cosolini di registrare due matrimoni omosessuali contratti all’estero. A questo riguardo le parole del Vescovo suonano di chiaro rifiuto. Non è nemmeno fuori luogo riferirsi ai politici cattolici triestini che, nonostante questi insegnamenti, appoggiamo simili politiche anti familiari.

    Riportiamo qui sotto il testo integrale del passaggio dell’omelia:

     

    «Carissimi fratelli e sorelle, in questa devota celebrazione conclusiva della Peregrinatio Mariae vogliamo pregare la Madonna per la famiglia.
    Al giorno d’oggi, la difesa della famiglia e dell’unione coniugale rappresenta una ineludibile frontiera per progettare il futuro dell’umanità, perché gli attacchi al matrimonio come unione di un uomo e una donna rappresentano una sorta di suicidio dell’umanità stessa, soprattutto nei nostri paesi occidentali.
    Dal punto di vista cristiano è erroneo affermare che la relazione fondamentale tra uomo e donna sia soltanto un prodotto culturale o sociale, un “dono” di un governo o la costruzione dell’uomo. Anche i bambini non sono un prodotto della società o dello stato.
    I governi non possono soppiantare la primordiale responsabilità dei genitori per i loro figli, né possono negare ai bambini il diritto di crescere con una mamma e un papà.
    In Cristo lo stato naturale del matrimonio, il naturale legame tra un uomo e una donna uniti in matrimonio, è elevato a sacramento, a segno e strumento della Sua grazia e della Sua stessa relazione con la Chiesa. Questa grazia è azione di misericordia, è il sigillo del vincolo coniugale. Qualcosa a cui credere, un dono da coltivare.
    L’indissolubilità è grazia e non un problema per il quale è necessario trovare eccezioni».


     



    [Modificato da Caterina63 06/06/2015 10:51]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 05/06/2015 10:25
       e i Media con vaticaninsider, il buffone di internet, tacciono   






    Il papa non approva la proposta sulla Comunione del cardinale Kasper

    In un'intervista, il porporato tedesco fa marcia indietro sulle dichiarazioni rilasciate in passato

    Papa Francesco non ha approvato la proposta del cardinale tedesco Walter Kasper di permettere ai cattolici divorziati e risposati di ricevere la Comunione dopo un periodo di penitenza.

    Lo ha affermato lo stesso porporato in un'intervista rilasciata a EWTN durante una sua visita negli Stati Uniti, dichiarando che il papa voleva che il cardinale “presentasse la questione” e che in seguito ha “espresso soddisfazione per il mio discorso”, ma aggiungendo: “Non direi che abbia approvato la proposta, no, no, no” (Catholic Herald, 4 giugno).

    Queste osservazioni sembrano in qualche modo rappresentare una ritrattazione di alcune dichiarazioni rilasciate in precedenza.

    Nell'ottobre scorso, infatti, il cardinale aveva detto al Catholic News Service: “Ho avuto l'impressione che il papa sia disponibile a un'apertura responsabile e limitata della situazione... Ho l'impressione che il papa sia pronto a ribadire questo fatto, ma ora dipende anche dalle voci dei vescovi al Sinodo”.

    Il cardinale Kasper aveva presentato per la prima volta la sua proposta in un discorso ai cardinali nel marzo 2014. Il giorno dopo il papa aveva definito il suo intervento di “profonda teologia”.

    sources: ALETEIA




    Silvio Brachetta. Intervista al Card. Velasio De Paolis - 30/05/2015

     
    Ringrazio Silvio Brachetta e vi richiamo anche a quanto pubblicato qui: altre dichiarazioni del card. De Paolis nel marzo scorso.

    Dopo il Card. Raymond Leo Burke, anche il Card. Velasio De Paolis ha fatto visita a Trieste (il 30 maggio), per presiedere la S. Messa a conclusione delle celebrazioni mariane di maggio. De Paolis, come Burke, è uno degli autori del libro “Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica” (Cantagalli, 2014).

    L’opera è la risposta di alcuni studiosi alle tesi ambigue del Card. Walter Kasper, che in preparazione al Sinodo sulla famiglia aveva ipotizzato la possibilità per i divorziati risposatisi civilmente di accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.
    Ma De Paolis, come del resto gli altri autori, escludono la possibilità di essere perdonati, se nel penitente non vi sia un pentimento autentico e il proposito di abbandonare la situazione di peccato. Abbiamo chiesto al Cardinale un approfondimento sulla relazione tra misericordia e giustizia.


     
    Oggi si conclude il mese di maggio, dedicato alla Santissima Vergine Maria, la Mater misericordiae, ma anche lo Speculum iustitiae. Può chiarire quali sono gli equivoci sulla misericordia, se intesa come opposta alla giustizia?

    Bisogna distinguere la misericordia dall’amore. Sono due concetti che si richiamano, ma non s’identificano necessariamente, nel senso che la categoria dell’amore è molto più ampia. C’è in essa tutto quel mondo di affetti, di benevolenza, che racchiude tutte le espressioni che può contenere. La misericordia è invece un’espressione - sia pure molto nobile e forse anche la più bella - del perdono. Però, proprio perché procede dall’amore, la misericordia non sempre può essere applicata, poiché l’amore potrebbe esigere anche altri interventi. Si pensi, ad esempio, all’attività dei genitori: nel caso di un bambino disobbediente, essi agiscono con severità. Anche questa prassi fa parte dell’amore che, alle volte, esige operazioni non misericordiose. Ovvero, non sempre l’amore passa attraverso la misericordia.
    La misericordia, inoltre, presuppone un certo atteggiamento dello spirito, che è consapevole di avere sbagliato e bisognoso di ottenere il perdono. La misericordia, allora, implica questa relazione tra chi la usa e chi ne ha bisogno, perché sa di avere sbagliato, si pente di quello che ha fatto di male e intende rimediare. Ecco dunque che il Signore è l’amore perdonante in chi riconosce di avere sbagliato, si pente e invoca l’aiuto di Dio. Dove non c’è penitenza, non si è più nella categoria della misericordia.

    Quanto alla situazione dei divorziati risposatisi civilmente, da lei trattata nel libro, non potrebbe mutarsi in pretesto o in opportunità vocazionale alla castità, per mezzo della quale, tra l’altro, accederebbero di nuovo ai sacramenti?

    Difatti il problema della misericordia, che consiste nel pentimento e nel proposito di emendarsi, implica di dover uscire da quella situazione per la quale si vuole essere perdonati. I mezzi per uscirne sono diversi. Se, ad esempio, si convive con una persona che non è il marito o la moglie, è da rimuovere tale relazione. Se poi questa relazione fosse proprio necessaria, per diverse ragioni, può essere mantenuta per i motivi di necessità, ma non per quelli di natura coniugale, poiché non sono coniugi. Sotto questo profilo si può accettare, per certi aspetti, una convivenza che però, non essendo coniugale, non può esprimersi nei rapporti tra coniugi. Tuttavia questo tipo di situazioni sono anche un appello a fare una cosa grande, come può essere la pratica della castità, che può sembrare difficile. Quando però ci si prospetta qualcosa come un nostro dovere, siamo chiamati a fare anche quello che è difficile.
     
    Non mancano poi, per la catechesi, testi grandiosi di San Girolamo o di Tertulliano, che potrebbero addirittura rendere la castità desiderabile, invidiabile…

    Il rifiuto di prendere in considerazione la convivenza senza i rapporti coniugali, risente di una mentalità eccessivamente pansessualista, quasi che senza il sesso non si possa vivere. Quindi è vero che il sesso è una realtà che il Signore ha impresso in modo profondo nella persona umana, proprio in vista del matrimonio e dei bambini, però Gesù ha predicato pure la continenza, la castità: abbiamo l’esempio della vita religiosa, dei sacerdoti celibi o di tanti coniugi malati che supportano i loro congiunti.
    Sant’Agostino usava spesso questa massima: «si non es vocatus, fac ut voceris» - «se non sei chiamato, fa in maniera di esserlo». Nel caso dell’indissolubilità del matrimonio, noi non possiamo portare alcun pretesto, poiché il Signore la esige; ma se Dio comanda qualcosa, dà anche la grazia per obbedire.
     
    Divorzio a parte, osserviamo spesso oggi situazioni d’impenitenza, come ci fosse un’inclinazione congenita al male o l’ignoranza stessa su ciò che è male. Cosa decide la bontà o la cattiveria di un’azione umana?

    Non si può pensare alla remissione del peccato senza il pentimento e, quindi, almeno la volontà di non farlo più. Persistendo nella situazione di peccato, si contraddice lo stesso bisogno di penitenza. E se io ottengo misericordia in una situazione dove non mi pento, allora io distruggo la stessa misericordia, poiché non è fondata. Se io non penso di aver peccato, perché mai appellarmi alla misericordia? Non c’è una logica. La misericordia presuppone necessariamente un individuo che invoca il perdono di Dio per una situazione disordinata che dispiace al Signore.
    Quanto al criterio sulle azioni umane, è difficile discernere l’aspetto soggettivo di un atto. Per questo è sempre da tenerne presente il dato oggettivo. La moralità, prima di tutto, è la violazione di una norma oggettiva, che deriva dalla Legge eterna. Se io ritengo che la Legge sia buona, pur non condannando, devo sempre avvertire il mio prossimo quando sbaglia. Noi ci riferiamo alla Legge di Dio, che è la Legge annunciata da nostro Signore Gesù Cristo, dalla Chiesa e dalla ragione umana. San Tommaso parla della Legge, che è «ordo rationalis» - «ordine della ragione». Se, infatti, una cosa non è razionale, difficilmente la si potrà riferire all’«ordine».




    Mons. Galantino: no a gender, uniti nel difendere la famiglia

    "Una proposta che esprime il sentire di questo tempo": è il parere di mons. Galantino, presidente Cei, al documento non vincolante dell'Ue sulle famiglie gay. - ANSA

    10/06/2015 

    “Il documento non vincolante dell’Europa sul riconoscimento delle famiglie gay risponde allo spirito del tempo, al modo in cui alcuni vogliono che si pensi”. Così mons. Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana, commentando il voto, ieri del Parlamento Europeo, al rapporto: “Strategia per la parità di genere” 2015/2020. Si tratta di un documento nel quale viene definita “famiglia” anche una coppia omosessuale con figli. Luca Collodi ha intervistato lo stesso mons. Nunzio Galantino:

    R. – Sì, lei ha detto bene, l’UE fa una raccomandazione che, tra l’altro, non è nuova da quella parti. Intanto vorrei far notare che, a differenza di quello che è capitato in Italia per alcune questioni come il divorzio breve, per esempio, ci sono state percentuali risicate dal Parlamento UE, anzi risicatissime a favore di questa raccomandazione. Questo, già, la dice lunga. 
    Vorrei dire, però, che questa raccomandazione, di fatto, continua ad andare sulla linea di questa cultura, di questo sentire abbastanza diffuso in Europa, e che tende a imporre un certo modo di vedere, di pensare, rispetto a questi temi. La raccomandazione, evidentemente, non vuol dire da parte nostra, da parte di chi ha un modo di sentire e di pensare diverso, non vuol dire assolutamente adeguarsi o doversi adeguare o potersi adeguare. Bisogna che continuiamo con chiarezza, senza tentennamenti, a dire la verità sulle cose, nel rispetto di tutti, nel rispetto dei diritti dei singoli, evitando che queste forme di raccomandazione creino soltanto appiattimento e facciano danno a quella che, invece, è la bellezza della differenza.

    D. – Se l’Europa raccomanda, in Italia la proposta di legge Cirinnà sembra raccogliere questo invito…

    R. – Per certi versi, vale quello che ho già detto per quanto riguarda l’Europa, e cioè che un certo modo di procedere e di far proposte – perché quella della Cirinnà è una proposta di legge – evidentemente risponde allo spirito del tempo, cioè al modo in cui alcuni vogliono che si pensi, ma poi, di fatto, si capisce che non è il modo di pensare di tutti. A questo proposito penso che noi, come Chiesa, come Chiesa italiana, abbiamo un dovere grandissimo e penso che faccia bene a tutti ricordare una cosa: Faccia bene alla Chiesa italiana, alla nostra società, agli obiettivi che come credenti, come cittadini, vogliamo raggiungere a fronte di questa proposta e di proposte che vanno nella stessa direzione: qual è la mia proposta? Cos’è che penso debba essere chiaro a tutti quanti, cattolici e non cattolici.
    Dentro e fuori la Chiesa? Intanto, come credenti cattolici e come cittadini italiani è fuor di dubbio la nostra contrarietà alla proposta di legge Cirinnà, come è chiara la contrarietà ad ogni tentativo di omologazione, di equiparazione di forme di convivenza con la famiglia costituzionale. Questo deve essere chiaro, come il fatto - approfitto di questa circostanza per dirlo – che vada ostacolato in ogni modo il tentativo di scippare in maniera subdola alla famiglia il diritto di educare i figli alla bontà della differenza sessuale. Ora, detto questo, di questa contrarietà e di questo rifiuto, che si è sempre – e da parte di tutti – accompagnato con la chiara affermazione che non stiamo solo a dire ‘no’. Anche la Chiesa, i cattolici, i laici, i vescovi, i sacerdoti, continuamente affermano e riaffermano con chiarezza e senza tentennamenti il ruolo centrale ed insostituibile della famiglia costituzionale, fatta di padre, madre e figli, quando il buon Dio ne fa dono. Lo stiamo dicendo in tutti gli aeropaghi contemporanei. Io stesso non ho fatto queste affermazioni standomene seduto al tavolino: sono andato, ho partecipato a trasmissioni, che notoriamente sono orientate in senso diverso da quello della Chiesa, e lì con chiarezza, senza mezzi termini ho riaffermato – ripeto – la contrarietà della Chiesa a qualsiasi equiparazione di convivenze con la famiglia costituzionale.    

    D. – Su questi temi stiamo notando che molti laici si stanno organizzando a difesa della centralità della famiglia naturale, anche con iniziative che nei prossimi giorni si concentreranno a Roma – il 20 giugno – sul tema dello stop al gender nel mondo della scuola. Lei come guarda a questa attività laicale ?

    R. – In genere, l’attività dei laici, di tutti i laici, la ritengo veramente una benedizione del Signore, perché i laici – ci ricordava il Papa – non hanno bisogno dei vescovi pilota. Grazie a Dio abbiamo un laicato in Italia che è capace di grandi sensibilità, che è capace di grandi passioni, che è capace anche di grandi e belle iniziative. 
    E’ chiaro che di fronte alla difesa della famiglia naturale che, ripeto, è di tutti, non è di una parte del laicato, non è di una parte dei vescovi, non è dei vescovi e non dei laici o dei laici e non dei vescovi, è chiaro che le modalità concrete con le quali far valere la chiara posizione che è di tutta la Chiesa, la modalità concreta può essere espressa legittimamente in forme diverse. Una diversità che deriva da sensibilità, da letture della situazione anche diverse
    . E proprio a proposito di quello che lei mi chiedeva, voglio dire che c’è stato un incontro, un momento di confronto tra aggregazioni, movimenti, nuove comunità e associazioni. Si sono incontrate e da lì, da questo incontro, è emersa una diversa valutazione, relativa solo alla modalità con la quale manifestare il proprio chiaro e condiviso dissenso – ripeto – nei confronti sia della Cirinnà, sia di questa dittatura che si vuole imporre del pensiero unico, attraverso la gender theory.   

    D.- Cosa è stato detto in questo incontro?

    R. – Questo incontro dice la vivacità, l’intelligenza, la capacità di lettura diversificata della storia da parte dei cattolici italiani. Accanto a chi ha proposto forme legittime di manifestazioni pubbliche di dissenso per affermare  - ripeto – il diritto della famiglia costituzionale ad esistere e ad educare i propri figli nella bontà della differenza sessuale, c’è stato anche chi, assolutamente senza negare ogni forma di impegno a favore della famiglia, ha ritenuto, per questo momento storico, sia più ragionevole e più urgente l’apertura di un processo - che al di là del singolo evento  - veda tutti i impegnati a fronteggiare la cultura individualista che è alla base di leggi e proposte estemporanee che tendono a mettere all’angolo la famiglia costituzionale e a privilegiare i diritti dei singoli sul bene comune. Ora, questo processo, non meno impegnativo, anzi più esigente di altri, richiede comunque un sentire e un impegno comune che non è solo frutto di paure, ma si costruisce invece sul dialogo e sulla consapevolezza che, pur nel rispetto dei differenti modi di farsi sentire, c’è bisogno di tenere insieme motivazioni e ragioni per mantenere salda la realtà della famiglia, i suoi diritti e prima di tutto quelli dell’educazione e della formazione dei figli.
    Ripeto.
    Penso che sia importante capire come il differente modo di definire la modalità del dissenso, non significa assolutamente che ci siano supposizioni diverse rispetto alla valutazione oggettiva di quello che sta succedendo.
    Lo ripeto per l’ennesima volta: nessuno nella chiesa cattolica italiana in questo momento, né vescovi né sacerdoti né laici si sognano di dire di “sì”, alzare bandiera bianca - come ha detto qualcuno - rispetto alla Cirinnà, rispetto all’equiparazione di forme di convivenza con la famiglia costituzionale, rispetto all’introduzione subdola della gender theory nella scuola. Nessuno si sogna questo. È evidente che ci sono modi diversi per dire: “Diciamo di no in maniera diversa”.

    D. - Quindi difesa della centralità della famiglia naturale. Non importa come. L’importante è dialogare e non dividersi all’interno del laicato cattolico…

    R. – Assolutamente. Qualunque sia la modalità con la quale tenere ferma con chiarezza e senza tentennamenti la centralità della famiglia fatta di padre, madre e figlio - penso sia opportuno che la diversità di modalità – ripeto – non diventi occasione per divisioni ingiustificate che fanno il gioco di coloro che  vogliono portare avanti altre realtà. La diversità dei modi, non deve diventare occasione di divisioni ingiustificate, indebolimento della stima reciproca tra quanti custodiscono il valore inestimabile della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna né – ripeto - divisioni ingiustificate né indebolimento della stima reciproca. Perché dico questo? Guardate, non si difende la famiglia e i suoi diritti nutrendosi di divisione o peggio ancora non si sostengono valori calpestandone altri, quali il rispetto per l’altro, il dialogo e l’uso della verità al posto di vere e proprie aggressioni verbali; non si risolvono così i problemi. Le aggressioni verbali lasciamole ad altri, a noi non servono! D’altra parte è bellissima quell’espressione di San Pietro: “Date ragione della vostra fede”.
    Noi tutti siamo chiamati a fare questo: dare ragione della nostra fede nei confronti di coloro i quali di ragioni per dire quello che dicono, affermare quello che affermano attraverso alcune proposte di legge, non ne hanno; hanno soltanto il desiderio di accontentare questa o quella lobby, perché nessuno ha mai negato i diritti dei singoli; però far confusione prima lessicale e poi di fatto sulle realtà non è compito di nessuno, tantomeno lo è di coloro i quali sono chiamati a governarci.
    Quindi di fronte a questo comune atteggiamento, il bisogno di difendere la famiglia, stiamo attenti: non dobbiamo né dividerci né far venire meno – ripeto – la stima reciproca tra coloro che custodiscono gli stessi valori. A volte – mi permetta di fare questa considerazione un po’ amara – la passione per il raggiungimento di obiettivi legittimi e condivisi gioca brutti scherzi e si trasforma in rabbia. Così si assiste a ingiustificate e dannose scomuniche reciproche che sono fuori posto; si assiste e si leggono dei blog che si nutrono di affermazioni e quindi di giudizi offensivi verso persone che hanno l’unico torto di voler difendere con la stessa passione e intensità gli stessi valori.
    Questa è una ricchezza: la diversità del modo di sentire anche nella Chiesa.
    Ma questo succede dall’inizio! Noi abbiamo quattro Vangeli… Perché? Perché rispondevano a quattro modalità diverse di accogliere il Kerigma, di annunciarlo, di viverlo, di testimoniarlo. Certo, fa tristezza vedere trasformate in derive negative passioni nate invece dal desiderio del bene e di fare il fare il bene. Quindi ben venga tutto ciò che può servire in questo momento a far  capire qual è la posizione della Chiesa, dei vescovi, evitando di ergerci a giudici degli altri. 
    Le modalità possono essere diverse, ma dobbiamo essere tutti uniti per poter contrastare in maniera ragionevole, cercando il dialogo, derive individualiste che ci stanno – ahimè – travolgendo in Italia ma anche in Europa.







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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    MATRIMONIO

    La copertina del libro del cardinale Ennio Antonelli

     



    Crisi del matrimonio & Eucaristia, questo il titolo del libretto firmato dal cardinale Ennio Antonelli, pubblicato dalle edizioni Ares. Un pensiero controcorrente che si inserisce dentro al dibattito sinodale dando un contributo specialmente sul tema dei divorziati risposati, dei conviventi, e del loro eventuale accesso all'eucaristia.



    di Lorenzo Bertocchi




    Quello del cardinale Ennio Antonelli, pubblicato dalle edizioni Ares, è un pensiero controcorrente. I motivi sono vari, ma uno, al giorno d'oggi, merita attenzione: la brevità. Perché nel maremagnum di documenti e parole in cui navighiamo a vista, questa è merce rara, specialmente quanto va a braccetto con chiarezza di idee e di intenti. Crisi del matrimonio & Eucaristia, questo il titolo del libretto, si inserisce dentro al dibattito sinodale dando un contributo specialmente sul tema dei divorziati risposati, dei conviventi, e del loro eventuale accesso all'eucaristia. L'attuale presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia, già cardinale di Firenze e segretario generale della Cei, raccoglie innanzitutto il sentire «consonante e convinto» del cardinale Elio Sgreccia che firma la prefazione.

    Tanto per essere chiari, già al capitolo 3 il cardinale Antonelli dice che «l'attuale posizione dottrinale e disciplinare della Chiesa nei confronti dei divorziati risposati e dei conviventi è coerente e solidamente fondata nella Scrittura e nella Tradizione». Per chi volesse fare un breve ripasso può leggersi con profitto il n°84 dell'enciclica Familiaris Consortio, scritta dal “papa della famiglia”, San Giovanni Paolo II. Lì si ribadisce che non è possibile ammettere i divorziati risposati alla comunione eucaristica, «dal momento che il loro stato contraddice oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa». «L'esclusione dalla comunione eucaristica», scrive Antonelli, «permane per tutto il tempo che dura la convivenza coniugale illegittima (…) e questa situazione non discrimina i divorziati risposati rispetto ad altre situazioni di grave disordine oggettivo e di scandalo pubblico». A questo proposito «chi ha commesso un furto deve restituire, chi ha l'abitudine di bestemmiare deve impegnarsi seriamente a correggersi». Per chi non fosse avvezzo alla tematica diciamo che questa è semplicemente la strada della conversione, quel «va e non peccare più»che è la via di chi ha incontrato Gesù.

    La cosa, spiega il cardinale, non è affatto in contrasto con la misericordia di Dio, semmai è proprioquesta che «opera la conversione dei peccatori» e «non ha nulla a che fare con la tolleranza». Non è possibile banalizzare l'Eucaristia «e ridurla a un rito di socializzazione», non si può rendere la condizione dei divorziati risposati e dei conviventi «l'unico caso di perdono senza conversione». A questo proposito «bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini». Una cosa è una cura pastorale che accompagna verso un progressivo superamento di situazioni irregolari, altro «è orientarli a rimanere nell'unione illegittima, indicando a quali condizioni [questa] possa diventare il bene possibile». Perché «il rubare di meno non diventa mai lecito, neppure per chi è abituato a rubare molto, il bestemmiare raramente non diventa mai lecito per chi era abituato a bestemmiare spesso», e così «neppure un'unione coniugale illegittima può essere resa moralmente buona dalle condizioni previste dai sostenitori dell'eucaristia ai divorziati risposati». 

    Il problema è una questione di vette. «La castità», scrive il presidente emerito, «anche se difficile, èpossibile a tutti, secondo la loro condizione». Forse qui, a queste altezze, a qualcuno manca l'aria, ma la grazia divina è una cosa seria. «Chi si impegna seriamente in un cammino di vita cristiana riceverà prima o poi la grazia della piena conversione e riconciliazione in modo da poter ricevere i sacramenti o almeno la grazia di raggiungere la salvezza eterna al termine della vita terrena».

    L'indissolubilità del matrimonio e la castità, nella prospettiva delineata dal cardinale, coerentementealla Scrittura e alla Tradizione, non sono un peso insopportabile, o un'utopia che solo alcuni raggiungono, ma sono doni da custodire e coltivare. «Non è graduale l'obbligo di fare il bene, ma è graduale la capacità di farlo», cioè, mostra Antonelli, non esiste nessuna gradualità della legge, ma, appunto, una legge della gradualità. Tradotto questo è il vecchio adagio per cui un conto è il peccato, un conto il peccatore, un conto è la persona che, con tutti i suoi limiti, tende decisamente verso la vetta, un conto è il disordine di chi vuole abbassare la montagna a un cavalcavia qualsiasi. «La Chiesa», dice Antonelli, ha «il suo primo compito [nell'] insegnare la verità oggettiva, valida per tutti, e in base a essa regolare la vita cristiana personale e comunitaria. Quanto ai singoli fedeli, ha il dovere di accompagnarli pazientemente» secondo il loro passo e «affidando la loro fragilità umana alla misericordia di Dio». In questo cammino verso la vetta non mancano indicazioni e aiuti, così il cardinale propone due citazioni da un'altra enciclica, Veritatis Splendor (1993), che sembra essere caduta troppo rapidamente nel dimenticatoio. «Con i comandamenti il Signore ci dona la possibilità di osservarli», scriveva Giovanni Paolo II, infatti, «il credente trova la grazia e la forza di osservare sempre la legge santa di Dio, anche in mezzo alle difficoltà più gravi». 

    Le vette che ci aspettano non sono impossibili, o fuori dalla portata della grazia ricevuta, ma doni che ci impegnano e, contemporaneamente, danno la forza per raggiungerli. Se tutto questo non fosse reale difficilmente, noi che siamo in cordata, potremmo pensare di salire in cima solo con le nostre forze, per capirlo basta guardarsi intorno dove la povertà affettiva dilaga e la gente scivola a valle. Il cardinale Antonelli cita un discorso di Giovanni Paolo II per dire che lui «era solito raccomandare ai pastori della Chiesa di non abbassare la montagna, ma aiutare i credenti a salirla con il loro passo. Da parte loro, i fedeli non devono rinunciare a salire verso la vetta; devono sinceramente cercare il bene e la volontà di Dio». «Sarebbe fuorviante», conclude, «inseguire l'appartenenza numerica, mediante il disimpegno formativo e l'apertura indifferenziata, che concede tutto a tutti, provocando un appiattimento generalizzato verso il basso».




      il testo integrale lo trovi qui



    Crisi del Matrimonio ed Eucarestia

     

     

    1. Premessa.

    Il tema «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo» fa pensare che la prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo (4-25 ottobre 2015) intenda soprattutto proporre positivamente la bellezza e l’efficacia evangelizzatrice della famiglia cristiana. Da parte mia sono fermamente convinto che oggi la principale urgenza pastorale sia la formazione di famiglie cristiane esemplari, in grado di manifestare concretamente che il matrimonio cristiano è bello e possibile da realizzare. Sono esse che possono annunciare il vangelo della famiglia, «non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 14).

    A mio parere, in un contesto culturale post cristiano come il nostro, gli impegni di pastorale familiare, su cui la Chiesa a tutti i livelli dovrebbe concentrare le sue energie, sono i seguenti:

    a. L’educazione teorica e pratica dei ragazzi e dei giovani all’amore cristiano, inteso come dono di sé agli altri e come comunione nel rispetto delle differenze;

    b. La seria preparazione dei fidanzati al matrimonio, perché sia valido e fruttuoso, mediante itinerari commisurati alle diverse situazioni spirituali, culturali, sociali;

    c. La formazione permanente dei coniugi, specialmente delle coppie giovani, mediante incontri periodici, inseriti progettualmente nei programmi pastorali annuali, animati da figure ministeriali idonee (per esempio coppie di sposi preparate), valorizzando piccole comunità, movimenti, associazioni.

    Ciò premesso, vengo all’argomento, difficile e anch’esso importante, sul quale intendo offrire un mio contributo di riflessione in preparazione alla prossima Assemblea Sinodale: la possibilità di ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati e i conviventi.

    Il mio discorso cerca di attenersi ai due saggi e doverosi atteggiamenti, opportunamente suggeriti da Papa Francesco: parresia e umiltà, esprimere con franchezza il proprio pensiero e ascoltare gli altri con rispetto e disponibilità a lasciarsi correggere e completare. Solo così ci si arricchisce reciprocamente e si procede insieme verso la verità e il bene.

    I temi principali che entreranno nella mia riflessione sono i seguenti: la coerenza e la perfettibilità della prassi pastorale autorizzata finora; la varietà delle proposte di cambiamento e le obiezioni contro di esse; l’incapacità della cosiddetta legge di gradualità a suggerire criteri generali per l’ammissione dei divorziati risposati e dei conviventi all’Eucaristia; il punto fermo dell’indissolubilità del matrimonio cristiano; l’oblatività dell’amore in relazione alla validità del matrimonio; l’autenticità evangelica per la fecondità missionaria. Mi permetto di richiamare l’attenzione specialmente sui numeri 4, 5, 6, 9.

     

     


    [Modificato da Caterina63 16/06/2015 13:59]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 09/07/2015 20:31

    CHIESA TEDESCA

     




    Spacciata per una via misericordiosa, quella della Chiesa tedesca sembra, invece, una rinuncia ad essere lievito del mondo. Ma questa musica stonata non è certo iniziata con il cardinale Kasper, né con il Sinodo sulla famiglia. Lo ha rilevato un altro cardinale tedesco, Walter Brandmuller: una frustata per vescovi e clero.



    di Lorenzo Bertocchi



    Il cardinale Walter Brandmuller



    Una melodia ripetitiva proviene dalla chiesa tedesca, una musica che, forse, ha poco a che fare con quella evocata nel recente intervento di Benedetto XVI in occasione del conferimento del dottoratohonoris causa da parte della Pontificia università di Cracovia. Spacciata per una via misericordiosa, quella intrapresa dalla chiesa tedesca sembra, invece, una via di desistenza, una rinuncia ad essere lievito che cambia il mondo. Le riforme che vengono richieste da molti pastori, infatti, sembrano voler abbassare l'asticella. Il cardinale Kasper nel suo ultimo scritto a favore dell'accesso all'eucaristia per i divorziati risposati, sulla rivista Stimmen der Zeit, offre un esempio di questa melodia ripetitiva.

    Una delle motivazioni della via misericordiosa del cardinale è indicata nel fatto che il matrimoniocristiano, come mistero della relazione tra Cristo e la Chiesa, è troppo difficile da seguire; «questo mistero», scrive, «non può essere pienamente realizzato in questa vita, ma sempre solo in frammenti». Il ritornello, in fondo, è semplice: siccome non è per tutti, allora cerchiamo una via più comoda. Una eco di questo refrain può essere individuato anche in una sua variante, quella per cui laddove non c'è la pienezza, come ad esempio in unioni diverse da quelle matrimoniali, c'è comunque qualcosa da valorizzare, facendo passare un messaggio che appare più accomodante che misericordioso. Un esempio di come questa melodia al ribasso venga diffusa nell'etere ci viene offerto in questi giorni dalla omelia sulla famiglia che papa Francesco ha tenuto in Ecuador. Quasi tutti hanno scritto che il Papa chiedeva preghiere per il Sinodo affinché certe situazioni - coppie gay, divorziati risposati - possano essere accettate dalla Chiesa. In realtà, ha specificato padre Federico Lombardi, il Papa «spera che questo Sinodo aiuterà le persone a passare da situazioni di peccato ad uno stato di grazia». Tutta un'altra musica.

    L'esecuzione di una musica stonata e al ribasso, nella chiesa tedesca non è certo iniziata con ilcardinaleKasper, né con il Sinodo sulla famiglia. Quest'ultimo ha semplicemente amplificato il suono. Lo ha rilevato un altro cardinale tedesco, Walter Brandmuller, in una recente intervista al Rheinische Post. Proprio il cardinale Ratzinger nel 1994 parlava allo stesso giornale indicando che la Chiesa tedesca doveva far risplendere maggiormente il suo «splendore spirituale», a scapito di una eccessiva «corazza istituzionale». Infatti, rileva oggi Brandmuller, «ciò che il card. Ratzinger ha detto nel 1994 è ancora vero». «A che serve un asilo cattolico», provoca il cardinale, «se al posto di Gesù Cristo c'è Babbo Natale o il conigletto pasquale? Per cosa un ospedale cattolico se non c'è nessun prete, né suora, che prega per i malati, e alcune operazioni che vengono eseguite sono in aperto contrasto con la legge morale cristiana?» E poi l'affondo, il dito nella piaga, il problema che nessuno affronta, ma che nella «Chiesa povera per i poveri» di papa Francesco andrebbe ben analizzato. «É assurdo», dice il cardinale Brandmuller, «le chiese vuote e le casse piene». Il problema è di tutta la Chiesa europea, ma vale in particolar modo per quella tedesca in cui vige ancora la Kirchensteuer, la tassa moralmente obbligatoria per i fedeli che rende alle casse qualcosa come 4-5 miliardi di euro.

    «Questo», dice Brandumuller, «dà un costoso apparato autosufficiente, che però nel suo crepitioannega la voce del Vangelo». É questa l'origine di quella melodia ripetitiva e stonata? Occorre intraprendere un «pensiero che non segue i principi economici, ma le verità della fede», non una falsa riforma al ribasso, ma un rinnovamento che sappia esercitare quel fascino senza tempo, capace di andare contro il mainstream socio-culturale per cambiare i cuori. «Il buon pastore», dice Brandumuller riferendosi ai vescovi, «non deve avere paura dei lupi nel compiere questo dovere». Occorre suonare una musica che, come ha detto papa Ratzinger, sia «una dimostrazione della verità del cristianesimo». Altrimenti, visto che è di attualità, e sempre di soldi si tratta, invece di una Grexit si potrebbe ipotizzare una Germanexit dalla Chiesa cattolica.

       

     

    Testo integrale della denuncia di Mons. Stefan Oster sulle posizioni eterodosse e potenzialmente scissionistiche di Kasper, Marx & Co

     
    Ringrazio sentitamente Paolo Pasqualucci per questo suo prezioso contributo, che ci rende accessibile un testo che val la pena conoscere integralmente, insieme agli altri che sostengono le tesi di fedeltà alla dottrina, contro lo stile pragmatico più attento al dialogo e al consenso sociale che alla verità.

    S.E. STEFAN OSTER DENUNCIA LA SCANDALOSA RICHIESTA DI “BENEDIRE” I RAPPORTI SESSUALI AL DI FUORI DEL MATRIMONIO, AVANZATA DALLA ‘COMMISSIONE CENTRALE DEI CATTOLICI TEDESCHI’.
        




    In Germania, parte dell’episcopato non è schierata sulle posizioni eterodosse e potenzialmente scissionistiche di Kasper, Marx & Co. Ha fatto coraggiosamente sentire la sua voce l’Ordinario della diocesi di Passau, S. E. mons. Stefan Oster con alcune “Riflessioni” pubblicate sul suo sito l’11 maggio 2015 dal titolo: “Alcuni pensieri su come orientarsi circa una recente dichiarazione a mio avviso problematica della Commissione Centrale dei Cattolici tedeschi”.

    Alla sua denuncia e riprovazione degli errori contenuti in questa “dichiarazione”, si sono associati altri cinque vescovi, che è giusto ricordare: le Loro Ecc. Rudolf Voderholzer di Ratisbona, Konrad Zdarsa di Augsburg, Gregor M. Hanke di Eichstatt, Wolfgang Ipolt di Görlitz, Friedhelm Hofmann di Würzburg. [ne abbiamo parlato qui]
    Ci sembra utile, oltreché doveroso, far conoscere ai fedeli italiani il testo dell’intervento di mons. Oster. Tutta la documentazione l’abbiamo ricavata dal sito chiesa.espresso.repubblica.it, in un intervento di Sandro Magister del 29 maggio scorso intitolato: La battaglia di Germania [qui]. Traduzione dal tedesco a cura della nostra Redazione. I numeretti dei paragrafi sono stati inseriti dal traduttore, sue sono altresì le parole in parentesi quadre, la nota che riporta il passo di S. Paolo citato nel testo.
     

    Il testo di mons. Oster si apre con il comunicato diramato dalle agenzie.

    “ -- l’Agenzia cattolica d’informazione [KNA: Katholische Nachrichtenagentur] ha emesso il seguente comunicato:
         In un documento votato all’unanimità in una riunione plenaria di sabato 9 maggio 2015 a Würzburg in vista del Sinodo dei vescovi del prossimo autunno, la commissione centrale dei cattolici tedeschi (ZdK) auspica [l’introduzione] di forme di benedizione delle convivenze omosessuali così come di quelle eterosessuali.  Si dovrebbero pertanto sviluppare forme liturgiche appropriate.  Occorre quindi ‘una accettazione incondizionata della vita in comune nelle convivenze omosessuali stabili’ e una chiara presa di posizione contro le attuali esclusioni nei confronti degli omosessuali.  La commissione cattolica centrale afferma che valori del matrimonio vengono vissuti anche in altre forme della vita comune, per esempio l’indissolubile Sì ad un’altra persona e la costante disponibilità alla riconciliazione reciproca. ‘Queste forme di vita e di famiglia meritano di esser apprezzate anche quando non corrispondono al matrimonio sacramentale’ “ [KNA]
    [Questo il testo d’agenzia della scandalosa presa di posizione della ZdK o Zentralkomitee der deutschen Katholiken.  Ed ecco le “considerazioni” di S.E. mons. Stefan Oster].
    1. Questa dunque la dichiarazione di Würzburg.  Prima di esprimermi nel merito, vorrei dire:  ogni uomo è una persona con una sua unica dignità.  Ogni uomo possiede una coscienza e il diritto di modellare la sua vita secondo la sua volontà, le sue capacità, la sua coscienza, nella misura in cui non danneggia gli altri.  Ciò vale anche per l’impostazione che si dà alle relazioni intime e alla vita sessuale.  Quest’opinione circa l’incondizionato riconoscimento di ogni uomo in quanto persona dotata di dignità, libertà e coscienza appartiene in modo insopprimibile ai fondamenti della fede della Chiesa e della sua visione dell’uomo. 
      Tuttavia, se qualcuno volesse informarsi in modo più preciso su quale sia il credo in senso stretto della nostra Chiesa sui temi delle convivenze, della famiglia e della sessualità; e se questo qualcuno volesse in coscienza istruirsi sull’insegnamento della Chiesa, per voler sapere ciò che da questo credo risulta esser vero o falso in relazione ai temi suddetti; allora devo dire quanto segue  sulle istanze avanzate dalla ZdK:
      Considerando la fede della Chiesa vissuta e partecipata finora su questi temi, basandosi sulla Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero, ne seguirebbe che una positiva accettazione delle richieste della ZdK significherebbe un drammatico stravolgimento [Veränderung] di molti aspetti della dottrina sinora insegnata in tema di matrimonio e sessualità.  In base alla Rivelazione che le è stata affidata, la Chiesa crede infatti che i rapporti sessuali naturali hanno il loro luogo genuino legittimo ed anzi l’unico legittimo esattamente nel matrimonio tra un uomo e una donna, entrambi aperti alla trasmissione della vita [ad aver figli]  e legati in un vincolo indissolubile sino alla morte di uno dei due.  Nello stesso tempo la Chiesa è perfettamente consapevole del fatto che tutto ciò rappresenta un comandamento elevato e severo, per osservare il quale nessun uomo o coppia di coniugi può contare sulle sue sole forze.  Non per nulla il vincolo matrimoniale si denomina anche Sacramento,  rafforzato e potenziato con la fede nella espressa promessa di Dio, di essere il Terzo nell’unione dei due: ovvero Colui che congiunge in quest’unione, la santifica, la rende indissolubile, rimanendo nello stesso tempo sempre sorgente di salute e salvezza in relazione ad essa.
      Pertanto, secondo  la mia conoscenza della Sacra Scrittura per ciò che riguarda i temi appena richiamati, ogni altra forma di comportamento sessuale attuata del tutto al di fuori del matrimonio altro non è che fornicazione [Unzucht] o adulterio [Ehebruch] – senza dimenticare l’annuncio delle conseguenze, che possono essere piuttosto drammatiche per una parte di quelli che vi si abbandonino.  
    2. La tradizione della Chiesa ha sempre condiviso e mantenuto il giudizio della Scrittura [su queste cose], pur se in modo non indifferenziato.  È da sempre pacifico che si deve riservare la dovuta considerazione al caso singolo al fine della formazione di un giudizio.  Così come è ovvia per la Chiesa l’esperienza secondo la quale nei rapporti sessuali vi sono anche deviazioni  -  e che coloro che deviano richiedono in special modo l’aiuto del sacerdote.
      Ma quando oggi si pretende che altre forme di vita in comune produttrici di obblighi tra gli uomini debbano esser valutate positivamente solo in quanto siano vissute secondo fedeltà, disposizione alla riconciliazione e al rispetto degli obblighi reciproci, è del tutto ovvio concludere che tale richiesta  della ZdK include il comportamento sessuale [sexuelle Praxis] di queste coppie, invece di escluderlo.  Altrimenti, tali unioni sarebbero semplicemente dei rapporti d’amicizia e non convivenze sulla base di una sessualità [reciprocamente] condivisa. Che la Chiesa approvi sempre ed anzi benedica la pura e semplice amicizia, ciò non costituirebbe per me alcun problema.  Ma qui il nocciolo della questione riguarda i rapporti sessuali tra due persone.
      Altri positivi “valori della vita in comune” si ritrovano in verità presso tutti gli altri gruppi umani, p.e. tra nipotini e nonni, tra compagni di lavoro, membri di un’associazione calcistica o persino tra i membri di una banda criminale.  Anche in quest’ultima non raramente si apprezzano altamente “valori” quali la fidatezza, l’assistenza reciproca, la lealtà.  Con ciò voglio dire che, a mio avviso, la ZdK dovrebbe dimostrarsi in primo luogo sincera in quello che dice. Pertanto, accanto alla richiesta di apprezzamento di “valori” che da ogni punto di vista si possono approvare (ossia: benedicere, benedire), la ZdK dovrebbe chiedere apertamente che tra i valori venga alla fine approvata, benedetta dalla Chiesa anche la sessualità praticata al di fuori del matrimonio.  Ma, in questo campo, ogni discorso sui valori, se pur animato da buone intenzioni, tuttavia al dunque altro non è che carta straccia, facendogli difetto il punto essenziale dell’argomentazione.
    3. Infatti, quando, sul fondamento dei “valori”, si vogliono far approntare forme di benedizione liturgica per rapporti di ogni tipo [etero e omosessuali], rapporti tutti aventi luogo al di fuori del matrimonio sacramentale, non posso fare a meno di pormi questa domanda:  perché in verità solo per rapporti tra due persone?  Se tre o più persone dello stesso o di diverso sesso, da un lato avessero il letto in comune e dall’altro volessero metter su insieme un ambiente per i bambini che fosse confortevole e sicuro, perché non si potrebbero benedire anche qui '“valori” condivisi?  Se noi ci affidiamo ai soli “valori”, come si giustifica poi l’idea che lo “spazio protetto” nel quale deve adagiarsi la sessualità secondo la ZdK, debba esser tale unicamente per rapporti fra due persone, quale che sia il loro sesso, e non invece anche per rapporti che ne coinvolgano più di due, se sessualmente in accordo e con reciproca soddisfazione?
      Dall’esempio apportato vediamo che il criterio di tali cosiddetti “valori” non fornisce alcun fondamento affidabile per giustificare la benedizione di rapporti che siano esclusivamente di coppia, quale che sia la combinazione [sessuale] nella quale essa si situi.   Vediamo inoltre che, con il criterio dei “valori”, ci si procurerebbe a mio avviso nient’altro che una caterva di problemi, tanto più che sarebbe di nuovo necessario elaborare i criteri per stabilire come e perché qualcosa diventa un “valore”.
    4. La Fede e la Scrittura non si fondano tuttavia in primo luogo su valori bensì sulla Rivelazione, su Cristo stesso.  Egli non è un “valore” ma la Parola di Dio stesso; Colui che nella sua persona ama l’uomo, lo tocca nell’anima, lo libera, lo rende capace di un’altra vita e in primo luogo di un amore e una fedeltà che l’uomo non possiede di per sé ma solo ad opera di Lui.  Essendo pertanto proprio Gesù stesso “il criterio” [di giudizio], ed avendo pertanto noi una sicura conoscenza della sua volontà in relazione ai temi qui discussi attraverso la Scrittura, la Tradizione e il Magistero (si veda: 1 Cr 7, 10-11), credo occorra molto di più di un appello ai “valori”, per dimostrare in maniera inequivocabile  per qual motivo la volontà di Gesù sui temi della sessualità e del matrimonio dovrebbe esser cambiata dopo 2000 anni.
      Anche i tanto incomodati “segni dei tempi” non rappresentano secondo me una risposta a questa domanda.   Chi stabilisce in primo luogo quali sarebbero questi segni e per qual motivo dovrebbero mostrare ora qualcosa di nuovo proprio nell’ambito di convivenze e matrimonio?  A mio avviso, proprio questo è l’ambito nel quale l’uomo è rimasto in sostanza sempre lo stesso.  E difatti quest’ambito è stato già ampiamente dibattuto nella Chiesa antica, come se  il dettato di Gesù non fosse presente nella S. Scrittura con la dovuta chiarezza.  Un segno dei tempi odierni potrebbe essere, secondo me, la nuova dimensione del problema dei profughi, per il quale il mondo e la Chiesa dovrebbero trovare nuove risposte.  Ma non certo il dover rispondere a chi vorrebbe oggi che il sesso praticato fuori del matrimonio sia considerato una benedizione, quando per 2000 anni dal punto di vista della fede è stato considerato del tutto all’opposto [cioè una maledizione].
    5. Sulla base di queste ed altre considerazioni, mi è davvero del tutto impossibile condividere la risoluzione della ZdK.  Come uomo che vive in questo mondo sempre più secolarizzato, lo potrei sicuramente, poiché tale è il mondo nel quale viviamo, simile in queste cose al mondo antico, quando furono elaborati i testi della Sacra Scrittura.  Ma come uomo che, pur vivendo dentro questo mondo, si è vincolato alla fede della Chiesa e si sente da essa continuamente pungolato, la cosa mi è assolutamente impossibile.
      Faccio notare che, con questa dichiarazione, la ZdK si è ben avviata sul cammino che porta ad abbandonare aspetti fondamentali dell’immagine biblica dell’uomo e della comprensione della rivelazione biblica. E veramente mi disturba il fatto che imbocchi questa via con la stragrande maggioranza dei suoi rappresentanti.  Inoltre, il suo rinnovato appello a Papa Francesco per  avere un appoggio al suo nuovo programma, è incompatibile con un mutamento di corso così spettacolare.  (Si veda la versione ufficiale della dichiarazione sulla ZdK-homepage, www.zdk.de, intitolata: “Costruire ponti tra dottrina e realtà di vita”. [Nel dettaglio, tale versione chiede anche di riconsiderare il controllo delle nascite, di “benedire” i divorziati risposati, etc. – vedi:  Rorate Caeli, 29.5.2015 – qui]).
      Certo, il Papa ha inviato un questionario su questi temi  e convocato un Sinodo nel quale egli vuole si tenga un dibattito pubblico sull’Evangelo della Famiglia. Meraviglioso!  Si può e si deve discutere!  Che bello!  Tuttavia, non scorgo alcuna pubblica dichiarazione del Papa o del Magistero attuale, che possa avvicinarsi anche solo lontanamente alle esternazioni della citata dichiarazione della ZdK.  È altamente verosimile che l’incipiente Sinodo mostrerà quanto il nome e il programma di Papa Francesco siano stati strumentalizzati dalla ZdK per i suoi fini, politici e per ciò stesso niente affatto in accordo con la Bibbia.   Mi sembra del resto significativo che nella lista delle pretese della ZdK, con le relative giustificazioni, non si menzionino mai argomenti tratti dalla Bibbia.
    6. I vescovi tedeschi hanno da poco pubblicato una nuova redazione dei principi fondamentali cui devono attenersi collaboratrici e collaboratori civili nella Chiesa.  Anche in questa nuova redazione viene ribadita la totale inammissibilità per i cattolici del matrimonio civile e delle convivenze registrate [allo stato civile].  Andar contro questa normativa costituirebbe di per sé “violazione grave dell’obbligo di lealtà” nei confronti della Chiesa, intesa come datore di lavoro.  Mi chiedo allora in che modo la ZdK, con la sua pretesa di benedizione e appropriate liturgie proprio per legami di questo tipo, si stia effettivamente comportando per ciò che riguarda la sua lealtà nei confronti dell’episcopato e del suo insegnamento consolidato.  Perciò il fatto che oggi tanti cattolici – dopo testi come questo – non si sentano più rappresentati dalla ZdK, non è secondo me da imputare a questi stessi cattolici.  E circa le tendenze alla costruzione di ghetti, che si denunciano oggi nella Chiesa, secondo me risultano innanzitutto proprio da iniziative come questa [della ZdK].  Chi, inoltre, volesse informarsi senza pregiudizi sulle posizioni della fede tradizionale dell’unica Chiesa diffusa in tutto il mondo e di quelle professate dalla ZdK, si troverebbe subito in completa confusione a causa della contrapposizione emergente nei suddetti punti [per colpa della ZdK].  Egregi membri della ZdK:  può esser questo il vostro scopo?  

    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio] 

    _________________
    1.  1 Cr 7, 10-11 :  “Ai coniugati invece ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito, ma qualora si separasse non passi ad altre nozze o si riconcili col marito; e il marito non ripudi la moglie”.










    [Modificato da Caterina63 13/07/2015 12:57]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 13/07/2015 13:06
        
    FOCUSdi Giuseppe Tires




     

    Non so bene se si possa dire che i fedeli abbiano dei “diritti” nei confronti dei Pastori. Però mi sembra che i Pastori abbiano dei doveri nei confronti dei fedeli. Cioè di non lasciarli, nel campo della dottrina, da soli e sguarniti. Altrimenti cosa ci stanno a fare i Pastori?
    A questo proposito vorrei porre una domanda molto semplice, al limite della ingenuità: il contenuto della Nota dei vescovi italiani del 2007 vale ancora o no?

    Non so bene se si possa dire che i fedeli abbiano dei “diritti” nei confronti dei Pastori. Però mi sembra che i Pastori abbiano dei doveri nei confronti dei fedeli. Cioè di non lasciarli, nel campo della dottrina, da soli e sguarniti. Altrimenti cosa ci stanno a fare i Pastori? A questo proposito vorrei porre una domanda molto semplice, al limite della ingenuità: il contenuto della nota dei Nota vescovi italiani del 2007 vale ancora o no? Credo che i Pastori questo ce lo debbano dire. Oppure dicano: ci stiamo pensando. E allora aspetteremo tranquilli. Joseph Ratzinger diceva che una istituzione – qualsiasi essa sia – che oggi dice una cosa e domani un’altra si scredita da sola.
    Nel 2007 i vescovi italiani hanno insegnato una cosa.
    Ora molti dicono il contrario, vescovi compresi, e i vescovi non dicono niente. Cosa deve pensare il semplice fedele della Chiesa cattolica? 

    Si potrebbe tirare in ballo l’ermeneutica della riforma nella continuità. É cambiato qualcosa nel frattempo? Ci dicano cosa è cambiato, non sul piano della prassi che di per sé non dice nulla di normativo, ma sul piano della dottrina. Ci dicano cosa sia da tenere della Nota del 2007 e cosa da rivedere. Oppure ci dicano che questo lavoro di revisione secondo l’ermeneutica della riforma nella continuità è cosa lunga e complessa. Può essere anche così. Da cinquant’anni si riflette su cosa rimane e cosa è cambiato col Vaticano II rispetto alla dottrina e alla prassi precedente, si può capire che ci sia bisogno di tempo anche per questa cosa, nonostante la sua piccolezza se paragonata al Concilio. In ogni caso: che ci dicano qualcosa.

    La Nota del 2007 era chiara su due punti: la convivenze non possono essere riconosciute giuridicamente, eventuali soluzioni pratiche per la tutela di diritti vanno cercate nel diritto individuale. Ora ci troviamo davanti al disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, comprese quelle tra omosessuali. Nel mondo cattolico, vescovi compresi, c’è chi dice che si può arrivare a un compromesso. Mi chiedo: quale compromesso se la Nota del 2007 vietava ogni riconoscimento di ogni convivenza? Qualche altro dice che nelle convivenze c’è comunque un apporto al bene comune mediante la presa in cura reciproca. Ma allora perché la Nota del 2007 condannava le convivenze? Allora non contenevano elementi di bene comune?
    Ci dicano i vescovi: si può costruire il bene comune nel rifiuto dell’ordine della Creazione, espressione alta per dire la legge morale naturale? O un ordine della Creazione non c’è? Dobbiamo ridurre il concetto cattolico di bene comune per far posto alle convivenze? Quando in Francia fu approvata la legge Veil che permetteva l’aborto, il vescovo di Orléans, che come leader morale guidava allora una Conferenza episcopale piuttosto disorientata, disse che la Chiesa doveva rimanere neutrale perché non sembrasse poi che aveva mancato di compassione per la sofferenza delle donne. Dobbiamo, ora, rimanere neutrali per non essere accusati di non essere compassionevoli con i conviventi o gli omosessuali?

    Qualche altro gioca sulla questione dei diritti individuali. A mio avviso, anche in questo caso, le cose sono semplici. Quando un cosiddetto diritto individuale scatta per il fatto che uno è unito a un'altra o a un altro, quel diritto non è più individuale, ma viene esercitato in quanto si fa parte di una coppia. Comporta, cioè, il riconoscimento, a qualche livello, della convivenza. Se io, membro di una coppia di fatto, delego formalmente Tizio per sostituirmi ai colloqui scolastici con mio figlio trattasi di diritto individuale, ma se a Tizio viene riconosciuto questo diritto non su mia delega ma perché fa coppia con me non siamo più nel diritto privato.  Non credo che le Note dei vescovi vengano granché ascoltate. Ma la Chiesa parla non per essere ascoltata, ma per annunciare la verità. 

    Nel 2008, quindi subito dopo la Nota suddetta, “Aggiornamenti sociali” pubblicò la conclusione di una ricerca di una commissione bioetica messa in piedi dalla rivista che diceva allora quanto oggi dicono in molti. La convivenza, anche tra omosessuali, è una dimensione di affetto e cura reciproca che accresce il bene comune e quindi va contemplata e tutelata giuridicamente. Su questa base fu poi pubblicato il cosiddetto “Documento di Portogruaro”, elaborato negli ambienti del seminario della diocesi di Concordia-Pordenone che diceva le stesse cose. Sembravano, allora voci stonate.  Oggi quelle stesse cose le dicono molti vescovi e moltissimi cattolici sono pronti ad applicarle nei confronti del disegno di legge Cirinnà. Dico io: un povero peone della Chiesa cattolica ha diritto a un po’ di chiarezza o no?

    L’altra questione di solito tirata in ballo è: «purché non vengano chiamate matrimonio», oppure «purché non possano essere scambiate con il matrimonio». Come per il gender dentro la legge sulla “Buona scuola” si canta vittoria per una circolare che verrà sistematicamente disattesa, qui si canta vittoria perché «non si chiama matrimonio». Non si chiama matrimonio ma lo è, e se non lo è lo sarà tra poco. L’adozione alle coppie omosessuali non si evita riconoscendo la coppia purché non si chiami matrimonio o non sia a esso equiparabile, ma negando valore alla coppia di fatto in quanto tale. Come aveva fatto la Nota del 2007 e come ora non fa quasi più nessuno. Il perché i vescovi dovrebbero dircelo. 




    L'emorragia tedesca. (Chiesa)
    La Chiesa cattolica tedesca l’anno scorso ha perso un numero record di fedeli: quasi 218.mila persone, circa 39 mila più dell’anno precedente. E’ una cifra particolarmente alta, superiore persino a quella del 2010, l’anno in cui la Chiesa tedesca fu scossa dallo scandalo degli abusi sessuali sui minori.
     
    20/07/2015
     

    La Chiesa cattolica tedesca l’anno scorso ha perso un numero record di fedeli: quasi 218.mila persone, circa 39 mila più dell’anno precedente. E’ una cifra particolarmente alta, superiore persino a quella del 2010, l’anno in cui la Chiesa tedesca fu scossa dallo scandalo degli abusi sessuali sui minori. In Germania la fede va dichiarata all’atto della dichiarazione fiscale; e in conseguenza di ciò – come illustra il recente caso di Luca Toni – la confessione di appartenenza rivendica e riceve una tassa, la “Kirchensteuer”. 

     Sono cifre considerevoli; nel 2011 la Chiesa tedesca ha percepito qualche cosa come 6,3 miliardi di dollari. La Chiesa tedesca è il secondo datore di lavoro nel Paese, e la sua influenza è considerevole nel Terzo Mondo grazie anche agli aiuti elargiti con i fondi della Kirchensteuer. Alcuni commentatori – come l’americano George Weigel – attribuiscono questa crescente disaffezione, oltre che a ragioni finanziarie, alla tendenza di una larga parte dell’episcopato a tentare di modificare la dottrina della Chiesa. Fra questi la dottrina relativa al matrimonio e ai sacramenti per i divorziati risposati, di cui si parlerà nel Sinodo dell’ottobre prossimo.

    E’ interessante in questo senso vedere che cosa afferma, in un’ampia intervista a “Zenit”, mons. George GaensweinPrefetto della Casa Pontificia  e già segretario di Benedetto XVI.  

    Alla domanda dell’intervistatore: 

    Alcune di queste dispute provengono dalla sua terra d’origine, la Germania. Perché?   

    Sì. È vero che non tutti gli errori vengono da là, ma il punto in questione certamente sì: vent’anni fa Giovanni Paolo II, dopo una lunga e impegnativa trattativa, non accettò che i cristiani risposati potessero accedere all’Eucaristia. Ora, non possiamo ignorare il suo magistero e cambiare le cose. Perché alcuni pastori vogliono proporre ciò che non è possibile? Non lo so. Forse cedono allo spirito del tempo, forse si lasciono guidare dal plauso umano causato dai media… Essere critico contro i mass media è certamente meno piacevole; ma un pastore non deve decidere in base agli applausi o meno dei media; la misura è il Vangelo, la fede, la sana dottrina, la tradizione.














    Gänswein: "Finora, Francesco è l’unica voce convincente che dice le cose come stanno"

    Il pontificato di Bergoglio, la rinuncia di Ratzinger, le sfide della Chiesa di oggi, il Sinodo di ottobre: tutto nell'intervista con il prefetto della Casa Pontificia, segretario di "due Papi"

    Città del Vaticano,  (ZENIT.orgJaume F. Vaello 

    Le stanze vaticane impressionano. Contrariamente a quanto accade negli studi televisivi – che dal vivo sono più piccoli di quanto appaiano dallo schermo – qui tutto è più grande: la Porta Sant’Anna, il Palazzo Apostolico, la maestosa scalinata, il Cortile di San Damaso. Magniloquenza storica: alcune sue parti infatti hanno più di 500 anni. Splendida ma, contrariamente a quanto alcuni continuano a dire, non ostentata; direi proprio il contrario. Mons. Georg Gänswein (1956) ci ha ricevuti in una di quelle stanze: non troppo grande, rossa, luminosa, antica ed elegante.  In mons. Gänswein non si riscontra quell’alterigia che ci si potrebbe aspettare da uno nella sua posizione, così vicino a due delle persone più influenti al mondo. Nel 1996 cominciò a lavorare col cardinale Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede, divenendone nel 2003 il segretario personale, posizione che ha mantenuto anche all’elezione del cardinale al soglio pontificio. Nel 2012 è stato nominato prefetto della Casa Pontificia e, con il nuovo pontificato, Francesco lo è confermato nella carica. Correva l’anno 2013, giusto nel mese in cui un caldo intenso paralizzava Roma... ma non Papa Bergoglio! Era il 31 agosto. Quindi, mons. Gänswein è, ad oggi, l’unica persona nella storia della Chiesa che serve due papi contemporaneamente. Vive con il Papa tedesco: la mattina, concelebra con lui, pregano insieme il rosario, passeggiano per una mezz’ora nei Giardini Vaticani. Nel pomeriggio, invece, lavora con il Papa argentino.

    ***

    Come fa a collaborare con due Papi? Non pare facile adattarsi a due personalità così diverse...

    Certamente sono molto diversi tra loro; e per me, dopo una lunga esperienza come segretario del cardinale Ratzinger, poi Benedetto XVI, iniziare a lavorare anche con Papa Francesco non è stato facile. Diciamo che, usando un linguaggio informatico, ho dovuto ‘rendermi compatibile’, perché è stato un cambiamento abbastanza intenso. Avevo già ricevuto l’incarico di prefetto, che Francesco ha voluto riconfermare. Quello che facciamo – i miei collaboratori ed io – è servire. E questo è tutto. Come si fa? Dipende molto dal modo in cui il Papa guida la Chiesa. Tuttavia, devo dire che c’è un grande vantaggio in tutto questo: vivere e lavorare con due papi, e fare esperienza di questa diversità, mi ha aiutato e mi aiuta a crescere umanamente e siritualmente.

    Al di là delle differenze fisiche – le scarpe, la croce, ecc – sembra a volte che tra i due ci sia una distanza anche in ciò che dicono...

    Tutte queste storie che sentiamo dall’inizio del pontificato, come ad esempio che usi scarpe nere, oppure il materiale della sua croce pettorale sia o meno d’argento, sono secondarie: sono cose esteriori, modi di fare. Se si guarda un po' meglio ai contenuti, si vedrà che nell’esercitare il munus petrinum c’è continuità con Benedetto XVI. Ed è giusto così. Stiamo parlando di un sudamericano e di un tedesco, di due personalità molto diverse. Il primo è educato e formato dalla spiritualità gesuita, ed è logico che il suo modo di pensare, di fare ed anche di esercitare il servizio petrino sia diverso da quello di chi ha avuto una formazione anzitutto accademico-universitaria.

    Spesso Francesco mi ricorda Giovanni Paolo II...

    Sì, può essere. Anche se sono arrivati alla Sede di Pietro con vent’anni di differenza. Entrambi avevano già accumulato un’enorme esperienza pastorale, anche se in un contesto politico e culturale molto diverso. Papa Francesco dopo aver diretto una diocesi grande e non facile come quella di Buenos Aires; san Giovanni Paolo II alla guida della Chiesa di Cracovia che, all’epoca, era l’unico luogo dove esprimersi in modo libero. Penso che possiamo paragonarli in questo, ma anche in alcuni aspetti della loro personalità.

    Quali?

    Francesco, ad esempio, parla molto della ‘cultura dell’incontro’: incontrare persone, ed incontrarne il più possibile. Giovanni Paolo II non ha parlato espressamente di questa cultura, ma la ha costantemente messa in pratica. È il contatto con gli altri, incluso il contatto fisico, che colpisce dei due Papi.

    Qualche volta ho sentito dire: “Giovanni Paolo II è il Papa della speranza; Benedetto XVI il Papa della fede; Francesco il Papa della carità”. Lei pensa che, anche se semplice, possa essere una buona analisi della realtà?

    È difficile riassumere in una parola un intero pontificato. Ogni volta che si cerca di racchiudere in una parola qualcosa di complesso si corre sempre un rischio. Direi che Papa Francesco è il Papa dei gesti, il Papa della misericordia. Siamo ancora in cammino; in ogni caso, dopo due anni, credo che definirlo ‘il Papa dei gesti’ possa servire almeno a dare un’idea.

    A due anni dalla rinuncia, a cosa si riferiva Benedetto parlando del suo “pellegrinaggio terreno”?

    Nel suo ultimo breve discorso, a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha parlato della “ultima tappa del pellegrinaggio terreno”. E prima aveva detto che lui non sarebbe sceso dalla croce, che non avrebbe lasciato il Signore. Sale sul monte a pregare per la Chiesa e per il suo Successore. Il suo ruolo ora è spirituale: pregare per la barca di Pietro. È importante ricordare che la Chiesa non la si governi solo con decisioni e strategie, ma anche e soprattutto con la preghiera. La Chiesa è una ‘squadra di preghiera’, e sappiamo bene che, quante più persone pregano meglio è. In questa squadra il Papa emerito ha un posto particolare da “pellegrino”.

    Alcuni ancora non capiscono la rinuncia e la interpretano come come una strategia per bloccare alcuni tentativi di causare 'grossi danni'...

    Potremmo scrivere un intero libro di ipotesi e teorie al riguardo! Papa Benedetto XVI, quell’11 febbraio, ha letto una breve e chiarissima dichiarazione esponendo le sue ragioni. Tutto ciò che di altro è stato detto ed ipotizzato è del tutto privo di fondamento. Se c’erano singole persone, o addirittura delle correnti, contro Benedetto, e irrilevante rispetto alla rinuncia. È ovvio che una persona come lui abbia riflettuto a lungo su una questione con una tale importanza. Non si è lasciato intimidire da nessuno. È stato molto chiaro nel suo colloquio con Peter Seewald, parecchi anni prima della rinuncia: “Quando ci sono i lupi, quando c’è il pericolo, il pastore non deve lasciare il suo gregge”. Non lo ha fatto allora, e non lo ha mai fatto; la sua non è una fuga. Questa è la verità, ed è l’unica spiegazione sul perché della rinuncia.

    In alcune occasioni Lei ha parlato dei "frutti" di questa rinuncia. Quali potrebbero essere questi frutti?

    Papa Benedetto si è reso conto che per guidare la Chiesa di oggi è necessario avere forza spirituale ma anche forza fisica. È un atto di grandissima umiltà rinunciare al papato per far posto a qualcuno più giovane e forte. Penso che si tratti di un grande esempio di amore per il Signore e per la Chiesa; un esempio che non tutti possono o vogliono comprendere. Osservando il pontificato di Papa Francesco, si può percepire come l’immagine della Chiesa sia cambiata in meglio. Papa Benedetto ha fatto il primo passo per il cambiamento: ha aperto la porta per percorrere questa strada. Credo che potrebbe essercene anche in futuro.

    Ammetterà comunque che per Lei quei giorni del febbraio 2013 non furono proprio tranquilli: chissà quali sentimenti contrastanti l’avranno attraversata...

    Indubbiamente. Per me furono giorni molto difficili, ma il travaglio cominciò in realtà nel momento in cui il Papa mi disse ciò che voleva fare, molti mesi prima. Naturalmente ho dovuto tacere e, come si può ben immaginare, ciò richiedeva un grande sforzo. Quel famoso 11 febbraio e, poi, il 28, ero attraversato da sentimenti di gratitudine..., ma anche di tristezza, e pure da qualcosa di paragonabile ad una sorta di lutto. Ma il Santo Padre aveva preso la sua decisione, una decisione di coscienza, coram Deo, e quindi da rispettare e da seguire.

    Secondo Lei perché Joseph Ratzinger la scelse come segretario?

    Che domanda! Lui aveva 75 anni, ed era convinto che Giovanni Paolo II avrebbe accettato le sue dimissioni. Io lavoravo già alla Congregazione per la Dottrina della Fede ed il suo segretario di allora aveva appena ricevuto un nuovo incarico presso la Congregazione per la Vita Consacrata. Il cardinale aveva bisogno di qualcuno che fungeva da segretario e ha scelto me. Non mi ha mai spiegato il perché ha scelto me, ed io non lo ho mai chiesto. Sono rimasto sorpreso, certamente; ma lui prese questa decisione ed io accettai.

    Credo che la sorpresa di vedere che il suo cardinale stava diventando Papa fu enorme...

    Sì, naturalmente. Non lo avrei mai immaginato, e credo tanto meno il cardinale stesso. È stato eletto. Lui voleva ritirarsi, ma il futuro è stato del tutto diverso! Ha accettato l’elezione da Papa perché ha visto in essa la volontà di Dio. Ed io sono diventato segretario di un Papa. Anche quei giorni furono per me come uno tsunami, come si può immaginare.

    Con l’avvento del nuovo Papa ha mai pensato che probabilmente lei avrebbe lasciato la carica di prefetto della Casa Pontificia, e che la sua vita sarebbe quindi stata un pò più ‘tranquilla’?

    No. Non perché fossi sicuro che sarei stato confermato, ma perché tutto ciò non mi preoccupava. Perciò non ci ho pensato molto, e non ho avuto paura al momento del cambio. È normale che il Papa, quando vuole, quando lo ritiene opportuno, cambia la squadra. Nel 2013 ha deciso di farmi rimanere in carica, ed io sono qui. Ora penso solo a servire nel miglior modo possibile.

    A suo parere, e ricordando che per Papa Ratzinger la lotta al relativismo fu molto imporante, quale ritiene essere il tema più caro al Papa attuale?

    La questione della verità rimane sempre importante e credo che Francesco la pensi allo stesso modo. Non è che non sia interessato alla lotta del relativismo, ma vede chiaramente che Dio, nel suo pontificato, gli chiede di concentrarsi su altri punti, su altre sfide. Gli sta molto al cuore di parlare di una “Chiesa missionaria, povera”; gli piace il concetto della Chiesa come ’ospedale di campo’ o “Chiesa in uscita”. È in questi ambienti che Papa Francesco attualmente sta lottando.

    Una delle sfide è la famiglia. Perché pensa che siano circolate così tante notizie confuse sull’ultimo Sinodo e su quello che si terrà nel prossimo mese di ottobre?

    Ci sono persone che hanno scritto o scrivono senza essere ben informate o ben preparate, e inoltre ci sono delle “correnti”. Perciò è molto importante che i Pastori della Chiesa ed anche i fedeli abbiano chiare le idee e il contenuto e le esprimono con franchezza e sincerità. Il Sinodo in ottobre deve partire non da un problema particolare, ma dalla tematica principale e cioè da “L’evangelizzazione e la famiglia”. Chiaro è che la Chiesa non chiude gli occhi davanti alle difficoltà dei fedeli che vivono in situazione difficili. Tuttavia la Chiesa deve offrire risposte sincere che si orientanto non allo spirito dei tempi, ma al Vangelo, alla Parola di Gesù Cristo e alla tradizione cattolica.

    Quali sono le sfide attuali in questo campo?

    Una sfida sono certamente i cristiani che si trovano in una situazione matrimoniale, teologicamente detto, “irregolare”. Vuol dire persone che hanno divorziato e si sono risposate civilmente. Dobbiamo aiutarle, certamente, ma non in modo riduttivo. È importante avvicinarsi a loro, creare contatto e mantenerlo, perché sono membri della Chiesa come tutti gli altri, non sono espulse tantomeno scomunicate. Essi vanno accompagnati, ma ci sono problemi riguardo alla vita sacramentale. Si deve essere molto sinceri da parte della Chiesa, anche da parte dei fedeli che vivono in questa situazione. Non si tratta solo di dire: “Possono non possono”. E lí, secondo me, si dovrebbe affrontare in modo positivo. La questione dell’accesso alla vita sacramentale è da affrontare in modo sincero sulla base del magistero cattolico. Spero che nei mesi di preparazione prima del Sinodo si presentino delle proposte che aiutino e servano per trovare le giuste risposte a tali pesanti sfide.

    Alcune di queste dispute provengono dalla sua terra d’origine, la Germania. Perché?

    Sì. È vero che non tutti gli errori vengono da là, ma il punto in questione certamente sì: vent’anni fa Giovanni Paolo II, dopo una lunga e impegnativa trattativa, non accettò che i cristiani risposati potessero accedere all’Eucaristia. Ora, non possiamo ignorare il suo magistero e cambiare le cose. Perché alcuni pastori vogliono proporre ciò che non è possibile? Non lo so. Forse cedono allo spirito del tempo, forse si lasciono guidare dal plauso umano causato dai media… Essere critico contro i mass media è certamente meno piacevole; ma un pastore non deve decidere in base agli applausi o meno dei media; la misura è il Vangelo, la fede, la sana dottrina, la tradizione.

    Perché pensa che questi media che ha appena menzionato dicano poco o nulla sui cristiani perseguitati? Il Papa è da solo?

    Il Papa è molto chiaro su questo punto e, purtroppo, grandi istituzioni tacciono o, se parlano, lo fanno in modo inconsistente. E ciò è molto grave. Si tratta di un comportamento inaccettabile. Fino ad ora il Papa è l’unica voce convincente e coraggiosa che dice le cose come stanno. Non ha paura e non cerca il plauso della gente. Agisce come san Paolo, cioè interviene in modo chiaro opportune e importune.

    La giornata del Papa è intensa, e ne concludo che anche la sua lo sia: non ha il tempo per giocare a tennis, come certamente vorrebbe, o dedicarsi all’attività universitaria. Avrebbe forse desiderato un’altra vita?

    Non mi sono mai posto questa domanda. Perché non mi sono mai detto: “Voglio fare questo, questo, o questo…”. Quando mi è arrivato un incarico, lo ho accettato. Papa Benedetto mi ha chiesto qualcosa, e quindi lo ho accettato e l’ho fatto volentieri. Lo stesso vale per Papa Francesco.

    Ripercorrendo la sua storia a partire da quei giorni di gioventù – in cui aveva i capelli lunghi (ride) – fino ad oggi, cosa direbbe Georg Gänswein della sua vita?

    Quando guardo indietro da questa prospettiva rido un pò di tutto ciò… Io avevo 18, 19 anni, e in quell’epoca – fine liceo e inizio di seminario – era di moda: non ero l’unico! A mio padre non piaceva, e ciò causò piccoli momenti di tensione. Ma personalmente mi è sempre stato utile un principio di vita: ‘fìdati, ma bada bene di chi’. E anche un altro, che in tedesco dice:Tue recht und scheue niemanden. Cioè, ‘fai tutto ciò che ritieni giusto e non avere paura di nessuno’.

    *

    L'intervista a mons. Gänswein è pubblicata in spagnolo e catalano su www.sumandohistorias.com/author/jaumefv/


    [Modificato da Caterina63 20/07/2015 14:02]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 30/07/2015 09:08

    Manifestazioni di cattolici gay in favoore del matrimonio omosex
     

    Già da tempo molti sacerdoti e teologi, anche cattolici, cercano di sdoganare l’omosessualità, perché sia accettata dalla comunità dei credenti come una forma legittima di amore. In un cammino spirituale orientato all’incontro con l’altro tu, in cui si rivela il Tu trascendente del Mistero d’Amore, dicono costoro, gli atti omosessuali non possono più essere considerati immorali. Ma sbagliano gravemente. Ecco perché.

    di Enrico Cattaneo


    Già da tempo molti teologi, anche cattolici, cercano di sdoganare l’omosessualità, perché sia accettata dalla comunità credente come una forma legittima di amore. Naturalmente, questo discorso riguarda solo quelle persone omosessuali che si dicono credenti e che vorrebbero continuare a vivere come credenti nella comunità ecclesiale, senza rinnegare l’esercizio della loro omosessualità. Ecco le loro argomentazioni. Essendo la sessualità un potenziale carico di eros, è certamente importante che questo eros non decada nello sfruttamento dell’altro o nel dominio sull’altro, ma sia educato a diventare strumento di una relazione autentica. 

    Questo discorso, secondo quegli autori, vale non solo per gli etero, ma anche per gli omosessuali. Non importa quale sia il sesso fisiologico. L’eros prescinde dal sesso. Il piacere erotico, infatti, si può provare anche nell’incontro con una persona dello stesso sesso. Si deve dunque proporre agli omosessuali credenti un cammino di crescita spirituale, orientata all’incontro con l’altro tu, in cui si rivela il Tu ineffabile e trascendente del Mistero d’Amore. In questo contesto, dicono, gli atti omosessuali non possono più essere considerati immorali. La moralità di un atto, proseguono, infatti, non sta nell’adesione a una norma, ma consiste nel favorire l’incontro, la relazione, l’aiuto reciproco. In questo senso si può parlare anche di una “fecondità” della relazione omosessuale, anche se è diversa dalla fecondità procreativa. In questo percorso spirituale, alla coppia omosessuale va però chiesta la stabilità e l’esclusività. 

    Stando così le cose, argomentano, non si capisce perché non si possa parlare di matrimonio e di famiglia anche per una coppia omosessuale, dato che ci sono i requisiti fondamentali della stabilità, dell’esclusività e della fecondità (sia pure in senso metaforico). E poiché una relazione stabile ed esclusiva è un bene per la società, non si vede perché una coppia omosessuale non debba avere un riconoscimento e una tutela giuridica da parte dello Stato. Una società in cui i gay possono sposarsi è una società che incoraggia l'impegno fedele.

    Ho cercato qui di sintetizzare, con molta benevolenza, il discorso di quei teologi, i quali spingono perché la Chiesa cattolica cambi il suo insegnamento sulla morale sessuale. Lì infatti vogliono arrivare. In sostanza, la loro argomentazione si riassume in questo: poiché in una coppia omosessuale è possibile (non è automatico, ma è possibile, tanto più se è formata da credenti) che ci siano sentimenti di amore, di oblatività, di sacrificio per l’altro/a, ciò è sufficiente per ritenere moralmente a posto quelle persone, e quindi ammetterle alla comunione eucaristica. Toccherà al sacerdote che segue quelle copie verificare se ci sia quel cammino spirituale, quel “vissuto”, e quindi anche eventualmente benedire quelle relazioni omosessuali basate su valori di amore, fedeltà e impegno.

    Di fronte a queste tesi, che sembrano di alta spiritualità, la prima cosa che uno si chiede è che fine abbia fatto il corpo, che, da che mondo è mondo, si distingue in maschile e femminile. Si parte dall’affermazione, ormai data per scontata, che l’omosessualità non sia più una patologia psichiatrica (com’era considerata prima del 1973), né un disturbo della personalità, né l’espressione di un disagio o di una mancata maturazione affettiva, ma un orientamento normale della sessualità umana. La componente genitale è allora solo un aspetto secondario e persino irrilevante della sessualità. Sbagliano dunque quelli che pensano che l’omosessuale sia interessato solo al sesso, sia pure fatto in un certo modo. Questo “certo modo” è del tutto marginale rispetto alla dimensione affettiva e spirituale. 

    Qui siamo chiaramente in una posizione di tipo gnostico. Per gli gnostici del II secolo quello che avveniva a livello del corpo (genitali) non aveva nessuna rilevanza morale per la persona “pneumatica”, quella cioè che aveva raggiunto o scoperto la sua “consustanzialità” con il Pneuma, lo Spirito divino. Da qui il loro libertinismo in materia sessuale.  

    A parte il fatto che nessuna persona di buon senso ritiene moralmente irrilevante l’uso del piacere sessuale, anche se poi uno cerca sempre di giustificare i propri comportamenti, l’insegnamento della parola di Dio, e in particolare quello dell’apostolo Paolo, è chiarissimo su questo punto. Di fronte alle tendenze pre-gnostiche dei cristiani di Corinto, i quali dicevano: «Tutto mi è lecito» (1 Cor 6,12), Paolo ricorda che «il corpo è tempio dello Spirito Santo» (6,19), «membra di Cristo» (6,15), e che non bisogna «peccare contro il proprio corpo» (6,18) con la fornicazione. Il corpo, infatti, è destinato alla risurrezione (6,14). Occorre dunque «glorificare Dio nel proprio corpo» (6,20). 

    Anche se il nostro corpo attuale è segnato dalla corruttibilità e dalla morte, tuttavia l’unità della persona è tale che non si può considerare il corpo escluso dalla moralità, come se essa fosse solo dipendente dall’intenzione dell’animo: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2 Cor 5,10).
    Paolo conosceva bene il mondo pagano, con la sua esaltazione di una sessualità senza freni, che egli condanna apertamente (cf. Rom 1, 24-32), escludendo che ci possa essere una “via cristiana” all’interno di un comportamento omosessuale. Le sue parole sono chiare: «Che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio. Che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato» (1Ts 4,3-6).
    E per non correre il pericolo di non essersi spiegato bene, aggiunge: «Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza l’uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito» (ivi, vv. 7-8). Già allora c’era chi con sofismi cercava di far passare nella vita cristiana il comportamento pagano. 

    Allora Paolo ammonisce: «Non illudetevi: né immorali, né idolastri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). E in questa condanna sono inclusi non solo chi compie quelle azioni, ma anche chi le approva (cf. Rom 1,32).
    Se la parola di Dio ha ancora un senso, allora questi insegnamenti dell’Apostolo non possono essere messi da parte come superati. Ma questa, obiettano, è una lettura fondamentalista della Bibbia. Per Gesù, dicono, la norma morale non è un assoluto, perché prima di tutto viene l’amore: essere orientati all’amore, è questo che fa la moralità dell’atto umano. Ma, chiediamo, che cos’è l’amore? Forse risponderanno come Pilato di fronte alla verità, cioè non risponderanno (cf. Gv 18,38). 

    Siamo consapevoli che nelle persone omosessuali c’è un grande bisogno di affetto, di tenerezza, di amicizia, di amore, ma questo bisogno è presente in tutti e deve esprimersi con verità, nel rispetto della propria condizione.

    L’eros sessuale non può essere messo semplicemente a servizio dell’amore a prescindere dal proprio stato e dalla differenza tra maschio e femmina. Ci sono infatti vari tipi di amore, come l’amore di amicizia, l’amore fraterno, paterno, materno, filiale, che escludono l’eros sessuale, pena cadere nell’incesto e negli atti contro natura.  

    C’è un unico amore capace di accogliere e di sublimare l’eros sessuale, ed è l’amore coniugale, dove il piacere sessuale e l’affettività sono al servizio dell’amore, che è una decisione che impegna tutta la persona per tutta la vita, in vista anche della generazione e dell’educazione dei figli. In un comportamento tra persone, non basta che ci siano elementi positivi perché esso risulti moralmente accettabile. Anche in una relazione adulterina ci può essere soddisfazione, affetto, dedizione, ma non per questo diventa moralmente accettabile. 

    Non è vero che la posizione cattolica porti la persona con tendenza omosessuale su una strada senza uscita, dando per scontato che la castità sia impossibile. Ciò significherebbe ammettere che la grazia di Cristo non sia efficace e che lo Spirito Santo non venga in aiuto alla debolezza umana. Proporre agli omosessuali un ipotetico percorso spirituale, chiedendo per di più un impegno di “stabilità” e di “esclusività” nell’esercizio della loro omosessualità, assomiglia molto a una visione romantica, assai lontana dalla realtà. Ciò non farebbe che illudere ancora di più quelle persone e far loro del danno invece che aiutarle. 





    GIOVANNI PAOLO II
    ANGELUS
    Domenica 9 luglio 2000

     

     

    Carissimi Fratelli e Sorelle!

    (...)

    3. Un accenno ritengo, poi, doveroso fare alle ben note manifestazioni (il gay-pride) che a Roma si sono svolte nei giorni scorsi.

    A nome della Chiesa di Roma non posso non esprimere amarezza per l'affronto recato al Grande Giubileo dell'Anno Duemila e per l'offesa ai valori cristiani di una Città che è tanto cara al cuore dei cattolici di tutto il mondo.

    La Chiesa non può tacere la verità, perché verrebbe meno alla fedeltà verso Dio Creatore e non aiuterebbe a discernere ciò che è bene da ciò che è male.

    Vorrei, a tale riguardo, limitarmi a leggere quanto dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale, dopo avere rilevato che gli atti di omosessualità sono contrari alla legge naturale, così si esprime: "Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione.
    Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione" (CCC 2358).

    La Madre celeste ci assista con la sua protezione.





    Il santo Padre Francesco, oggi, ci rammenta che sono tre “i nemici della vita cristiana”:
    “il demonio, il mondo e la carne”,
    ovvero le nostre passioni, “che sono le ferite del peccato originale”.
    Certo, ha osservato, “la salvezza che ci dà Gesù è gratuita”, ma siamo chiamati a difenderla:

    “Da che devo difendermi? Cosa devo fare? ‘Indossare l’armatura di Dio’, ci dice Paolo, cioè quello che è di Dio ci difende, per resistere alle insidie del diavolo. E’ chiaro? Chiaro.
    Non si può pensare ad una vita spirituale, ad una vita cristiana, diciamo ad una vita cristiana, senza resistere alle tentazioni, senza lottare contro il diavolo, senza indossare questa armatura di Dio, che ci dà forza e ci difende”.
    (Papa Francesco - Omelia a Santa Marta del 30.10.2014)








    [Modificato da Caterina63 30/07/2015 09:22]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 06/08/2015 00:27

     Don Eliseo Pasinelli, parroco di Sant’Anna a Bergamo manda una mail ad alcuni suoi collaboratori, ma poi la mail, per il suo contenuto molto chiaro, diventa di dominio pubblico e finisce addirittura sulle colonne del Corriere della Sera. 
    Ecco il testo: 
    «Attenzione! Quando inizierà la scuola, a settembre, vi sarà consegnato il “Patto di corresponsabilità”. 
    Vi diranno di firmarlo ma attenzione, con la vostra firma autorizzerete la scuola a impartire lezioni gender a vostro figlio, e non potrete più opporvi. Vi diranno che non è vero, che non c’entra niente con il gender. 
    Vi parleranno di cose buone come il rispetto, la lotta al bullismo, lotta alla violenza contro le donne e simili. 
    Parità di genere, educazione all’affettività: parole chiave dietro le quali vogliono nascondere l’indottrinamento all’ideologia gender, dicendovi anche che questa non esiste. Non cascateci: con l’inganno vi faranno firmare la vostra condanna, e non potrete fare più niente, perché avrete dato il vostro consenso. 
    Non posso ammettere una cosa, come l’omosessualità, che il Vangelo condanna. Chi non è d’accordo, si prenderà le sue responsabilità. 
    Il Signore ha creato l’uomo e la donna affinché diventino marito e moglie, non ha detto altro». 

    Se tutti i parroci di Italia avessero queste idee così chiare, la teoria del gender sarebbe presto archiviata.


     


    LA PROVOCAZIONE
    La Chiesa del dialogo rinuncia alla sua missione
     

    La Chiesa cattolica è ancora in grado di fare battaglie culturali (non dico religiose) o sa solo dialogare? 
    La Nuova Bussola Quotidiana sta mettendo in evidenza come a proposito di unioni civili, omosessualismo e gender, parte consistente e autorevole della Chiesa italiana abbia già rinunciato ad una battaglia di idee. 

    di Stefano Fontana

    La Chiesa cattolica è ancora in grado di fare battaglie culturali (non dico religiose) o sa solo dialogare? La Nuova Bussola Quotidiana sta mettendo in evidenza come a proposito di unioni civili, omosessualismo e gender, parte consistente e autorevole della Chiesa italiana abbia già rinunciato ad una battaglia di idee e abbia già percorso il tragitto, teorico prima ancora che pratico, verso il dialogo. Quando il dialogo non è con le persone ma con le idee sbagliate, esso comporta già una loro accettazione. Ci sono parroci e vescovi che disapprovano lo stile di lotta delle “Sentinelle in Piedi”. Lo considerano, nonostante la sua modalità inoffensiva, impositivo e non dialogico.  

    Ora, come ha spiegato questo quotidiano, emergono gli intellettuali che chiedono un doveroso dialogo con l’ideologia gender, fingendo di non vedere che essa è ormai ben altro dalla vecchia questione dei tempi degli “studi di genere”. Diocesi istituiscono tavoli di discussione in cui invitano anche l’onorevole Cirinnà, la firmataria del disegno di legge sulle unioni civili. Dirigenti di associazioni ecclesiali sostengono che nelle scuole è inutile e dannoso che i genitori scrivano lettere alla dirigenza o ritirino i figli per protesta contro l’ideologia gender che vi viene insegnata, mentre dovrebbero invece partecipare in forma di dialogo e tutto si stempererebbe nella normalità. Coloro che in questa fase sentono che c’è una battaglia culturale da combattere su questi temi, sentono anche di essere solo una parte, non si può dire quanto piccola o grande, della Chiesa e del mondo cattolico. Ma chiediamoci: perché sembra che la Chiesa non sia più capace di fare battaglie di idee?

    Ammettiamo che la rivelazione di Dio non avvenga dall’esterno del mondo e della nostra storia, ma avvenga dall’interno della natura e della storia, tramite la nostra esperienza e abbia quindi un carattere esistenziale. Ammettiamo che i cattolici non siano in possesso di verità che Dio, aprendo il Cielo stellato, ha comunicato, ma che la Sua comunicazione avvenga dall’interno di quanto ci capita nella vicenda della nostra vita. Ammettiamo che Dio non ci abbia rivelato un “ordine” frutto della Sua sapiente creazione, una nostra natura come progetto da completare, il nostro fine come vocazione già inscritta nella nostra natura ed elevata fin dall’inizio al soprannaturale. Ammettiamo che Cristo non ci abbia dato risposte. In questo caso i cattolici sarebbero, insieme a tutti gli altri uomini, persone che cercano. La differenza sarebbe solo che essi sanno per fede che in questo loro cercare si rivela Dio e che l’unico suo comandamento sia stato proprio questo: di cercare, camminando insieme a tutti gli altri uomini.

    Se supponiamo tutto questo, risulta evidente che il dialogo, da metodo diventa sostanza. E non solo il dialogo con gli altri uomini, ma il dialogo con le cose che accadono nel mondo, con le dinamiche dell’esistenza, con le ideologie. In questo caso la Chiesa non può più “dire” una verità ma solo dialogare. C’è chi dice che proprio dialogando la Chiesa può affermare meglio le sue verità, ma è solo una scusa che assume ancora il dialogo come metodo e non come sostanza. Nella situazione che ho brevemente descritto sopra, non c’è più il bene e il male, divisi in modo netto, almeno in certe occasioni. In tutte le situazioni di vita c’è del bene e del male e il dialogo tra gli uomini dovrebbe aiutarci a discernere, ma mai in modo definitivo. Anche il peccato risulta avvolto nella complessità dell’esistenza e difficilmente decifrabile.

    Capita così che in un’unione omosessuale ci può essere del bene che va considerato e apprezzato, che in una convivenza ci possano essere degli aspetti positivi che vanno fatti emergere ed eventualmente sviluppati. Nessuna situazione di vita è però condannabile. Nessuna idea è da combattere. Le cosiddette azioni intrinsecamente cattive (gli intrinsece mala della morale cattolica) non esistono e diventa inutile dire a chi condivide questa teologia che l’adulterio, l’esercizio del sesso fori del matrimonio, l’omosessualità sono sempre atti sbagliati. Per lui di atti sempre sbagliati non ne esistono, perché ogni atto è dentro una narrazione, va quindi contestualizzato ed affrontato non dottrinalmente ma esistenzialmente.

    In questo contesto teologico in cui il dialogo diventa sostanza è logico che i contenuti diventino accidente. Con queste premesse è logico che la pastorale (dialogica) assuma il primo posto e la dottrina l’ultimo: quando nelle parrocchie si parla di gender, in realtà, se ne discute. Oppure, come oggi si dice, ognuno porta la propria “narrazione”. Poiché la posizione teologica che ho sommariamente descritto sopra è molto diffusa nella Chiesa, anche italiana, e viene ormai quasi sistematicamente insegnata e condivisa negli ambiti pastorali, si comprende perché la Chiesa non sia in grado oggi di fare una battaglia di idee sul gender, e come essa cerchi invece il compromesso, o l’incontro, o il dialogo. La Chiesa non pensa oggi di avere una propria cultura, pensa di avere la cultura del dialogo. 

    Ecco spiegato anche perché coloro che invece si battono contro il gender lo fanno perché non condividono la teologia che ho richiamato sopra. Alla base non ci sono solo posizioni personali o la pressione di interessi vari, c’è una grande questione teologica che ci stiamo trascinando da molto e molto tempo. Chiedere al Papa, come hanno fatto i firmatari della “Richiesta Filiale”, di chiarire dottrinalmente i termini della questione omosessualità, della questione gender e affini, è come chiedergli implicitamente di chiarire decenni di teologie diverse dentro la Chiesa. Altrimenti che bisogno ci sarebbe di un simile chiarimento? Il Magistero ha già parlato, solo che le sue parole cadono su terreni teologici ormai molto diversi. Il punto è questo.

       

     

    Il cardinale Menichelli a Rovereto (TN): chiaro intervento su gender, matrimonio e utero in affitto

    Chiede che ci si metta alla scuola di Maria nella “sapienza della normalità” il cardinale Edoardo Menichelli*, Arcivescovo di Ancona-Osimo e segretario della commissione episcopale CEI per la famiglia, che – su invito dell’arciprete decano di Rovereto, Mons. Sergio Nicolli – stamattina ha presieduto la Santa Messa nella Solennità dell’Ausiliatrice, patrona della Città della Quercia.

    Per riscoprire la “sapienza della normalità”, il porporato marchigiano ha preso in esame alcuni titoli della Vergine Maria: donna, sposa e madre. 

    Nel parlare di Maria come donna, Menichelli ha subito chiarito che la Madonna aveva chiara la propria identità, quella di donna, non di essere un qualcosa di indeterminato come vorrebbe la teoria del gender. Donna, dedita come tutte le donne alla propria casa e con occhio attento alle necessità altrui. In questo contesto il cardinale ha messo per ben due volte esplicitamente in guardia dalla perniciosità della teoria del gender, “dietro la quale – ha ricordato – vi sono poteri economici, culturali e scientifici”.

    Proseguendo nell’omelia, pronunciata interamente a braccio, Menichelli ha preso in esame Maria come sposa, constatando come nella temperie odierna questo termine sia scomparso, a favore di termini meno forti quali “compagno” e “compagna”. Una tale scomparsa porta con sé, secondo il cardinale, la perdita del senso di una reciproca donazione totale e dell’impegno pubblico del proprio legame.

    Infine, ha affermato il porporato, la Madonna è madre. Vediamo l’aspetto umano della sua maternità nell’apprensione per il figlio, che manifesta assieme a Giuseppe, nell’episodio evangelico dello smarrimento di Gesù nella carovana. Secondo il cardinale, inoltre, Maria aveva ben chiaro che un figlio non è possesso dei genitori, né un diritto, bensì dono da accogliere. Menichelli ha dunque esortato a ricuperare il senso autentico della maternità e della paternità in un contesto culturale che propone uteri in affitto.
    Riassumendo la prima – e più cospicua – parte della sua omelia, Menichelli ha affermato che il più grande peccato del nostro tempo è quello contro la vita, invitando di conseguenza ad adoperarsi per la promozione della vita ed il ricupero della “sapienza della normalità”.
     
    * Edoardo Menichelli è arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo dal 2004. Il Santo Padre Francesco lo ha nominato membro della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia dell’ottobre 2014 e ha annunciato la sua creazione a cardinale “a sua insaputa” – come ha ricordato monsignor Nicolli nei saluti iniziali – durante l’Angelus del 4 gennaio 2015. Menichelli ha ricevuto quindi la porpora nel successivo Concistoro del 14 febbraio.




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    Athanasius Schneider: “Le buone intenzioni del Concilio Vaticano II sono finite nelle mani di uomini senza Dio”

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    Monsignor Athanasius Schneider.

    Monsignor Athanasius Schneider.

    Dopo l’intervista in esclusiva rilasciata a www.lafedequotidiana.com, monsignor Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan e uno dei vescovi più impegnati in difesa delle verità cattoliche, ha rilasciato alcune dichiarazioni al sito spagnolo Adelante la Fè. Ricordando il beato Alexis Saritski, Mons. Schneider rammenta che era «affabile e simpatico» ma allo stesso tempo era un uomo «senza compromessi» che «ha insegnato la verità piena della legge di Dio», e che invitava a «mantenere la purezza del cuore e la fedeltà alla fede cattolica». Ripescando nei suoi ricordi, Schneider ha ricordato anche Padre Janis Pawlowski che, celebrando «la Messa con tanta devozione e riverenza» ha lasciato un’impronta indelebile nella sua anima, tanto che, «quando, a dodici anni, ho sentito la chiamata del sacerdozio – ricorda Schneider – mi è venuto improvvisamente in mente il volto santo del sacerdote».

    Autore di Dominus est (pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2009), testo che spiega benissimo i motivi della contrarietà alla pratica della Santa Comunione data sulla mano, Schneider ha detto che «è innegabile che una parte considerevole di quelli che ricevono la Santa Comunione sulla mano, soprattutto i più giovani, non hanno conosciuto la ricezione del ginocchio dell’Eucaristia e sulla lingua e non hanno la fede cattolica piena nella Presenza reale». Parlando delle cinque piaghe del Corpo mistico liturgico di Cristo (il sacerdote celebrante che guarda verso i fedeli e non più verso Cristo, la Santa Comunione data sulla mano, le nuove orazioni dell’offertorio, la scomparsa del latino nelle celebrazioni liturgiche, il lettorato e l’accolitato dato alle donne), Schneider ricorda che «nessuna di queste ferite liturgiche trova supporto, anche lontanamente, nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia Sacrosanctum Concilium» ma «sono state introdotte in conformità con un piano specifico elaborato da un piccolo gruppo di liturgisti che, fatalmente, occupavano posizioni chiave nella Curia romana durante l’immediato periodo post-conciliare».

    Schneider  denuncia che tutto ciò è stato fatto «con astuzia e inganno», facendole passare come «se fossero la volontà del Papa» mentre le manipolazioni sono state documentate, ad esempio, nei libri del cardinale Antonelli e nei ricordi di Louis Bouyer, entrambi membri della Commissione post-conciliare sulla Liturgia, e quindi testimoni oculari. «Per qualche misteriosa ragione – sottolinea Schneider – Dio ha permesso che le buone intenzioni dei Padri del Concilio Vaticano II cadessero nelle mani di uomini senza Dio e ideologi-rivoluzionari liturgici. Hanno messo la sacra liturgia di Santa Romana Chiesa in stato di prigionia, in una sorta di esilio ad Avignone». Secondo il vescovo kazako, per guarire da queste piaghe sono necessarie delle contromisure, per esempio studiare «attentamente il testo della Sacrosanctum Concilium e, in particolare, i verbali delle discussioni del Consiglio su questo tema, al fine di conoscere la vera intenzione dei Padri conciliari (mens Patrum)», «scoraggiare e limitare la ricezione della Comunione sulla mano», «istruire catechesi e omelie sull’ineffabile mistero divino della Santa Eucaristia, la liturgia cattolica perenne e immutabile della sacra teologia, e il significato spirituale dei dettagli dei riti», «organizzare conferenze scientifiche e liturgiche per seminaristi, sacerdoti e laici per insegnare i principi liturgici perenni e la natura organica della liturgia, interrompendo i moderni “miti liturgici”», applicare e non ostacolare «gli insegnamenti del motu proprio Summorum Pontificum del Papa Benedetto XVI».

    Schneider insegna che «l’essenza del protestantesimo è di respingere la piena verità dell’Incarnazione, con tutte le sue conseguenze: la visibilità della Chiesa, la vita sacramentale, la realtà e la grandezza della Presenza eucaristica, le caratteristiche “incarnative” della liturgia. L’attuale crisi della Chiesa si manifesta principalmente in questi due atteggiamenti: una spiritualità gnostica e un naturalismo orizzontale, la cui radice è l’antropocentrismo, che a sua volta è una caratteristica tipica del protestantesimo”.

    In conclusione di intervista Schneider sottolinea che «se la Chiesa non riesce a influenzare, o non lo fa a sufficienza, il mondo e le sue realtà attraverso doni soprannaturali (la grazia, la luce della verità divina) e, invece, si occupa principalmente di questioni naturali e realtà temporali (ad esempio la giustizia sociale, l’ecologia), priva il mondo della dimensione eterna del cielo. L’attività principale della maggior parte della struttura ufficiale della Chiesa cattolica (associazioni, commissioni, etc.) è immersa nel temporale e orizzontale, isolandoci dal sovrannaturale, dal cielo. È questo il problema centrale della crisi della Chiesa. Un tale atteggiamento conduce al relativismo dogmatico, morale e liturgico, e, infine, a una grave mancanza di fede, al confine con l’apostasia e il paganesimo».

    Matteo Orlando



     

    [Modificato da Caterina63 10/08/2015 21:00]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 13/08/2015 08:41

    Barconi immigrati
     

    La polemica tra il leader della Lega Salvini e il segretario della CEI ha raggiunto vette al limite dell'assurdo (perfino una terribile intervista a mons. Galantino cancellata con tante scuse dal sito di Famiglia Cristiana). È il solito modo per evitare di affrontare seriamente il tema dell'immigrazione clandestina. Alimentando anche falsi miti, come quello della generosità dei paesi poveri contrapposta all'egoismo dei paesi ricchi.

    di Riccardo Cascioli e Anna Bono

    La polemica tra il leader della Lega Salvini e il segretario della CEI ha raggiunto vette al limite dell'assurdo (perfino una terribile intervista a mons. Galantino cancellata con tante scuse dal sito di Famiglia Cristiana). È il solito modo per evitare di affrontare seriamente il tema dell'immigrazione clandestina. Alimentando anche falsi miti, come quello della generosità dei paesi poveri contrapposta all'egoismo dei paesi ricchi.

    GALANTINO-SALVINI, UNO SCONTRO POCO SERIO
    di Riccardo Cascioli

    Quelli che «ributtiamoli indietro» e quelli che «prendiamoli tutti» sono opposti schieramenti ideologici che alimentano polemiche impedendo di affrontare seriamente il problema dell'immigrazione clandestina. E ricordare che siamo davanti a un fenomeno destinato a crescere nel tempo, che andrebbe gestito ben prima dell'imbarco per l'Italia.

    I PAESI POVERI SONO PIU' ACCOGLIENTI? FALSO
    di Anna Bono

    L’86% dei profughi è ospitato in paesi in via di sviluppo. E allora questo vuol dire che i paesi più poveri sono altruisti, mentre quelli ricchi sono egoisti? Editorialisti, politici e religiosi dicono così. Ma non tengono conto che questi profughi provengono da paesi confinanti e sono assistiti dall'Acnur. Coi soldi dei paesi ricchi.





    Card. Schonborn: le chiese europee non sono un blocco, ma il Sinodo avrà un buon percorso


    Il cardinale Christoph Schönborn, dopo aver partecipato all’incontro organizzata dal Napa Institute, rilascia un’intervista al National Catholic Register e sottolinea, citando il Catechismo, che il divorzio “ha un effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale”.

    “Quante famiglia”, aggiunge l’arcivescovo di Vienna, “sono crollate attraverso il divorzio dei genitori? (…) Perciò spero che il Sinodo avrà parole molto incoraggianti per aiutare i cattolici a superare la tentazione del divorzio.”

    Rispetto al dibattito sinodale, con le varie posizioni espresse dai vescovi, il cardinale Schönborn non si nasconde, ma ritiene che i media enfatizzino troppo le diversità di opinione. “Le Chiese europee non sono un blocco.”, chiarisce il cardinale austriaco. “Ci sono situazioni molto diverse in ogni paese europeo. Molti vescovi polacchi non possono avere esattamente la stessa visione di molti vescovi tedeschi. Ma, in generale, ho l’impressione che siamo vittime della tipica necessità dei media di mettere tutto in bianco e nero. Senza sfumature”.

    In definitiva nutre grande speranza per il risultato del Sinodo, convinto che “cum Petro et sub Petro avrà un buon percorso.”

    In riferimento alla famosa frase di Papa Francesco, “chi sono io per giudicare?”, il cardinale ha risposto chiarendo che “astendersi dal giudicare non significa dichiarare bene il male e male il bene”. Perchè “Dio è il giudice”, tuttavia “in tutti i suoi insegnamenti il Papa è molto chiaro sulla questione delle unioni fra persone dello stesso sesso”.

    Alla domanda se l’approccio pastorale di Francesco abbia introdotto qualcosa di nuovo nella vita della Chiesa, Schönborn dice che, a suo giudizio, la continuità con Benedetto XVI è garantita. “Naturalmente”, specifica il cardinale, “Papa Francesco ha portato la sua esperienza dell’America Latina, e la sua spiritualità ignaziana. La mia impressione è che con le sue omelie e catechesi quotidiane Egli sta conducendo una sorta di ritiro ignaziano con tutta la Chiesa. In Evangelii Gaudium, che è un testo straordinario, ci sta aiutando a essere cristiani missionari in una società laica.”








    [Modificato da Caterina63 14/08/2015 13:50]
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 19/08/2015 19:12

    Il cardinale Robert Sarah: “Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”




    Il cardinale Robert Sarah

    Il cardinale Robert Sarah

    Il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, nel corso di un intervento sull’Osservatore Romano, si è espresso in maniera dura nei confronti delle modifiche liturgiche che in molte chiese vengono introdotte dai sacerdoti: “Su questi punti – scrive – l’insegnamento del Concilio Vaticano II è stato spesso distorto.” In particolare, Sarah ha affermato che “il celebrante non è il conduttore di uno spettacolo” riprendendo il pensiero di papa Francesco. “Non deve cercare il sostegno dell’assemblea, stando di fronte a loro come se le persone dovessero primariamente entrare in dialogo con lui. Al contrario, entrare nello spirito del Concilio significa stare nel nascondimento, rinunciare alle luci della ribalta.”

    Il cardinale Sarah chiede che si torni ad uno stile liturgico più tradizionale, in cui il prete, invece di rivolgersi all’assemblea, si rivolga verso est, “ad orientem”, la direzione da cui Cristo arriverà durante la sua seconda venuta. “Contrariamente a quanto dicono alcuni talvolta, è in piena conformità con la costituzione conciliare che tutti, prete ed assemblea, si girino insieme verso est durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, per esprimere il desiderio di partecipare all’opera di redenzione compiuta da Cristo. Questa pratica potrebbe essere reintrodotta innanzitutto nelle cattedrali, dove la vita liturgica dovrebbe essere di esempio per tutti.” Inoltre, per Sarah, il secolarismo ha infettato la liturgia: “Una lettura troppo umana ha portato alla conclusione che il fedele deve essere costantemente occupato.”

    Sarah nota che troppo spesso il sacerdote cerca di tenere alta l’attenzione dell’assemblea con modalità per nulla ortodosse. “Il modo di pensare occidentale, infarcito dalla tecnologia e deviato dai media, vorrebbe trasformare la liturgia in una vera e propria produzione da spettacolo. In questo spirito, molti hanno cercato di rendere le celebrazioni delle feste. A volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni elementi di intrattenimento. Non abbiamo forse visto la proliferazione di testimonianze, scenette, applausi? Immaginano di allargare la partecipazione dei fedeli, mentre, nei fatti, riducono la liturgia ad una cosa del tutto umana. Corriamo il reale rischio di non lasciare spazio per Dio nelle nostre celebrazioni.”


     


    LETTERA

    Matrimonio cristiano

     


     

    Una coppia non sposata ha un figlio, la vita di tanti. Ma poi l'incontro con la fede, un lungo cammino di preparazione e infine la grande gioia del matrimonio cristiano. E noi abbiamo visto accogliere con meraviglia il “mistero” nascosto ai dotti e agli intelligenti, ma rivelato ai piccoli e ai poveri.


    di Margherita Garrone

    Caro direttore,

    vorrei proporti alcune breve riflessioni a proposito della recente celebrazione di un matrimonio di amici, che mi ha fatto pensare in ordine al prossimo Sinodo. La cosa necessaria per curare la moria di famiglie e il disfacimento del matrimonio cristiano e comunque del matrimonio, è annunciare che l’Amore degli Sposi è dono della Trinità, e che la via è Cristo.


    8 agosto 2015


    “Chi è colei che sale dal deserto … vieni dal Libano, mia sposa, vieni… vieni…”

    Le brave signore escono dalla chiesa sconcertate, e io colgo una osservazione molto logica e riconducibile a quel “O tempora o mores” di latina memoria perché “una volta prima ci si sposava e poi si avevano i figli, ora …”, e così di seguito: “Tutto a rovescio! Tutto sbagliato!”

    Mamma mia quanto sono lontane queste due care signore dalla gioia e dall’allegrezza che ho provato io a questo matrimonio. Ho perfino battuto le mani (ben sapendo che il nostro parroco non lo gradisce), ma veramente il giubilo che sta dentro si ripercuote nell’atteggiamento e nel bisogno di condividere e coinvolgere.

    “Vieni dal Libano, mia sposa”: niente marcia nuziale ma questo dolcissimo invito dello sposo del Cantico e la risposta di lei, sposa e sorella, che ha raggiunto l’atteso del suo cuore. “Cercai l’amore dell’anima mia… l’ho trovato e non lo lascerò mai”: quale più completa dichiarazione d’amore! Chi non si lascia trasportare da tanto sincero bene! Questo Cantico dei Cantici è davvero una manifestazione profondamente umana di chi nel cuore non ha altro desiderio che unirsi al proprio amato!

    Non c’è nulla di profano in questo, anzi è tutto donato nel sacramento delle origini, il matrimonio, che il Genesi proclama come il disegno di Dio sull’uomo e la donna: “Lei è osso delle mie ossa … e i due saranno una sola carne”.

    Ma non basta, non è tutto qui, c’è dell’altro, molto più grande e divino. Se lo avessero intuito le nostre buone signore avrebbero, forse, gioito con chi cantava e batteva le mani. Se avessero intuito che a cantare con la tenerezza dello sposo “Vieni dal Libano, mia sposa” non era Mikol ma Gesù, il Crocifisso Risorto, che abbraccia la sua Chiesa uscita dal deserto della vita senza senso, appoggiata a Lui, suo diletto. La sua Chiesa così tanto corteggiata, cercata, perduta e ritrovata e finalmente fatta sposa nell’amore e nella libertà. Forse le nostre due buone signore non si sarebbero lasciate andare alle loro pessimistiche considerazioni.

    Signore, aprici gli occhi per vedere le tue meraviglie e godere della tua presenza in mezzo a noi! Il tuo Santo Spirito avvolge la nostra esistenza e noi rischiamo di non accorgercene! Sì, perché sono belli gli sposi, di una purezza rigenerata.  Ciò che è stato prima non importa al Signore Gesù che li ha amati tanto da dare la sua vita per loro. Egli ha allargato le sue braccia e non chiede altro che stringerli a sé e farli nuovi. Egli è lo sposo, questa coppia è la sposa bella, senza ruga  e senza macchia.

    Ecco perché io non potevo che esultare e scoppiare di gioia, perché io ho visto l’opera del Signore, lo sposo: “una meraviglia ai nostri occhi”. Ho visto anche l’ardente desiderio della sposa: sedersi a questo banchetto preparato per lei, finalmente. Cristo si è fatto cibo e bevanda per la sposa che è vestita come una regina per l’incontro con lui. 

    Noi che abbiamo camminato con questa coppia, anzi con questa famiglia (il figlioletto di otto anni li ha seguiti nel percorso condividendo), testimoniamo di quale predilezione siano stati oggetto, venendo da una situazione di assenza totale di alfabetizzazione della fede. Abbiamo visto accogliere con meraviglia il “mistero” nascosto ai dotti e agli intelligenti, ma rivelato ai piccoli e ai poveri.

    Il desiderio vivissimo dell’Eucarestia, della comunione di vita con Cristo, nasce da questa attesa, da questa scoperta. La rivelazione del “mistero” passa attraverso l’opera della Chiesa madre e maestra, che conosce i tempi e i modi perché questo dono inestimabile giunga in un cuore pronto ad accoglierlo e conservarlo come il bene supremo. “che, se tu dessi tutti i beni della tua casa (per comprarlo), solo troveresti il disprezzo”. 

    _____________________________________



     Un sacerdote risponde

    Sono sposata solo civilmente e penso di sposarmi in Chiesa in un'unica cerimonia col Battesimo del bambino che ardentemente desideriamo

    Quesito

    Salve,
    ho scoperto stamane il Vostro sito, e ho visto che date dei riscontri a domande spirituali che Vi vengono poste.
    Ieri sono rimasta profondamente scossa da due notizie ricevute durante la confessione in preparazione della messa e dell'Eucarestia, ossia che non posso ne accostarmi alla confessione ne ricevere Gesù visto che al momento sono solo spostata civilmente.
    Sono rimasta tremendamente ferita da questa notizia, visto che specialmente la confessione la reputo uno dei sacramenti più importanti per l'anima della persona nei confronti di Dio.
    Dico al momento solo sposata al comune perchè abbiamo comprato con mio "marito", da pochi mesi casa e visto che il mio nonno con la quale sono cresciuta e abitavo non era d'accordo con la convivenza non accettava che andavo a  vivere se non ero almeno sposata in Comune (ovviamente con il matrimonio in Chiesa anche il prima possibile).
    La nostra intenzione sarebbe quella di festeggiare il battesimo di nostro figlio quando verrà e il nostro matrimonio in una sola celebrazione anche per condividere questa gioia non solo per la nostra unione davanti a Dio, ma anche con i partenti ed amici, visto che al momento con tutte le spese del caso non abbiamo possibilità di organizzare nulla.
    Faccio inoltre uso della pillola anticoncezionale, in via principale per delle problematiche curative e poi per contraccezione momentanea.
    Ho avuto purtroppo l'anno scorso un aborto di due gemellini ad un mese di gravidanza che mi ha scioccato, sopratutto perchè prego e sto male quando sento persone che praticano l'aborto.
    Spero comunque che quelle due anime che ho portato in grembo siano ora degli angioletti in paradiso.
    Sono molto confusa in questo momento perchè comunque sento che Gesù mi ama e mi sta vicino sempre, ho avuto una vita travagliata ma sempre ricompensata per opera Sua. (L'altra notte ho sognato la Vergine Maria che mi ha fatto il Segno della Croce sulla fronte).
    Per questo volevo ringraziarlo facendo anche la partecipazione ai cinque Venerdì di ogni mese, ma non credo che potrò partecipare in pieno visto che non posso ricevere l'Eucarestia.
    Non mi abbatto comunque, voglio tenere sempre Gesù dentro di me pregando, impegnandomi a non peccare per non ferirlo e spero di sposarmi al più presto in Chiesa per viverlo al meglio.
    Vorrei che questa mia mail, fosse di incoraggiamento a tutte le persone che non credono nell'amore di Dio e della Sua infinita Misericordia.
    Sono sempre più convinta che non dobbiamo abbatterci Mai, Dio ci Ama uno per uno e guarda con gli occhi dell'amore il nostri cuore, dobbiamo vivere con la sola intenzione di guadagnarci il Regno dei Cieli perchè è l'unico scopo importante in questo cammino terreno.
    Grazie per avermi dato l'opportunità di esprimermi.
    Saluti.


    Risposta del sacerdote

    Carissima,
    1. sono contento che tu abbia avuto l’opportunità di imbatterti nel nostro sito e forse nelle nostre risposte avrai trovato le ragioni per cui il giorno precedente ti era stato detto che non potevi accostarti alla confessione e all’Eucaristia.
    Sono contento anche che il Signore ti dia dei segni della sua vicinanza perché, a quanto mi dici, finora la tua vita è stata parecchio travagliata.

    2. Comprendo il dispiacere che hai provato nel sentirti dire che non potevi confessarti dal momento che giustamente reputi “specialmente la confessione uno dei sacramenti più importanti per l'anima della persona nei confronti di Dio”.
    Sì, è vero. Non c’è esigenza più grande per una persona che quella di essere perdonata da Dio.

    3. Il perdono di Dio è diverso e più profondo di quello che danno gli uomini.
    Gli uomini possono perdonare, ma la colpa rimane e nessuno la può togliere.
    Possono far finta che non sia stata compiuta, possono dimenticarla, ma non possono far sì che essa non sia stata compiuta.
    Il perdono di Dio invece cancella il passato, lo lava nel Sangue Redentore di Cristo.
    Come il Battesimo rende “nuova creatura”, così anche la confessione - che dai Santi Padri (gli Autori cristiani dei primi secoli) veniva definita come un secondo Battesimo - rende nuovi.
    E come il Battesimo è di necessità per la salvezza, così è ugualmente necessaria la confessione per salvarsi per chi si trova in peccato mortale.

    4. Vengo però adesso al motivo per cui chi è sposato solo civilmente non può accostarsi ai sacramenti della confessione e della S. Comunione.
    Gesù Cristo ha elevato il matrimonio, già voluto da Dio all’alba della creazione, a dignità di sacramento, e cioè di segno sacro dell’amore di Dio per l’uomo e di Gesù Cristo per la Chiesa.
    Chi è battezzato, e cioè innestato in Cristo come tralcio alla vite (Gv 15,1 e ss.), deve studiarsi di attingere dall’infinito amore di Cristo l’instancabile capacità di amare nella buona e nella cattiva sorte e di essere fedele per sempre.
    Il sacramento comunica questa forza e impegna ad esserne testimoni.

    5. Inoltre chi si sposa col sacramento del matrimonio sa che il marito e la moglie sono, sì, una realtà, ma nello stesso tempo sono un segno che rimanda ad un’altra realtà, anzi ad un’altra Persona ancora più importante, Gesù Cristo che costituisce come l’obiettivo principale e ultimo del proprio matrimonio.
    Si tratta dunque di vivere con sempre maggiore intimità con Cristo, che è il nostro vero Sposo per sempre.
    Il matrimonio dunque è un segno o una metafora attraverso la quale Cristo  vuole introdurre gli uomini ad un’altra intimità, ad un’altra sponsalità: quella per la quale diventiamo a Lui intimi e sposi, con tutti i diritti e i doveri che vi sono connessi.
    Questo, come puoi vedere, tocca il senso ultimo non solo del nostro sposarsi, ma anche del nostro vivere su questa terra.

    6. Sposarsi solo civilmente, sebbene rappresenti un impegno che ci si assume pubblicamente nei confronti del proprio coniuge, per un cristiano è come un fare a meno e anzi un disprezzo del di più che Gesù Cristo è venuto a portare.
    Questo di più consiste in due cose: la prima è quella che ti ho detto or ora e che consiste nell’essere introdotti in un’altra Sponsalità, che dà significato alla sponsalità umana e che va vissuta sempre, per non cercare da uno sposo umano ciò che solo lo Sposo Celeste può dare.
    La seconda consiste in una serie di grazie che il Signore dà ai coniugi cristiani affinché fedelmente, santamente e con perseveranza fino alla fine possiamo compiere i loro doveri.
    Pertanto si può comprendere come mai i battezzati che non accettano di sposarsi col sacramento non innestano il loro matrimonio in Cristo e pertanto come cristiani non sono sposati.

    7. Questo è il motivo per cui secondo la Chiesa è valido tra battezzati solo il matrimonio sacramento.
    Questo è ugualmente il motivo per cui due battezzati sposati solo civilmente non possono accedere ai sacramenti della confessione e della Santa Comunione: è come se fossero conviventi, anche se davanti allo stato si sono assunti gli impegni matrimoniali.
    E questo infine è il motivo per cui se rompono le nozze contratte civilmente possono poi celebrare il matrimonio sacramento con un’altra persona.

    8. Mi dici che hai intenzione di sposarti in Chiesa facendo una cosa sola col Battesimo del figlio.
    Che in alcuni casi si faccia così per mettere una pezza a una situazione irregolare è un conto.
    Ma di per sé questo non è il criterio.
    Quando ci si sposa si deve avere la mente orientata a quello che si sta per fare e cioè celebrare la Sponsalità con Cristo.
    Quando si celebra il Battesimo si deve vivere la festa di un bambino che in quel giorno diventa figlio di Dio, viene purificato dal peccato originale e sottratto dall’influsso del maligno, viene santificato dalla grazia e aggregato alla Chiesa. Tutta la famiglia, insieme con lui, viene ricolmata di grazia.
    Si tratta pertanto di due momenti molto grandi da vivere intensamente uno per uno.

    9. Da quello che sembra emergere dalla tua mail pare che il criterio principale sia quello economico, per poter fare tutto anche esternamente con un certo dispendio e splendore esteriore.
    Non so quale grave ammontare economico ci sarebbe stato se ti fossi sposata in Chiesa chiedendo un rito molto semplice al parroco: voi due, i testimoni, i familiari stretti e qualche altro.
    Per il matrimonio civile avrete fatto così, anche in quello che è seguito al rito.
    Ma sposandovi col Sacramento vi sareste portati dietro molta grazia, molta benedizione, molta protezione, cose tutte alle quali invece vi siete sottratti, purtroppo, per vostra volontà.
    Certo, non ci avete pensato. Ma le cose stanno così.

    10. Il mio consiglio pertanto è che vi sposiate al più presto in Chiesa, magari anche solo voi due con i vostri due testimoni. 
    Perché è più preziosa la grazia che la vita (Sal 63,2) e avete più bisogno di questo che di tutto il resto.
    Così potrai finalmente confessarti.
    E poi potrai fare la Santa Comunione e donare alla tua famiglia questo tesoro così grande. È un tesoro di cui ne avete bisogno per tutte le sue necessità!

    11. Quando poi verrà il bambino, vi preparerete spiritualmente all’evento molto grande del suo battesimo e la vostra mente sarà immersa in una nuova grazia che investirà tutta la vostra famiglia.
    Fate dunque ogni cosa in maniera ordinata, come vuole il Signore.
    Non c’è sapienza migliore della sua.

    Ti auguro ogni bene, vi ricordo al Signore e ti benedico.
    Padre Angelo


     


    [Modificato da Caterina63 20/08/2015 13:22]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 25/08/2015 17:46


    Card. Erdő: la questione centrale del Sinodo sarà “Cos'è il cristianesimo?”






    Religione naturale o rivelata divinamente da Gesù Cristo?





    Conferenza Stampa Sinodo dei vescovi - 13 Ottobre 2014 C_



    L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio è sempre stato difficile e provocatorio, ha affermato di recente il cardinale ungheresePéter Erdő. La Chiesa, ha aggiunto, deve tenere a mente questo fatto mentre cerca di affrontare le situazioni del mondo al giorno d'oggi.

    Per il porporato ungherese, la questione centrale del prossimoSinodo di ottobre sulla Famiglia sarà “Cos'è il cristianesimo?”

    Il cardinale, Relatore Generale del Sinodo dei Vescovi, ha parlato il 23 giugno durante una conferenza stampa svoltasi in Vaticano per presentare l'Instrumentum laboris [documento di lavoro] del prossimo Sinodo.

    Nello spazio riservato alle domande, vari giornalisti lo hanno interpellato sui paragrafi 122 e 123 del documento, che hanno a che fare con la proposta controversa per cui la Chiesa ammetta i cattolici divorziati e risposati civilmente alla Santa Comunione. Il paragrafo 122 è stato uno dei tre respinti dai padri sinodali nell'ottobre scorso in Vaticano, non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi.

    Alla conferenza stampa erano presenti altre due figure chiave del Sinodo di ottobre: il cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, e l'arcivescovo Bruno Forte, Segretario Speciale del Sinodo.

    I commenti del cardinale Erdő sono stati intensi e ben accolti, anche se non hanno ricevuto grande attenzione da parte dei media. Pubblichiamo quindi le sue considerazioni.

    Domanda di Gianni Giannelli (Vatican Insider): Ciò che impedisce la Comunione eucaristica nel caso di un matrimonio fallito è chiamato “adulterio”. La domanda è questa: credo sia giusto considerare “adultero” un uomo sposato che durante il giorno sta con la moglie e la notte con l'amante, ma è possibile considerare “adulterio” - che impedisce l'accesso all'Eucaristia – una situazione di 15 anni successiva al fallimento del primo matrimonio, dopo 10 anni in cui si vive con un'altra persona fedelmente e con dei figli? Possiamo dire che sia “adulterio” nello stesso modo? Il fattore del tempo mi sembra determinante... Questo Instrumentum Laboris mi dà l'impressione che si prometta tutto e niente. Speriamo che permettere che il “sì” di una persona significhi “sì” e il “no” “no” valga anche per il Sinodo.

    Cardinale ErdőLa questione è profonda, e non possiamo offrire una risposta esaustiva con una replica breve. Sono coinvolte questioni serie, perché la domanda centrale del Sinodo è alla fin fine “Cos'è il cristianesimo?”. Se siamo una religione naturale, allora dovremmo riflettere filosoficamente sul mondo, sull'esperienza umana, e cercare una soluzione che forse cambierà con ogni generazione. Oppure siamo i discepoli di Gesù Cristo, che è stato un personaggio storico concreto con un insegnamento concreto, a cui colleghiamo la storia e la tradizione e il cui insegnamento è piuttosto identificabile.

    Dobbiamo quindi esaminare la Bibbia con grande rispetto. Dobbiamo cercare con passione il volto personale di Gesù Cristo e la sua voce, e naturalmente lo facciamo anche attraverso la tradizione della Chiesa.

    E in questa tradizione disciplinare vediamo che l'insegnamento di Gesù sull'adulterio è stato molto esigente, anche scandaloso alla sua epoca. Anche i suoi discepoli dicevano “Se è così, non vale la pena sposarsi”. Non era quindi l'opinione diffusa nell'ebraismo dell'epoca. Perfino i rabbini della Galilea dei tempi di Gesù, il cui insegnamento è ora più studiato e conosciuto, avevano altre opinioni, diverse da questa. E così l'insegnamento di Gesù era molto forte.

    Circa la tradizione della Chiesa, nei Concili sono emerse questioni inaspettate, e la Chiesa ha ripetuto le parole del Vangelo. Posso portare l'esempio del primo testo della storia del cristianesimo in Ungheria. Parliamo del Concilio di Szabolcs, sotto San Ladislao all'epoca di Gregorio VII, che disse: “Se un uomo trova sua moglie con un altro uomo, dovrebbe mandarla via, ma se la moglie si pente può riprenderla indietro. Se non la riprende indietro, la moglie non può risposarsi, ma non può farlo neanche il marito”. Era quindi una disciplina molto forte paragonata ai costumi degli ungheresi che erano ancora vicini al paganesimo. Era molto salda. E la Chiesa voleva difendere questa posizione.

    […]

    La Chiesa, quindi, ha sempre saputo che il suo messaggio sul matrimonio contiene qualcosa di difficile e di provocatorio. Dobbiamo tenere a mente la serietà di questo fatto e cercare di affrontare le situazioni del mondo di oggi, perché la nostra missione è rivolta al mondo.



    [Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 05/09/2015 09:05
     Fede o ideologia? La libertà al bivio. Il caso della teologia della liberazione.  



    Abbiamo trascritto gli interventi di mons. Livi, del prof. Vignelli e del prof. Loredo della conferenza (in video postato sopra) «Fede o ideologia? La libertà al bivio. Il caso della teologia della liberazione. Presentazione del libro di Julio Loredo “Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri”», svoltasi il 15 giugno 2015 a Genova.
    Buona lettura oltre che buon ascolto.



     




    RIVELAZIONI
    Il papa emerito Benedetto XVI
     

    «Ho letto “Dio o niente” con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine». Lo ha scritto il papa emerito, Benedetto XVI, al cardinale Sarah, dopo aver letto il libro-intervista che il porporato africano ha pubblicato con il giornalista francese Nicolas Diat. Il testo viene ora pubblicato in diverse lingue, fra cui inglese e italiano.

    di Lorenzo Bertocchi


    Ho letto “Dio o niente” con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine». Lo ha scritto il papa emerito, Benedetto XVI, al cardinale Sarah, dopo aver letto il libro-intervista che il porporato africano ha pubblicato con il giornalista francese Nicolas Diat (clicca qui). Il testo, dopo essere uscito in francese, viene ora pubblicato in diverse lingue, fra cui inglese, editore Ignatius press, e italiano, Cantagalli. Di questo biglietto di papa Ratzinger a Sarah ha dato notizia Sandro Magister nel suo seguitissimo blog, riportando una frase importante di questa missiva.  «La sua coraggiosa risposta ai problemi della teoria del genere», scrive Ratzinger a Sarah, «mette in chiaro in un mondo obnubilato una fondamentale questione antropologica». 

    D'altra parte, l'allora papa Benedetto XVI non aveva esitato a definire «profondamente erronea» la cosiddetta teoria del gender, in un celebre discorso rivolto alla Curia romana nel dicembre 2012. «La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente», disse Ratzinger. «L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela». Molti si sono chiesti quali altre parole Benedetto XVI potesse aver scritto nella lettera al cardinale Sarah, qualcuno aveva vociferato che lo scritto del Papa emerito potesse essere stato pubblicato come prefazione in una qualche edizione fra le tante che vengono date alle stampe nella varie lingue. Si pensava a quella in lingua tedesca, ma in questo caso la prefazione è firmata da monsignor Georg Ganswein, attuale prefetto della Casa Pontificia e storico segretario di papa Benedetto XVI. 

    Almeno in parte, forse in gran parte, siamo in grado di svelare il piccolo giallo. Infatti, nella quarta di copertina dell'edizione pubblicata da Ignatius press si può trovare una versione più ampia dell'assaggio riportato da Sandro Magister. Ecco qua tutte le parole di Benedetto XVI rivolte a Sarah: 

    «Ho letto “Dio o niente” con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine. La vostra testimonianza della Chiesa in Africa, della vostra sofferenza durante il tempo del marxismo, e di una vita spirituale dinamica, ha una grande importanza per la Chiesa, che è un po' spiritualmente stanca in Occidente. Tutto ciò che avete scritto per quanto riguarda la centralità di Dio, la celebrazione della liturgia, la vita morale dei cristiani è particolarmente rilevante e profondo. La sua coraggiosa risposta ai problemi della teoria del “genere” mette in chiaro in un mondo obnubilato una fondamentale questione antropologica». 


     



                  

    La crisi della chiesa italiana? "Ragiona secondo il mondo". Parla monsignor Negri

    di Matteo Matzuzzi | 10 Settembre 2015 ore 

    Roma. “Mi rendo conto che quello che sto per dire non è in linea con l’ottimismo imperante, ma la società italiana è contraria alla chiesa”. Mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, è preoccupato. Guarda fuori l’arcivescovado, riflette e “senza scadere nei purtroppo consueti toni da bar”, fa la diagnosi dello stato di salute della chiesa nella nostra società.

    “Noto una certa coesione, dentro il mondo ecclesiastico e dei movimenti, sul fatto che non bisogna mettere in crisi l’unità della società. Ma questi non comprendono che l’unità di questa società è l’unità contro la chiesa, e non mettersi contro un’unità che è contro la chiesa, vuol dire di fatto favorire l’attacco alla chiesa”. 
    E questa, dice “è la prima esperienza intellettuale e morale che si prova quando si accosta il variegato mondo della cristianità italiana”. La situazione, spiega, “è paradossale”: “L’attacco è frontale, e investe le radici stesse non tanto – o soltanto – della fede, ma della società”. Gli esempi sono quelli di cui tanto si discute:“Penso alla questione del gender, della sacralità della vita. Di fronte a questi attacchi è come se il mondo cattolico non dico che guardi da un’altra parte ma peggio: rischia di non accorgersi affatto della pervasività di questo attacco, non vedendo cose che normalmente si vedono a occhio nudo”. C’è anche la responsabilità della chiesa o, almeno, di qualche suo settore, facciamo notare.


    “Certo, il fatto che molta chiesa italiana sul gender non abbia detto niente, o quasi, costituisce uno scandalo per i credenti”. Il Papa, però, le parole sul gender le ha dette. Ci sono intere catechesi del mercoledì sul tema. “Mi domando se la cosiddetta teoria del gender non sia espressione di una frustrazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”, diceva lo scorso aprile, ad esempio.

    “E’ vero”, dice l’arcivescovo di Ferrara: “Il Santo Padre è ripetutamente intervenuto sulla questione del gender, ed è stato non soltanto inequivocabile ma ha spinto a una azione sociale. Ora – dice Negri – dobbiamo riconoscere che gli inviti del Santo Padre non dico che siano stati disattesi ma certamente non sono stati un punto di promozione, tranne che per un gruppo di ecclesiastici italiani che parlando alle loro diocesi, e io mi metto fra questi, hanno reso possibile la partecipazione di tanto mondo cattolico a una manifestazione (il 20 giugno) che, anche dal punto di vista sociale, ha avuto il rilievo che conosciamo. Si tratta di chiarire dunque dove sta la ragione di questa grande debolezza”. 

    Domanda che si è posto anche il cardinale Rylko, a giudizio del quale “la manifestazione di Roma non è stata una manifestazione contro qualcuno, ma ha voluto essere un umile servizio alla grande causa dell’uomo, oggi minacciata da più parti”. 
    Dove stia, la ragione della debolezza, Negri lo dice subito dopo: “Come dice san Giacomo, la religione pura consiste nel soccorrere i bisognosi ma soprattutto nel non uniformarsi alla mentalità di questo mondo”. Il problema è che “oggi ci troviamo di fronte una cristianità che ragiona secondo il mondo e che non ha la forza di opporre al mondo un’alternativa sul piano della verità della vita. In tal senso ci troviamo di fronte a una crisi culturale della cristianità italiana”.


    Il problema è che ormai “i criteri fondamentali di giudizio della realtà sono presi dalla mentalità mondana e ci si rassegna a occupare solo gli spazi che questa società consente, ovvero spazi di spiritualità individuale e di iniziative caritative depotenziate, come ci ricorda Benedetto XVI all’inizio della Caritas in Veritate, quando scrive che “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo”

    Un quadro allarmante, una diagnosi che necessiterebbe di una terapia forte: “Credo davvero che occorra, a tutti i livelli e ciascuno nel suo campo, riproporre il cristianesimo nella sua oggettiva radicalità, per renderlo attuale ovvero un’esperienza pienamente corrispondente alle esigenze dell’uomo d’oggi”. 

    Si potrebbe obiettare a mons. Negri che – considerato il livello di secolarizzazione che ormai ha permeato anche la società italiana – la terapia delineata appare di non così facile applicazione. Soprattutto, non si vede chi potrebbe metterla in pratica: “Devo dire che a questo livello la delusione più cocente – non solo mia ma di molti ecclesiastici veramente preoccupati per la presenza significativa del cristianesimo nella nostra società –è la sostanziale vanificazione del mondo associativo e laicale: è come se non ci fossero più i movimenti e le associazioni a sostenere il necessario e continuo confronto col mondo. La speciosa giustificazione è che non è più il tempo delle proposte forti che, quando ci sono, vengono additate come crociate. Senza considerare poi il fatto che un minimo di sensibilità storica dovrebbe far vergognare del modo con cui tanto mondo cattolico parla di crociate, fenomeno che non si conosce assolutamente e che viene criminalizzato sulla base di un laicismo insopportabile”.


    A ogni modo, dal torpore qualcuno s’è svegliato, andando oltre il caos calmo in cui versa la disorientata Cei di questo ultimo biennio: “Penso in particolare a quando alcuni vescovi hanno parlato con chiarezza, ad esempio nel caso della manifestazione del 20 giugno scorso, e la maggior parte del popolo cattolico ha risposto, totalmente incurante dei dissidi interni alla Conferenza episcopale italiana. Questo ci dice che forse l’aspetto determinante, e l’ho anche scritto più volte, è che l’episcopato di base ha ripreso la sua funzione di guida”. 
    Sull’associazionismo, l’arcivescovo di Ferrara è drastico: “La sua crisi è gravissima, e per questo la possibilità d’incidenza della chiesa in Italia è compromessa da una sostanziale inerzia di tante realtà cattoliche che fino ad ora erano risultate decisive”.


    La conversazione si sposta poi sul dramma dei cristiani perseguitati in vicino e medio oriente. “La terribile esperienza di violenze rende chiaro che l’Isis ha dichiarato esplicitamente guerra al mondo e non conosce regole, quelle regole che sono nate dalla grande civiltà del diritto, soprattutto occidentale. Lì, infatti, si ammazzano donne, bambini, anziani, si stupra, si violenta, si distruggono i grandi monumenti della cultura e dell’arte mondiale”. 

    E per fermare lo sterminio, bisogna agire. Non ha dubbi, mons. Negri: “La nostra cristianità, a certi livelli di responsabilità culturale e istituzionale, non si è ancora resa conto che forse è il momento di riprendere, con gli opportuni aggiornamenti e con le necessarie articolazioni, quell’idea fondamentale di san Tommaso d’Aquino – fatta propria dalla tradizione della dottrina sociale della chiesa – per cui è tollerabile che esista una forte azione di legittima difesa e di protezione, anche armata se necessario”. 

    Agire così, però, presuppone una profonda riflessione, “perché per ipotizzare l’idea di una esperienza come questa, comunque eccezionale, bisognerebbe avere dei valori per cui si vive, per cui si lotta e per cui si è disposti a morire. Questo occidente ha tali valori?”, si domanda il presule, prima di toccare la questione che più d’ogni altra sta coinvolgendo l’Europa, con le migliaia di profughi che bussano alle porte dell’Unione:
    “E’ un fenomeno di migrazione epocale, certamente già accaduto ma in modo meno marcato in altri momenti della storia dell’occidente, che non si può affrontare senza una cultura adeguata. Non si può ridurre il problema a un banale ‘tutti dentro o tutti fuori’, insopportabile semplificazione di un razzismo incondivisibile, ma neanche a un buonismo che, alla lunga, non è certamente una soluzione. Occorre che l’occidente si renda conto di quello che è in gioco in tutti i suoi aspetti fino alle possibili conseguenze”. 


    Ma la cultura che domina oggi l’occidente, qual è? “E’ ciò che rimane dell’orrenda crisi delle ideologie moderne contemporanee con la loro presunzione ateistica? E’ una cultura di tipo individualistico, consumistico, che vede la tecnoscienza come la soluzione di tutti i problemi? Questa – dice Negri – non è affatto cultura. E non si può stare di fronte a una massiccia migrazione, come quella che sta avvenendo, se non si hanno ragioni adeguate per vivere e per affrontare correttamente la realtà”. 

    Questo occidente, invece, “è disposto a vendere tutto, anima compresa; anche perché nella maggior parte dei casi l’occidente non sa neanche più di avere un’anima. Il che significa, a mio parere di pastore, che oggi la grande responsabilità ecclesiale è quella di una nuova radicale evangelizzazione, ovvero di un cammino educativo che riformi il popolo cristiano e che lo metta in grado di assumersi tutte le conseguenti responsabilità culturali, sociali, politiche e caritative”.

    _______________________________________________________


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    [Modificato da Caterina63 10/09/2015 21:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 11/09/2015 13:28
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      CI MANCAVANO PURE LE “SCHONBORNATE”!


    </header>

    Caro cardinale Schonborn, non è che voi “rischiate di diluire la chiarezza dottrinale” per aiutare queste persone, voi l’avete già bellamente diluita! ed ingannate queste persone! LE STATE INGANNANDO quando fate credere loro che – vivendo in adulterio – hanno ugualmente la benedizione di Dio. Voi separate il Gesù che porta a compimento la Legge, dal Gesù Buon Pastore riducendolo ad un buonista schizofrenico che quando ammonisce lo fa solo contro i rigoristi della legge. No! non funziona così.

    Ora abbiamo anche la schonbornite, ma paura di chi?

    Ci risiamo, oramai sembra una tarantella con il tam-tam, quando la Gerarchia non sa cosa dire, ecco la vaticanite acuta: NON ABBIATE PAURA! vedi qui – ne avevamo già parlato.

    Ma quando Giovanni Paolo II disse quelle parole ad inizio del pontificato diceva agli atei, ai cristiani reprobi, ai comunisti, ai banchieri: non abbiate paura… DI CRISTO!!

    Così come lo rispiegò bene Benedetto XVI nella sua omelia d’inizio pontificato – vedi qui –:

    “In questo momento il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro. Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: “Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!” Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta….”

    Ma la vaticanite acuta è contagiosa, non è da escludersi che in questo caso la malattia partita dal portatore sano con la bergoglionite acuta, nella gerarchia si sia estesa con degli aggravamenti.

    Il cardinale Schonborn a Radio Vaticana appunto, ripete a pappagallo quelle parole – vedi qui – e dice:

    “Papa Francesco ha voluto innanzitutto incoraggiarci a guardare la bellezza e l’importanza vitale del matrimonio e della famiglia con lo sguardo del Buon Pastore che si fa vicino a ognuno”.

    0032 schonbornite3Perdoni, cardinale Schonborn, ancora avevate bisogno del Papa per guardare la bellezza e l’importanza VITALE del matrimonio con lo sguardo del Buon Pastore?

    Ma perché, poi, quanti Gesù abbiamo? abbiamo forse il Gesù rigorista e cattivo in Matteo cap. 5,32 e cap. 19, o come in Marco cap. 10 e versetti seguenti, che “non si farebbe vicino ad ognuno”, differente dal Gesù Buon pastore, magari più compagnone e modernista?

    Va detto che il titolo, come si sa, è spesso ingannatore perché poi, il testo dentro, specifica il senso delle parole di quanto detto dal cardinale:

    “La sfida che ci lancia Papa Francesco – afferma poi il porporato austriaco – è di credere che, dotati di questo coraggio che ci viene dalla semplice vicinanza, dalla realtà quotidiana della gente, noi non ci allontaniamo dalla dottrina. Non rischiamo di diluire la sua chiarezza camminando con le persone, perché noi stessi siamo chiamati a camminare nella fede”. E osserva che troppo spesso teologi e pastori dimenticano che “la vita umana si svolge nelle condizioni poste da una società”, “in un quadro storico”. “In fondo – riprende – ci viene chiesto un atto di fede: avvicinarci, come Gesù, alla folla variegata senza avere paura di essere toccati”.

    Ah ecco! ora è più chiaro (sic): accompagnare le famiglie ferite senza paura di rischiare di allontanarsi dalla dottrina…. ma se tu vescovo temi di perdere la dottrina per strada se vai a spiegare a queste nuove famiglie di risposati (perchè è di loro che si parla, di divorziati risposati) che stanno vivendo in adulterio e cioè in stato di peccato mortale – perché è questo che ha discusso Gesù nei vangeli – allora ritirati in convento a pregare perché non tutti sono obbligati a predicare, non tutti sono chiamati ad evangelizzare verbalmente, si può servire nella Vigna in molti modi diversi e tutti strapagati dal Padrone della vigna (cfrMt.20,1-16), chi è debole, non preparato, può dare altra testimonianza perché non si tratta di “temere” di perdere la dottrina dal momento che in questo caso la si perderà al 99% come certo clero e certa gerarchia oggi ci conferma essere già avvenuto.

    Reverendissimo Padre Schonborn, non è che voi “rischiate di diluire la chiarezza dottrinale” per aiutare queste persone, voi l’avete già bellamente diluita! ed ingannate queste persone! LE STATE INGANNANDO quando fate credere loro che – vivendo in adulterio – hanno ugualmente la benedizione di Dio. Voi separate il Gesù che porta a compimento la Legge, dal Gesù Buon Pastore riducendolo ad un buonista schizofrenico che quando ammonisce lo fa solo contro i rigoristi della legge.

    No! non funziona così e lei che è stato allievo di Ratzinger dovrebbe avere a mente le parole di Benedetto XVI nellaSacramentum Caritatis, laddove specifica:

    “Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall’aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio…” (n.29)

    0032 schonbornite4Paura allora sì, ma non di applicare la dottrina di Cristo sul Matrimonio cristiano, al contrario dovreste avere paura per l’inganno e l’illusione che state seminando nel popolo di Dio. Voi gli state dando veleno mortifero.

    Voi ingannate il popolo, lo illudete di stare nel giusto perché avete paura di perdere “la decima”, avete paura delle chiese vuote, avete paura di perdere consensi alle vostre immagini di pastori buoni.

    Questa paura di cui tanto cantate è degli ignoranti, di chi ignora la verità, di chi ignora qualcosa di cui abbiamo già le risposte, è la fobia di qualcosa verso ciò che non si conosce.

    Si ha paura dell’inferno, questo sì, e di finirci dentro per l’eternità, per non fare invece la volontà di Dio e di non essere degni discepoli di quel sì, sì-no, no, testimoni della sua Dottrina. Si muore per difendere la dottrina che salva l’uomo e non per diluirla a danno della sua anima.

    Si diventa santi quando si salvano le Anime dicendo loro la verità sul loro stato di peccato e non ingannandole con artifici perversi e illusori, dicendo: “ma tanto siamo tutti peccatori!”

    D’accordo che anche l’orologio rotto segna due volte al giorno l’ora esatta, ma non esageriamo! non appiccicate addosso a noi LE VOSTRE paure! Grazie.






    Sinodo
     

    Cinquanta teologi e filosofi esperti di morale accusano: il paragrafo 137 dell'Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo sulla famiglia distorce gravemente l'insegnamento dell'enciclica Humanae Vitae e va contro ogni principio della morale cattolica.
    Svista?
    Niente affatto: è la deliberata volontà di sovvertire il magistero della Chiesa cominciando a togliere di mezzo l'enciclica di Paolo VI che provocò una spaccatura nella Chiesa.
    E nelle prossime settimane ne avremo conferma.

    - IL TESTO DELL'APPELLOdi David S. Crawford e Stephan Kampowski
    - KASPER E LA CONTRACCEZIONEdi Renzo Puccetti

     

    di Riccardo Cascioli

    L’accusa è pesante: il paragrafo 137 dell’Instrumentum Laboris, ovvero il documento base per la discussione al prossimo Sinodo sulla Famiglia (4-25 ottobre) distorce gravemente il significato dell’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae e fa fuori il senso stesso della morale cattolica. Non è cosa di poco conto perché «le inadeguatezze e le distorsioni contenute nell’Instrumentum laboris rischiano di avere conseguenze devastanti per i fedeli, che hanno diritto di conoscere la verità del depositum fidei. Infatti, se sarà avallato dal Sinodo, il paragrafo 137 seminerà confusione fra i fedeli».

    Ad affermarlo è un documento – che presentiamo nella traduzione italiana (clicca qui) – redatto dai professori David S. Crawford (Istituto Pontificio Giovanni Paolo II di Washington) e Stephan Kampowski (Istituto Giovanni Paolo II di Roma) e sottoscritto da una cinquantina di teologi e filosofi cattolici di tutto il mondo esperti di morale (clicca qui per le firme). Si tratta di un appello ai padri sinodali perché correggano quel paragrafo 137 che costituisce un grave pericolo per l’insegnamento della Chiesa. Anzi «Il paragrafo 137 dovrebbe essere pertanto soppresso e sostituito da un paragrafo che parli della coscienza in modo più preciso, che celebri la saggezza e la bellezza della Humanae Vitae e che aiuti i coniugi a comprendere che le grazie sono a loro disposizione per vivere il piano di Dio riguardo al dono della sessualità».

    Di cosa si tratta? In sostanza l’Instrumentum Laboris nell’affrontare il tema del discernimento morale mette l’un contro l’altro la coscienza ben formata dei coniugi con la norma morale oggettiva, proponendo di trovare un punto di equilibrio magari aiutati da un padre spirituale. È la negazione dell’enciclica Humanae Vitae(1968) di Paolo VI, pur furbescamente richiamata in modo elogiativo, della Veritatis Splendor (1993) di Giovanni Paolo II, e più in generale di tutta la morale cattolica.

    In pratica l’Instrumentum Laboris - formato dai contributi provenienti dalle Chiese di tutto il mondo ma redatto dalla segreteria del Sinodo, guidata dal cardinale Lorenzo Baldisseri e da monsignor Bruno Forte – lascia intendere che le norme morali della Chiesa non corrispondano alla verità dell’uomo, dato che Dio può parlare alla coscienza del singolo suggerendo comportamenti diversi da quelli prescritti dalle norme morali oggettive. Insomma è come se di fronte a una norma che condanna l’adulterio senza se e senza ma, Dio potesse suggerire alla coscienza di qualche persona che in fondo in fondo, a certe condizioni, l’adulterio è anche accettabile. Dopodiché bisogna trovare un punto di equilibrio ricorrendo a un terzo (la guida spirituale) che però lui stesso deciderebbe arbitrariamente non avendo una norma oggettiva cui fare riferimento.

    In altre parole si punta alla relativizzazione della morale, che ovviamente poi si estenderebbe ben oltre i confini della famiglia. Peraltro la formulazione del paragrafo 137 tradisce una concezione della norma morale che è soltanto negativa, coercitiva, quando invece dovrebbe spalancare alla bellezza della vita: «Suggerire che il contenuto oggettivo di una norma morale possa essere - dice il documento dei 50 moralisti -  “non rispondente alle esigenze della persona”, cosicché la conformità ai suoi comandamenti possa non promuovere il bene morale della persona, cioè il “bene della persona” (cfr. VS 50), è in contraddizione con la concezione cattolica della morale. La tesi secondo cui le norme morali possano anche non promuovere la felicità umana rispecchia una visione nominalistica e arbitraria della legge morale, visione secondo la quale un’azione è cattiva per l’unico motivo che è proibita. Una visione siffatta non corrisponde in alcun modo alla realtà della creazione di Dio. Va piuttosto affermato che, la legge morale, essendo corrispondente alla verità dell’atto creativo di Dio, esprime verità antropologiche in merito alla persona umana che non possono esser ignorate o violate senza ledere le nostre “esigenze e possibilità”, vale a dire senza far male a se stessi». 

    L’appello dei 50 moralisti è sicuramente da leggere tutto e meditare perché chiarisce anche il livello dello scontro che si prepara al Sinodo.

    È ovvio infatti che la formulazione del paragrafo 137, con la gravità delle sue affermazioni, non si deve alla sbadataggine o all’ignoranza dei redattori, bensì a una precisa volontà di sovvertire l’insegnamento morale della Chiesa. E le ultime dichiarazioni del cardinale Kasper, (che riprendiamo a parte commentandole,clicca qui) ne sono una ulteriore prova.

    Si conferma ciò che già scrivevo il 20 marzo 2014: «Non c’è dubbio che qualcuno vuole usare i prossimi Sinodi sulla famiglia per prendersi la rivincita sulla Humanae Vitae. Anche allora Paolo VI era stato blandito per anni dal mondo laico e da quei vescovi che dopo il Concilio si aspettavano cambiamenti dottrinali importanti in materia di morale sessuale e familiare, salvo poi passare repentinamente al linciaggio quando quella enciclica che riaffermava la dottrina della Chiesa su vita e famiglia fu pubblicata deludendo i “progressisti”. Ma da allora si è sviluppato in alcuni episcopati, nei seminari, negli ordini religiosi un Magistero parallelo che ha insegnato e propagato come dottrina della Chiesa ciò che era frutto di alcuni intellettuali e teologi ansiosi soltanto di “essere del mondo”. Intellettuali, teologi e vescovi che hanno palesemente disobbedito ai Papi, teorizzando anzi il valore di una disobbedienza che non poteva che essere “profetica”. E sono gli stessi che oggi esaltano papa Francesco, scoprendosi più papisti del Papa, scatenando anche una caccia agli “eretici”, rei di non accodarsi a questa rivoluzione ormai inarrestabile». 

    Le prossime settimane ci daranno certamente ulteriore riscontro.




    UN APPELLO. Confermare l’insegnamento della Humanae Vitae e della Veritatis Splendor.

     
    Dal sito dell'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân per la dottrina sociale della Chiesa
    Gli studi e gli appelli, anche autorevoli oltre che 'dal basso', non sono mancati. Tuttavia finora non sembra siano stati presi in considerazione. Tutto dipenderà da coloro che parteciperanno alla imminente Assise sinodale; ma anche da chi saprà trarne le conseguenze in base a quanto emergerà.

    15-09-2015 - di Stephan Kampowski e David S. Crawford
    In vista del prossimo Sinodo sulla famiglia che inizierà il 4 ottobre 2015, cinquanta moralisti di fama internazionale hanno firmato un Appello che riportiamo qui in versione italiana. Qui si può leggere l’originale inglese pubblicato sulla rivista americana First Things e le firme dei sottoscrittori.
    Il 23 giugno 2015 è stato pubblicato un Instrumentum laboris (“documento di lavoro”) approntato in vista della XIV Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Esso affronta una gamma di argomenti legati al tema della famiglia scelto per il Sinodo. Nel suo paragrafo 137 un documento-chiave del Magistero moderno, l’enciclica Humanae Vitae, viene trattato in un modo che pone in discussione la forza di quell’insegnamento e al tempo stesso propone un metodo di discernimento morale che è decisamente non cattolico. Questo modo di affrontare il discernimento contraddice quanto finora insegnato dal Magistero della Chiesa circa le norme morali, la coscienza e il giudizio morale, suggerendo che una coscienza ben formata possa trovarsi in conflitto con le norme morali obiettive.
     

    [Modificato da Caterina63 16/09/2015 13:11]
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 15/09/2015 10:12
     
    L’espressione «dittatura del relativismo» è del card. Joseph Ratzinger, che la utilizzò nell’omelia durante la Messa pro eligendo Romano Pontifice; non è priva di importanza storico-dottrinale, in quanto si trattava di un discorso dal carattere programmatico, pronunciato nell’imminenza dell’elezione del porporato tedesco al soglio pontificio (2005). L’utilizzo di questa espressione è poi divenuta una costante nel magistero di Benedetto XVI , e oggi, quando il timone della Barca di Pietro è passato nelle mani di papa Francesco (2013), spetta certamente a costui di farsi carico dell’eredità pastorale che il suo predecessore gli ha lasciato . Io qui voglio però sottolineare come spetti a tutti i credenti, con il Papa e assecondando le sue direttive dottrinali, di reagire di fronte alla propaganda del relativismo e di resistere alla pressione mediatica con la quale esso minaccia di rendere difficile, se non impossibile, la l’annuncio e la testimonianza della verità di Cristo nella società civile.
     
    L’essenza antimetafisica del relativismo

    Il relativismo consiste essenzialmente nell’affermare che ogni principio metafisico, ogni tesi teoretica, ogni valore morale è “figlio del suo tempo”, è relativo agli interessi di un ceto sociale, è espressione di una tradizione particolare, è insomma di per sé contingente e transitorio, e quindi non può essere mai un limite al progresso democratico e tecnologico né può essere mai addotto come motivo sufficiente per opporsi all’istituzione di nuovi “diritti civili” e di nuove esigenze di “riforma” degli istituti giuridici. Il relativismo consiste, in altri termini, in una giustificazione ideologica (retorica) di un processo politico mondiale che mira a eliminare ciò che resta dell’ordine naturale, ossia la religione naturale, il diritto naturale, la famiglia naturale, la procreazione naturale, la differenza sessuale naturale, la naturale gerarchia delle funzioni sociali. Il relativismo non si può dunque comprendere e apprezzare come si possono e si devono devono comprendere e apprezzare tutte le tesi di vera e propria filosofia (ossia, basate su principi di logica e di metafisica), ma va inteso piuttosto come una prassi. 

    La prassi che strumentalmente (per il procacciamento del consenso delle masse) utilizza concetti e ragionamenti filosofici si chiama, stando al lessico della moderna sociologia della conoscenza, “ideologia”. 

    I discorsi ideologici non rivelano per principio i criteri di verità dai quali partono, ma questi criteri inevitabilmente ci sono, perché la critica – in questo caso la critica del diritto naturale e della religione rivelata – presuppone un criterio assunto fin dal principio come verità assoluta da cui dedurre l’ammissibilità di ogni altra ipotesi di verità . Ma i discorsi ideologici non possono nascondere del tutto gli interessi materiali e le finalità di potere che li ispirano. La filosofia, quando è fedele alla sua missione critica e sapienziale, è sempre in grado di smascherare questi interessi materiali e queste finalità di potere, come fece Platone nei riguardi dei Sofisti. 
    Oggi l’analisi filosofica dei discorsi di stampo relativistico (nei media, dalla cattedre universitarie, nei parlamenti, nei tribunali, nelle corti costituzionali) è sempre in grado di rilevare il vero obiettivo che i propagandisti dell’irrazionalità si sono prefissi, ossia la definitiva “morte di Dio” in ogni spazio culturale esistente di fatto nelle società occidentali.

    Da almeno tre secoli il progetto antiteistico non si limita a negare l’esistenza di Dio con argomenti ricavati dall’agnosticismo kantiano oppure dal materialismo dialettico marxista o dall’evoluzionismo darwiniano (argomenti, tuti questi, privi di reale consistenza teoretica) ma mira a squalificare la fede nella rivelazione divina, riducendola ad appartenenza sociologica, ad affidamento a una tradizione o ad altre forme di opzione volontaristica: insomma, la confusa e contraddittoria polemica contro il “dogmatismo” della metafisica teista e i “praeambula fidei” altro non è se non il tentativo (già adesso in parte riuscito) di imporre agli stessi credenti l’idea che la loro fede sia razionalmente infondata, o che comunque non riguardi la verità della parola di Dio, espressa formalmente dai dogmi .
     
    È dunque il valore aletico del dogma l’obiettivo finale della polemica anticristiana dei fautori del relativismo. 

    Sicché appare evidente che la “dittatura del relativismo” attenta realmente alla fede cattolica: sia dall’esterno, con la propaganda dell’ateismo (e del secolarismo e con la polemica antidogmatica (in Italia ne sono alfieri Gianni Vattimo, Paolo Flores d’Arcais, Giulio Giorello, Piergiorgio Odifreddi; in America, Richard Rorty); sia all’interno, con l’imposizione, anche dall’alto di talune cattedre episcopali, di una teoria eretica circa la fede, la quale non richiederebbe alcuna certezza, ma anzi l’umiltà di non avere certezze da offrire agli altri (con il pretesto che ciò significherebbe mancare di rispetto verso chi non crede, presentandosi come superiori o migliori).
    Così compreso nelle sue motivazioni profonde, il relativismo, con la sua pervasività mediatica e la sua effettiva dittatura istituzionale, legislativa e burocratica, è il maggior attentato alla verità cattolica, la quale ― per questo, come per tanti altri motivi ― necessita di una efficace difesa sul piano scientifico-culturale. 
     
    Presupposto essenziale di questa difesa (apologia) è l’aver compreso a fondo, innanzitutto, l’essenza eminentemente razionale della dottrina cristiana, e poi anche l’aver saputo individuare da quale parte essa viene contestata. Nei discorsi di Benedetto XVI ci sono indicazioni precise e tecnicamente inappuntabili sui termini do questa dialettica: da una parte, appunto, il messaggio cristiano, che si presenta legittimamente come l’unica verità che salva; dall’altra, la reazione neopagana, che pretende di fornire argomenti razionalmente validi (filosofici, antropologici, scientifici, storici) con i quali si dimostrerebbe la non-credibilità del cristianesimo. 

    Questa reazione neopagana, peraltro, si presenta con i connotati più vistosi della modernità occidentale (il soggettivismo, l’intellettualismo illuministico, l’estetismo romantico, lo scientismo neopositivistico, il pragmatismo politico, sia conservatore che rivoluzionario), ma non è affatto dissimile dall’antica reazione pagana, quella che si servì della filosofia stoica, epicurea e neoplatonica per squalificare la religione cristiana proprio sul piano della verità, come quando Celso scrisse il suo Discorso vero (Ho alethes logos), volendo dimostrare che i principi metafisici e morali del dogma cristiano (soprattutto l’idea di creazione del nulla e di libertà nell’incontro tra Dio e l’uomo) erano incompatibili con la perfetta razionalità ellenistica.

    Anche oggi, la critica del cristianesimo viene condotta da gruppi di pressione ideologica che si servono della filosofia per smentire il cristianesimo sul piano della verità: la differenza, rispetto all’epoca antica, è che oggi la polemica contro la pretese di verità del cristianesimo viene condotta, paradossalmente, con argomenti che si riducono alla negazione di ogni verità. 

    Negazione solo retorica, non effettivamente pensata e argomentata, come presto dirò. Gli argomenti sono tanti e diversi l’uno dall’altro, anzi spesso incompatibili l’uno con l’altro (il che conferma il loro uso meramente retorico, ossia strumentale): viene utilizzato, di volta in volta, il soggettivismo di Descartes oppure lo scetticismo di Hume, il fenomenismo di Kant, la dialettica di Hegel, l’irrazionalismo di Kierkegaard, l’antiteismo di Nietzsche, l’empirismo logico del Circolo di Vienna, il materialismo dialettico di Marx-Engels, il pragmatismo di James, la fenomenologia di Husserl, l’esistenzialismo di Sartre, l’ontologia esistenziale di Heidegger, l’ermeneutica di Gadamer. 

    Il “pensiero debole” di Vattimo è oggi, in Italia (ma anche negli Stati Uniti, grazie alla collaborazione di Richard Rorty e della Columbia University), l’espressione più completa dell’assemblaggio di tutte queste categorie filosofiche , con l’inevitabile esito di un’incessante produzione di discorsi intrinsecamente contraddittori (ma di questo si accorgono solo quei pochi che si sottraggono al fascino ambiguo della retorica, perché dai filosofi si aspettano ragionamenti convincenti).
     
    Si può e si deve parlare di “dittatura”. Prenderne coscienza è la premessa necessaria per una resistenza attiva

    A taluni non è piaciuto (è sembrato esagerato, è stato etichettato come ingiustificato allarmismo e come retorico vittimismo) il termine “dittatura” applicato da Ratzinger all’ideologia del relativismo. Ma anche un intellettuale come Marcello Veneziani, che non amerebbe essere definito “cattolico”, ha ancora recentemente fatto delle considerazioni (riguardanti in particolare la questione giudiziaria in Italia) che confermano il legame intrinseco tra l’ideologia del relativismo e l’istaurazione di sistemi di potere politico di stampo dittatoriale: "Quando cadono i principi fondamentali di una civiltà, quando si respinge ogni verità oggettiva, e non c'è più una morale condivisa, una religione rispettata, un comune amor patrio a cui rispondere, allora l'unico criterio supremo che stabilisce i confini del bene e del male e le relative sanzioni è la Legge. In teoria, la legge è un argine al male. Ma in una società relativista che non crede più in niente, chi amministra la Legge, chi decide e sentenzia in suo nome, dispone di un potere assoluto, irrevocabile e autonomo che spaventa. Risponde solo a se stesso, in quanto è la stessa magistratura a interpretare la legge. L'unica differenza che c'è tra il potere dei magistrati e il potere degli ayatollah è che questi decidono e agiscono nel nome di una religione millenaria, radicata e largamente condivisa dal popolo su cui esercitano la loro autorità".
     
    I magistrati, invece, sono la voce e il bastone di una setta che dispone del monopolio della forza, cioè il potere di revocare libertà, diritti e proprietà secondo la loro indiscutibile interpretazione della Legge. I confini tra le prove e gli indizi vengono superati a loro illimitata discrezione, e così quelli tra testimoni e imputati, se i primi non confermano i dettami del magistrato; le garanzie e i diritti elementari non contano rispetto ai loro responsi sovrani e non contano nemmeno gli effetti pubblici, politici, economici, che essi producono con le loro sciagurate sentenze. Possono sfasciare imprese e perfino economie nazionali, governi, alleanze, partiti, famiglie e persone.

    L'arbitrio nel nome della Legge è il peggiore degli arbitri perché è ammantato di oggettività e di obbligatorietà, non è sottoposto a nessun vincolo se non la legge da loro stessi interpretata e amministrata. Talvolta il dispotismo giudiziario viene esteso ad altri enti, come le agenzie delle entrate quando possono usare poteri enormi in materia di controllo, sanzione, pignoramenti e interessi di mora. Gli effetti anche in quel caso sono devastanti. Non credo che i magistrati siano una specie malefica, quasi un'etnia feroce e una razza padrona. Sono nella media. Così come non credo che le agenzie di prelievo siano guidate da vampiri malvagi. Il problema è che se in una società incarognita e nichilista come la nostra che ha perso i confini del bene e del male, dove tutto è soggettivo e ognuno si stabilisce le regole di vita, dai a qualcuno un potere smisurato, l'abuso di potere è pressoché inevitabile. 

    È questo che rende particolarmente efferata e nefasta la loro azione al riparo da chiunque contesti la facoltà, il metodo e il merito delle loro decisioni» . “Dittatura”, in fondo, vuol dire violenza: la legge della forza che sostituisce nei fatti la forza della legge; non più iussum quia iustum ma iustum quia iussum. 
    È proprio il contrario di quello che vorrebbe far credere un relativista esemplare come Gianni Vattimo quando sostiene che la pretesa di una verità assoluta, quale che sia, porta alla violenza.
     
    Il dovere di resistere

    Se l’espressione “dittatura”, usata da Ratzinger, aveva un senso preciso- e chi ne abbia seguito gli insegnamenti non può dubitare che ce l’avesse –, allora la reazione dei credenti – ognuno nel suo proprio ambito di attività civile, ed eventualmente anche ecclesiale – non può che essere designata come “resistenza”: resistenza a un trend ormai non più solo occidentale ma addirittura globale di riforme legislative (soprattutto in materia di diritto di famiglia e di tutela dei nascituri, dei minori e degli anziani) che rilevano il disegno di eliminare dalla coscienza pubblica la nozione di legge naturale, anzi l’idea stessa che le cose tutte siano create da Dio e abbiano una “natura” voluta dal Creatore e quindi vadano gestite dall’uomo, lì dove egli può intervenire, nel rispetto dell’ordine creato. 

    Il sovvertimento dell’ordine sociale e del diritto positivo in quelle materie che Benedetto XVI indicava come particolarmente esposte al relativismo giuridico (egli, si ricorderà, ammoniva in cattolici che operano nella sfera politica a considerarle come connesse a «principi non negoziabili») appare chiaramente come un tentativo dell’ideologia relativistica di ignorare nei discorsi e di distruggere nei fatti l’«opera di Dio» (opus creationis e opus redemptionis), quella che i Padri della Chiesa d’Oriente chiamavano l’oikonomia. Si tratta, insomma, non tanto di ingenuo ateismo professato dalle masse secolarizzate, quanto di vero e proprio antiteismo (un tentativo folle di “uccidere Dio” che appare, alla luce della Rivelazione, come tipicamente satanico, quale che sia di fatto la consapevolezza di chi lo attua).

    In questa prospettiva storico-cultuale, la difesa scientifica della verità cattolica richiede di smentire sistematicamente le pretese di ragione, di razionalità e di ragionevolezza del relativismo. 

    La razionalità sta tutta dalla parte della verità cattolica: sia perché è dimostrabile e dimostrato che essa è razionalmente credibile, sia anche perché l’accettazione dei misteri rivelati, ossia la fede dei credenti in Cristo, poggia su ragioni personali che hanno tutte il crisma della piena razionalità, anche se appartengono alla coscienza del singolo. 

    I credenti hanno dunque il diritto e il dovere di proclamare la dottrina rivelata da Dio come assolutamente vera, anzi come l’unica verità che salva. Ma tutto ciò comporta che ci siano anche delle verità naturali, con carattere assoluto, che rendono possibile comprendere e accettare la rivelazione divina: sono quelle verità che Tommaso d’Aquino ha chiamato «praeambula fidei». 

    Esse coincidono con quelle evidenze naturali, innegabili, che io chiamo, con un termine moderno, il “senso comune”.
    Esse consentono di individuare nella conoscenza umana una gerarchia, una struttura consequenziale, per cui una verità presuppone un’altra come sua condizione di possibilità, fino ad arrivare, appunto, alle verità originarie del senso comune. 

    Contro di esse, nessuna tesi può essere presa per vera ma è da considerarsi falsa; senza di esse, una tesi può essere solo ipotetica, ossia è da considerarsi come mera opinione soggettiva o di gruppo. 
    L’opinione, questa sì, è il campo del relativo. Ma il relativo non annulla l’assoluto, anzi, lo presuppone. Ecco allora fissare le leggi fondamentali della logica aletica

    Ora, dunque, la logica aletica fa comprendere che le certezze del senso comune e i primi principi sono di fatto alla base del pensiero umano, e quindi sono la premessa, almeno implicita, di ogni tesi, di ogni affermazione, di ogni ragionamento. Ma la volontà di negare l’evidenza può portare a negare che ci sia una verità assoluta in qualche ambito della conoscenza umana. 

    Di qui la contraddittorietà intrinseca a ogni forma di relativismo. 

    In ogni momento del suo ragionamento, il fautore del relativismo nega ciò che prima ha affermato e afferma ciò che prima ha negato. Ma la contraddizione sta proprio nell’affermazione assoluta della relatività (storica, economica, culturale) di ogni pretesa di verità, il che costituisce logicamente un self-denying principle. 

    Così la logica aletica viene confermata dalla logica pragmatica. In polemica con il cristianesimo, il fautore del relativismo nega per principio che si possa sostenere e annunciare una verità assoluta riguardo a Dio (che è innegabilmente l’Assoluto), ma poi difende il fanatismo politico-religioso dell’Islam, censurato solo occasionalmente, ad esempio quando si tratta di omologare il “fondamentalismo islamico” al “fondamentalismo cattolico” (come facevano i Radicali con lo slogan: “No Taleban, no Vatican!”); non solo, ma impone all’opinione pubblica, con la perentorietà e l’assolutezza che sono tipiche del fanatismo religioso, tesi politiche di per sé solo opinabili, nel migliore dei casi. 

    Già il Santo papa Giovanni Paolo II, sollecito dell’ordine politico mondiale basato sul rispetto dei dritti e la soluzione pacifica dei conflitti non esitò a rilevare: «Chi uccide con atti terroristici coltiva sentimenti di disprezzo verso l'umanità, manifestando disperazione nei confronti della vita e del futuro : tutto, in questa prospettiva, può essere odiato e distrutto. Il terrorista ritiene che la verità in cui crede o la sofferenza patita siano talmente assolute da legittimarlo a reagire distruggendo anche vite umane innocenti» .
     
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      GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata mondiale della pace dell’anno 2002, § 6-8.




    Il cardinale Ouellet si oppone alla riforma sulla comunione ai divorziati

     
    Ancora una voce autorevole che si oppone alla famigerata Linea Kasper.
    Link alle altre opere dalle firme illustri: qui - qui - qui - qui - qui -qui.  

    Canadian Catholic News 10 Settembre 2015 - In un libro appena pubblicato il cardinale canadese Marc Ouellet ha versato acqua fredda sulla questione dell'ammissibilità alla comunione per i cattolici divorziati risposati da parte della Chiesa.
     
    Ouellet, uno dei prelati di più alto rango in Vaticano, Cardinale Prefetto della Congregazione per i Vescovi, ha pubblicato una traduzione in inglese di Mistero e sacramento dell'amore: Una teologia del Matrimonio e della Famiglia per la Nuova Evangelizzazione. Il libro è uscito in italiano nel 2007, quando Ouellet era arcivescovo di Québec e primate del Canada e successivamente pubblicato in francese. L'edizione aggiornata inglese arriva alla luce delle edizioni 2014 e 2015 del Sinodo sulla Famiglia.
     
    Il tema del divorzio e della comunione dovrebbe essere di primo piano quando i vescovi si riuniranno a Roma il mese prossimo per un Sinodo ordinario che riprenderà le discussioni sulle questioni riguardanti la famiglia iniziate lo scorso autunno.
    Il libro di Ouellet non offre alcun supporto a coloro che, come il cardinale tedesco Walter Kasper, hanno proposto per i cattolici divorziati risposati un percorso penitenziale per ricevere la comunione. Neppure è di supporto per i teologi che hanno sostenuto una maggiore apertura alle unioni dello stesso sesso.


    Il libro spiega come si è evoluta la dottrina a partire dal Vaticano II, ma dà poche speranze a coloro che credono che la Chiesa ha bisogno di 'aprire' in ordine alla comunione per coloro che vivono relazioni irregolari.
    Scrive Ouellet: Per la Chiesa, «non è questione di essere più o meno 'misericordiosa' per quanto riguarda le persone in situazioni irregolari, ma di prendere sul serio la verità dei sacramenti (i doni dello Sposo) e la loro dimensione missionaria».
    Egli ha detto che la comunione non è solo nutrimento spirituale, ma è anche «un segno oggettivo che esprime sacramentalmente l'unione personale con Cristo, anzi è testimoniare Cristo nel mondo».
    Scrive inoltre: «Coloro che sono divorziati risposati si trovano in una situazione che contraddice obiettivamente il legame ecclesiale inscindibile che hanno espresso solennemente davanti alla comunità».
    Allo stesso tempo, Ouellet esorta la Chiesa ad aiutare le persone in situazioni irregolari per trovare «altri mezzi per esprimere la propria fede e l'appartenenza alla comunità».
    L'Arcivescovo Terrence Prendergast di Ottawa, che ha approvato il libro, ha detto che spera che avrà influenza sui partecipanti al Sinodo di ottobre.
    Prendergast in un'intervista via e-mail ha detto: «Il Sinodo sulla famiglia sia lo scorso anno che il prossimo mese di ottobre ha a che fare con le numerose sfide poste all'unità basilare della cellula fondamentale della società e della coppia al suo interno». «Durante il suo pontificato, san Giovanni Paolo II ha prodotto bellissimi scritti sulla famiglia e il loro valore resta immutato».
    Ha quindi dichiarato: «Spero che i delegati sinodali porteranno questa sintesi a supporto delle questioni che cercano di affrontare, questioni che tendono ad essere inquadrate in categorie semplicemente sociologiche».
    Prendergast ha elogiato l'intuizione di Ouellet su «L'amore trinitario che discende e tocca la Terra e la vita delle persone, in particolare di coloro che sono chiamati al matrimonio». Ha detto inoltre: «Questo è un brillante tour-de-force che può dare speranza a persone che a volte vedono nel matrimonio e nella vita familiare solo rottura, lotte, delusioni e sconfitte».
    L' Arcivescovo di Montreal Christian Lépine, esperto sulla teologia del corpo di san Giovanni Paolo II, ha detto che
    il libro di Ouellet è pieno di speranza perché mette «Cristo al centro; la Santissima Trinità al centro». «Alla fine si tratta di Gesù Cristo e del piano di Dio», «Questo libro vuole aiutarci ad accogliere con favore il piano di Dio nella nostra vita. In questo senso si tratta di un libro molto prezioso, e di un tema importante».
    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]






    Dichiarazione di Mons. Huonder dopo l'accusa di omofobia

     
    È apparsa sul sito della diocesi di Coira(Svizzera) la traduzione in italiano della seconda dichiarazione del vescovo mons. Vitus Huonder riguardo all'accusa di omofobia rivoltagli da una lobby gay, la PinkCross, in seguito alla sua citazione, durante una conferenza teologica a Fulda (Germania) avvenuta durante l'estate, di alcuni passaggi biblici dal libro del Levitico riguardanti l'omosessualità.
    Egli contestualizza con precisione il discorso da lui fatto, spiega e ribadisce la sua aderenza alla dottrina della Chiesa Cattolica. 
    E formula le sue scuse verso le persone che si sono sentite offese, riconoscendo anche delle "dimenticanze" che di certo non saranno molto gradite ai suoi accusatori, i quali ben si guardano di avventarsi in un simil modo contro un qualche rappresentante islamico, per evitare di venirne brutalizzati ancor di più di quel già normalmente sono.
    Emblematico del clima che si respira nelle Conferenze Episcopali. Ma, quanto a mond. Huonder, è doveroso precisare:



    C'è chi chiede scusa per ciò che ha detto come se ciò non fosse stato giusto e vero, con atteggiamento pavido e insicuro, ritrattando, facendo marcia indietro. Non è certo il caso di mons. Huonder! Però c'è anche chi chiede sì scusa, ma lo fa nel contempo confermando, sottolineando e e approfondendo i medesimi principi già espressi prima.
    Perché dunque le parole di scusa? Perché oltre a sostenere una causa e ad affermare dei sacrosanti principi tiene presente le persone di cui potrebbe aver urtato la sensibilità. Perché quella verità affermata e poi confermata e ancor meglio spiegata è proprio per loro, soprattutto per quelle persone che hanno reagito, non certo fine a se stessa.
    Come dice il proverbio "la verità offende", la verità può non piacere affatto anche se in realtà è l'unica vera medicina. Chi la somministra con autorevolezza è sicuro di questo, e nel contempo è comprensivo; è un vero pastore, e in quanto tale non solo contrappone la verità alla menzogna come ben si fa in un dibattito culturale, ma offre la cura per la salvezza delle anime, ben conscio del dolore che un salvifico bisturi come la parola di Dio può provocare. Leggendo attentamente la lettera del vescovo di Coira non si può non notare questa sua solerte cura pastorale nel prescrivere e raccomandare la medicina e fornire anche il foglietto illustrativo.
    D'altronde questa è esperienza comune nel vissuto spicciolo di ognuno di noi. Più di una volta il mio medico mi ha detto "scusa, adesso dovrò farti un po' male, ma poi starai meglio". Se il mio medico si limitasse a citarmi un capitolo di un libro di medicina non farebbe il suo mestiere di medico, ma piuttosto di formatore accademico. Nella fattispecie a che mi gioverebbe? (Marius)


    A tutti i sacerdoti, diaconi e alle collaboratrici e ai collaboratori nella pastorale della diocesi di Coira

    7000 Coira, 12 agosto 2015
     

    Sulla relazione tenuta a Fulda il 31 luglio 2015

    Cari confratelli nel servizio sacerdotale e diaconale,
    Cari collaboratrici e collaboratori nella cura d’anime,

    Vi scrivo riguardo ad una questione incresciosa, la quale indirettamente tocca anche Voi. Come avete potuto apprendere dai media, due citazioni della mia relazione tenuta a Fulda il 31 luglio 2015 sono state interpretate come „diffamazione“ contro persone con sentimenti omosessuali. La mia dichiarazione del 3 agosto 2015 purtroppo non è riuscita a cambiare di molto questa interpretazione.

    Ovviamente non sostengo la richiesta veterotestamentaria della pena di morte per persone con sentimenti omosessuali. E neanche in forma celata mediante accurate riflessioni teologiche, di cui sembra volermisi accusare. Le citazioni scelte non sono un’espressione del mio modo di pensare, piuttosto invece della mia convinzione che nel quadro di una riflessione teologica non può essere escluso nessun passo della Sacra Scrittura, solo perché crea difficoltà nel contesto odierno. Ho redatto un testo di 22 pagine con 16 note in calce, in parte piuttosto estese con note bibliografiche. In tutto vengono citati integralmente 11 passi dell’Antico e del Nuovo Testamento con un breve commento per ognuno di essi. Questo grande numero di citazioni mi è parso doveroso dato che primo si trattava di una relazione orale e secondo non volevo censurare l’Antico Testamento. Per questo ho inserito al sesto posto anche una citazione integrale dei passi veterotestamentari del Levitico (Lv) 18,22 e 20,13.

    Dopo una frase introduttiva, ho suddiviso il commento di questi versetti in due parti. La prima parte riguarda la valutazione teologica di pratiche omosessuali nel quadro dell’Antico Testamento, la seconda dell’agire della Chiesa dal punto di vista odierno, cristiano (neotestamentario).
     
    La valutazione teologica delle pratiche omosessuali, come è noto, è attualmente oggetto di discussione nella Chiesa cattolica. A proposito, si parla della necessità di una „svolta pastorale“, come espresso anche nel documento preparatorio per il prossimo Sinodo dei Vescovi (Domande per la recezione e l’approfondimento della Relatio Synodi, Introduzione prima delle domande 23 sgg.) a questo che alludevo esprimendo che i due brani biblici basterebbero a „dare alla questione dell’omosessualità la svolta giusta, dal punto di vista della fede“, una formulazione che non può essere compresa al di fuori del contesto ecclesiale e pertanto è stata infelice.
    Con questa formulazione non intendevo dire che questi brani della Bibbia rappresentano una direttiva per l’agire della Chiesa, come se noi cristiani dovessimo orientarci a questi passi della Bibbia per quanto riguarda il nostro modo di pensare. Volevo mostrare che nel Levitico vi è un rigetto drastico delle pratiche omosessuali e che noi come cristiani dobbiamo essere coscienti di questo. Se nella Chiesa si cerca una svolta pastorale, allora è opportuna una riflessione incensurata anche riguardo all’Antico Testamento – non in ultimo per illustrare che cosa ci hanno dato Cristo, il Nuovo Testamento e la tradizione della Chiesa.
     
    Solo dopo queste riflessioni teologiche sono passato, nel paragrafo successivo, al tema dell’agire della Chiesa, della cura d’anime. Lì specifico che questo agire deve orientarsi all’ordine divino. Si tratta di liberare „con amore pastorale“ gli uomini dallo stato di corruzione della natura alla vita come figli della luce (Ef 5,8). A questo fine la fede è un aiuto per tutti, anche per le persone con sentimenti omosessuali.

    A causa di questa bipartizione del mio ragionamento in riflessione teologica e dichiarazioni sull’agire della Chiesa, era chiaro per me che l’agire della Chiesa è sempre un aiuto alla vita e non porta la morte. Questo agire della Chiesa è contraddistinto da compassione e delicatezza e non da degradazione. Questo corrisponde anche al „Catechismo della Chiesa Cattolica“ (nn. 2357-2359), che cito a proposito nella nota n. 10.

    Nel frattempo vedo che i passi del Levitico possono essere fraintesi come un mio personale modo di pensare e che si possa pensare che io voglia, come vescovo, reintrodurre la pena di morte per le pratiche omosessuali. Ovviamente per me è sempre stato chiaro che il discorso drastico della pena di morte mostri il drastico rifiuto veterotestamentario di una pratica e che questo discorso non va interpretato come una direttiva del nostro agire pastorale nella Chiesa.

    Come cristiani siamo chiamati ad interpretare l’Antico Testamento dal punto di vista dell’adempimento in Cristo. E per me, come vescovo, vi è ovviamente una fondamentale distinzione tra valutazione teologica di un atto dell’uomo e l’agire della Chiesa per la cura delle anime. Questa è una distinzione alla quale mi attengo, con il „Catechismo della Chiesa Cattolica“, che è riconosciuto da tutti i vescovi in Svizzera.

    Anche riguardo all’omosessualità il Catechismo infatti fa questa distinzione, quando da un lato afferma che atti omosessuali „in nessun caso possono essere approvati“ (valutazione ecclesiale, n. 2357), e dall’altro rileva che dobbiamo evitare „ogni marchio di ingiusta discriminazione“ (agire ecclesiale, n. 2358). Ed è assolutamente ovvio per me, che di fronte alla tensione tra la valutazione teologica degli atti e l’agire pastorale della Chiesa bisogna comportarsi come espresso nel brano dalla Lettera agli Efesini (5,8) citato nella mia relazione: la Chiesa vuole aiutare tutte le persone, in qualsiasi situazione si trovino, a vivere come figli della luce.
    Conformemente a ciò, anche nel „Catechismo della Chiesa Cattolica“ (n. 2359) si legge: „Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana“.

    Ciò nondimeno desidero chiedere scusa a tutte le persone che si sono sentite offese dalla mia relazione, soprattutto alle persone con sentimenti omosessuali. Desidero assicurare loro che la Chiesa non vuole emarginare nessuno, anzi, vuole essere disponibile per tutti, nel senso come sopra descritto. Anche se la mia relazione era diretta ad un pubblico strettamente legato alla Chiesa ed esperto in questioni teologiche, è stato un errore − durante l’elaborazione del testo e la valutazione delle sue eventuali ripercussioni − pensare solamente al livello accademico-riflessivo o ad un dibattito tra esperti all’interno della Chiesa in vista del Sinodo dei Vescovi.
    Avrei anche dovuto prendere maggiormente in considerazione l’attuale situazione sociale globale, come ad esempio le atrocità dello „Stato Islamico“ o i crimini di altri gruppi, che si rivolgono in maniera brutale non solo contro i cristiani e persone con vedute diverse, ma anche contro gli omosessuali. È stato inoltre un errore elaborare il testo durante il periodo delle vacanze estive e non aver così fatto rileggere il testo da nessuno. Sicuramente i miei collaboratori mi avrebbero avvertito circa i pericoli.
     
    Cari collaboratori nel servizio sacerdotale e diaconale, care collaboratrici e collaboratori nella cura d’anime: chiedo la vostra preghiera per il prossimo Sinodo dei Vescovi, per tutti coloro che vi parteciperanno e soprattutto per Papa Francesco, affinché si possano tutti aprire in modo nuovo all’azione dello Spirito Santo. La Chiesa così potrà trovare, anche dinnanzi alle imminenti difficili questioni, mezzi e vie per riproporre ai nostri tempi nuovamente, integralmente e in modo comprensibile il Vangelo donatoci da nostro Signore Gesù Cristo.
    Vi saluto cordialmente insieme ai miei più sinceri auguri di benedizioni,

    + Vitus Huonder
    Vescovo di Coira




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    Card. Menichelli: accompagnare senza “condonismi” misericordiosi

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    menichelli“Va sottolineato che misericordia e verità non possono né confliggere, né separarsi, dal momento che nascono insieme dalla persona di Gesù Cristo e svelano la forza della sua Pasqua. La misericordia di Cristo unita alla parola di salvezza aiuterà la Chiesa, chiamata a annunciarle e a viverle, a evitare “condonismi” misericordiosi e affermare scelte di verità.” Con queste parole il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, nonché padre sinodale di fresca nomina pontificia, ha risposto alla domanda sul rapporto tra misericordia e verità in vista del prossimo sinodo di ottobre.

    Al quotidiano Avvenire Menichelli ha anche ricordato che “non è assolutamente pensabile che, a conclusione del Sinodo, vengano presentate delle decisioni.” Il Sinodo, ha detto “è chiamato a offrire al Santo Padre orientamenti e approfondimenti dai quali solo lui stesso trarrà le conclusioni da offrire a tutta la chiesa.”

    A proposito delle cosiddette “famiglie ferite”, tra cui anche i divorziati risposati, “il verbo chiave resta “accompagnare”. La Chiesa troverà le strade giuste, nella consapevolezza che innanzitutto è Dio che opera nelle coscienze delle persone e che “misura” a suo modo le scelte dei suoi figli. Se la Chiesa accompagna, se è madre che ama, sarà consolata anche da figli che si convertono. Per il resto, il rapporto con Dio è personale e la Chiesa oltre che educare e accompagnare, non credo che possa fare altro.”

    Sull’accompagnamento e l’accoglienza delle persone omosessuali il cardinale ha osservato che “le persone vanno aiutate a raggiungere un equilibrio di ubbidienza e a celebrare la sessualità non nella sfinitezza autarchica, ma nell’armonia di tutta la persona. Questo impegno riguarda le persone vivono sia l’omosessualità, che l’eterosessualità. Sembra che siamo caduti in una sorta di rozzezza e di superficiali giudizi nei confronti delle persone.”



    [Modificato da Caterina63 18/09/2015 10:33]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 25/09/2015 00:08

    Migranti e Sinodo. Quando i vescovi parlano chiaro

     
    Leggiamo su Toscana oggi (fonte SIR) il resoconto di un evento importante come l'Assemblea Plenaria dei presidenti delle Conferenze episcopali europee, tenutosi in Terra Santa dall'11 al 16 settembre scorso. Importante soprattutto per i temi trattati e le conclusioni : la situazione in MO e l'esigenza di pace; l'emergenza profughi e migranti; la libertà di religione; la teoria gender.
    Non siamo riusciti a trovare da nessuna parte il testo integrale del documento finale.

    Nel riscontrare il silenzio di altri media cattolici, abbiamo visto che l'agenzia SIR, negli abstract, ne mette in risalto elementi generici mentre, dagli scorci presenti nell'articolo di cui al link sopra, se ne coglie la portata più ampia ed emerge qualche esempio del coraggio e del realismo con cui i presuli hanno affrontato le questioni e indicato i rimedi. Ma è da leggere tra le righe.

    Invece, provvidenzialmente, abbiamo scoperto e riprendiamo la sintesi ben più chiara ed esplicita di Stefano Fontana su La Bussola [qui]


    Mi sembra che sia passato sotto silenzio il documento finale che ha concluso l’Assemblea del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Cee) tenutosi a Gerusalemme dal 11 al 16 settembre scorsi. Per l’Italia erano presenti, tra gli altri, il cardinale Angelo Bagnasco, che presiede il Ccee, e l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, che ne presiede la Commissione Caritas in veritate. È però un peccato perché, in modo semplice e chiaro, sobrio nella forma e forte nel contenuto, in questa occasione i vescovi hanno dato prova di saggio (e quindi coraggioso) realismo cristiano.
     
    Tre sono stati i punti toccati dal messaggio. Prima di tutto le migrazioni. Dismesso ogni linguaggio sentimentale e retorico che colpisce i cuori, ma offende la ragione, i vescovi europei hanno riaffermato il dovere degli Stati di «rispondere tempestivamente alle necessità di aiuto immediato e di accoglienza di persone disperate», ma non hanno lasciato questa affermazione da sola, come spesso accade, suscitando le reazioni della politica. Hanno infatti aggiunto che gli Stati «devono mantenere l’ordine pubblico», quindi nessuna apertura scriteriata, devono «garantire la giustizia per tutti» e quindi anche per i cittadini ospitanti, devono fornire disponibilità «per chi ha veramente bisogno» come a dire che forse non tutti coloro che la chiedono ne hanno bisogno, e che devono agire in vista di una «integrazione rispettosa e collaborativa», ossia che i migranti hanno dei diritti ma anche dei doveri da rispettare.

    I vescovi ricordano anche che gli Stati «sono i primi responsabili della vita sociale ed economica dei loro popoli» e mentre aiutano chi è nel bisogno devono anche pensare che questo non può essere fatto a tutti i costi, ma devono essere soppesate le conseguenze per la vita dei popoli ospitanti. É abbastanza raro che degli ecclesiastici si esprimano con questa concretezza e non si limitino a fare grandi annunci di una carità astratta. Anche sulle cause delle migrazioni, i vescovi della Ccee sono stati coraggiosi nell’evidenziare che è almeno contraddittorio destabilizzare zone dell’Africa e del Medio Oriente e poi lamentare che da quei luoghi abbandonati a caotiche violenze la gente pensi di scappare. Ecco perché essi invitato ad «adottare misure adeguate per fermare la violenza e costruire la pace e lo sviluppo di tutti i popoli… la pace in Medio Oriente e nel Nord Africa è vitale per l’Europa».
     
    Originali anche i contenuti che riguardano i riferimenti alla libertà religiosa, che spesso si pensa messa in pericolo solo fuori dall’Europa. I vescovi della Cee, invece, sanno bene (e lo dicono) che le guerre di religione sono spesso guerre alla religione e queste avvengono non solo da parte dei Califfati ma anche in Occidente: «la secolarizzazione in atto nei Paesi europei tende a confinare la religione nella sfera privata e ai confini della società. Rientra in questo ambito il diritto fondamentale dei genitori ad educare i propri figli secondo le loro convinzioni. Perché questa libertà sia possibile è necessario che le scuole cattoliche possano svolgere il loro compito educativo a favore di tutta la società con ogni opportuno sostegno».
     
    Infine, i vescovi a Gerusalemme hanno parlato della famiglia. Il loro messaggio a questo proposito va anche letto in vista del Sinodo di prossima apertura. Nessun tentennamento, concessione o ambiguità nelle loro parole. «La bellezza umana e cristiana» della famiglia è detta una «universale realtà: papà, mamma, figli» e non qualcosa in relazione con le costruzioni sociali. E se così non bastasse ecco il rincaro: «La Chiesa crede fermamente nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna: essa è la cellula basilare della società e della stessa comunità cristiana. Non si vede perché realtà diverse di convivenza debbano essere trattate nello stesso modo». Altro che unioni civili e cose di questo genere. «Particolare preoccupazione», dichiarano infine i vescovi, «desta il tentativo di applicare la “teoria del gender”». Per loro le cose sono chiare: «La Chiesa non accetta la “teoria del gender” perché essa è espressione di una antropologia contraria alla vera e autentica valorizzazione della persona umana». «La Chiesa non accetta la teoria del genere»: chiaro?
     
    Documenti come questo danno conforto. Qui i Pastori si comportano come tali. I vescovi della Ccee, infatti, concludono con una affermazione da cui un Pastore della Chiesa cattolica non dovrebbe mai prescindere: «consapevoli che solamente in Gesù Cristo trovano risposta le domande profonde del cuore e si compie in pieno l’umanesimo europeo».





    EDITORIALE
    Il prete omossessuale è un problema per la Chiesa
     

    Ho ricevuto diverse mail di commento al mio articolo “Quelli che: "l'omosessualità di un prete non è un problema”, qualcuno educata, qualcuna un po' meno. Suppergiù, le osservazioni di queste mail sono le seguenti: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no.... (sic) 

    di Roberto Marchesini

    Ho ricevuto diverse mail di commento al mio articolo “Quelli che: "l'omosessualità di un prete non è un problema” (clicca qui), qualcuno educata, qualcuna un po' meno. Suppergiù, le osservazioni di queste mail sono le seguenti: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no; quindi l'omosessualità di un prete non è un problema. È verissimo: il Magistero distingue tra atti omosessuali e tendenza omosessuale; i primi sono in peccato, la seconda no. Ma non finisce qui.

    Nel 1986 la Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata dall'allora cardinale Ratzinger, ha pubblicato una Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali (clicca qui). Una lettera che il santo padre Giovanni Paolo II ha voluto onorare della sua firma, cosa insolita se non eccezionale. In questa lettera leggiamo: «[...] furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata»(§ 3).

    Questo giudizio sull'orientamento omosessuale è confluita anche nel catechismo della Chiesa Cattolica (clicca qui), che al § 2358 definisce l'omosessualità come una inclinazione «oggettivamente disordinata». Riassumiamo quindi fino a qui: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no; pur non essendo un peccato, l'omosessualità non è né indifferente né buona, bensì oggettivamente disordinata. Veniamo dunque all'ultima affermazione: l'omosessualità di un prete non è un problema.
    Nel 2005 la Congregazione per l'Istruzione Cattolica ha promulgato una Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (clicca qui) nella quale, al § 2, leggiamo: «Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d'intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».

    La stessa cosa è ribadita della stessa Congregazione in un documento del 2008 intitolato Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio (clicca qui). In questo documento leggiamo: «Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, ecc.)» (§ 10). Dunque, almeno per la dottrina cattolica, l'omosessualità di un prete è un problema.

       


    EDITORIALE
    Sinodo sulla famiglia (logo)
     

    Dal Sinodo si fa sempre più forte la spinta a demandare alle Conferenze episcopali le decisioni sulle materie più controverse. Per applicare il Concilio Vaticano II, si dice. Ma già nel 1984, in "Rapporto sulla fede", il futuro Benedetto XVI spiegava che il Concilio dice esattamente l'opposto. Ecco cosa...

    di Stefano Fontana

    Nel 1984 il cardinale Joseph Ratzinger aveva risposto alle domande di Vittorio Messori e ne era nato il famoso “Rapporto sulla fede” (Edizioni San Paolo). Il contesto storico in cui si muovevano un po’ tutte le domande del giornalista era il post-concilio. Le risposte di Ratzinger erano fortemente indirizzate a fornire la corretta interpretazione del Concilio, secondo le esigenze di una restaurazione intesa non come un tornare indietro ma come la ricerca di un nuovo equilibrio dopo le esagerazioni dell’abbraccio al mondo.  

    Nel capitolo IV della lunga intervista, c’è un paragrafo riguardante le Conferenze episcopali. Ratzinger faceva notare che il Vaticano I aveva proclamato il dogma dell’infallibilità del Sommo Pontefice. Era stato interrotto però all’improvviso, a seguito della Presa di Roma da parte dei bersaglieri italiani, e non aveva potuto occuparsi in modo conseguente anche dei vescovi. Il Vaticano II ha quindi ripreso in mano il fascicolo vescovi a cui ha dedicato, tra l’altro un Decreto, il Christus Dominus. Il Papa è infallibile «quando come Pastore e Dottore supremo, proclama da tenersi come certa una dottrina sulla fede o sui costumi». Il Vaticano II, continua Ratzinger, ha ricordato che anche al Collegio episcopale compete la medesima infallibilità nel magistero, sempre che i vescovi «conservino il legame di comunione tra di loro e con il Successore di Pietro».  

    Con ciò tutto è andato a posto? Non nella pratica, sottolineava Ratzinger: «Il deciso rilancio del ruolo del vescovo si è in realtà smorzato o rischia addirittura di essere soffocato dall’inserzione dei presuli in conferenze episcopali sempre più organizzate, con strutture burocratiche spesso pesanti. Eppure, non dobbiamo dimenticare che le conferenze episcopali non hanno una base teologica, non fanno parte della struttura ineliminabile della Chiesa così come è voluta da Cristo, hanno soltanto una funzione pratica concreta».

    A considerare queste osservazioni a distanza di tanti anni ormai, la loro veridicità risulta piuttosto chiara. Molti vescovi sono timidi perché aspettano che si pronunci la Conferenza episcopale regionale o nazionale, e queste, a loro volta, sono lente perché prima di pronunciarsi e dare indicazioni ai fedeli devono provocare un estenuato consenso: «Avviene che il punto di incontro tra le varie tendenze e lo sforzo di mediazione diano luogo spesso a documenti appiattiti, dove le precisioni decise sono smussate».  

    Il nuovo codice di diritto canonico, spiegava sempre nel 1984 Joseph Ratzinger, dice che le Conferenze spiescopali «non possono agire validamente in nome di tutti i vescovi, a meno che tutti e singoli i vescovi non abbiano dato il loro consenso», e a meno che non si tratti di «materie in cui lo abbia disposto il diritto universale oppure lo stabilisca un mandato speciale della Sede Apostolica». Il collettivo, affermava Ratzinger, non sostituisce la persona del singolo vescovo, il quale è, dice il Codice, «l’autentico dottore e maestro della fede per i credenti affidati alle sue cure».

    Per essere ancora più chiaro, il futuro Benedetto XVI diceva che «Nessuna conferenza episcopale ha, in quanto tale, una missione di insegnamento: i suoi documenti non hanno valore specifico ma il valore del consenso che è loro attribuito dai singoli vescovi».

    La Chiesa, egli ricordava, «è basata su una struttura episcopale, non su una sorta di federazione di Chiese nazionali. Il livello nazionale non è una dimensione ecclesiale. Bisogna che sia di nuovo chiaro che in ogni diocesi non c’è che un pastore e maestro della fede, in comunione con gli altri pastori e maestri e con il Vicario di Cristo».

    Parlando della Germania, Ratzinger ricordava parlando con Vittorio Messori che là una conferenza episcopale esisteva già dagli anni Trenta, ma «i testi davvero vigorosi contro il nazismo furono quelli che vennero da singoli presuli coraggiosi. Quelli della conferenza apparivano invece un po’ smorti, troppo deboli rispetto a ciò che la tragedia richiedeva».

     



     
    INTERVISTA
     P. Thomas Michelet, teologo domenicano
     

    Alcune norme «sono espressione della legge divina, che Dio stesso pone, e che la Chiesa non può cambiare perché non è lei che ha deciso: non fa che ripeterle. La comunione ai divorziati risposati appartiene al secondo livello: la Chiesa non ha alcun potere di cambiare».

    di Lorenzo Bertocchi


    «Per avere una risposta chiara alle vostre domande», mi dice sorridendo P. Thomas Michelet Op, «io direi ai vostri lettori di leggere un bel commento di P. John Hunwike, ex anglicano ora incardinato nell’Ordinariato Personale di Our Lady of Walsingham». Il giovane teologo domenicano, già autore di un articolo sul tema della comunione ai divorziati risposati sulla famosa rivista Nova et Vetera (clicca qui), mi prende in contropiede. «Mi scusi», chiedo, «ma per avere risposte cattoliche devo chiedere ad un ex prete anglicano?». Ride. «No, però la sua esperienza è interessante».

    Allora cominciamo da P. Hunwike, il quale scrive, senza mezzitermini, che la ricerca di una via penitenziale per concedere la comunione ai divorziati risposati è cosa «noiosa». Teologo, ex professore di latino e greco al Lancing College, ricercatore ad Oxford, forse esagera con lo humor. Però dice che gli anglicani hanno «cercato di implementare queste idee nella Chiesa d’Inghilterra anni fa, e hanno dimostrato di essere soltanto un primo passo verso l’accettazione automatica di tutte le unioni di fatto». 

    Quindi, dire che quello che si cerca al Sinodo è soltanto un cambiamento delle disposizioni disciplinari della Chiesa, come sostengono alcuni fuori e dentro l’Aula sinodale, è corretto, oppure no?

    «La parola disciplina viene spesso utilizzata per descrivere un insieme di disposizioni giuridiche definite dalla Chiesa. Così, molti comprendono questa parola alla maniera delle leggi umane: ciò che la Chiesa legifera, si può cambiare. Questo è legalismo, e positivismo giuridico. Così, gli inglesi dicevano: "il Parlamento può fare tutto, salvo cambiare un uomo in una donna". Ma, anche questo ultimo limite sembra essere saltato. Non potremo mai capire il dato del problema se non ammettiamo che la Chiesa non può fare qualsiasi cosa; è custode e serva del mistero divino, non proprietaria».

    E allora, nel caso dei divorziati risposati e l’accesso all’Eucaristia che succede?

    «La disciplina è l’arte di essere discepoli. Non è principalmente una legge. Quindi non tutto è messo sullo stesso piano: alcune cose possono essere cambiate, altre no. Poiché alcune disposizioni sono semplici decisioni della Chiesa, assistita dallo Spirito Santo a governare il popolo di Dio. Altre sono espressione della legge divina, che Dio stesso pone, e che la Chiesa non può cambiare perché non è lei che ha deciso: non fa che ripeterle. La comunione ai divorziati risposati appartiene al secondo livello: la Chiesa non ha alcun potere di cambiare. Altrimenti, se lo facesse, cambierebbe il Vangelo. E non sarebbe più la Chiesa».

    Però non mancano accuse di fissismo giuridico alla Chiesa. Come trovare l’equilibrio che non faccia cadere nell’interpretazione positivistica delle leggi ecclesiastiche e, nello stesso tempo, eviti l’accusa di fissismo?

    «É vero, le leggi ecclesiastiche non sono leggi divine, ma le leggi della Chiesa non sono tutte leggi ecclesiastiche. Alcune non fanno che esprimere il diritto divino. Per esempio, in liturgia Dio non emana dei rituali. Ma un rituale sarà giusto e vero quando sarà “adeguato con la realtà” che celebra, vale a dire il Mistero di Dio. Si tratta, quindi, di un criterio di verità. Non si può ammettere questo criterio se non si accetta che la Chiesa ha in carico un deposito sacro sul quale non ha alcun potere e che deve trasmettere fedelmente. Per uscire dal positivismo bisogna dunque ammettere la trascendenza, e l’articolazione necessaria tra questi segni visibili, che sono le leggi o i rituali o le definizioni dogmatiche, da una parte, e la verità che questi segni esprimono, che è la realtà invisibile del mistero. Il giusto equilibrio quindi è quello della fede teologale, che non si ferma all’enunciato, ma che raggiunge la realtà che l’enunciato contiene».

    Qualcuno, ad esempio i padri sinodali del circolo Germanicus, si richiamano al principio di epikeia per indicare la possibilità di affrontare le vicende delle coppie di divorziati risposati “caso per caso”

    «Il criterio dell’epikeia è esso stesso controverso. Prendere un principio di questo tipo per risolvere contenziosi controversi, scusate il gioco di parole, mi sembra… controverso. Il criterio dell’epikeia interviene quando il legislatore non si è pronunciato su di una determinata situazione. Quindi, siccome si deve rendere tutto alla giustizia, si deve trattare il caso come il legislatore l’avrebbe trattato, se questo caso fosse venuto alla conoscenza del legislatore. Ma noi non siamo affatto in questa situazione: si tratta di diritto divino, non ci sono dei casi di cui Dio non possa avere conoscenza perché vede tutto dall’eternità, e inoltre sul caso specifico s’è già espresso. Quindi richiamare il principio di epikeia mi sembra fuori luogo». 

    Padre Thomas, mi scusi, cosa dire allora alle persone che si trovano in unioni “di fatto”?

    «Che la Chiesa ha sempre le porte aperte. Tutti siamo chiamati a vivere in grazia di Dio, e per farlo dobbiamo imparare a chiedere perdono dei nostri peccati. Chi vuole ricevere l’Eucaristia deve prima chiedere perdono nel sacramento della penitenza. E chi vuole ricevere l’assoluzione nel sacramento della penitenza deve cambiare vita, rinunciare al suo peccato. Se si modifica la "disciplina" dell'Eucaristia su questo, si modifica il Vangelo. Che è un messaggio di salvezza misericordiosa per i peccatori, non una parola rivolta a coloro che si credono giusti e pensano di non avere bisogno di perdono».

     



    ECCEZIONALE UDIENZA di oggi DEL PAPA

    SUL VALORE DELLA FEDELTA'....


    dice il Papa: Ai nostri giorni, l’onore della fedeltà alla promessa della vita famigliare appare molto indebolito. (...)
    libertà e fedeltà non si oppongono l’una all’altra, anzi, si sostengono a vicenda, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali. Infatti, pensiamo ai danni che producono, nella civiltà della comunicazione globale, l’inflazione di promesse non mantenute, in vari campi,
    e l’indulgenza per l’infedeltà alla parola data e agli impegni presi!....
    Sì, cari fratelli e sorelle, la fedeltà è una promessa di impegno che si auto-avvera, crescendo nella libera obbedienza alla parola data.

    (...) E dico “miracolo”, perché la forza e la persuasione della fedeltà, a dispetto di tutto, non finiscono di incantarci e di stupirci. L’onore alla parola data, la fedeltà alla promessa, non si possono comprare e vendere. Non si possono costringere con la forza, ma neppure custodire senza sacrificio.

    (..) Se san Paolo può affermare che nel legame famigliare è misteriosamente rivelata una verità decisiva anche per il legame del Signore e della Chiesa, vuol dire che la Chiesa stessa trova qui una benedizione da custodire e dalla quale sempre imparare, prima ancora di insegnarla e disciplinarla. La nostra fedeltà alla promessa è pur sempre affidata alla grazia e alla misericordia di Dio.

    L’amore per la famiglia umana, nella buona e nella cattiva sorte, è un punto d’onore per la Chiesa! Dio ci conceda di essere all’altezza di questa promessa. E preghiamo anche per i Padri del Sinodo: il Signore benedica il loro lavoro, svolto con fedeltà creativa, nella fiducia che Lui per primo, il Signore - Lui per primo! -, è fedele alle sue promesse. Grazie.

      E ai polacchi (ma anche a noi) ha detto:

    domani celebriamo la memoria di San Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia. Siate suoi buoni seguaci nella premura per le vostre famiglie e per tutte le famiglie, specialmente quelle che vivono nel disagio spirituale o materiale.
    La fedeltà all’amore professato, alle promesse fatte e agli impegni che derivano dalla responsabilità siano la vostra forza. Per l’intercessione di San Giovanni Paolo II preghiamo che il Sinodo dei Vescovi, che sta per concludersi, rinnovi in tutta la Chiesa il senso dell’innegabile valore del matrimonio indissolubile e della famiglia sana, basata sull’amore reciproco dell’uomo e della donna, e sulla grazia divina. Benedico di cuore voi, qui presenti, e tutti i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!





     

    [Modificato da Caterina63 21/10/2015 13:50]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 23/10/2015 16:14
    [SM=g1740722]

    PRIMA DELL'EPILOGO SINODALE, LA PAROLA A RATZINGER: «ECCO I PADRI CHE TOLGONO I PECCATI DEL MONDO»

    da «Una compagnia sempre riformanda», discorso tenuto dal cardinale Joseph Ratzinger al Meeting di Rimini del 1990


    Ratzinger, Meeting di Rimini 1990//Discorso di Sua Eminenza il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    "Gli sbarramenti che la Chiesa innalza si presentano quindi come doppiamente pesanti, poiché penetrano fin nella sfera più personale e più intima. Le norme di vita della Chiesa sono infatti ben di più che una specie di regole del traffico, affinché la convivenza umana eviti il più possibile gli scontri. Esse riguardano il mio cammino interiore, e mi dicono come devo comprendere e configurare la mia libertà. Esse esigono da me decisioni, che non si possono prendere senza il dolore della rinuncia. Non si vuole forse negarci i frutti più belli del giardino della vita? Non è forse vero che con la ristrettezza di così tanti comandi e divieti ci viene sbarrata la strada di un orizzonte aperto? E il pensiero, non viene forse ostacolato nella sua grandezza, come pure la volontà? Non deve forse la liberazione essere necessariamente l'uscita da una simile tutela spirituale? E l'unica vera riforma, non sarebbe forse quella di respingere tutto ciò? Ma allora cosa rimane ancora di questa compagnia?

    L'amarezza contro la Chiesa ha però anche un motivo specifico. Infatti, in mezzo ad un mondo governato da dura disciplina e da inesorabili costrizioni, si leva verso la Chiesa ancora e sempre una silenziosa speranza: essa potrebbe rappresentare in tutto ciò come una piccola isola di vita migliore, una piccola oasi di libertà, in cui di tanto in tanto ci si può ritirare. "


    e ancora leggiamo [SM=g1740733]


    «Là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi.
    A grandi linee si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: “Ecce patres, qui tollunt peccata mundi”! Ecco i padri, che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi “moralisti”, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato.

    Anche Gesù stesso non chiama infatti coloro che si sono già liberati da sé e che perciò, come essi ritengono, non hanno bisogno di lui, ma chiama invece coloro che si sanno peccatori e che perciò hanno bisogno di lui. La morale conserva la sua serietà solamente se c’è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c’è solo se c’è il “prezzo d’acquisto”, l’“equivalente nello scambio”, se la colpa è stata espiata, se esiste l’espiazione. La circolarità che esiste tra “morale-perdono-espiazione” non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto.

    E proprio per la circolarità tra “morale-perdono-espiazione”, pur nella difficoltà di comunicare, ricorda che alla Chiesa non basta rimettere tutto alla giustizia terrena, perché il proprio della Chiesa è l’ordine della grazia, che va al di là della legge, e significa “fare penitenza, riconoscere ciò che si è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare”».

    www.youtube.com/watch?v=DAfBfpOSIok


    qui invece troverete il testo integrale
    difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/d/8746849/Non-di-una-Chiesa-pi%C3%B9-umana-abbiamo-bisogno-ma-di-una-Chiesa-DIVINA-Ratzinger-1990-/discussi...










    [SM=g1740736]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 25/10/2015 17:16
      LA LETTERA

    Qualche considerazione sul Sinodo e sulla famiglia

     



    Cinque considerazioni che da semplice laico voglio offrire alla discussione su Chiesa e famiglia che ha tenuto impegnato i Padri del Sinodo. Cinque punti per andare oltre la solita dialettica sulla comunione o meno ai divorziati risposati e mettere al centro la natura stessa della famiglia cristiana. 



    di Peppino Zola



    Caro direttore,

    visto che ormai su Sinodo e famiglia in tanti (cardinali, vescovi, preti, teologi, giornalisti vaticanisti e non) esprimono liberamente le loro opinioni (non sempre ponderate, soprattutto da parte di teologi) mi permetto di dire anche la mia, da semplice laico e nonno di strada. Sarò schematico.

    1) Mi pare che molti dimentichino che il centro del cristianesimonon sono regole più o meno misericordiose o rigide, ma Cristo stesso. L’immenso santo Giovanni Paolo II scrisse che Gesù è «il centro del cosmo e della storia». Mi pare che questa elementare verità cristiana stia passando in secondo piano, commettendo l’enorme errore di darla per scontata. Ogni consesso cristiano, invece, dovrebbe occuparsi innanzi tutto di questo, perché solo la luce di Cristo può illuminare ogni esperienza umana. E solo la conversione a Cristo può sanare la ferite che la vita porta con sé. Non sento, in questo periodo, l’invito primario a convertirsi a Cristo, anche e forse soprattutto quando si parla di famiglia.

    2) Alla luce di Cristo, ogni vocazione diventa buona e bella: dentro Santa Madre Chiesa fiorisconotante vocazioni, la più strabiliante delle quali è quella alla verginità, cui induce l’esclusivo amore a Cristo, il quale illumina anche la vocazione al matrimonio. In questo contesto pluriforme, non sento più parlare della virtù della castità, neppure da parte di tanti padri sinodali. Hanno forse vergogna della integralità di Cristo, di fronte ad un mondo che assume altri criteri molto più sbrigativi e istintivi? Stanno forse dimenticando che è possibile a Dio ciò che sembra impossibile agli uomini?

    3) La vocazione alla famiglia è buona e bella per tanti motivi, ma soprattutto perché essa educa adamare e accettare l’alterità, che, nei fatti, implica, spesso indirettamente, un’esperienza “religiosa”. Ma per indurre ad amare per sempre l’altro, occorre innanzi tutto, ancora, annunciare e testimoniare il fascino e la bellezza di Cristo, prima ancora del fascino e della bellezza del matrimonio. Chi conosce Cristo più facilmente può portare a termine positivamente la vocazione familiare. Parlando di famiglia, allora, non si può non polemizzare (come faceva Cristo con scribi e farisei) con la cultura del “pensiero unico”, che idolatra il più assoluto individualismo. Questa cultura è alla base della crisi attuale dell’intera società e quindi anche della famiglia e i cristiani non possono sottrarsi a vivere e comunicare l’autentica dimensione culturale dell’esperienza cristiana: per ricostituire l’uomo vero, infatti, oltre alla carità, occorre anche il giudizio della cultura e il coraggio della missione, senza dei quali non amiamo veramente il prossimo.

    4) Anche i padri sinodali (e soprattutto alcuni teologi) dovrebbero saper distinguere tra ciò che èfisiologico nella vita di una famiglia e ciò che è patologico. E, quindi, dovrebbero dare le ragioni profonde (che hanno le radici in Cristo stesso) di un’esperienza fisiologicamente sana. E, d’altra parte, dovrebbero amare e curare, come i cristiani hanno sempre fatto e in molti stanno facendo, gli aspetti patologici, senza mettere in discussione quelli fisiologici. Tenendo anche presente che molti aspetti patologici sono a loro volta causati dalla cultura di cui sopra e, spesso, sono colpevoli. Giustamente questo giornale ha rilevato che nel Sinodo pare che si parli molto poco del peccato originale, senza del quale non si capiscono tante cose. Teniamo  presente, ad esempio, che la maggioranza dei divorziati non ha nessuna intenzione di comunicarsi dopo la rottura del matrimonio. Ho l’impressione che, su questo specifico tema, molti non abbiano a cuore la “misericordia”, ma altro.

    5) C’è poi un aspetto che mi pare non venga considerato. Cristo, con il suo sacrificio, ci ha insegnatoche possiamo partecipare in vario modo al suo di sacrificio, per il bene e per la salvezza di tutti. Penso che una di queste offerte a Dio potrebbe essere, da parte di persone divorziate, quella di partecipare alla vita concreta della comunità cristiana a pieno titolo, pur non potendo accedere materialmente all’eucarestia. Nella tradizione cristiana si parla di comunione di desiderio, che può far partecipare comunque al disegno di salvezza della Chiesa, madre, ma anche maestra. Ma oggi è molto difficile sentire parlare di sacrificio, oltre che di peccato originale. Probabilmente, qualche teologo inorridirà di fronte a quanto ho qui espresso. Pazienza, sono pronto a correggermi. Solo sul punto 1 non si può discutere, anche se è quello più messo sotto silenzio.

     


     

    Un Marco Tosatti intelligente, affidabile e serio   comunque è quanto abbiamo detto in altro spazio qui e non dimentichiamo che i titoloni italiani sono diretti magistralmente dal vaticaninsider, per nulla affidabile e di certo rigore modernista.... oserei dire che la presentazione più omogenea e seria è questa:
    Il Daily Telegraph :
    “Il Sinodo si è concluso. Niente di sostanziale è cambiato. L’insegnamento cattolico rimane lo stesso. E così dovrebbe essere. I termini della salvezza non cambiano a seconda delle circostanze presenti. E’ della Chiesa cattolica che parliamo, non di un partito politico. Sui divorziati risposati è stato lavorato un certo grado di compromesso affermando che quelli in questa situazione devono essere reintegrati nella Chiesa, ma fermandosi prima di permettere la piena Comunione”.






    EDITORIALE
    I lavori del Sinodo
     

    Non vorrei che il Sinodo della famiglia, che da pochi giorni ha chiuso i lavori, passasse senza che fosse fatta una riflessione sul metodo dei suoi documenti e, in particolare, della Relatio finalis. Non quindi sul metodo dei lavori, ma sul metodo della redazione dei documenti. La questione è di grande importanza: ecco perché.

    di Stefano Fontana

    La Relazione finale inizia con una parte dedicata a “La Chiesa in ascolto della famiglia” a cui segue una seconda parte dal titolo “La famiglia nel piano di Dio”. Il documento non parte dal progetto di Dio sulla famiglia, ma dal contesto di oggi.
    Nella prima parte, infatti, si fa il quadro della situazione: si esamina il contesto “antropologico-culturale”, poi quello “socio-economico”, poi quello “sociale”. 

    É un viaggio nella fenomenologia di oggi. Si parla un po’ di tutto, come in una specie di inventario: dalle vedove ai bambini, dalla donna ai migranti, dalle politiche familiari alla povertà, dall’ecologia alle persone con bisogni speciali. È un rincorrere l’attualità, senza riuscire mai a prenderla, perché nel frattempo è già mutata. È tutto un costruire quadri sinottici che non si sa quanto siano attendibili. Una volta fatta questa disamina dell’essere si esamina il dover essere, ossia come stanno le cose nel piano di Dio. Fatto questo, in genere i documenti guardano avanti sulle cose da fare.

    Questo è il metodo che da decenni seguono i documenti finali dei consessi ecclesiali. La Gaudium et spes del Vaticano II ne è stato il prototipo. Il documento di Medellin, la prima Conferenza episcopale latinoamericana (1969) ne è stata la prima concretizzazione, la famosa indicazione “vedere-giudicare-agire” della Mater et Magistra di Giovanni XXIII la prima formale teorizzazione. Solitamente viene chiamato metodo induttivo, e viene contrapposto al metodo deduttivo che sarebbe il contrario. Se la Relatio finalis avesse cominciato con “La famiglia nel piano di Dio” per poi passare a “La Chiesa in ascolto della famiglia” sarebbe stata accusata di essere deduttiva. Con questo criterio, tutte le encicliche sociali precedenti il Concilio, compresa la Rerum novarum, sono state accusate di essere deduttive. E come tali abbandonate al proprio destino. Dopo tanti anni, a mio modo di vedere, sarebbe ora di cambiare schema e di uscire da questa insulsa contrapposizione induttivo-deduttivo.

    Prima di tutto va notato che, come ha ben chiarito Karl Popper che su questo punto è condivisibile, il metodo induttivo non esiste, è stata un’illusione sbagliata e pericolosa del positivismo.
    In secondo luogo, è facile porre agli estensori della Relatio finalis del Sinodo sulla famiglia la seguente domanda: l’analisi sociale iniziale è svolta a partire dalla luce della Parola di Dio o dall’analisi delle scienze sociali? Nel primo caso non è induttiva, nel secondo caso non è significativa per la fede. Tutti i dati, presi da soli (ammesso che sia possibile), sono solo stupidi. In terzo luogo, questo metodo assegna un ruolo primario alle scienze sociali che vengono investite, poverette, di un compito superiore alle loro forze. Da esse dipenderebbero la filosofia, la teologia e la stessa Parola di Dio. In quarto luogo, partire dalla Parola di Dio e nel caso specifico da “La famiglia nel piano di Dio” non significa per niente adottare un metodo deduttivo.

    La Parola di Dio, infatti, non è un insieme di assiomi o postulati da cui dedurre logicamente delle conclusioni come si fa in geometria. Oggi purtroppo si pensa che la dottrina rivelata, oppure la legge, siano concetti astratti e dedurre da esse delle indicazioni pratiche sarebbe far violenza all’esperienza e ai bisogni concreti delle persone, da cui invece bisognerebbe partire. Ma questa è una visione errata sia della dottrina che della legge cristiane. Si tratta di nozioni di fede che esprimono una realtà e che, soprattutto, sono fattive, creative, orientative, animatrici e in grado di soddisfare i nostri bisogni perché li illuminano e ci fanno conoscere quelli veri da quelli falsi. 

    Assumendo questo metodo già si concede molto all’idea, oggi molto diffusa e che ha fatto capolino con forza al Sinodo sulla famiglia, che tra la dottrina e la situazione di vita ci sia una lontananza che va colmata o dal compromesso della coscienza o dal discernimento o dal caso per caso, che ormai sono gli slogan con cui avremo a che fare nel prossimo futuro. Anche Kasper aveva tirato in ballo la sapienza, la prudenza, l’epicheia. Ma la legge di Dio non è una premessa di un sillogismo, ossia qualcosa di astratto e vuoto, essa stessa è vita ed è per questo che illumina la vita. È giunto il momento di cambiare metodo e ridare al progetto di Dio il suo posto: il primo. Bisogna uscire dalla tenaglia induttivo-deduttivo. 

    Anche perché, a ben vedere, questo rovesciamento è frutto di una precisa teologia che ha influenzato talmente la vita della Chiesa da imporre anche un nuovo metodo nei documenti. Essa dice che la recezione della Parola di Dio nel mondo fa parte del Messaggio. All’intelligenza nella fede bisogna ora aggiungere l’intelligenza nei bisogni. Partire dai nostri bisogni farebbe parte essenziale del Messaggio di Dio. Come si vede, qui i pericoli si fanno grossi e non è questo il momento di parlarne. Bastino però questi pochi cenni a far capire che il metodo induttivo non è, come farebbe pensare il suo nome, neutro ma espressione di una teologia non condivisibile, perché toglie a Dio il suo primato.





    [Modificato da Caterina63 04/11/2015 20:07]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 04/11/2015 18:06

    Il non possumus di Mons. Athanasius Schneider. 
    La voce di un intrepido Pastore

    schneiderPubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo di un importante intervento, pubblicato da Sua Eccellenza mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliario di Astana, sul sito Rorate Caeli.

    Nella Relazione Finale del Sinodo porta aperta ad una prassi neo-mosaica

    La XIV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (4-25 ottobre 2015), dedicata al tema “La vocazione e la missione della Famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, ha pubblicato una Relazione Finale con alcune proposte pastorali ora sottoposte al discernimento del Papa. Lo stesso documento è solo di natura consultiva e non possiede alcun formale valore magisteriale.

    Eppure, durante il Sinodo, sono apparsi autentici neo-discepoli di Mosé e neo-farisei, che ai numeri 84-86 della Relazione Finale hanno aperto una porta secondaria o collocato bombe ad orologeria a scoppio ritardato circa l’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione. Contemporaneamente, chi tra i Vescovi ha intrepidamente difeso «la fedeltà propria della Chiesa a Cristo ed alla Sua Verità» (Papa Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 84), è stato ingiustamente etichettato da alcuni media come fariseo.

    I nuovi discepoli di Mosé ed i nuovi farisei durante le ultime due Assemblee del Sinodo (2014 e 2015) hanno nascosto il fatto d’aver negato nella prassi l’indissolubilità del matrimonio e di aver come sospeso il sesto Comandamento sulla base del “caso per caso”, sotto un apparente concetto di misericordia, usando espressioni come “via del discernimento”, “accompagnamento”, “orientamenti del Vescovo”, “dialogo col sacerdote”, “foro interno”, “un’integrazione più piena nella vita della Chiesa”, per indicare una possibile eliminazione dell’imputabilità per i casi di convivenza all’interno di unioni irregolari (cfr. Relazione Finale, nn. 84-86).

    Questi brani della Relazione Finale contengono infatti tracce di una nuova prassi di divorzio di stampo neo-mosaico, benché i redattori abbiano abilmente e scaltramente evitato qualsiasi mutamento esplicito della Dottrina della Chiesa. Pertanto, tutti gli attori in gioco, tanto i promotori della cosiddetta agenda Kasperquanto i loro avversari, possono apparentemente  dirsi soddisfatti: “E’ tutto OK. Il Sinodo non ha cambiato la Dottrina”. Quest’opinione però è del tutto ingenua, poiché ignora la porta secondaria e le incombenti bombe ad orologeria presenti nei brani sopra citati che si rendono evidenti se si esamina attentamente il testo  alla luce di criteri interpretativi interni.

    Anche quando, parlando di una “via del discernimento”, si fa riferimento al “pentimento” (Relazione Finale, n. 85), il testo rimane comunque carico di ambiguità. Infatti, secondo le reiterate affermazioni del Card. Kasper e degli uomini di Chiesa che la pensano allo stesso modo, tale pentimento riguarderebbe i peccati commessi in passato contro il coniuge del primo matrimonio, quello valido, mentre non si riferirebbe in alcun modo al fatto della convivenza coniugale col nuovo partner, sposato civilmente.

    Resta ambigua l’assicurazione contenuta nel testo ai numeri 85 ed 86 dellaRelazione Finale secondo cui tale discernimento debba essere fatto in accordo con l’insegnamento della Chiesa ed essere formulato secondo un retto giudizio. Infatti, il Card. Kasper ed i prelati che ne condividono la posizione, hanno ripetutamente e vigorosamente garantito che l’ammissione alla Santa Comunione dei divorziati e risposati civilmente non intaccherebbe  il dogma dell’indissolubilità e della sacramentalità del matrimonio, ma hanno anche sostenuto che un giudizio secondo coscienza in tali casi sarebbe da considerarsi corretto quand’anche i divorziati risposati continuassero a convivere in modo coniugale, senza che sia richiesta loro una vita di completa continenza, come fratelli e sorelle.

    Citando il famoso punto n. 84 dell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio di papa Giovanni Paolo II all’interno del n. 85 della Relazione Finale, i redattori ne hanno censurato il testo, tagliando la seguente formulazione, decisiva: «L’Eucarestia può essere concessa solo a quanti facciano proprio l’impegno di vivere in piena continenza, cioè astenendosi dagli atti propri dei coniugi».

    Tale prassi della Chiesa è fondata sulla Divina Rivelazione della Parola di Dio, scritta e trasmessa attraverso la Tradizione. E’ espressione di un’ininterrotta Tradizione, che dagli Apostoli è rimasta immutata ed immutabile in tutti i tempi. Già Sant’Agostino affermava: «Chi respinge la moglie adultera e sposa un’altra donna, vivente la prima moglie,  si trova in perpetuo stato di adulterio. Costui non compie alcuna penitenza davvero efficace, qualora si rifiutasse di abbandonare la nuova moglie. Se è catecumeno, non può essere ammesso al Battesimo, poiché la sua volontà resta radicata nel male. Se è penitente (battezzato), non può ricevere la riconciliazione (ecclesiastica), finché non interrompa la propria condotta negativa» (De adulterinis coniugiis, 2, 16). Di fatto, la parte dell’insegnamento della Familiaris Consortio, intenzionalmente censurata al n. 85 della Relazione Finale rappresenta, per qualsiasi sana ermeneutica,  la vera chiave interpretativa per la comprensione del brano sui divorziati risposati (nn. 84-86).

    Ai nostri giorni viene esercitata una pressioni ideologica permanente ed onnipresente da parte dei mass-media, allineati al pensiero unico imposto da poteri mondiali anti-cristiani, con l’obiettivo di abolire la verità sull’indissolubilità del matrimonio – banalizzando il carattere sacro di questa divina istituzione mediante la diffusione di un’anti-cultura del divorzio e del concubinato. Già 50 anni fa, il Concilio Vaticano II affermò che i tempi moderni sono infettati dalla piaga del divorzio (cfr. Gaudium et Spes, 47). Lo stesso Concilio avvertì come il matrimonio cristiano in quanto Sacramento di Cristo non debba «mai venire profanato dall’adulterio o dal divorzio» (Gaudium et Spes, 49).

    La profanazione del «grande Sacramento» (Ef 5, 32) del matrimonio tramite adulterio e divorzio ha assunto proporzioni enormi ed un ritmo di crescita allarmante non soltanto nella società civile, ma anche tra i cattolici. Quando i cattolici, attraverso il divorzio e l’adulterio, ripudiano, nella teoria o nella prassi la volontà di Dio espressa nel sesto Comandamento, si pongono in uno stato di grave pericolo spirituale : quello di perdere la salvezza eterna.

    L’atto più misericordioso da compiersi come Pastori della Chiesa è quello di richiamare l’attenzione su questo rischio con un chiaro – ed allo stesso tempo amorevole – monito sulla necessità di accettare pienamente il sesto Comandamento di Dio. Essi devono chiamare le cose col loro giusto nome, ammonendo : “il divorzio è divorzio”, “l’adulterio è adulterio” e “chi commette consapevolmente e liberamente peccati gravi contro i Comandamenti di Dio – ed in questo caso contro il sesto Comandamento – e muore impenitente riceverà la condanna eterna e verrà escluso per sempre dal Regno di Dio”.

    In questo monito ed in quest’esortazione consiste la vera azione dello Spirito Santo, come Cristo ha insegnato: «Convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia ed al giudizio» (Gv 16, 8). Spiegando l’azione dello Spirito Santo nel «convincere circa il peccato», papa Giovanni Paolo II ha affermato: «Ogni peccato, dovunque ed in qualsiasi momento commesso, viene riferito alla Croce di Cristo – e, dunque, indirettamente anche al peccato di coloro che “non hanno creduto in Lui”, condannando Gesù Cristo alla morte di Croce» (Enciclica Dominum et Vivificantem, 29). Coloro che conducono una vita coniugale con un partner, che non sia il legittimo sposo, come nel caso delle persone divorziate e civilmente risposate, rigettano la volontà di Dio. Convincere costoro del proprio peccato è opera mossa dallo Spirito Santo e comandata da Gesù Cristo, il che lo rende un’opera eminentemente pastorale e misericordiosa.

    La Relazione Finale del Sinodo, sfortunatamente, omette di convincere i divorziati risposati in merito al loro peccato. Al contrario, col pretesto della misericordia e di un falso senso della pastoralità, i Padri Sinodali, che hanno sostenuto le teorie formulate nei numeri 84-86 della Relazione, hanno tentato di occultare la condizione di pericolo spirituale in cui si trovano i divorziati risposati.

    Difatti, gli si dice che il loro peccato di adulterio non è un peccato e non può essere definito adulterio. O quanto meno non è un peccato grave e la loro condizione di vita non comporta alcun pericolo spirituale. Un atteggiamento di questo tipo da parte dei Pastori è direttamente in contrasto con l’azione dello Spirito Santo ed è pertanto anti-pastorale, opera di falsi profeti cui si possono applicare le seguenti parole della Sacra Scrittura: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (Is 5, 20) e «I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato le tue iniquità per cambiare la tua sorte; ma ti han vaticinato lusinghe, vanità e illusioni» (Lam 2, 14). A questi Vescovi l’Apostolo Paolo senza alcun dubbio rivolgerebbe oggi queste parole: «Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo» (II Cor 11, 13).

    Il testo della Relazione Finale del Sinodo non solo omette di convincere senza ambiguità coloro che sono divorziati e risposati civilmente circa la realtà adultera e quindi il carattere gravemente peccaminoso della loro condizione di vita. Esso la giustifica indirettamente collocando la questione, in definitiva,  nell’area della coscienza individuale ed applicando, in modo improprio, il principio morale dell’imputabilità al caso della convivenza tra divorziati risposati. Tuttavia, l’applicazione di tale principio ad uno stato stabile, permanente e pubblico di adulterio è inappropriata ed ingannevole.

    La diminuzione della responsabilità soggettiva si dà solo nel caso in cui i partner abbiano la ferma intenzione di vivere in completa continenza e di compiere per questo sforzi sinceri. Finché persistono intenzionalmente in un’esistenza peccaminosa, non può esservi alcuna sospensione d’imputabilità. La Relazione Finale dà invece l’impressione di voler suggerire che una condizione pubblica di adulterio – come nel caso di quanti si siano risposati civilmente – non violi alcun vincolo di matrimonio sacramentale indissolubile oppure che non rappresenti in ogni caso un peccato mortale o grave ed, in ultimo, che si tratti di una questione di coscienza privata. In questo modo la si può definire una situazione più vicina al principio protestante del giudizio soggettivo in materia di fede e di disciplina ed una prossimità intellettuale all’erronea teoria dell’“opzione fondamentale” già condannata dal Magistero (cfr. papa Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, 65-70).

    I Pastori della Chiesa non dovrebbero in alcun modo promuovere una cultura del divorzio tra i fedeli. Anche il più piccolo cenno di cedimento alla prassi o alla teoria del divorzio dovrebbe essere evitato. La Chiesa nel suo insieme dovrebbe dare una testimonianza convincente e forte circa l’indissolubilità del matrimonio. Papa Giovanni Paolo II ha definito il divorzio «una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev’essere affrontato con premura indilazionabile» (Familiaris Consortio, 84).

    La Chiesa deve aiutare i divorziati risposati con amore e pazienza a riconoscere il loro peccato ed a convertirli con tutto il cuore a Dio, obbedendo alla Sua Santa volontà, come dice il sesto Comandamento. Finché proseguono nel dare una pubblica contro-testimonianza sull’indissolubilità del matrimonio e finché contribuiscono a diffondere una cultura divorzista, essi non possono esercitare nella Chiesa quei ministeri liturgici, catechetici ed istituzionali, che richiedono per loro stessa natura una vita pubblica conforme ai Comandamenti di Dio.

    E’ ovvio che i pubblici trasgressori, ad esempio, del quinto e del  settimo Comandamento, come i titolari di una clinica abortista o i membri di una rete di corruzione, non solo non possono ricevere la Santa Comunione, ma non possono evidentemente neanche essere ammessi ai pubblici servizi liturgici e catechetici. In modo analogo, anche i trasgressori pubblici del sesto Comandamento, quali i divorziati risposati, non possono essere ammessi agli uffici di lettore, padrino o catechista. Naturalmente, occorre distinguere in termini di gravità il male provocato da chi promuova pubblicamente l’aborto e la corruzione da quello dell’adulterio proprio delle persone divorziate. Non si possono porre sullo stesso piano. Sostenendo però l’ammissione dei divorziati risposati al ruolo di padrini e catechisti, in ultima analisi, non si fa il vero bene spirituali dei bambini, ma sembra invece essere la strumentalizzazione di un preciso programma ideologico. E’ un atteggiamento disonesto ed una presa in giro dell’istituzione di padrini o catechisti i quali, tramite una promessa pubblica, si sono assunti il compito di educare alla fede.

    Se i divorziati risposati facessero i padrini o i catechisti, la loro vita contraddirebbe in continuazione le loro parole, per cui dovrebbero rispondere all’ammonizione dello Spirito Santo per bocca dell’Apostolo San Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1, 22). Purtroppo, il n. 84 della Relazione Finale invoca l’ammissione dei divorziati risposati agli uffici liturgici, pastorali ed educativi. Tale proposta rappresenta un supporto indiretto alla cultura divorzista, nonché la negazione pratica di uno stile di vita oggettivamente peccaminoso. Papa Giovanni Paolo II, al contrario, ha indicato loro solo le seguenti possibilità di partecipazione alla vita della Chiesa, con l’obiettivo di agevolare un’autentica conversione: «Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità ed alle iniziative della comunità in favore della giustizia, ad educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio» (Familiaris Consortio, n. 84).

    Deve restare una salutare area di esclusione (non ammissione ai Sacramenti ed agli uffici pubblici liturgici e catechetici), per ricordare alle persone divorziate la loro reale condizione spirituale, grave e pericolosa, ed allo stesso tempo per promuovere nelle loro anime un atteggiamento di umiltà, di obbedienza e di anelito ad un’autentica conversione. Umiltà significa coraggio verso la verità e solo coloro che umilmente si sottomettono a Dio possono ricevere le Sue grazie.

    I fedeli, non ancora disposti a porre termine alla propria condizione di adulteri e privi della volontà necessaria per farlo, devono essere aiutati spiritualmente. Il loro stato è simile ad una sorta di “catecumenato” riguardo al Sacramento della Penitenza. Possono ricevere il Sacramento della Confessione, chiamato nella Tradizione della Chiesa “secondo Battesimo” o “seconda penitenza”, solo quanti siano decisi a por fine alla convivenza adultera e ad evitare il pubblico scandalo in una modalità analoga a quanto fanno i catecumeni, i candidati al Battesimo.

    La Relazione Finale omette di richiamare i divorziati risposati all’umile riconoscimento del proprio stato di peccato oggettivo ed evita d’incoraggiarli ad accettare con spirito di fede la loro non ammissione ai Sacramenti ed agli uffici pubblici, liturgico e catechetico. Senza tale riconoscimento realistico ed umile della propria condizione spirituale, non v’è progresso effettivo verso un’autentica conversione cristiana, che nel caso dei divorziati risposati consiste in una vita di piena continenza, cessando di peccare contro la santità del Sacramento del matrimonio e di disobbedire pubblicamente al sesto Comandamento di Dio.

    I Pastori della Chiesa e soprattutto i testi pubblici del Magistero devono parlare in modo estremamente chiaro, poiché questo è ciò che caratterizza essenzialmente il compito proprio di coloro che ufficialmente esercitano l’insegnamento. Cristo richiede a tutti i Suoi discepoli di agire così: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37). Ciò vale tanto più quando i Pastori della Chiesa predichino o quando il Magistero si esprima in un documento.

    Nei brani 84-86, la Relazione Finale rappresenta, purtroppo, un grave distacco da questo comando divino. Infatti, nei passaggi citati, non si chiede direttamente di legittimare l’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione, ed evita addirittura di parlare di “Santa Comunione” o di “Sacramenti”. Il testo, attraverso strumenti tattici diretti a confondere, ricorre ad espressioni ambigue come «una partecipazione più piena alla vita della Chiesa» e «discernimento e integrazione».

    Con tali metodi la Relazione Finale di fatto piazza bombe ad orologeria ed apre una porta secondaria, con cui ammettere i divorziati risposati alla Santa Comunione, profanando i due grandi Sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia, nonché contribuendo, almeno indirettamente, ad una cultura divorzista – a diffondere cioè la «piaga del divorzio» (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 47).

    Una lettura attenta dell’equivoca sezione intitolata “Discernimento e integrazione” nella Relazione Finale, suscita l’impressione di un’ambiguità elaborata con finezza ed abilità. Vengono alla mente le seguenti parole di S. Ireneo in Adversus Haereses: «Così chi conserva salda in sé stesso la regola della Verità, che ha ricevuto per mezzo del Battesimo, riconoscerà bensì le parole, le frasi e le parabole delle Scritture, ma non riconoscerà il blasfemo insegnamento che gli uomini ne fanno. Perché, se anche riconoscerà le pietre preziose, non accetterà la volpe fatta con esse al posto dell’immagine del re. Poiché però a questa rappresentazione manca l’atto finale, che cioè qualcuno riveli la loro farsa dandole il colpo di grazia, crediamo necessario mostrare in primo luogo quelle cose sulle quali i padri di questa favola siano in disaccordo tra loro, tributari come sono di diversi spiriti erronei. In tal modo si potrà scoprire perfettamente, anche prima della dimostrazione, la saldezza della verità predicata dalla Chiesa e la falsità delle favole inventate da loro» (I, 9, 4-5).

    La Relazione Finale sembra lasciare alle autorità della Chiesa locale la risoluzione della questione relativa all’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione: «l’accompagnamento dei sacerdoti» e «gli orientamenti del Vescovo». La materia è in ogni caso connessa essenzialmente al deposito della fede, cioè alla Parola di Dio rivelata. La non ammissione dei divorziati, che vivano in stato di pubblico adulterio, discende dalla verità immutabile della Legge propria della fede cattolica e, di conseguenza, anche dalla Legge della prassi liturgica cattolica.

    La Relazione Finale sembra inaugurare una cacofonia dottrinale e disciplinare nella Chiesa Cattolica, che contraddice l’essenza propria del Cattolicesimo. Si devono ricordare le parole di Sant’Ireneo circa la forma autentica della Chiesa in ogni tempo ed in ogni luogo: «In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto questa predicazione e questa fede, le conserva con cura, come se abitasse un’unica casa. Crede anche in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca. Infatti, anche se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono in Gallia, né quelle dell’Oriente, dell’Egitto, della Libia, né quelle che si trovano al centro del mondo (Italia). Ma come il sole, creazione di Dio, è uno e lo stesso in tutto il mondo, così anche la predicazione della Verità risplende ovunque e illumina tutti gli uomini disposti a conoscere la Verità medesima. Né alcuno dei capi delle Chiese, per quanto dotato di grande talento nell’eloquenza, insegna dottrine diverse da questa (poiché nessuno è più grande del Maestro); né, d’altra parte, chi manchi in capacità espressiva può infliggere ferite alla tradizione. Per la fede che è sempre stata una e la stessa, nessuno è tanto abile da discorrerne a lungo, aggiungendovi o togliendovi alcunché» (Adversus haereses, I, 10, 2).

    La Relazione Finale nella sezione relativa ai divorziati risposati evita sistematicamente di ammettere il principio immutabile dell’intera tradizione cattolica ovvero che quanti vivano un’unione coniugale invalida possono essere ammessi alla Santa Comunione solo a condizione di promettere di vivere in piena continenza e di evitare il pubblico scandalo. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno confermato con forza tale principio cattolico. Evitare intenzionalmente di menzionarlo e di riaffermarlo nel testo della Relazione Finale può essere paragonato alla programmatica elusione dell’espressione “homoousios” da parte degli avversari del dogma del Concilio di Nicea nel IV secolo – gli Ariani formali ed i cosiddetti semi-Ariani –, che hanno inventato, una dopo l’altra, altre espressioni per non riconoscere direttamente la consustanzialità del Figlio di Dio a Dio Padre.

    Tale allontanamento da un’aperta professione cattolica da parte di una maggioranza dell’episcopato nel IV secolo provocò una febbrile attività ecclesiastica con continui incontri sinodali ed una proliferazione di nuove formule dottrinali aventi quale comune denominatore quello di evitare la chiarezza terminologica dell’espressione “homoousios”. Allo stesso modo, ai nostri giorni i due Sinodi sulla Famiglia hanno evitato di nominare e di ammettere con chiarezza il principio proprio dell’intera tradizione cattolica per il quale, chi vive un’unione coniugale invalida può essere ammesso alla Santa Comunione solo a condizione che prometta di vivere una completa continenza e di evitare il pubblico scandalo.

    Ciò è provato anche dall’inequivocabile ed immediata reazione avuta dai media secolarizzati, nonché dai principali fautori della nuova pratica non-cattolica di ammettere i divorziati risposati alla Santa Comunione, pur permanendo la loro condizione di pubblico adulterio. Il Card. Kasper, il Card. Nichols e l’Arcivescovo Forte, ad esempio, hanno apertamente dichiarato che, secondo la Relazione Finale, si può supporre che una porta in qualche modo sia stata aperta alla Comunione ai divorziati risposati. V’è anche un considerevole numero di Vescovi, sacerdoti e laici, che gioiscono di fronte alla prospettiva di questa “porta aperta”, trovata nellaRelazione Finale. Anziché guidare i fedeli ad una Dottrina chiara ed in sommo grado inequivocabile, la Relazione Finale ha provocato una situazione di oscurità, di confusione, di soggettivismo (il giudizio di coscienza sul divorzio ed il foro interno) ed un particolarismo dottrinale e disciplinare, a sua volta non cattolico, in una materia essenzialmente collegata al deposito della fede trasmesso dagli Apostoli.

    Coloro che ai nostri giorni difendono strenuamente la santità dei Sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia vengono etichettati come farisei. Tuttavia, dal momento che il principio logico di non contraddizione è valido ed il senso comune funziona ancora, è vero il contrario.

    Son più simili ai farisei coloro che offuscano la Verità divina nella Relazione Finale. Pur di conciliare una vita adultera con la ricezione della Santa Comunione, si sono abilmente inventati nuovi significati, una nuova legge di «discernimento e integrazione», introducendo nuove tradizioni umane contro il cristallino Comandamento di Dio. Ai sostenitori della cosiddetta agenda Kasper sono rivolte queste parole di Verità incarnata: «Avete fatto decadere la Parola di Dio con la tradizione che voi avete tramandato» (Mc 7, 13). Coloro che per duemila anni han parlato incessantemente e con la massima chiarezza dell’immutabilità della Verità divina, spesso a costo della propria vita, oggi verrebbero pertanto etichettati come farisei: così San Giovanni il Battista, San Paolo, Sant’Ireneo, Sant’Atanasio, San Basilio, San Tommaso Moro, San Giovanni Fisher, San Pio X, solo per citarne gli esempi più luminosi.

    Il vero risultato del Sinodo nella percezione tanto dei fedeli quanto dell’opinione pubblica secolarizzata è l’impressione che, in pratica, si sia focalizzata soltanto la questione dell’ammissione delle persone divorziate alla Santa Comunione. Si può affermare che il Sinodo in un certo senso si sia rivelato agli occhi dell’opinione pubblica come il Sinodo dell’adulterio, non della Famiglia. In effetti, tutte le belle affermazioni della Relazione Finale sul matrimonio e sulla famiglia vengono poste in ombra dalle dichiarazioni ambigue dei brani sui divorziati risposati, argomento peraltro già definito e risolto dal Magistero degli ultimi Pontefici Romani in fedele conformità all’insegnamento bimillenario ed alla prassi della Chiesa. E’ pertanto una vera vergogna che i Vescovi cattolici, i successori degli Apostoli, abbiano utilizzato le assemblee sinodali per attentare alla costante ed immutabile prassi della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio ovvero sulla non ammissione ai Sacramenti dei divorziati, che vivano un’unione adulterina.

    Nella sua lettera a papa Damaso, San Basilio ha tracciato un quadro realistico della confusione dottrinale provocata all’epoca da quegli ecclesiastici alla ricerca di un vacuo compromesso e di un accomodamento allo spirito del mondo: «Le tradizioni non sono fissate a nulla; i piani degli innovatori sono di moda nelle chiese; vi son più ideatori di astuti meccanismi che teologi; la sapienza di questo mondo conquista i riconoscimenti più alti e rifiuta la gloria della Croce. Gli anziani si rammaricano, quando confrontano il presente al passato. Ancor più v’è da compatire i più giovani, poiché non sanno nemmeno di cosa siano stati privati» (Ep. 90, 2).

    In una lettera a papa Damaso ed ai Vescovi occidentali, San Basilio descrisse così la confusa situazione vigente nella Chiesa: «Le leggi della Chiesa sono preda della confusione. L’ambizione degli uomini, che non hanno timore di Dio, li fa balzare ai posti più elevati e chi magnifica il rito è ora conosciuto da tutti come preda dell’empietà. L’esito è che più un uomo bestemmia, più la gente pensa che sia un vescovo. La dignità clericale è una cosa del passato. Non vi è alcuna conoscenza precisa dei Canoni. Vi è totale immunità nel peccare; chi ha raggiunto un determinato incarico col favore degli uomini, è obbligato a restituirlo, mostrandosi in continuazione indulgente verso i trasgressori. Anche il retto giudizio è una cosa del passato ed ognuno procede secondo le brame del proprio cuore. Chi detiene l’autorità ha paura di parlare, chi ha raggiunto il potere in virtù dell’umano interesse è schiavo di coloro ai quali deve la propria affermazione. Ed ora rivendicare l’autentica ortodossia viene visto in taluni ambienti come l’opportunità per attaccarsi reciprocamente; gli uomini occultano nell’intimo la loro cattiva volontà e pretendono che il loro atteggiamento ostile tragga interamente motivo dall’amore della verità. Mentre i miscredenti ridono, gli uomini deboli nella fede restano scossi, il credere è incerto, le anime sono immerse nell’ignoranza, poiché chi adultera le parole imita la verità. I migliori tra i laici evitano le chiese come cattedre di empietà e levano le loro mani al cielo nel deserto con sospiri e lacrime rivolti al loro Signore. La fede ricevuta dai Padri, quella che sappiamo segnata col simbolo degli Apostoli, a questa fede noi diamo il nostro assenso, così come a tutto quanto in passato era stato promulgato canonicamente e legalmente» (Ep. 92, 2).

    Ogni periodo di confusione nella storia della Chiesa è allo stesso tempo un periodo in cui è possibile ricevere grandi grazie di forza e di coraggio, nonché un’opportunità di mostrare il proprio amore per Cristo, Verità incarnata. A Lui ogni battezzato, ogni sacerdote ed ogni Vescovo ha promesso fedeltà inviolabile, ciascuno nel proprio stato: mediante le promesse battesimali, quelle sacerdotali e quella solenne dell’ordinazione episcopale: «Io manterrò puro ed integro il deposito della fede, secondo la tradizione sempre ed ovunque preservata nella Chiesa». L’ambiguità contenuta nella sezione divorziati risposati della Relazione Finale contraddice il solenne giuramento episcopale sopra riportato. Nonostante ciò, tutti nella Chiesa – dal semplice fedele ai detentori del Magistero – dovrebbero dire:

    “Non possumus!”. Io non accetterò  un discorso nebuloso né una porta secondaria abilmente occultata per profanare il Sacramento del Matrimonio e dell’Eucaristia. Allo stesso modo, non accetterò che ci si prenda gioco del sesto Comandamento di Dio. Preferisco esser io ridicolizzato e perseguitato piuttosto che accettare testi ambigui e metodi non sinceri. Preferisco la cristallina «immagine di Cristo Verità all’immagine della volpe ornata con pietre preziose» (S. Ireneo), perché «conosco ciò in cui ho creduto», «Scio cui credidi» (II Tm 1, 12).

     

    2 novembre 2015

     

    + Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Santa Maria ad Astana

     

    (Fonte: Rorate Caeli. Trad. it. di Mauro Faverzani per Corrispondenza Romana)



     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 04/11/2015 23:03
    [SM=g1740758] Qual'è la vostra posizione riguardo al dare la comunione ai divorziati-risposati?

    io l'ho espressa tante volte: cioè che non è possibile!
    che non è possibile perchè una tale ammissione, vorrebbe dire cambiare la dottrina del matrimonio, della Eucarestia, della confessione, della Chiesa sulla sessualità umana
    e quinto, avrebbe una rilevanza pedagogica devastante, perchè di fronte a una tale decisione, specialmente i giovani, potrebbero concludere legittimamente: "allora è proprio vero, non esiste un matrimonio indissolubile".. [SM=g1740721]

    Le aperture di Papa Francesco sono diverse, non è una apertura che vuol dire cambiare la dottrina, vuol dire avere un'atteggiamento vero, pastorale verso le persone, qualunque sia la loro condizione....

    www.youtube.com/watch?v=iKRLWE96RCw








    [SM=g1740750] [SM=g1740752]

    [Modificato da Caterina63 05/11/2015 18:05]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)