00 01/07/2016 12:19

Comunione per tutti, anche per i protestanti


Oltre che per i divorziati risposati, anche per i seguaci di Lutero c'è chi dà il via libera all'eucaristia. Ecco come "La Civiltà Cattolica" interpreta le enigmatiche parole del papa in materia di intercomunione 

di Sandro Magister



ROMA, 1 luglio 2016 – A modo suo, dopo aver incoraggiato per i divorziati risposati la comunione, in quanto "non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli", papa Francesco incoraggia ora anche i protestanti e i cattolici a fare la comunione insieme nelle rispettive messe.

Lo fa, come sempre, in modo discorsivo, allusivo, non definitorio, rimettendo la decisione ultima alla coscienza dei singoli.

Resta emblematica la risposta che diede il 15 novembre 2015, in visita nella Christuskirche, la chiesa dei luterani di Roma (vedi foto), a una protestante che gli chiedeva se poteva fare la comunione assieme al marito cattolico.

La risposta di Francesco fu una stupefacente girandola di sì, no, non so, fate voi. Che è indispensabile rileggere per intero, nella trascrizione ufficiale:

"Grazie, Signora. Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderLe, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: 'Fate questo in memoria di me'. E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia - io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. È vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso Battesimo. Quando Lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, Lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il Battesimo. Quando voi pregate insieme, quel Battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con sé stesso e con le poche luci teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. 'Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue', ha detto il Signore, 'fate questo in memoria di me', e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, 48enne, sposato, due figli e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla Messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla Cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda Le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la Cena del Signore mi accompagni nella mia strada? È un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: 'Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?' – 'Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…'. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al Battesimo: 'Una fede, un battesimo, un Signore', così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più".

Impossibile ricavare da queste parole un'indicazione chiara. Di certo, però, parlando in forma così "liquida", papa Francesco ha rimesso tutto in discussione, riguardo all'intercomunione tra cattolici e protestanti. Ha reso qualsiasi posizione opinabile e quindi praticabile.

Infatti, in campo luterano le parole del papa furono subito prese come un via libera all'intercomunione.

Ma ora anche in campo cattolico è arrivata una presa di posizione analoga, che soprattutto si presenta come interpretazione autentica delle parole dette da Francesco nella chiesa luterana di Roma.

A far da interprete autorizzato del papa è il gesuita Giancarlo Pani, sull'ultimo numero de "La Civiltà Cattolica", la rivista diretta da padre Antonio Spadaro che è ormai diventata la voce ufficiale di Casa Santa Marta, cioè di Jorge Mario Bergoglio in persona, che rivede e concorda gli articoli che più gli interessano, prima della loro pubblicazione.

Prendendo spunto da una recente dichiarazione congiunta della conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e della Chiesa evangelica luterana d'America, padre Pani dedica l'intera seconda parte del suo articolo all'esegesi delle parole di Francesco nella Christuskirche di Roma, accortamente selezionate tra le più funzionali allo scopo.

E ne trae la conclusione che esse hanno segnato "un cambiamento"  e "un progresso nella prassi pastorale", analogo a quello prodotto da "Amoris laetitia" per i divorziati risposati.

Sono solo "piccoli passi avanti", scrive Pani nel paragrafo finale. Ma la direzione è segnata.

Ed è la stessa che Francesco percorre quando dichiara – come ha fatto durante il volo di ritorno dall'Armenia – che Lutero "era un riformatore" benintenzionato e la sua riforma fu "una medicina per la Chiesa", sorvolando sulle divergenze dogmatiche essenziali tra protestanti e cattolici riguardo al sacramento dell'eucaristia, perché – parola di Francesco nella Christuskirche di Roma – "la vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni".

Ecco dunque qui di seguito i passaggi principali dell'articolo di padre Pani su "La Civiltà Cattolica".

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Sull'intercomunione tra cattolici e protestanti

di Giancarlo Pani S.I.


Il 31 ottobre 2015, festa della Riforma, la Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e la Chiesa evangelica luterana in America hanno pubblicato una dichiarazione congiunta che fa il punto sulla storia dell’ecumenismo nell’ultimo mezzo secolo. […] Il testo è stato reso noto dopo la chiusura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia e in vista della commemorazione comune dei 500 anni della Riforma nel 2017. […]

Il documento si conclude con una rilevante proposta positiva: "La possibilità di un’ammissione, sia pure sporadica, dei membri delle nostre Chiese alla comunione eucaristica con l’altra parte (cioè la 'communicatio in sacris') potrebbe essere offerta più chiaramente e regolata in modo più misericordioso (compassionately)". […]


La visita di papa Francesco alla Christuskirche di Roma


Due settimane dopo la promulgazione della dichiarazione, il 15 novembre scorso, papa Francesco ha visitato la Christuskirche, la Chiesa evangelica luterana di Roma. […]

Durante l’incontro, c’è stata anche una conversazione fra il papa e i fedeli. Tra i vari interventi, quello di una signora luterana, sposata con un cattolico, la quale ha chiesto che cosa possa fare perché lei partecipi insieme con il marito alla comunione eucaristica. E ha specificato: "Viviamo felicemente insieme da molti anni condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore".

Rispondendo, papa Francesco ha posto una domanda: "Condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme?".

La risposta a questa domanda l’ha data il Vaticano II, nel decreto "Unitatis redintegratio": "Non è lecito considerare la 'communicatio in sacris' come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per ristabilire l’unità dei cristiani. Tale 'communicatio in sacris' è regolata soprattutto da due princìpi: dalla manifestazione dell’unità della Chiesa, e dalla partecipazione ai mezzi della grazia. Essa è per lo più impedita dal punto di vista dell’espressione dell’unità; la necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l’autorità episcopale del luogo".

Questa posizione è ribadita e ampliata dal direttorio per l’applicazione dei princìpi e delle norme sull’ecumenismo del 1993, approvato da papa Giovanni Paolo II, là dove si dice: "La condivisione delle attività e delle risorse spirituali deve riflettere questa duplice realtà: 1) la reale comunione nella vita dello Spirito che già esiste tra i cristiani e che si esprime nella loro preghiera e nel culto liturgico; 2) il carattere incompleto di tale comunione a motivo di differenze di fede e a causa di modi di pensare che sono inconciliabili con una condivisione piena dei doni spirituali".

Il direttorio pone dunque l’accento sul "carattere incompleto della comunione" delle Chiese, da cui segue la limitazione dell’accesso al sacramento eucaristico. Ma se le Chiese si riconoscono nella successione apostolica e ammettono i reciproci ministeri e sacramenti, godono di un maggior accesso ai sacramenti stessi, che, in ogni caso, secondo il documento, non deve essere massivo e indiscriminato. La condivisione sacramentale rimane invece limitata per le Chiese che non hanno una comunione e unità di fede sulla Chiesa, l’apostolicità, i ministeri e i sacramenti.

Tuttavia la teologia cattolica mantiene con sapienza direttive di ampio respiro, in modo da considerare caso per caso – come ricorda il decreto "Unitatis redintegratio" – con un discernimento che compete all’ordinario del luogo. In tal senso, almeno dopo la promulgazione del direttorio, non si può più dire che "i non cattolici non possono mai ricevere la comunione in una celebrazione eucaristica cattolica". È interessante notare come la stessa logica di "discernimento pastorale" sia stata applicata da papa Francesco nella sua esortazione apostolica "Amoris laetitia" (nn. 304-306).


Si può partecipare insieme alla Cena del Signore?


A questo punto si ricollega papa Francesco, il quale prosegue: "Ma non abbiamo lo stesso battesimo? E se abbiamo lo stesso battesimo, dobbiamo camminare insieme. Lei [il papa si riferisce alla signora che aveva posto la domanda] è una testimonianza di un cammino anche profondo, perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. [...] Quando lei si sente peccatrice – anch’io mi sento tanto peccatore –, quando suo marito si sente peccatore, lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il battesimo. Quando voi pregate insieme, quel battesimo cresce, diventa forte. [...] La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali, soltanto se uno è sincero con se stesso e con le poche luci teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso [...]. 'Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue', ha detto il Signore; 'fate questo in memoria di me', e questo è un viatico che ci aiuta a camminare".

Ma allora si può partecipare insieme alla Cena del Signore? A questo proposito il papa ha fatto una distinzione: "Io non oserò mai dare il permesso di fare questo, perché non è mia competenza". Poi ha aggiunto, ricordando le parole dell’apostolo Paolo: "Un battesimo, un Signore, una fede" (Ef 4, 5), e ha esortato, continuando: "È un problema a cui ognuno deve rispondere. [...] Parlate col Signore e andate avanti".

Qui entra in gioco la missione principale della Chiesa, formulata anche nel Codice di diritto canonico come "salus animarum, quae in Ecclesia suprema lex esse debet" (cfr. 1752). La necessità di una valutazione concreta su ciascun singolo caso è assolutamente ribadita da quella che è la missione precipua della Chiesa, la "salus animarum". In forza di ciò, di fronte a casi estremi, l’accesso alla vita di grazia che i sacramenti garantiscono, soprattutto nel caso dell’amministrazione della eucaristia e della riconciliazione, diviene imperativo pastorale e morale.


La pastorale di papa Francesco


La presa di posizione del papa sembra una riaffermazione delle direttive del Vaticano II. Ma non sfugge che un cambiamento c’è, e anzi può essere inteso come un progresso nella prassi pastorale. Di fatto Francesco, come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale, ribadendo quanto affermato dal Concilio inserisce quella prassi nel cammino storico che il dialogo luterano-cattolico ha compiuto nei confronti del sacramento della riconciliazione e dell’eucaristia. Il direttorio del 1993 già notava che "in certe circostanze, in via eccezionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali".

Del resto, dieci anni prima, il Codice di diritto canonico dettava le condizioni in cui i fedeli delle Chiese nate dalla Riforma (luterani, anglicani ecc.) possono ricevere i sacramenti in particolari circostanze: per esempio, "se non possono accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti" (can. 844 § 4).

Papa Giovanni Paolo II, nella lettera enciclica "Ecclesia de eucharistia", del 2003, ha precisato alcuni punti al riguardo, asserendo che "occorre badare bene a queste condizioni, che sono inderogabili, pur trattandosi di casi particolari determinati", come quella del "pericolo di morte o altra grave necessità". L’intento di queste precisazioni è sempre la cura pastorale delle persone, con una specifica attenzione a che questo non porti all’indifferentismo.

Qui occorre mettere in chiaro che, se da un lato le misure prudenziali e restrittive che la Chiesa ha posto in passato si basavano sulla teologia sacramentale, dall’altro la sua missione pastorale e la salvezza delle anime che essa ha a cuore rivelano il valore della grazia del Signore e la condivisione dei beni spirituali. Papa Francesco ha espresso particolare attenzione ai problemi della persona nella "communicatio in sacris", alla luce degli sviluppi dell’insegnamento della Chiesa dal Concilio al direttorio del 1993 sui princìpi e norme dell’ecumenismo, dalla dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione del 1999 al testo "Dal conflitto alla comunione" del 2013, fino all’ultima dichiarazione del 2015.

Si tratta di piccoli passi avanti nella prassi pastorale. La norma e la dottrina devono essere sempre più guidate dalla logica evangelica e dalla misericordia, dalla cura pastorale dei fedeli, dall’attenzione ai problemi della persona e dalla valorizzazione della coscienza illuminata dal Vangelo e dallo Spirito di Dio.

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Il link all'articolo di padre Giancarlo Pani su "La Civiltà Cattolica" del 9 luglio 2016:

> Cattolici e luterani. L’ecumenismo nell’"Ecclesia semper reformanda"

La dichiarazione comune della conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e della Chiesa evangelica luterana d'America citata da Pani:

> Declaration on the Way: Church, Ministry and Eucharist

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

28.6.2016
> Joseph Ratzinger 65 anni dopo
"E così sul sacerdozio cattolico si abbatté la furia della critica protestante". Nell'anniversario dell'ordinazione sacerdotale del futuro Benedetto XVI, il cardinale Müller racconta la sua indomita resistenza all'offensiva dei seguaci di Lutero

24.6.2016
> "Genocidio", la parola che Francesco ha voluto ridire. In Armenia
L'ha ridetta, a sorpresa, nel palazzo presidenziale di Yerevan, nel primo dei discorsi del suo viaggio. Distaccandosi dal testo scritto, che la taceva

24.6.2016
> "Genocidio", la parola che Francesco non vuole più dire
L'ha tolta dal suo vocabolario alla vigilia del viaggio in Armenia. Eppure in passato l'ha usata più volte, anche per lo sterminio compiuto dai turchi un secolo fa. Ecco perché ha deciso di cancellarla

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Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

> SETTIMO CIELO

Ultimi tre titoli:

"Opera omnia" del papa emerito. L'ultima delle sue. Anzi, la penultima

Francesco con l'Armenia contro la Turchia. Ma non è mai detta l'ultima parola

Soccorso armato in Libia. La proposta de "L'Osservatore Romano"

 



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1.7.2016

e si dica ADDIO anche l'enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II dove vietava proprio decisioni come queste: 

45. Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all'amministrazione dell'Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l'obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l'eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale



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Comunione per tutti, profanazione senza vergogna

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I gesuiti vogliano dare la Comunione a tutti perché sono convinti che Gesù e la sua Chiesa appartengano a loro.

L’inquietante articolo di Sandro Magister (vedi qui) ci offre l’occasione per riflettere su questa grave situazione, di cui parlammo in questi editoriali:

Questa volta ad imbrigliare ancora di più la matassa, non è direttamente il Papa, ma i suoi collaboratori – tutto in famiglia! –, cioè i gesuiti de La Civiltà Cattolica.

Per chi fosse digiuno di storia, ricordiamo che La Civiltà Cattolica è la più antica delle riviste cattoliche esistente, fondata a Napoli nel 1850 e diretta interamente dai gesuiti. Divenuta da subito organo ufficiale della “voce del Papa” prima che nascesseL’Osservatore Romano, è sempre stata la rivista che spiegava i documenti papali e la politica del Vaticano. Tutti i Pontefici si sono serviti di questa rivista per le proprie pubblicazioni, supervisionando tutto ciò che veniva proposto alla pubblicazione e, dopo attente letture e valutazioni, stabilivano cosa e come andasse stampato.

P. Pedro Arrupe (destra) con il giovane P. Jorge Bergoglio.
Padre Pedro Arrupe (destra) con il giovane padre Jorge Mario Bergoglio (sinistra).

Oggi, inutile negarlo, la Chiesa è sottoposta ad una revisione-dittatoriale gesuitica. Non soltanto gli organi ufficiali di radio, stampa, comunicazioni, sono in mano ai gesuiti, ma lo è anche il Papa il quale non fa eccezione alla regola di Pedro Arrupe: nessun gesuita può fare a meno del confratello. Una mano lava l’altra, e tutte e due lavano il viso.

In passato abbiamo avuto Pontefici francescani, domenicani, carmelitani, benedettini, ma nessuno di loro, come in questo oggi, ha mai piegato la Chiesa al proprio Ordine.

Non stiamo assistendo ad una sagra cinematografica: ci troviamo davanti ad un problema serio nel quale, è bene chiarirlo subito, l’Eucaristia non è affatto un diritto.

Per dimostrare che l’Eucaristia sarebbe un “diritto-uguaglianza”, Papa Francesco disse: “Quando, tanti anni fa – cento anni fa, o di più – il Papa Pio X disse che si doveva dare la comunione ai bambini, tanti si sono scandalizzati. «Ma quel bambino non capisce, è diverso, non capisce bene…». «Date la comunione ai bambini», ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza, perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo. Quando ci sono diversità fra noi, si capisce in un altro modo” (vedi qui).

Questo è ciò si vuole passare, storpiando grossolanamente i fatti, perché le cose non stanno così. San Pio X non intendeva fare “di una diversità un’uguaglianza”. Con il Decreto Quam singulari Christus amore si spiegava perché, la SS. Eucaristia, che fin dai primi secoli veniva data ai bambini, poi fu vietata al IV Concilio Lateranense ed oggi, con Pio X ridata ai bambini. Così spiega il Decreto:

“Tal costume in appresso venne a cessare nella Chiesa latina, e si cominciò a non ammettere i fanciulli alla sacra mensa se non quando avessero qualche uso incipiente di ragione e una proporzionata cognizione dell’augusto Sacramento. La qual nuova disciplina, già ammessa da alcuni Sinodi particolari, fu confermato solennemente dal Concilio Lateranense IV, l’anno 1215, col celebre canone XXI, che prescrive ai fedeli, non appena giunti all’età della ragione, la Confessione sacramentale e la Santa Comunione, con queste parole: «Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione, confessi da solo e fedelmente tutti i suoi peccati, almeno una volta l’anno, al suo sacerdote, e procuri di adempiere secondo le forze la penitenza ingiuntagli, ricevendo riverentemente, almeno alla Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia, salvo che per consiglio del suo sacerdote o per qualche ragionevole motivo credesse doversene temporaneamente astenere».

Il Concilio di Trento (Sess. XXI, De Communione, cap.4), senza punto riprovare l’antica disciplina di amministrare l’Eucaristia ai bambini prima che abbian raggiunto l’uso della ragione, confermò il decreto Lateranense e pronunciò anatema contro chiunque la pensasse altrimenti: «Chi negasse che tutti e singoli i cristiani fedeli dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della discrezione, siano obbligati ogni anno, almeno nella Pasqua a comunicarsi, secondo il precetto della Santa Madre Chiesa, sia “anatema”» (Sess. XIII, De Eucharistia, cap.8, can.9)”.

Questo excursus ci è utile per comprendere che è un falso parlare di diritto e diuguaglianze; la preoccupazione dei Padri della Chiesa era quello di aiutare – uomini e donne, eccola la vera uguaglianza dei diritti, dell’uno e dell’altro sesso – a comprendere che per ricevere l’Eucaristia bisogna essere in stato di grazia, ossia confessati e liberati, in quel momento, da ogni grave peccato. Punto!

Immaginetta di San Pio X
Immaginetta di San Pio X

Non ci sono divieti o imposizioni; il divieto accompagnato dall’anatema anche al concilio di Trento riguarda non l’età in sé ma la comprensione dello stato di peccato. San Pio X superò questo ostacolo ricorrendo semplicemente al fatto che i bambini non hanno ancora maturato la malizia che è già, piuttosto, in crescita in età adolescenziale e sono più docili, quando ben preparati, ad accogliere il Mistero.

Il punto era “quale è l’età giusta della discrezione”? San Pio X, che era stato per anni parroco, conosceva bene la situazione dei bambini e ben sapeva che, seppure nell’innocenza del loro stato, essi parevano comprendere l’importanza dell’amare Dio e il desiderio di riceverlo nell’Eucaristia. Non si può comprendere l’Eucaristia “in altro modo” che quello insegnato dalla Chiesae non si può riceverla se non con le stesse intenzioni insegnate dalla Chiesa. Diversamente a ciò si parlerebbe di “profanazione”, di abuso.

La motivazione di San Pio X era questa:

«E sebbene la prima Comunione suole esser preceduta da più diligente istruzione e da un’accurata confessione sacramentale, ciò che veramente non si pratica da per tutto, è sempre tuttavia dolorosa la perdita della prima innocenza, perdita che forse sarebbe potuta evitarsi, se si fosse in età più tenera ricevuta l’Eucaristia… Son questi i danni recati da coloro che insistono oltre il dovere nell’esigere preparazioni straordinarie alla prima Comunione senza accorgersi forse che siffatte cautele provengono dagli errori dei Giansenisti, i quali sostengono essere la SS.ma Eucaristia un premio, non un farmaco all’umana fralezza. Ma ben altrimenti la intese il Concilio di Trento, quando insegnò che essa “è un antidoto per liberarci dalle colpe quotidiane e preservarci dai peccati mortali”».

E non senza le clausole. Eccone due imponenti:

  1. L’età della discrezione tanto per la Confessione quanto per la Comunione è quella in cui il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno, sia al di sopra di esso, sia anche al di sotto. Da questo momento comincia l’obbligo di soddisfare all’uno e all’altro precetto della Confessione e della Comunione.
  2. Per la prima Confessione e per la prima Comunione non è necessaria una piena e perfetta cognizione della dottrina cristiana. Però il fanciullo dovrà in seguito venire imparando il catechismo intero, in modo proporzionato alle forze della sua intelligenza.

Orbene, l’Eucaristia non è un premio, ma farmaco che prevede la medicina della Confessione e dell’assoluzione dei peccati, dunque il riconoscimento del proprio peccato e abbandonarlo. E poiché si ricade spesso, quest’Eucaristia è il farmaco che solo un malato, intento a debellare il proprio male – confessione, pentimento e la dovuta penitenza –, può ricevere.

Veniamo così alla questione dell’inter-comunione con i protestanti. Essi non accettano la Confessione, non riconoscono gli altri Sacramenti, non riconoscono il sacerdozio ordinato ma solo comune dei fedeli; soprattutto sostengono che non c’è la Transustanziazione nella Consacrazione, ma una presenza “spirituale” di Gesù. Dunque, di cosa stiamo parlando? Di quali diritti? Questa è profanazione senza pudore, senza vergogna.

Sono almeno quarant’anni che, da frange sincretiste protestanti e cattoliche, si pretende l’inter-comunione, ossia, la pretesa di ricevere l’Eucaristia almeno negli incontri ecumenici. Fu proprio san Giovanni Paolo II a sbarrare questa strada, proprio nella sua ultima enciclica, dedicata all’Eucaristia. Denunciò duramente questi abusi, scrivendo:

«Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti,l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una inter-comunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale» (Ecclesia de Eucharistia, n. 45).

La Comunione ai protestanti – e con loro – è perciò impossibile e il motivo non è un’intollerabile o dittatoriale disuguaglianza! Ma è un diritto divino che, nella situazione in cui sono i protestanti, questo diritto è stato rigettato e rinnegato con la loro apostasia ed eresia.

Giovanni Paolo II e Pedro Arrupe.
Giovanni Paolo II e Pedro Arrupe.

Pochi conoscono la battaglia che Giovanni Paolo II, novello romano pontefice, dovette affrontare con il generale dei gesuiti, il già menzionato Pedro Arrupe, proprio riguardo la disobbedienza – l’insubordinazione, per usare un termine militare – dei soldati della Compagnia.

«Voi create confusione nel popolo cristiano», si lamentò il Pontefice in un messaggio del settembre del 1979 al “papa nero” dell’epoca. «E ansia alla Chiesa e anche personalmente al papa che vi sta parlando». Elencò poi le pecche dei gesuiti, parlò della loro «eterodossia dottrinale» e chiese loro di «ritornare al magistero supremo della Chiesa e del pontefice romano». Non avrebbe potuto tollerare oltre, disse, le loro deviazioni… (1)

Purtroppo Giovanni Paolo II dovette subire e tollerare, suo malgrado, per altre questioni di politica pastorale o, se preferite la verità, di politically correct, il politicamente corretto, la prepotenza gesuitica che avanzava inesorabilmente coi suoi dottori quali il francese Pierre Teilhard de Chardin, il tedesco Karl Rahner ed altri, con la loro “chiesa del popolo”, sviluppo autocefalo della teologia della liberazione.

Una rara foto dellallora padre Bergoglio.
Una rara foto dell’allora padre Bergoglio.

Ecco, l’allora padre Bergoglio si caratterizzava per questa differenza: lui era contro la teologia della liberazione, ma per incarnare quella del popolo; qui sta questa deviazione dell’uguaglianza anche dei Sacramenti, e dei Sacramenti intesi come dei diritti che chiunque può ricevere, indipendentemente dallo stato di peccato in cui ci si trova.

Giovanni Paolo II era ben lontano dal comprendere la gravità di queste ulteriori derive, ma almeno mise questi paletti anche se oggi, come stiamo assistendo, le sue encicliche vengono fatte a brandelli e, nella Chiesa, si fa quello che viene scritto ne La Civiltà Cattolica, organo non più “voce del papa”, ma gazzettino dei gesuiti modernisti che hanno preso il potere nella Gerarchia.




Segnalo che sulla mia pagina di Facebook mi hanno fatto notare che nel sito Vaticano c'è il testo del settembre 1979 in cui Giovanni Paolo II dice espressioni diverse dalla didascalia dell'immagine, ve lo segnalo per correttezza:

"Dalle informazioni che da ogni parte del mondo mi pervengono, conosco il grande bene che operano tanti religiosi gesuiti con la loro vita esemplare, col loro zelo apostolico, con la loro sincera e incondizionata fedeltà al Romano Pontefice. Certamente non ignoro – e così rilevo anche da non poche altre informazioni – che la crisi, la quale in questi ultimi tempi ha travagliato e travaglia la vita religiosa, non ha risparmiato la vostra Compagnia, causando disorientamento nel popolo cristiano, e preoccupazioni alla Chiesa, alla Gerarchia ed anche personalmente al Papa che vi parla...."

http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1979/september/documents/hf_jp-ii_spe_19790921_compagnia-gesu.html 

secondo me la sostanza non cambia, ma è bene avere sempre il testo ufficiale


  sulla questione della Giustificazione cliccate qui al messaggio n.21



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Padre Cavalcoli: “Quando parla a braccio, papa Francesco crea pasticci”....

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cavalcoli

” Perchè la Chiesa dovrebbe chiedere scusa ai gay?  Certe dichiarazioni del Papa sono imprudenti”. Lo afferma in questa intervista a Lafedequotidiana il noto teologo domenicano padre Giovanni Cavalcoli.

Padre Cavalcoli, il Papa dice che la  Chiesa deve chiedere perdono anche ai gay, è d’accordo?

” No, non vedo perché. Il problema è complesso. Il Papa è il Vicario di Cristo sulla terra per  i cattolici, progressisti e conservatori,  va rispettato. Però, con altrettanta franchezza dico che sta perdendo colpi, ha delle uscite, come questa sui gay,  poco spiegabili, che turbano o per lo meno sconcertano”.

E allora?

” Penso che il Papa volesse dire un’altra cosa, ammonire dal rischio di una condotta anche verbale troppo dura e senza misericordia verso i gay e questo è giusto, qualche volta è accaduto. Però avrebbe dovuto e potuto associare a quella affermazione una seconda parte nella quale ricordava la gravità morale del peccato di sodomia, vale a dire completare il discorso. Penso che egli sia carente nella virtù della prudenza, spesso ambiguo nelle sue affermazioni che possono essere interpretate in vari modi, parla troppo e a braccio, un male specialmente per uno che è non è padrone di  un ‘altra lingua. In certi casi è rozzo”.

 

Perché imprudente?

” Perché quando parla lui è impegnativo, le sue dichiarazioni non appartengono all’ uomo della strada o al parroco di campagna. A certi livelli è bene evitare la faciloneria, argomenti tanto delicati non si affrontano in cinque minuti di conferenza sull’ aereo che  non è Magistero e dunque è criticabile. Non vorrei essere nei panni del povero Padre Lombardi. Io ho lavorato nella Segreteria di Stato ed è una ricchezza stare a contatto col Papa. Le dico che Giovanni Paolo II faceva rivedere i discorsi, era umile e prudente. Bergoglio vuole fare tutto da solo, parla spesso a braccio fa e disfa come vuole e crea problemi, oltre alla difficoltà di interpretazione. Occorre  umiltà”.

E il successo mediatico?

” Anche qui  è complicato ed è un guaio per molti aspetti. Se gli atei, i comunisti e i massoni ti elogiano, mentre tanti cattolici, progressisti e non, hanno dubbi, qualche cosa non funziona, ma lui, Bergoglio, non se ne da per inteso. Tanti cattolici  sono preoccupati , ci sta del disorientamento. E qui non esiste il paragone ardito che spesso egli fa di Gesù che mangiava coi peccatori, Gesù parlava chiaro e diceva sì quando è sì, non quando è no. Indubbiamente non possiamo togliere a questo Papa il buono che ha, specie nella pastorale sociale, e non condivido le accuse di eresia, però  ci sono cose che non vanno e penso al linguaggio, alla imprudenza e alla faciloneria anche teologica in alcune circostanze. Non dovrebbe parlare a braccio e troppo, crea pasticci”.

Sodomia è peccato?

” Lo è. San Paolo  è chiaro. E’ un peccato mortale, roba da Catechismo  e chi è in peccato mortale se muore senza pentimento,  va all’ Inferno, è bene che anche preti e vescovi se lo mettano in testa e  noi sacerdoti dobbiamo dirlo costi quel che costi”.

Lutero fu davvero medicina per la Chiesa cattolica?

” Anche qui vale lo steso discorso. Poteva risparmiarsela, lo dico con filiale devozione e affetto”.

Chiede scusa ai gay?

” Perchè mai?”

Bruno Volpe






[Modificato da Caterina63 12/07/2016 19:58]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)