00 31/07/2015 15:41
 Cari Sacerdoti, riprendiamo questa rubrica ricordando quelle precedenti:


CRISI DEL SACERDOZIO? Cerchiamo di capire le ragioni (2)


CRISI DEL SACERDOZIO? cerchiamo di capire le ragioni...


Ratzinger:Cari Sacerdoti non siate mediocri

Servitori della vostra gioia (*)

Quando con questa lettura dell’Antico Testamento si arriva al suo nucleo e la parola di Dio viene accettata come terra di vita, si stabilisce spontaneamente il contatto con colui che noi riteniamo per fede come Parola vivente di Dio.

Mi sembra che non a caso questo salmo (119) nella Chiesa antica costituiva la grande profezia della risurrezione, la descrizione del nuovo David e di Gesù Cristo, sacerdote definitivo.

Imparare a vivere non significa imparare una tecnica qualunque, ma vuol dire superare la morte.

Il mistero di Gesù Cristo, la sua morte e risurrezione risplendono, quando la passione della Parola e la sua indistruttibile energia di vita diventa esperienza.

Perciò qui non c’è più bisogno di grandi applicazioni alla nostra particolare spiritualità. Appartiene per costituzione al sacerdozio quella specie di esclusione dei leviti dalla legge, la mancanza di terra, l’abbandono in Dio. La storia di vocazione in Lc. 5,1-11, che avevamo preso ad esaminare all’inizio, termina non diversamente con le parole: «essi abbandonarono tutto e lo seguirono» (v. 11).

Senza questo atto di distacco non c'è sacerdozio. La chiamata alla sequela non sarebbe possibile senza questo segno di libertà e di rifiuto di compromesso. Di conseguenza io penso che il celibato, come distacco da un futuro terreno e da una vita familiare propria, conservi un suo grande significato, anzi la sua indispensabilità, affinché il fondamentale abbandono in Dio possa persistere e diventare concreto.

Ciò significa che il celibato vanta dei diritti su tutto il modo di organizzare la vita. Non può corrispondere al suo significato se noi in tutto il resto seguiamo la tendenza al possesso e le regole del gioco della solita vita di oggi.

Prima di tutto esso non può resistere, se noi non rendiamo effettivo al centro della nostra vita l’atto di dimorare in Dio. Il salmo 16, come il salmo 119, rappresenta una forte allusione alla necessità di una costante contemplativa familiarità con la parola di Dio, la quale solamente può diventare la nostra dimora. L’aspetto comunitario della pietà liturgica, qui sicuramente presente, viene in evidenza quando il salmo 16 parla del Signore come «mio calice» (v. 5).

Secondo il modo di parlare dell’Antico Testamento questa sarà un’allusione al calice festivo, che passava durante il pasto cultuale, o al calice del destino, il calice dell’ira o della salvezza. Nel Nuovo Testamento il sacerdote che prega può considerare questa, in modo speciale, come un’allusione a quel calice, attraverso il quale il Signore, nel senso più profondo, è diventato nostra terra: il calice eucaristico, nel quale dispensa se stesso come nostra vita.

La vita sacerdotale alla presenza di Dio in questo modo viene concretizzata come vita nel mistero eucaristico. Nel più profondo l’Eucaristia è la terra,( che è diventata nostra parte di eredità e della quale possiamo dire: «Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità» (v. 6).

 

Adesso si impongono ancora due annotazioni di carattere fondamentale.

3. Due conclusioni fondamentali dai testi biblici

a)      L’unità dei due Testamenti

In questa preghiera sacerdotale dell’Antica e della Nuova Alleanza attribuisco speciale importanza al fatto che vi si manifesta vitalmente l’unità interna dei Testamenti, l’unità della spiritualità biblica e dei suoi fondamentali atti vitali.

Questo è molto significativo, perché uno dei motivi principali della crisi, motivata esegeticamente e teologicamente, della figura del sacerdote è stata la separazione dell’Antico Testamento dal Nuovo, la cui relazione era ancora vista solo nella tensione di opposizione dialèttica tra legge e Vangelo. Si riteneva come certo che i servizi neotestamentari non avevano assolutamente nulla a che vedere con gli uffici dell’Antico Testamento. La possibilità di rappresentare il sacerdozio sotto forma di ritorno all’Antico Testamento apparve addirittura come la confutazione inattaccabile dell’idea cattolica di sacerdozio.

La cristologia, si diceva, significa l’abolizione definitiva di ogni sacerdozio, lo smantellamento delle frontiere tra sacro e profano, come anche il distacco da tutta la storia delle religioni e dalla loro idea di sacerdozio. Soprattutto, quando nella raffigurazione del sacerdote della Chiesa si proponevano rapporti con l’Antico Testamento o con il patrimonio concettuale della storia delle religioni, si ritenne tutto questo come segno della mancanza dell’elemento cristiano nella Chiesa e come dimostrazione contro la figura del sacerdote nella Chiesa.

E così ci si trovava più che mai tagliati fuori dalla comune corrente sorgiva della pietà biblica e dell’esperienza umana ed esiliati in una realtà profana, il cui cristomonismo in realtà aveva dissolto la stessa figura del Cristo della Bibbia.

Questo poi si collegava al fatto che si inventava un Antico Testamento come contrapposizione di legge e profeti, in cui la legge era identificata con il culto e con i sacerdoti, i profeti con la critica al culto e con una semplice etica della solidarietà, che trova Dio non nel tempio, ma nel prossimo.

Al tempo stesso si arrivò a identificare il culto come legge e, dall’altra parte, a caratterizzare la pietà profetica come fede nella grazia. Come conseguenza di tutto questo il luogo del Nuovo Testamento era stabilito nell’anticulto, nella semplice solidarietà, e, in ogni caso, qualunque ulteriore tentativo di accedere al sacerdozio, secondo questa impostazione di base, non poteva condurre a risultati solidi e convincenti.

La discussione di tutto questo intreccio di pensiero deve ancora essere svolta. Colui che recita il salmo sacerdotale 16 insieme agli altri salmi ad esso collegati, specialmente il salmo 119, si accorge bene anche di un’altra cosa: la fondamentale contrapposizione di culto e profeti, di sacerdozio e profezia o cristologia, in se stessa finisce semplicemente per crollare.

Infatti questo salmo è in ugual misura una preghiera sacerdotale e profetica. In esso si mostra chiaramente la più pura e profonda pietà profetica proprio come pietà sacerdotale. E se è così, si tratta di un testo cristologico. E se è così, la cristianità al suo inizio lo ha ritenuto come una preghiera di Gesù Cristo, che Cristo di nuovo consegna a noi, perché noi possiamo di nuovo recitarla con lui (cf At 2,25-29).

In esso si esprime profeticamente il sacerdozio nuovo di Gesù Cristo, e in esso appare chiaramente come il sacerdozio nella Nuova Alleanza sussiste e deve sussistere ancora da Cristo nell’unità di tutta la storia della salvezza. Da esso si può capire che il Signore non elimina la legge, ma la porta a compimento e la trasferisce nuovamente nella Chiesa, dopo averla veramente «elevata» a espressione della grazia. L’Antico Testamento appartiene a Cristo e in Cristo a noi. La fede può avere vita solo nell’unità dei Testamenti.

 

b)      Sacro e profano

Con questo sono già arrivato alla mia seconda annotazione. Con il ricupero dell’Antico Testamento deve essere superata la diffamazione del sacro e la mistificazione del profano.

Naturalmente, il cristianesimo è fermento, il sacro non è qualcosa di definitivo e di compiuto, ma qualcosa di dinamico.

Il sacerdote è soggetto a quel mandato: andate nel mondo e fate miei discepoli gli uomini! (Mt 28,19). Ma questa dinamica della missione, questa interiore apertura e ampiezza del Vangelo non si può scambiare con la formula: andate nel mondo e fatevi voi stessi mondo! Andate nel mondo e confermatelo nella sua profanità! Si tratta del contrario.

È il santo mistero di Dio, il chicco di senape del Vangelo, che non si mescola col mondo, ma è destinato a penetrare in tutto il mondo. Perciò dobbiamo ritrovare il coraggio del sacro, il coraggio della distinzione di ciò che è cristiano; non per creare steccati, ma per trasformare, per essere realmente dinamici.

Eugenio Ionesco, uno dei padri del teatro dell’assurdo, in una intervista del 1975 ha espresso tutto questo con tutta la passione di un uomo del nostro tempo, che cerca ed ha sete.

Ne cito qualche frase: «La Chiesa non vuole perdere la clientela; essa anzi vuole guadagnare nuovi clienti. Questo dà come risultato una specie di mondanizzazione, che è veramente penosa».

«Il mondo si perde, la Chiesa si perde nel mondo, i parroci sono ingenui e mediocri (è certo che lo potrebbe dire ben a proposito anche dei vescovi!); sono soltanto uomini mediocri come tutti gli altri e si sentono felici di essere piccoli borghesi di sinistra. In una Chiesa ho sentito un parroco dire: Siate lieti, stringiamoci la mano... Gesù vi augura con giovialità una buona giornata! Presto si installerà un bar per la comunione del pane e del vino e si offriranno panini e spumante. Questo mi appare di una incredibile ingenuità, di una totale mancanza di spiritualità. La fraternità non è né mediocrità né cameratismo. Noi abbiamo bisogno di ciò che è fuori del tempo; infatti che cos’è la religione senza santità? A noi non resta niente, niente di stabile, tutto è in movimento. Eppure abbiamo bisogno di una roccia».

In questo contesto mi vengono in mente anche alcune delle stimolanti frasi di Peter Handke nella recente opera «Attraverso i villaggi». Dice così: «Nessuno ci vuole e nessuno mai ci ha voluti... le nostre case sono spalliere di disperazione sospese nel vuoto... Noi non siamo su una falsa strada, ma su alcuna affatto... Come è abbandonata l’umanità, come è abbandonata l’umanità!»

Se si ascoltano queste voci di uomini che, vivendo, soffrendo e amando, vivono consapevolmente nel mondo odierno, io credo che appaia chiaro che si può offrire un servizio a questo mondo solo evitando banali accondiscendenze. Esso ha bisogno non di conferme, ma di trasformazione, della radicalità del Vangelo.

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(*) del cardinale Joseph Ratzinger - Papa Benedetto XVI - in "Servitori della vostra gioia" - Meditazioni sulla spiritualità sacerdotale - Ancora quarta edizione 2008 - pagg.122-129

 Si consiglia di sfogliare altri testi di Ratzinger - Benedetto XVI: vedi qui e ancora qui, grazie

   




[Modificato da Caterina63 22/10/2016 10:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)