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  San Giovanni Rotondo, 25 novembre 2013

Relazione di apertura:

“Credo la remissione dei peccati”

Card. Mauro Piacenza

Penitenziere Maggiore

 

L’espressione “Credo la remissione dei peccati” si incontra, come è noto, nel Simbolo degli Apostoli, un’antica professione di fede, di origine romana, che la tradizione vede legata all’annuncio degli Apostoli stessi, e che ha raggiunto la sua formulazione definitiva – secondo il parere di autorevoli studiosi – già nel II secolo, anche se lievissime variazioni nel testo possono essere avvenute fino all’epoca carolingia. Nella sua radice, però, il Simbolo degli Apostoli rappresenta una straordinaria forma di professione della fede, che tramanda l’essenziale della dottrina affidata da Cristo ai Dodici. Può giovare qui ricordare che nel 1968 – anno simbolo di un’epoca segnata, oltre che da elementi interessanti, anche da sbandamenti e confusioni a livello dottrinale – l’allora giovane professore di teologia Joseph Ratzinger, decise di impostare le sue lezioni accademiche sulla fede cristiana seguendo proprio il Simbolo degli Apostoli. Come è noto, tali lezioni furono poi pubblicate e ne risultò il celebre libro Introduzione al cristianesimo, un testo che a tutt’oggi non ha perduto di smalto e di attualità.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che l’espressione “Credo la remissione dei peccati”, essendo inserita nel terzo articolo del Simbolo, «lega la fede nel perdono dei peccati alla fede nello Spirito Santo, ma anche alla fede nella Chiesa e nella Comunione dei Santi» (CCC 976). Basti al riguardo ricordare che Cristo effuse il dono dello Spirito Santo sugli Apostoli vincolando tale effusione alla remissione delle colpe commesse dagli uomini: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23). Queste parole di Cristo Signore uniscono indissolubilmente l’azione divina del rimettere i peccati al munus apostolico, dalla Tradizione chiamato «potere delle chiavi». Precisa ancora il Catechismo che il ministero della riconciliazione cristiana «non viene compiuto dagli Apostoli e dai loro successori solamente annunciando agli uomini il perdono di Dio meritato per noi da Cristo e chiamandoli alla conversione e alla fede, ma anche comunicando loro la remissione dei peccati per mezzo del Battesimo e riconciliandoli con Dio e con la Chiesa grazie al potere delle chiavi ricevuto da Cristo» (n. 981). Sant’Agostino, interprete autorevole della Scrittura e custode sicuro della Tradizione apostolica, così scrive:

La Chiesa ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli, affinché in essa si compia la remissione dei peccati per mezzo del sangue di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo. In questa Chiesa, l’anima che era morta a causa dei peccati rinasce per vivere con Cristo, la cui grazia ci ha salvati (Sermones 214, 11).

La prima e principale forma di remissione dei peccati ad opera dello Spirito Santo, nella Santa Chiesa, è pertanto senza dubbio il Battesimo. Il Credo Niceno-Costantinopolitano, infatti, afferma: «Professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati». Il motivo di fondo di tale professione di fede sta nel fatto che Gesù ha legato la remissione dei peccati innanzitutto alla fede ed al Battesimo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16). L’espressione di fede del Simbolo degli Apostoli “Credo la remissione dei peccati” va, di conseguenza, letta in connessione in primo luogo con il santo Battesimo. In questa sede, tuttavia, ci soffermeremo a riflettere sull’altro modo principale in cui lo Spirito Santo rimette i peccati nella Chiesa: ossia attraverso il sacramento della Riconciliazione e Penitenza.

In effetti, Battesimo e Penitenza sono intimamente connessi, al punto tale che quest’ultima è stata spesso indicata quale “secondo Battesimo” o anche “Penitenza seconda”, con riferimento alla prima Penitenza, quella battesimale. Tale ripetizione penitenziale, come è evidente, non significa in alcun modo una duplicazione del sacramento battesimale, bensì una rinnovata offerta di quella purificazione che abbiamo ricevuto in quel giorno in cui siamo rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo. Sia detto, per inciso, che il giorno del Battesimo è importante come e ancor più del giorno del nostro compleanno: motivo per cui, in un paio di occasioni, Papa Francesco ha chiesto ai fedeli se conoscessero il giorno in cui erano stati battezzati. Si tratta di un richiamo utile per tutti noi.

Il teologo Joseph Ratzinger, commentando questo articolo del Simbolo nel menzionato volume, ha scritto a suo tempo che

L’asserita remissione dei peccati allude [...] all’altro sacramento che [assieme all’Eucaristia] fonda la Chiesa, cioè al Battesimo; ma molto presto lo sguardo comincia a dirigersi anche qui al sacramento della Penitenza. Ovviamente, sta qui in primissimo piano il Battesimo come grande sacramento della remissione [...]. Solo poco a poco, ci si dovette lasciare insegnare da una dolorosa esperienza come il cristiano, anche dopo battezzato, abbia pur sempre bisogno di perdono (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo Apostolico, Queriniana, Brescia 1969, p. 276).

 

Notiamo la continuità tra queste annotazioni dell’allora giovane teologo Ratzinger con le parole pronunciate da Papa Francesco in occasione di una recente Udienza. Ha detto il Sommo Pontefice:

Al Battesimo è legata la nostra fede nella remissione dei peccati. Il Sacramento della Penitenza o Confessione è, infatti, come un “secondo Battesimo”, che rimanda sempre al primo per consolidarlo e rinnovarlo. In questo senso il giorno del nostro Battesimo è il punto di partenza di un cammino bellissimo, un cammino verso Dio che dura tutta la vita, un cammino di conversione che è continuamente sostenuto dal Sacramento della Penitenza.

Con lo stile pastoralmente concreto che lo contraddistingue il Papa ha poi proseguito:

Pensate a questo: quando noi andiamo a confessarci delle nostre debolezze, dei nostri peccati, andiamo a chiedere il perdono di Gesù, ma andiamo pure a rinnovare il Battesimo con questo perdono. E questo è bello, è come festeggiare il giorno del Battesimo in ogni Confessione. [...] Non mi posso battezzare più volte, ma posso confessarmi e rinnovare così la grazia del Battesimo. È come se io facessi un secondo Battesimo. Il Signore Gesù è tanto buono e mai si stanca di perdonarci. Anche quando la porta che il Battesimo ci ha aperto per entrare nella Chiesa si chiude un po’, a causa delle nostre debolezze e per i nostri peccati, la Confessione la riapre, proprio perché è come un secondo Battesimo che ci perdona tutto e ci illumina per andare avanti con la luce del Signore (Francesco, Udienza generale, 13.11.2013).

 

Confermati da questi insegnamenti del Successore di Pietro, volgiamo dunque la nostra riflessione verso il sacramento della Confessione, modo al tempo stesso quotidiano e straordinario attraverso il quale il Signore ci riconcilia con Sé e noi possiamo vivere in concreto la nostra fede nella remissione dei peccati.

Prima di ogni altra considerazione, è opportuno ricordare che questa Terza Settimana Internazionale della Riconciliazione si inaugura all’indomani della solenne chiusura dell’Anno della Fede, intuizione profetica di Benedetto XVI, pienamente confermata e portata a compimento da Papa Francesco. Tale contesto non è di scarso valore anche per il tema del presente intervento. Basterà osservare che l’espressione del Simbolo, qui oggetto di analisi, si apre con la parola “Credo”. In effetti, la remissione dei peccati è oggetto di fede, è materia di fede. Se è vero – come è vero – che la fede è sempre ed inscindibilmente fede personale e fede dottrinale, fides qua e fides quae creditur, anche la remissione dei peccati deve essere creduta secondo questa duplice accezione del termine. La remissione dei peccati è dunque esperienza di fede dell’essere perdonati da Dio e implica, d’altro canto, dei chiari contenuti dottrinali, dai quali derivano importanti conseguenze sia a livello morale, che canonico e pastorale.

Il primo elemento è quello della fede personale. La remissione dei peccati è e deve essere per ciascuno di noi un’esperienza di fede vissuta. Il lasciarsi perdonare da Dio, il lasciarsi amare dall’amore divino che purifica, è dimensione fondamentale del nostro essere cristiani e, in particolare, dell’essere sacerdoti.
È bene dire sin d’ora che un sacerdote che non si lascia riconciliare con Dio difficilmente potrà essere un buon riconciliatore degli uomini con Dio. Fatta salva, come è indubbio, la validità dei sacramenti che egli celebra in persona Christi, la cui efficacia non dipende dalla sua santità ma dal sacro ministero ricevuto, resta vero che la storia della Chiesa presenta tante straordinarie figure sacerdotali che hanno avuto la capacità di indirizzare le anime a Cristo proprio perché da Cristo si lasciavano continuamente ispirare, nel dialogo della preghiera, nelle opere della penitenza e della carità, ma anche nel contatto con la misericordia del Cuore di Gesù, particolarmente ricevendo l’assoluzione sacramentale dei propri peccati. Tutti i grandi santi confessori – ricordiamo a mo’ di puro esempio il Curato d’Ars, san Leopoldo Mandić, san Pio da Pietrelcina – curavano attentamente anche il proprio stato di salute spirituale, ricorrendo non di rado essi stessi al confessionale, per mondarsi dalle colpe – nel loro caso di certo molto lievi – che pure avvertivano come un ostacolo, sia nel loro rapporto con Dio, che riguardo all’efficacia del loro essere guide per gli altri verso Dio.

A questo proposito, gioverà riprendere alcuni passaggi del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, recentemente riedito, in forma aggiornata ed ampliata, dalla Congregazione per il Clero:

Il sacerdote deve praticare, con gioia e dedizione, il ministero della formazione delle coscienze, del perdono e della pace. Occorre, pertanto, che egli sappia identificarsi, in un certo senso, con questo sacramento e, assumendo l’atteggiamento di Cristo, sappia chinarsi con misericordia, come buon samaritano, sull’umanità ferita, facendo trasparire la novità cristiana della dimensione medicinale della penitenza, che è in vista della guarigione e del perdono. (n. 70)  

 

Se ci domandiamo in quale modo il sacerdote possa «identificarsi» con questo sacramento, la risposta si incontra poco più avanti nello stesso Direttorio:

Come ogni fedele, anche il presbitero ha necessità di confessare i propri peccati e le proprie debolezze. Egli è il primo a sapere che la pratica di questo sacramento lo rafforza nella fede e nella carità verso Dio e i fratelli. Per trovarsi nelle migliori condizioni di mostrare con efficacia la bellezza della Penitenza, è essenziale che il ministro del sacramento offra una testimonianza personale precedendo gli altri fedeli nel fare l’esperienza del perdono. Ciò costituisce anche la prima condizione per la rivalutazione pastorale del sacramento della Riconciliazione: nella confessione frequente, il presbitero impara a comprendere gli altri, e – seguendo l’esempio dei Santi – viene spinto a «rimetterlo al centro delle preoccupazioni pastorali» (Benedetto XVI, 16.06.2009). In questo senso, è buona cosa che i fedeli sappiano e vedano che anche i loro sacerdoti si confessano con regolarità. (n. 72)

Queste indicazioni del Direttorio si fondano sulla tradizione magisteriale e spirituale di sempre, espressa, ad esempio, in queste parole del beato Giovanni Paolo II, di imminente canonizzazione:

Tutta l’esistenza sacerdotale subisce un inesorabile scadimento se viene a mancarle, per negligenza o per qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato da autentica fede e devozione, al sacramento della Penitenza. In un prete che non si confessasse più, o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto, e se ne accorgerebbe anche la comunità di cui egli è pastore (Reconciliatio et Poenitentia, n. 31).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)