00 28/01/2016 18:31

CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E
LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

"NOTITIAE"

2015/2

 

Per riscoprire il «Rito della Penitenza»



 

L’interesse suscitato dal Giubileo della Misericordia ha trovato espressione in molteplici modi. Anche la rivista Notitiaeha inteso contribuire con una serie di articoli volti a far risaltare nelle azioni liturgiche la portata della misericordia di Dio annunciata, celebrata, vissuta.

Se tutta l’economia sacramentale è pervasa di misericordia divina, a cominciare dal battesimo «per la remissione dei peccati», l’opera riconciliatrice di Dio è in particolare elargita e manifestata continuamente nel sacramento della Penitenza[1]. Perciò, nella Bolla di indizione del Giubileo Misericordiae vultus, il Papa ha chiesto di porre al centro con convinzione «il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia» (MV 17).

Celebrare la misericordia di Dio aiuta l’uomo a porsi con onestà di fronte alla propria coscienza e a riconoscersi bisognoso di essere riconciliato con il Padre, che con pazienza sa attendere il peccatore per un abbraccio che lo reintegra nella sua dignità. Riconoscere i propri peccati e pentirsi non è un’umiliazione. Al contrario è riscoprire il vero volto di Dio, abbandonandosi con fiducia al suo disegno di amore, e al tempo stesso riscoprire il vero volto dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Riscoprire Colui che è origine e fine della propria vita è il frutto più bello della misericordia che si sperimenta nel sacramento della Penitenza.

In questo spirito, si desidera qui offrire delle riflessioni sull’Ordo Paenitentiae, sostando anzitutto su alcuni aspetti teologico-liturgici e, quindi più ampiamente, sulla dinamica celebrativa del Rito stesso. è assai educativo riprendere in mano questo libro liturgico, rileggerne i Praenotanda, accostarne testi e gesti, assimilare gli atteggiamenti suggeriti, comprendere in breve come la Chiesa dispensa, attraverso riti e preghiere, la Misericordia di Dio.

1. Contrizione e conversione del cuore

Il 2 dicembre 1973 venne promulgato l’Ordo Paenitentiae, che in ossequio al mandato conciliare ha rivisto rito e formule «in modo che esprimano più chiaramente la natura e l’effetto del sacramento» (SC 72). A distanza di alcuni decenni si deve però constatare che spesso sono ignorati, forse perché giudicati inopportuni o troppo gravosi, alcuni suggerimenti celebrativi, che pur non essenziali alla validità del sacramento, costituiscono una ricchezza per una celebrazione nella quale si attua quella piena, consapevole e attiva partecipazione di ministro e fedeli, alla quale «va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia» (SC 14).

Perdita del senso del peccato 

In ogni parte del mondo, come confermato in occasione delle Visite ad limina, molti vescovi denunciano con preoccupazione una perdurante disaffezione di fedeli e sacerdoti al sacramento della Riconciliazione. Alla radice vi è senza ombra di dubbio un disorientamento, al di là di un generico riconoscersi peccatori, nell’individuare la natura del peccato e quindi nel confessarlo invocando il perdono di Dio. Già più di cinquant’anni fa, il beato Paolo VI osservava in una sua omelia: «Voi non troverete più nel linguaggio della gente perbene di oggi, nei libri, nelle cose che parlano degli uomini, la tremenda parola che, invece, è tanto frequente nel mondo religioso, nel nostro, segnatamente in quello vicino a Dio: la parola peccato. Gli uomini, nei giudizi odierni, non sono più ritenuti peccatori. Vengono catalogati come sani, malati, bravi, buoni, forti, deboli, ricchi, poveri, sapienti, ignoranti; ma la parola peccato non si incontra mai. E non torna perché, distaccato l’intelletto umano dalla sapienza divina, si è perduto il concetto del peccato. Una delle parole più penetranti e gravi del Sommo Pontefice Pio XII di v. m., risulta questa: “il mondo moderno ha perduto il senso del peccato”; che cosa sia, cioè, la rottura dei rapporti con Dio, causata appunto dal peccato»[2]. L’Anno giubilare della Misericordia può essere un tempo propizio per ricuperare il vero senso del peccato alla luce del sacramento del perdono, avendo presente che esso si inscrive nel quadro della dialettica tra il mistero del peccato dell’uomo e il mistero della infinita misericordia di Dio che pervade tutta la storia biblica.

Conversione del cuore

Per riscoprire il pieno valore del Rito della Penitenza[3] occorrerebbe rivalutare, tra l’altro, alcuni elementi del retroterra teologico del sacramento così come possono essere letti nei Praenotanda al rito stesso. «Il peccato è offesa fatta a Dio e rottura dell’amicizia con lui; scopo quindi della penitenza è essenzialmente quello di riaccendere in noi l’amore di Dio e di riportarci pienamente a lui» (RP 5). D’altra parte, il peccato di uno solo reca danno a tutti, «e così la penitenza ha sempre come effetto la riconciliazione anche con i fratelli» (RP 5). Non si può dimenticare, poi, che l’esperienza sacramentale esige anzitutto l’accoglienza dell’invito preciso con cui Gesù ha aperto il suo ministero: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).

Il concilio di Trento enumera quattro atti della penitenza: tre atti del penitente (contrizione, confessione, soddisfazione) e l’assoluzione data dal ministro e considera quest’ultima la parte più importante del sacramento[4]. IlRito della Penitenza riprende la dottrina di Trento mettendo in particolare evidenza gli atti del penitente, tra i quali il primo e più rilevante è la contrizione o «l’intima conversione del cuore» (RP 6). Ne è modello il figliol prodigo, che con cuore contrito e pentito decide di ritornare alla casa di suo padre. Il sacramento viene spiegato in diretta continuità con l’opera di Cristo, dato che egli annunciava la metanoia come condizione per accedere al Regno. In assenza della conversione/metanoia, vengono meno per il penitente i frutti del sacramento, poiché: «dipende da questa contrizione del cuore la verità della penitenza» (RP 6). Si noti che i Praenotanda, pur citando il testo tridentino che intende la contrizione come dolore dell’animo e riprovazione del peccato commesso, interpreta la contrizione nel senso più ricco e biblico di conversione del cuore: «La conversione infatti deve coinvolgere l’uomo nel suo intimo, così da rischiarare sempre più il suo spirito e renderlo ogni giorno più conforme al Cristo» (RP 6).

Nell’antropologia globale e concreta della Bibbia, il cuore dell’uomo è la fonte stessa della sua personalità cosciente, intelligente e libera, il centro delle sue opzioni decisive e dell’azione misteriosa di Dio. Il giusto cammina con «cuore innocente» (Sal 101,2), ma «dal cuore degli uomini escono i propositi di male» (Mc 7,21). Perciò Dio non disprezza «un cuore contrito e affranto» (Sal 51,19). Il cuore è il luogo in cui l’uomo incontra Dio. Il cuore nel linguaggio biblico indica la  totalità della persona umana, a differenza delle singole facoltà e dei singoli atti della persona stessa; il suo essere intimo e irrepetibile; il centro dell’esistenza umana, la confluenza di ragione, volontà, temperamento e sensibilità, in cui la persona trova la sua unità e il suo orientamento interiore, della mente e del cuore, della volontà e dell’affettività. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la tradizione spirituale della Chiesa insiste anche sul cuore nel senso biblico di ‘profondità dell’essere’, dove la persona si decide o no per Dio» (n. 368). Il cuore è quindi l’animo indiviso con cui amiamo Dio e i fratelli.

La conversione del cuore non è solo l’elemento principale, è anche quello che unifica tra loro tutti gli atti del penitente costitutivi del sacramento, dato che ogni singolo elemento è definito in ordine alla conversione del cuore: «Questa intima conversione del cuore, che comprende la contrizione del peccato e il proposito di una vita nuova, il peccatore la esprime mediante la confessione fatta alla Chiesa, la debita soddisfazione, e l’emendamento della vita» (RP 6). La conversione del cuore non è quindi da intendersi come un singolo atto, a sé stante, compiuto una volta per tutte, ma come un risoluto distacco dal peccato per un cammino progressivo e continuo di adesione a Cristo e di amicizia con lui. Le sequenze del Rito della Penitenza sono per così dire l’espressione dei vari momenti o tappe di un cammino che non si esaurisce nel momento della celebrazione del sacramento, ma informa tutta la vita del penitente.

In questo contesto, sono da valorizzare le celebrazioni penitenziali non sacramentali. Infatti, se alla base del sacramento della Penitenza sta la conversione del cuore, è necessario dare il massimo rilievo a tali celebrazioni che, come leggiamo nei Praenotanda, «sono riunioni del popolo di Dio, allo scopo di ascoltare la proclamazione della parola di Dio, che invita alla conversione e al rinnovamento della vita, e annuncia la nostra liberazione dal peccato, per mezzo della morte e risurrezione di Cristo» (RP 36). Queste celebrazioni non sacramentali si pongono quindi a monte e a valle della celebrazione del sacramento della Penitenza, poiché la conversione del cuore presuppone la conoscenza di ciò che è peccato e quindi dei peccati commessi. Ricordiamo il ruolo che la parola di Dio ha avuto nella conversione di sant’Agostino: «… Domine, amo te. Percussisti cor meum verbo tuo, et amavi te»[5]. All’amore misericordioso di Dio si risponde con l’amore.




[Modificato da Caterina63 28/01/2016 18:39]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)