“Sono un po’ furbo, mi so muovere”, ha detto una volta di sé Bergoglio. “Sa gestire molto bene i fili del potere”, ha confermato padre Eduardo de la Serna, del Segretariato di Cura per i poveri, che lo ha conosciuto bene. Come e con quali metodi, lo ha spiegato Alejandro Brittos, un giornalista argentino che ha condotto un’inchiesta sul passato di Francesco, a cui ha dato il titolo: “Come l’“umile” Bergoglio preparò la scalata ai vertici della Chiesa”. E’ un articolo da leggere integralmente, perché è anch’esso a modo suo un referto. Ne riporto l’essenziale:
Come provinciale della Compagnia gesuitica e come rettore del Colegio Màximo di Buenos Aires, “nel giro di poco tempo, il futuro papa poté esibire al resto della Compagnia e della Chiesa i suoi successi: Mentre nel mondo il numero di giovani che aderivano agli studi sacerdotali diminuiva, nella provincia argentina andava crescendo”.
Solo che “alcuni dei novizi di allora ricordano con dolore quella tappa. In una lettera inedita che è stata scritta recentemente da due di loro si legge: “Esisteva una chiara politica di reclutamento dei giovani. Si aveva bisogno di loro per fondare una nuova provincia. […] Si approfittò dell’età vulnerabile di quei ragazzi, in realtà poco più che bambini, per fini personali” – Con metodi di “ manipolazione degli affetti con l’obiettivo di influire nel comportamento”, ragazzi spesso tredicenni venivano instradati al sacerdozio così: “Nella pratica, si cercava di fare in modo che i novizi perdessero i vincoli affettivi con le proprie famiglie, con gli amici e in generale con tutte le relazioni private”.
Metodi da Scientology, diremmo.
Che comprendevano il culto della personalità di Bergoglio, ritenuto dai fedeli “un santo”, soggiogati dalle auto-esibizioni i sulla sua “umiltà” e il suo ascetismo. “Durante le conversazioni cercava sempre di impressionarci con la sua grande umiltà e semplicità, ma allo stesso tempo ci dimostrava il suo potere. Come di passaggio, ci raccontava che questa o quella persona che occupavano posti rilevanti nella gerarchia ecclesiastica o del proprio Colegio li aveva sistemati lui”: e qui a parlare è Alejandro Perez Esquivel, Nobel per la Pace 1980, pacifista argentino, che è stato studente al Colegio Maximo negli anni in cui non era più rettore.
Anche quando i superiori riuscirono ad allontanarlo da quel posto, “benché formalmente non fosse più il direttore, per molti anni continuò a esercitare una influenza molto forte attraverso i suoi sostenitori”, spiega ancora Pérez: “Ci rendevano tutti conto che era ancora Bergoglio a comandare perché lui stesso lo faceva notare”.
Alla fine di tanto successo, “alcuni dei novizi che erano passati per l’esperienza educativa [di Bergoglio] si allontanarono dal sacerdozio. Qualcuno dovette addirittura affidarsi alle cure di uno psicologo a causa del danno subito” ( Tipico: il narcisista lascia dietro sé non solo istituzioni devastate, ma vite psichicamente annichilite). Ma lui era già lanciato verso l’ulteriore carriera.
Come si comporta al potere
Questo basti a spiegare come Bergoglio abbia continuato a far carriera, nonostante il suo disturbo di personalità, gli evidenti disastri prodotti dalla sua leadership e la sua inadeguatezza anche culturale. Limitiamoci a ricordare che il narcisista patologico da una parte può atteggiarsi, per i suoi scopi, a “paterno, servizievole, simpatico”, dall’altra ha la sicurezza di sé (spinta all’inverosimile), la capacità di farsi seguaci, e di assumersi dei rischi, che sono le qualità che, nel nostro mondo, sono proprio quelle che servono ad “avanzare”.
Il punto è che una volta ai vertici del potere, governare è tutt’altro paio di maniche. Anche perché egli non ha cercato il potere allo scopo di “realizzare qualcosa di grande” insieme agli altri. Lo ha voluto perché “essere in posizione di autorità assicura al narcisista un flusso ininterrotto di soddisfazione narcisistica. Nutrito dal timore reverenziale, dalla subordinazione, ammirazione, adorazione ed obbedienza dei suoi sottoposti, il narcisista fiorisce”. Così il Sam Vaknin, famoso psicologo aziendale, che ha scritto volumi sul pericolo rappresentato per le imprese dall’ascesa di leader con tale disturbo. (Sam Vaknin, Malignant Self-Love, Barnes & Noble, 1995).
Anche lo psichiatra Otto Kernberg, la massima autorità sul narcisismo patologico, ha segnalato lo stesso pericolo:
“Individui dalle relazioni interpersonali eccessivamente autoriferite e autocentrate, in cui grandiosità e sopravvalutazione di sé si uniscono ai sentimenti di inferiorità che sono eccessivamente dipendenti dall’ammirazione esterna, emotivamente poco profondi, intensamente invidiosi, insieme sprezzanti e profittatori nelle relazioni con gli altri. La grandiosità e l’egocentrismo smodato dei narcisisti contrasta in modo sorprendente con la facilità con cui diventano invidiosi. L’incapacità di valutare adeguatamente se stessi e gli altri li rende incapaci di empatia, di scelte accurate nelle relazioni con le persone, che possono diventare tutte pericolose quando essi occupano posizioni elevate.
[…] . Un’ altra conseguenza del narcisismo patologico è la spinta a pretendere la sottomissione nei confronti del personale. Poiché i leader narcisisti tendono a circondarsi di yes-men e di abili manipolatori che sfruttano i loro bisogni narcisistici, i membri più onesti, ma anche più critici, dello staff vengono messi da parte”.
Ciascuno – specie i suoi sottoposti in Vaticano – può valutare da sé fino a che punto Bergoglio abbia creato la propria corte di yes-men, sicofanti, adulatori e delatori; di devoti spesso sinceri ammiratori della sua “umiltà e carità”; gente di sua fiducia a cui il narcisista-capo affida “le politiche organizzative, le campagne di voci e disinformazione”, mantenendo con questi “tirapiedi (sidekicks) un grado di separazione tale che, se colti in fallo, il narcisista li abbandonerà al proprio destino” ( Richard Boyd, Narcissistic Leaders and their Manipulation in Group Dynamics, Perth)