00 04/01/2018 16:18
 Cari amici, e ci auguriamo anche molti sacerdoti e vescovi, dopo il successo di BEN SEI precedenti thread su questi appelli (con oltre 378-MILA visite in totale):

vedi: -  Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità
Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(2)  e 

Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(3)
- Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (4)

- Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (5)
- Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (6)


arriviamo alla SETTIMA pagina dedicata a queste suppliche ai nostri Pastori, affinchè VIGILINO  attentamente e con pazienza sul gregge loro affidato, sulla diocesi che sono chiamati a servire...vedi Ezechiele 3,16-21

«Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.
Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato».

.. dal canto nostro assicuriamo preghiera e filiazione affettuosa, sempre... nei Cuori di Gesù e Maria....


 Era ora che qualche Vescovo cominciasse a fare chiarezza, nel marasma e nella confusione in cui si trova oggi la Chiesa.

Questi tre Vescovi, Mons. Peta, Mons. Schneider e Mons. Lenga hanno pubblicato una Correzione Ufficiale agli errori morali e dottrinali dell’Amoris Laetitia. 
Una cosa che aspettavamo da tempo. Reputo questo documento della massima importanza, perché a questo punto siamo ad un bivio. Questa infatti non è più una richiesta di chiarezza a Bergoglio, ma è proprio una Correzione Formale ai suoi errori.Soprattutto fatta da Vescovi. Che si sono sentiti in dovere di “chiarire” la deriva Bergogliana. 
Ecco perché vi dico: cari lettori, siamo ad un bivio. Ora è chiaro che si scatenerà un putiferio, perché Bergoglio sguinzaglierà i suoi “cani da guardia” giornalisti, editorialisti, Sale Stampa, per attaccare o intimorire questi coraggiosi Vescovi. Ma siamo arrivati al bivio: seguire la Vera Dottrina pronunciata oggi ufficialmente da Vescovi Cattolici o seguire la deriva e l’eresia di Bergoglio? Personalmente opto per la prima ovviamente. Anche se l’idea dello scisma non mi ha mai fatto impazzire. Ma se le cose continuano di questo passo, prima o poi una cosa del genere succederà. Infatti i malumori ormai sono tanti. E anche tra i fedeli e teologi c’è un movimento di ribellione nei confronti di questa eresia dilagante. La stampa ne parla poco (perché fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce). Ma vi assicuro che la maggioranza dei Cattolici non sono per niente in sintonia con questo Pontificato.


Che farà Bergoglio ora? Se prende provvedimenti contro questi Vescovi, credo si arrivi alla rivolta. Se tace, ne esce con le ossa completamente rotte, perché sarebbe una figura di m…. colossale. Ma solitamente il suo carattere impulsivo gli farà fare qualche ossa. Da buon dittatore sudamericano si starà già consultando con i suoi leccacalzini.

Staremo a vedere. Ma una cosa vi chiedo. Preghiamo intensamente per questi Vescovi, perché per loro inizierà la persecuzione. Preghiamo per la Chiesa intera, perché sento che sta per succedere qualcosa di impressionante che non si è mai visto prima d’ora.

Da parte nostra, come Blog,CI SENTIAMO DI SOSTENERE QUESTI VESCOVI EROICI E DI SOSTENERE IN PIENO LA LORO CORREZIONE. VI CHIEDO DI DIVULGARLA IL PIU’ POSSIBILE.

Eccola (ve la espongo con la traduzione del giornalista Dott. Marco Tosatti che ringrazio per aver pubblicato interamente il testo):

Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale

Dopo la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” (2016) vari vescovi hanno emanato a livello locale, regionale e nazionale norme applicative riguardanti la disciplina sacramentale di quei fedeli, detti “divorziati risposati”, i quali, vivendo ancora il loro coniuge al quale sono uniti con un valido vincolo matrimoniale sacramentale, hanno tuttavia iniziato una stabile convivenza more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo.

Le norme menzionate prevedono tra l’altro che in casi individuali le persone, dette “divorziati risposati”, possano ricevere il sacramento della Penitenza e la Santa Comunione, pur continuando a vivere abitualmente e intenzionalmente more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo. Tali norme pastorali hanno ricevuto l’approvazione da parte di diverse autorità gerarchiche. Alcune di queste norme hanno ricevuto l’approvazione persino da parte della suprema autorità della Chiesa.

La diffusione di tali norme pastorali, ecclesiasticamente approvate, ha causato una notevole e sempre più crescente confusione tra i fedeli e il clero, una confusione che tocca le centrali manifestazioni della vita della Chiesa, quali sono il matrimonio sacramentale con la famiglia, la chiesa domestica e il sacramento della Santissima Eucaristia.

Secondo la dottrina della Chiesa solamente il vincolo matrimoniale sacramentale costituisce una chiesa domestica (cf. Concilio Vaticano Secondo, Lumen gentium, 11). L’ammissione dei fedeli cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, che è la massima espressione dell’unità di Cristo-Sposo con la Sua Chiesa, significa nella pratica un modo d’approvazione o di legittimazione del divorzio, e in questo senso una specie di introduzione del divorzio nella vita della Chiesa.

Le menzionate norme pastorali si rivelano di fatto e col tempo come un mezzo di diffusione della “piaga del divorzio”, un’espressione usata dal Concilio Vaticano Secondo (cf. Gaudium et spes, 47). Si tratta di una diffusione della “piaga del divorzio” persino nella vita della Chiesa, quando la Chiesa, invece, dovrebbe essere, a causa della sua fedeltà incondizionata alla dottrina di Cristo, un baluardo e un inconfondibile segno di contraddizione contro la piaga ogni giorno più dilagante del divorzio nella società civile.

In modo inequivoco e senza ammettere nessuna eccezione Nostro Signore e Redentore Gesù Cristo ha solennemente riconfermato la volontà di Dio riguardo al divieto assoluto del divorzio. Un’approvazione o legittimazione della violazione della sacralità del vincolo matrimoniale, seppure indirettamente tramite la menzionata nuova disciplina sacramentale, contraddice in modo grave l’espressa volontà di Dio e il Suo comandamento. Tale pratica rappresenta perciò un’alterazione sostanziale della bimillenaria disciplina sacramentale della Chiesa. Inoltre, una disciplina sostanzialmente alterata comporterà col tempo anche un’alterazione nella corrispondente dottrina.

Il costante Magistero della Chiesa, cominciando dagli insegnamenti degli Apostoli e di tutti i Sommi Pontefici, ha conservato e fedelmente trasmesso sia nella dottrina (nella teoria) sia nella disciplina sacramentale (nella pratica) in modo inequivoco, senza alcuna ombra di dubbio e sempre nello stesso senso e nello stesso significato (eodem sensu eademque sententia) il cristallino insegnamento di Cristo riguardo all’indissolubilità del matrimonio.

A causa della sua natura Divinamente stabilita, la disciplina dei sacramenti non deve mai contraddire la parola rivelata di Dio e la fede della Chiesa nell’indissolubilità assoluta del matrimonio rato e consumato. “I sacramenti non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede” (Concilio Vaticano Secondo, Sacrosanctum Concilium, 59). “Neppure l’autorità suprema nella Chiesa può cambiare la liturgia a sua discrezione, ma unicamente nell’obbedienza della fede e nel religioso rispetto del mistero della liturgia” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1125). La fede cattolica per sua natura esclude una formale contraddizione tra la fede professata da un lato e la vita e la pratica dei sacramenti dall’altro. In questo senso si può intendere anche la seguente affermazione del Magistero: “La dissociazione tra la fede che si professa e la vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo” (Concilio Vaticano Secondo, Gaudium et spes, 43) e “la pedagogia concreta della Chiesa deve sempre essere connessa e non mai separata dalla sua dottrina” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

In vista dell’importanza vitale che costituiscono la dottrina e la disciplina del matrimonio e dell’Eucaristia, la Chiesa è obbligata a parlare con la stessa voce. Le norme pastorali riguardo all’indissolubilità del matrimonio non devono, quindi, contraddirsi tra una diocesi e un’altra, tra un paese e un altro. Dal tempo degli Apostoli la Chiesa ha osservato questo principio come lo attesta Sant’Ireneo di Lione: “La Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede, conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un’unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca” (Adversus haereses, I, 10, 2). San Tommaso d’Aquino ci trasmette lo stesso perenne principio della vita della Chiesa: “C’è una sola e medesima fede degli antichi e dei moderni, altrimenti non ci sarebbe l’unica medesima Chiesa” (Questiones Disputatae de Veritate, q. 14, a. 12c).

Resta attuale e valida la seguente ammonizione di Papa Giovanni Paolo II: “La confusione, creata nella coscienza di numerosi fedeli dalle divergenze di opinioni e di insegnamenti nella teologia, nella predicazione, nella catechesi, nella direzione spirituale, circa questioni gravi e delicate della morale cristiana, finisce per far diminuire, fin quasi a cancellarlo, il vero senso del peccato” (Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitenia, 18).

Alla dottrina e disciplina sacramentale riguardanti l’indissolubilità del matrimonio rato e consumato è pienamente applicabile il senso delle seguenti affermazioni del Magistero della Chiesa:

“La Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell’ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato” (Pio IX, Bolla dogmatica Ineffabilis Deus).

“Quanto alla sostanza stessa della verità, la Chiesa ha, dinanzi a Dio e agli uomini, il sacro dovere di annunziarla, d’insegnarla senza alcuna attenuazione, come Cristo l’ha rivelata, e non vi è alcuna condizione di tempi che possa far scemare il rigore di quest’obbligo. Esso lega in coscienza ogni sacerdote a cui è affidata la cura di ammaestrare, di ammonire e di guidare i fedeli” (Pio XII, Discorso ai parroci e ai quaresimalisti, 23 marzo 1949).

“La Chiesa non storicizza, non relativizza alle metamorfosi della cultura profana la natura della Chiesa sempre eguale e fedele a se stessa, quale Cristo la volle e la autentica tradizione la perfezionò” (Paolo VI, Omelia dal 28 ottobre 1965).

“Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime” (Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae, 29).

“Le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

“Di tale norma [della legge morale Divina] la Chiesa non è affatto né l’autrice né l’arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

“È il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta di chiamare bene il male e male il bene. Basandosi su questi due principi complementari, la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, finché non abbiano raggiunto le richieste disposizioni dell’anima” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 34).

“La fermezza della Chiesa nel difendere le norme morali universali e immutabili, non ha nulla di mortificante. È solo al servizio della vera libertà dell’uomo: dal momento che non c’è libertà al di fuori o contro la verità” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 96).

“Di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l’ultimo «miserabile» sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 96).

“Il dovere di ribadire questa non possibilità di ammettere all’Eucaristia [i divorziati risposati] è condizione di vera pastoralità, di autentica preoccupazione per il bene di questi fedeli e di tutta la Chiesa, poiché indica le condizioni necessarie per la pienezza di quella conversione, cui tutti sono sempre invitati dal Signore” (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati, dal 24 giugno 2000, n. 5).

Come vescovi cattolici, i quali – secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano Secondo – devono difendere l’unità della fede e la disciplina comune della Chiesa, e procurare che sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità (cf. Lumen gentium, 23), siamo costretti in coscienza a professare, di fronte all’attuale dilagante confusione, l’immutabile verità e l’altrettanto immutabile disciplina sacramentale riguardo all’indissolubilità del matrimonio secondo l’insegnamento bimillenario ed inalterato del Magistero della Chiesa. In questo spirito reiteriamo:

I rapporti sessuali tra persone che non sono legate tra loro con il vincolo di un matrimonio valido – ciò che si verifica nel caso dei cosiddetti “divorziati risposati” – sono sempre contrari alla volontà di Dio e costituiscono una grave offesa a Dio.

Nessuna circostanza o finalità, neanche una possibile imputabilità o colpevolezza diminuita, possono rendere tali relazioni sessuali una realtà morale positiva e gradevole a Dio. Lo stesso vale per gli altri precetti negativi dei Dieci Comandamenti di Dio. Poiché “esistono atti che, per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente illeciti, in ragione del loro oggetto” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 17).

La Chiesa non possiede il carisma infallibile di giudicare lo stato di grazia interiore di un fedele (cf. Concilio di Trento, sess. 24, cap. 1). La non-ammissione alla Santa Comunione dei cosiddetti “divorziati risposati” non significa quindi un giudizio sul loro stato di grazia dinanzi a Dio, ma un giudizio sul carattere visibile, pubblico e oggettivo della loro situazione. A causa della natura visibile dei sacramenti e della stessa Chiesa, la ricezione dei sacramenti dipende necessariamente dalla corrispondente situazione visibile e oggettiva dei fedeli.

Non è moralmente lecito intrattenere rapporti sessuali con una persona che non è il proprio coniuge legittimo per evitare un altro supposto peccato. Poiché la Parola di Dio ci insegna, che non è lecito “fare il male affinché venga il bene” (Rom. 3, 8).

L’ammissione di tali persone alla Santa Comunione può essere permessa solamente quando loro, con l’aiuto della grazia di Dio ed un paziente ed individuale accompagnamento pastorale, fanno un sincero proposito di cessare d’ora in poi l’abitudine di tali rapporti sessuali e di evitare lo scandalo. In ciò si è espresso sempre nella Chiesa il vero discernimento e l’autentico accompagnamento pastorale.

Le persone che hanno abituali rapporti sessuali non coniugali, violano con tale stile di vita il loro indissolubile vincolo nuziale sacramentale nei confronti del loro coniuge legittimo. Per questa ragione essi non sono capaci di partecipare “nello Spirito e nella Verità” (cf. Giov. 4, 23) alla cena nuziale eucaristica di Cristo, tenendo conto anche delle parole del rito della Santa Comunione: “Beati gli invitati alla cena nuziale dell’Agnello!” (Ap. 19, 9).

L’adempimento della volontà di Dio, rivelata nei Suoi Dieci Comandamenti e nel Suo esplicito e assoluto divieto del divorzio, costituisce il vero bene spirituale delle persone qui in terra e le condurrà alla vera gioia dell’amore nella salvezza della vita eterna.

Essendo i vescovi nel loro ufficio pastorale “cultores catholicae et apostolicae fidei” (cf. Missale Romanum, Canon Romanus), siamo coscienti di questa grave responsabilità e del nostro dovere dinanzi ai fedeli che aspettano da noi una professione pubblica e inequivocabile della verità e della disciplina immutabile della Chiesa riguardo all’indissolubilità del matrimonio. Per questa ragione non ci è permesso tacere.

Affermiamo perciò nello spirito di San Giovanni Battista, di San Giovanni Fisher, di San Tommaso More, della Beata Laura Vicuña e di numerosi conosciuti e sconosciuti confessori e martiri dell’indissolubilità del matrimonio:

Non è lecito (non licet) giustificare, approvare o legittimare né direttamente, né indirettamente il divorzio e una relazione sessuale stabile non coniugale tramite la disciplina sacramentale dell’ammissione dei cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, trattandosi in questo caso di una disciplina aliena rispetto a tutta la Tradizione della fede cattolica e apostolica.

Facendo questa pubblica professione dinanzi alla nostra coscienza e dinanzi a Dio che ci giudicherà, siamo sinceramente convinti di aver prestato con ciò un servizio di carità nella verità alla Chiesa dei nostri giorni e al Sommo Pontefice, Successore di San Pietro e Vicario di Cristo sulla terra.

31 dicembre 2017, Festa della Sacra Famiglia, nell’anno del centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima.

 + Tomash Peta, Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

+ Jan Pawel Lenga, Arcivescovo-Vescovo emerito di Karaganda

+ Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

Dio benedica questi Pastori!

Fra Cristoforo"


  • INTERVISTA/NEGRI

«Sul matrimonio si riproponga la posizione tradizionale»

Monsignor Negri

Monsignor Negri spiega perché ha sottoscritto la “Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale”, lanciata da tre vescovi kazhaki: «Di fronte alla confusione generatasi nella Chiesa a proposito di matrimonio è necessario riproporre la chiarezza della posizione tradizionale». Il Lutero che non esiste e la replica alle accuse contro Ratzinger.

«Come vescovi cattolici, siamo costretti in coscienza a professare, di fronte all’attuale dilagante confusione, l’immutabile verità e l’altrettanto immutabile disciplina sacramentale riguardo all’indissolubilità del matrimonio secondo l’insegnamento bimillenario ed inalterato del Magistero della Chiesa». Così scrivono tre vescovi del Kazakhistan - Tomash Peta, arcivescovo metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in AstanaJan Pawel Lengaarcivescovo-vescovo emerito di Karaganda e Athanasius Schneider, vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana – in un lungo documento titolato “Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale” e pubblicato il 2 gennaio (qui potete leggere il testo integrale).

I tre vescovi prendono atto che dopo l’esortazione apostolica Amoris Laetitia, singoli vescovi e diversi episcopati agiscono con norme pastorali che avranno come esito la diffusione della “piaga del divorzio” anche all’interno della Chiesa, ciò che è in grave contrasto con quanto Dio ha stabilito. E grave è il fatto che ormai la prassi sia diversa da diocesi a diocesi e perfino da parrocchia a parrocchia. «In vista dell’importanza vitale che costituiscono la dottrina e la disciplina del matrimonio e dell’Eucaristia, la Chiesa è obbligata a parlare con la stessa voce», affermano i tre vescovi citando i Padri della Chiesa.

Infine i vescovi kazakhi ribadiscono il magistero tradizionale della Chiesa che considera sempre illeciti i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio sacramentale, e quindi l’impossibilità di accedere alla comunione per coloro che restano in tale stato, pur non costituendo questo un giudizio sullo stato di grazia interiore dei singoli fedeli.

La “Professione delle verità immutabili…” aggiunge dunque un nuovo capitolo al dibattito successivo ad Amoris Laetitia e alle sue interpretazioni, e dimostra quanto sia diffuso il disagio per la situazione che si è creata nella Chiesa. Non sembra neanche destinata a restare un fatto locale, che riguarda il Kazakhistan, tanto è vero che subito dopo la pubblicazione, due vescovi italiani hanno a loro volta sottoscritto il documento: monsignor Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America, e monsignor Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara. Proprio a monsignor Negri abbiamo rivolto alcune domande sul senso di questo documento e sul perché della sua adesione.

Monsignor Negri, cosa l’ha spinta a firmare questa lettera?
Davanti alla grave confusione che c’è nella Chiesa riguardo al tema del matrimonio io credo che sia necessario riproporre la chiarezza della posizione tradizionale.
Mi è sembrata giusto firmare perché il contenuto di questa posizione è ciò che ho largamente presentato in questi anni, non solo in questi ultimi mesi, in tutti i momenti della messa a punto che ho dedicato al tema della famiglia, della vita, della procreazione, della responsabilità educativa nei confronti dei più giovani. Sono temi di assoluta importanza per cui il mondo cattolico nel suo complesso non mostra molta sensibilità.

C’è chi sostiene che si è parlato fin troppo di famiglia e di vita…
Pensare a una Chiesa senza una preoccupazione esplicita, sistematica, vorrei dire quotidiana, di difesa e di promozione della famiglia e della sua responsabilità missionaria ed educativa fa pensare a una Chiesa gravemente e pesantemente condizionata dalla mentalità mondana. Tale mentalità, che domina largamente le nostre società ritiene che tutte le questioni “eticamente sensibili”, per usare una espressione diventata d’uso comune, siano responsabilità delle istituzioni politiche e sociali, prime fra tutte gli Stati. Mentre con la Dottrina sociale della Chiesa io ritengo che la questione della persona e dello svolgersi della sua identità e della sua responsabilità nel mondo sia un compito specifico, precipuo, irrinunciabile della Chiesa.
Si sta combattendo una battaglia tra la mentalità mondana - quella che papa Francesco nei primi mesi di pontificato ha chiamato “il pensiero unico dominante”, e la concezione cristiana della vita e dell’esistenza. Se la Chiesa non vive questo confronto finisce sostanzialmente per ridursi a una posizione di sostanziale autoemarginazione dalla vita sociale.

Nella lettera si parla molto della confusione esistente nella Chiesa, e anche lei l’ha accennato. Eppure c’è chi nega che ci sia questa confusione, alcuni sostengono che ci siano solo delle resistenze a un cammino di rinnovamento della Chiesa.
La confusione c’è. C’è ed è gravissima. Non c’è persona sensata che possa negare questo. Ricordo le parole accorate ma terribili del cardinale Carlo Caffarra qualche tempo prima di morire, quando disse: «Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è una Chiesa più pastorale, ma è una Chiesa più ignorante». Da questa ignoranza nasce la confusione. Cito ancora il cardinale Caffarra, che diceva che «solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione». E io lo posso testimoniare per quel che ho visto soprattutto negli ultimi mesi del mio episcopato a Ferrara-Comacchio. Ero quotidianamente interloquito da buoni cristiani nella coscienza dei quali si era prodotta una delusione fortissima, e vivevano con molta sofferenza. Lo dico con chiarezza, una sofferenza maggiore di tanti ecclesiastici e di tanti miei confratelli vescovi. È la sofferenza di un popolo che non si sente più accudito, sostenuto nella esigenza fondamentale di verità, di bene, di bellezza e di giustizia che costituiscono il cuore profondo dell’uomo, che soltanto il mistero di Cristo rivela profondamente e attua in maniera straordinaria.
Io non voglio far polemica con nessuno ma non posso non dire che è necessario lavorare perché lo splendore della tradizione torni ad essere una esperienza per il popolo cristiano e una proposta che il popolo cristiano fa agli uomini. Questo è per me un compito che sento esauriente.

A proposito di confusione, in questi giorni è nata una nuova polemica partita dall’accusa a papa Ratzinger di errori dottrinali mai corretti, e di nuovo si è tirato in ballo il Concilio.   
Non voglio perdermi in riletture veloci e ideologiche di momenti fondamentali della vita della Chiesa, quale è stato il Concilio ad esempio: una straordinaria esperienza, complessa, articolata e - perché no – con aspetti non sempre chiari. Oppure il grande e indimenticabile magistero di san Giovanni Paolo II, il suo impegno a riproporre al mondo l’annunzio di Cristo come l’unica possibilità di salvezza e quindi a riproporre la Chiesa come ambito di questa esperienza - come diceva lui - di una vita rinnovata. Queste sono pietre miliari di un cammino che poi ha trovato nel grande magistero di Benedetto XVI un punto di sintesi, il richiamo forte a quella continuità nel passaggio tra la realtà preconciliare alla realtà del Concilio e del post-Concilio: è stata una formulazione di straordinario rilievo, di cui la Chiesa vive ancora.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno innalzato il magistero cattolico a livelli di straordinaria ampiezza. Assurdo piegare l’interpretazione di questi grandi personaggi della vita della Chiesa a interessi di bottega. Ma è assurdo anche stabilire paragoni dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI con il magistero di papa Francesco. Nella storia della Chiesa ogni Papa ha la sua funzione. La funzione di Francesco non è certamente quella di riproporre l’integralità e l’ampiezza del messaggio cristiano ma è quella di tirare certe necessarie conseguenze sul piano etico e sociale.

Parlando sempre di confusione, in questo anno che ha ricordato i 500 anni della Riforma protestante, nella Chiesa si sono viste e sentite cose francamente sconcertanti.
La confusione dottrinale e culturale presenta degli aspetti che sembrano difficilmente credibili a persone di buon senso e a persone che hanno avuto una formazione culturale adeguata. Questa di Lutero è una vicenda incredibile. Questo Lutero di cui tanto si parla non esiste. Questo Lutero riformatore, questo Lutero evangelico, questo Lutero la cui presenza sarebbe stata una riforma positiva e benefica per la Chiesa non ha alcun fondamento storico e critico.
Tutt’altro discorso è se in un momento di grave attacco alla tradizione religiosa dell’Occidente si renda necessario che tutti gli uomini religiosi percepiscano che è il momento di una nuova e grande unità operativa. Bisogna lavorare insieme, certamente. Ma per lavorare insieme non bisogna annacquare la propria identità o pensare che l’esistenza dell’identità sia una obiezione al lavoro. È esattamente l’opposto: chi si mette nel dialogo religioso, nel dialogo ecumenico, nel dialogo con la vita sociale con una sua precisa identità dà un contributo estremamente significativo. Non si collabora e non si dialoga a partire dalla confusione. Si dialoga a partire dall’identità, e l’identità cattolica se è vissuta fino in fondo dà un contributo unico e irriducibile alla vita sociale.

C’è chi mette in guardia dalla tentazione  dell’egemonia.
Io non penso affatto a una egemonia sulla vita sociale, come ritengono tanti cattolici irresponsabili. Non è per una volontà di egemonia, ma per una volontà di missione. Una missione esplicita, limpida, significativa, appassionata e quindi polemica nei confronti del mondo. Questo ho imparato da don Giussani in 50 anni di convivenza con lui e su questo, secondo me si sono giocati in maniera positiva i grandi magisteri di Giovanni Paolo e Benedetto in linea con il grande magistero della Chiesa del XIX e del XX secolo.

   


[Modificato da Caterina63 05/01/2018 08:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)