00 16/10/2021 09:57

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 13 ottobre 2021

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Catechesi sulla Lettera ai Galati: 11. La libertà cristiana, fermento universale di liberazione

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sulla Lettera ai Galati, abbiamo potuto mettere a fuoco qual è per San Paolo il nucleo centrale della libertà: il fatto che, con la morte e risurrezione di Gesù Cristo, siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. In altri termini: siamo liberi perché siamo stati liberati, liberati per grazia – non per pagamento -, liberati dall’amore, che diventa la legge somma e nuova della vita cristiana. L’amore: noi siamo liberi perché siamo stati liberati gratuitamente. Questo è appunto il punto chiave.

Oggi vorrei sottolineare come questa novità di vita ci apra ad accogliere ogni popolo e cultura e nello stesso tempo apra ogni popolo e cultura a una libertà più grande. San Paolo infatti dice che per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano. Conta solo «la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). Credere che siamo stati liberati e credere in Gesù Cristo che ci ha liberati: questa è la fede operosa per la carità. I detrattori di Paolo – questi fondamentalisti che erano arrivati lì - lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per “piacere a tutti”, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa. È lo stesso discorso dei fondamentalisti d’oggi: la storia di ripete sempre. Come si vede, la critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle. Paolo, comunque, non rimane in silenzio. Risponde con parresia - è una parola greca che indica coraggio, forza – e dice: «È forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!» (Gal 1,10). Già nella sua prima Lettera ai Tessalonicesi si era espresso in termini simili, dicendo che nella sua predicazione non aveva mai usato «parole di adulazione, né […] avuto intenzioni di cupidigia […]. E neppure […] cercato la gloria umana» (1 Ts 2,5-6), che sono le strade del “far finta di”; una fede che non è fede, è mondanità.

Il pensiero di Paolo si mostra ancora una volta di una profondità ispirata. Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo. Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo. La liberazione ottenuta con il battesimo, infatti, ci permette di acquisire la piena dignità di figli di Dio, così che, mentre rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali, al tempo stesso ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse. Accettare che noi siamo stati liberati da Cristo – la sua passione, la sua morte, la sua resurrezione – è accettare e portare la pienezza anche alle diverse tradizioni di ogni popolo. La vera pienezza.

Nella chiamata alla libertà scopriamo il vero senso dell’inculturazione del Vangelo. Qual è questo vero senso? Essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture. Non è una cosa facile! Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile. Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! La uniformità come regola di vita non è cristiana! L’unità sì, l’uniformità no! A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista. Pensiamo alle guerre. In questo modo, si è privata la Chiesa della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni. Ma questo è l’esatto contrario della libertà cristiana! Per esempio, mi viene in mente quando si è affermato il modo di fare apostolato in Cina con padre Ricci o nell’India con padre De Nobili. … [Qualcuno diceva]: “E no, questo non è cristiano!”. Sì, è cristiano, sta nella cultura del popolo.

Insomma, la visione della libertà propria di Paolo è tutta illuminata e fecondata dal mistero di Cristo, che nella sua incarnazione – ricorda il Concilio Vaticano II – si è unito in certo modo ad ogni uomo (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 22). E questo vuol dire che non c’è uniformità, c’è invece la varietà, ma varietà unita. Da qui deriva il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante. È questo il senso di dirci cattolici, di parlare di Chiesa cattolica: non è una denominazione sociologica per distinguerci da altri cristiani. Cattolico è un aggettivo che significa universale: la cattolicità, la universalità. Chiesa universale, cioè cattolica, vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti.

La cultura, d’altronde, è per sua stessa natura in continua trasformazione. Si pensi a come siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in questo momento storico di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio. Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni. La libertà della fede cristiana – la libertà cristiana - non indica una visione statica della vita e della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica anche della tradizione. La tradizione cresce ma sempre con la stessa natura. Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire. Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza. È la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà. E questo è il grande dono che ci ha dato Gesù Cristo. Il Signore ci ha liberato dalla schiavitù gratuitamente e ci ha messo sulla strada per camminare nella piena libertà.

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Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le Suore Serve di Maria Riparatrici, che celebrano il loro Capitolo generale, e le incoraggio a proseguire con fedeltà e gioia il loro servizio al Vangelo e ai fratelli. Saluto le Suore Scalabriniane, che partecipano ad un corso di formazione, e le esorto ad essere generose testimoni di accoglienza e di fraternità. Voi che lavorate tanto con i migranti, continuate così. Brave! Saluto e ringrazio la Delegazione del Comune di Cervia, qui convenuta per il tradizionale dono del sale. E il mio cuore ricorda monsignor Mario Marini, di santa memoria.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Oggi ricordiamo l’ultima apparizione della Madonna di Fatima. Alla celeste Madre di Dio affido tutti voi, perché vi accompagni con tenerezza materna nel vostro cammino e vi sia di conforto nelle prove della vita.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 20 ottobre 2021

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Catechesi sulla Lettera ai Galati: 12. La libertà si realizza nella carità

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questi giorni stiamo parlando della libertà della fede, ascoltando la Lettera ai Galati. Ma mi è venuto in mente quello che Gesù diceva sulla spontaneità e la libertà dei bambini, quando questo bambino ha avuto la libertà di avvicinarsi e muoversi come se fosse a casa sua … E Gesù ci dice: “Anche voi, se non vi fate come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli”. Il coraggio di avvicinarsi al Signore, di essere aperti al Signore, di non avere paura del Signore: io ringrazio questo bambino per la lezione che ha dato a tutti noi. E che il Signore lo aiuti nella sua limitazione, nella sua crescita perché ha dato questa testimonianza che gli è venuta dal cuore. I bambini non hanno un traduttore automatico dal cuore alla vita: il cuore va avanti.

L’Apostolo Paolo, con la sua Lettera ai Galati, poco alla volta ci introduce nella grande novità della fede, lentamente. È davvero una grande novità, perché non rinnova solo qualche aspetto della vita, ma ci porta dentro quella “vita nuova” che abbiamo ricevuto con il Battesimo. Lì si è riversato su di noi il dono più grande, quello di essere figli di Dio. Rinati in Cristo, siamo passati da una religiosità fatta di precetti alla fede viva, che ha il suo centro nella comunione con Dio e con i fratelli, cioè nella carità. Siamo passati dalla schiavitù della paura e del peccato alla libertà dei figli di Dio. Un’altra volta la parola libertà.

Cerchiamo oggi di capire meglio qual è per l’Apostolo il cuore di questa libertà. Paolo afferma che essa è tutt’altro che «un pretesto per la carne» (Gal 5,13): la libertà, cioè, non è un vivere libertino, secondo la carne ovvero secondo l’istinto, le voglie individuali e le proprie pulsioni egoistiche; al contrario, la libertà di Gesù ci conduce a essere – scrive l’Apostolo – «a servizio gli uni degli altri» (ibid.). Ma questo è schiavitù? Eh sì, la libertà in Cristo ha qualche “schiavitù”, qualche dimensione che ci porta al servizio, a vivere per gli altri. La vera libertà, in altre parole, si esprime pienamente nella carità. Ancora una volta ci troviamo davanti al paradosso del Vangelo: siamo liberi nel servire, non nel fare quello che vogliamo. Siamo liberi nel servire, e lì viene la libertà; ci troviamo pienamente nella misura in cui ci doniamo. Ci troviamo pienamente noi nella misura in cui ci doniamo, abbiamo il coraggio di donarci; possediamo la vita se la perdiamo (cfr Mc 8,35). Questo è Vangelo puro.

Ma come si spiega questo paradosso? La risposta dell’Apostolo è tanto semplice quanto impegnativa: «mediante l’amore» (Gal 5,13). Non c’è libertà senza amore. La libertà egoistica del fare quello che voglio non è libertà, perché torna su se stessa, non è feconda. È l’amore di Cristo che ci ha liberati ed è ancora l’amore che ci libera dalla schiavitù peggiore, quella del nostro io; perciò la libertà cresce con l’amore. Ma attenzione: non con l’amore intimistico, con l’amore da telenovela, non con la passione che ricerca semplicemente quello che ci va e ci piace, ma con l’amore che vediamo in Cristo, la carità: questo è l’amore veramente libero e liberante. È l’amore che risplende nel servizio gratuito, modellato su quello di Gesù, che lava i piedi ai suoi discepoli e dice: «Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). Servire gli uni gli altri.

Per Paolo dunque la libertà non è “fare quello che pare e piace”. Questo tipo di libertà, senza un fine e senza riferimenti, sarebbe una libertà vuota, una libertà da circo: non va. E infatti lascia il vuoto dentro: quante volte, dopo aver seguito solo l’istinto, ci accorgiamo di restare con un grande vuoto dentro e di aver usato male il tesoro della nostra libertà, la bellezza di poter scegliere il vero bene per noi e per gli altri. Solo questa libertà è piena, concreta, e ci inserisce nella vita reale di ogni giorno. La vera libertà ci libera sempre, invece quando ricerchiamo quella libertà di “quello che mi piace e non mi piace”, alla fine rimaniamo vuoti.

In un’altra lettera, la prima ai Corinzi, l’Apostolo risponde a chi sostiene un’idea sbagliata di libertà. «Tutto è lecito!», dicono questi. «Sì, ma non tutto giova», risponde Paolo. «Tutto è lecito, ma non tutto edifica», ribatte l’Apostolo. Il quale poi aggiunge:«Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri» (1 Cor 10,23-24). Questa è la regola per smascherare qualsiasi libertà egoistica. Anche, a chi è tentato di ridurre la libertà solo ai propri gusti, Paolo pone dinanzi l’esigenza dell’amore. La libertà guidata dall’amore è l’unica che rende liberi gli altri e noi stessi, che sa ascoltare senza imporre, che sa voler bene senza costringere, che edifica e non distrugge, che non sfrutta gli altri per i propri comodi e fa loro del bene senza ricercare il proprio utile. Insomma, se la libertà non è a servizio – questo è il test – se la libertà non è a servizio del bene rischia di essere sterile e non portare frutto. Invece, la libertà animata dall’amore conduce verso i poveri, riconoscendo nei loro volti quello di Cristo. Perciò il servizio degli uni verso gli altri permette a Paolo, scrivendo ai Galati, di fare una sottolineatura niente affatto secondaria: così, parlando della libertà che gli altri Apostoli gli diedero di evangelizzare, sottolinea che gli raccomandarono solo una cosa: di ricordarsi dei poveri (cfr Gal 2,10). Interessante questo. Quando dopo quella lotta ideologica tra Paolo e gli Apostoli si sono messi d’accordo, cosa gli hanno detto gli Apostoli: “Vai avanti, vai avanti e non dimenticarti dei poveri”, cioè che la tua libertà di predicatore sia una libertà al servizio degli altri, non per te stesso, di fare quello che ti piace.

Sappiamo invece che una delle concezioni moderne più diffuse sulla libertà è questa: “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Ma qui manca la relazione, il rapporto! È una visione individualistica. Invece, chi ha ricevuto il dono della liberazione operata da Gesù non può pensare che la libertà consista nello stare lontano dagli altri, sentendoli come fastidi, non può vedere l’essere umano arroccato in sé stesso, ma sempre inserito in una comunità. La dimensione sociale è fondamentale per i cristiani, e consente loro di guardare al bene comune e non all’interesse privato.

Soprattutto in questo momento storico, abbiamo bisogno di riscoprire la dimensione comunitaria, non individualista, della libertà: la pandemia ci ha insegnato che abbiamo bisogno gli uni degli altri, ma non basta saperlo, occorre sceglierlo ogni giorno concretamente, decidere su quella strada. Diciamo e crediamo che gli altri non sono un ostacolo alla mia libertà, ma sono la possibilità per realizzarla pienamente. Perché la nostra libertà nasce dall’amore di Dio e cresce nella carità.

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Saluti

[Saluto i fedeli di lingua araba. La pandemia ci ha insegnato che abbiamo bisogno gli uni degli altri, ma non basta saperlo, occorre sceglierlo ogni giorno concretamente. Diciamo e crediamo che gli altri non sono un ostacolo alla mia libertà, ma la possibilità per realizzarla pienamente. Perché la nostra libertà nasce dall’amore di Dio e cresce nella carità. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le Capitolari delle Serve di Maria Ministre degli Infermi ed auspico per l’intera Congregazione un rinnovato e generoso impegno di testimonianza evangelica. Saluto poi i fedeli delle parrocchie di San Pellegrino in Reggio Emilia e quelli di Santa Maria Assunta in Scigliano. Vi auguro che il soggiorno romano contribuisca a far crescere nell’animo di ciascuno l’amore e la fedeltà a Cristo.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. In questo mese di ottobre la Chiesa esorta a pregare per le missioni e ad accogliere l’invito di Cristo ad essere suoi attivi collaboratori. Date al Signore la vostra generosa disponibilità e offrite le vostre sofferenze perché si compia il disegno salvifico del Padre celeste.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 27 ottobre 2021

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Catechesi sulla Lettera ai Galati: 13. Il frutto dello Spirito

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La predicazione di San Paolo è tutta incentrata su Gesù e sul suo mistero pasquale. L’Apostolo infatti si presenta come annunciatore di Cristo, e di Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,2). Ai Galati, tentati di basare la loro religiosità sull’osservanza di precetti e tradizioni, egli ricorda il centro della salvezza e della fede: la morte e la risurrezione del Signore. Lo fa mettendo davanti a loro il realismo della croce di Gesù. Scrive così: «Chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!» (Gal 3,1). Chi vi ha incantati per allontanarti da Cristo Crocifisso? È un momento brutto dei Galati …

Ancora oggi, molti sono alla ricerca di sicurezze religiose prima che del Dio vivo e vero, concentrandosi su rituali e precetti piuttosto che abbracciare con tutto sé stessi il Dio dell’amore. E questa è la tentazione dei nuovi fondamentalisti, di coloro ai quali sembra la strada da percorrere faccia paura e non vanno avanti ma indietro perché si sentono più sicuri: cercano la sicurezza di Dio e non il Dio della sicurezza. Per questo Paolo chiede ai Galati di ritornare all’essenziale, a Dio che ci dà la vita in Cristo crocifisso. Ne dà testimonianza in prima persona: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). E verso la fine della Lettera, afferma: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (6,14).

Se noi perdiamo il filo della vita spirituale, se mille problemi e pensieri ci assillano, facciamo nostro il consiglio di Paolo: mettiamoci davanti a Cristo Crocifisso, ripartiamo da Lui. Prendiamo il Crocifisso tra le mani, teniamolo stretto sul cuore. Oppure sostiamo in adorazione davanti all’Eucaristia, dove Gesù è Pane spezzato per noi, Crocifisso Risorto, potenza di Dio che riversa il suo amore nei nostri cuori.

E ora, sempre guidati da San Paolo, facciamo un passo ulteriore. Chiediamoci: che cosa succede quando incontriamo nella preghiera Gesù Crocifisso? Succede quello che accadde sotto la croce: Gesù consegna lo Spirito (cfr Gv 19,30),dona cioè la sua stessa vita. E lo Spirito, che scaturisce dalla Pasqua di Gesù, è il principio della vita spirituale. È Lui che cambia il cuore: non le nostre opere. È Lui che cambia il cuore, non le cose che noi facciamo, ma l’azione dello Spirito Santo in noi cambia il cuore! È Lui che guida la Chiesa, e noi siamo chiamati a obbedire alla sua azione, che spazia dove e come vuole. D’altronde, fu proprio la constatazione che lo Spirito Santo scendeva sopra tutti e che la sua grazia operava senza esclusione alcuna a convincere anche i più restii tra gli Apostoli che il Vangelo di Gesù era destinato a tutti e non a pochi privilegiati. E quelli che cercano la sicurezza, il piccolo gruppo, le cose chiare come allora, si allontanano dallo Spirito, non lasciano che la libertà dello Spirito entri in loro. Così, la vita della comunità si rigenera nello Spirito Santo; ed è sempre grazie a Lui che alimentiamo la nostra vita cristiana e portiamo avanti la nostra lotta spirituale.

Proprio il combattimento spirituale è un altro grande insegnamento della Lettera ai Galati. L’Apostolo presenta due fronti contrapposti: da una parte le «opere della carne», dall’altra il «frutto dello Spirito». Che cosa sono le opere della carne? Sono i comportamenti contrari allo Spirito di Dio. L’Apostolo le chiama opere della carne non perché nella nostra carne umana ci sia qualcosa di sbagliato o cattivo; anzi, abbiamo visto come egli insista sul realismo della carne umana portata da Cristo sulla croce! Carne è una parola che indica l’uomo nella sua dimensione solo terrena, chiuso in sé stesso, in una vita orizzontale, dove si seguono gli istinti mondani e si chiude la porta allo Spirito, che ci innalza e ci apre a Dio e agli altri. Ma la carne ricorda anche che tutto questo invecchia, che tutto questo passa, marcisce, mentre lo Spirito dà la vita. Paolo elenca dunque le opere della carne, che fanno riferimento all’uso egoistico della sessualità, alle pratiche magiche che sono idolatria e a quanto mina le relazioni interpersonali, come «discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie…» (cfr Gal 5,19-21 Tutto questo è il frutto – diciamo così – della carne, di un comportamento soltanto umano, “ammalatamente” umano. perché l’umano ha dei suoi valori, ma tutto questo è “ammalatamente” umano.

Il frutto dello Spirito, invece, è «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22): così dice Paolo. I cristiani, che nel battesimo si sono «rivestiti di Cristo» (Gal 3,27), sono chiamati a vivere così. Può essere un buon esercizio spirituale, per esempio, leggere l’elenco di San Paolo e guardare alla propria condotta, per vedere se corrisponde, se la nostra vita è veramente secondo lo Spirito Santo, se porta questi frutti. La mia vita produce questi frutti di amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé? Ad esempio, i primi tre elencati sono l’amore, la pace e la gioia: da qui si riconosce una persona abitata dallo Spirito Santo. Una persona che è in pace, che è gioiosa e che ama: con queste tre tracce si vede l’azione dello Spirito.

Questo insegnamento dell’Apostolo pone una bella sfida anche alle nostre comunità. A volte, chi si accosta alla Chiesa ha l’impressione di trovarsi davanti a una fitta mole di comandi e precetti: ma no, questo non è la Chiesa! Questo può essere qualsiasi associazione. Ma, in realtà, non si può cogliere la bellezza della fede in Gesù Cristo partendo da troppi comandamenti e da una visione morale che, sviluppandosi in molti rivoli, può far dimenticare l’originaria fecondità dell’amore, nutrito di preghiera che dona la pace e di gioiosa testimonianza. Allo stesso modo, la vita dello Spirito che si esprime nei Sacramenti non può essere soffocata da una burocrazia che impedisce di accedere alla grazia dello Spirito, autore della conversione del cuore. E quante volte noi stessi, preti o vescovi, facciamo tanta burocrazia per dare un Sacramento, per accogliere la gente, che di conseguenza dice: “No, questo non mi piace”, e se ne va, e non vede in noi, tante volte, la forza dello Spirito che rigenera, che ci fa nuovi. Abbiamo dunque la grande responsabilità di annunciare Cristo crocifisso e risorto animati dal soffio dello Spirito d’amore. Perché è solo questo Amore che possiede la forza di attirare e cambiare il cuore dell’uomo.

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Saluti

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Su richiesta della fondazione polacca “Sì alla vita”, oggi ho benedetto le campane che portano il nome: “La voce dei non nati”. Sono destinate all’Ecuador e all’Ucraina. Per queste nazioni e per tutti siano segno di impegno in favore della difesa della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Che il loro suono annunci al mondo il “Vangelo della vita”, desti le coscienze degli uomini e il ricordo dei non nati. Affido alla vostra preghiera ogni bambino concepito, la cui vita è sacra e inviolabile. Vi benedico di cuore.]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto la Fondazione San Vito di Mazara del Vallo, l’Associazione Diversa-Mente e la comunità sri-lankese di Napoli.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli – sono tanti! Vi incoraggio a testimoniare il messaggio di salvezza evangelica che i Santi Apostoli Simone e Giuda, dei quali domani celebreremo la festa, hanno testimoniato con la loro vita.

A tutti la mia benedizione.












[Modificato da Caterina63 29/10/2021 15:27]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)