00 07/12/2008 20:41
Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 01/11/2005 11.54

Vittorio Messori
IPOTESI SU MARIA
Fatti, indizi, enigmi
pagine 600
Edizioni Ares, 2005
€ 18



«I motivi di fondo di questa opera - ha detto lo scrittore - sono due: innanzitutto, dimostrare che si può essere devoti della Madonna senza cadere in atteggiamenti sdolcinati, in secondo luogo, sottolineare che, come diceva un’antifona purtroppo abolita dalla riforma liturgica, Maria è nemica di tutte le eresie. E siccome oggi il vero problema continua a essere quello di una fede cattolica sempre in bilico, riscoprire la mariologia equivale a riscoprire l’ortodossia, perché nei dogmi mariani, a saperli leggere, c’è la difesa e la base del vero cattolicesimo».


Il Giornale, 19/10/05
«Ipotesi» e conferme su Maria
di ANDREA TORNIELLI

Dopo Ipotesi su Gesù e i successivi libri dedicati alla passione e alla resurrezione di Cristo, Vittorio Messori torna in libreria con un volume interamente dedicato alla figura della Madonna. S’intitola Ipotesi su Maria (Edizioni Ares, pagg. 536, euro 18), sarà in distribuzione nei primi giorni di novembre e raccoglie, con rivisitazioni e aggiunte, il «taccuino mariano» che lo scrittore ha tenuto dal 1995 al 2000 sul mensile dei paolini Jesus. Molte delle oltre cinquecento pagine del libro di Messori sono dedicate alle apparizioni di Lourdes e alle guarigioni miracolose di malati che si sono recati presso la grotta di Massabielle. Un caso tra questi, peraltro già ben noto, colpisce particolarmente e si lega in qualche modo a un’altra indagine dello scrittore divenuta un libro di successo. È la storia di un giardiniere belga, Peter van Rudder, il quale il 16 febbraio 1867, a causa della caduta di un albero ebbe la gamba sinistra spezzata sotto il ginocchio. Entrambe le ossa, tibia e perone, risultarono fratturate e i due tronconi erano separati tra loro da ben tre centimetri di vuoto. In totale, dunque, mancavano sei centimetri di osso, che si erano frammentati e provocavano sofferenze indicibili. Molti medici, tra i quali l’illustre Thiriart, chirurgo della casa reale belga, visitarono il giardiniere e non potendo in alcun modo risolvere la sua situazione proposero di amputare la gamba. Van Rudder però, ostinatamente, rifiutava l’operazione, nonostante le sofferenze che la frattura insanabile gli procurava.

La sua pervicacia era determinata dall’incrollabile fede: era infatti convinto che ci avrebbe pensato la Madonna, l’Immacolata apparsa a Lourdes alla piccola Bernadette Soubirous. Il 7 aprile 1875, otto anni dopo il grave incidente che lo aveva lasciato storpio, con le ossa rotte che spuntavano tra la carne ormai incancrenita, il giardiniere riesce finalmente a partire per la cittadina di Oostaker, dove nel frattempo era stata realizzata una copia esatta della grotta di Lourdes. La sua situazione è diventata drammatica e i testimoni raccontano che dalla piaga usciva pus maleodorante.

Davanti alla statua della Vergine, che ricalca quella della grotta di Massabielle, l’uomo si sente pervadere da «una specie di rivoluzione». Getta le stampelle e riprende a camminare, improvvisamente guarito. La relazione, stilata dai medici curanti di van Rudder, afferma che «la gamba e il piede, assai gonfi, hanno ripreso di colpo il volume normale» e che «le piaghe in cancrena appaiono cicatrizzate». E soprattutto che «la tibia e il perone fratturati si sono ricongiunti, malgrado la distanza che li separava»: la saldatura risulta completa e le gambe sono di nuovo di lunghezza uguale. Il giardiniere sarebbe vissuto in perfetta salute per altri 23 anni. Sei centimetri d’osso, dunque, ricresciuti improvvisamente. Un episodio che richiama un altro miracolo mariano, quello di Calanda, indagato da Messori nel libro Il miracolo: una gamba amputata che viene riattaccata. Ipotesi su Maria, quasi un taccuino di viaggio per approfondire la figura della Madre di Dio e il suo manifestarsi in modo così misterioso e inspiegabile nelle vicende umane, ha lo stile inconfondibile di Vittorio Messori. «I motivi di fondo di questa opera - ha detto lo scrittore - sono due: innanzitutto, dimostrare che si può essere devoti della Madonna senza cadere in atteggiamenti sdolcinati, in secondo luogo, sottolineare che, come diceva un’antifona purtroppo abolita dalla riforma liturgica, Maria è nemica di tutte le eresie. E siccome oggi il vero problema continua a essere quello di una fede cattolica sempre in bilico, riscoprire la mariologia equivale a riscoprire l’ortodossia, perché nei dogmi mariani, a saperli leggere, c’è la difesa e la base del vero cattolicesimo».

Andrea Tornielli


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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 30/01/2006 10.07

Il Santuario di Loreto nelle parole di Giovanni Paolo II e del Cardinale Ratzinger

In un volume pubblicato recentemente dalle Edizioni Lauretane

ROMA, domenica, 29 gennaio 2006 (ZENIT.org).- E’ stato pubblicato recentemente un volume che raccoglie gli scritti dal 1979 al 2004 del compianto Papa polacco e le riflessioni dal 1988 al 1995 dell’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Intitolata, “Il Santuario di Loreto nella parola di Giovanni Paolo II e del Cardinale Joseph Ratzinger ora Benedetto XVI” (Edizioni Lauretane Santa Casa, 19 Euro, pag. 284), l’opera è stata presentata per la prima volta il 7 dicembre 2005 nella Sala Paolo VI del Vaticano.

Il volume intende introdurre al pensiero mariologico del Papa del “Totus Tuus” e di un teologo di fama mondiale come il Cardinale Ratzinger, oltre a rinsaldare la fede nella Madre di Dio e della Chiesa – a cui solo in Italia sono dedicati 1.500 Santuari –.

Allo stesso tempo, però, l’opera si configura come espressione di gratitudine nei riguardi di Giovanni Paolo II che, più di ogni altro Papa, ha scritto su Loreto, e come omaggio augurale a Benedetto XVI, molto devoto della Santa Casa, che durante il suo cardinalato ha visitato questo luogo ben sette volte.

La pubblicazione apre ufficialmente la serie delle “Edizioni Lauretane Santa Casa”, promosse dalla Delegazione Pontificia e gestite dalla Tecnostampa di Loreto.

I Santuari affermava Giovanni Paolo II il 15 maggio del 1993 sono “luoghi di evangelizzazione, vere e proprie cittadelle della fede in cui si fa esperienza dell’assoluto di Dio”.

E proprio ad essi, spiegava in una lettera per il VII Centenario del Santuario della Santa Casa di Loreto il 15 agosto 1993, spetta di essere “non luoghi del marginale e dell’accessorio, ma, al contrario, luoghi dell’essenziale, luoghi dove si va per ottenere la grazia prima ancora che le grazie”.

Il volume – composto di 288 pagine e arricchito di oltre 140 immagini del fotografo Arturo Mari – si apre con una presentazione agli scritti di Giovanni Paolo II a Loreto, firmata da monsignor Gianni Danzi, Arcivescovo Delegato Pontificio di Loreto, e da una prefazione del Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia.

Nel libro viene proposto un percorso attraverso le cinque visite pastorali di Giovanni Paolo II a Loreto – l’ultima delle quali avvenne il 5 settembre 2004 – offerto da padre Giuseppe Santarelli, religioso cappuccino e noto storico del Santuario.

Il volume include anche un Messaggio di Papa Benedetto XVI e una “Postfazione” di quello che fu per molti anni Segretario personale del Papa polacco e che attualmente è l’Arcivescovo di Cracovia, monsignor Stanislaw Dziwisz.

Nella sua prefazione il Patriarca di Venezia avverte che “oggi più che mai i Santuari mariani svolgono un ruolo decisivo perché sono occasioni privilegiate di coagulo del popolo di Dio e della sua rigenerazione”.

“Oggi più che mai, infatti, l’uomo spesso smarrito e confuso nella sua acuta domanda di felicità e di libertà, ha bisogno di una dimora”, osserva il porporato.

Sul Santuario di Loreto, l’8 settembre 1991, durante l’omelia in occasione della festività della natività di Maria, il Cardinale Ratzinger affermava: “Così si esprime il messaggio vero di questa casa, che non è una casa privata di una persona, di una famiglia, di una stirpe, ma sta sulla via di noi tutti: è una casa aperta a tutti”.

Sempre nella lettera del 15 agosto 1993, Papa Giovanni Paolo II ricordava come “la Santa Casa di Loreto non è solo una reliquia, ma anche una preziosa icona concreta, l’icona non di astratte verità ma di un evento e di un mistero: l’Incarnazione del Verbo”.

Di questo particolare legame fra il Papa polacco e il Santuario ha dato testimonianza monsignor Dziwisz, il quale scrive nel libro: “L’ ‘Eccomi’ della fanciulla di Nazareth che risuona nella mura della Santa Casa di Loreto è stata la scuola cui Giovanni Paolo II ha imparato a lasciarsi possedere da Dio, diventando un’Eucaristia vivente”.

Papa Wotyla sosteneva che la Santa Casa “convince il pellegrino che davvero Dio ama l’uomo così com’è”, aggiungendo poi che “dove abita Dio tutti noi siamo a casa; dove abita Cristo i suoi fratelli e le sue sorelle non sono stranieri. Così è anche con la Casa di Maria e con la vita stessa di lei: è aperta per tutti noi”.

A queste parole faceva eco ancora l’8 settembre 1991 il Cardinale Ratzinger: “Dove c’è Maria c’è la Casa; dove c’è Dio, siamo tutti a casa; la casa di Nazareth non è una reliquia del passato, essa ci parla del presente e ci provoca ad un esame di coscienza”.

Inoltre, affermava Giovanni Paolo II nel suo primo pellegrinaggio a Loreto l’8 settembre 1979, questo Santuario continua a ricordare all’uomo di oggi il valore della famiglia e il senso della casa come luogo privilegiato dell’amore: “La casa come arca dell’alleanza delle generazioni e tutela dei valori umani e divini”.

L’invito lanciato in quell’occasione da Papa Wojtyla era quello di lasciarsi “educare dallo stile di Loreto; uno stile fatto di semplicità e di intensità, di bellezza e di verità, di universalità e di storicità, di silenzio e di parola”.

“Dio non è legato a pietre, ma egli si lega a persone vive”, aveva sottolineato il Cardinale Ratzinger.


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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 11/09/2006 11.28
Lunedì 11 settembre

Ore 10,30: Santa Messa - piazza del Santuario di Altötting

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Il brano evangelico delle nozze di Cana per capire lo stile della Madonna. La riflessione di Benedetto XVI parte dalla frase di Maria a Gesù, “Non hanno più vino”: segno della “sua sollecitudine affettuosa per gli uomini”, ma anche del suo rimettersi al “giudizio del Signore”. “A Nazaret – spiega il papa – la Madonna ha consegnato la sua volontà immergendola in quella di Dio”. È uno stile di preghiera per tutti i cristiani che scardina le logiche comuni: “non voler affermare la nostra volontà e i nostri desideri di fronte a Dio, ma lasciare a Lui di decidere ciò che intende fare”. Il papa si inoltra poi in tutti i passaggi del brano, spiegando infine il senso della trasformazione dell’acqua in vino da parte di Gesù, non “un prodigio”, ma un segno che anticipa in qualche modo la sua ora. È quanto Cristo continua a fare nell’Eucari­stia, “nella quale viene sempre già ora”. “E sempre di nuovo – spiega Benedetto XVI - lo fa per intercessione della sua Madre, per intercessione della Chiesa”. “Così vogliamo lasciarci guidare da Maria, dalla Madre delle grazie di Altötting, dalla Madre di tutti i fedeli, verso l’"ora" di Gesù. Chiediamo a Lui il dono di riconoscerlo e di comprenderlo sempre di più. E non lasciamo che il ricevere sia ridotto solo al momento della Comunione. Egli rimane presente nell’Ostia santa e ci aspetta continuamente”.

E' una intensa riflessione mariana l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel corso della celebrazione eucaristica nel celebre santuario bavarese. Lo stile della madre di Gesù come esempio da seguire.

Cari fratelli e sorelle!

Nella prima lettura, nel responsorio e nel brano evangelico di questo giorno incontriamo tre volte, in modo sempre diverso, Maria, la Madre del Signore, come persona che prega. Nel Libro degli Atti la troviamo in mezzo alla comunità degli Apostoli che si sono riuniti nel Cenacolo e invocano il Signore asceso al Padre, affinché adempia la sua promessa: "Sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti giorni" (At 1,5). Maria guida la Chiesa nascente nella preghiera; è quasi la Chiesa orante in persona. E così, insieme con la grande comunità dei santi e come loro centro, sta ancora oggi davanti a Dio ed intercede per noi, chiedendo al suo Figlio di mandare nuovamente il suo Spirito nella Chiesa e nel mondo e di rinnovare la faccia della terra.

Noi rispondiamo a questa lettura cantando insieme con Maria la grande lode intonata da lei, quando Elisabetta la chiamò beata a motivo della sua fede. È questa una preghiera di ringraziamento, di gioia in Dio, di benedizione per le sue grandi opere. Il tenore di quest'inno emerge subito nella prima parola: "L'anima mia magnifica – cioè rende grande – il Signore". Rendere Dio grande vuol dire dargli spazio nel mondo, nella propria vita, lasciarlo entrare nel nostro tempo e nel nostro agire: è questa l'essenza più profonda della vera preghiera. Dove Dio diventa grande, l'uomo non diventa piccolo: lì diventa grande anche l'uomo e diventa luminoso il mondo.

Nel brano evangelico, Maria rivolge al suo Figlio una richiesta in favore degli amici che si trovano in difficoltà. A prima vista, questo può apparire un colloquio del tutto umano tra Madre e Figlio e, infatti, è anche un dialogo pieno di profonda umanità. Tuttavia Maria si rivolge a Gesù non semplicemente come a un uomo, sulla cui fantasia e disponibilità a soccorrere sta contando. Lei affida una necessità umana al suo potere – a un potere che va al di là della bravura e della capacità umana. E così, nel dialogo con Gesù, la vediamo realmente come Madre che chiede, che intercede. Vale la pena di andare un po' più a fondo nell'ascolto di questo brano evangelico: per capire meglio Gesù e Maria, ma proprio anche per imparare da Maria a pregare nel modo giusto. Maria non rivolge una vera richiesta a Gesù. Gli dice soltanto: "Non hanno più vino" (Gv 2,3). Le nozze in Terra Santa si festeggiavano per una settimana intera; era coinvolto tutto il paese, e si consumavano quindi grandi quantità di vino. Ora gli sposi si trovano in difficoltà, e Maria semplicemente lo dice a Gesù. Non dice a Gesù che cosa Egli deve fare. Non domanda una cosa precisa, e per niente chiede che Egli compia un miracolo mediante il quale produrre del vino. Semplicemente affida la cosa a Gesù e lascia a Lui la decisione su come reagire. Vediamo così nella semplice parola della Madre di Gesù due cose: da una parte, la sua sollecitudine affettuosa per gli uomini, l'attenzione materna con cui avverte l'altrui situazione difficile; vediamo la sua bontà cordiale e la sua disponibilità ad aiutare. È questa la Madre, verso la quale la gente da generazioni si mette in pellegrinaggio qui ad Altötting. A lei affidiamo le nostre preoccupazioni, le necessità e le situazioni penose. La bontà pronta ad aiutare della Madre, alla quale ci affidiamo, è qui nella Sacra Scrittura, che la vediamo per la prima volta. Ma a questo primo aspetto molto familiare a tutti noi se ne unisce ancora un altro, che facilmente ci sfugge: Maria rimette tutto al giudizio del Signore. A Nazaret ha consegnato la sua volontà immergendola in quella di Dio: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1, 38). Questo è il suo permanente atteggiamento di fondo. E così ci insegna a pregare: non voler affermare la nostra volontà e i nostri desideri di fronte a Dio, ma lasciare a Lui di decidere ciò che intende fare. Da Maria impariamo la bontà pronta ad aiutare, ma anche l'umiltà e la generosità di accettare la volontà di Dio, dandogli fiducia nella convinzione che la sua risposta sarà il nostro vero bene.

Se in questa luce possiamo capire molto bene l'atteggiamen­to e le parole di Maria, ci resta ancor più difficile comprendere la risposta di Gesù. Già l'appellativo non ci piace: "Donna" – perché non dice: madre? In realtà, questo titolo esprime la posizione di Maria nella storia della salvezza. Esso rimanda al futuro, all'ora della crocifissione, in cui Gesù le dirà: "Donna, ecco il tuo figlio – figlio, ecco la tua madre!" (cfr Gv 19, 26-27). Indica quindi in anticipo l'ora in cui Egli renderà la donna, sua madre, madre di tutti i suoi discepoli. D’altra parte, il titolo evoca il racconto della creazione di Eva: Adamo, in mezzo alla creazione con tutta la sua ricchezza, come essere umano si sente solo. Allora viene creata Eva, e in lei egli trova la compagna che aspettava e che chiama con il titolo di "donna". Così, nel Vangelo di Giovanni, Maria rappresenta la nuova, la definitiva donna, la compagna del Redentore, la Madre nostra: l'appellativo apparentemente poco affettuoso esprime invece la grandezza della sua missione.

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Ma ancora meno ci piace tutto il resto della risposta che Gesù a Cana dà a Maria: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2, 4). Noi vorremmo obiettare: Molto hai da fare con lei! È stata lei a darti carne e sangue, il tuo corpo. E non soltanto il tuo corpo: con il “sì” proveniente dal profondo del suo cuore ti ha portato in grembo e con amore materno ti ha introdotto nella vita e ambientato nella comunità del popolo d’Israele. Se così parliamo con Gesù, siamo già sulla buona strada per comprendere la sua risposta. Poiché tutto ciò deve richiamare alla nostra memoria che nella Sacra Scrittura esiste un parallelismo con il dialogo che Maria aveva avuto con l’Arcangelo Gabriele, nel quale ella dice: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). Questo parallelismo si trova nella Lettera agli Ebrei che, con parole tratte dal Salmo 40 ci racconta del dialogo tra Padre e Figlio – quel dialogo nel quale si s'avvia l’incarnazione. L’eterno Figlio dice al Padre: “Tu non hai voluto né sacrifici né offerte, un corpo invece mi hai preparato… Ecco, io vengo … per fare, o Dio, la tua volontà” (Ebr 10,5-7; cfr Sl 40,6-8). Il “si” del Figlio: “Vengo per fare la tua volontà”, e il “sì” di Maria: “Avvenga di me quello che hai detto” – questo duplice “sì” diventa un unico “sì”, e così il Verbo diventa carne in Maria. In questo duplice “sì” l’obbedienza del Figlio si fa corpo, Maria gli dona il corpo. “Che ho da fare con te, o donna?” Quello che nel più profondo hanno da fare l’uno con l’altra, è questo duplice “sì”, nella cui coincidenza è avvenuta l’incarnazio­ne. È a questo punto della loro profondissima unità che il Signore mira con la sua parola. Lì, in questo comune “sì” alla volontà del Padre, si trova la soluzione. Dobbiamo incamminarci anche noi verso questo punto; lì emerge la risposta alle nostre domande.

Partendo da lì comprendiamo anche la seconda frase della risposta di Gesù: “Non è ancora giunta la mia ora”. Gesù non agisce mai solamente da sé; mai per piacere agli altri. Egli agisce sempre partendo dal Padre, ed è proprio questo che lo unisce a Maria, perché là, in questa unità di volontà col Padre, ha voluto deporre anche lei la sua richiesta. Per questo, dopo la risposta di Gesù, che sembra respingere la domanda, lei sorprendentemente può dire ai servi con semplicità: “Fate quello che vi dirà!” (Gv 2,5). Gesù non fa un prodigio, non gioca col suo potere in una vicenda in fondo del tutto privata. Egli pone in essere un segno, col quale annuncia la sua ora, l’ora delle nozze, dell’unione tra Dio e l’uomo. Egli non “produce” semplicemente vino, ma trasforma le nozze umane in un’immagi­ne delle nozze divine, alle quali il Padre invita mediante il Figlio e nelle quali Egli dona la pienezza del bene. Le nozze diventano immagine della Croce, sulla quale Dio spinge il suo amore fino all’estremo, dando se stesso nel Figlio in carne e sangue – nel Figlio che ha istituito il Sacramento, in cui si dona a noi per tutti i tempi. Così la necessità viene risolta in modo veramente divino e la domanda iniziale largamente oltrepassata. L’ora di Gesù non è ancora arrivata, ma nel segno della trasformazione dell'acqua in vino, nel segno del dono festivo, anticipa la sua ora già in questo momento.

La sua “ora” definitiva sarà il suo ritorno alla fine dei tempi. Egli però anticipa continuamente questa ora nell’Eucari­stia, nella quale viene sempre già ora. E sempre di nuovo lo fa per intercessione della sua Madre, per intercessione della Chiesa, che lo invoca nelle preghiere eucaristiche: "Vieni, Signore Gesù!" Nel Canone la Chiesa implora sempre di nuovo questa anticipazione dell’"ora", chiede che venga già adesso e si doni a noi. Così vogliamo lasciarci guidare da Maria, dalla Madre delle grazie di Altötting, dalla Madre di tutti i fedeli, verso l’"ora" di Gesù. Chiediamo a Lui il dono di riconoscerlo e di comprenderlo sempre di più. E non lasciamo che il ricevere sia ridotto solo al momento della Comunione. Egli rimane presente nell’Ostia santa e ci aspetta continuamente. L’adorazio­ne del Signore nell'Eucaristia ha trovato a Altötting nella vecchia camera del tesoro un luogo nuovo. Maria e Gesù vanno insieme. Mediante lei vogliamo restare in dialogo col Signore, imparando così a riceverlo meglio. Santa Madre di Dio, prega per noi, come a Cana hai pregato per gli sposi! Guidaci verso Gesù – sempre di nuovo!

Amen!

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Consiglia  Messaggio 85 di 85 nella discussione 
Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 08/12/2007 10.45
XVI Simposio mariologico internazionale

 
di VINCENZO VITALE

Maria, speranza dell’ecumenismo?
   

http://www.stpauls.it/madre/0712md/0712md18.htm

Si è svolto a Roma, presso il Marianum, il 2-5 ottobre scorso, il XVI Simposio mariologico internazionale, sul tema "Maria nel dialogo ecumenico in Occidente". Sembrerebbe, a prima vista, un tema poco ecumenico, eppure...
  

A uno sguardo superficiale, non si direbbe che Maria sia l’argomento più adatto per il dialogo ecumenico. Eppure, è questo l’argomento messo a tema dal XVI Simposio internazionale mariologico che si è svolto a Roma, al Marianum, dal 2 al 5 ottobre e intitolato "Maria nel dialogo ecumenico in Occidente".

Ad ascoltare i diversi interventi di teologi sia cattolici che protestanti nelle tre giornate di studio erano presenti un centinaio di persone. Il Convegno si è concluso con il conferimento del X premio "René Laurentin – Pro Ancilla Domini" a padre Stanislaw Napiorkowski, per i meriti nel campo dell’ecumenismo mariano.

Le prime due giornate del Simposio sono state dedicate allo studio e alla valutazione critica di tre documenti fondamentali per l’ecumenismo mariano: L’Unico Mediatore, i santi e Maria (1990), frutto del dialogo tra cattolici e protestanti negli Stati Uniti; Maria: grazia e speranza in Cristo (2004), nato invece del dialogo tra cattolici e anglicani (commissione ARCIC II), noto anche come Dichiarazione di Seattle; e Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi (1997), di carattere non ufficiale, nato dal cosiddetto "gruppo di Dombes", un vero pioniere del dialogo ecumenico, nato nel 1936 per opera del sacerdote Paul Couturier. Hanno approfondito questi testi Ermanno Genre (valdese), Antonio Escudero, Serena Noceti, Giancarlo Bruni, John Flack (anglicano) e Salvatore Perrella.

Giancarlo Bruni (al microfono) con Silvano Maggiani.
Giancarlo Bruni (al microfono) con Silvano Maggiani.

Questi testi nascono da anni di incontri e studi preparatori. Ciò ha fatto dire al professor Giovanni Cereti, che ha presentato la diversa tipologia e una valutazione dei diversi tipi di documenti, che «è un fatto che il dialogo ci sia»: fatto impensabile anche solo fino a qualche decennio fa. Gli interlocutori si incontrano su un piano di parità, con la disponibilità a lasciarsi interpellare dall’altro, per «sminare il campo» (secondo l’espressione di Bernard Sesboüé).

Dalle relazioni è emerso con forza come le differenze tra la visione cattolica di Maria e quella protestante devono molto a sviluppi storici, condizionati da polemiche e incomprensioni reciproche. Il frutto di questo stato di cose è che «Maria è stata espulsa dall’immaginario protestante», come ha evidenziato Genre.

Ma non è stato così per i padri riformatori: il professor Hamman (nella terza giornata) ha illustrato molto bene come Lutero, Zwingli e Calvino avessero una pietà mariana e come essi abbiano parlato positivamente di Maria, intendendo "purificarla" dagli eccessi della devozione medioevale con una maggiore fedeltà alle testimonianze della Scrittura. È stato piuttosto il secolo XVII, quello della cosiddetta "ortodossia protestante", anche per reazione al cattolicesimo, che ha eliminato Maria dal discorso di fede: silenzio che – salvo una notevole eccezione proprio nel XVII secolo (il teologo protestante Drolencourt, autore di un libro intitolato De l’honneur qui doît être rendu à la Vierge Marie, dove scrive: «ogni cristiano deve volerle bene e lodarla , proporla come esempio di ben vivere e ben credere») – è durato fino al XX secolo. Questo pone un problema ecumenico notevole, in quanto siamo di fronte a «sensibilità , spiritualità e immaginari diversi», che «comportano diversi vissuti di fede» (Genre).

Un consenso differenziato

È possibile allora trovare un’unanimità che riguarda le cose necessarie e avere delle differenze legittime? Cosa appartiene all’una e che cosa alle altre? È questa la grande domanda e la sfida dell’ecumenismo mariano. Ed è proprio qui che, prima delle differenze, si profilano delle convergenze insospettate. Innanzitutto – così si dichiara in Maria: grazia e speranza in Cristo – «È impossibile essere fedeli alla Scrittura e non prendere sul serio Maria» (n. 6). Proprio il punto di partenza moderno del discorso mariano – cioè la Bibbia – rende possibile una notevole base comune (tema approfondito da Aristide Serra). Un lavoro pionieristico in tal senso è stato Maria nel Nuovo Testamento (1978), nato da uno studio a più voci tra cattolici e protestanti. Ma esiste un’enorme mole di studi biblici mariani (peraltro non sempre valorizzati).

La consegna del premio "Laurentin" a Stanislaw Napiorkowski.
La consegna del premio "Laurentin" a Stanislaw Napiorkowski.

I documenti di ecumenismo mariano, soprattutto Maria: grazia e speranza in Cristo, ma anche quello del gruppo di Dombes, vanno oltre e cercano di rileggere la storia, la tradizione della Chiesa indivisa (fino al 1500!), con tutto quello che comporta di comune (i diversi Simboli della fede, i Concili, i Padri della Chiesa…). Le persone coinvolte nella preparazione dei testi si sono messe in reciproco ascolto, cercando le origini storiche dei dissensi e di comprendere le motivazioni che stanno dietro a posizioni diverse. Da tutta questa mole di lavoro (i documenti meriterebbero di essere letti e usati anche nella catechesi, per la ricchezza di apporti) emergono con più chiarezza i punti di consenso e quelli ancora controversi. Ma ormai tutti concordano a dire che Maria non è più motivo serio di divisione.

La terza giornata del Simposio è stata dedicata all’approfondimento di aspetti teologici e dogmatici dell’ecumenismo mariano: sono stati discussi da Carmelo Dotolo (che ha trattato il complesso tema del "consenso" e come intendere il dogma), Bernard Sesboüé (gerarchia delle verità), Cettina Militello (ricerca di nuovi linguaggi nella verità mariologica) e Gottfried Hamman (teologia e liturgia in ambito riformato). Di particolare interesse l’intervento di Dotolo, che ha sottolineato come i dogmi siano formulazioni dinamiche, aperte a un’ulteriore lettura: in questo contesto ha tentato una rilettura dei due dogmi dell’Immacolata e dell’Assunzione a partire dalla categoria dell’esodo.

Dunque Maria non più motivo di divisione. Non mancano (né vengono taciuti dai documenti) punti controversi (soprattutto il tema della mediazione e della cooperazione di Maria e i due dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione), ma sembra che siano «differenze compatibili con l’unità della fede». Ci sono differenze legittime nella fede – si parla tecnicamente di "consenso differenziato". Il principio di "gerarchia nelle verità" (cioè diverso rapporto con i fondamenti della fede), indicato dal Vaticano II (Unitatis redintegratio 11), magistralmente presentato da Bernard Sesboüé, permette di distinguere verità prime e verità seconde (ma non secondarie) e gioca un ruolo centrale nell’ecumenismo: partendo dal Credo, che presenta Maria nel secondo articolo, è possibile trovare la sua giusta collocazione (verticale: nel disegno di Dio; orizzontale: nella comunione dei santi) nella globalità della fede cristiana.

Vincenzo Vitale
   
  

Per presentare in modo accessibile la questione ecumenica mariana, abbiamo intervistato padre Giancarlo Bruni, docente al Marianum, ecumenista esperto e convinto (è legato alla comunità di Bose) che con affabilità e precisione ha risposto alle nostre domande.
  • Laurentin parlava a suo tempo della "questione mariana". Qual è oggi in ambito ecumenico? Quali sono i problemi in gioco?

«La questione mariana oggi in ambito ecumenico è questa: la consapevolezza che la figura di Maria e la riflessione sulla figura di Maria è un dato che ci riguarda tutti da vicino: cattolici, ortodossi, protestanti, per la semplice ragione che Maria è una figura biblica».

  • È, in effetti, è una delle poche figure di cui il Nuovo Testamento dice qualcosa oltre a quelle di Gesù, Pietro e Paolo.

«È una figura biblica, inscindibile da Cristo e inscindibile dalla Chiesa. Quindi cattolici, ortodossi e protestanti si sono resi conto che non possono non rivedere insieme questa figura, per rendersi conto che lei non è un motivo reale di divisione, ma molte ragioni della divisione sono confluite in Maria, che è diventata come il luogo in cui sono state proiettate molte altre divisioni, mentre lei come figura e la riflessione su di lei non è motivo di divisione tra i cristiani. E la cosa bella oggi è che cattolici, ortodossi e protestanti l’hanno riaccolta come sorella di fede nel cammino delle Chiese».

  • Certamente oggi c’è un buon consenso su Maria sulla base biblica. Ma la divisione più grande si gioca sulla tradizione, e tutto quello che è seguito alle divisioni (dopo oltre un millennio di cammino comune). Come gioca questo? Le sensibilità ecclesiali sono state condizionate dalle controversie?

«Detto in termini semplici e ampi (il discorso di per sé è più complesso) si può dire così: cattolici, ortodossi e protestanti si sono messi d’accordo a dire: "rivediamo insieme la figura biblica di Maria" e hanno concluso: "la Maria dei Vangeli non divide". Poi hanno fatto questa riflessione: "Vediamo ora come la Maria dei Vangeli è stata vissuta, pensata e celebrata storicamente". È il problema della tradizione. Questi dialoghi ecumenici hanno messo in risalto un cosa: sulla Maria dei primi sette Concili e sulla Maria del primo millennio la tradizione è concorde. Insieme, confessiamo, dichiariamo Maria come la Madre vergine di Dio. Quindi anche ristudiando insieme il problema della tradizione, si riconoce che c’è una tradizione del primo millennio che è di unità sostanziale».

  • Ma poi cosa succede?

«Le cose mutano con il secondo millennio soprattutto nel Medioevo in cui c’è una specie di spostamento di accento. Nel Medioevo nasce una visione cristologica di un certo tipo (lo dico a grandi termini): Gesù è il giudice severo, ecco allora che nasce il ricorso a sua madre come la madre buona e di misericordia. E quindi nasce anche una devozione molto spinta, molto forte nei confronti di Maria.

«Ed è qui poi che, mentre l’ortodossia rimane a sé, nell ’Occidente come reazione a questo modo di fare nasce la Riforma. E anche su Maria la Riforma, soprattutto i padri riformatori, non negano la presenza di Maria, ma cercano di ricollocare e di riportare Maria dentro il proprio alveo, che è l’alveo cristologico, che è l’alveo ecclesiologico, che è l’alveo del suo carattere esemplare.

«Quello che contestano è che a volte c’è una pietà e forse una teologia, un pensare che pone quasi una rivalità tra Gesù e Maria. Qui nasce la divisione, che è diventata nei secoli sempre più netta, per cui il cattolicesimo è quello di Maria, il protestantesimo è quello non mariano. Questa situazione è mutata con il dialogo ecumenico e negli ultimi quarant’anni si sono visti di nuovo dei progressi enormi, quando il "dossier" mariologico è stato riaperto e quando in ambito cattolico, a partire dal concilio Vaticano II, Maria è ricollocata in Cristo e nella Chiesa.

«Perché il vero problema – e lo dice anche il documento di Dombes – è proprio questo: la collocazione di Maria».

  • Come collocare Maria nell’insieme della fede cristiana?

«Secondo il documento di Dombes, nel disegno di Dio e nella comunione dei santi; poi, per il capitolo VIII della Lumen gentium, in Cristo e nella Chiesa, fino al documento cattolico-anglicano, dove è letta anche all’interno di tutta la storia della salvezza che è una storia di grazia e di speranza».

  • Si può prendere Maria isolatamente dal resto del mistero cristiano? C’è in questo senso una tentazione tipicamente cattolica della devozione mariana?

«No, non si può isolare Maria. Credo che per superare il rischio di una tentazione cattolica, che è quella di separare, di isolare Maria, di farne un discorso a se stante, – e questo lo dice anche tutto il magistero – bisogna ricollocare Maria all’interno della liturgia. Si deve partire "dal Padre per il Figlio nello Spirito nella comunione dei santi", e dentro la comunione dei santi vedere il ruolo e il significato di Maria. Maria va ricollocata. Qui allora la si legge bene.

«E la si legge in questo contesto in termini proprio esemplari: Maria diventa come dice Lumen gentium VIII il "tipo" e l’"esemplare" della Chiesa. Come Dio sta davanti all’uomo, come il Padre per il Cristo nello Spirito sta davanti all’uomo, allora ecco che nella comunione dei santi che hanno preso con sé Maria, si guarda Maria e lì si capisce: la prima parola che Dio dice a Maria è quella che dice all’uomo, quando s’avvicina: "Rallegrati!". Sono venuto per renderti una creatura bella e buona, hai trovato grazia presso di me. Mi chino con amore su di te. Ti chiedo di essere il luogo che dà ospitalità al Figlio e che lo genera al mondo per esempio con la santità della vita.

«E come l’umanità, la Chiesa stanno davanti a Dio, al Padre per il Figlio nello Spirito? Guardo ancora Maria: fiat, ti dico di sì, alla tua venuta, alla tua opera in me, al compito che mi dai di generare il Figlio al mondo, dico di sì. Lo dico nel Magnificat, ma lo dico anche nel gladius (la spada): "una spada ti trapasserà l’anima". Perché la grazia è sempre ad alto prezzo.

«Allora Maria non è più tanto nella linea di una devozione spicciola, ma diventa davvero un esemplare nella vita della Chiesa. Diventa esemplare di come Dio sta davanti a noi e di come noi stiamo davanti a Dio».

  • Questo mi sembra assolutamente ecumenico.

«Su questo paradigma dell’esemplarità di Maria convergono cattolici, ortodossi e protestanti. Direi che è un punto comune di partenza».

  • E come possiamo inquadrare in questa visione teologale il fatto che Cristo è l’unico Mediatore e il fatto che noi preghiamo Maria come mediatrice?

«Qui ci sono delle differenze. Le possiamo tradurre così. Ogni preghiera è al Padre per il Figlio nello Spirito nella comunione dei santi. Per cui un protestante ti direbbe così: "Io mi rivolgo al Padre, cioè prego, il Padre per il Figlio nello Spirito con Maria".

«Il cattolico dice: "Ma nella comunione dei santi io mi rivolgo al Padre per il Figlio nello Spirito. Ma posso anche dire a Maria di rivolgersi con me o di rivolgersi e di portare al Figlio un’invocazione, una preghiera che io ho fatto a Maria". Per cui la differenza è questa: il protestante prega con Maria, il cattolico con Maria ma in più invoca anche Maria. Però Maria invocata vuol dire questo: porta al Figlio nello Spirito quella preghiera che il Figlio – e solo il Figlio – porta al Padre.

«Oggi a livello ecumenico si dice che queste due prassi non generano divisione sostanziale. Sono consensi differenziati».

  • Cosa si può fare per una buona catechesi mariana, di qualità teologale?

«Io do questa indicazione: una buona catechesi mariana è presentare la Maria biblica; una buona catechesi mariana è presentare la Maria liturgica, in comunione con quella biblica; una buona catechesi mariana è presentare una mariologia della esemplarità: Maria è l’icona della Chiesa, vedi come Dio sta davanti a noi e come noi dobbiamo stare davanti a Dio.

«Una buona catechesi mariana è anche quella poi che ammette questa amicizia nella comunione dei santi. Allora posso dire a Maria che cammina con me: "senti, al tuo unico Figlio amato da te, da me, da noi, puoi dirgli questa cosa?". Ma allora la cosa è comprensibile dentro il concetto di comunione dei santi che camminano insieme, dove uno intercede per l’altro presso l’unico intercessore presso il Padre, che è la misericordia di Dio fatta carne