00 15/12/2008 11:35
Sul sano e vero autentico ECUMENISMO


L'Ecumenismo


Riporto a beneficio di tutti uno stralcio dal Capitolo XXXV di Iota Unum, intitolato appunto "L'ecumenismo". Tra l'altro viene analizzata l'espressione "subsistit in" di Lumen Gentium.


245. La variazione nel concetto dell'ecumenismo. La lnstructio del 1949. -Questa variazione è senza dubbio la più significativa che si sia prodotta nel sistema cattolico dopo il Vaticano II e vi si trovano riuniti tutti i motivi della tentata variazione di fondo che siamo soliti stringere nella formula di perdita delle essenze.

La dottrina tradizionale dell'ecumenismo è stabilita nella lnstructio de motione oecumenica emanata dal Santo Officio il 20 dicembre 1949 (in AAS, 31 gennaio 1950) la quale riprende l'insegnamento di Pio XI nell'enciclica Mortalium animos. Si stabilisce dunque: Primo: «la Chiesa cattolica possiede la pienezza del Cristo» e non deve perfezionarla ad opera delle altre confessioni. Secondo: non si deve perseguire l'unione per via di una progressiva assimilazione delle varie confessioni di fede né mediante un'accomodazione del dogma cattolico ad altro. Terzo: l'unica vera unione delle Chiese può farsi soltanto con il ritorno (per reditum) dei fratelli separati alla vera Chiesa di Dio. Quarto: i separati che si ricongiungono alla Chiesa cattolica non perdono nulla di sostanziale di quanto appartiene alla loro particolare professione, ma anzi lo ritrovano identico in una dimensione completa e perfetta («completum atque absolutum»).

La dottrina ribadita dalla lnstructio importa dunque che la Chiesa di Roma sia il fondamento e il centro dell'unità cristiana: che la vita storica della Chiesa, che è la persona collettiva del Cristo, non si faccia intorno a più centri (le varie confessioni cristiane) i quali avrebbero un centro più profondo situato fuori di ciascuna di esse; e infine che i separati devono muovere verso il centro immobile che è la Chiesa del servizio di Pietro. L 'unione ecumenica trova dunque la sua ragione e il suo fine in qualche cosa che sta già nella storia, che non è un futuro, e che i separati devono ripigliare. Tutte le cautele adoperate in materia ecumenica dalla Chiesa romana e massime la astensione tuttora perdurante dal Consiglio ecumenico delle Chiese hanno per motivo questa nozione dell'unità del cristiani e l'esclusione del pluralismo paritario delle confessioni separate. La posizione dottrinale infine è una riaffermazione della trascendenza del Cristianesimo il cui principio, che è il Cristo, è un principio teandrico vicariato storicamente dal ministero di Pietro.

246. La variazione conciliare. Villain. Card. Bea.

- La variazione introdotta dal Concilio si palesa per segni estrinseci e per un passaggio teoretico. Nel decreto Unitatis redintegratio l'Instructio del 1949 non è citata mai e il vocabolo di ritorno (reditus) neppure. Al vocabolo reversione è subentrato quello di conversione. Le confessioni cristiane, compresa la cattolica, non devono volgersi l'una all'altra, sibbene tutte insieme gravitare verso il Cristo totale che trovasi fuori di esse e in cui esse devono convergere.
Veramente nel discorso inaugurale del secondo periodo Paolo VI ripropose la dottrina tradizionale asserendo che i separati «mancano della perfetta unità che solo la Chiesa cattolica può loro dare». Il triplice vincolo di tale unità è costituito dall'identica credenza, dalla partecipazione agli identici sacramenti e dalla «apta cohaerentia unici ecclesiastici regiminis», anche se questa unica direzione rispetterà una larga varietà di espressioni linguistiche, di forme rituali, di tradizioni storiche, di prerogative locali, di correnti spirituali, di situazioni legittime.

Ma nonostante le dichiarazioni papali il decreto Unitatis redintegratiorespinge il reditus dei separati e professa la tesi della conversione di tutti i cristiani. L 'unità non deve farsi per ritorno dei separati alla Chiesa cattolica, bensì per conversione di tutte le Chiese nel Cristo totale, il quale non sussiste in alcuna di esse ma va reintegrato mediante la convergenza di
tutte in uno. Dove gli schemi preparatorii definivano che la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica, il Concilio concede soltanto che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica,
adottando la teoria che anche nelle altre Chiese cristiane sussiste la Chiesa di Cristo e che tutte devono prendere coscienza di tale comune sussistenza nel Cristo. Le Chiese separate, come scrive in OR, 14 ottobre, un cattedratico della Gregoriana, sono riconosciute dal Concilio come «strumenti di cui lo Spirito Santo si serve per operare la salvezza dei loro aderenti». Il
cattolicismo, in questa veduta paritaria di tutte le Chiese, non ha più nessun carattere di preminenza e di esclusività.

Già nel periodo dei lavori preparatorii del Concilio (§§ 29 sgg.) il padre M. Villain nell'opera Introduction à l’oecuménisme (Paris 1959) proponeva di far cadere l'antinomia tra Chiesa
cattolica e confessioni protestanti distinguendo tra dogmi centrali e dogmi periferici, ma più ancora distinguendo le verità di fede dalle formule con cui il pensiero contingentemente le
obiettiva e le esprime e che non sono immutabili. poiché le formule non sono l'effetto di una facoltà manifestativa del vero, bensì di una facoltà categorizzante un dato sempre inconoscibile, l'unione deve farsi in qualche cosa di più profondo della verità, che il Villain chiama il Cristo orante. Ma oltre a quanto dicemmo al § 243, è da osservare che l'orazione di tutti quelli che si richiamano al Cristo è certo un mezzo necessario dell’unione, ma che il pregare insieme per l'unione non costituisce l’unità, che è di fede, di sacramenti e di reggimento.

Il card. Bea riprese un’analoga concezione dell’ecumenismo in «Civiltà Cattolica», gennaio 1961, in conferenze ed in interviste («Corriere del Ticino», 10 marzo 1971). Egli dichiarò che
il movimento non è di ritorno dei separati alla Chiesa Romana e, seguendo la sentenza comune, asserì che i Protestanti non sono staccati del tutto, giacche hanno il carattere del battesimo. Però, citando dalla Mystici corporis di Pio XII che «sono ordinati al mistico corpo» giungeva ad asserire che vi appartengono, e che perciò versano in una situazione di salvezza non diversa da quella dei cattolici (OR, 27 aprile 1962). La causa dell'unione è da lui ricondotta a esplicitazione di un’unità già virtualmente presente, di cui si tratta di prendere coscienza. Questa unità è soltanto virtuale anche nella Chiesa cattolica la quale deve prender coscienza non di se stessa, ma di quella più profonda realtà del Cristo totale che è la sintesi delle sparse membra della cristianità. Non dunque reversione degli uni agli altri, ma conversione di tutti al centro che è il Cristo profondo.

247. L'ecumenismo postconciliare. Paolo VI. Il Segretariato per l'unione.

- Il termine di conversione di tutti sostituito a quello di reversione dei separati ha una parte grande nel decreto Unitatis redintegratio, 6, dove si insegna una perpetua riforma della Chiesa. Ma il termine ha un senso incerto. In primo luogo, se non si indulge al mobilismo, si ha da dire che c'è uno status del cristiano dentro il quale si svolge il suo personale perfezionamento religioso e dal quale egli non ha da far passaggio o convertirsi a un altro stato. In secondo luogo la conversione, ossia il continuo moto perfettivo del cristiano, è necessaria in sé anche all'opera della riunione della Chiesa, ma non ne costituisce l'essenza, essendo un momento del destino personale.

Anche in un intervento nell'OR del 4 dicembre 1963, il Bea, pure riconoscendo la differenza tra le Chiese, asserisce che «i punti che dividono non riguardano veramente le dottrine, ma il modo di esprimerle», poiché tutte le confessioni sottintendono un'identica verità subiacente a tutte: come se la Chiesa si fosse ingannata per secoli e l'errore fosse un equivoco.

L’azione del pastore delle parabole evangeliche consisterebbe non nel ricondurre cioè nel far tornare (¢gage‹n), ma puramente nel lasciare aperte le porte dell'ovile, che non sarebbe poi nemmeno l'ovile del pastore ma un altro.
In una pericope implessa del discorso del 23 gennaio 1969 Paolo VI sembra vicino a tali vedute. «Dalla discussione teologica» dice il Papa «può risultare quale sia l'essenziale patrimonio dottrinale cristiano, quanto sia di esso comunicabile autenticamente e insieme in termini differenti sostanzialmente uguali e complementari, e come sia per tutti possibile e alla
fine vittoriosa la scoperta di quell’identità della fede nella libertà e nella varietà delle sue espressioni dalla quale l'unione possa felicemente essere celebrata». Sembra da questa pericope che l'unità preesista ubique e che si debba prenderne coscienza ubique e che la verità si trovi non già abbandonando, ma approfondendo la sostanza dell'errore.

Non diversa è la posizione di Giovanni Paolo II nel discorso al Sacro Collegio, 23 dicembre 1982 richiamato in occasione della VI Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese: «Celebrando la Redenzione andiamo al di là delle incomprensioni e delle controversie contingenti per ritrovarci nel fondo comune al nostro essere cristiani». A quell’assemblea erano rappresentate trecentoquattro confessioni cristiane, le quali, secondo OR, 25-6 luglio 1983, «hanno espresso nel canto, nella danza, nella preghiera i diversi modi di significare un atteggiamento di rapporto con Dio».

Significativo è il documento in lingua francese del Segretariato per l'unione in applicazione del decreto Unitatis redintegratio (OR, 22-3 settembre 1970). Vi si riprende da LG, 8, la
formula tradizionale: «l’unité de l’Eglise une et unique, unité dont le Christ a doté son Eglise dès l'origine, et qui subsiste, nous le croyons, de façon inamissible dans l'Eglise catholique
et qui, nous espérons, doit s'accroître sans cesse jusqu’à la consommation des siècles».

Qui dunque la Chiesa cattolica possiede l'unità e la accresce non formalmente, cioè diventando più
una, ma materialmente, aggiungendo a se le confessioni presentemente separate: è un'estensione, non un'intensione di unità. Però tutto il documento si svolge poi al contrario in una prospettiva di unità da ricercare, anziché da comunicare, in una reciprocanza di riconoscimenti grazie ai quali si persegue «la résolution des divergences au de là des différences historiques actuelles». Le differenze dogmatiche sono riguardate come differenze storiche, il ritorno alla fede dei primi sette Concili deve farle cadere nell’irrilevanza. Qui è negato implicitamente lo sviluppo omogeneo del dogma dopo quei sette Concili, si imprime alla fede un moto retrogrado e si dà al problema ecumenico una soluzione storica anziché teologica.

Questa mentalità, onde l'unione è da conseguire sinteticamente per ricomposizione di frammenti assiologicamente pari, ha ormai del tutto rimosso la situazione tradizionale. L’appello fatto nella congregazione LXXXIX del Concilio dal vescovo di Strasburgo, affinché «si evitasse ogni espressione che allude al ritorno dei separati», è diventato l'assioma dottrinale e la direttiva pratica del movimento ecumenico.
[…]


Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha forse cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa ?

Risposta:
Il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente.
Proprio questo affermò con estrema chiarezza Giovanni XXIII all’inizio del Concilio1. Paolo VI lo ribadì2 e così si espresse nell’atto di promulgazione della Costituzione Lumen gentium: "E migliore commento sembra non potersi fare che dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo noi pure. Ciò che era, resta. Ciò che la Chiesa per secoli insegnò, noi insegniamo parimenti. Soltanto ciò che era semplicemente vissuto, ora è espresso; ciò che era incerto, è chiarito; ciò che era meditato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena formulazione"3. I Vescovi ripetutamente manifestarono e vollero attuare questa intenzione4.

[Modificato da Caterina63 28/09/2009 18:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)