00 15/12/2008 14:23
e...Compatrona d'Europa


Segnalandovi il thread nel quale abbiamo postato la Dottrina Cattolica di Santa Caterina:
S.Caterina da Siena Dottore della Chiesa

qui procediamo con un racconto molto particolare che ricostruisce la sua vita....e che ricordiamo Liturgicamente il 29 Aprile....

Avevo trovato un bellissimo sito di una persona appassionata alla vita di S.Caterina da Siena....e conservai, grazie al cielo, alcune pagine....
Ora, pur facendo la ricerca con google il sito non risulta più attivo e di questo ne sono veramente triste.... Crying or Very sad
Se l'autore, tuttavia, passano per queste pagine si dovesse riconoscere nel testo che segue, mi contatti e con somma gioia potrò inserire qui il suo link...
Wink

Storie di Caterina

Introduzione: Perché Caterina?

Caterina nacque a Siena il 25 marzo 1348 nella famiglia numerosa del tintore di panni Jacopo Benincasa. L'anno è quello della peste descritta nel Decamerone di Giovanni Boccaccio; il periodo storico quello comunale, ricco di conflitti e di rapidi mutamenti.

Ella visse in una città fiera, prospera senza eccessivi lussi, in cui alcune famiglie, arricchitesi, lottavano per il predominio ed erano spesso rissose anche nel privato e nel quotidiano; altre famiglie, come i Benincasa, avevano raggiunto una certa agiatezza; ma una parte della popolazione continuava a lottare per il pane ed era afflitta spesso da malattie dovute alla malnutrizione ed alla scarsa igiene. La miseria, insomma, era assai diffusa.

Una donna della sua condizione poteva aspirare ad un conveniente matrimonio (come la famiglia aveva progettato per lei), oppure ad una tranquilla sistemazione in un vicino monastero: soluzione, questa, nient'affatto singolare, come invece può apparire ai giorni nostri. Ma Caterina volle essere ricevuta in una pia associazione di vedove, che si appoggiava all'Ordine Domenicano e ne vestiva i colori; e vi fu accettata, lei ancora fanciulla, in via eccezionale.

Se per un certo periodo della sua vita stette ritirata in casa - ancor più di quanto usassero allora le giovani non ancora sposate - per dedicare la giornata alla preghiera, in seguito condusse una vita assai attiva e numerosi furono i suoi viaggi. Nel 1374 andò a Firenze, poi tornò a Siena per assistervi gli ammalati di peste; nel 1375 andò a Pisa; nel 1376 fu a Firenze per riconciliare la città col Papa; di qui ad Avignone, città della Francia dove il Papa risiedeva, e sulla via del ritorno a Tolone, a Varazze, a Genova. Nell'estate del 1377 è in Val d'Orcia per pacificare le famiglie rivali, che ne abitavano i castelli; nel dicembre dello stesso anno a Roma. Nell'estate del 1378 è ancora a Firenze, nel novembre a Roma, nel dicembre a Ostia. Nel 1379 è a Roma, dove morirà il 29 aprile del 1380.

Durante l'epidemia di peste che colpì Siena nel 1374 lavorò senza sosta ad assistere gli ammalati nell'ospedale della Misericordia; e nell'assistenza agli ammalati fu sempre molto attiva.


Intorno a lei si riunì una brigata di giovani che Siena chiamava i caterinati, che si consideravano i suoi figli spirituali e che la chiamavano Mamma. Di essi dirà: "A non piccolo prezzo li ho comperati, poiché per essi io sono separata dal Signore", alludendo alla sua rinunzia ad una vita puramente contemplativa.

Chi vuole leggere una sua biografia può rivolgersi a quella scritta dal suo confessore, fra' Raimondo da Capua, vent'anni dopo la sua morte, oppure a quella di Igino Giordani, datata 1954, o ad altre ancora, adatte a diverse esigenze.

Qui non è dunque il luogo di una biografia, ma piuttosto di brevi storie, tratte dalla biografia di fra' Raimondo e dalle lettere di lei: storie dalle quali la sua figura si sbalza in netto rilievo - non in pietra gotica, ma in romanico umanissimo affresco. Figura semplice e femminile; figura di asceta medievale e di madre per tutti i tempi.

Anche le storie della sua vita sono semplici; anche i fatti che sanno di prodigio ci appaiono, come apparivano a lei, semplici della semplicità di Dio.

Caterina può riempire, per la sua pienezza, i nostri vuoti: metta ella nella nostra vita convulsa, ricca di tutto quanto non è essenziale, il desiderio dell'Unico Necessario, che dette il senso alla sua vita.

Lo Sposo

Per seguire Caterina nell'avventura della sua vita, bisogna comprendere innanzitutto quale molla la spinse a restare e ad andare, a pregare e a viaggiare, a mangiare e a digiunare...

In genere si pensa ad una persona non sposata come a un single, ad un solo. Niente di più lontano dalla realtà di Caterina. Infatti, fin dall'infanzia ella aveva sentito l'attrattiva della persona di Gesù, poi crescendo l'aveva desiderato come sposo; e da innamorata si era dedicata a cercare come potesse piacergli.

Così prese ad imitare i santi, le cui vite si

leggevano la sera, nelle famiglie riunite a veglia: imitò le penitenze dei Padri del deserto, gli eremiti antichi, e le gesta delle sante penitenti...

Era ancora bambina quando si allontanò di casa con una pagnotta sottobraccio, per cercare nella campagna una grotta dove fare l'eremita; la trovò e vi si trattenne a pregare, ma, trascorso il giorno, prese la via del ritorno, così che sua madre pensò che fosse andata a trovare una sorella sposata, cui era molto affezionata...

Un sogno che non tentò mai di attuare, ma che deve essere stato importante per lei, perché da adulta lo confidò ai più intimi, fu quello di andare in terre lontane vestita da uomo, per essere ricevuta tra i monaci e condurre la loro vita, dalle regole severissime.

Ciò che spiega tutto è appunto l'amore di Caterina per Gesù, sposo spirituale, che si faceva cercare e trovare da lei perché non rifiuta nessuno che lo ami, anzi è il primo ad andarne in cerca. Se intendiamo questo intenso amore tra Gesù e Caterina, non ci sembrerà strano il tenore di vita di questa ragazza senese vissuta tanto tempo fa: Gesù e Caterina avendo un cuore solo, ella vive la vita del suo sposo... e tutte le sorprese sono possibili.

Gesù, sua Madre e i Santi vivevano con lei anche sensibilmente, perché la sua sensibilità era tutta volta allo Sposo amato come unico amore.

La storia di questo amore è ricca di episodi, che lei stessa raccontò a fra' Tommaso della Fonte o a fra' Raimondo da Capua.

Spesso Caterina recitava le sue preghiere passeggiando su e giù per la sua stanza con Gesù o con qualcuno dei santi a lei cari: san Giovanni, san Paolo, san Domenico... E accadde che la santa martire Lucia le mostrasse, un 13 dicembre, il gioiello luminosissimo che Gesù le aveva regalato per il suo compleanno; che lavorasse il pane con la Madre di Dio...

Lo Sposo stesso a volte si divertiva a chiederle qualche prova del suo amore, compensandola poi con un nuovo regalo. Ecco un esempio:

Una mattina, mentre Caterina usciva dalla chiesa di san Domenico, le si fece incontro un mendicante che le chiese qualcosa da mettersi addosso.

- Aspetta un pochino qui, carissimo.

Caterina tornò nella cappella dove pregava con le sue compagne e si sfilò dai piedi la tunica di lana senza maniche che portava come sottoveste; poi tornò dal povero e gliela diede.

- Signora, dopo le vesti di lana, non mi dareste anche le vesti di lino?

- Seguimi sino a casa e ti darò ciò che mi domandi.

Dopo la biancheria di lino, il povero chiese ed ebbe le maniche mancanti alla tunica di lana.

- Vi benedica Dio per quanto mi avete dato! Ma vedete, io ho un amico, che è ricoverato in ospedale: non avreste qualcosa anche per lui?

Ma Caterina non poteva prender più nulla da casa - già i suoi fratelli brontolavano per la sua eccessiva generosità - e di suo non aveva che l'abito che portava.

- Perdonami: se mi fosse lecito restar senza la tunica, te la darei volentieri.

- Lo so, che mi daresti volentieri tutto quel che potresti.

E il povero se ne andò.

La notte, mentre pregava, le si mostrò Gesù, tenendo in mano la tunica di lana di cui s'era privata per darla al mendicante; ma ora essa era trapunta di perle.

- Figlia mia, conosci questa tunica?

- Certo che la conosco, ma quando te l'ho data non era così bella.

- Per l'amore con cui me l'hai data, ora trarrò io dal mio corpo una veste per te, come pegno della veste di gloria che ti darò in cielo.

E Gesù trasse dalla ferita del suo petto una veste color del sangue, luminosa, e gliela mise indosso.

Da allora Caterina non sentì più la necessità di portare abiti pesanti, perché quella tunica, invisibile a tutti ma a lei ben sensibile, la riparava dal freddo.

Il pane di Caterina

A Siena vi fu una carestia, durante la quale i senesi si rassegnarono a fare il pane con farina vecchia e ammuffita. Così aveva fatto anche Alessia, amica intima di Caterina. Quando finalmente comparve sul mercato il grano nuovo, Alessia ne comprò quanto poté e disse a Caterina, che considerava la sua mamma in Spirito:

- Mamma, penserei di buttar via quel poco di farina muffita che c'è rimasta nella madia.

- Vorresti buttar via ciò che Dio ha fatto per darci da mangiare? Piuttosto, se non vuoi mangiarne tu, almeno danne ai poveri!

- Mi rimorde la coscienza, mamma, a dare ai poveri ciò che io non voglio mangiare...

- Basta. Prepara l'acqua e dammi la farina, il pane lo faccio io.

Caterina si rimboccò le larghe maniche, raccolse il velo sulle spalle e immerse le mani nella farina.


Alessia e la donna che l'aiutava in cucina rimasero a guardare, meravigliate dalla sveltezza con cui l'impasto veniva lavorato.

Rapida, Caterina porgeva i pani ad Alessia perché li infornasse. E i pani uscirono dal forno soffici e profumati, molto diversi da quelli che s'erano fatti fino allora con quella farina. E tanti, tanti che si riempì la madia.

Giunta l'ora di mettersi a tavola, la numerosa brigata che costituiva la famiglia di Caterina ne mangiò in abbondanza e tutti dichiararono che non avevano mai mangiato un pane così saporito.

- Portatene molto ai frati - raccomandò Caterina - e regalatene in abbondanza ai poveri.

Così fu fatto, e la madia era ancora quasi piena. Alessia, piena di stupore, raccontò l'accaduto a fra' Tommaso della Fonte, che era un fratello adottivo di Caterina e il suo confessore. Appena poté, questi chiamò in disparte Caterina.

- Spiegami com'è andata la faccenda dei pani, per piacere - le chiese. Caterina, arrossendo, gli rispose:

- Padre mio, mi dispiaceva tanto che si buttasse via ciò che il Si­gnore ci ha dato! E poi ho pensato che sono tanti i poveri che hanno fame. Allora sono andata svelta alla cassa della farina e subito mi sono trovata di fronte la mia dolcissima Signora, Maria, che mi incoraggiava a fare ciò che avevo in mente. E fu tanta la sua cortesia e la sua pietà, che subito cominciò a fare il pane con me, e per virtù di quelle sante mani i piccoli pani si moltiplicarono. Lei stessa mi dava i pani via via che li faceva, e io li davo ad Alessia ed alla sua domestica.

- Allora, mamma, nessuna meraviglia - le disse fra' Tommaso - se quel pane è così buono! Lo ha lavorato Colei che ha preparato in se', per noi, il Pane disceso dal Cielo.

Il beato Raimondo da Capua ci racconta questa graziosa storia nella biografia di Caterina che scrisse vent'anni più tardi. E credo che an­che noi possiamo trovarvi qualche insegnamento utile. Intanto, ci ricorda che Dio provvede ai suoi figli con tenerezza paterna, se essi hanno abbastanza fiducia in Lui da permettergli d'intervenire concre­tamente nella loro vita. Poi ci richiama alla generosità: il pane è di Dio, perciò è dei poveri. Si trova sempre qualcosa da dare a chi è più povero di noi. Dio provvede a noi affinché noi provvediamo agli altri. Essere generosi del nostro, semplificando le nostre esigenze per avere di che dare, non è che farci partecipi del desiderio di Dio.



                                      


Il condannato a morte

Caterina venne a sapere che un giovane di Perugia, Niccolò di Tuldo, era stato condannato a morte ed era disperato, in prigione. Solo, straniero; per la giustizia del tempo, impossibile ogni difesa. Non ci voleva di più perché ella desiderasse di andarlo a trovare, per condurlo per mano fino alla soglia della vita durabile.

Non sappiamo come e quando si incontrarono, ma certamente il cuore materno di Caterina si aprì per il ragazzo condannato, perché egli ne traesse forza.

- Quando mi uccideranno, tu aspettami sul luogo dell'esecuzione, non abbandonarmi. - le diceva il ragazzo tenendo la testa sulla sua spalla.

Caterina stessa scrisse a fra' Raimondo, in una lettera, una relazione fedele di quanto avvenne la mattina dell'esecuzione capitale.

Quel mattino, Caterina andò alla prigione prima dell'alba e parlò con Niccolò. Lo condusse a Messa ed egli ricevette la Comunione dopo tanto tempo...

- Resta con me e io avrò coraggio di morire bene...

Caterina era piena di gioia perché conduceva a Gesù quella creatura rasserenata; e come avrebbe voluto accompagnarlo fino alla casa dello Sposo!

- Coraggio, fratello mio dolce, ché presto giungeremo al luogo delle nozze! Io ti aspetterò là.

Dalla prigione Caterina si affrettò a raggiungere quello che Niccolò aveva chiamato il luogo santo della giustizia; e lì pregò intensamente Maria perché gli desse luce e pace, così che lei potesse vederlo tornare al Padre.

Giunse il giovane e Caterina prese tra le mani la testa di lui e la distese sul ceppo, dopo averlo benedetto col segno della croce.

- Giù, alle nozze, fratello mio dolce!

La testa di Niccolò, recisa dal boia, le rimase in mano ed ella fu tutta bagnata del suo sangue. Alzò lo sguardo verso il cielo, come a cercare il suo spirito, e lo vide: nella ferita del petto di Gesù il sangue di Niccolò si confuse con quello del Salvatore, e poi egli stesso vi entrò, non prima di essersi voltato a salutarla, come una sposa che saluta e ringrazia il corteo che l'ha accompagnata a casa dello sposo.

A lungo Caterina non volle levarsi di dosso quel sangue, che aveva visto unirsi al Sangue di Gesù. A fra' Raimondo dirà:

- Rimasi sulla terra con grandissima invidia.


                           
La camera di Santa Caterina da Siena, che é stata trasportata alla Basilica di Santa Maria Sopra Minerva.

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Il Libro

Si dice che Caterina, come molte donne del suo tempo, non imparasse mai a leggere e a scrivere; ma che gliel'insegnassero gli Angeli affinché potesse leggere l'Ufficio Divino (noi diremmo la Liturgia delle Ore). Narra fra' Raimondo che, se le si chiedeva di leggere più adagio, o di sillabare, s'inceppava.

Ciò non ha impedito a questa donna sorprendente di lasciarci molte lettere, una raccolta di preghiere e, soprattutto, Il Libro. Così si designa spesso, senz'altre specificazioni, la sua opera più importante, il cui titolo in realtà è Dialogo della Divina Provvidenza.


Secondo l'uso di tutta l'età antica e del medioevo, Caterina non scrive, ma detta le sue lettere; i segretari sono, di volta in volta, Stefano, Barduccio, Alessia, Giovanna... E spesso essi scrivono anche mentre la mamma prega ad alta voce: nascono così le preghiere che l'editore noterà dettate in astrazione dalla beata vergine senese.

Un bel giorno ella raccomanda che essi scrivano tutto quello che dirà nella preghiera; così nasce questo Libro, nel più puro stile cateriniano: Caterina non è che una voce orante che si fa via alla premura del Padre per le sue creature. Infatti esso si presenta esattamente come un dialogo tra il Padre e la carissima figliola che ascolta e risponde e ancora domanda, definendo se stessa un'anima assetata dell'onore di Dio e salute dell'anime. Le domande della figliola danno modo al Padre di effondere in lei il suo Cuore, confidandole i suoi segreti che solo chi l'ama può comprendere. Un teologo dirà che l'opera risponde al sistema filosofico e teologico creato da san Tommaso d'Aquino; ma la dottrina che vi scorre è semplice, sgorga spontaneamente dal dialogo tra Padre e figlia.

Perché spesso i grandi peccatori hanno una vita lunga e prospera, nonostante si beffino di Dio? Perché, risponde il Padre, essi avranno per la loro malvagità la pena eterna; ma anche nella loro disgraziata vita c'è qualche brandello di bene, poiché soltanto le scelte del demonio sono integralmente cattive; e dato che il Padre non potrà compensare questo poco bene con la vita eterna, dà loro, per la sua infinita giustizia, quel tanto di felicità che possono godere in terra. È dunque oggetto di compassione un uomo cattivo e felice, giacché lo aspetta una misera fine!

Perché abbiamo dei doveri verso gli altri uomini? Perché al Padre, che ci ama fino a darci la vita, nulla possiamo restituire, essendo Egli la fonte di ogni pienezza: dunque, il bene che Egli ci dà in dono, e che perciò dobbiamo a lui per debito, dobbiamo restituirlo in dono ai fratelli, i quali come noi ne hanno bisogno.

Ecco qualche assaggio della dottrina per la quale Caterina è un Dottore della Chiesa: pietre preziose incastonate in un cammino d'oro percorrendo il quale la figliola impara a procedere fino a rifugiarsi nella bottiga aperta del costato di Cristo, dove si compra e si vende senza denari il Sangue preziosissimo. Caterina ha un'immaginazione vivissima e originalissima, procede da un'immagine all'altra più che da un'idea all'altra. Ella si vede vestita di quel Sangue, ne beve, se ne fa bagno; quel Sangue è come fuoco, e Caterina dice di se stessa: "la mia natura è fuoco".

Il Libro è il viaggio di Caterina, attraverso il Figlio, verso il Cuore del Padre; viaggio che ella ha voluto condividere, dettando le parole della sua preghiera estatica, con i figlioli che Dio le dava nella sua vita terrena e con quanti, nella Chiesa, ascoltano la sua voce.


Non è più tempo di dormire!

Durante l'epidemia di peste bubbonica del 1374, Caterina e la sua famiglia si impegnarono a fondo nella cura dei malati: il centro della loro attività era lo Spedale di Santa Maria della Misericordia.

Questa istituzione - che ospitava in tempi normali i pellegrini (cioè i viaggiatori), i poveri, i malati senz'altra assistenza e tutti quelli che si trovassero soli e bisognosi di un punto d'appoggio - era stata creata da un mercante agiato, messer Matteo Cenni, il quale, rimasto vedovo in età ancor giovanile, dopo aver fatto una posizione a ciascuno dei figli, aveva deciso di dedicare a Dio e al suo prossimo se stesso e i suoi beni. Perciò aveva edificato lo Spedale e lo dirigeva, guadagnandosi grande stima tra i suoi concittadini. Conosciuta Caterina, era diventato un caterinato;cosicché in quell'anno sciagurato egli e lo Spedale furono il punto di riferimento di tutta


la famiglia cateriniana nell'opera rischiosa di assistenza agli appestati. Il contagio non risparmiava nessuno e spesso il male faceva vittime anche tra i soccorritori. Un mattino lo stesso ser Matteo si svegliò con tutti i sintomi della peste: tumefazione dolorosissima all'inguine, febbre sempre più alta, forte dolore alla testa... c'era poco da sbagliarsi. Fra' Raimondo, giunto come sempre allo Spedale di primo mattino, lo confessò, poi gli chiese come si sentisse.

- Ho un dolore all'inguine, come se mi si dovesse staccare il femore, e la testa mi si spacca in quattro...

Fra' Raimondo fece portare un campione d'urina a un bravo medico, chiamato mastro Senso, che confermò tutti i timori:

- Stanotte possiamo provare a dargli l'erba senna per purificare il sangue, ma il male è troppo grave: non fatevi illusioni.

Quando Caterina seppe la nuova disgrazia, si precipitò allo Spedale: aveva l'aria d'essere in collera con la peste che colpiva un uomo tanto generoso e tanto necessario in quel momento difficile. Prima ancora di entrare nella stanza dove ser Matteo, in preda a una febbre altissima, non era più in grado di parlare e non riconosceva alcuno, Caterina gli gridò:

- Levatevi, messer Matteo; ché non son questi i tempi, da riposar nel morbido del letto!

Da figlio obbediente, ser Matteo si levò: erano scomparsi il dolore e la tumefazione all'inguine, era scomparsa la febbre. Seduto sul letto, discorreva dell'avvenuta guarigione con chi finora lo aveva assistito morente.

Caterina, compiuta l'opera, fuggì via, ma sulle scale incrociò fra' Raimondo indaffarato e addolorato.

- E tu, mamma, permetterai che un uomo tanto buono e tanto utile se ne muoia?

- Son codeste parole da dirmi, padre mio? Son forse io Dio, da poter strappare i mortali dalla morte?

- Coteste parole dille a chi tu vuoi, non a me, che conosco i tuoi segreti, e so che ciò che chiedi, Dio te lo concede!

E Caterina sorridendo:

- State di buon animo, via, ché per questa volta egli non morrà.

Fra' Raimondo tornò al lavoro. Giunta l'ora di pranzo, non fu neppure troppo stupito di vedere ser Matteo mangiare alla tavola comune, con il robusto appetito di un sano, un bel minestrone di ceci con le cipolle.

Come la chiamereste? Una guarigione di lavoro?

Caterina, donna antica e moderna, dottore della Chiesa, madre affettuosa e severo asceta medievale...

Nel dichiarare Dottore della Chiesa Teresa di Lisieux, Giovanni Paolo II ha citato le parole che Paolo VI aveva dedicato a Caterina:

"Possiamo applicare a Teresa di Lisieux quanto ebbe a dire il mio Predecessore Paolo VI di un'altra giovane santa, Dottore della Chiesa, Caterina da Siena: «Ciò che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda e inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede [...]: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito Santo»" (dalla Lettera Apostolica Divini Amoris Scientia - AAS 62 (1970) p. 675).



Due sante sorelle, dunque, assai lontane nei secoli ma unite dall'infinito desiderio di Dio.

Wink

Un grazie all'autore che spero possa in qualche modo ritrovare questo suo lavoro prezioso e appassionato...


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)