00 26/11/2010 19:39
Il discorso del cardinale arcivescovo di Chicago all'assemblea plenaria dei vescovi

Gli Stati Uniti
e la voce della Chiesa


Dal 15 al 18 novembre si è svolta a Baltimore, nel Maryland, l'assemblea generale della United States Conference of Catholic Bishops (Usccb). Pubblichiamo di seguito ampi stralci del discorso presidenziale pronunciato dal cardinale arcivescovo di Chicago, che con questa assemblea ha concluso il suo mandato alla guida dell'organismo episcopale.


di Francis Eugene George

Con l'elezione del primo afro-americano alla presidenza di questo Paese, si è prodotto un cambiamento culturale, che, indipendentemente dalle simpatie politiche, si può accogliere soltanto come un evento di importanza storica e tale è stato considerato da noi e dal resto del mondo. Tuttavia, la nostra nazione continua ad affrontare il problema dell'accoglienza di nuove persone che attraversano i confini alla ricerca di una vita migliore, anche se questa vita migliore per i nostri cittadini è minacciata dal declino economico.

Nel corso di questi anni, le divisioni sociali e politiche nel nostro Paese hanno rappresentato delle sfide per la nostra vocazione a mantenere il popolo cattolico unito in maniera visibile intorno a Cristo, nel suo Corpo, che è la Chiesa. Abbiamo riorganizzato la nostra Conferenza episcopale per affrontare in maniera più efficace le sfide della missione della Chiesa e per essere più utili alle nostre comunità locali, in particolare nel trovare i mezzi per trasmettere la fede ai giovani attraverso una pratica sacramentale regolare e per rafforzare e difendere l'istituzione del matrimonio. Quest'anno, inoltre, abbiamo accolto le modifiche al Diritto canonico sull'abuso sessuale di minori da parte di sacerdoti e diaconi. Alcune di queste disposizioni riflettono o rafforzano aspetti delle norme essenziali che abbiamo chiesto alla Santa Sede di poter utilizzare otto anni fa per governare la Chiesa negli Stati Uniti.

Il rinnovamento dell'ufficio episcopale nella Chiesa, la maggiore unità di intenti e i risultati nell'insegnamento e nel governo sono stati disconosciuti da alcuni che avrebbero voluto o rifare la Chiesa secondo i loro piani o screditarne la voce nei dibattiti pubblici. Nel corso di quest'ultimo anno, la Usccb ha partecipato al dibattito sulla legge relativa all'assistenza sanitaria. Abbiamo detto la stessa cosa che i vescovi dicono da cento anni in questo Paese:  in una buona società, tutti dovrebbero essere assistiti, in particolare i poveri.
 
L'obiettivo dell'assistenza sanitaria di base per tutti continua a essere un imperativo morale, non ancora del tutto soddisfatto, ma non spetta ora e non è mai spettato finora ai vescovi stabilire gli strumenti per raggiungere tale obiettivo. Siamo entrati in modo molto cauto nei dettagli della politica pubblica perché quest'ultima è più propriamente compito dei laici. L'assistenza sanitaria universale può essere fornita in numerosi modi:  finanziando tutto pubblicamente, finanziando tutto privatamente oppure utilizzando un sistema misto. Qualsiasi soluzione potrebbe essere etica e spetta ai laici decidere quali sono i mezzi migliori per far sì che tutti siano assistiti.

Tuttavia, una volta che i responsabili politici e gli esperti di sanità hanno deciso di utilizzare assicurazioni sovvenzionate dal Governo quale veicolo, ovvero strumento, per offrire un'assistenza sanitaria più universale, abbiamo avuto l'obbligo morale, in quanto maestri di fede, di giudicare se gli strumenti superavano l'esame morale, se la legislazione proposta utilizzava fondi pubblici per uccidere quanti sono nel ventre materno. In maniera coerente, e sempre più insistente da quando il peccato, nonché crimine, dell'interruzione di gravidanza è stato legalizzato negli Stati Uniti, abbiamo detto le stesse cose sostenute dai vescovi della Chiesa cattolica fin da quando i primi cristiani condannarono le pratiche abortive degli antichi romani. L'atto è immorale e anche le leggi che hanno permesso l'omicidio di ormai più di cinquanta milioni di bambini nel ventre materno nel nostro Paese sono immorali e ingiuste. Sono leggi che distruggono la nostra società.

Come sapete, nel recente dibattito pubblico, vengono affrontate tre questioni basilari. La prima è empirica:  la legislazione attuale permette il finanziamento dell'interruzione di gravidanza al di là delle restrizioni imposte dall'emendamento Hyde, ovvero da quella testimonianza di un politico cattolico dell'Illinois che ha vietato l'uso dei fondi pubblici per sovvenzionare nella quasi totalità dei casi gli aborti e i programmi extra-assicurativi relativi?

Si tratta di una legislazione che, per voto, prima in Senato e poi nella Camera dei rappresentanti, ha esplicitamente rimosso le restrizioni dell'emendamento Hyde. I laici che hanno esaminato con attenzione i contenuti della legislazione nel modo contorto in cui era stata redatta, hanno sollevato noi vescovi dal dare i necessari giudizi morali. Secondo alcuni la legislazione è complicata e non dovremmo pretendere di giudicarla. Mi perdonerete per quanto sto per dire, ma questo implica che nessuno può capirla né giudicarne le parti complicate, nel qual caso è immorale agire fino a quando non si sarà raggiunta una chiarezza sufficiente, oppure vuole dire che solo i vescovi sono troppo stupidi per capire le parti complicate della legislazione! In effetti, gli sviluppi che hanno seguito l'approvazione della legislazione hanno posto la questione pratica:  la nostra analisi su quanto affermato dalla legge era giusta e i nostri giudizi morali sono certi e corretti. In questo dibattito pubblico i vescovi hanno mantenuto intatta l'integrità morale e intellettuale della fede e ringrazio a vostro nome quanti ci hanno aiutato a svolgere il nostro dovere di maestri morali nella Chiesa.

La seconda questione è di natura ecclesiologica:  chi parla per la Chiesa cattolica? Noi vescovi non ci facciamo delle illusioni sul fatto di parlare per chiunque si consideri cattolico. Parliamo per la fede apostolica e quanti la sostengono si uniscono. Dobbiamo ascoltare il sensus fidei, il senso della fede stessa nella vita del nostro popolo, ma ciò è diverso dalle tendenze intellettuali e dall'opinione pubblica. La fede ha i suoi motivi nelle Scritture e nella tradizione, che consultiamo. Ascoltiamo le voci apostoliche di quanti ci hanno preceduto con la stessa attenzione con cui dobbiamo ascoltare coloro che il Signore ha affidato alla nostra custodia oggi, mentre lottano per la propria salvezza nelle sfide contemporanee.
 
I vescovi in comunione apostolica e in unione con il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, parlano per la Chiesa a proposito di fede, di questioni morali e di leggi a esse relative. Tutto il resto è un'opinione, spesso sensata e importante, che merita un ascolto attento e rispettoso, ma che resta pur sempre un'opinione.

La terza questione è anch'essa pratica:  in che modo i fedeli cattolici dovrebbero affrontare questioni politiche che sono anche morali?

Il dibattito ha chiarito, almeno a me, che, a un certo punto, ci sono stati alcuni che sono partiti dalla fede con la sua integrità e con tutte le sue esigenze e hanno operato scelte politiche nel contesto della pienezza dell'insegnamento della Chiesa, mentre ci sono stati altri per i quali una scelta politica, sia pure con fini buoni, è stata prioritaria e hanno giudicato la Chiesa utile secondo la sua capacità di fornire o meno militanti per il loro impegno politico, sia di destra sia di sinistra. Per troppe persone, la politica è l'orizzonte definitivo del proprio pensiero e della propria azione. Come sappiamo, la fedeltà a Cristo nel suo Corpo, ovvero la Chiesa, pretende due requisiti da quanti si definiscono suoi discepoli:  ortodossia nel credo e obbedienza nella pratica. Nel 1990, l'allora cardinale Joseph Ratzinger citò il beato cardinale John Henry Newman secondo il quale "il dovere e l'opera di un cristiano constano di questi due elementi, fede e obbedienza; "vedere Gesù" (Ebrei 2, 9) e agire secondo la sua volontà".

L'ortodossia è necessaria, ma non sufficiente:  il diavolo è ortodosso. Egli conosce il catechismo meglio di chiunque altro nel suo ambiente, ma non lo serve, non obbedisce. Possono esserci degli errori nel nostro pensiero, ma non può esserci alcuna ipocrisia nella nostra volontà, perché è il peccato contro lo Spirito Santo. Non dovremmo temere l'isolamento politico. Spesso la Chiesa è rimasta isolata nella politica e nella diplomazia. Dobbiamo preoccuparci molto, però, della ferita inferta all'unità della Chiesa in questo dibattito e spero, confidando nella buona volontà di tutti gli interessati, che si possano trovare gli strumenti per riparare la veste  scucita  della  comunione  ecclesiale.

Cari fratelli, il dibattito pubblico nella Chiesa, che Cristo ci ha chiamato a governare, proseguirà, anche se lottiamo per tenere tutti in Cristo con l'autorità che ci deriva da Lui. Le tensioni, sebbene aspre, non sono del tutto nuove, nemmeno nella storia della Chiesa negli Stati Uniti. Forse viviamo in un momento in cui, alla fine, Dorothy Day incontra John Courtney Murray. Hanno portato voci cattoliche diverse nel dibattito politico.
 
In quanto a noi vescovi, parliamo nel miglior modo possibile, a partire dalle nostre debolezze e dai nostri peccati, ma parliamo, grazie alla guida invisibile dello Spirito Santo e alle strutture visibili della Chiesa, con la voce di Cristo, che ascolta le grida dei poveri. La voce di Cristo parla sempre a partire dalla sollecitudine costante per il dono della vita umana, una sollecitudine che giudica tutta la serie ininterrotta della manipolazione tecnologica della vita, dal ricorso alla contraccezione artificiale alla distruzione di embrioni umani, dal concepimento artificiale di esseri umani in provetta alla tracciatura di un profilo genetico e all'uccisione di bambini indesiderati attraverso l'interruzione di gravidanza.

Se ai poveri verrà permesso di nascere, allora la voce di Cristo continuerà a parlare ai senzatetto e ai disoccupati, agli affamati e ai nudi, agli analfabeti, ai migranti, ai detenuti, ai malati e ai moribondi.

Il nostro ministero è coerente come sono coerenti le preoccupazioni di Gesù Cristo. Egli è a fianco dei poveri. Ognuno di noi, a suo modo, parla con la voce di Cristo e ognuno di noi governa una Chiesa particolare che vive con i poveri, che sono i primi cittadini del Regno di Dio. La nostra è un'etica coerente basata sulle preoccupazioni di Cristo per tutto il suo popolo, in particolare per i poveri.

Infine, permettetemi di dire che siamo ordinati vescovi con un titolo particolare, ma anche per la sollecitudine di tutte le Chiese, non sono solo per i poveri del nostro Paese che rivolgono a noi le loro grida. Non siamo una Chiesa nazionale. Ci rifiutiamo di essere trasformati in una denominazione meramente americana. Per questo motivo, non posso andarmene né lasciarvi oggi senza parlare delle nostre sorelle e dei nostri fratelli cattolici in Iraq.

Dalla conquista di Baghdad in poi è stato evidente a tutti coloro di buona volontà che, sebbene siano i gruppi musulmani a essere in conflitto gli uni con gli altri, sono soltanto i cristiani a non avere avuto protezione dopo l'invasione americana dell'Iraq. Alla fine dello scorso mese, il giorno prima della solennità di Ognissanti, nella città di Baghdad, presso la cattedrale siro cattolica Our Lady of Deliverance, cattolici sono stati uccisi a decine mentre partecipavano alla Messa. Due erano sacerdoti:  uno è stato ucciso sull'altare e l'altro mentre usciva dal confessionale. Nella morte sono uniti a centinaia di altri che sono morti per la propria fede in Cristo da quando è cominciato il conflitto attuale.
 
Una suora domenicana americana, amica di amici, ha scritto da lì:  "Ondate di dolore hanno investito il mondo, sollevandosi dalle faglie create nella società irachena a seguito delle migliaia di profughi della minoranza cristiana in Iraq, che sono stato costretti a fuggire da ciò che sta divenendo in maniera evidente una minaccia sempre più grave di genocidio... Un cronista ha chiesto a un sopravvissuto di dire qualcosa ai terroristi. Fra le lacrime ha risposto "Vi perdoniamo...". Fra le vittime di questa tragedia insensata c'è Adam, un bambino. A tre anni ha assistito all'orrore di decine di morti, compresa quella dei suoi genitori. Ha vagato in mezzo ai corpi e al sangue, seguendo i terroristi e ammonendoli:  "basta, basta, basta". Secondo i testimoni, ha continuato per due ore fino a quando non è stato ucciso anche lui". In quanto vescovi, in quanto americani, non possiamo trascurare l'accaduto né permettere al mondo di sottovalutarlo.

Cari fratelli, tutti noi abbiamo vissuto sfide e anche tragedie che, a volte, ci fanno venir voglia di dire "basta". Tutti i nostri sforzi, però, la nostra opera, i nostri fallimenti e il nostro senso di responsabilità impallidiscono di fronte al martirio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in Iraq e alla persecuzione attiva dei cattolici in altre parti del Medio Oriente, in India e in Pakistan, in Cina e in Vietnam, in Sudan e nei Paesi africani dove c'è il conflitto civile. Ricordando sempre i loro volti, stiamo al cospetto del Signore, collettivamente responsabili di tutti coloro per la cui salvezza Gesù Cristo è morto. Questo è più che sufficiente a definirci vescovi e a tenerci uniti nella missione. Che in questi giorni il Signore ci doni discernimento sufficiente per vedere quel che vede Lui e forza sufficiente per agire come vorrebbe che agissimo! Ciò sarà abbastanza.


(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)