00 25/06/2009 07:48
Dante poeta teologo

L'umiltà dello storico
secondo Cacciaguida


di Davide Luglio
Université Paris-Sorbonne

In una nota del suo saggio Dante e Beatrice, Étienne Gilson confessava di aver sempre vagheggiato una certa "idea" della Divina Commedia:  che la forma "ideale" della teologia non si sia realizzata unicamente nelle opere formalmente teologiche, come in Tommaso d'Aquino, ma anche nella poesia, corrispettivo artistico e letterario di cui Dante ci ha fornito il migliore esempio.

Eppure quel che contraddistingue Dante, scrive Gilson, "è di aver scritto un immenso poema la cui materia è costituita di idee, ma che tuttavia non è affatto un poema didattico (...) in esso il bello non consiste nello splendore del vero, come nella Summa theologiae. La verità ne costituisce piuttosto la materia e la sua trasposizione poetica ha per risultato la bellezza. Se non erro, è questa appassionata sensibilità alla bellezza del vero (scientifico, filosofico e teologico) che contraddistingue Dante.

E sembra proprio che il suo caso sia unico, almeno nella tradizione letteraria occidentale, in cui il vero prevale sul bello, come deve essere, ovunque, tranne in poesia". Il punto di vista espresso qui da Gilson ricorda quello del teologo belga Jean Leclercq, autore del celebre L'amour des lettres et le désir de Dieu, che insisteva sull'unità di una teologia fatta non solo di dialettica, ma anche di altre forme o stili di esplorazione dei dogmi della fede cristiana, come la teologia monastica basata sulle lettere e l'interpretazione della letteratura di ispirazione religiosa. È nella linea tracciata da queste considerazioni teologiche che si situa lo studio che un altro autorevole studioso francese ha dedicato a Dante in una sua recente pubblicazione in italiano (François Livi, Dante e la teologia. L'immagine poetica nella "Divina Commedia" come interpretazione del dogma, Roma, Leonardo da Vinci, 2008, pagine 250, euro 20).

Facendo in qualche modo propria l'"idea" di Étienne Gilson, François Livi prospetta l'ipotesi di un Dante theologus nel senso forte del termine, il cui poema sarebbe il risultato di un costante confronto ermeneutico con i dogmi della fede cristiana. La teologia, spiega Antonio Livi nell'introduzione epistemologica del saggio, formula delle ipotesi di interpretazione del dogma.

Ma che si tratti di concetti, di norme o di immagini, tutto mira a rendere più comprensibile il mistero del dogma, che per definizione permane un mistero soprannaturale. Tanto inesauribile quanto è inintellegibile il dogma che ne costituisce l'oggetto, la riflessione teologica rappresenta quindi un lavoro ermeneutico che ha per scopo di accostare la nostra esperienza naturale al mistero del dogma e che, nel perseguire questo fine, può scegliere la via della creazione artistica. In questo caso, senza sovrapporsi ai dati della fede, la creazione poetica può, al contrario, divenire historia salutis quando il suo confronto ermeneutico con il dogma si inserisce pienamente nel contesto della rivelazione e ha per fine la contemplazione stessa del mistero della parola rivelata.

In altri termini, se la teologia è intellectus fidei, ciò non toglie che essa sia anche affectus e pulchritudo fidei, che essa sia, come scrive Antonio Livi, "un modo di "vivere" e far "vivere" la fede da parte della cultura di ogni tempo e di ogni luogo, con risultati che talvolta hanno il valore e la funzione di ricchezze di fede per molti secoli e per tanti luoghi diversi - così è infatti per un Agostino e un Tommaso, ma anche, per quanto adesso ci riguarda, un Dante Alighieri".

Questi chiarimenti sulla natura della teologia in quanto ipotesi di interpretazione del dogma costituiscono una premessa indispensabile per cogliere la portata dello studio proposto da François Livi. Da tempo è assodato che Dante rivendica per la poesia un valore filosofico che la dottrina scolastica le rifiutava decisamente. È sulla base della convinzione tomistica e più ampiamente scolastica che la poesia sia infima inter omnes doctrinas, che il domenicano Guido Vernani da Rimini, nel 1329, accusa Dante di essere "un poeta-visionario e un sofista chiacchierone che con le sue immagini fraudolente, distoglie il lettore dalla vera salvezza".

La critica scolastica sembra aver influito a lungo, in modo più o meno occulto, sulla ricezione del poema. La diffidenza nei confronti delle immagini utilizzate dai poeti - poeta utitur metaphoris propter repraesentationem (...) sed sacra doctrina utitur metaphoris propter necessitatem et utilitatem, ricorda san Tommaso nella Summa - sembra infatti all'origine delle letture dualistiche della Divina Commedia che tendono a opporre - come si opporrebbero poesia e filosofia - le parti "poetiche" del poema alle sue trattazioni dottrinali.

Al contrario, è proprio la comprensione esatta della dimensione teologica delle immagini poetiche che ci consente di cogliere il senso dell'operazione ideologica compiuta da Dante e destinata, in accordo con la linea perseguita da protoumanisti come Albertino Mussato, a gettare le basi dell'umanesimo rinascimentale. Così, quando Dante, come poi Petrarca, oppone la poesia alla scolastica, lo fa rivendicando per la poesia un ruolo nella conoscenza filosofica - innanzi tutto metafisica e quindi teologica - in perfetto antagonismo con le posizioni della scolastica che limitava l'acquisizione di questa conoscenza al solo sviluppo logico dei concetti. La prospettiva adottata da François Livi, che sceglie di accostarsi alla Divina Commedia dal punto di vista dell'ermeneutica teologica, chiarisce senza alcun dubbio questo aspetto del dibattito ideologico nel quale si inserisce Dante.

L'architettura teologica del poema, il percorso attraverso i tre "regni" escatologici immaginati nella Divina Commedia, scrive l'autore, "non è un gioco letterario a tavolino o un espediente retorico per dare sfogo ai suoi desideri di rivalsa politica. La complessa impalcatura del poema è funzionale alla missione profetica di Dante, al suo messaggio di salvezza individuale e collettiva".

Senza pretendere all'esaustività nel trattare una problematica tanto vasta quanto quella del rapporto tra verità dogmatica e creazione poetica nel poema di Dante, François Livi procede a una serie di "sondaggi" particolarmente significativi. L'analisi del dogma escatologico attraverso le immagini della Divina Commedia apre questo percorso, iniziando col ricordare le premesse del dogma stesso, dalla caduta che ha seguito il peccato originale all'incarnazione del Verbo - che eleva la natura umana alla dignità della natura divina aprendo all'uomo la possibilità di accedere alla beatifica visione - fino alla parusia.

In questo capitolo introduttivo, estremamente denso, l'autore mette quindi in evidenza i fondamenti dogmatici dell'architettura dantesca, sottolineando nel contempo l'originalità della sintesi di elementi filosofici, ideologici e giuridici operata dal poeta nell'atto di definire la "topografia morale" dei tre regni dell'aldilà. Al dogma del Purgatorio è dedicato il secondo capitolo, di grande interesse giacché sottolinea l'importanza dell'interpretazione del dogma in vista di una corretta ricostituzione degli elementi che compongono l'architettura dantesca.

Come sappiamo, infatti, le sacre Scritture non propongono un insegnamento preciso ed esplicito riguardo alla realtà del Purgatorio, mentre tali riferimenti esistono per quanto riguarda il Paradiso e l'Inferno. Per cominciare, François Livi ricorda che l'Antico e il Nuovo Testamento contengono attestazioni della necessità di un'"espiazione temporanea" e riferimenti a colpe che non implicano una punizione eterna, ma richiedono un tempo di purificazione dopo il giudizio particolare che precede la parusia.

Egli passa in seguito all'esame delle numerose testimonianze offerte dalla tradizione attraverso la liturgia, l'epigrafia, la letteratura patristica greca e latina. Queste presentano "un materiale abbondantissimo che è impossibile ignorare. Numerosi concili dei primi secoli forniscono indicazioni pratiche sulle messe che possono essere celebrate per i defunti. Dall'epoca apostolica in poi, l'efficacia dei suffragi per i defunti è considerata unanimemente (...) come un dogma".

Luogo della purificazione, il Purgatorio offre anche l'occasione di un'analisi del significato del "contrappasso" e della drammatizzazione delle pene subite dalle anime penitenti che, per gli stessi peccati o per peccati simili, differiscono da quelle subite dalle anime condannate all'inferno.

Ma, come è noto, nella Divina Commedia l'itinerario purificatorio del pellegrino "è indissociabile da un preciso compito profetico:  il poeta non dovrà inventare, bensì riferire, nei limiti consentiti dalla parola umana, la sua eccezionale esperienza (...) Dante è allora investito di una missione profetica più complessa ed esplicita:  in quanto unico destinatario della visione, deve riferire un messaggio simbolico che denuncia la degenerazione attuale della Chiesa, messaggio interpretato dall'esegesi che Beatrice ne fa al poeta, annunciando nel contempo la volontà divina di ristabilire la giustizia nella società civile e religiosa".

L'ultimo capitolo è dedicato ad alcuni percorsi attraverso l'eccezionale ricchezza teologica e poetica del Paradiso. I canti xiv-xx danno luogo a uno studio che prende in considerazione problemi teologici di primaria importanza come la resurrezione dei corpi, la prescienza divina, la giustizia divina e la salvezza dei pagani. A proposito della resurrezione finale, la poesia offre a Dante la possibilità di avanzare ipotesi particolarmente suggestive riguardo allo splendore del corpo glorioso. Quanto al problema della prescientia divina, messo in evidenza dalle predizioni di Cacciaguida, la finzione poetica permette di accogliere come verità compiute delle teorie o dottrine che il poeta fa sue o considera plausibili.
 
L'assenza di una soluzione definitiva rende conto di una realtà teologica che Cacciaguida spiega al suo discendente, vale a dire "l'atteggiamento di umiltà intellettuale e di rispetto con il quale ogni creatura - il suo discendente al pari dei beati - deve accostarsi a realtà che trascendono le possibilità di comprensione dell'intelligenza umana (...) è proprio la proclamazione di questo mistero a determinare la luce soprannaturale che, proiettata sui funesti eventi annunciati da Cacciaguida e sulla sua impietosa analisi dei mali della società, non li rende per questo più "comprensibili", ma conferisce loro un nuovo significato inserendoli in una teologia della storia".




(©L'Osservatore Romano - 25 giugno 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)