00 22/07/2009 22:50
Col fissare la sua sede a Roma, Pietro collega il primato sulla Chiesa universale al pontificato romano.


1. Nella prospettiva cattolica, Pietro, quando arriva a Roma, è, per la promessa irrevocata e onnipotente del suo Signore, il fondamento che ha per destinazione di sostenere la Chiesa contro gli assalti dell'inferno, l'intendente del Regno dei cieli, il pastore visibile, in assenza di Cristo, dei suoi agnelli e delle sue pecore, in breve il vicario di Cristo sopra la Chiesa, il depositario di un pontificato transapostolico sulla Chiesa universale.

Quando perciò viene a Roma per fissarvi non solo il suo luogo (locus), ma la sua sede (sedes) -o la sua cattedra (cattedra)-, come Giacomo aveva fissato la propria a Gerusalemme, il pontificato romano e il pontificato transapostolico universale di cui egli è portatore non si sovrapporranno in lui, non vi saranno nella persona di Pietro due pontificati in atto, ma solo in potenza, perché il pontificato romano sarà riassorbito nel pontificato transapostolico universale, in modo che lo stesso pontefice sarà d'ora in poi, in virtù di uno stesso pontificato, pontefice romano e pontefice universale.

2. Se è dato di rivelazione che la Chiesa fino alla fine del mondo deve riposare attualmente, strutturalmente, verticalmente sul fondamento che è Pietro e sulla serie dei suoi successori -dal momento che il fondamento deve durare quanto l'edifìcio-, è anche rivelato implicitamente che Pietro, per un privilegio eccezionale che doveva estinguersi alla sua morte, poteva determinare le condizioni che avrebbero reso riconoscibile la catena dei suoi successori. Collegando indissolubilmente il pontificato romano e il pontificato universale Pietro indicava alla Chiesa futura, mediante un criterio d'individuazione ben preciso, dove si sarebbe trovata la serie dei suoi successori. Questa fusione dei due pontificati, questo riassorbimento del primo nel secondo appare come un fatto dogmatico.



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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.47

3. Teniamo presente che altra cosa è la residenza, altra la sede. La residenza può essere trasportata altrove, come lo fu ad Avignone. Ma il papa resta vescovo di Roma. E se Roma fosse distrutta, i successori di Pietro resterebbero di diritto vescovi di Roma, cessando di esserlo di fatto per il solo motivo che Roma, o la chiesa di Roma, avrebbero cessato di esistere.

b) L' insegnamento del Concilio Vaticano I sul perpetuarsi del primato di Pietro nei pontefici romani.

Trattando, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa di Cristo, sezione IV, cap. 2, della perpetuità del primato di Pietro nei pontefici romani, il Concilio Vaticano I comincia col far riferimento al Concilio di Efeso e si esprime così : <Non è messo in dubbio da alcuno, e tutti i secoli hanno creduto che il santo e beato Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede e fondamento della chiesa cattolica, ha ricevuto da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del Regno; e che egli continua fino ad oggi a vivere, presiedere e giudicare nei suoi successori, i vescovi di questa santa sede romana, da lui fondata e consacrata col suo sangue. Di modo che colui che succede a Pietro su questa cattedra riceve, secondo quanto fu istituito da Cristo stesso, il primato di Pietro sulla Chiesa universale ». Il canone che definisce la fede cattolica su questo punto è così formulato: «Se qualcuno dice che non deriva da istituzione di Cristo Signore, e quindi di diritto divino, il fatto che il beato Pietro, nel suo primato sulla Chiesa universale, abbia in perpetuo dei successori, oppure che il pontefice romano non è il successore del beato Pietro in questo stesso primato, sia egli anatema »

<DIR>

e) La certezza « storica » della venuta di Pietro a Roma e la certezza « di fede » che la sede di Pietro fu stabilita a Roma.</DIR>

1. Noi crediamo che Pietro è venuto a Roma e che vi è morto martire. È questo un fatto storico che gli storici delle origini cristiane, non cercano più di mettere in dubbio. È a questo fatto storico che allude il Concilio Vaticano I quando dice, in una proposizione incidentale, non riprodotta nella definizione finale, che Pietro ha non solo fondato, ma anche « consacrato la chiesa romana « col suo sangue ».

Ma il collegamento indissolubile del pontificato romano e del pontificato transapostolico universale è per noi un fatto dogmatico, che la storia non potrà certo mai contraddire, ma che essa non sarà neppure mai bastante a stabilire, e che è oggetto per noi di una certezza superiore alle certezze storiche: è perché crediamo alla divinità di Cristo e al suo aver fondato strutturalmente la Chiesa su Pietro affinchè durasse fino alla consumazione del secolo, che noi crediamo che alla morte della persona di Pietro, la missione. transapostolica di Pietro continui.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.48
2. Ma se, per ipotesi impossibile, la storia provasse che Pietro non è mai venuto a Roma, essa non avrebbe ancora abbattuto il fatto dogmatico di cui noi parliamo.

Sarebbe sufficiente che Pietro, ovunque fosse materialmente, avesse decretato di trasferire sulla sede di Roma il pontificato transapostolico della Chiesa universale.

Si tratta di un fatto spirituale che poteva essere compiuto a distanza.

Soloviev l'ha detto profondamente: «Anche ammettendo -contro la tradizione della chiesa sia orientale che occidentale- che Pietro non sia mai andato fisicamente a Roma, si può, dal punto di vista religioso, affermare una trasmissione spirituale e mistica del suo potere sovrano al vescovo della città eterna. Lo spirito di Pietro, diretto dalla volontà onnipotente del suo Signore, poteva bene, per perpetuare il centro dell'unità ecclesiastica, fissarsi nel centro dell'unità politica preformato dalla Provvidenza e fare del vescovo di Roma l'erede del suo primato ».

Questo non è in alcun modo un sottovalutare, la storia o, come si vuole forzatamente attribuirci, un abbandonare « totalmente il richiamo alla vita del Pietro storico » . È semplicemente, come avevamo cercato di fare, un ordinare gerarchicamente le certezze:

quelle della storia, quelle dell'apologetica, quelle della fede.

<DIR>

d) Il cattolicesimo non confonde nè separa la fede e la ragione, ma distingue per unire.</DIR>

Bisognerebbe una buona volta cessare di confondere la certezza di fede, che è divina, e la certezza di credibilità, che è umana. Non confondere nè separare, ma distinguere per unire: tutto il cattolicesimo sta in questa formula.

1. Noi crediamo di fede divina che il primato di Pietro si perpetua nei pontefici romani.

Le ricerche storiche possono:

a) attestare la presenza di questa fede nella Chiesa primitiva;

b) stabilire, con i metodi loro propri, il fatto della venuta e della morte di S. Pietro a Roma.

Esse non arriveranno mai, di per sé, a qualcosa di più che a delle certezze o probabilità umane.

Una certezza divina e mistica non potrà mai poggiare, nel senso preciso della parola, su delle certezze o delle probabilità umane e razionali.

2. Le certezze di fede non sono razionali, nè, tanto meno, irrazionali, sono transrazionali.

Le certezze della storia e dell'apologetica, le certezze della credibilità sono razionali. Esse ci dicono che non è irragionevole, ma al contrario supremamente ragionevole di credere nei misteri sopraragionevoli, e che è, al contrario, irragionevole non crederli. « La nostra religione è saggezza e follia. Saggezza perché è la più dotta, e la più fondata in fatti storici, miracoli, profezie ecc. Follia, perché non da tutto questo dipende che le si appartenga; tutto questo fa, sì, condannare chi ad essa non appartiene, ma non fa credere chi le appartiene. La croce, ecco ciò che fa credere.

3. Cose divine e cose umane, certezza di fede e certezza di ragione, giudizio soprannaturale e giudizio naturale: ancora una volta, queste cose non vanno confuse, queste cose non vanno separate. Occorre distinguere per unire.

il fideismo del protestantesimo della Riforma, nè il razionalismo del protestantesimo liberale. Ma due doni disuguali di Dio all'uomo: la fede divina e la ragione umana.

e) Perché la coscienza del primato di Pietro, sempre viva a Roma, ha potuto velarsi in certe regioni della cristianità


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.49

1. Se Pietro deteneva, lui solo, il potere transapostolico strutturale di reggere la Chiesa universale, gli apostoli possedevano quanto lui, sebbene a titolo straordinario, il potere esecutivo di fondare delle missioni e delle chiese locali. Su un punto erano dunque suoi eguali, e il suo diritto poteva apparire in qualche modo come limitato e neutralizzato, o piuttosto velato, dal loro.

Ciò spiega, non soltanto che S. Paolo o S. Giacomo abbiano potuto agire con una grande libertà ma anche come il primato giurisdizionale, che fìn dall'inizio ha risieduto in Pietro e si è trasmesso poi ai suoi successori sulla cattedra di Roma, non abbia fìn dall'inizio dispiegato tutte le sue virtualità.

Non per nulla S. Clemente papa è contemporaneo di S. Giovanni apostolo.

2. Ciò spiega anche un altro fatto. Mentre la coscienza del primato è rimasta sempre viva a Roma, si direbbe (questo emerge dalle lettere di S. Ignazio, dagli scritti di S.Cipriano e più tardi dei Padri di Cappadocia) che, nelle chiese che stavano al di fuori del raggio della diretta influenza romana, si sia creduto, dal momento che i vescovi erano i successori degli apostoli, di poter passare senza dislivello dal governo degli apostoli al governo dei vescovi, come se fosse bastato ai vescovi di mettersi d'accordo per poter dispensare alla Chiesa universale quella bella unità che gli apostoli le assicuravano quando erano in vita. Qui si insinuava una parte di illusione. Perché gli apostoli avevano ricevuto, oltre alla semplice giurisdizione episcopale, un potere straordinario di governo che non era destinato a perpetuarsi nei vescovi, bensì a lasciare il posto dopo la loro morte, al primato giurisdizionale di Pietro e dei suoi successori .

<DIR>

f) La promessa di Gesù « fonda » la preminenza ulteriore della chiesa romana, e la preminenza «realizza » la promessa.

</DIR>

Se si crede che Gesù è Dio, la promessa ch'egli fa a Pietro di fondare su di lui la sua chiesa destinata ad affrontare la città del male, di dargli le chiavi del suo regno, di costituirlo pastore dei suoi agnelli e delle sue pecore, non poteva non essere veridica.

Resta allora da chiedersi dove la profezia di Gesù si sia avverata. Quale sede episcopale ha difeso attraverso i secoli, in Oriente come in Occidente, la divinità di Cristo, l'ispirazione divina della Scrittura, il valore assoluto della Rivelazione, il mistero della divina e organica unità della Chiesa...?

Da questo punto di vista è la chiesa romana che corrisponde alla profezia di Gesù. Ma a sua volta la chiesa romana chiarisce la profezia di Gesù, così come sempre e ovunque, l'avverarsi di una profezia chiarisce il senso della profezia stessa. Non vi è alcun circolo vizioso.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.51

b) II circolo vizioso in cui sarebbero presi i cattolici.

Vi sono alcuni che accusano i cattolici dicendo : « È un circolo vizioso, una petitio principii affermare che, poiché da un lato la promessa di Gesù a Pietro sussiste e dall'altro si può constatare il fatto che Roma ha abbastanza presto cominciato ad esercitare il primato, si deve desumerne che tale primato poggia su quella promessa in modo tale da essere normativo per ogni epoca. Infatti il rapporto che intercorre fra Matt. 16, 17 ss. e la posizione di preminenza assunta più tardi da Roma è proprio quello che occorre pròvare.

Ma noi respingiamo questi sofismi. Il circolo vizioso starebbe nel dire: noi giustifichiamo la nostra interpretazione della profezia di Gesù facendo riferimento alla posizione assunta dalla chiesa romana; e giustifichiamo la posizione assunta dalla chiesa romana ricorrendo alla nostra interpretazione della profezia di Gesù. Ma non è così che noi ragioniamo. Noi giustifichiamo la nostra interpretazione della profezia di Gesù sulla base del testo stesso del Vangelo. Noi crediamo che Gesù è Dio, che ogni potenza gli è stata data in cielo e sulla terra, che egli è padrone di tutto lo svolgimento dei secoli, ch'egli non ha ignorato il tempo della sua Chiesa nè l'ora del proprio ritorno. Noi leggiamo la sua profezia senza prima sentire il bisogno di smembrarla, senza cominciare col separare il vers. 19, sulle chiavi del regno, dal vers. 18 sul fondamento della Chiesa. Noi vediamo che Gesù, per rendere sicura la sua Chiesa contro gli attacchi della città del male, la fonda strutturalmente, verticalmente, quanto alla sua permanenza nel presente, su Pietro, a cui da le chiavi del suo regno, e a cui affida, in sua assenza, i suoi agnelli e le sue pecore. Il fondamento strutturale della Chiesa durerà quanto la Chiesa; se la persona di Pietro muore, la funzione di Pietro sopravvive. Tutto questo noi lo sappiamo dando alla profezia evangelica, di cui abbiamo rispettato l'unità, la sua profondità massima. E noi sappiamo anche, in sovrappiù, che così facendo noi la leggiamo con gli occhi della Chiesa.

Quando poi, nel luogo dove Pietro muore, noi vediamo apparire la posizione di preminenza della Chiesa romana, noi sappiamo di possederne la vera spiegazione. Essa è di natura spirituale, mistica, divina; dovremmo travisare il Vangelo per poterlo dimenticare. Noi non cerchiamo di far ricorso a spiegazioni naturalistiche, di render conto del prestigio spirituale della chiesa romana con la situazione politica di Roma nell'Impero pagano. Tutto è più semplice, e più profondo, più divino: noi spieghiamo la preminenza effettiva della chiesa romana così come spieghiamo la preminenza effettiva di Pietro negli Atti degli apostoli, mediante la virtù spirituale della promessa di Gesù.E reciprocamente, il primato della chiesa di Roma nel mondo, esattamente come il primato di Pietro negli Atti degli Apostoli, illumina la promessa di Gesù: perchè sempre e ovunque, l'avveramento della profezia illumina la profezia. Gesù prova costantemente la sua missione con la profezia dell'Antico testamento, e costantemente illumina la profezia dell'Antico Testamento con la sua missione. Il circolo, se c'è, non è vizioso, ma divino.

Tratto da una risposta di Charles Journes a O.Culmann