Natura della ispirazione
S. Tommaso, specialmente nella IIa-IIae, qq. 171-174, ha ordinato sistematicamente gli elementi biblici e patristici, illustrando luminosamente l'azione di Dio su l'uomo, suo strumento, e l'effetto che ne risulta. Egli tratta direttamente dell'i. profetica, o influsso divino sul profeta perché parli in suo nome (v. Profetismo), e non dell'ispirazione in ordine alla composizione dei libri sacri. Ma l'identità tra le due i. è sostanziale; sicché la trattazione di s. Tommaso viene ripresa integralmenle per l'i. biblica.<o:p></o:p>
L'Aquinate enunziò principi fondamentali così sodi, sicuri e decisivi che, per lunghi secoli, quasi più nulla fu aggiunto d'importante alla sua esposizione.<o:p></o:p>
Leone XIII nell'Encicl. Providentissimus (EB, nn. 81-134), basilare e determinante specialmente al riguardo, riprende integra la dottrina di s. Tommaso, applicandola dettagliatamente alla i. biblica in ordine alla composizione dei libri sacri; ricondusse così all'unità e alla chiarezza tomistica, quanti, tra i cattolici, se n'erano allontanati per seguire nuove vie. Tale dottrina è ripresa, confermata e su qualche punto chiarita dall'enc. Spiritus Paraclitus di Benedetto XV (EB, nn. 44-495), dalla Divino Afflante Spiritu, e dalla Humani Generis (AAS, [1950] 563.568 ss. 575 ss.).<o:p></o:p>
L'i., come azione divina in se stessa considerata, è un dono, un "carisma" elargito da Dio non per la santificazione personale dell'ispirato (grazia santificante), ma per il bene della Chiesa. È un carisma dell'ordine intellettuale: essenzialmente è un lume soprannaturale, infuso da Dio, sotto il quale l'uomo emette i suoi giudizi. Non è pertanto stabile nell'uomo, ma solo è infuso in ordine al libro da scrivere, e in periodi a ciò destinati. Non è necessariamente connesso con la santità dell'individuo; Dio sceglie chi vuole. Né l'ispirato è cosciente di tal dono.<o:p></o:p>
A quest'azione divina, l'uomo reagisce vitalmente. Se Am. 3, 8 («il leone ruggisce, chi non trema; Dio parla, chi non profetizza?») e II Pt. 1, 21 potrebbero far pensare ad una mancanza di libertà, Is. 6, 5-8. 11; Ier. 20, 9 con 1, 6; Ez. 1, 3; 3, 22 con 3, 17-21; specialmente Lc. 1, 1-5; II Mach. 2, 24-33, attestano chiaramente la piena coscienza, la vitale corrispondenza e pieno funzionamento della mente e della volontà dell'ispirato (A. Bea, in Studia Anselmiana, 27-28 Roma 1951, pp. 47-65). Si pensi alla diversità di stile, alle manchevolezze di forma ecc.<o:p></o:p>
Il grande merito di s. Tommaso è, principalmente, nel metodo. Non procede astrattamente, costruendo sui termini intesi genericamente. Ma poggia solidamente sui dati biblici e patristici. Dio è autore (scrittore), l'uomo è autore; Dio ha adoperato dell'uomo come strumento; gli ha dettato (dictare = ispirare), ispirato tutto il libro. Tutto il libro è di Dio, tutto il libro è dell'uomo; principalmente di Dio, come ogni effetto che procede insieme dalla causa prima e da una causa seconda strumentale.
Non possiamo scostarci da questi dati; non possiamo creare un sistema che, per quanto razionale, neghi o sminuisca la parte di Dio o quella dell'agiografo, così come è affermata in modo indiscusso dalla tradizione ed è definita dalla Chiesa.<o:p></o:p>
Basti considerare l'energia con cui i Padri rigettarono i Montanisti che esageravano la parte di Dio, riducendo l'ispirato ad un incosciente; eguale errore commisero i primi Protestanti, parlando di dettatura nel senso più rigoroso e riducendo l'ispirato ad una macchina.
Autori cattolici, invece, per difendere la libertà e la vitalità dell'uomo sotto l'i., e, più recentemente, per spiegare eventuali imprecisioni o errori fisico-storici, cercarono di restringere quanto più possibile la parte di Dio. Si disse che alcuni libri storici potevano dirsi ispirati (Lessio e Bonfrère) o realmente lo erano (D. Haneberg) solo perché dichiarati immuni da errore, e approvati dalla Chiesa (la cosiddetta i. susseguente). Ma non si badava che in tal modo il libro, scritto dal solo uomo, per quanto approvato rimaneva libro umano e nient'affatto divino; Dio non ne era l'autore.<
G. Iahn ritenne che bastasse per l'i. la semplice assistenza dello Spirito Santo, concessa ad es. al Sommo Pontefice quando definisce solennemente una verità di fede, per preservarlo da ogni errore. Ma è chiaro che tale assistenza negativa rende il libro infallibile, ma nient'affatto divino, come esigono i dati biblici e tradizionali. Nessuno ha mai chiamato divine le definizioni solenni e infallibili del Sommo Pontefice; nessuno può mai avvicinarle alla parola di Dio, alla S. Scrittura.
Il Franzelin, seguito da molti, fino all'Encicl. Providentissimus, per assicurare la libertà dell'agiografo, credette di dividere i compiti assegnando le idee a Dio, e il loro rivestimento con le parole, con la forma letteraria, all'agiografo. Era una vivisezione illogica, contraria alla psicologia: in noi non esistono idee pure, in tutto separate dalle parole. Ma principalmente era una incomprensione della Tradizione: autore = scrittore.<
Si ricordi quanto ho trascritto da s. Gregorio: Quegli scrisse che dettò (ispirò). Il Franzelin volle procedere in una maniera astratta: Dio è autore. Vediamo un po' se può dirsi tale, anche se ha soltanto dato le idee, immettendole nella mente dell'uomo, come dei quadri incompleti si immettono in una pinacoteca, perché vi siano rifiniti e conservati. I Padri invece insistono (sulla scia degli Apostoli) a considerare anche le parole, come divine o comunque connesse con Dio; ad argomentare pertanto da esse (Hebr. 8, 13; 12, 26 ecc.). E quanto alle stesse idee, esse sono di Dio e dell'uomo insieme. Praticamente non c'è un solo istante in cui l'uomo agisce da solo, come nulla è realizzato da parte di Dio se non per mezzo dell'uomo.
Quanti poi tra i recenti vollero restringere l'i. alle sole verità dogmatiche (F. Lenormant, S. Di Bartolo) per ammettere nelle altre parti l'errore, oltre a quanto ora osservato andavano direttamente contro il principio universalmente attestato dai Padri e dal Magistero infallibile che tutta la S. Scrittura è ispirata e nessun errore può in essa trovarsi.
Per questi ultimi autori specialmente, ma anche per molti dei precedenti, causa di errore fu la mancata distinzione tra i. e rivelazione. Tutto nella Bibbia è ispirato, ma non tutto è rivelato (Synave-Benoit, pp. 277-82.300-309.335-38). La rivelazione importa la comunicazione da parte di Dio dell'oggetto, della materia stessa da esporre. Invece, ordinariamente l'agiografo scrive quanto conosce con le sue forze, ha appreso con diligenza (Lc. 1, 1-5; II Mach. 2, 24-30). L'essenziale, come diceva s. Tommaso, è il lume divino per giudicare la materia comunque percepita, sia per rivelazione, sia per via naturale, con lo studio e la ricerca. Così gli evangelisti ci narrano quanto essi stessi (Mt., Io.) hanno visto e sentito o quanto hanno appreso (Mc., Lc.) a viva voce dagli Apostoli.
Già s. Tommaso poneva una netta distinzione tra la raccolta, la preparazione del materiale, e la redazione scritta. L'azione di Dio incomincia con l'inizio della composizione; la preparazione previa non appartiene all'i. In altri termini, la S. Scrittura non va considerata come un libro creato e dato all'uomo, quasi comunicazione, sia pure parziale, della divina onniscienza; Dio invece ha voluto parlare agli uomini, comunicare con loro per iscritto, per mezzo di un loro simile, adattandosi alla di lui, alla nostra mentalità.
S. Tommaso ha ben sintetizzato tutta la dottrina cattolica nel principio: Dio autore principale, l'agiografo autore strumentale (Quodl. 7, a. 14, ad 5). Per spiegare il processo dell'azione di Dio sulle facoltà dell'agiografo basta svolgere il principio ontologico di causa strumentale.
La causa agente può essere duplice: principale e strumentale. La prima opera per sola virtù propria; la seconda solo in forza di una mozione previa che riceve dalla precedente. Per tale mozione, lo strumento viene elevato ad una capacità superiore alla sua natura e adeguata alla virtù dell'agente principale, ed applicato all'azione. Il pennello ha una sua virtù propria, quella di stendere i colori; per dipingere un quadro è necessario che l'artista lo applichi e gli comunichi la sua capacità (stendere i colori secondo determinati disegni e regole). In tal modo lo strumento oltre alla propria capacità ne viene ad acquisire, quando è in mano dell'artista, una più alta, superiore alla sua natura. Non c'è attimo in cui il pittore da solo e, ancor di più, il pennello da solo, operino per l'effetto; il quale pertanto è tutto dell'uno e dell'altro, sebbene in modo diverso, che allo strumento appartiene solo per virtù comunicatagli dall'agente principale.<o:p></o:p>
Si badi ancora: lo strumento in mano all'artista, non muta natura: se è difettoso rimane tale; e attua la virtù ricevuta dall'agente principale, esplicando intera la propria capacità. Nessuna meraviglia quindi se nell'effetto si riscontrano le tracce dei due che hanno insieme concorso a produrlo; e quindi gli eventuali difetti dello strumento.