PREGHIERA EUCARISTICA
IL PIU' BEL RICORDO!
A tutto il Gruppo, La Pace di Cristo!
Ebbene si, sono ancora vivo... Ormai mi manca un esame e dunque ho pensato che potevo dedicare un oretta per scrivere un messaggio.
Ho scelto questo forum perchè proprio oggi, ripassando in mattinata per l'esame di Introduzione alla Sacra scrittura (l'ho dato oggi ed è andato benissimo! Gloria a Dio per ogni cosa!) ho letto una frase interessante di Fabris, in un capitolo del primo volume della collana Logos da lui curata, e che cioè uno dei problemi che ha portato la teologia protestante e quella cattolica a non comprendersi più è che, più che capire cosa una parola significasse nel contesto biblico, davano alle parole della bibbia il significato che avevano preso nei rispettivi sistemi teologici, che naturalmente non sempre coincidevano (millenni di evoluzione di linguaggi e concetti naturalmente non potevano permettere una così ingenua uguaglianza).
E penso che un discorso simile si può fare per quanto riguarda proprio il tema preso in esame in questo forum.
Allora, la parola memoria in riferimento all'Eucarestia, è stata letta da una parte come ricordo, in un'accezzione dinimutiva, dall'altra come memoriale, che però nell'essere esplicitato in linguaggio filosofico colto è divenuto sinonimo di transustanzazione, quasi legando alla parola e all'atto un pensiero magico.
Naturalmente queste sono estremizzazioni... si potrebbe dire che sono la comprensione protestante della teoria cattolica e la lettura cattolica della teoria protestante nell'ambito delle dispute sull'argomento.
Ma i metodi della critica letteraria oggi in nostro possesso ci possono far riscoprire cosa il concetto di memoria significasse nella scrittura. Ed in essa la parola ha senz'altro il significato di ricordo, ma cosa voleva dire ricordare nel contesto del pensiero ebraico? Questo è il nocciolo della questione!
Ricordo che Enzo Bianchi in breve ne dava una spiegazione, ma non sono riuscito a trovare il testo, che spero di proporvi al più presto. Cerco io di darne un'idea in breve.
Ricordare per l'ebreo è rendere presente, e non come siamo portati a pensare noi occidentali, eredi del pensiero dicotomico platonico (che oppone il sensibile allo spirituale) rendere presente alla mente, e dunque senza realtà. Il mondo ebraico conosce solo l'uomo, senza distinzione tra anima e corpo, che sono concetti di natura ellenistica. Ricordando l'uomo rende presente. E così ricordare l'esodo vuol dire veramente essere parte di quel popolo passato dalla schiavitù alla libertà. Ricordare la parola di Dio, vuol dire renderla attiva, viva, operante.
E questo naturalmente diventa ancora più forte nelle azioni liturgiche.
La liturgia ebraica è un rendere continuamente presente il Signore, tramite il suo ricordo, tramite la proclamazione della sua parola, tramite la richiesta della sua benedizione... per mezzo di tutto questo il popolo ebraico sa che Dio è presente.
Gli studi operati dalla seconda guerra mondiale in qua ed incentivati dal Vaticano II, volti a riscoprire le radici ebraiche del mondo cristiano, hanno permesso di rivelare la profonda unità tra le reciproche liturgie: la stessa preghiera eucaristica, che forse è da tutti noi considerata come la più grande novità liturgica cristiana, è strutturata sulle preghiere di benedizione ebraiche, la liturgia delle ore, e le stesse ore canoniche, sono ricalcate su quelle ebraiche.
Dunque per comprendere appieno la liturgia cristiana, uno dei punti saldi è intendere la liturgia come il mondo giudaico intende liturgia, e cioè rendere presente il divino: questo è il memoriale liturgico, questo è il ricordo religioso.
La ricchezza del mistero eucaristico non si può ridurre in una unicità di linguaggio: proprio la sua sovrabbondanza non può permettere di legarlo in modo totalmente esplicativo ad un concetto; per quanto non condivida molte cose dell'ultima enciclica del papa (come molti hanno avuto modo di leggere) occorre però far notare che in essa Giovanni Paolo II, richiamandosi al magistero di Paolo VI, sottolinea che l'approfondimento del mistero eucaristico deve si tener presente la comprensione della chiesa nei secoli passati, ma che questo non preclude a nuove vie, ma solo a nuove vie che non vogliono ritenersi una maniera diversa di comprendere ma una maniera sostitutiva, che ritiene di poter correggere un pensiero erroneo.
In parole semplici: non si può negare che, nell'ambito delle categorie aristoteliche, si possa effettivamente parlare di transustanzazione, ma che la realtà con questo termine significata può essere anche detta nell'ambito di altri contesti filosofici e culturali. Ma questa ricerca deve tener presente che è un vedere lo stesso mistero da un'altra prospettiva, e che ciò non si sostituisce alla precedente.
Così, se pensiamo che dovremmo cercare di esprimere il mistero eucaristico in maniera biblica e rinunciare al contesto aristotelico, possiamo pure farlo, e così utilizzare la categoria del ricordo... ma non la categoria di ricordo delle nostre lingue attuali, ma la categoria biblica di ricordo!
Così io posso affermare anche da cattolico che l'Eucarestia è ricordo, e cioè il Rendere Presente il Divino nell'azione liturgica. Così il pane ed il vino, oggetti della Benedizione liturgica sono segni espliciti della presenza in mezzo a noi del Corpo e Sangue del Signore Gesù.
Ancora di più: Paolo nella lettera ai Romani ci avverte che "i doni di Dio sono irrevocabili": ciò che lui ha benedetto resta benedetto. Così è impossibile pensare che la realtà oggetto della benedizione possa divenire maledizione o perdere la benedizione.
Paolo parlava lì riferendosi al popolo della Prima Alleanza, che rimane comunque il popolo di Dio perchè "a loro appartengono la legge, le promesse, il culto e i profeti, da essi viene Cristo secondo la carne" (cito a memoria, dunque scusate se i termini non corrispondono esattamente alle traduzioni che potrete controllare).
Comunque il discorso per i doni eucaristici è identico: se essi sono santificati da Dio, non possono perdere il loro statuto di ierofanie (manifestazioni del sacro) dopo la liturgia ("Ciò che io ho santificato, tu non chiamarlo immondo", dice lo Spirito a Pietro in una visione che ci riporta Luca negli Atti degli apostoli).
Così, anche possiamo affermare che ciò che Tommaso ed il Concilio di Trento hanno detto con linguaggio greco, non è estraneo al linguaggio biblico e che è possibile anche sulla base del pensiero biblico affermare che Gesù si fa presente realmente nel pane e nel vino, e che lo resta anche dopo la celebrazione, e lo possiamo fare tramite le due categorie della memoria/ricordo/memoriale e della irrevocabilità della promessa e benedizione di Jhwh.
Spero che queste parole possano essere di aiuto ad una reciproca comprensione e che presto si possa giungere alla medesima comprensione di quel Sacramento di unità che è la Cena del Signore, affinche sia appianata la strada verso la piena comunione tra le Chiese.
Un salutone a tutti, ed in particolare a SweetHawk (l'ho scritto bene?).
Ireneo.