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FILANTROPIA DI CRISTO E IMPEGNO SOCIALE DELLA CHIESA


di Francesco Colafemmina

Uno degli appellativi di Cristo usato nel mondo ortodosso è quello di "filànthropos": amante dell'uomo. La riflessione su questo concetto teologico profondo mi induce ad alcune considerazioni che credo possano essere utili e proficue per tutti coloro che si battono perchè la Chiesa riassuma la propria dimensione centrale nella vita dell'uomo.

Anzitutto partiamo da un flashback. Fu verso la fine degli anni sessanta che una esperienza pastorale nata in America Latina finì per trasformarsi in quella dottrina che venne definita "Teologia della Liberazione". Cosa proponeva questa teologia innovativa? Proponeva una digressione dalla dimensione salvifica di Cristo quale unico Redentore delle anime e l'estensione della salvezza anche per così dire ai corpi, ovvero all'aldiquà di ogni uomo. A seguito dell'amara constatazione delle tremende sperequazioni sociali, economiche, educative, esistenti nel tormentato contesto dell'America Latina, alcuni valenti pastori credettero di poter sanare le ferite di una umanità in difficoltà attraverso l'apertura di uno squarcio sul mondo, con una vera e propria irruzione della Chiesa nel sociale, nella politica, nelle valutazioni economiche delle singole nazioni che le fece dimenticare la sua reale missione evangelizzatrice per la salvezza delle anime.

Questa esperienza sebbene abbia dato taluni frutti positivi ha tuttavia lasciato sino ad oggi strascichi piuttosto equivoci e contraddittori che continuano a minare la fede cristiana, laddove essa viene reinterpretata alla luce della Teologia della Liberazione e non ne è più ragione e ispirazione (nonostante gli esiti negativi ed imperfetti).

Un'analisi coerente, viva, serena e profonda di questo fenomeno e delle sue molteplici accezioni positive e negative fu data nel 1984 da Joseph Ratzinger che così scriveva nel documento
"Libertatis Nuntius", nel capitolo finale:

XI. Orientamenti

1. Il richiamo contro le gravi deviazioni, di cui sono portatrici talune "teologie della liberazione", non deve assolutamente essere interpretato come un'approvazione, neppure indiretta, di coloro che contribuiscono al mantenimento della miseria dei popoli, di coloro che ne approfittano e di coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti. La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall'amore dell'uomo, ascolta il grido che invoca giustizia (28) e vuole rispondervi con tutte le sue forze.

2. Pertanto è rivolto alla Chiesa un appello quanto mai impegnativo. Con audacia e coraggio, con chiaroveggenza e prudenza, con zelo e forza d'animo, con un amore verso i poveri che si spinge fino al sacrificio, i pastori, come del resto già molti fanno, dovranno considerare come un compito prioritario la risposta a questo appello.

3. Tutti coloro che - sacerdoti, religiosi e laici - udendo il grido che invoca giustizia, vogliono lavorare per l'evangelizzazione e la promozione umana, dovranno farlo in comunione con i loro Vescovi e con la Chiesa, ciascuno secondo la propria specifica vocazione ecclesiale.

4. Coscienti del carattere ecclesiale della loro vocazione, i teologi collaboreranno, con lealtà e in spirito di dialogo, con il Magistero della Chiesa. Essi sapranno riconoscere nel Magistero un dono di Cristo alla sua Chiesa (29) e ne accoglieranno la parola e le direttive con rispetto filiale.

5. Solo partendo dalla missione evangelizzatrice intesa nella sua integralità si possono comprendere le esigenze di una promozione umana e di una liberazione autentica. Questa liberazione ha come pilastri indispensabili la verità su Gesù Cristo, il Salvatore, la verità sulla Chiesa, la verità sull'uomo e sulla sua dignità. (30) La Chiesa che vuole essere nel mondo intero la Chiesa dei poveri, intende servire la nobile lotta per la verità e per la giustizia, alla luce delle Beatitudini, e soprattutto della beatitudine dei poveri di spirito. Essa si rivolge a ciascun uomo e, per questa ragione, a tutti gli uomini. Essa è "la Chiesa universale. La Chiesa dell'incarnazione. Non è la Chiesa di una classe o di una casta soltanto. Essa parla in nome della verità stessa. Questa verità è realista". Essa insegna a tener conto "di ogni realtà umana, di ogni ingiustizia, di ogni tensione, di ogni lotta". (31)

6. Una difesa efficace della giustizia deve appoggiarsi sulla verità dell'uomo, creato ad immagine di Dio e chiamato alla grazia della filiazione divina. Il riconoscimento del vero rapporto dell'uomo con Dio costituisce il fondamento della giustizia, in quanto essa regola i rapporti tra gli uomini. Per questo motivo la lotta per i diritti dell'uomo, che la Chiesa continuamente richiama, costituisce l'autentica lotta per la giustizia.

7. La verità dell'uomo esige che questa lotta sia condotta con mezzi conformi alla dignità umana. Per questo deve essere condannato il ricordo sistematico e deliberato alla violenza cieca, da qualsiasi parte venga. (32) Affidarsi ai mezzi violenti nella speranza di instaurare una maggiore giustizia significa essere vittime di un'illusione mortale. La violenza genera violenza e degrada l'uomo. Essa ferisce la dignità dell'uomo nella persona delle vittime e avvilisce questa stessa dignità in coloro che la praticano.

8. L'urgenza di riforme radicali delle strutture che ingenerano la miseria e costituiscono in se stesse delle forme di violenza non deve far perdere di vista che la sorgente delle ingiustizie risiede nel cuore degli uomini. Quindi soltanto facendo appello alle capacità etiche della persona e alla continua necessità di conversione interiore si otterranno dei cambiamenti sociali che saranno veramente al servizio dell'uomo. (33) Infatti man mano che collaboreranno liberamente, di propria iniziativa e solidarmente, per questi cambiamenti necessari, gli uomini, risvegliati al senso della loro responsabilità si realizzeranno sempre più come uomini. Tale capovolgimento tra moralità e strutture è pregnante di una antropologia materialista incompatibile con la verità sull'uomo.

9. Quindi è un'illusione mortale anche credere che delle nuove strutture daranno vita, per se stesse, ad un "uomo nuovo", nel senso della verità dell'uomo. Il cristiano non può dimenticare che la sorgente di ogni vera novità è lo Spirito Santo, che ci è stato dato, e che il signore della storia è Dio.


10. Così pure, il rovesciamento delle strutture generatrici d'ingiustizia mediante la violenza rivoluzionaria non è ipso facto l'inizio dell'instaurazione di un regime giusto. Tutti coloro che vogliono sinceramente la vera liberazione dei loro fratelli devono riflettere su un fatto di grande rilevanza del nostro tempo. Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertàfondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell'uomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire.

11. La lotta di classe come via verso una società senza classi è un mito che blocca le riforme e aggrava la miseria e le ingiustizie. Coloro che si lasciano affascinare da questo mito dovrebbero riflettere sulle amare esperienze storiche alle quali esso ha condotto. Comprenderebbero allora che non si tratta di abbandonare un modo efficace di lotta in favore dei poveri per un ideale utopico. Si tratta, al contrario, di liberarsi di un miraggio per appoggiarsi sul Vangelo e sulla sua forza di trasformazione.

12. Una delle condizioni per il necessario ritorno alla retta teologia è la rivalutazione dell'insegnamento sociale della Chiesa. Questo insegnamento non è per niente chiuso, ma, al contrario, è aperto a tutti i nuovi problemi che non mancano di porsi nel corso del tempo. In questa prospettiva, è indispensabile oggi il contributo dei teologi e dei pensatori di tutte le parti del mondo alla riflessione della Chiesa.

13. Così pure, per la riflessione dottrinale e pastorale della Chiesa è necessaria l'esperienza di coloro che lavorano direttamente all'evangelizzazione e promozione dei poveri e degli oppressi. In questo senso occorre dire che si prende coscienza di alcuni aspetti della verità a partire dalla prassi, se per prassi si intendono una prassi pastorale e una prassi sociale che restano di ispirazione evangelica.

14. L'insegnamento della Chiesa in materia sociale fornisce i grandi orientamenti etici. Ma perché possa guidare direttamente l'azione, esso esige delle personalità competenti sia dal punto di vista scientifico e tecnico, che nel campo delle scienze umane e della politica. I pastori dovranno essere attenti alla formazione di tali personalità competenti, che vivano profondamente il Vangelo. I laici, il cui compito specifico è di costruire la società, vi sono coinvolti in maniera particolare.

15. Le tesi delle "teologie della liberazione" sono largamente diffuse, sotto forma ancora semplificata, in circoli di formazione o nei gruppi di base, che mancano di preparazione catechetica e teologica. Per questo sono accettate, senza la possibilità di un giudizio critico, da uomini e donne generosi.

16. Per questo i Pastori devono vigilare sulla qualità e sul contenuto della catechesi e della formazione, che deve sempre presentare la integralità del messaggio della salvezza e gli imperativi della vera liberazione dell'uomo nel quadro di questo messaggio integrale.

17. In questa presentazione integrale del mistero cristiano sarà opportuno mettere l'accento sugli aspetti essenziali che le "teologie della liberazione" tendono in particolar modo a misconoscere o a eliminare: trascendenza e gratuità della liberazione in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, sovranità della sua grazia, vera natura dei mezzi di salvezza, specialmente della Chiesa e dei sacramenti. Si dovranno richiamare il vero significato dell'etica, per la quale non può essere relativizzata la distinzione tra il bene e il male, il senso autentico del peccato, la necessità della conversione e líuniversalità della legge dell'amore fraterno. Si metterà in guardia contro una politicizzazione dell'esistenza, che misconoscendo tanto la specificità del Regno di Dio, quanto la trascendenza della persona, finisce per sacralizzare la politica e per sfruttare la religiosità del popolo in favore di iniziative rivoluzionarie.

18. I difensori della "ortodossia" sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili la conversione spirituale, líintensità dell'amore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di un'efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell'oppresso. Mediante la testimonianza della loro forza di amare, dinamica e costruttiva, i cristiani getteranno così le basi di quella "civiltà dell'amore", di cui ha parlato, dopo Paolo VI, la Conferenza di Puebla. (34) Del resto sono numerosi coloro che - sacerdoti, religiosi o laici - si consacrano in maniera veramente evangelica alla creazione di una società giusta.


Come si vede l'analisi dell'allora Cardinal Ratzinger era incentrata sulla necessità dell'interdipendenza tra dimensione sociale e dimensione spirituale: insomma nel Cristianesimo l'aldilà e l'aldiqua sono i punti focali dell'azione di Cristo e sono interdipendenti per necessità. anche nella vita del cristiano e nella missione della Chiesa stessa. Come infatti non si dà salvezza se non si è operato cristianamente in questo mondo, così non necessariamente perchè si è operato cristianamente in questo mondo si dà salvezza nell'altro. In entrambi i casi il "cristianamente" va inteso non come un semplice connotato morale o moralistico, bensì come stigma della propria conversione a Cristo. Senza conversione non c'è salvezza.

La realtà attuale, tuttavia, ci presenta un quadro per certi versi paradossale rispetto alla situazione di venti o trenta anni fa. Dopo la caduta del comunismo talune premesse ideologiche o carburanti politici della Teologia della Liberazione sono venuti meno, lasciando a secco numerosi fruitori di questo mezzo alternativo di "apostolato". D'altra parte, però, la morte del comunismo ha anche significato un certo "imborghesimento" della Chiesa Cattolica, specialmente nelle nazioni occidentali ed opulente. Imborghesimento favorito anche dal fallimento di una esperienza che era fondata soprattutto sul successo parallelo di talune istituzioni politiche o di certi tentativi di sperimentazione sociale.

Così, come ho già affermato altrove, molti "reduci" della "liberazione" hanno dovuto cercarsi altre strade compatibili con quel modello di "Chiesa dal basso" ed "antigerarchismo" che era stato favorito ed avviato dall'esperienza latinoamericana.

Se in un primo articolo ho voluto tracciare ironicamente i contorni delle tipologie sacerdotali emerse da quella esperienza, qui vorrei invece affrontare seriamente la questione sotto un altro aspetto.

E' vero, ciò su cui si fondava la Teologia della Liberazione si è dimostrato caduco e fallace, soprattutto in termini di stretto legame fra Chiesa e politica. Ma questo vuol forse dire che quei sani ideali che anche il Card. Ratzinger ravvisava in quella esperienza, hanno cessato di animare i cristiani? Forse oggi vi è meno sete di giustizia, uguaglianza e libertà, di quanta ve ne fosse allora o di quanta ve ne sia sempre stata su questa terra? Forse oggi non dobbiamo continuare a lottare (cristianamente) perchè l'uomo recuperi la sua dignità alla luce dell'Incarnazione di Cristo?

Oggi probabilmente c'è l'opportunità di rinnovare il messaggio cristiano prendendo i frutti migliori, gli ideali più autentici, i messaggi più attuali di quella esperienza. E lo si deve fare perchè in realtà l'umanità attuale è molto più precaria, misera, oppressa, di quanto non lo fosse allora. E le distanze sociali, economiche, si sono fatte enormi baratri che separano gli uni dagli altri questi piccoli esseri bipedi che pullulano su un pianeta posto all'estremo confine di una galassia sospesa nell'Universo.

Ma se un tempo le ideologie avevano traviato il senso autentico di quella triade aurea del laicismo massonico: giustizia, libertà e uguaglianza; oggi abbiamo l'opportunità di riscoprirne il senso autentico. La corruzione del denaro e del potere, la vita "secondo la carne" è diventata univoco paradigma dell'esistenza umana. E quelle utopie tanto venerate, oggigiorno si sono trasformate da cristiane virtù spirituali in mezzi di assoluta dissolutezza ed illusione dell'uomo. Così l'uomo non solo nonostante le apparenze non è più nè libero, nè solidale ai suoi simili, nè tantomeno uguale agli altri uomini (dove uguaglianza non va intesa in senso censuario o di classe), ma è anche profondamente infelice. Dunque assomma a mali sociali ed economici un diffuso malessere spirituale che sembra insanabile ed è all'origine delle derive relazionali della nostra società.

Allo stesso modo l'opportunità del dialogo col mondo oggi risulta essere per la Chiesa una sicura prospettiva di evangelizzazione, laddove ormai per dialogo non può più essere inteso l'aggiornamento modaiolo ed effemminato alle tendenze ed agli errori del mondo, ma l'immersione della Chiesa nella condizione REALE degli uomini per ricondurli dal virtualismo dell'alienazione moderna, alla verità di Cristo ed alla Virtù che è l'amore per Lui. Ed è anche verissimo che amore per Cristo debba tradursi in amore per l'uomo, ma non nel senso immanente di "amore per la carnalità dell'uomo", bensì amore per la sua partecipazione divina, per la dignità che nasce dall'essere l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio.

Oggi la Chiesa, quella che l'allora Card. Ratzinger definiva "ortodossa" nel suo documento, sembra ancora impassibile ed immota dinanzi all'enorme compito ed all'immensa responsabilità che essa ha dinanzi al Signore, nel suo destino di evangelizzazione dell'umanità. Spesso la vediamo chiusa nelle faide fra pastori alla ricerca di notorietà o di privilegi, ma in realtà privi ormai di carisma e di credibilità. La vediamo ribellarsi alle devozioni popolari, distruggere con le proprie mani persino i residui più innocui di vita cristiana sincera. E la vediamo poltrire nei salotti di potenti e ricche congreghe, mentre un'intera umanità ha sete di Cristo! Solo nei giorni scorsi il Papa ha ricordato ai Vescovi che la loro missione non è nè individualistica nè volta al proprio interesse, ma all'esclusivo servizio del proprio gregge.

Ma la Chiesa non è solo quella che deprechiamo. E' anche la Chiesa che noi stessi laici, uomini semplici, formiamo e ravviviamo con la nostra esperienza e la nostra coerenza di vita. Ed è bene ricordare che ormai queste sfide non hanno più il senso di un nuovo fallimentare utopismo, ma anzi sono state depurate dall'utopismo ed oggi sono potenti sollecitazioni per ogni cristiano (consacrato e laico) affinchè possa scuotere il mondo con una preghiera in azione e non solo con l'azione della preghiera.

Spesso infatti possiamo finire per credere che alla sola preghiera si riduca la dimensione della vita cristiana, ma non è così che Cristo intendeva la conversione. Cristo è il filantropo per eccellenza. Colui che ha offerto all'uomo la salvezza nella Sua infinita misericordia. Ma l'uomo sarà capace di essere filantropo con i suoi simili, alla luce del testamento-buona novella del Signore?

Mi piace citare così, a conclusione di questa riflessione, uno dei Centocinquanta Capitoli di San Gregorio Palamas:

cap. 58 Un'assenza di passioni ed un'eccedenza di virtù costituiscono l'amore nei confronti di Dio. In effetti l'odio per i mali, dal quale proviene l'assenza di passioni, ripristina la brama e l'acquisizione dei beni. E chi desidera ed acquisisce dei beni come potrebbe non amare più di tutto il Sovrano di per sè buono, il solo che distribuisce e custodisce ogni bene, nel quale egli è in modo straordinario e che porta in se stesso grazie all'amore, come è stato detto che "chi rimane nell'amore nei confronti di Dio, anche Dio è in lui"?
E si può vedere che non solo l'amore nei confronti di Dio viene dalle virtù, ma anche le virtù vengono prodotte dall'amore. Perciò anche il Signore, nel Vangelo, dice una volta: "Chi ha i miei comandamenti e li rispetta, ecco chi mi ama." ed altrove: "Chi mi ama rispetterà i miei comandamenti". Ma nemmeno le opere delle virtù sono encomiabili ed utili per coloro la cui prassi è senza amore, e neppure l'amore senza le opere; e una di queste due affermazioni la mostra in moti modi Paolo, scrivendo ai Corinti: "Se farò questo e questo, ma non ho amore, a nulla giova", mentre ancora l'altra la mostra il discepolo amato più di tutti da Cristo, quando dice: "Non amiamo a parole, nè con la lingua, ma in opera e verità".



[Modificato da Caterina63 15/09/2009 12:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)