00 02/12/2009 21:40
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Da: Soprannome MSN7978Pergamena  (Messaggio originale)Inviato: 16/03/2003 17.58
 
Amici....quando si parla di CASTITA'....la prima cosa che viene in mente è....castrazione......e questo....grazie purtroppo....ad una campagna DISINFORMATIVA......di alcuni Gruppi Protestanti........specialmente Pentecostali.....
Ma per tagliare corto...vediamo cosa ci dice la BIBBIA a questo proposito che la Chiesa riconosce sin dalle origini quale VIRTU' EVANGELICA ALTAMENTE CONSIGLIATA........
Buona meditazione......

Nell'AT è presente la consacrazione di persone per un servizio particolare mediante l'imposizione delle mani o l'unzione. L’imposizione delle mani indica che Dio separa, mette da parte una persona che si è scelta, ne prende possesso, le conferisce autorità e capacità di esercitare una funzione. Tutte le forme di consacrazione presenti nell'AT, però, sono compatibili con il matrimonio: non erano concepite forme di vita alternative ad esso. Per gli Ebrei, infatti, la vita della donna, insieme a quella dell'uomo, trova il suo orientamento e la sua realizzazione nella procreazione in base alla benedizione di Gen 1, 28 «Siate fecondi e moltiplicatevi», la benedizione di Dio consiste nella fecondità della donna e in una numerosa prole (Cfr. Sal 127). Le situazioni di vita celibataria erano eccezionali, isolate e limitate nel tempo, e per motivi contingenti. Singolare è il caso del profeta Geremia cui Dio ordina di non prendere moglie come annuncio dell’imminente castigo (Ger 16, 2).

Molto sviluppato e ricorrente è inoltre il simbolismo che rappresenta l'alleanza del popolo d'Israele con Dio: tali sono la figura della «virgo Sion» e l'immagine della sposa, chiamata ad una fedeltà di amore con il Signore suo Sposo. E' la preparazione al nuovo modo di concepire la vita che avverrà con il N.T. cioè il Cristo Gesù.

La verginità di Israele non sta più a designare quei connotati negativi espressi precedentemente in nota, quanto la sua illibatezza, avulsa da qualsiasi prostituzione religiosa, fedele all'amore di Dio, pronta come sposa adorna in prossimità della nuova alleanza; già nel profeta Isaia il matrimonio tra un giovane e una vergine simboleggia le nozze tra il Signore e Israele (Is 62, 5).

Alle soglie del NT ci è presentata la figura di Giovanni Battista che con la sua vita di asceta e celibitaria, prepara la venuta del Messia e si chiama amico dello Sposo (Gv 3, 29).

Gesù vive la sua vita terrena come dono totale, nella dedicazione completa alla volontà del Padre e alla salvezza dell'umanità e indica la scelta della verginità per il Regno (Mt 19, 12, dimensione cristologica). Non si tratta di un precetto (1Cor 7, 25), ma di una chiamata personale di Dio, di un carisma (1Cor 7, 7), poiché questo stato di vita consente di dedicarsi maggiormente al Signore (1Cor 7, 32-35). L'accento non è messo sullo stato fisico, biologico, ma sulla dedizione totale della persona a Cristo e sul servizio per il Regno.

Maria è la prima che intuisce il valore della verginità per il Regno e realizza nella sua vita la congiunzione della verginità e della maternità: i racconti dell’infanzia in Matteo e in Luca presentano il concepimento verginale di Maria, unico in tutta la storia biblica: se vi è, infatti, una certa analogia con alcune donne sterili che hanno concepito per uno speciale intervento di Dio che ha superato una situazione di sterilità, in nessun luogo si parla comunque di concepimento verginale.

Sia per Matteo sia per Luca la verginità di Maria non ha un semplice significato biologico: è la verginità per il Regno, assoluta novità del Vangelo che Maria per prima ha compreso.

Vi è ancora la prospettiva ecclesiologica, fatta risaltare da San Paolo nel capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi, che indica come tutta l'esistenza cristiana si realizza in un amore autentico e fedele per Cristo: si comprende come sia il matrimonio cristiano sia la verginità consacrata rea­lizzino nella Chiesa l'amore sponsale nella modalità loro propria, diventando così il simbolo dell'alleanza sponsale tra Cristo e la Chiesa sua sposa, e richiamando ogni cri­stiano a vivere l'integrità della fede, che Sant'Agostino qua­lifica come «virginitas cordis». La verginità di Maria, la vergine per eccellenza figura della Chiesa vergine e sposa, è in prospettiva della sua missione di concepire il Santo, il Figlio di Dio: questo è possibile per l’integrità della sua fede in Dio.

La consacrazione verginale contiene anche una dimensione escatologica (1Cor 7, 26. 29. 31): è testimonianza della non appartenenza dei cristiani a questo mondo, segno della tensione della Chiesa verso la meta finale, anticipazione dello stato di risurrezione (Lc 20, 34ss e par. ). Nella Gerusalemme celeste tutti gli eletti sono chiamati vergini (Ap 14, 4), in quanto non si sono contaminati con gli idoli: appartengono alla città celeste, la sposa dell'Agnello.

Il vivere nella verginità è la proposta che Cristo stesso fa a chi desidera seguirlo, a chi vuol divenire suo discepolo (Lc 14, 26-27): «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria stessa vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me non può essere mio discepolo». Gesù non intende abolire il quarto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre», ma enuncia le esigenze supreme radicali della sua sequela: il lasciar tutto, compresa la vita coniugale e poi portare la propria croce, ciò significa non solo separazione e rinuncia, ma anche preferenza esclusiva; verginità e croce sono intimamente unite, la croce è quella di ogni giorno, non è intesa, come negli altri due vangeli sinottici, nel senso di strumento di supplizio e di morte, ma è in riferimento ad una vita di mortificazione, di kènosis (spogliamento) perché possa manifestarsi la gloria del Signore. Diviene così oblazione cultuale, cioè offerta sacrificale innalzata a Dio, offerta santa (1Cor 7, 34) che rende partecipi alla esaltazione del sacrificio dell'Agnello di Dio (Ebr 9, 7-12) e alla unione divina, quindi la verginità assume non solo il carattere di kènosis, ma anche di koinonìa (comunione) con la Gerusalemme celeste.

Si può, quindi, affermare che il significato religioso della verginità è una prerogativa della rivelazione cristiana: fedeltà in un amore esclusivo per Dio...

continua.....



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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 16/03/2003 18.05

L'aspetto negativo della condizione verginale nell’AT trova la sua particolare sottolineatura nell'atteggiamento della figlia di Iefte, che prima di essere offerta in olocausto, a causa del voto sconsiderato del padre, chiede di vagare per i monti a piangere la verginità (Gdc 11, 30-40).

Accanto a questi tratti negativi se ne accompagnano altri che caratterizzano la verginità come fattore peculiare per avvi­cinarsi al sacro, quali: la continenza temporanea prima di partecipare ad un pasto sacro (1Sam 21, 5), in una battaglia (2Sam 11, 8-13), o in preparazione dell’alleanza con Dio (Es 19, l4 ss). La continenza temporanea non è vista qui come un astenersi dall'impurità e dalla contaminazione, quanto come un atto cultuale, una santificazione in preparazione ad un allontanarsi dal profano per essere degni di accostarsi al sacro e di potervi partecipare. Inoltre in alcuni strati sociali, che costituiranno quei «puri» detti anche «Esseni» si inizia a percepire che, in preparazione alla venuta del Messia e all'estensione del regno, non necessitava più la quantità numerica del popolo eletto ma la sua santità. Nonostante Giuseppe Flavio scriva di aver conosciuto «Esseni» sposati, «Esseni» celibi sussistevano accanto a quelli coniugati; tra l'altro troviamo alcune figure emblematiche al riguardo di vedove che scelgono di non sposarsi come: Giuditta che nonostante la sua nota avvenenza rinuncia alle seconde nozze per essere madre del suo popolo (Gdt 8, 4; 16, 22), prefigurazione questa di una maternità di la a venire con la Chiesa e la Vergine che "concepirà un Figlio", il Figlio di Dio, Gesù il Signore.

Continua......


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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 16/03/2003 21.16
Ora.......possiamo aggiungere il termine CELIBATO.......al titolo: - la vocazione al CELIBATO....alla  CASTITA'.....-
sin dall'Apostolo Paolo, infatti.....è consigliabile un CASTO matrimonio.....ad un celibato...contaminato......"casto", dunque...può essere anche un matrimonio...e Gesù, quando parla di "celibato"...usa il termine EUNUCO.....(Mt.19,10-12):
" Vi sono infatti eunuchi che nacquero così.......e vi sono eunichi resi tali dagli uomini....e vi sono eunuchi che si resero tali da sè per il regno dei cieli. Chi può comprendere, comprenda!"
Mi pare che Gesù NON usi mezzi termini ed è stato chiarissimo......Gesù NON dice "chi mi vuol seguire sia casto e mi segua....".....nè parla di "celibato" nel senso che diamo come contrario del matrimonio....qui Gesù parla di EUNUCO.....
e se prendiamo il vocabolario si legge che l'eunuco è termine greco: eunòuchos, nome composto....di "eunè = letto" e di un derivato dal verbo "èchein = avere", cioè "in custodia"........
1) l'uso di questa "custodia" è riferita al Talamo, un eunuco era un guardiano evirato degli harem, del quale ci si poteva fidare per la custodia delle numerosi mogli;
2) l'uso di questo termine nella sua interezza serve ad indicare un uomo privo delle facoltà virili, per difetto organico genetico o per evirazione......
infatti Gesù dice....e vi sono eunuchi che si resero tali da sè per il regno dei cieli........ECCO LA SCELTA.......ora....dal momento che la vocazione al sacerdozio o alla verginità per le donne....NON è un mestiere opzionale........Gesù ci ricorda che è sempre LUI a chiamare......" NON voi avete scelto me ma io ho scelto voi....".......e quando vi sono difficoltà (Gv.6) Gesù non trova scappatoie ma dice ai discepoli titubanti per la questione dell'Eucarestia "VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?"......
Io penso che si sbagli ad affrontare l'argomento quale imposizione della Chiesa.......il celibato è molto di più di una decisione ecclesiale.......
Continua......

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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 16/03/2003 21.33
Per riallacciarci al discorso evangelico.....Gesù prima di spiegare i tre "stadi" dell'eunuco.......dice chiaramente ai discepoli che rispondono al suo argomento: "Se tale è la condizione.....NON CONVIENE SPOSARSI..." Gesù dunque NON dice che hanno capito male......NON dice che loro DEVONO SPOSARSI.....ma dice chiaramente: " NON TUTTI COMPRENDONO QUESTO DISCORSO, MA SOLTANTO A COLORO AI QUALI E' DATO...."
Bè.....interpretare diversamente questo testo....è veramente ANTIEVANGELICO
.......
Ora vi lascio con una lettera inserita in Famiglia Cristiana molto interessante perchè chi scrive.....è un uomo SPOSATO.......
Buona meditazione........

da Famiglia cristiana dell'1/09/02

di D.A.
SINGOLARE PROPOSTA DI DUE CONIUGI, CHE CANTANO 
"FUORI DEL CORO"
MATRIMONIO E CELIBATO DEI PRETI
Prima di dire che i preti non devono sposarsi, bisogna affermare che chi si sposa non può fare il prete. Anche il matrimonio – secondo i due coniugi – è incompatibile col sacerdozio.


Caro padre, c’è una questione che spesso ritorna sulle pagine di Famiglia Cristiana, ma che non è stata trattata esaurientemente. Ci riferiamo al celibato dei preti e al suo rapporto con gli sposi e la comunità. Infatti, quando si ipotizza la possibilità che il prete possa sposarsi, si invia anche un messaggio agli sposi. Per cui non possiamo non chiederci come e se il matrimonio cristiano si concili con il ministero sacerdotale. Non tanto per questioni pratiche, quanto piuttosto per il significato proprio di ciascuna vocazione che si è chiamati a incarnare.

Spesso, infatti, il discorso si esaurisce rapidamente dicendo che matrimonio e sacerdozio non sono affatto incompatibili, ma solo tenuti separati dalla tradizione della Chiesa. Che, da un certo periodo in poi, ha optato per questa scelta per ragioni di opportunità. Noi, invece, siamo convinti che matrimonio e sacerdozio incompatibili lo siano veramente. E lo diciamo alla luce di quegli studi che, negli ultimi trentacinque anni, hanno fatto molta luce sul significato e sulla spiritualità del matrimonio.

Non si sfugge, forse, a questa prospettiva storica quando sul celibato dei preti si continua ad attribuire la posizione della Chiesa cattolica a pura tradizione e opportunità? O al fatto che i tempi non sono ancora maturi per un passo così innovativo? Ora, non sarebbe invece il caso di riconoscere nuove motivazioni a una scelta, che è di valore? Il matrimonio cristiano è uno stato di vita che intende testimoniare, al massimo delle possibilità umane e con l’aiuto della Grazia, la fedeltà e l’amore totale e indiviso tra i coniugi. Che è poi segno dell’amore fedele e totale di Dio per l’uomo. E di Gesù per la Chiesa.

Se questo è il cuore della vocazione al matrimonio cristiano, non pensa padre che, almeno per la dimensione della "totalità", esso sia incompatibile con il sacerdozio? In esso l’uomo mette a disposizione i talenti, l’intelligenza, il tempo e il proprio corpo per testimoniare l’amore universale di Dio per l’umanità attraverso la predicazione e l’amministrazione dei Sacramenti. In particolare dell’Eucaristia e della Riconciliazione, dove è più evidente la consacrazione dell’uomo-sacerdote a un Dio che, tramite lui, raggiunge l’umanità.

Come può una persona consacrarsi contemporaneamente al coniuge e alla comunità? E come può rispondere alle esigenze di due vocazioni che chiedono entrambe totalità? Quando un sacerdote ha trascorso del tempo in confessionale non esce uguale a come ci è entrato: questa è sicuramente una parte di sé che non potrà essere "coniugalizzata". È per questo che crediamo che il celibato sia una condizione indispensabile per il ministero sacerdotale. E irrinunciabile per la dignità stessa del sacerdozio. E anche del matrimonio.

Comprendiamo la difficoltà – e talvolta il dramma – di sacerdoti che desiderano profondamente rimanere tali, ma che sentono anche forte il bisogno di incrociare la propria esistenza con quella di una donna. A loro vorremmo dire: non confondete il bisogno di relazione con la vocazione matrimoniale. La quale, per essere seguita seriamente, chiede il prezzo dell’abbandono dell’esercizio sacerdotale.

Spesso i nostri sacerdoti sono costretti a fare i burocrati dietro a carte e conti per la gestione della parrocchia. Sono più impiegati e manager che pastori: indaffaratissimi ma profondamente soli. Spesso in attrito con i confratelli, abituati fin dal seminario a bastare a sé stessi, col rischio di ritrovarsi con rapporti aridi anche dove dovrebbe esserci vera fraternità. In condizioni simili, anche la più forte vocazione vacilla sotto il peso di un’esistenza umanamente poco appagante. E la prima "tentazione" a svegliarsi è il bisogno di condividere la propria vita con un’altra persona.

Tutto ciò è comprensibile, ma la soluzione non può essere quella di consentire il matrimonio al sacerdote, quanto piuttosto creare delle relazioni significative che vincano la solitudine. Fin dagli anni del seminario.

Se poi, invece, si rende necessaria la scelta di imboccare la via del matrimonio, si ricorra alla dispensa. Ma non si preferisca mai l’ambiguità e la non chiarezza. Prima di tutto, per il rispetto dovuto al partner, a sé stessi e alla comunità. E poi, ma è nella precedenza, anche a Dio Padre, che accetta il nostro limite, ma che sempre ci chiede di amare nella verità.

Una coppia di sposi

Risposta di F.C. continua.......