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  "Come la casa d'Israele subì l'assedio materialmente, così ogni anima, che abbia già incominciato a servire Dio onnipotente, si accorge di essere assediata dalle insidie degli spiriti maligni (Sicut domus Israel obsidionem corporaliter pertulit, ita unaquaeque anima quae iam servire omnipotenti Deo incipit, obsidentes se insidias malignorum spirituum sentit). E chi veramente desidera essere sottratto a tali insidie, deve sapere che non può sottrarsi con le sue forze, ma è necessario che speri nell'aiuto di Gesù Cristo nostro Signore il quale mediante il mistero della redenzione è in grado di sostenere quelli che vivono nella carne anche contro gli spiriti privi carne (scire debet quia eripi sua virtute non possit, sed eius necesse est ut adiutorium speret qui nos, et in carne corruptibili viventes, per redemptionis suae mysterium potest etiam super spiritus qui sunt sine carne roborare)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XII, 33. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 391.




"I deboli e coloro che sono inclini ai desideri mondani qualche volta si aiutano meglio con la severità di un volto risoluto, la cui severità inflessibile tolga ogni speranza di piccola permessività e spaventi l'anima incostante (obfirmata facies...incostantem animam terreat) e la sottragga con energia agli allettamenti dei vizi (districtionis vigore constringat). Ma quando si comporta così, il dottore deve sempre conservare in cuor suo la dolcezza e l'umiltà (quod cum a doctore agitur, semper necesse est ut dulcedo et humilitas in corde teneatur), in quanto deve amare molto, e non deve mai levarsi in superbia  (quatenus et multum amet et numquam contra eum per elationem superbiat) contro colui al quale tuttavia rifiuta, per suo bene, di lasciar vedere il proprio amore e la propria umiltà (cui tamen amorem suum et humilitatem pro utilitate eius prodere recusat)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XII,31. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 389.




" La differenza tra olocausto e sacrificio è, che ogni olocausto è un sacrificio, ma non ogni sacrificio è un olocausto. Si compiono molti buoni sacrifici che non sono olocausti, perché l'amore spirituale non consuma interamente l'anima (sunt enim multa bona quae aguntur sacrificia, sed holocausta non sunt, quia totam mentem in amore spirituali minime incendunt). Coloro che compiono le opere di Dio in modo tale da non lasciare le cose del mondo, offrono sì un sacrificio ma non un olocausto. Coloro invece che lasciano tutte le cose del mondo e con il fuoco dell'amore divino accendono la loro anima, questi offrono al Signore onnipotente un sacrificio e un olocausto (Qui autem cuncta quae mundi sunt deserunt, et totam mentem igne divini amoris accendunt, nimirum omnipotenti Domino sacrificium et holocaustum fiunt)".
 
 Omelie su Ezechiele, I, XII, 30. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 389.



"Nessun sacrificio è così accetto a Dio onnipotente quanto lo zelo per le anime (nullum quippe omnipotenti Deo tale est sacrificium, quale est zelus animarum)...bisogna però accostare allo zelo la misericordia della carità...è necessario infatti che il rigore di un santo zelo arda e splenda per la virtù della misericordia (sancti zeli districtio necesse est ut ex misericordia virtute et ardeat et clarescat)...se lo zelo è privo di amore, ciò che si offre diventa freddo (si amorem zelus non habet id quod offertur calorem amisit)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XII, 30. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 387-389.



"Bisogna anche sapere che spesso alcuni vizi non vengono nell'anima insieme, ma si avvicendano (saepe nonnula vitia ad mentem non simul veniunt, sed supponuntur), così che nella tentazione uno succede all'altro. E uno viene di fronte, l'altro di fianco, così che mentre si resiste a uno, l'anima ingannata cade nell'altro (quatenus dum alteri resistitur, ab altero mens decepta capiatur). I vizi si avvicendano  furtivamente (vitia plerumque se alia pro aliis furtive supponunt) come quando ci sforziamo di vincere l'ira in noi stessi e la mitezza prende piede nell'animo più del necessario tanto da non mostrare a chi pecca il minimo di severità. Spesso però mentre ci dispiace che in noi ci sia una mitezza esagerata, lo zelo trascende in furore e trascina l'animo prigioniero oltre il limite della pazienza". 
 
Omelie su Ezechiele, I, XII, 28. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 385.



"Ci sono alcuni vizi affini tra loro per una certa parentela (Sunt quaedam vitia quasi per quamdam sibi cognationem propinqua), come la dissipazione dello spirito, la golosità e l'impurità della lussuria, come il molto parlare, la falsità e lo spergiuro. Dalla dissipazione dello spirito l'anima è portata a riempirsi il ventre, e quando il ventre è gonfio per il cibo, la carne prigioniera, levandosi in superbia, è trascinata dalla lussuria. E così dal molto parlare vien fuori il falso (Ex multiloquio fallacia generatur) essendo molto difficile che non mentisca chi parla molto; e spesso, per difendersi di fronte ai giudizi umani, si copre la bugia con lo psergiuro (et saepe mendacium etiam periurio tegitur). Anche la superbia non può stare senza l'invidia e la vanagloria. Ogni superbo infatti invidia agli altri l'onore che egli ambisce (Superbus quisque honorem quem ipse ambit aliis invidet); e quando riesce ad ottenerlo, monta in superbia per la gloria temporale, e per vanagloria gode di avere a preferenza degli altri ciò che gli altri non sono riusciti a conseguire (quod alios conspicit minime percipere potuisse, hoc se per inanem gloriam gaudet prae ceteris habere)". 
 
Omelie su Ezechiele, I, XII, 27. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 385).



"Il maestro compie bene il suo lavoro quando fa capire che spesso i vizi si nascondono sotto la parvenza di virtù (demonstrat ut sese vitia sub virtutum specie abscondant)...Così, per esempio, l'ira smodata pretende di sembrare giustizia (immoderata ira iustitia videri appetat), la permissività mitezza, l'avarizia parsimonia, la prodigalità benevolenza (disciplinae remissio mansuetudo videri velit et tenacia sese parcimoniam nominet et inordinata rerum effusio se benevolentiam appellet). Queste pseudo virtù sono come delle torri che fanno mostra di sé, così che i vizi veri e propri crescono sotto la parvenza di virtù offrendo una superba immagine di se stessi proprio loro che, con il modo di fare, sono proni a terra (in alto se ostendunt per imaginem, quae in imo iacent semper per actionem)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XII, 25. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 385.



"Quando colui che prima aveva il gusto delle cose terrene viene elevato dall'amore per la contemplazione alle cose del cielo, sperimenta già sulla terra  una pace paradisiaca (quasi in terra visio pacis describitur, quando mens, quae prius terrena sapuerat, per amorem iam ad contemplandam gloriam regni calestis elevatur)..Ma l'antico avversario, invidioso, moltiplica a questo punto le insidie...E perciò è necessario che il maestro faccia conoscere accuratamente, a colui che progredisce nell'esperienza della pace, quali tentazioni lo aspettano, perché si prepari adeguatamente a contrastare le insidie del maligno (debet ergo vigilanter doctor proficienti animae quae illam tentationes sequantur innotescere, ut cautam se valeat contra maligni spiritus insidias praeparare)".
 
Omelie su Ezechiele I, XII,24.25. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 383.



"Quando nella parola sacra apprendiamo una cosa  
avvenuta storicamente
 e, attraverso di essa, veniamo a conoscerne un'altra che 
storicamente è priva di fondamento, 
è bene ritenere l'una e l'altra cosa 
 
(Dum aliud completum iuxta historiam scimus, 
et aliud iuxta historiam a ratione vacare cognoscimus, 
in sacro verbo utraque teneamus)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XII, 21. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 381.
Si tratta di un principio ermeneutico apparentemente inaccettabile e tuttavia prezioso per passare dalla <lettera> allo <spirito> del testo, come chiarisce Gregorio con l'esempio seguente: "L'assedio di Gerusalemme, che poi è avvenuto realmente, crediamo sia stato figurato nelle parole e nei gesti del profeta, e tuttavia adesso, osservando quell'assedio, possiamo riferirci anche ad un altro assedio, quello interiore, che noi subiamo quotidianamente (illam itaque obsidionem qua Ierosolymorum civitas destructa est, iam factam novimus, sed nunc aliam intrisecus, quae cotidie agitur, requiramus" (ivi)


"Per lo più le parole della profezia raccontano fatti storici in modo tale da descrivere per mezzo di essi anche realtà mistiche.
 
(Verba prophetiae sic plerunque narrant historica, ut per haec etiam mystica describantur). 
 

Omelie si Ezechiele, I, XII, 20. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 379.

Gregorio  interpreta  il detto agostiniano presente nel suo Tractatus in Johannis Evangelium Tractatus
<Factum audivimus, mysterium requiramus>!



"L'uomo possiede ciò che insegna
se non si rallegra di essere conosciuto 
ma di essere utile 
(Tunc possidet homo quod docet, 
quando se non gaudet innotescere 
sed prodesse).
 

Chi parla in nome di Dio, 
dopo essere uscito fuori a parlare per l'utilità del prossimo, 
venga sempre richiamato dall'umiltà 
ad esaminare i segreti del proprio cuore 
 
(Is qui ex Deo loquitur, 
postquam pro utiliatate proximorum loquendo foras exierit, 
ex humilitate semper 
ad discutienda cordis sui secreta revocetur)".

Omelie su Ezechiele, I, XII, 12. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 371.



"Il profeta riceve l'ordine di uscire fuori e di andare in periferia. Cosa significa questo, se non che chiunque predica tanto più largamente riceve la grazia della dottrina, quanto più s'impegna nella fatica della predicazione unicamente per amore del prossimo (tanto largius doctrinae gratiam percipit, quanto se in labore praedicationis ex amore proximorum tendit)? Perciò uscendo fuori viene condotto verso una visione alta. Infatti quando egli illumina la cecità dell'ignoranza presente nel cuore degli altri col servizio della parola, la grazia di Dio innalza anche lui al livello di un'intelligenza più alta (quia unde in alienis cordibus ignorantiae caecitatem ministerio suae locutionis illuminat, inde eum superna gratia in altiori intellegentia exaltat). Siccome però il predicatore non può mai prescindere dalla propria interiorità e deve custodire l'umiltà e la purezza del cuore, è necessario che, dopo essere andato in periferia, rientri in casa, per verificare nella propria coscienza se è coerente con le cose che dice (post campum necesse est ut ad domum redeat, quatenus in his quae dicit qualis etiam ipse sit intra conscientiam agnoscat)... e anche perché il suo animo, entrato in se stesso, riposi in Dio, e non divaghi qua e là, avido di lode e di gloria, in balia di pensieri superficiali (ut apud seipsum in Deo animus quiescat, et non iam per exteriores concupiscentias in appetitu laudis et gloriae cogitationis mobilitate discurrat)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XII, 10. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.367-369.
Ritroviamo il Gregorio del duplice movimento esterno-interno in cui di fatto consiste la <caritas perfecta> perseguita con coerenza teologica e spirituale.


"Quando il sacerdote esce fuori verso il popolo deve deporre le vesti con le quali ha prestato servizio all'interno del santuario e indossare altre vesti; perché se resterà nel rigore della sua compunzione, permanendo nell'afflizione che aveva durante la preghiera, non sarà in grado di recepire neppure i termini dei problemi temporali degli altri (si in eo quem orationis tempore habuit maerore perduret, exteriorum verba suscipere non admittit). Infatti se succede questo, cioè se il pastore si rifiuta di ascoltare e soppessare le cose spicciole del quotidiano, come  farà il gregge ad affrontare da solo le sue difficoltà (quid grex de necessariis faciat, si audire atque perpendere et hoc quod praesens tempus exigit, pastor recusat)?... Pensate allora, fratelli miei, quanto sia faticoso il compito di una sentinella, se deve orientare il cuore verso le cose sublimi e subito dopo richiamarlo alle cose più infime (pensate rogo fratres carissimi quantus speculatori labor sit et ad sublimia cor tendere et hoc repente ad ima revocare). Infatti dovrà: da una parte rendere l'animo sensibile alle cose più alte della conoscenza; e dall'altro appesantirlo occupandosi dei problemi concreti e terra terra del prossimo (et in sublimitate cognitionis intimae extenuare animum, et propter exteriores causas proximorum, subito in cogitatione crassescere) ".
 
Omelie su Ezechiele, I, XI, 28. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 361.


"Dio misericordioso ci dona il tempo per pentirci (Misericors Deus tempus nobis ad paenitentiam relaxat), ma quando ci serviamo della pazienza della sua grazia per aggravare la colpa, questo stesso tempo, che lui ha disposto per perdonarci, lo volge a colpirci severamente (sed cum eius gratiae patientiam nos ad augmentum vertimus culpae, hoc ipsum tempus quod ad parcendum pie disposuit districtius ad feriendum vertit); in tal modo quando uno, anche dopo aver ricevuto il tempo opportuno, non vuole ritornare a lui, aumenta i misfatti di cui poteva liberarsi se si fosse convertito...Il reprobo infatti, abusando della bontà di Dio onnipotente, accumula collera su di sé per il giorno dell'ira, perché mentre riceve il tempo per pentirsi, e lui lo usa per peccare, trasforma in aumento di colpa la medicina stessa della grazia (reprobus...ipsum remedium gratiae vertit in augmentum culpae) ...Ma sia che il giusto cada nella colpa sia che il peccatore piombi nella morte, la sentinella deve temere d'essere coinvolta, per il suo silenzio, nella colpa di coloro che peccano (Sed sive iustus in culpa, sive peccator in mortem corruat, speculatori timendum est ne hunc ex suo silentio reatus peccantium pariter involvat)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, XI, 25. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 357).
Si tratta dunque di due responsabilità molto serie: una è quella del <reprobus> che non approfitta del tempo concesso da Dio per aprirsi alla grazia; l'altra è quella dello <speculator> che, col suo silenzio, si fa complice del peccatore che si precipita verso la perdizione senza che alcuno lo riprenda e faccia di tutto per salvarlo.


"E' necessario che chi parla si adegui sempre all'indole di chi ascolta (Necesse est ut semper sermo praedicantis cum auditorum debeat qualitate formari)... 
Anche l'agricoltore che getta il seme nella terra, prima studia la qualità del terreno per vedere se è adatto al seme, e soltanto dopo aver studiato la qualità del terreno, sparge il seme (et agricola qui semina in terram mittit prius terrae qualitatem praevidet quibus seminibus apta videantur, et postquam qualitatem praeviderit, tunc semina spargit)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, XI, 20. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 353).



"Per parlare di Dio occorre un animo pacificato e libero (Loqui de Deo quietae valde et liberae mentis est). Infatti la lingua si trasforma correttamente in discorso quando l'animo è in pace, privo di inquietudine e calmo. L'acqua agitata non può riflettere l'immagine di chi la guarda, riflettendosi in essa il volto di chi vi si specchia soltanto quando è perfettamente immobile (Tunc namque bene lingua dirigitur in sermone, cum secure sensus quieverit in tranquillitate, quia nec concussa aqua imaginem respicientis reddit, sed tunc in ea vultus intendentis aspicitur, cum non movetur)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, XI, 26. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 359).


"I timidi vanno ripresi con delicatezza, perché se vengono rimproverati con asprezza rischiano di essere non illuminati ma distrutti (Verecundae mentes leniter arguendae sunt, quia si asperius increpentur, franguntur potius quam erudiantur). Si sentirebbero invece incoraggiate a commettere colpe ancora più gravi, le persone dure e sfacciate, se fossero trattate anch'esse con delicatezza. (At contra mentes asperae atque impudentes, si increpatae leniter fuerint, ad maiores culpas ipsa lenitate provocantur)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XI, 17. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 349.


"Per chi è fragile ci si preoccupi soprattutto di questo: 
che ascolti quelle poche parole, 
che è in grado di capire, 
ma che siano tali da trafiggere il cuore 
per il dispiacere" 
 
(Hoc infirmis praecipue congruit, 
ut pauca quidem, 
et quae praevalent capere audiant, 
sed quae eorum mentem
 in paenitentiae dolorem compungant)". 

Omelie su Ezechiele, I, XI, 16. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 349.




" Sei responsabile della morte alla quale non ti opponi.
 
(Morti cui non contradicis, adiungeris)".
 
 
Omelie su Ezechiele, I, XI, 11. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 345.
 
"Colui che insegna deve pensare a:
ciò che dice
a chi lo dice, 
quando dirlo
come dirlo 
quanto tempo impiega per dirlo.
 
(Pensare etenim doctor debet:
quid loquatur
cui loquatur
quando loquatur
qualiter loquatur
quantum loquatur).
 
Se manca una di queste cose il suo discorso non raggiunge lo scopo.
 
(Si enim unum horum defuerit, locutio apta non erit).
 
Omelie su Ezechiele, I, XI, 12. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 347.


 
"Il responsabile non è senza colpa anche quando chi gli è stato affidato non muore per colpa sua (nec subiectus ex culpa praepositi moritur, nec praepositus sine culpa est)...E' vero infatti che l'empio merita la morte, ma è altrettanto vero che la sentinella è tenuta ad annunziargli la via della vita, rimproverandogli la sua empietà (Impio etenim mors debetur, sed ei a speculatore via vitae nuntianda est, et eius impietas increpanda est). Se invece la sentinella tace (si vero speculator taceat), l'empio morirà lo stesso a causa della sua iniquità, che non gli ha meritato neppure che gli fosse rivolta la parola della sentinella (ut dignus non esset ad quem speculatoris sermo fieret), ma il Signore ne chiederà comunque conto alla sentinella, che di fatto lo ha ucciso perché, tacendo, lo ha consegnato alla morte (Sed sanguinem eius Dominus de manu speculatoris requirit, quia ipse hunc occidit, quia eum tacendo morti prodidit)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XI, 9. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 343-345.
Papa Gregorio Magno, che pure era ritenuto dolcissimo e pieno di comprensione, veniva temuto simultaneamente da tutti, grandi e piccoli, per la sua  <severità>, quando erano in gioco le esigenze della <veritas in caritate>.



"La Parola di Dio mi costringe a parlare della vita di una sentinella (speculatoris). Tacere non posso, e tuttavia parlando ho una gran paura di ferirmi (Tacere non possum, et tamen loquendo me ferire pertimesco). Parlerò, sì parlerò, affinché la spada della Parola di Dio, passando attraverso di me arrivi a trafiggere il cuore del prossimo (Dicam, dicam ut verbi Dei gladius etiam per semetipsum ad confingendum cor proximi transeat). Parlerò, sì parlerò, affinché la Parola di Dio risuoni anche contro di me per mezzo mio (Dicam dicam, ut esse etiam contra me sermo Dei sonet per me). Io non nego di essere colpevole, vedo il mio torpore e la mia negligenza, ma forse la conoscenza della colpa sarà già in se stessa richiesta pressante di perdono presso il giudice buono (erit fortasse apud pium iudicem impetratio veniae ipsa cognitio culpae)".
 
Omelie su Ezechiele, I, XI, 5. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 341.
<Speculator> è una traduzione latina del termine greco <episkopos> che noi traduciamo abitualmente in italiano con <vescovo>!.


"Sa parlare davvero bene chi prima ha imparato bene a tacere(Ille loqui veraciter novit, qui prius bene tacere didicerit). La custodia del silenzio nutre, in un certo senso, la parola.(Quasi enim quoddam nutrimentum verbi est censura silentii). E in realtà riceve in dono, anche sovrabbondante, la parola chi prima, stando al suo posto, tace con umiltà" (Recte per excrescentem quoque gratiam sermonem accipit, qui ordinate ante per humilitatem tacet)". 
 
Omelie su Ezechiele, I, XI, 3. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 339).



"Tra gli altri prodigi della profezia, i libri dei profeti hanno anche questo di meraviglioso (hoc quoque mirandum habent libri prophetarum), che come in essi le cose vengono esposte con le parole (verbis res), così qualche volta si espongono le parole con i fatti (verba rebus), tanto che non solo i loro detti, ma anche i fatti sono profezie" (ut eorum non solum dicta, sed etiam res gestae prophetiae sint)...perché radice della parola è la forza dell'azione (quia radix verbi virtus est operis)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, XI, 1. 2. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 337).



"Quando la coscienza rimprovera se stessa (cum reprehendit semetipsam conscientia)...si compie nell'animo un travaglio capace di partorire la pace con Dio (fit rixa in animo parturiens pacem cum Deo)...Bisogna sapere però che può sperimentare questo amore del Signore con tutto il cuore, soltanto chi fa spazio allo Spirito santo nella sua vita (Sed sciendum quia nullus haec pro amore omnipotentis Domini ex toto corde agere praevalet, nisi is cuius animum Spiritus sanctus assumpserit)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 43.44. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 333).


"Quando le parole di Dio cominciano a risuonare nell'orecchio del cuore (in aure cordis sonare coeperint), lo spirito di chi ascolta, compunto dall'amore, si commuove fino a lacrimare (audientium spiritus ex amore compunctus ad lamenta commovetur). Per questo le parole della Sacra Scrittura acquistano sapore se il cuore è abitato dal silenzio (hinc est quod Scripturae sacrae verba fiunt in corde silentium sapida); per questo gli amanti le leggono abitualmente in silenzio quasi di nascosto senza alcun rumore (hinc est quod ab amantibus plerumque in silentio quasi furtive et tacite leguntur)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 39. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 329).



"Nella vita dei santi padri 
si fa conoscere il senso 
da scoprire nelle Scritture sacre
(In sanctorum patrum vita cognoscimus 
quid in Sacrae Scripturae volumine 
intellegere debeamus)
La loro condotta infatti è pagina in atto
di ciò che dicono i due Testamenti.
(Illorum quippe nobis actio aperit 
hoc quod in suis praedicationibus 
pagina Testamentorum dicit)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 38. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 327).


"Non viene dato tutto ad uno solo, perché non monti in superbia(Non uni dantur omnia, ne in superbiam elatus cadat), ma ad un altro è dato ciò che non è dato a te e a te è dato ciò che è negato a lui (sed huic datur quod tibi non datur, et tibi datur quod illi denegatur), affinché mentre lui constata che tu hai quel bene di cui è privo lui, ti ritenga superiore a sé (ut dum iste considerat bonum quod habes et ipse non habet, te sibi in cogitatione praeferat); e a tua volta tu, constatando che lui ha ciò che non hai tu, consideri te stesso inferiore a lui (et rursus dum tu habere illum conspicis quod ipse non habes, te illi in tua cogitatione postponas), così che si realizzi ciò che sta scritto: Stimatevi a vicenda gli uni superiori agli altri (Superiores sibi invicem arbitrantes) (Fil 2,3).
 
Omelie su Ezechiele, I, X, 32. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 323.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)