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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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07/11/2017 09:20
 
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Figaro Barbiere

La rivoluzione per la rivoluzione 

    
Caro Figaro, Siete ritornato! Sul piccolo schermo ho visto il vostro Matrimonio. Eravate il figlio del popolo, che coi privilegiati di una volta tratta ormai da pari a pari e col cappello in testa. Insieme alla vostra Susanna, rappresentavate la gioventù, che lotta perché le venga riconosciuto il diritto alla vita, all’amore, alla famiglia, alla giusta libertà. Di fronte alla vostra intraprendente "aria d’artista", al vostro brio aggressivamente e giovanilmente indiavolato, la nobiltà faceva la figura molto magra di classe frivola, decrepita e in via di disfacimento! Ho riudito il vostro celebre monologo. Dal palcoscenico dicevate pressapoco: "Ebbene, chi e che cosa sono io, per esempio, io Figaro, al cospetto di tutti questi nobili blasonati, di questi borghesi togati, che sono e fanno tutto, mentre in sostanza, non sono né migliori né peggiori di me? Barbiere, sensale di matrimoni, consigliere di pseudo-diplomatici, sissignori, tutto quel che volete! Ma io sono anche, e sento di essere, davanti a tutti costoro, qualcosa di nuovo, di forte. Essi pretendono ch’io solo sia onesto in un mondo di bari e di furfanti. Non accetto, mi ribello; sono un cittadino!"Quella sera, a Parigi, il teatro fu un subbuglio. La platea applaudì, ma la nobiltà, scandalizzata, si turò le orecchie. A sua volta, il Re turò a voi la bocca, mettendovi in prigione. Invano; dal palcoscenico e dalla prigione, voi siete saltato in piazza, gridando: "Signori! La commedia è finita, e la rivoluzione si mette in marcia!". E aprivate davvero Ia Rivoluzione francese.

***

Ritornando adesso, scoprirete che milioni di giovani fanno, su per giù, quello che avete fatto voi due secoli fa; si confrontano colla società e, trovandola decrepita, si ribellano e saltano in piazza. Lassù, a Liverpool in uno scantinato, è scritto: "Qui sono nati i Beatles! Qui tutto è cominciato!". Se non lo sapete, si tratta di quattro scapigliati e canori giovanotti, che avevano la vostra stessa "aria di artista" ed ai quali la Regina d'Inghilterra non solo non ha turato la bocca, ma ha conferito un’alta onorificenza. Essi hanno venduto milioni di dischi e fatto un sacco di soldi. Si sono fatti applaudire da platee ben più vaste della vostra: hanno determinato in tutto il mondo il sorgere di "complessi" nei quali, accompagnati da batterie e chitarre elettriche, giovani cantanti si agitano sotto la luce violentissima di lampade potenti, eccitano gli spettatori, surriscaldandoli psicologicamente e portandoli a gesti collettivi di parossistica partecipazione.

***

Guardatevi attorno! Parecchi di questi ragazzi portano il codino come voi e curano la chioma con impegno quasi femminile: con "shampoo" di tutti i tipi, con "onde", riccioli e perfino "messa in piega" presso parrucchiere per signora. E quante barbe! E basette e basettoni! E varietà di vestiti! Una vera miscela di vecchio e di nuovo, di femminile e di maschile, di oriente e di occidente! A volte, solo un paio di blue-ieans con una maglietta o maglione o giaccone di pelle. A volte calzettoni rinascimentali, giacché arieggianti a quelle degli ufficiali napoleonici con merletti settecenteschi e scarpe con fibbie ecclesiastiche. A volte calzoni e camicie a colori sgargianti, a fantasie floreali, ed in più "palandrane" zingaresche. A volte vesti volutamente lacere, che fanno pensare ad una mitica città di Barbonia. Per le ragazze, minigonna, short con maxi e midi cappotto ed altri aggeggi. Come li giudicate questi fenomeni? Per me, essi mi trovano incompetente e profano e, tuttavia, un tantino divertito e incuriosito, ma anche critico. La chiamano "musica dei giovani"; osservo, però, che il mercato discografico procura palate di milioni a furbi anziani! Si invocano spontaneità, anticonformismo e originalità in realtà scaltri "industriali dell’abbigliamento" manovrano il settore indisturbati e sovrani! Ci si dichiara rivoluzionari, ma le cure troppo minute dedicate alla chioma e all’abito rischiano di fare soltanto degli effeminati. Le ragazze, vestendo molto succinte, pensano all’eleganza e alla moda; io non voglio essere né manicheo né giansenista, ma penso mestamente ch’esse non aiutano affatto la virtù dei giovani. Naturalmente, questi giovani simpatizzano per la "rivoluzione", intesa come mezzo per far cessare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Alcuni ritengono inadeguate e controproducenti le riforme e giustificano la rivoluzione come unico mezzo per la giustizia sociale. Altri vogliono invece riforme sociali coraggiose e rapide; solo come mezzo estremo, ed in soli casi gravissimi ed eccezionali, accettano la violenza. Altri buttano via ogni scrupolo. "La violenza - dicono - si giustifica da sola e si deve fare Ia rivoluzione per Ia rivoluzione!". Mao-Tse-Tung ha detto ai cinesi: "Piantiamo la rivoluzione culturale, facendo piazza pulita dell’ideologia borghese rimasta nel marxismo!". Il francese Regis Debray ha detto ai sudamericani: "La vostra rivoluzione non può essere quella praticata altrove, con in testa un partito; la guerrilla di tutto il popolo, questa è la rivoluzione vera!". Da Mao e da Debray si è passati a Fidel Castro, a Giap e agli studenti del maggio francese: "Scopo della rivoluzione studentesca- diceva Cohn-Bendit - non è di trasformare la società, ma di rovesciarla". Evidentemente, caro Figaro, vanno più in là di voi e seguono i vostri epigoni: Castro, Che Guevara, Ho-Ci-Min, Giap e sognano di diventare dei guerrilleros ydesesperados. Con buone intenzioni, intendiamoci; ma, intanto, vengono strumentalizzati da altri; intanto, non avvertono che è utopia dividere radicalmente e senz’appello i buoni dai cattivi, la lealtà dal sopruso, il "progresso" dalla "conservazione"; non percepiscono che il disordine, in forza della "spirale della violenza", il più delle volte ritarda il progresso, seminando malcontento e odio.

***

E tuttavia, sia da voi che da essi qualche insegnamento discende. Questo, per esempio, che genitori, educatori, datori di lavoro, autorità, sacerdoti, dobbiamo ammettere di non essere stati perfetti nel metodo e nell’impegno con i giovani. Che s’ha da ricominciare con spirito di umiltà e di vero servizio, preparandoci a un lavoro minuto, lungo, non appariscente. Un mezzo matto aveva spaccato a colpi di bastone la vetrina ed altri oggetti di un negozio. La strada fu subito tutta piena di curiosi, che guardavano e commentavano. Poco dopo al negozio arrivò un vecchietto con una scatola sotto il braccio: si levò la giacca, estrasse dalla scatola colla, spago, arnesi e con pazienza infinita si mise a raccozzare cocci e vetri rotti. Finì dopo ore e ore. Ma, stavolta, nessuno si fermò in strada, a nessun curioso interessò il lavoro. Qualcosa di simile avviene coi giovani. Fanno chiassate e dimostrazioni, tutti guardano e parlano. Piano, piano, con fatica e pazienza, genitori ed educatori mettono a posto, colmano lacune, rettificano idee; nessuno vede o applaude.

***

Converrà che ci dimostriamo molto aperti e comprensivi verso i giovani e verso i loro sbagli. Gli sbagli, però, bisognerà chiamarli sbagli; e il Vangelo, presentarlo "sine glossa", senza cincischiarlo per amore di popolarità. Certe approvazioni non fanno piacere: "Guai a voi - dice il Signore - quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché così i vostri padri trattavano i falsi profeti" (Lc. 6, 26). I giovani, del resto, amano che si dica loro la verità e intuiscono l’amore dietro la parola amorosamente franca e ammonitrice. Dovremo anche accettare che i giovani siano diversi da noi anziani nel modo di giudicare, di comportarsi, di amare e di pregare. Anch’essi hanno - come l’avete avuta, Figaro, voi - una parola degna di ascolto e di rispetto da dire al mondo. Converrà accettare di dividere con essi il compito di fare avanzare la società. Con un’avvertenza: che essi premono di più sull’acceleratore e noi, invece, più sul freno; che in ogni caso, il problema dei giovani non va staccato dal problema della società; la loro crisi è, in parte, crisi della società.

***

Figaro! Voi siete stato acutissimo nel colpire abusi e debolezze; non altrettanto acuto nel proporre rimedi. Accurata, se pur con esagerazioni, la vostra diagnosi sulla società; ma carente la terapia. Eppure, per i giovani d’oggi e di tutti i tempi, la terapia esiste: far ora intravvedere che la risposta giusta ai quesiti che li assillano, più che Marcuse o Debray o Mao, l’ha data Cristo. Vogliono la fraternità? Cristo ha detto: Voi siete tutti fratelli! Hanno sete di autenticità? Cristo ha bollato con forza ogni ipocrisia. Sono contro l’autoritarismo e il dispotismo? Cristo ha detto che l’autorità è servizio. Contestano il formalismo? Cristo ha contestato le preghiere recitate solo meccanicamente, l’elemosina fatta per farsi vedere, la carità interessata. Vogliono la libertà religiosa? Cristo, da una parte ha voluto che "tutti gli uomini... giungessero alla conoscenza della verità", dall’altra non ha imposto nulla con la forza, non ha impedito la propaganda contraria, ha permesso l’abbandono degli Apostoli, il rinnegamento di Pietro, il dubbiodi Tommaso. Ha chiesto e chiede di essere accettato e come uomo e come Dio, è vero, ma non prima che avessimo controllato e visto ch’Egli era da accettare, non senza una scelta libera!

***

Che ne dite? La protesta di Figaro, più la proposta di Cristo, non potranno, unite, aiutare sia i giovani che la società? Lo credo con fiducia. 
Aprile 1972




Casella

La musica della riconciliazione 

    
Caro musico e amico di Dante, Quello che hai raccontato a Dante alle falde della montagna del Purgatorio sta per rinnovarsi. Vedendoti sbarcare alla spiaggia dell’Antipurgatorio, nella Pasqua del 1300, Dante si meraviglia forte: "Casella mio, è un pezzo che sei morto: come mai sei ancora qui, non ancora ammesso a quel Purgatorio, cui pure sei stato assegnato?".E tu: "E’ una storia lunga. Devi sapere che le anime purganti, appena staccate dal corpo, si radunano tutte in una specie di stazione ‘Prepurgatorio’ cioè ad Ostia, alla foce del Tevere. Là, un angelo nocchiero approda colla barca e carica chi gli piace e quando gli piace, conforme ai decreti di Dio. Io mi son presentato a lui più volte, ma invano. Per fortuna, da tre mesi,da quando cioè papa Bonifacio VIII ha proclamato il Giubileo, l’Angelo imbarca tutti quelli che vogliono salire; è una bazza, un tempo di larghezza e di gran misericordia; ne ho approfittato anch’io e son qui".

***

Al posto di papa Bonifacio c’è oggi papa Paolo VI. Anch’egli, caro Casella, indice un Giubileo, sia pure in condizioni un po’ diverse da quelle del 1300. Il tuo papa Bonifacio aveva alle spalle una tradizione piuttosto incerta; aveva si sentito dire di altri passati Giubilei, ma le investigazioni da lui promosse in proposito non avevano approdato a gran che.Un vecchio savoiardo di 107 anni raccontò che, fanciullo settenne, era venuto a Roma nel 1200 con il proprio padre e che questi si era fatto promettere dal figlio di tornare nella città eterna, per beneficiare di indulgenze straordinarie, se fosse ancor vivo tra cent’anni (!); altri due vegliardi di Beauvais dissero che un secolo prima era stata largita un’indulgenza plenaria.Tradizione o non tradizione, papa Bonifacio, rispondendo al desiderio di molti, si decise, firmò Ia sua famosa Bolla e si ebbe un Giubileo clamoroso: l’Europa intera nell’anno 1300 sembrò darsi convegno a Roma.Vi si confluì in folla, a piedi, a cavallo, trascinando sui carri i vecchi e gli infermi. Le basiliche dei santi Pietro e Paolo rimasero aperte di notte e di giorno. Gli stessi Cardinali, di buon mattino facevano le trenta visite prescritte per i romani di Roma; le ragazze, che a quei tempi rimanevano sempre chiuse in casa, compivano le visite di notte, sotto scorta fidata.Tra i pellegrini illustri, caro Casella, ci furono i tuoi conterranei toscani Dante, Giotto e Giovanni Villani. Quest’ultimo trasse dal pellegrinaggio, ce lo confida lui stesso, l’ispirazione a scrivere la storia della sua Firenze e tornò a casa con la fantasia piena degli spettacoli contemplati a Roma. "Fu, scrive, la più mirabile cosa che mai si vedesse, che al continuo in tutto l’anno durante, aveva in Roma oltre al popolo romano, duecentomila pellegrini, senza quegli ch’erano per gli cammini andando e tornando, e tutti erano forniti e contenti di vettovaglia giustamente, così i cavalli come le persone, e con molta pazienza e senza rumori o zuffe; ed io l posso testimoniare che vi fui presente e vidi. E dell’offerta fatta per gli pellegrini motto tesoro ne crebbe alla Chiesa, e i Romani per le loro derrate furono fatti ricchi" (Cronaca VIII, 36).A differenza di Bonifacio VIII, Paolo VI ha alle spalle una "tradizione giubilare" ormai lunga. La scadenza stabilita da Bonifacio e fissata nel motto "Annus centenus - Romae semper est jubilenus" (a Roma l’anno centesimo è sempre giubilare), fu presto cambiata: Giubileo ogni cinquant’anni e poi ogni venticinque, affinché, chi volesse, almeno una volta in vita potesse approfittare di questa grande grazia.E man mano che si venne avanti nei secoli, si progredì sia per i mezzi di trasporto, sia per il numero dei romei: treni, automobili, aerei poterono portare a Roma ben altro che i due milioni di pellegrini del 1300.Tuttavia, lo crederesti?, anche nel Giubileo del 1950 furono ben diecimila i pellegrini isolati venuti a Roma, in bicicletta, a cavallo, in canoa, su carrozzelle per invalidi o trascinate da cani, su barelle da infermi muniti di ruote.Silvio Negro cita il giovane Kurt Herming Drake, studente finlandese, partito da Helsinki in luglio e arrivato a Roma in novembre. Il barone Tritz don Gumpenberg, di 29 anni, quasi cieco, venne da solo a piedi dal suo castello di Poltmes, presso Monaco, e fece a piedi anche il ritorno, passando questa volta per Padova per devozione a sant’Antonio.Al suddetto Giubileo Pio XII aveva fissato un tema: "Gran perdono - gran ritorno". Paolo VI, invece, lancia il Giubileo col motto: "Riconciliazione!". Riconciliazione tra noi e Dio, tra noi e i nostri fratelli, sul piano personale e sui piano sociale.Un tema, un motto, che è tutto una musica e che tu Casella, se fossi qui, canteresti dolcemente come cantasti a Dante, che serbava del tuo canto un ricordo nostalgico si che, diceva, "la dolcezza ancor dentro mi suona".

***

Vera musica è il riconciliarsi con Dio e l’abbandonare la strada storta, larga e spaziosa, che conduce alla perdizione. Su questa strada passano a galoppo tutte le passioni umane cavalcate da quei cavalli d’Apocalisse, che hanno nome: brama e ingordigia esagerata, mai sazia di piaceri, di denaro e di onori. Chi cammina su di essa non può trovarsi bene.Il grande Tolstoi ha scritto di un cavallo, che, a mezzo della discesa, s’impunta e si ribella, dicendo: "Sono stufo di tirare la carrozza e di obbedire al cocchiere; mi fermo!". Padronissimo di farlo, ma pagherà salato. Da quel momento, infatti, tutti si mettono contro di lui: il cocchiere che lo frusta, la carrozza che va a sbattergli nelle gambe, i passeggeri che, nella carrozza, urlano ed imprecano.E’ così. Quando ci mettiamo nella strada storta e ci impuntiamo contro Dio, rovesciamo l’ordine, rompiamo il patto di alleanza col Signore, rinunciamo al suo amore, ci irritiamo contro noi stessi, scontenti di ciò che abbiamo combinato e rosicchiati dal rimorso.Caro Casella, è vero, qualcuno dice che le musiche si cantano e suonano benissimo anche sulla strada storta, respinge sdegnosamente la storiella di Tolstoi e afferma che nel peccato egli si sente più libero che mai. Io mi permetto di contraddirlo con due sole parole: “padrone” e “malattia”.Sì, il peccato diventa, volere o no, il padrone del peccatore. Può darsi che dapprima gli faccia complimenti e carezze, ma il peccatore resta suo schiavo e presto o tardi assaggerà il suo bastone.Quanto a “malattia”, ce n’è di due specie: ignote e palesi. Una piaga viva e lancinante fa male, ma almeno si sa che esiste e si cerca di curarla. Metti invece un tumore nascosto: ingrandisce, si propaga, tu non sai, tu ti illudi e assicuri gli amici di star benone: improvvisamente ecco la metastasi, l’irreparabile. E’ il caso di chi è carico di peccati e afferma di non averli e di non sentirli. Invece: avere un proprio bagaglio di peccati, ma sentirne il peso, decidere di cambiar strada sul serio, capovolgersi sul serio, gettarsi sul serio nelle braccia di Dio, quale musica, Casella mio!

***

Musica è anche la riconciliazione di noi coi fratelli.Ai tuoi tempi c’erano le lotte tra Guelfi e Ghibellini, tra Bianchi e Neri, tra Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi e non so quante altre fazioni. Il tuo amico Dante, sconsolato e amaro, scriveva:"Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi...vieni a veder la gente quanto s’ama!... Chè le città d’Italia tutte pieneson di tiranni, e un Marcel diventaogni villan che parteggiando viene".Oggi, caro Casella, succede lo stesso: tiranni esclusi, si vedono blocchi contro blocchi, nazioni contro nazioni, partiti contro partiti, correnti contro correnti, privati contro privati.Spesso si legge di attentati, di aerei dirottati, di banche assaltate, di bombe lanciate a bella posta per fare strage di inermi e di innocenti. Focolai di disordine sorgono un po’ dappertutto; si proclama la rivoluzione come unico rimedio ai mali della società e si educa la gioventù alla violenza.In mezzo a tutta questa confusione anarcoide e dissennata, davvero che la riconciliazione reinstaurata tra gli uomini sarebbe la musica la più desiderata e necessaria. Ad essa il Giubileo vuole portare un forte contributo con questa dinamica: "Riconciliatevi prima con Dio, rinnovando il vostro cuore, mettendo amore dove c’è odio, serenità dove c’è ira, desideri moderati ed onesti dove c’è cupidigia sfrenata.Una volta rinnovati e cambiati al di dentro guardate fuori con altro occhio e troverete un mondo diverso".E’ curioso infatti, caro Casella, come lo stesso mondo, con le stessissime cose, con gli stessi ambienti e con gli stessi abitanti possa diventare completamente diverso solo che, colla riconciliazione, vi si introduca l’amore e la pace, che dianzi mancavano.Lo dice il caso di quel generale coreano, che tu, esperto di armonie, capisci benissimo. Morto e giudicato, egli era stato assegnato al paradiso, ma, capitato davanti a san Pietro, gli venne un desiderio e lo espresse: metter prima, per pochi minuti, il naso dentro la porta dell’inferno, così, solo per farsi un’idea di quel triste luogo. “Accontentato!” rispose san Pietro.Si affacciò dunque alla porta dell’inferno e vide un’immensa sala con tante, lunghe tavole. Su di queste erano posate tante scodelle di riso cotto, ben condito, profumato, invitante. I convitati eran lì seduti, pieni di fame, due davanti ad ogni scodella, uno di fronte all’altro. Ma che? Per portare il riso alla bocca disponevano, alla maniera cinese, di due bastoncini, ma talmente lunghi che, per quanti sforzi facessero, neppure un grano di riso arrivava alla bocca. Qui era il supplizio, qui l’inferno. "Ho visto, mi basta!" disse il generale, ritornò alla porta del paradiso ed entrò.Stessa sala, stesse tavole, stesso riso, stessi bastoncini lunghi, ma i convitati erano allegri, si sorridevano e mangiavano. Perché? Perché ciascuno, colto il cibo coi bastoncini, lo porgeva alla bocca del compagno che gli stava di fronte e ci arrivava benissimo.Il pensare agli altri, invece che a sé, risolveva il problema, trasformava l’inferno in paradiso.Favola vera, caro Casella. Più che a star bene, diceva Manzoni, bisognerebbe pensare a far bene chè allora si starebbe tutti meglio!
Settembre 1973







[Modificato da Caterina63 07/11/2017 09:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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