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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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07/11/2017 09:57
 
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Paolo Diacono

Le smanie delle vacanze 

    
Illustre scrittore e storico,L’imminente Congresso Eucaristico Nazionale che si terrà nel Friuli (agosto 1972), mi ha fatto pensare a Voi, che, pur di stirpe longobarda, nel Friuli siete nato e che della vostra gente avete scritto con affetto di figlio.I Longobardi che vengono, son trascorsi ormai dodici secoli, in Italia ammontano a qualche centomila. Voi li descrivete avanzare lungo la via Postumia e vi paiono un formicaio in marcia.Se ritornaste adesso? Se un sabato o una domenica di luglio o agosto, seduto a passo Fadalto, vi metteste a contare le macchine, straniere e italiane, che scendono verso Caorle, Jesolo e Venezia, o che salgono verso il Cadore? Oppure, se vi sedeste al Brennero o su altri passi alpini ancora più congestionati di turisti?Se vi dicessi che nei soli giorni di ferragosto saranno un milione i milanesi che lasciano Milano, un milione i romani che lasciano Roma, una processione interminabile gli automezzi che procedono in tutti i sensi, a tutte le ore, su tutte le strade d’Italia?

Prevedo la vostra meraviglia e la domanda: "Ma dove va tutta questa gente?""Va al mare, ai monti, a visitare monumenti, curiosità naturali; va in cerca di fresco, di verde, di sabbia, di aria iodica o resinosa, di evasione!""E dove li alloggeranno?"Un po’ dappertutto: negli alberghi, nelle pensioni, nelle tendopoli o villaggi turistici, nelle “case per ferie”, nei motels, nei campings. Lo vedete quel coso a quattro ruote, rimorchiato dall’auto? E’ una roulotte, piccola casa viaggiante.Ai vostri tempi voi fermavate il cavallo e lo legavate a un albero; ai nostri, fermano l’auto e la roulotte, dove c’è un ciuffo d’alberi e scorre un ruscello; lì tirano fuori una bombola a gas con fornello e frigorifero portatile, preparano i cibi, consumano la cena seduti sull’erba, gustando il fruscio delle foglie mosse dal vento, il ronzare delle api e dei mosconi, il profumo dell’erba e dei fiori, il colore del cielo, il contatto immediato con la natura, che li inebria e placa nel medesimo tempo; nella roulotte, tra le altre cento cose, sono pronti i lettini pieghevoli con materassi di gommapiuma; la sera li stendono, vi dormono sopra tutta la notte, aspettando di venir svegliati dal canto degli uccelli; insomma vogliono, almeno per breve tempo, far un bagno nella natura, affogandovi le loro pene solite e dimenticando la città di cemento e di mattoni che li ha inghiottiti e li inghiottirà per lunghi mesi.Pare di vedervi, testa fra le mani, e mi pare di ascoltarvi: "Qui cambia tutto! C’è più frastuono che nelle antiche invasioni!
Gli uomini sono diventati come le chiocciole e si trascinano dietro la casa ed ora è la casa su ruote; ora è il piccolo telo bianco prima arrotolato dietro il seggiolino della moto, poi svolto, spiegato e alzato a mo’ di stanza; ora è quell’altra tenda azzurra, enorme, panoramica, illuminata di luce elettrica, fornita di radio e televisione ed allineata con altre tende, abitate da gente di ogni razza e di ogni lingua. E’ un’altra Babele! Rinuncio a scrivere!Voi fortunato! Io, pastore d’anime, invece, non posso rinunciare a scrivere; devo dire una parola almeno su qualcuno dei problemi di coscienza racchiusi in questo muoversi, vagabondare o andare in giro che chiamano, secondo i casi, weekend, ferie brevi, ferie, vacanze, turismo, villeggiatura. Abbiate la bontà di seguirmi con la coda dell’occhio mentre mi rivolgo ai lettori.

***

Per noi italiani un caso antico e classico di turista è il Petrarca, che fu anche alpinista e viaggiò il viaggiabile di quei tempi, dentro e fuori d’Italia, "in cerca di cari luoghi, di cari amici, di cari libri". Il viaggiare andava bene per la sua curiosità e sete di conoscenze, non per le sue finanze, tanto che il suo castaldo, Monte, brontolava spesso e gli diceva: "Tu non fai che andare in giro, ma ne avrai sempre le tasche vuote".Ecco una prima riflessione da fare: non c’è, talvolta, anche uno sperpero ingiustificato di denaro nel viaggiare in una determinata maniera, senza i dovuti limiti? Non si tratta di casi rari; le "smanie per la villeggiatura", che fanno fare il passo più lungo della gamba, si verificano oggi come ai tempi del Goldoni; ne vanno spesso di mezzo doveri di coscienza e virtù familiari come il senso di economia, il sapersi limitare, il risparmio.

***

Altra riflessione. Si dice che si viaggia per imparare, per estendere la propria cultura, per poter sostenere asuo tempo una conversazione con onore, per allargarsi l’anima con le bellezze artistico-naturali straniere. Tutte cose vere, a patto che il viaggio sia fatto con calma, con soste opportune, con la preparazione necessaria, con l’occhio aperto a indagare su elementi utili, essenziali. C’è anzi modo di migliorare moralmente, di sentirsi più piccoli in un mondo cosi vasto e bello, di essere più grati e vicini a Dio, più uniti ai nostri fratelli uomini.C’è però chi nei viaggi si infatua per cose da nulla, come quelli che, tornati da Roma, sanno raccontare solo di un certo vino dei Castelli e di certi piatti della cucina di Trastevere...C’è chi alla storia dei luoghi sembra negato, come la guida che aveva accompagnato il Fucini a veder Sorrento. "E adesso, disse lo scrittore, mentre mangio un boccone, andate un po’ ad informarvi dove sia la casa di Tasso!". La guida andò, tornò e riferì: "Signurì, quel signore non ce ne sta chiù!". C’è anche il turista fanfarone, che gonfia, inventa, fa strabiliare, descrivendo incidenti o meraviglie come fosse un Marco Polo, un Pigafetta o un Caboto...

***

Vacanza vuol dire riposo, distensione. Ma il riposo c’è chi lo sa prendere e chi non lo sa. E’ come lo spolverare: qualche donna di casa crede di spolverare, ed invece trasporta soltanto la polvere da un luogo a un altro.La famiglia che, per seguire la moda, arriva in un centro frequentatissimo di soggiorno in pieno ferragosto, quando gli alberghi sono zeppi, e deve alloggiarsi in una stanza o su letti di fortuna che possono essere anche un biliardo o una sedia a sdraio, non riposa affatto, ma cambia fatica con fatica, noia con noia.Quel signore percorre di domenica centocinquanta chilometri per raggiungere Cortina o Jesolo su una strada intasata di macchine; dopo la Messa una passeggiatina, il pranzo e quattro chiacchiere; poi torna indietro, alla guida della macchina, inserendosi in una fila interminabile di altre macchine, tentando o effettuando continuamente sorpassi complicati, schivando parafanghi, girando cu­ve difficili; se arriva sano e salvo a casa sua, ringrazi il Signore e dica che ha fatto gran movimento diverso dal solito, non dica che ha riposato.

Quanti tornano dalle ferie stanchi e annoiati, perché hanno scelto un posto troppo mondano o rumoroso o non hanno saputo misurarsi nelle gite o sono entrati nel "giro" di gente, che li ha trascinati a divertimenti, discorsi e discussioni eccitanti e stancanti!Ho accennato a strade intasate e macchine, a curve e sorpassi. E’ un grosso problema d’anima anche questo. Curioso, nessun guidatore che, in confessionale, mai dica: "Padre, ho messo in pericolo la vita mia e degli altri! ". Nessuno che dica: "Sono stato imprudente, sono stato ambizioso nel guidare".Eppure son molti quelli che, avvistata appena una macchina da lontano, dicono immediatamente e quasi giurano a se stessi: "La sorpasserò! ". Anche se è una spider, in salita! Loro devono sorpassare sempre, tutti, passare alla storia per i sorpassi. Oppure prendono in mano il volante dopo aver bevuto in abbondanza o quando sono troppo stanchi, depressi e con gravi preoccupazioni di famiglia o personali. E’ in gioco il quinto comandamento; non si sottolinea mai abbastanza la grave responsabilità di chi guida le potenti macchine di oggi sulle povere, strette, tortuose e battutissime strade di ieri.Il quinto comandamento non contempla solo i danni recati al corpo, ma anche quelli recati all’anima Col cattivo esempio. Il villeggiante o turista è osservato con occhio ammirato o almeno curioso specialmente dai più poveri e dai più giovani.

Di solito egli ragiona: "Ora, che sono fuori del mio ambiente, mi prenderò più libertà morali".Deve capovolgere il ragionamento: "Fuori, sono più osservato e pertanto starò ancora più a posto che a casa mia".E che gli occhi della gente siano aperti sui turisti, lo ebbe a sperimentare Renato Fucini, turista a Sorrento. La guida, che ho già citato sopra, si vantava con lui di sapere individuare il paese di provenienza dei forestieri. "Lei per esempio, disse, ho capito che è piemontese". "Ma no, io sono toscano, come mai non te ne sei accorto?". "Eccellenza, non avete detto brutte parole e non avete bestemmiato il nome santo di Dio. Come potevo pensare che foste toscano?".Ecco, sotto questo aspetto, i turisti li desidererei "piemontesi". E, viceversa, i paesi di soggiorno estivo, mi auguro che li scelgano così cristiani, di spirito, di tradizioni, di vita vissuta, da poter pressappoco dire di essi quello che scrisse la prima santa nordamericana, Elisabetta Seton, di un paesino toscano, in cui aveva soggiornato per breve tempo: "Vi assicuro che l’essere io diventata cattolica (prima era protestante) fu una semplice conseguenza dell’essere andata in un paese cattolico".Oltre il quinto, è in gioco anche il sesto comandamento del Signore. Mi riferisco al modo di vestire, al turismo giovanile misto, ai divertimenti sconvenienti di parecchi centri di villeggiatura, alle lunghe gite in automobile a due, fidanzati o non fidanzati che siano.Dicono, pei vestiti: "Ormai tutti fanno così!". Non è vero, non tutti fanno così, pur dovendosi ammettere con amarezza che famiglie buone all’apparenza stanno inspiegabilmente cedendo su questo punto. Fosse anche vero che molti o tutti fanno così, una cosa cattiva resta cattiva anche se la fanno tutti.

Dicono anche: "E’ caldo!".Ma ci sono sul mercato tipi di stoffa così leggeri che permettono di difendersi benissimo dal caldo, anche se l’abito è prolungato di qualche palmo. Quanto alle compagnie, alle gite solitarie in auto, non è un mistero per nessuno ch’esse sono occasioni di male. "La mia figliola è buona, sa stare a posto!", mi diceva una signora. "La sua figliola, signora, è debole come siamo tutti e dev’essere difesa contro la sua propria debolezza e inesperienza, tenendola lontana dal pericolo. Il peccato originale, purtroppo, non è un mito, ma una realtà dolorosa!".Dopo il sesto, viene il settimo comandamento. Un vescovo tedesco, alcuni anni fa, raccomandava di non sfruttare ingiustamente i turisti. La raccomandazione non è fuori luogo. M’è stato detto che una "Pro-loco" di montagna ha completato il paesaggio con una mucca di gomma gonfiata. Vista da lontano, bianca su un prato verde, con un grosso campano, finto anche quello, la mucca dà una nota di colore e serve di richiamo.Ilfatto, se vero, sarebbe ingenuità, più che truffa. E’ vero, invece, che in certi centri turistici, i prezzi salgono alle stelle nei momenti di punta. E’ vero che da qualcuno i villeggianti ospiti vengono considerati soltanto sotto l’aspetto commerciale: sono quelli che "portano soldi", che "hanno soldi" e "possono dar soldi". Non sempre invece si ricorda che sono gente che ha lavorato tutto l’anno, nelle fabbriche, negli uffici, nelle città umide e nebbiose; gente che ha appena quindici-venti giorni di pausa, con vero bisogno di riposo, di aria, di sole. Non sempre e non abbastanza si ricorda che sono fratelli, verso cui incombe l’obbligo di carità sentita e di ospitalità cordiale.A noi cristiani San Pietro raccomanda forte di essere "hospitales invicem" e aggiunge: "sine murmuratione": "Siate ospitali tra voi, senza brontolare!". Si potrebbe, in questa occasione, completare così: "Senza brontolare e senza... pelare!".

***

Ultimo pensiero: se andiamo in vacanza noi, il Signore non fa vacanza.Il suo giorno, la domenica, Egli lo vuole salvo, non profanato, in ogni caso, sia per il proprio onore esterno sia per il nostro interesse. Quando dico il "Suo giorno", non intendo solo quel pezzettino di giorno, che corrisponde alla messa ascoltata. La domenica cristiana è un giorno intero, che racchiude un complesso di cose: è Messa o Sacrificio divino partecipato attivamente (non solo ascoltato passivamente); è cura della propria anima nella quiete, nella riflessione, nell’accostarsi ai sacramenti; è istruzione religiosa, fatta ascoltando la parola del sacerdote e leggendo il Vangelo o altro buon libro; è presa di contatto con tutta la famiglia parrocchiale; è esercizio di carità verso i poveri, ammalati o bambini; è buon esempio dato e ricevuto; è il premio e la garanzia della nostra vita buona.Se siamo capaci di vivere bene la domenica è quasi certo, infatti, che vivremo bene nel resto della settimana. Per questo il Signore ci tiene tanto, per questo dobbiamo far di tutto per non lasciar scadere la domenica. Turismo o non turismo, in ferie o fuori ferie, la nostra anima soprattutto e prima di tutto!

***

Torno ancora a Voi, Paolo Diacono. Che vi pare della mia conclusione? E’ vecchia? E’ vecchia, ma vera e saggia, ci aiuta a diventare o a conservarci buoni; questo è quello che importa!
Agosto 1972



Risultati immagini per peguy charlesCharles Peguy

Noi siamo lo stupore di Dio!

    
Caro Péguy,  Il tuo spirito entusiastico, la passione di suscitatore e condottiero d’anime, mi sono sempre piaciute; meno certe tue ridondanze letterarie ora amare, ora ironiche, ora eccessivamente appassionate nella battaglia condotta contro gli uomini erranti del tuo tempo. Nelle tue pagine religiose c’è qualche tratto poeticamente (non dico teologicamente) felice: là, dove introduci Dio a parlare della speranza, per esempio. La fede degli uomini non mi stupisce, dice Dio, non è cosa sorprendente: io risplendo talmente nella mia creazione, che per non vedermi, questa povera gente dovrebb’ esser cieca. La carità degli uomini non mi stupisce, dice Dio, non è cosa sorprendente: queste povere creature sono cosI infelici, che, se non hanno un cuore di sasso, non possono che aver amore le une per le altre. La speranza, ecco quello che mi stupisce!D’accordo con te, caro Péguy, che la speranza stupisce. D’accordo con Dante ch’essa è uno attender certo. D’accordo su ciò che la Bibbia racconta di coloro che sperano.

Abramo non sapeva proprio perché Dio gli avesse ordinato di uccidere l’unico figlio; non vedeva da dove, morto Isacco, potesse venire la posterità numerosa che gli era stata promessa, eppure attendeva con certezza. Davide, avanzando contro Golia, sapeva benissimo che cinque sassi, pur lanciati da una mano espertissima di fonda, erano troppo poco di fronte ad un gigante bardato di ferro. Eppure attendeva con certezza e intimava al colosso blindato: Vengo da parte di Dio. Tra poco ti spiccherò la testa dal busto! Pregando con i Salmi, anch’io, caro Péguy, mi sento trasformato in uomo che attende con certezza: Dio è la mia luce e la mia salvezza, di chi temerà?... Anche se si accampa contro di me un esercito, non temerà il mio cuore. Anche se si leva contro di me la battaglia, anche allora io sono fiducioso!  

***

Come sbagliano, Péguy, quelli che non sperano! Giuda ha fatto un grosso sproposito il giorno in cui vendette Cristo per trenta denari, ma ne ha fatto uno molto più grosso quando pensò che il suo peccato fosse troppo grande per essere perdonato. Nessun peccato è troppo grande: una miseria finita, per quanto enorme, potrà sempre essere coperta da una misericordia infinita. E non è mai troppo tardi: Dio non solo si chiama Padre, ma Padre del figliol prodigo, che ci scorge quando siamo ancora lontano, che si intenerisce e, correndo, viene a gettarsi al nostro collo e a baciarci teneramente. E non deve spaventare un eventuale passato burrascoso. Le burrasche, che furono male nel passato, diventano bene nel presente se spingono a rimediare, a cambiare; diventano gioiello, se donate a Dio per procurargli la consolazione di perdonarle. Il Vangelo ricorda tra gli antenati di Gesù quattro donne, di cui tre non del tutto commendabili: Rahab aveva fatto la cortigiana; Thamar aveva avuto il figlio Phares da suo suocero Giuda e Betsabea era stata adultera con Davide.

Mistero di umiltà che queste parenti siano state accettate da Cristo, che siano incluse nella sua genealogia, ma anche, opino, in mano di Dio, mezzo per poterci assicurare: voi potete diventare dei santi, qualunque siano la storia della vostra famiglia, il temperamento e il sangue ereditato, la vostra situazione passata! Caro Péguy, sarebbe però sbagliato attendere, rimandare di continuo. Chi si mette sulla strada del poi sbocca nella strada del mai. Conosco qualcuno, che sembra fare della vita una perpetua "sala d’aspetto". Vengono e partono i treni e lui: "Partirò un’altra volta! Mi confesserò in fin di vita! ". Del "prode Anselmo" diceva il Visconti-Venosta:  "Passa un giorno, passa l’altro mai non torna il prode Anselmo". Qui abbiamo il rovescio: un Anselmo che mai non parte. La cosa non è senza rischio. Supponi, caro Péguy, che i Cinesi stiano invadendo l’Italia e avanzino distruggendo e ammazzando. Tutti scappano: gli aerei, le auto, i treni sono presi d’assalto. "Vieni!, grido io all’Anselmo, c’è ancora un posto sul treno, sali subito!". E lui: "Ma è proprio certo che i Cinesi mi faranno fuori, se resto qui?". "Certo no, potrebbero risparmiarti, potrebbe anche darsi che, prima del loro arrivo, passasse un altro treno. Ma sono possibilità lontane e si tratta della vita. Aspettare ancora è imperdonabile imprudenza! ". "Non mi potrò convertire anche più tardi?". "Certo, ma sarà forse più difficile di adesso: i peccati ripetuti diventano abitudini e catene, ch’è più difficile rompere. Adesso, subito, per favore! ". 

***

Tu lo sai, Péguy. L’attendere si basa sulla bontà di Dio, che traluce specialmente nel comportamento di Cristo, chiamato nel Vangelo "amico dei peccatori". Quale sia la dimensione di questa amicizia è noto: perduta una pecora, il Signore va in cerca fin che la trova: trovatala, se la pone tutto lieto sulle spalle, la riporta a casa e dice a tutti: Vi sarà più grande gioia in cielo per un solo peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza. La Samaritana, l’adultera, Zaccheo, il ladrone crocifisso a destra, il paralitico e noi stessi siamo stati cercati, ritrovati, trattati così. E questo è un altro stupore!

***

Ma ce n’è un altro ancora: l’attender certo della gloria futura, come dice ancora Dante. Fa stupore quella certezza messa accanto alla futurità, cioè alla lontananza sfumata. Eppure questa è, Péguy, la situazione di noi speranti. Ci troviamo sulla linea di Abramo, che, avuta da Dio la promessa di un paese fertilissimo, obbedì e "partì, dice la Bibbia, senza sapere dove andasse", ma sicuro lo stesso e abbandonato a Dio. Ci troviamo nello stato descritto da Giovanni Evangelista: "Già da adesso noi siamo figli di Dio, ma ciò che noi saremo non è stato ancora manifestato". Ci troviamo, come il Napoleone manzoniano, "avviati pei floridi sentier de la speranza", anche se non conosciamo bene la regione in cui i sentieri sboccano. La conosciamo almeno vagamente? O farneticava Dante, quando tentò di descriverla come luce, amore e letizia? "Luce intellettuale", perché la nostra mente vedrà lassù chiarissimamente quello che quaggiù aveva intravisto appena: Dio. "Amor di vero bene", perché i beni che amiamo qui sono un bene, goccioline, briciole, frammenti di bene, mentre Dio è il bene. "Letizia che trascende ogni dolore", perché non c’è paragone tra quella e le dolcezze di questo mondo. Concorda Agostino, che chiama Dio "bellezza sempre antica e sempre nuova". Concorda Manzoni: lassù... "è silenzio e tenebra la gloria che passò". Concorda Isaia nel famoso dialogo: "Grida! - Che cosa griderò? - Grida così: Ogni uomo è come erba e tutta la sua gloria è come fiore del campo. Si secca l’erba ed appassisce il fiore! ". Con questi grandi concordiamo anche noi, caro Péguy. Qualcuno ci chiamerà "alienati" poetizzanti e non pratici? Noi risponderemo: Siamo i figli della speranza, lo stupore di Dio! 
Agosto 1971





Penelope

Nella buona e nella mala sorte 

    
Principessa, La televisione ha fatto rivivere le vicende di Didone, che regnò a Cartagine negli anni in cui l’Altezza Vostra era sposa di Ulisse, re della petrosa Itaca. Vicende pateticamente umane. Sant’Agostino, che era vescovo proprio vicino a Cartagine, da ragazzo ci aveva pianto sopra e noi non le abbiamo risentite senza commozione. Povera Didone! Giura fedeltà alle ceneri di Sicheo, si sforza di contrastare l’insorgente inclinazione verso Enea, poi si abbandona fiduciosamente all’amore. Ma viene la tragedia: l’innamorata intravede che Enea si prepara a partire da Cartagine; inutilmente scongiura l’amato eroe di rimanere, inutilmente lo accusa di ingratitudine e di tradimento, Enea parte e l’abbandonata non sa resistere al dolore. Le fiamme del rogo, su cui si fa ardere, sono viste dalle navi troiane in rotta verso l’Italia. Più fortunata ed esemplare l’Altezza Vostra!

Il sagace Ulisse dal multiforme ingegno vi portò nella sua reggia dopo che ebbe solidamente impiantato il letto matrimoniale sul più vegeto ulivo. Aveste da lui Telemaco, un tesoro di figlio. 
E’ vero che Ulisse partì quasi subito per la lunga guerra di Troia, finita la quale (in grazia specialmente del famoso cavallo da lui fabbricato), fu costretto ad errare per i mari di mezzo mondo. Ma, nonostante le infinite peripezie, ebbe la ventura di tornare alla sua Itaca e al vostro amore. Il quale, frattanto, s’era serbato profumato e intatto. Quei noiosi pretendenti dei Proci, insediati in casa vostra e banchettando allegramente a vostre spese, vi incitavano bensì a scegliere fra essi un nuovo marito, ma Voi, dura! Loro banchettavano di sotto e Voi, nelle stanze superiori, colle vostre ancelle, facevate di giorno e disfacevate di notte quella famosa vostra tela per tenerli a bada e per difendere la fedeltà del vostro amore. Il cuore, i sogni di ogni notte vi dicevano che il marito sarebbe ritornato. Chi, allora, poteva mai essere l’audace, che pretendesse dormire sul guanciale di Ulisse, bere nella sua tazza, comandare al suo figliolo ormai cresciuto, cavalcare il suo cavallo, chiamare il suo cane? I Proci furono tutti saettati, la fedeltà fu ricompensata, la famiglia riunita, l’amore coniugale rinverdito.

***

Un amore, Principessa, che, sacro per voi, è ancora più sacro per noi cattolici. E fa male che ci si scherzi sopra. Montaigne, per esempio, presentava il matrimonio come una specie di gabbia dipinta e dorata: gli uccelli di fuori smanierebbero per entrarvi, quelli di dentro farebbero di tutto per uscirne. Il Concilio Vaticano II, invece, prende atto con piacere che "molti uomini alla nostra epoca danno grande valore al vero amore tra marito e moglie". Tra i passi biblici, ch’esso cita in calce, c’è il seguente, che pare scritto apposta per il vostro Ulisse ritornato: "Trova la gioia nella donna della tua gioventù: cerva amabile, gazzella graziosa!" (Prov. 5, 18), e non pensare più alla maga Circe, che nel suo palazzo ti ha irretito un anno intero con feste e pranzi; non pensare più alle grazie di Nausicaa, la ragazza appena vista sulle rive del fiume; se poi occorresse, fatti legare ancora una volta al fondo della nave per non lasciarti affascinare dal canto delle sirene! A Vostra Altezza s’addice invece il passo del Concilio, che parla di un amore coniugale "indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito, alieno da ogni adulterio e divorzio". Una meta, cui siete arrivata, praticando "la virtù fuori del comune", "la grandezza d’animo e lo spirito di sacrificio" accennate dal Concilio e superando i non pochi ostacoli, che si frappongono all’amore coniugale. 

E, primo, questo nostro povero cuore, così mobile e imprevedibile! Il coniuge prudente sa che bisogna tenerlo sotto controllo. Può succedere tuttavia che ci si illuda di poter talvolta allentare la sorveglianza, permettendo qualche "distrazione". E si dice: "E’ per un istante solo! Non uscirò dal mio recinto; darò solo un’occhiatina dal di sopra dei cancelli chiusi, così, per osservare come va la vita fuori! ". Si dà, invece, che i cancelli per caso si trovano aperti, che l’istante diventa un’ora e l’ora diventa tradimento. "Che pensate di fare?, scriveva San Francesco di Sales, eccitare amore, non è vero? Ma nessuno ne eccita volontariamente senza rimanerne, di necessità, preso; in questo gioco, chi prende è preso... Voglio prenderne, mi dirà qualcuno, ma non troppo. Ahimè... il fuoco d’amore è più attivo e invadente di quanto sembra; credete di riceverne solo una scintilla e rimarrete stupefatti, vedendo che in un lampo vi avrà incendiato il cuore, avrà ridotto in cenere i vostri proponimenti e in fumo la vostra reputazione".

***

Secondo ostacolo, la monotonia. Ogni giorno i coniugi sono presi dalle necessità prosaiche della casa e del lavoro. Lui teme che i suoi amici lo dicano debole se rinuncia alla partita per far compagnia alla sposa; lei crede di perdere tempo se sospende le sue faccende per chiacchierare un po’ con lui; e così arrivano ad ammettere che nella loro vita affettiva, tutto, press’a poco, sia stato detto, che il loro amore basta rimandi al passato e ai ricordi le proprie manifestazioni. In questa situazione, si corrono dei rischi: quelli degli anni quaranta, che Paul Bourget ha così profondamente analizzato nel romanzo "Il Démone meridiano". Venere o Adone vengono nella persona del collega o della collega d’ufficio, con cui ci si trova ad avere in comune più punti di vista che con il coniuge. Oppure sopravviene una curiosità vanesia: "Voglio provare se il fascino di una volta funziona ancora"; appurato che funziona, è quasi impossibile non lasciarsi trascinare. Oppure, mentre le sane convinzioni cadono a brandelli, ci si lascia prendere dalle mode del giorno: "Fanno tutti così! ". "Tradire una moglie, un marito? sono parole da melodramma; la cosa è molto più semplice: si tratta solo di cogliere una occasione, di spiccare una rosa! ". "Vocazione di coniuge alla fedeltà? Sì, ma a una multifedeltà: l’andare con questa, non mi fadiminuire la mia tenerezza per colei che è la madre dei miei bambini, che me li educa, mi tiene la casa, facendo ogni giorno la spesa, la cucina ecc.". Ci sono dei rimedi contro questo genere di pericoli?

Sì: il senso della nostra dipendenza da Dio, la preghiera che ottiene ciò che manca alla nostra debolezza e l’arte di rinnovare il proprio amore: il marito continui sempre a fare un po’ la corte alla moglie; la moglie cerca sempre di lusingare il marito, usando attenzioni e gentilezze. 
Scrive Francesco di Sales: "L’amore e la fedeltà, congiunte insieme, generano sempre l’intimità e la confidenza; per questo i santi e le sante sposati si sono scambiati molte reciproche carezze nello stato coniugale. Così Isacco e Rebecca (la più casta coppia di coniugi del tempo antico) furono scorti attraverso la finestra accarezzarsi in modo tale che, quantunque non ci fosse nulla di indecente, Abimelech si accorse che non potevano essere se non marito e moglie. l grande re San Luigi venne quasi rimproverato di eccedere in tali... piccole attenzioni richieste per ha conservazione dell’amore coniugale".

***

Terzo ostacolo, la gelosia, la quale non nobilita l’amore, come talvolta si crede, ma lo umilia e lo corrompe. "E’ un modo sciocco di vantare l’amore, il volerlo esaltare con la gelosia; la gelosia, è, si, indice della grandezza e forza dell’affetto, ma non della sua bontà, purezza e perfezione. Infatti, chi ha perfetto amore è sicuro che la persona amata è virtuosa e fedele; chi è geloso dubita della fedeltà della persona amata". Così San Francesco di Sales, che continua: "la gelosia finisce col guastare la sostanza dell’amore, perché produce contrasti e dissensi". I quali contrasti e dissensi rappresentano un quarto ostacolo dell’amore coniugale. Anche i migliori tra i coniugi hanno i loro momenti di stanchezza e di malumore, cui bisogna trovar rimedio senza rompere la pace. Lui è corrucciato e scuro? E’ il momento per lei di illuminarsi di dolcezza. Lei è nervosa e stanca? E’ la volta di lui di tenersi calmo, aspettando la schiarita. L’importante è che il nervosismo di lui e di lei non coincidano nel tempo e si sovrappongano, altrimenti si determina corto circuito, sprizzano lampi, sfuggono parole, certe volte troppo vere, di quella verità triste, che produce delusioni, rancori, ferite segrete. 

Giustizia vorrebbe, se proprio i brutti momenti non si possono evitare, che ciascuno dei due avesse il suo turno di brutto carattere. Purtroppo succede talora che uno dei due ne ha il monopolio! In questo caso... all’altro non resta che prendere il coraggio a due mani e cercare di avere il monopolio della pazienza!  ***Principessa, mi accorgo di avere accostato e fatto coincidere prassi e teoria, sovrapponendo ciò che voi, non cristiana, realizzaste con innato senso di onestà e delicatezza con quanto insegnò il vescovo Francesco di Sales illuminato dalla Bibbia e sorretto da grande introspezione psicologica. Potrà tutto ciò essere di qualche utilità ai coniugi di oggi, che si trovano in mezzo ad innegabili difficoltà? Lo spero. 
Marzo 1972





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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