3. Nello stesso documento tedesco troviamo una posizione molto significativa sul ruolo dei teologi in relazione al Magistero: "La concessione dell’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento viene usata indebitamente in termini di provvedimento disciplinare". Dunque, il Papa dovrebbe ritenersi vincolato dall’autorità del vescovo locale e delle autorità accademiche, e la scelta dei docenti di teologia in un’università non dovrebbe essere fatta con criteri "estranei alla scienza". Ma l’influenza di un teologo che insegna come teologo cattolico in un’università va ben oltre i confini della diocesi in cui l’università risiede, per tacere dell’influenza mondiale dei teologi tedeschi; il ruolo del Papa è quello di "confermare i suoi fratelli" (20), e i criteri "scientifici" in vigore nel mondo accademico profano non si possono considerare decisivi per la scienza sacra. In questa tesi sono contenuti tutti i presupposti per continuare ad accentuare quella secolarizzazione della teologia, che peraltro è già in atto da diverso tempo e i cui princìpi ispiratori si rivelano nel documento in esame con particolare chiarezza.
4. "Non pensiamo — dicono i firmatari italiani — che i teologi assolverebbero al loro compito semplicemente divulgando l’insegnamento del magistero e approfondendo le ragioni che ne giustificano le prese di posizione. Essi si pongono infatti al servizio della chiesa anche quando raccolgono e propongono le domande nuove dell’intelligenza che scaturiscono dalle situazioni nuove che la fede attraversa".
Il problema però è un altro: non si tratta di dire solo quello che dice il Magistero, ma di non dire niente contro. Si possono dire cose diverse, cose anche nuove, purché si sia sempre disponibili a lasciarsi giudicare da chi ne ha il carisma: "sub Ecclesiae Magisterii ductu", "sotto la guida del Magistero della Chiesa" (21), come dice appunto la lettera — e lo spirito — del Concilio Ecumenico Vaticano II che, a sostegno di questo passo, cita in nota l’enciclica Humani generis, pubblicata da Papa Pio XII il 12 agosto 1950, testo con cui la tesi dei teologi italiani vorrebbe entrare in polemica (22).
5. Un punto ampiamente frainteso dalla stampa nel documento italiano è quello relativo allo "stile" della missione della Chiesa, per cui essa "non solo a livello individuale, ma nella sua strutturazione istituzionale, nei suoi rapporti con gli stati, nello stile della sua predicazione, [...] non [...] [deve] farsi condizionare dalla logica mondana, ma dallo stile di Cristo, mite ed umile di cuore, povero, venuto per salvare la pecora perduta", e così via. Per lo più vi si è visto un dissenso nei confronti dei numerosi viaggi dei regnante Pontefice e delle imponenti manifestazioni di folla che li accompagnano, mentre in realtà l’allusione tocca un aspetto ben più sostanziale: quello della proposizione ferma e coraggiosa della verità e della sua conseguente traduzione in termini di cultura, che non si trova affatto in contraddizione con la virtù dell’umiltà e con lo stile di Cristo, come testimonia abbondantemente l’esempio di Chi, pur essendo "mite e umile di cuore" (Mt. 11, 29), parlava "come uno che ha autorità" (Mc. 1, 22), e neppure con il dialogo rettamente inteso, il quale non esclude una coscienza ben definita della propria identità né la "passione della verità", ma le presuppone.
Quanto è preso di mira con la tesi citata è piuttosto il chiaro programma pastorale enunciato per la Chiesa italiana da Papa Giovanni Paolo Il a Loreto: "Occorre superare [...] quella frattura tra Vangelo e cultura che è, anche per l’Italia, il dramma della nostra epoca; occorre por mano a un’opera di inculturazione della fede che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli di vita, in modo che il cristianesimo continui ad offrire, anche all’uomo della società industriale avanzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza.
"Ciò potrà avvenire solo a condizione che non si appiattisca la verità cristiana, e non si nascondano le differenze, finendo in ambigui compromessi [...].
"[...] Vorrei dire qui agli uomini e alle donne di questa grande Nazione: non abbiate paura di Cristo, non temete il ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia, nel pieno rispetto anzi della convinta promozione della libertà religiosa e civile di tutti e di ciascuno, e senza confondere in alcun modo la Chiesa con la comunità politica" (23).
6. Vi è però un punto centrale, soprattutto nel documento italiano, e cioè l’autorità del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il testo è attraversato dalla convinzione che il Magistero di questo concilio sia tradito dall’attuale Magistero pontificio. Alcuni gesti e prese di posizione non sono visti in sintonia con i dettami del concilio stesso. Viene poi valutato con preoccupazione il fatto che, da parte di qualcuno, si sia cercato di ridimensionare la sua autorità (24).
In proposito vanno fatte alcune osservazioni:
A. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha l’autorità che ha. Non si tratta di ridimensionarlo, ma semplicemente di attribuirgli l’autorità che la Chiesa ha voluto attribuire a esso, niente di più e niente di meno; e l’unica interpretazione autentica, anche in questo campo, è quella del Magistero, che, in definitiva, deve valutare il peso dei suoi atti. E il Magistero — in particolare quello del Papa — non è al di sotto del Concilio Ecumenico Vaticano II, se non in ciò che in questo concilio è definitivo — e in esso non vi sono definizioni in senso stretto — o definitivamente acquisito come termine di uno sviluppo dottrinale del Magistero precedente, e vi sono certamente tante affermazioni di questa portata. Ma nel Magistero del Concilio Ecumenico Vaticano II non vi è solo questo, dal momento che, come in tutti i concili e forse di più — posto il suo indiscutibile carattere accentuatamente pastorale —, vi sono in esso molte scelte contingenti, appunto di carattere "pastorale". Se il Magistero conciliare fosse al di sopra del Magistero pontificio non solo quanto al suo contenuto dogmatico, ma anche quanto ai suoi aspetti pastorali contingenti, si sarebbe di fronte a un super-concilio, ma un super-concilio non è più fonte di Magistero, ma solamente di ideologia.
Nel "tutto" Concilio Ecumenico Vaticano II vi sono due componenti:
a. vi è la riproposizione di insegnamenti definitivi del passato — per esempio, la dottrina sul primato pontificio proclamata dal Concilio Ecumenico Vaticano I — assieme a sviluppi dottrinali ormai irrinunciabili, come la dottrina sulla sacramentalità dell’episcopato o sulla posizione del laicato nella Chiesa o sul diritto alla libertà religiosa (25). Tutto questo non può cambiare, perché il Magistero non è magistero inventivo, ma tradizionale;
b. vi sono però anche scelte pastorali che lo sviluppo e l’esperienza successivi possono suggerire di cambiare. Dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II sono ormai trascorsi più di venticinque anni ed è ammessa da tutti un’accelerazione nel passare del tempo propria del mondo contemporaneo. E il dettato conciliare non può essere considerato un blocco monolitico, come prova con ogni evidenza un fatto, che ha provocato molte reazioni proprio negli ambienti più conservatori: infatti, contro l’esplicita prescrizione conciliare secondo cui "l’uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, [...] [doveva essere] conservato nei riti latini" (26), il Magistero seguente ha fatto altre scelte: quindi, allo stesso modo, scelte diverse possono essere fatte in altri campi.
B. Lo sganciamento del Concilio Ecumenico Vaticano II dal contesto che lo sostiene, che è il Magistero della Chiesa nella sua continuità, fino al Magistero vivente attuale, lo trasforma fatalmente in una realtà ideologica, che non nutre più la fede ma ne è parassita. Di fatto, nelle mani di una certa corrente teologica — di cui i firmatari dei manifesti sono un’espressione —, tale concilio è diventato un’arma impropria, come una chiave inglese, la cui funzione propria consiste nello svitare bulloni, ma che può venire impropriamente usata per spaccare la testa del prossimo... La funzione propria del Concilio Ecumenico Vaticano II è di essere un concilio della Chiesa cattolica, uno dei tanti, dotato di una sua autorità, in connessione organica con tutti gli altri concili e con tutte le altre espressioni della vita di fede della Chiesa: quando viene contrapposto al Magistero vivente della Chiesa, sospettato di essergli "infedele", viene snaturato e viene ad assumere una finalità che non è a esso propria, cioè quella di strumento per l’introduzione di un’ideologia nella vita della Chiesa; quando è sottratto al suo luogo naturale, cioè alla continuità della Tradizione e al controllo del Magistero vivente, anche per la sua vastità e per il suo carattere accentuatamente pastorale, diventa soggetto a tutte le interpretazioni più aberranti e si trasforma in un ideale arnese di scasso del Sacro Deposito.
A volte si ha l’impressione che il Concilio Ecumenico Vaticano II diventi il criterio unico, quando non anche esclusivo, per giudicare dell’ortodossia nella Chiesa. Allora non è più soltanto un super-concilio, ma anche un super-dogma, fra l’altro dimenticando, per l’occasione, l’importante dottrina sui gradi di certezza teologica che ci si affretta invece a richiamare allo scopo di rivendicare libertà nei confronti del Magistero pontificio in campo morale. Suscita veramente indignazione, da questo punto di vista, leggere nel manifesto dei teologi tedeschi che mons. Marcel Lefebvre ha "messo radicalmente in discussione lo stesso magistero", non tanto per il giudizio in sé e per sé, che è certamente corretto, quanto per il contesto in cui è inserito: infatti, se il prelato francese ha messo in discussione il Concilio Ecumenico Vaticano II e questo significa mettere in discussione radicalmente il Magistero, molti firmatari del manifesto hanno messo in discussione, in più occasioni, dogmi definiti e certamente "centrali" come la divinità di Gesù Cristo, la verginità di Maria e il peccato originale (27), e ora negano globalmente il Magistero ordinario della Chiesa, e questa sarebbe soltanto una proposta di "dialogo"...
7. Venendo finalmente al modo in cui sono stati presentati i manifesti, il disegno è evidente e consiste nell’esercitare una pressione sull’autorità della Chiesa facendo leva sul potere dei mass media, cioè attraverso un appello al "braccio secolare" del- l’opinione pubblica.
Non si tratta di una novità: il primo documento ecclesiastico in cui si usa la parola "Magistero ordinario", la lettera Tuas libenter, inviata da Papa Pio IX, in data 21 dicembre 1863, all’arcivescovo di Monaco di Baviera — dalla Tuas libenter il termine passa poi definitivamente nel vocabolario della Chiesa con il Concilio Ecumenico Vaticano I —, è una risposta al famoso discorso di Ignaz von Döllinger al congresso dei teologi cattolici, tenuto nel capoluogo bavarese nei mesi di settembre e di ottobre del 1863. Ignaz von Döllinger parlava di un "potere" della scienza teologica accanto a quello ufficiale dell’autorità ecclesiastica, un potere che si esercitava appunto attraverso l’"opinione pubblica" (28). Ma il copione è ancora più antico, dal momento che è stato un po’ il vezzo di tutti i teologi in rotta con l’autorità — si pensi a Guglielmo di Ockham — quello di far pressione sulla Chiesa attraverso il potere mondano: un ternpo poteva essere l’imperatore, oggi è il potere dei mass media e di chi li controlla. Anche allora il richiamo alla libertà favoriva, di fatto, l’asservimento della Chiesa al mondo. A costoro, oggi come ieri, bisogna avere il coraggio di rispondere: non abbiamo bisogno di maestri perché, quando siamo in comunione con colui che Cristo ha posto a fondamento della Chiesa, abbiamo l’unzione del Santo (29).
Pietro Cantoni
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(1) Cfr. anche Eb. 11, 6: "Senza la fede [...] è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano".
(2) San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIIa, q. 64, a. 2, ad 3.
(3) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, n. 5. La citazione nel testo è tratta dal Concilio Ecumenico Vaticano I, Costituzione dogmatica de fide catholica Dei Filius, cap. 2.
(4) Ricavo questa espressione da una meditazione del compianto cardinale Giuseppe Siri, un grande uomo di Chiesa caratterizzato da una straordinaria sensibilità ecclesiologica: cfr. i suoi Esercizi Spirituali, Edizioni Libreria Arcivescovile, Genova 1978, pp. 349 ss.
(5) San Clemente Romano, Lettera ai Corinti, XLII, 1-5, in I Padri apostolici, trad., introduzione e note di Antonio Quacquarelli, Città Nuova, Roma 1981, pp. 76-77.
(6) Ibid., XLIV, 1-2, p. 78.
(7) Melchor Cano O.P., De locis theologicis, l. V., cap. V, concl. 2, cit. in card. Charles Journet, L’Église du Verbe incarné. Essai de théologie speculative, vol. I, La hiérarchie apostolique, 3a ed., Desclée de Brouwer, Parigi 1962, p. 470.
(8) Brian Tierney, Ursprünge derpäpstlichen Unfehlbarkeit [Origini dell’infallibilità papale], in Hans Küng (a cura di), Fehlbar? Eine Bilanz [Fallibile? Un bilancio], Benzinger, Zurigo-Einsiedeln-Colonia 1973, p. 124.
(9) Cfr. Bernhard Häring, Chiedere l’opinione di vescovi e teologi, in Il Regno-Attualità, anno XXXIV, n. 2, 15-1-1989, pp. 1-4.
(10) Il documento è stato firmato il 6 gennaio 1989 e diffuso il 25 dello stesso mese. Mi sono servito dei testo tedesco pubblicato sul Deutsche Tagespost, del 28-1-1989, e delle traduzioni italiane comparse in Il Regno-Attualità, anno XXXIV, n. 4, 15-2-1989, pp. 71-74, e in ADISTA, anno XXIII, n. 11, 9/10/11-2-1989, pp. 3-6. Poiché le dichiarazioni successive non aggiungono pressoché nulla dal punto di vista contenutistico al documento tedesco, essendo apparse come attestazioni di solidarietà, i centocinquantasette teologi francofoni e i sessantadue spagnoli si potrebbero semplicemente sommare ai centosessantatrè firmatari della Dichiarazione di Colonia.
(11) Cfr. ADISTA, anno XXIII, n. 27, 10/11/12-4-1989, p. 5.
(12) Cfr. ibid., anno XXIII, n. 33, 4/5/6-5-1989, pp. 11-12. Restando valida l’osservazione fatta sopra, vale la pena di rilevare un passaggio proprio ai teologi spagnoli: "Il potenziamento, da parte di un importante settore della gerarchia, dei cosiddetti "nuovi movimenti" ecclesiali, di tendenza neoconservatrice, insieme al ripetuto discredito delle comunità di base, di tendenza progressista, sono sintomi chiari di regressione" (ibid., p. 12).
(13) Cfr. Lettera ai cristiani. Oggi nella chiesa..., in Il Regno-Attualità, anno XXXIV, n. 10, 15-5-1989, pp. 244-245.
(14) Ibid., p. 244.
(15) Cfr. Nessuna contestazione al magistero episcopale, intervista al teologo pisano don Severino Dianich, in Toscana oggi, 28-5-1989.
(16) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 11.
(17) Cfr. Carlos Cardona, La "jerarquía de las verdades" y el orden de lo real, in Scripta Theologica, vol. IV, n. 1, gennaio-giugno 1972, pp. 123-142. Fra i documenti che interpretano il dettato conciliare spicca il Direttorio Catechistico Generale, emanato dalla Sacra Congregazione per il Clero l’11 aprile 1971: "Nel messaggio di salvezza esiste una gerarchia delle verità, che la chiesa ha sempre riconosciuto, formulando simboli o compendi delle verità della fede. Ciò non significa che alcune verità appartengano alla fede meno di altre, ma che alcune verità si fondano su altre che sono più importanti e da esse sono illuminate" (Enchiridion Vaticanum, vol. 4, n. 519).
(18) Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIa IIae, q. 1, a. 6 ss.
(19) Il testo tedesco è effettivamente molto ambiguo: la frase "Wir wenden uns gegen die Verletzung dieser Lehre von den theologischen Gewißheitsgraden beziehungsweise von der "Hierarchie der Wahrheit"" può infatti essere tradotta — come ha fatto ADISTA — "Noi ci opponiamo alla violazione di questa dottrina dei gradi di certezza nei confronti della "gerarchia della verità"", il che significa equiparare i due punti di vista, oppure — come ha fatto Il Regno-Attualità — "Ci opponiamo a una prassi che [...] viola questa dottrina dei gradi di certezza teologica e della contestuale "gerarchia delle verità"", ponendoli su un diverso piano.
(20) Cfr. Lc. 22, 32.
(21) Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, n. 16.
(22) Papa Pio XII afferma in questa enciclica, facendo eco a Papa Pio IX, che "è compito nobilissimo della teologia quello di mostrare come una dottrina definita dalla Chiesa è contenuta nelle fonti" (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XII, p. 502). È evidente: 1. che questo non è il solo compito della teologia; 2. che il Concilio Ecumenico Vaticano II non ha affatto abrogato questa dottrina. Per rendersene conto basta confrontarla con la netta e inequivocabile affermazione della costituzione dogmatica Dei Verbum al n. 10: "L’ufficio [...] d’interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo magistero vivo della Chiesa", che cita in nota proprio l’enciclica Humani generis. Giuseppe Alberigo, uno dei promotori dell’iniziativa italiana, pretende invece, in un suo scritto di qualche anno fa, di accreditare il contrario, ma è costretto ad ammettere che il testo conciliare non è soddisfacente: "[...] è [...] chiaro che esiste un divario innegabile tra le indicazioni di Giovanni XXIII [che sarebbero state nel senso di un Magistero non più autoritativo] e le conclusioni conciliari, divario che ha impacciato considerevolmente i quindici anni del post-concilio, privandoli spesso di motivazioni e indirizzi chiari, grandi e univoci" (Dal bastone alla misericordia. Il magistero nel cattolicesimo contemporaneo (1830-1980), in Cristianesimo nella storia. Ricerche ecclesiologiche esegetiche teologiche, vol. II, n. 2, ottobre 1981, pp. 514-515). A me invece pare chiaro che per Giuseppe Alberigo il punto di riferimento non è più ciò che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha effettivamente detto, ma quello che avrebbe dovuto dire: insomma, il "para" o "meta-concilio". Lo stesso autore prosegue: "Le comunità confessanti hanno il diritto di riappropriarsi della fede anche nel senso di divenire soggetti — sotto la parola di Dio — della proclamazione evangelica e delle formulazioni che la rendono intelligibile e comunicabile. Nel loro seno i successori degli apostoli sono impegnati a riconoscere, discernere e autenticare, ma sempre nella consapevolezza che solo l’universale comunità dei credenti gode della fedeltà definitiva nella fede" (ibid., p. 518). Questa non è altro che la contraddizione formale del dogma dell’infallibilità del Magistero pontificio così come è formulato nella costituzione Pastor Aeternus del Concilio Ecumenico Vaticano I con la famosa postilla "ex sese non autem ex consensu Ecclesiae" (Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum, n. 3074), che Papa Pio IX volle fosse aggiunta all’ultimo momento proprio per ovviare a un’interpretazione di questo genere. Secondo il Concilio Ecumenico Vaticano I le definizioni del Papa sono irreformabili "per sé stesse", "ex sese", e "non per il consenso della Chiesa", "non autem ex consensu Ecclesiae". Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ripreso questa espressione e l’ha anche ampliata, precisando soltanto che il consenso della Chiesa non può mai mancare per l’azione dello Spirito Santo (cfr. costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 25). Nella Chiesa, dunque, l’ultima parola non sta nel consenso — peraltro sempre difficilmente verificabile e nient’affatto coincidente con l’"opinione pubblica" —, ma nel Magistero, ed è piuttosto il consenso a trovare nel Magistero la sua espressione autentica, oltre che la sua misura. Sul pensiero di Giuseppe Alberigo in questo tema, cfr. anche la voce Papa. I. Sviluppo storico, in Nuovo Dizionario di Teologia, a cura di G. Barbaglio e S. Dianich, 2a ed., Edizioni Paoline, Roma 1979, pp. 1108 ss. Questo esempio — a cui se ne potrebbero affiancare di analoghi a proposito di altri firmatari — fa capire quanto sia nel torto chi si è meravigliato per questa "improvvisa" levata di scudi. In realtà il "manifesto" non dice niente di nuovo, ma "manifesta" solo che la profonda crisi della teologia cattolica nel mondo non si è arrestata alle Alpi...
(23) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno della Chiesa italiana sul tema: Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, a Loreto, dell’11-4-1985, n. 7.
(24) Certamente si è avuto presente soprattutto quanto il card. Joseph Ratzinger ha affermato il 13 luglio 1988 a Santiago del Cile: "La verità è che lo stesso Concilio non ha definito nessun dogma e ha voluto in modo cosciente esprimersi ad un livello più modesto, meramente come Concilio pastorale; certo, molti lo interpretano come se fosse quasi il superdogma che toglie importanza a tutto il resto" (Il Sabato, anno XI, n. 31, 30-7/5-8-1988).
(25) Il valore di queste dottrine viene tutto dall’essere punti culminanti di un processo di sviluppo tradizionale e quindi dall’essere omogenee con questo stesso processo. Un’interpretazione dialettica, che le ponga in contraddizione con gli insegnamenti passati, mentre falsifica le intenzioni esplicite del concilio, toglie a esse, per ciò stesso, ogni autorità di Magistero. Sulla continuità del Magistero conciliare con la Tradizione in tema di libertà religiosa, cfr. Dominique-Marie de Saint-Laumer, Le droit a la liberté religieuse et la liberté de conscience, Société Saint-Thomas-d’Aquin, Chémeré-le-Roi, Ballée 1987; e Brian W. Harrison, Le développement de la doctrine catholique sur la liberté religieuse. Un précédent pour un changement vis-à-vis de la contraception?, Société Saint-Thomas-d’Aquin-Dominique Martin Morin, Chémeré-le-Roi, Ballée-Bouère, Grez-en-Bouère 1988.
(26) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione su la sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 36, § 1. Il n. 54 della stessa costituzione, in cui si parla di "un conveniente posto alla lingua volgare" o di "un uso più ampio della lingua volgare nella messa", non intendeva assolutamente contraddire o vanificare quanto proclamato al n. 36: cfr. Acta Synodalia Concilii Oecumenici Vaticani Secundi, vol. II, Periodus secunda, Pars II, Congregationes generales XL-XLIX, Poliglotta Vaticana, 1972, pp. 290-292.
(27) Per limitarsi soltanto al caso di Hans Küng ed Edward Schillebeeckx sui terni dell’infallibilità e del sacerdozio ministeriale che sono stati oggetto di interventi ufficiali, cfr. Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei, Declaratio Mysterium Ecclesiae circa catholicam doctrinam de Ecclesia contra nonnullos errores hodiernos tuendam, del 24-6-1973, in Enchiridion Vaticanum, vol. 4, nn. 2564-2589; Giovanni Paolo II, Epistula "Die umfangreiche Dokumentation" reverendissimis Germaniae occidentalis episcopis: de divino deposito fideliter custodiendo et infallibiliter declarando a Dei Filio ecclesiae concredito, del 15-5-1980, ibid., vol. 7, nn. 374-399; Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei, Epistula "Sacerdotium ministeriale" ad Ecclesiae catholicae episcopos de quibusdam quaestionibus ad eucharistiae ministrum spectantibus, del 6-8-1983, ibid., vol. 9, nn. 380-393; Sacrée Congrégation pour la doctrine de la foi, Lettre "LaCongrégation" au r. p. E. Schillebeeckx, o. p., del 13-6-1984, ibid., vol. 9, nn. 830-836. E questo "dialogo" non si è affatto limitato ai libri e agli articoli scientifici: a suo tempo suscitò parecchio scalpore la predica che Herbert Haag, uno dei firmatari più prestigiosi — con scritti tradotti anche in italiano —, tenne a Lucerna l’8 dicembre 1980, in occasione della festa dell’Immacolata Concezione: dopo aver premesso che "il privilegio di Maria di essere stata concepita e di essere nata senza peccato originale presuppone che tutti gli altri uomini sono stati concepiti e sono nati affetti da un peccato" e che "questa dottrina però oggi comincia a vacillare", proseguì per l’intera omelia adducendo tutte le buone ragioni per cui Immacolata Concezione, peccato originale ed effetti purificatori del battesimo erano credenze da lasciar cadere in nome dell’esegesi e della scienza moderne... (Das Neue Volk, 4/21-1-1981).
(28) Ignaz vo Döllinger, Rede über Vergangenheit und Gegenwart der katholischen Theologie [Discorso su passato e presente della teologia cattolica], in Verhandlungen der Versammlung katholischer Gelehrten in München vom 28 September bis 1. Oktober 1863 [Atti del Congresso dei dotti cattolici in Monaco dal 28 settembre al 1° ottobre 1863], Georg Joseph Manz, Regensburg 1863, p. 46. Cfr. anche Joseph Hoffmann, Théologie, magistère et opinion publique. Le discours de Döllinger au Congrès des Savants Catholiques de 1863, in Recherches de Science Religieuse, tomo 71, n. 2, aprile-giugno 1983, pp. 245-258.
(29) Cfr. 1 Gv. 2, 27.
Fraternamente CaterinaLD
"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)