CAPITOLO 18
Prosegue sullo stesso argomento e dice quanto i travagli dei contemplativi superino quelli di coloro che son dediti alla vita attiva, ai quali servirà di gran conforto ciò di cui si parla qui.
1. Io dico, dunque, figlie mie, a chi tra voi Dio conduce per questa via, che quelli che la seguono, per quanto ho visto e inteso io, non portano una croce più leggera, e che restereste sbalordite se sapeste per quali vie e per quali prove Dio li fa passare. Io conosco lo stato degli uni e degli altri e so quanto siano intollerabili i travagli che Dio dà ai contemplativi: essi sono tanto duri che non si potrebbero sopportare, se egli non li sostentasse con quel cibo di delizie. Ed essendo evidente che proprio coloro che Dio ama particolarmente sono da lui condotti per la via dei travagli, e tanto più grandi quanto più li ama, non c’è ragione di credere che egli aborrisca i contemplativi, specie perché li loda con la sua bocca e li considera suoi amici.
2. Ora, pensare che egli ammetta alla sua intimità gente amante dei piaceri ed esente da travagli è assurdo. Sono sicurissima che Dio assegna loro ben più difficili prove, e siccome li conduce per un cammino aspro e dirupato, in cui a volte sembra loro di smarrirsi, tanto che devono tornare indietro per cominciare di nuovo la strada, è necessario che Sua Maestà li sostenti, non già con acqua, ma con vino, affinché, inebriati, non si rendano conto di quel che soffrono e lo possano sopportare. Per questo, io vedo ben pochi veri contemplativi che non siano pieni di coraggio e risoluti a patire, perché la prima grazia che il Signore concede loro, se son deboli, è di infondere in essi coraggio e far sì che non temano sofferenze di qualunque genere.
3. Credo che coloro i quali sono dediti alla vita attiva pensino, non appena vedono gli altri oggetto di qualche favore, che si sempre così. Ebbene, vi dico che forse voi non potreste sopportare neanche un giorno ciò che essi patiscono. E siccome il Signore conosce tutti per ciò che sono, assegna a ciascuno il suo compito, quello che ritiene più conveniente alla sua anima, alla propria gloria e al bene del prossimo. E, se da parte vostra non manca la disposizione adatta, non abbiate paura che il vostro lavoro vada perduto. Badate che dico che tutte dobbiamo tendere a questo scopo, perché non siamo qui per altro; perciò, non dobbiamo limitare i nostri sforzi a un solo anno, o due o anche dieci, affinché non sembri che abbandoniamo per codardia quanto abbiamo intrapreso. Il Signore sa bene che non lasciamo nulla d’intentato, come soldati pronti ad eseguire qualsiasi ordine voglia loro dare il capitano, dovendo ricevere da lui la loro paga. E quanto meglio è pagato il nostro servizio dal nostro Re che da quelli della terra!
4. Quando li vede dunque presenti e desiderosi di servirlo, il capitano, che già conosce le attitudini di ciascuno dei suoi soldati, distribuisce i compiti secondo le forze; se non fossero presenti, certo non assegnerebbe loro nessun compito, né darebbe loro alcun premio.
Pertanto, sorelle, datevi all’orazione mentale, e chi non lo potesse fare, a quella vocale, alla lettura e ai colloqui con Dio, come dirò in seguito. Non lasciate di pregare nelle ore di orazione stabilite per tutte; non si sa quando lo Sposo ci chiamerà: non vi accada come alle vergini stolte. Può darsi che, pur riservandovi delle sofferenze, ve le faccia trovare piacevoli. In caso contrario, sappiate che non siete fatte per questo e che vi conviene attendere alla preghiera vocale; a questo punto interviene il merito dell’umiltà, se avrete la sincera convinzione di essere inabili anche nei riguardi di quello che fate.
5. Bisogna procedere con letizia nell’adempiere ciò che ci viene comandato, come ho detto, e se lo si fa con sincera umiltà, felice quella serva della vita attiva, la quale non mormorerà che di sé! Lasci alle altre le loro battaglie, che non son cosa da poco, perché anche in quelle in cui l’alfiere non combatte, non evita di correr un gran pericolo, e nel suo intimo deve soffrire più di tutti perché, portando la bandiera, non può difendersi e, anche se lo fanno a pezzi, non deve lasciarsela sfuggire dalle mani. Allo stesso modo i contemplativi devono tenere alta la bandiera dell’umiltà e sopportare tutti i colpi che possano essere loro inferti senza restituirne nessuno, perché il loro compito è quello di soffrire come Cristo, portare alta la croce, non lasciarsela sfuggire di mano, quali che siano i pericoli in cui si trovino né mostrare mai alcuna debolezza nella sofferenza: a tale scopo è stato loro affidato un così onorevole compito. Stiano dunque attenti a quello che fanno, perché, se abbandonano la bandiera, la battaglia sarà perduta; e credo anche che sia di gran danno per le anime non troppo progredite costatare che le opere di coloro che essi considerano capitani e amici di Dio non sono conformi all’ufficio che ricoprono.
6. Gli altri soldati tirano avanti come possono e a volte si allontanano dal luogo in cui vedono che li pericolo è maggiore, ma non se ne accorge nessuno, né essi restano disonorati, mentre questi hanno tutti gli occhi addosso, né possono fare alcun movimento senza essere notati. Pertanto il loro ufficio è di gran pregio e quegli che ne è investito dal Re riceve, sì, un grande onore e favore, ma nell’accettarlo non è piccolo l’onere a cui si obbliga.
Così, sorelle, non sappiamo quel che chiediamo: lasciamo fare al Signore. Pensare che ci sono alcuni i quali sembrano chiedere favori al Signore, appellandosi alla sua giustizia! Bel modo di praticare l’umiltà! Pertanto, fa bene colui che conosce tutti, concedendoli ben di rado a costoro; egli vede chiaramente che non sono pronti a bere il suo calice.
7. Il modo di capire, figlie mie, se siete progredite nella virtù, sta nell’esaminare ciascuna in se stessa se è la più miserabile di tutte e se lo dà a vedere con le opere, per il profitto e il bene delle altre; non se ha più gioia nell’orazione e nei rapimenti, o visioni o grazie di questo genere, che il Signore può concedere, e per conoscere il cui valore dobbiamo aspettare d’essere nel mondo di là. L’umiltà, invece è una moneta che ha sempre corso; è una rendita che non può mancare, un fondo perpetuo e non un censo redimibile come questi beni che ci possono essere dati e tolti. La vera ricchezza sta in una profonda virtù di umiltà e di mortificazione, in un’assoluta obbedienza, tale da non farci contravvenire d’un punto agli ordini del superiore, che sapete come sia davvero mandato da Dio, perché ne fa le veci.
L’obbedienza è ciò su cui dovrei intrattenermi di più, ma poiché senza di essa non si è religiose, e io parlo con religiose e a mio giudizio buone, o almeno che desiderano esserlo, non ne dirò nulla. È una cosa così nota e importante che non occorrerà più di una parola perché non abbiate a dimenticarla.
8. Voglio dire questo: chi è tenuta per voto all’obbedienza e vi manca, non adoperandosi con ogni cura ad adempierlo con la maggiore perfezione, non so perché stia in un monastero; io, per lo meno, le posso assicurare che, finché mancherà a questo suo voto, non arriverà mai ad essere una contemplativa e neanche osserverà bene i doveri della vita attiva. Ne sono assolutamente certa. Anche se si tratta di una persona che non abbia l’obbligo di questa osservanza, se desidera o pretende di arrivare alla contemplazione, bisogna, perché proceda con la sicurezza di essere sulla via giusta, che rimetta completamente la sua volontà a un confessore capace di comprenderla, giacché è cosa ormai ben nota che si trae più profitto in questo modo in un anno che, diversamente, in molti, ma, non essendo una raccomandazione necessaria per voi, non occorre che ne parli.
9. Concludo, figlie mie, dicendovi che queste virtù sono le virtù che io desidero in voi, quelle che dovete sforzarvi di possedere e quelle che santamente dovete invidiare. Non vi date pena di non avere le altre speciali forme di devozione: non sono un bene sicuro. Può darsi che in alcune persone vengano da Dio, mentre in voi Sua Maestà permetterà che sia un’illusione del demonio e che egli v’inganni, come ha fatto con altre. È cosa assai dubbia: perché voler servire il Signore per questa via, quando c’è tanto modo di farlo in ciò ch’è sicuro? Perché esporvi a tali pericoli?
10. Mi sono dilungata tanto in questo, perché so che è opportuno farlo, conoscendo la debolezza della nostra natura. Dio saprà rendere forti coloro che vorrà elevare alla contemplazione; se non lo vorrà, mi fa piacere di avervi dato questi consigli mediante i quali anche i contemplativi avranno di che umiliarsi.
Il Signore, per quello ch’egli è, ci illumini affinché possiamo seguire in tutto la sua volontà e non avremo nulla da temere.
CAPITOLO 19
Comincia a trattare dell’orazione. Parla alle anime che non possono discorrere con l’intelletto.
1. Sono passati tanti giorni da quando ho scritto le cose precedenti, senza aver avuto l’opportunità di riprendere a trattarne; se volessi sapere quel che dicevo, dovrei rileggerlo, ma per non perdere tempo, lascerò le cose come vengono, senza un ordine. Per le persone di buona intelligenza e per anime esercitate alla meditazione, che possono raccogliersi in se stesse, ci sono tanti ottimi libri, scritti da autori di così grande merito, che sarebbe un errore far conto di quello che dico io in fatto di orazione. Torno a ripetere: vi sono libri che presentano per ogni giorno della settimana i misteri della vita del Signore e della sua passione, le meditazioni sul giudizio, sull’inferno, sul nostro nulla e su tutto ciò che dobbiamo a Dio, esposti con dottrina e metodo eccellenti per ciò che riguarda il fondamento e il fine dell’orazione. A chi ha la possibilità di consultarli e ha l’abitudine di seguire questo metodo di orazione, non occorre dire che per un così buon cammino il Signore lo condurrà al porto della luce e che a tali buoni principi corrisponderà una fine non meno santa; tutti coloro che potranno seguirlo vi troveranno riposo e sicurezza perché, tenuto a freno l’intelletto, si procede in tutta pace.
Ma ciò di cui vorrei trattare e su cui dare qualche consiglio, se il Signore mi concedesse di colpire nel segno (e se non me lo concede, vorrei almeno farvi capire che vi sono molte anime che soffrono il tormento che sto per dire, affinché non vi pesi troppo se lo proverete anche voi), è questo:
2. Vi sono anime e intelletti così sbrigliati che somigliano a cavalli senza freno che nessuno può fermare: ora vanno qui, ora lì, sempre in agitazione, per loro stessa natura – o perché Dio permette sia così. Mi fanno molta pena, sembrandomi persone assetate che vedono l’acqua da molto lontano e quando vogliono recarsi lì a bere, trovano chi sbarra loro il passo al principio, alla metà e alla fine del cammino. Può darsi che quando, a furia di lottare – e con che dura lotta! – hanno già vinto i primi nemici si lascino vincere dai secondi e preferiscano morire di sete, anziché bere un’acqua che deve costare tanto. E se altri ne hanno a sufficienza per vincere anche la seconda schiera di nemici, di fronte alla terza perdono ogni forza, forse proprio quando erano a due passi dalla fonte d’acqua viva di cui il Signore, parlando alla Samaritana, disse che chi l’avesse bevuta non avrebbe avuto più sete; e con quanta ragione e verità, quale si conviene a parole pronunciate dalla bocca della verità stessa! È proprio così: l’anima, dissetandosi a quell’acqua, non avrà più sete delle cose di questa vita, mentre la sete per le cose dell’altra vita cresce in misura assai maggiore di quanto quaggiù possiamo immaginare in virtù della sete naturale. Ma con quanto ardore si desidera avere questa sete! L’anima, infatti, capisce il suo grande valore; benché sia una sete penosissima, estenuante, trae con sé lo stesso appagamento che ne estingue l’arsura; pertanto è una sete che non uccide se non il desiderio delle cose terrene, anzi sazia in modo tale che, quando Dio la soddisfa, la più grande grazia che può fare all’anima è lasciarla ancora con questa sete – più beve di quest’acqua e più desidera berne.
3. L’acqua – mi viene ora in mente – ha tre proprietà che fanno al mio caso, fra le molte altre che certamente possiede. Una è quella di rinfrescare; infatti, per quanto caldo si abbia, gettandoci nell’acqua, esso scompare; anche un gran fuoco si estingue con essa, salvo che non sia di catrame, perché allora si accende di più. Oh, mio Dio, quale meraviglia è vedere un fuoco che si accende di più con l’acqua, un fuoco forte, potente, non soggetto agli elementi, giacché l’acqua, pur essendo il suo contrario, non lo spegne, ma lo alimenta! Sarebbe molto utile qui poter parlare con chi sapesse di filosofia perché, conoscendo le proprietà delle cose, potrebbe darmi le spiegazioni necessarie, mentre io mi concedo il lusso d’intrattenermi su ciò che non so dire e forse neanche capire.
4. Dal momento in cui Dio, sorelle, vi conduce a bere di quest’acqua – e ve ne sono fra voi che già la devono –, lo farete di gran gusto, e capirete come il vero amor di Dio, se è nella sua piena forza, cioè ormai spoglio interamente di aspirazioni terrene, librandosi a volo sopra di esse, sia il padrone di tutti gli elementi e del mondo; l’acqua che proviene dalla terra, non temete che possa estinguere questo fuoco d’amor di Dio: non ha potere su di esso. Anche se sono elementi contrari, esso è ora signore assoluto e non le è soggetto. Pertanto non vi meraviglierete, sorelle, se insisto tanto in questo libro a esortarvi ad acquistare tale libertà. Non è una bella cosa che una povera monaca di San Giuseppe possa giungere a signoreggiare su tutta la terra e sui suoi elementi? E quale meraviglia può destare il fatto che i santi, con l’aiuto di Dio, facessero di essi ciò che volevano? A san Martino ubbidivano il fuoco e le acque, a san Francesco perfino gli uccelli e i pesci, e così è stato per molti altri santi. Si vedeva chiaramente che, se avevano tale dominio su tutte le cose della terra, ciò si doveva al fatto che si erano adoperati attivamente a disprezzarle, assoggettandosi sinceramente, con tutte le loro forze, al sovrano del mondo. Pertanto, ripeto, l’acqua che nasce dalla terra è impotente contro tal fuoco, le cui fiamme sono molto alte e la cui origine non risiede in cosa tanto bassa. Ci sono altri fuochi di un debole amor di Dio, che si estingueranno per qualunque evento, ma questo assolutamente no; anche se un mare di tentazioni gli si rovesci addosso, non riuscirà a farlo cessare di ardere in modo tale che non finisca per dominarle.
5. Se poi si tratta di acqua che piove dal cielo, questa sarà ancor meno in grado di spegnerlo, perché non si tratta più di elementi contrari, ma provenienti dallo stesso luogo; non temete che si danneggino, anzi l’uno concorre all’effetto dell’altro, perché l’acqua delle vere lacrime (che sono quelle che sgorgano durante la vera orazione, concesse certamente dal Re del cielo) ravviva il fuoco e lo fa durare, mentre il fuoco aiuta l’acqua a raffreddarsi. Oh, mio Dio, che cosa straordinaria e meravigliosa è vedere un fuoco che raffredda! Proprio così, e raggela anche tutte le affezioni del mondo, quando è unito all’acqua viva del cielo, che è la fonte da cui sgorgano le lacrime delle quali ho parlato, donate da Dio, non procurate con il nostro sforzo. Non c’è, quindi, dubbio che quest’acqua ci tolga ogni brama delle cose del mondo e c’impedisca di soffermarci in esse, tranne che non sia nell’intento di comunicare con questo fuoco che, per sua natura, tende a non contentarsi di poco ma, potendolo, a far ardere tutto il mondo.
6. La seconda proprietà dell’acqua è «lavare ciò che non è pulito». Se non ci fosse acqua per lavare, che sarebbe del mondo? Sapete voi quanto deterga quest’acqua viva, quest’acqua celestiale, quest’acqua chiara, quando nulla l’intorbida, nulla l’infanga, quando cade dal cielo? Un’acqua che, bevuta una volta, sono certa che lascia l’anima netta e pura d’ogni colpa, perché – come ho scritto altrove – Dio non concede che si beva di quest’acqua (che non dipende dalla nostra volontà, essendo tale divina unione una grazia del tutto soprannaturale), se non per purificare l’anima e lasciarla netta, liberandola dal fango e da ogni miseria in cui, per le sue colpe, era invischiata. Invece le altre gioie che ci vengono dalla mediazione dell’intelletto, malgrado tutto, attingono a un’acqua che scorre sulla terra; non si beve direttamente alla sorgente. Pertanto, non manca mai lungo questo cammino qualcosa di fangoso che ne ostacola il corso e non è più tanto pura né limpida.
Io non chiamo «acqua viva» questa orazione che – ripeto –, secondo il mio parere, si fa con l’aiuto dell’intelletto, perché, nonostante tutti i nostri sforzi, resta sempre attaccato alla nostra misera natura qualcosa, lungo il cammino, di ciò che non vorremmo.
7. Voglio spiegarmi meglio: noi stiamo meditando sul mondo e sulla caducità di tutti i suoi beni per disprezzarli e, quasi senza rendercene conto, ci troviamo invischiati in cose che di esso amiamo. Desiderose di fuggirle, quanto meno ci è di qualche impaccio pensare com’è stato, che cosa avverrà, che cosa si è fatto e che cosa si deve fare; così che, nel pensare a ciò che fa al caso nostro per liberarci dal pericolo, a volte vi incorriamo di nuovo. Non dico con questo che bisogna rinunciare a tali riflessioni, ma che v’è ragione di temere e che bisogna essere molto cauti.
A questo punto, si prende cura di ciò lo stesso Signore che non vuol fidarsi di noi. Stima tanto la nostra anima che nel tempo in cui la favorisce delle sue grazie non le permette d’invischiarsi in cose che possano nuocerle, ma subito l’avvicina a sé. In un istante le rivela più verità e le dà più chiara conoscenza di tutte le cose del mondo di quanta non potrebbe acquistarne in molti anni, quaggiù, dove la nostra vista non è libera, accecate come siamo dalla polvere che solleviamo durante il cammino. Qui, invece, il Signore ci porta al termine della giornata, senza che ce ne accorgiamo.
8. La terza proprietà dell’acqua è che «sazia e toglie la sete», perché a me sembra che sete voglia dire desiderio di una cosa di cui si ha tanto bisogno: se ci manca del tutto, ne moriamo. È strano che se ci manca moriamo, e se è di troppo, ci dà ugualmente la morte, come avviene degli annegati. Oh, mio Signore, potersi vedere così immersa in quest’acqua viva da perderci la vita! Forse ciò non è possibile? Sì, perché l’amore e il desiderio di Dio possono aumentare a tal punto che la nostra natura umana non riesca a sopportarlo, pertanto ci sono state persone che ne sono morte. Io so di una che se Dio non l’avesse sollecitamente soccorsa con quest’acqua viva in tale abbondanza da farla quasi uscire da sé mediante i rapimenti, si sarebbe trovata esposta a questo rischio. Dico che la faceva quasi uscir da sé, perché così l’anima trova il suo riposo. Sembra che, asfissiata dall’insofferenza del mondo, risusciti in Dio, e Sua Maestà la renda capace di godere tanto che, restando in sé, non potrebbe godere senza morire.
9. Da qui si può vedere che, non essendoci nulla nel nostro sommo Bene che non sia perfetto, tutto ciò che egli ci dà è per il nostro bene, e per quanto abbondante possa essere quest’acqua di cui ci fa dono, non può mai essere eccessiva, venendo da lui. Se, infatti, dà molto, rende l’anima capace – come ho detto – di bere molto, allo stesso modo di un vetraio che fa il vaso della misura necessaria per contenere ciò che vuole mettervi dentro.
Quando il desiderio viene da noi, non è mai esente da imperfezione. Se ha in sé qualcosa di buono, ciò si deve all’aiuto del Signore. Ma siamo così poco discreti che, essendo una pena dolce e piacevole, non crediamo mai di esserne sazi; ce ne alimentiamo a dismisura, stimoliamo con tutte le nostre forze questo desiderio e pertanto, alcune volte, ne moriamo. Morte felice! Ma, forse, vivendo, si sarebbero aiutati altri a morire del desiderio di questa morte. E credo che si tratti di un’insidia del demonio, il quale capisce il danno che gli può venire da queste anime, se restano in vita; pertanto le induce a inopportune penitenze per privarle della salute, il che non è poco per lui.
10. Avverto, quindi, l’anima che giunge ad avere questa sete così impetuosa, di stare bene in guardia, perché può esser certa che incorrerà in tale tentazione; anche se non muore di sete, perderà la salute e lascerà trapelare, pur non volendolo, sentimenti che dovrebbe evitare a ogni costo di far conoscere. A volte la nostra diligenza servirà a poco, perché non potremo nascondere tutto quel che vogliamo; abbiamo almeno l’avvertenza, quando ci assalgono questi impeti così grandi, che fanno crescere tale desiderio, di no aumentarli, ma di arrestarli dolcemente, mediante qualche altra considerazione, perché a volte sarà forse la nostra natura a operare tanto quanto l’amore. Vi sono infatti persone che qualunque cosa, sia pur cattiva, la desiderano ardentemente. Non credo però che ciò accada a quelle dotate di gran mortificazione, virtù utile in tutto. sembra una stoltezza dover frenare un desiderio tanto buono, eppure non lo è, perché io non dico che bisogna annullare il desiderio, ma moderarlo con un altro che forse ci farà guadagnare altrettanto merito.
11. Voglio aggiungere ancora qualcosa per farmi capire meglio. Viene un gran desiderio di vedersi con Dio, liberi da questa prigione del corpo, come l’aveva san Paolo; nasce, di conseguenza, una pena che dev’essere in sé piacevole. Ci sarà quindi bisogno di non poca mortificazione per frenarla, e non ci si riuscirà del tutto. Ma qualora si vedesse che è così forte da togliere quasi l’uso della ragione (come io ho costatato poco tempo fa in una persona impetuosa per natura, anche se abituata a spezzare la sua volontà al punto che mi pare l’abbia perduta del tutto, come si è potuto notare in varie circostanze – io l’ho vista per un attimo come fuor di sé per la gran pena e per lo sforzo di dissimularla), dico che in tali estremi, quando anche si trattasse dello spirito di Dio, sono d’avviso che sia umiltà temere perché non dobbiamo pensare che la nostra carità sia tale da porci in tali angustie.
12. E aggiungo che non ritengo sia male per l’anima (se – ripeto – può farlo, perché forse non potrà sempre farlo) mutare l’oggetto del suo desiderio, pensando che, vivendo, servirebbe meglio Dio e forse anche aiuterebbe qualche anima destinata a perdersi; servendo di più Dio, meriterà, come le è possibile, di godere più di Dio; e non ometta di temere per il poco che lo ha servito. Sono, questi, buoni motivi di conforto di fronte a un così gran tormento e serviranno a mitigare la sua pena e a farle guadagnare molti meriti, poiché proprio nell’intento di servire il Signore si vuole soffrire quaggiù e partecipare in vita alle sue pene. È come se, vedendo qualcuno sotto il peso di una difficile prova e di un gran dolore, lo si consolasse dicendogli di aver pazienza e di abbandonarsi nelle mani di Dio, adempiendo la sua volontà, perché rimettersi a lui è la cosa più sicura in ogni circostanza.
13. E se il demonio ha favorito in qualche modo tale sfrenato desiderio? Ciò sarebbe possibile, come mi pare che racconti Cassiano, a proposito di un eremita di asprissima penitenza, che, per il desiderio di vedere quanto prima Dio, fu istigato dal demonio a gettarsi in un pozzo. Sono certa che quest’eremita non doveva aver servito il Signore con umiltà e perfezione, perché il Signore è fedele e non avrebbe permesso che si accecasse nei riguardi di una cosa tanto evidente. È chiaro che se il desiderio gli fosse venuto da Dio, lungi dal nuocergli, gli avrebbe dato luce, discrezione, equilibrio. È fuori dubbio che, siccome questo avversario mortale cerca di nuocerci con tutti i mezzi, ed è sempre vigile, dobbiamo procurare di esserlo anche noi. È questo un punto molto importante per molte cose, soprattutto per abbreviare il tempo dell’orazione, per quanto piacevole sia, quando si vede che cominciano a mancare le forze fisiche o si sente la testa stanca. In tutto è molto necessaria la moderazione.
14. Perché credete, figlie mie, che io abbia voluto parlarvi del fine a cui siamo chiamate e mostrarvi il premio che ci attende prima della battaglia, parlandovi del bene che consegue dal giungere a bere alla fonte celeste di quest’acqua viva? È stato perché non vi affliggiate per le difficoltà e le contrarietà che presenta il cammino, ma procediate in esso con coraggio e non vi stanchiate. Difatti, come ho detto, può darsi che dopo essere arrivate alla meta, quando non vi manca che abbassarvi per bere, abbandoniate tutto e perdiate questo bene, disperando di avere la forza di raggiungerla e di essere degne di tale dono.
15. Pensate che il Signore invita tutti. Poiché egli è la stessa verità, non c’è da aver dubbi. Se il suo invito non fosse generale, non ci chiamerebbe tutti, e quand’anche ci chiamasse, non direbbe: «Io vi darò da bere». Avrebbe potuto dire: «Venite tutti, perché, infine, non perderete nulla, e io darò da bere a chi vorrò». Ma avendo detto, senza questa restrizione, «tutti», ritengo certo che a tutti coloro i quali non si fermeranno nel cammino, non mancherà quest’acqua viva.
Il Signore, che ce la promette, ci dia la grazia di cercarla come si deve cercare, per quello che egli è!
Fraternamente CaterinaLD
"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)