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DIFENDERE LA VERA FEDE

NOTA DOTTRINALE SU ALCUNI ASPETTI DELL'EVANGELIZZAZIONE

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 11/09/2009 22:04

    CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

     

    NOTA DOTTRINALE
    SU ALCUNI ASPETTI DELL'EVANGELIZZAZIONE



    I. Introduzione

    1. Inviato dal Padre ad annunciare il Vangelo, Gesù Cristo ha invitato tutti gli uomini alla conversione e alla fede (cf. Mc 1, 14-15), affidando agli Apostoli, dopo la sua risurrezione, la continuazione della sua missione evangelizzatrice (cf. Mt 28, 19-20; Mc 16, 15; Lc 24, 4-7; At 1, 3): «come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20, 21; cf. 17, 18). Mediante la Chiesa, egli vuole infatti raggiungere ogni epoca della storia, ogni luogo della terra ed ogni ambito della società, arrivare ad ogni persona, perché tutti diventino un solo gregge e un solo pastore (cf. Gv 10, 16): «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16, 15-16).

    Gli Apostoli, quindi, «mossi dallo Spirito, invitavano tutti a cambiare vita, a convertirsi e a ricevere il battesimo»[1], perché «la Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza»[2]. E’ lo stesso Signore Gesù Cristo che, presente nella sua Chiesa, precede l'opera degli evangelizzatori, l’accompagna e la segue, facendone fruttificare il lavoro: ciò che è accaduto alle origini continua lungo tutto il corso della storia.

    All'inizio del terzo millennio, è risuonato ancora nel mondo l'invito che Pietro, insieme al fratello Andrea ed ai primi discepoli, ascoltò da Gesù: «prendi il largo e calate le reti per la pesca» (Lc 5, 4)[3]. E, dopo il miracolo di una grande raccolta di pesci, il Signore annunciò a Pietro che sarebbe diventato «pescatore di uomini» (Lc 5, 10).

    2. Il termine evangelizzazione ha un significato molto ricco[4]. In senso ampio, esso riassume l'intera missione della Chiesa: tutta la sua vita infatti consiste nel realizzare la traditio Evangelii, l'annuncio e la trasmissione del Vangelo, che è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1, 16) e che in ultima essenza si identifica con Gesù Cristo (cf. 1 Cor 1, 24). Perciò, così intesa, l'evangelizzazione ha come destinataria tutta l'umanità. In ogni caso, evangelizzare significa non soltanto insegnare una dottrina bensì annunciare il Signore Gesù con parole ed azioni, cioè farsi strumento della sua presenza e azione nel mondo.

    «Ogni persona ha il diritto di udire la "buona novella" di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione»[5]. Si tratta di un diritto conferito dal Signore a ogni persona umana, per cui ogni uomo e ogni donna può veramente dire con San Paolo: Gesù Cristo «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20). A questo diritto corrisponde un dovere di evangelizzare: «Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16; cf. Rm 10, 14). Si comprende allora come ogni attività della Chiesa abbia una essenziale dimensione evangelizzante e non deve mai essere separata dall'impegno per aiutare tutti a incontrare Cristo nella fede, che è il primario obiettivo dell'evangelizzazione: «il fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente inscindibili tra loro. Dove portiamo agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco»[6].

    3. Si verifica oggi, tuttavia, una crescente confusione che induce molti a lasciare inascoltato ed inoperante il comando missionario del Signore (cf. Mt 28, 19). Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà. Sarebbe lecito solamente esporre le proprie idee ed invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire una loro conversione a Cristo ed alla fede cattolica: si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Inoltre, alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l’adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile esser salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa.

    Di fronte a tali problematiche, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario pubblicare la presente Nota. Essa, presupponendo l'insieme della dottrina cattolica sull'evangelizzazione, ampiamente trattata nel Magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, ha lo scopo di chiarire alcuni aspetti del rapporto tra il mandato missionario del Signore ed il rispetto della coscienza e della libertà religiosa di tutti. Si tratta di aspetti che hanno importanti implicazioni antropologiche, ecclesiologiche ed ecumeniche.


    II. Alcune implicazioni antropologiche

    4. «Questa è la vita eterna, che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3): Dio ha donato agli uomini l'intelligenza e la volontà, perché lo potessero liberamente cercare, conoscere ed amare. Perciò la libertà umana è una risorsa ed una sfida offerta all'uomo da Colui che lo ha creato. Un'offerta rivolta alla sua capacità di conoscere ed amare ciò che è buono e vero. Nulla come la ricerca del bene e della verità mette in gioco la libertà umana, sollecitandola ad un'adesione tale da coinvolgere gli aspetti fondamentali della vita. Questo è in modo particolare il caso della verità salvifica, che non è soltanto oggetto del pensiero ma avvenimento che investe tutta la persona — intelligenza, volontà, sentimenti, attività e progetti — quando essa aderisce a Cristo. In tale ricerca del bene e della verità è già all’opera lo Spirito Santo, che apre e dispone i cuori all’accoglienza della verità evangelica, secondo la nota affermazione di san Tommaso d’Aquino: «omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est»[7]. È perciò importante valorizzare questa azione dello Spirito, che crea affinità ed avvicina i cuori alla verità, aiutando la conoscenza umana a maturare in sapienza e in abbandono fiducioso al vero[8].

    Tuttavia oggi vengono formulati, con sempre maggiore frequenza, degli interrogativi proprio sulla legittimità di proporre ad altri — affinché possano aderirvi a loro volta — ciò che si ritiene vero per sé. Tale proposta è vista spesso come un attentato alla libertà altrui. Questa visione della libertà umana, svincolata dal suo inscindibile riferimento alla verità, è una delle espressioni «di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l'apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione»[9]. Nelle diverse forme di agnosticismo e relativismo presenti nel pensiero contemporaneo, «la legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo. A questa riserva non sfuggono neppure alcune concezioni di vita che provengono dall'Oriente; in esse, infatti, si nega alla verità il suo carattere esclusivo, partendo dal presupposto che essa si manifesta in modo uguale in dottrine diverse, persino contraddittorie tra di loro»[10]. Se l'uomo nega la sua fondamentale capacità della verità, se diviene scettico sulla sua facoltà di conoscere realmente ciò che è vero, egli finisce per perdere ciò che in modo unico può avvincere la sua intelligenza ed affascinare il suo cuore.

    5. A tale riguardo, nella ricerca della verità, chi pensa di fare affidamento soltanto sulle proprie forze, senza riconoscere il bisogno che ciascuno ha dell’aiuto altrui, si inganna. L'uomo «fin dalla nascita, si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non soltanto il linguaggio e la formazione culturale, ma molteplici verità a cui, quasi istintivamente, crede. [...] Nella vita di un uomo, le verità semplicemente credute rimangono più numerose di quelle che egli acquisisce mediante la personale verifica»[11]. La necessità di affidarsi alle conoscenze trasmesse dalla propria cultura, o acquisite da altri, arricchisce l'uomo sia con verità che egli non poteva attingere da solo, sia con quei rapporti interpersonali e sociali che egli sviluppa. L'individualismo spirituale, invece, isola la persona impedendole di aprirsi con fiducia agli altri - e perciò di ricevere e donare in abbondanza quei beni che nutrono la sua libertà - e mettendo in pericolo anche il diritto di manifestare socialmente le proprie convinzioni e opinioni[12].

    In particolare, la verità che è in grado di illuminare il senso della propria vita e di guidarla viene raggiunta anche mediante l'abbandono fiducioso a coloro che possono garantire la certezza e l'autenticità della verità stessa: «La capacità e la scelta di affidare se stessi e la propria vita a un'altra persona costituiscono certamente uno degli atti antropologicamente più significativi ed espressivi»[13]. L'accoglienza della Rivelazione che si realizza nella fede, pur avvenendo ad un livello più profondo, rientra nella dinamica della ricerca della verità: «A Dio che rivela è dovuta l'obbedienza della fede (cf. Rm 16, 26; 1, 5; 2 Cor 10, 5-6), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente, prestando il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà a Dio che rivela e assentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui»[14]. Il Concilio Vaticano II, dopo aver affermato il dovere e il diritto di ogni uomo di cercare la verità in materia religiosa, aggiunge: «La verità poi va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana, e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta»[15]. In ogni caso, la verità «non si impone che in forza della stessa verità»[16]. Perciò, sollecitare onestamente l'intelligenza e la libertà di una persona all'incontro con Cristo ed il suo Vangelo non è una indebita intromissione nei suoi confronti, bensì una legittima offerta ed un servizio che può rendere più fecondi i rapporti fra gli uomini.

    6. L’evangelizzazione, inoltre, è una possibilità di arricchimento non soltanto per i suoi destinatari ma anche per chi ne è attore e per la Chiesa tutta. Ad esempio, nel processo di inculturazione, «la stessa Chiesa universale si arricchisce di espressioni e valori nei vari settori della vita cristiana [...]; conosce ed esprime ancor meglio il mistero di Cristo, mentre viene stimolata a un continuo rinnovamento»[17]. La Chiesa, infatti, che fin dal giorno di Pentecoste ha manifestato l’universalità della sua missione, assume in Cristo le innumerevoli ricchezze degli uomini di tutti i tempi e luoghi della storia umana[18]. Oltre al suo valore antropologico intrinseco, ogni incontro con una persona o una cultura concreta può svelare delle potenzialità del Vangelo poco esplicitate in precedenza, che arricchiranno la vita concreta dei cristiani e della Chiesa. Anche grazie a questo dinamismo, la «tradizione, che viene dagli apostoli, progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo»[19].

    È infatti lo Spirito che, dopo aver operato l’incarnazione di Gesù Cristo nel grembo verginale di Maria, vivifica l’azione materna della Chiesa nell’evangelizzazione delle culture. Sebbene il Vangelo sia indipendente da tutte le culture, esso è capace di impregnarle tutte, senza tuttavia lasciarsene asservire[20]. In questo senso, lo Spirito Santo è anche il protagonista dell’inculturazione del Vangelo, è colui che presiede in modo fecondo al dialogo fra la Parola di Dio, rivelatasi in Cristo, e le domande più profonde che sgorgano dalla molteplicità degli uomini e delle culture. Prosegue così nella storia, nell’unità di una medesima ed unica fede, l’evento della Pentecoste, che si arricchisce attraverso la diversità dei linguaggi e delle culture.

    7. L'attività con cui l'uomo comunica ad altri eventi e verità significativi dal punto di vista religioso, favorendone l'accoglienza, non solo è in profonda sintonia con la natura del processo umano di dialogo, di annuncio e di apprendimento, ma è anche rispondente ad un'altra importante realtà antropologica: è proprio dell'uomo il desiderio di rendere partecipi gli altri dei propri beni. L'accoglienza della Buona Novella nella fede, spinge di per sé a tale comunicazione. La Verità che salva la vita accende il cuore di chi la riceve con un amore verso il prossimo che muove la libertà a ridonare ciò che si è gratuitamente ricevuto.

    Sebbene i non cristiani possano salvarsi mediante la grazia che Dio dona attraverso «vie a Lui note»[21], la Chiesa non può non tener conto del fatto che ad essi manca un grandissimo bene in questo mondo: conoscere il vero volto di Dio e l'amicizia con Gesù Cristo, il Dio-con-noi. Infatti, «non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l'amicizia con Lui»[22]. Per ogni uomo è un grande bene la rivelazione delle verità fondamentali[23] su Dio, su se stesso e sul mondo; mentre vivere nell'oscurità, senza la verità circa le ultime questioni, è un male, spesso all'origine di sofferenze e di schiavitù talvolta drammatiche. Ecco perché San Paolo non esita a descrivere la conversione alla fede cristiana come una liberazione «dal regno delle tenebre» ed un ingresso «nel regno del Figlio prediletto, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati» (Col 1, 13-14). Perciò la piena adesione a Cristo, che è la Verità, e l'ingresso nella sua Chiesa non diminuiscono ma esaltano la libertà umana e la protendono verso il suo compimento, in un amore gratuito e colmo di premura per il bene di tutti gli uomini. E' un dono inestimabile vivere nell'abbraccio universale degli amici di Dio, che scaturisce dalla comunione con la carne vivificante del Figlio Suo, ricevere da Lui la certezza del perdono dei peccati e vivere nella carità che nasce dalla fede. Di questi beni la Chiesa vuole fare partecipi tutti, affinché abbiano così la pienezza della verità e dei mezzi di salvezza, «per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 21).

    8. L'evangelizzazione comporta anche il dialogo sincero, che cerca di comprendere le ragioni ed i sentimenti altrui. Al cuore dell'uomo, infatti, non si accede senza gratuità, carità e dialogo, cosicché la parola annunciata non sia solo proferita ma anche adeguatamente attestata nel cuore dei suoi destinatari. Ciò esige di tener conto delle speranze e delle sofferenze, delle situazioni concrete di coloro ai quali ci si rivolge. Inoltre, proprio attraverso il dialogo, gli uomini di buona volontà aprono più liberamente il cuore e condividono sinceramente le loro esperienze spirituali e religiose. Tale condivisione, caratteristica della vera amicizia, è un'occasione preziosa per la testimonianza e per l'annuncio cristiano.

    Come in ogni campo dell'attività umana, anche nel dialogo in materia religiosa può subentrare il peccato. Può accadere talvolta che tale dialogo non sia guidato dal suo naturale scopo, bensì ceda all'inganno, ad interessi egoistici o all'arroganza, mancando così di rispetto alla dignità e alla libertà religiosa degli interlocutori. Perciò «la Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare qualcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo che rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa»[24].

    Il movente originario dell'evangelizzazione è l'amore di Cristo per la salvezza eterna degli uomini. Gli autentici evangelizzatori desiderano soltanto donare gratuitamente quanto essi stessi hanno gratuitamente ricevuto: «Fin dagli inizi della Chiesa, i discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli uomini a confessare Cristo Signore, non con una azione coercitiva né con artifizi indegni del Vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio»[25]. La missione degli apostoli e la sua continuazione nella missione della Chiesa antica rimane il modello fondamentale dell'evangelizzazione per tutti i tempi: una missione spesso contrassegnata dal martirio, come dimostra anche la storia del secolo appena trascorso. Proprio il martirio dà credibilità ai testimoni, che non cercano potere o guadagno ma donano la propria vita per Cristo. Essi manifestano al mondo la forza inerme e colma di amore per gli uomini che viene donata a chi segue Cristo fino al dono totale della sua esistenza. Così, i cristiani, dagli albori del cristianesimo fino ai nostri giorni, hanno subito persecuzioni a motivo del Vangelo, come Gesù aveva preannunziato: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 20).

    segue.......

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    III. Alcune implicazioni ecclesiologiche

    9. Sin dal giorno di Pentecoste, chi accoglie pienamente la fede viene incorporato alla comunità dei credenti: «coloro che accolsero la sua parola [di Pietro] furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone» (At 2, 41). Fin dall’inizio il Vangelo, nella potenza dello Spirito, è annunciato a tutti gli uomini, affinché credano e diventino discepoli di Cristo e membri della sua Chiesa. Anche nella letteratura patristica sono costanti le esortazioni a compiere la missione affidata da Cristo ai discepoli[26]. Generalmente si usa il termine «conversione» in riferimento all'esigenza di portare i pagani alla Chiesa. Nondimeno, la conversione (metanoia), nel suo significato propriamente cristiano, è un cambiamento di mentalità e di azione, come espressione della vita nuova in Cristo proclamata dalla fede: si tratta di una continua riforma di pensiero e di opere verso una più intensa identificazione con Cristo (cf. Gal 2, 20), cui sono chiamati anzitutto i battezzati. Tale è, in primo luogo, il significato dell’invito formulato da Gesù: «convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1, 15; cf. Mt 4, 17).

    Lo spirito cristiano è sempre stato animato dalla passione di condurre tutta l’umanità a Cristo nella Chiesa. Infatti l'incorporazione di nuovi membri alla Chiesa non è l'estensione di un gruppo di potere, ma l'ingresso nella rete di amicizia con Cristo, che collega cielo e terra, continenti ed epoche diverse. È l'ingresso nel dono della comunione con Cristo, che è «vita nuova» animata dalla carità e dall’impegno per la giustizia. La Chiesa è strumento - «germe ed inizio»[27]- del Regno di Dio, non è un’utopia politica. É già presenza di Dio nella storia e porta in sé anche il vero futuro, quello definitivo nel quale Egli sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15, 28); una presenza necessaria, poiché solo Dio può portare al mondo pace e giustizia autentiche. Il Regno di Dio non è — come alcuni oggi sostengono — una realtà generica che sovrasta tutte le esperienze o le tradizioni religiose, ed a cui esse dovrebbero tendere come ad un'universale ed indistinta comunione di tutti coloro che cercano Dio, ma è anzitutto una persona, che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile[28]. Perciò ogni libero moto del cuore umano verso Dio ed il suo Regno non può che condurre, per sua natura, a Cristo ed essere orientato all'ingresso nella sua Chiesa, che di quel Regno è segno efficace. La Chiesa è, dunque, veicolo della presenza di Dio e perciò strumento di una vera umanizzazione dell'uomo e del mondo. Il dilatarsi della Chiesa nella storia, che costituisce la finalità della missione, è un servizio alla presenza di Dio mediante il suo Regno: non si può infatti «disgiungere il Regno dalla Chiesa»[29].

    10. Oggi, tuttavia, l'annuncio missionario della Chiesa viene «messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio)»[30]. Da molto tempo si è venuta a creare una situazione nella quale, per molti fedeli, non è chiara la stessa ragione d'essere dell'evangelizzazione[31]. Si afferma addirittura che la pretesa di aver ricevuto in dono la pienezza della Rivelazione di Dio nasconde un atteggiamento d'intolleranza ed un pericolo per la pace.

    Chi ragiona così ignora che la pienezza del dono di verità che Dio fa, rivelandosi all’uomo, rispetta quella libertà che Egli stesso crea come tratto indelebile della natura umana: una libertà che non è indifferenza, ma tensione al bene. Tale rispetto è un'esigenza della stessa fede cattolica e della carità di Cristo, un costitutivo dell'evangelizzazione e, quindi, un bene da promuovere in modo inseparabile dall'impegno a far conoscere e abbracciare liberamente la pienezza di salvezza che Dio offre all'uomo nella Chiesa.

    Il dovuto rispetto per la libertà religiosa[32] e la sua promozione «non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi lo stesso amore spinge i discepoli di Cristo ad annunciare a tutti gli uomini la verità che salva»[33]. Tale amore è il sigillo prezioso dello Spirito Santo che, da protagonista dell'evangelizzazione[34], non cessa di muovere i cuori all'annuncio del Vangelo, aprendoli alla sua accoglienza. Un amore che vive nel cuore della Chiesa e da lì, come fuoco di carità, si irradia sino ai confini della terra, fino al cuore di ogni uomo. Tutto il cuore dell’uomo, infatti, attende di incontrare Gesù Cristo.

    Si comprende allora l’urgenza dell’invito di Cristo ad evangelizzare e come la missione, affidata dal Signore agli apostoli, riguardi tutti i battezzati. Le parole di Gesù, «andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20), interpellano tutti nella Chiesa, ciascuno secondo la propria vocazione. E, nell'ora presente, di fronte alle tante persone che vivono nelle diverse forme di deserto, soprattutto nel «deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo»[35], il Papa Benedetto XVI ha ricordato al mondo che «la Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l'amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza»[36]. Questo impegno apostolico è un dovere ed anche un diritto irrinunciabile, espressione propria della libertà religiosa, che ha le sue corrispondenti dimensioni etico-sociali ed etico-politiche[37]. Un diritto che purtroppo, in alcune parti del mondo, non è ancora legalmente riconosciuto ed in altre non è rispettato nei fatti[38].

    11. Chi annuncia il Vangelo partecipa alla carità di Cristo, che ci ha amati e ha donato se stesso per noi (cf. Ef 5, 2), è suo ambasciatore e supplica in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio! (cf. 2 Cor 5, 20). Una carità che è espressione di quella gratitudine che si effonde dal cuore umano quando si apre all'amore donato da Gesù Cristo, quell'Amore «che per l'universo si squaderna»[39]. Questo spiega l'ardore, la fiducia e la libertà di parola (parrhesia) che si manifestavano nella predicazione degli Apostoli (cf. At 4, 31; 9, 27-28; 26, 26; ecc.) e che il re Agrippa sperimentò ascoltando Paolo: «Per poco non mi convinci a farmi cristiano!» (At 26, 28).

    L'evangelizzazione non si realizza soltanto attraverso la predicazione pubblica del Vangelo, né unicamente attraverso opere di pubblica rilevanza, ma anche per mezzo della testimonianza personale, che è sempre una via di grande efficacia evangelizzatrice. In effetti, «accanto alla proclamazione fatta in forma generale del Vangelo, l'altra forma della sua trasmissione, da persona a persona, resta valida ed importante. [...] Non dovrebbe accadere che l'urgenza di annunziare la buona novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro»[40].

    In ogni caso, va ricordato che nella trasmissione del Vangelo la parola e la testimonianza della vita vanno di pari passo[41]; affinché la luce della verità sia irradiata a tutti gli uomini, è necessaria anzitutto la testimonianza della santità. Se la parola è smentita dalla condotta, difficilmente viene accolta. Ma neppure basta la sola testimonianza, perché «anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata — ciò che Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza” (1 Pt 3, 15) — ed esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù»[42].

    IV. Alcune implicazioni ecumeniche

    12. Fin dai suoi inizi il movimento ecumenico è stato intimamente collegato all’evangelizzazione. L’unità è, infatti, il sigillo della credibilità della missione e il Concilio Vaticano II ha rilevato con rincrescimento che lo scandalo della divisione «danneggia la santissima causa della predicazione»[43]. Gesù stesso alla vigilia della sua morte ha pregato: «affinché tutti siano una sola cosa…perché il mondo creda» (Gv 17, 21).

    La missione della Chiesa è universale e non è limitata a determinate regioni della terra. L’evangelizzazione, tuttavia, si realizza diversamente, secondo le differenti situazioni in cui avviene. In senso proprio c’è la «missio ad gentes» verso coloro che non conoscono Cristo. In senso lato si parla di «evangelizzazione», per l’aspetto ordinario della pastorale, e di «nuova evangelizzazione», verso coloro che non seguono più la prassi cristiana[44]. Inoltre, vi è l’evangelizzazione in paesi dove vivono cristiani non cattolici, soprattutto in paesi di antica tradizione e cultura cristiana. Qui si richiede sia un vero rispetto per la loro tradizione e le loro ricchezze spirituali che un sincero spirito di cooperazione. I cattolici, «esclusa ogni forma sia di indifferentismo sia di sconsiderata concorrenza, attraverso una comune – per quanto possibile – professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati secondo le norme del Decreto sull’Ecumenismo»[45].

    Nell’impegno ecumenico, si possono distinguere diverse dimensioni: anzitutto l'ascolto, come condizione fondamentale di ogni dialogo; vi è poi la discussione teologica, nella quale, cercando di capire le confessioni, le tradizioni e le convinzioni altrui, si può arrivare a trovare la concordia, a volte nascosta nella discordia. Ed inseparabilmente da tutto ciò, non può mancare un'altra essenziale dimensione dell'impegno ecumenico: la testimonianza e l'annuncio degli elementi che non sono tradizioni particolari o sfumature teologiche bensì appartengono alla Tradizione della fede stessa.

    Ma l’ecumenismo non ha solo una dimensione istituzionale che mira a «far crescere la comunione parziale esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità»[46]: esso è compito di ogni singolo fedele, anzitutto mediante la preghiera, la penitenza, lo studio e la collaborazione. Ovunque e sempre, ogni fedele cattolico ha il diritto e il dovere di dare la testimonianza e l’annuncio pieno della propria fede. Con i cristiani non cattolici, il cattolico deve entrare in un dialogo rispettoso della carità e della verità: un dialogo che non è soltanto uno scambio di idee ma di doni[47], affinché si possa offrire loro la pienezza dei mezzi di salvezza[48]. Così si viene condotti ad una sempre più profonda conversione a Cristo.

    Al riguardo va notato che se un cristiano non cattolico, per ragioni di coscienza e convinto della verità cattolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato come opera dello Spirito Santo e come espressione della libertà di coscienza e di religione. In questo caso non si tratta di proselitismo, nel senso negativo attribuito a questo termine[49]. Come ha esplicitamente riconosciuto il Decreto sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II, «è chiaro che l’opera di preparazione e di riconciliazione di quelle singole persone che desiderano la piena comunione cattolica è di natura sua distinta dall’iniziativa ecumenica; non c’è però alcuna opposizione, poiché l’una e l’altra procedono dalla mirabile disposizione di Dio»[50]. Perciò tale iniziativa non priva del diritto né esime dalla responsabilità di annunciare in pienezza la fede cattolica agli altri cristiani, che liberamente accettano di accoglierla.

    Questa prospettiva richiede naturalmente di evitare ogni indebita pressione: «Nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri aver sapore di coercizione o di sollecitazione disonesta o scorretta, specialmente se si tratta di persone incolte o bisognose»[51]. La testimonianza alla verità non intende imporre alcunché con la forza, né con un’azione coercitiva né con artifici contrari al Vangelo. Il medesimo esercizio della carità è gratuito[52]. L’amore e la testimonianza alla verità mirano a convincere anzitutto con la forza della parola di Dio (cf. 1 Cor 2, 3-5; 1 Ts 2, 3-5)[53]. La missione cristiana risiede nella potenza dello Spirito Santo e della stessa verità proclamata.
     

    V. Conclusione

    13. L'azione evangelizzatrice della Chiesa non può mai venire meno, poiché mai verrà a mancarle la presenza del Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo, secondo la sua stessa promessa: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Gli odierni relativismi ed irenismi in ambito religioso non sono un motivo valido per venir meno a questo oneroso ma affascinante impegno, che appartiene alla natura stessa della Chiesa ed è «suo compito primario»[54]. «Caritas Christi urget nos - l’amore del Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14): lo testimonia la vita di un gran numero di fedeli che, mossi dall'amore di Gesù hanno intrapreso, lungo tutta la sua storia, iniziative ed opere di ogni genere per annunciare il Vangelo, a tutto il mondo ed in tutti gli ambiti della società, come monito ed invito perenne ad ogni generazione cristiana ad adempiere con generosità il mandato di Cristo.

    Perciò, come ricorda il Papa Benedetto XVI, «l’annuncio e la testimonianza del Vangelo sono il primo servizio che i cristiani possono rendere a ogni persona e all’intero genere umano, chiamati come sono a comunicare a tutti l’amore di Dio, che si è manifestato in pienezza nell’unico Redentore del mondo, Gesù Cristo»[55]. L'amore che viene da Dio ci unisce a Lui e «ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15, 28)»[56].

    Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto il giorno 6 ottobre 2007, ha approvato la presente Nota dottrinale, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

    Dato in Roma, nella sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 dicembre 2007, memoria liturgica di S. Francesco Saverio, Patrono delle Missioni.

    William Card. Levada
    Prefetto

    Angelo Amato
    Arcivescovo titolare di Sila
    Segretario





    seguono le Note

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    [1] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), n. 47: AAS 83 (1991), 293.

    [2] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 14; cf. Decr. Ad gentes, n. 7; Decr. Unitatis redintegratio, n. 3. Questa dottrina non si contrappone alla volontà salvifica universale di Dio, che «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tim 2, 4); perciò «è necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della Chiesa in ordine alla salvezza» (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 9: AAS 83 [1991], 258).

    [3] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), n. 1: AAS 93 (2001), 266.

    [4] Cf. Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), n. 24: AAS 69 (1976), 22.

    [5] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 46: AAS 83 (1991), 293; cf. Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, nn. 53 e 80: AAS 69 (1976), 41-42, 73-74.

    [6] Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa nella spianata della Neue Messe (10 settembre 2006): AAS 98 (2006), 710.

    [7] Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 109, a. 1, ad 1.

    [8] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), n. 44 : AAS 91 (1999), 40.

    [10] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 5: AAS 91 (1999), 9-10.

    [11] Ibidem, n. 31: AAS 91 (1999), 29; cf. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 12.

    [12] Tale diritto è stato riconosciuto ed affermato anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 (aa. 18-19).

    [13] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 33: AAS 91 (1999), 31.

    [14] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 5.

    [15] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 3.

    [16] Ibidem, n. 1.

    [17] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 52: AAS 83 (1991), 300.

    [18] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Slavorum Apostoli (2 giugno 1985), n. 18: AAS 77 (1985), 800.

    [19] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 8.

    [20] Cf. Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, nn. 19-20: AAS 69 (1976), 18-19.

    [21] Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 7; cf. Cost. dogm. Lumen gentium, n. 16; Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.

    [22] Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa per l’inizio del Pontificato (24 aprile 2005): AAS 97 (2005), 711.

    [23] Cf. Concilio Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius, n. 2: «É grazie a questa divina rivelazione che tutti gli uomini possono nella presente condizione del genere umano, conoscere facilmente, con assoluta certezza e senza alcun errore, ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla ragione (cf. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, 1, 1)» (DH 3005).

    [24] Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 13.

    [25] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 11.

    [26] Cf., ad esempio, Clemente di Alessandria, Protreptico IX, 87, 3-4 (Sources chrétiennes, 2,154); Aurelio Agostino, Sermo 14, D [= 352 A], 3 (Nuova Biblioteca Agostiniana, XXXV/1, 269-271).

    [27] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 5.

    [28] Cf. al riguardo Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 18: AAS 83 (1991), 265-266: «Se si distacca il Regno da Gesù, non si ha più il Regno di Dio da lui rivelato, e si finisce per distorcere sia il senso del Regno, che rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano o ideologico, sia l’identità di Cristo, che non appare più il Signore, a cui tutto deve esser sottomesso (cf. 1 Cor 15, 27)».

    [29] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 18: AAS 83 (1991), 266. Sul rapporto tra Chiesa e Regno, cf. anche Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), nn. 18-19: AAS 92 (2000), 759-761.

    [30] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 4: AAS 92 (2000), 744.

    [31] Cf. Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, n. 80: AAS 69 (1976), 73: «Perché annunziare il Vangelo dal momento che tutti sono salvati dalla rettitudine del cuore? Se, d'altra parte, il mondo e la storia sono pieni dei “germi del Verbo” non è una illusione pretendere di portare il Vangelo là dove esso già si trova nei semi, che il Signore stesso vi ha sparsi?»

    [32] Cf. Benedetto XVI, Discorso ai membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 50: «se la libertà di religione viene considerata come espressione dell'incapacità dell'uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l'uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall'esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento».

    [33] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 28 ; cf. Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, n. 24: AAS 69 (1976), 21-22.

    [34] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, nn. 21-30: AAS 83 (1991), 268-276.

    [35] Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa per l’inizio del Pontificato (24 aprile 2005): AAS 97 (2005), 710.

    [37] Cf. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 6.

    [38] Infatti, laddove è riconosciuto il diritto alla libertà religiosa, è solitamente riconosciuto ad ogni uomo pure il diritto di partecipare ad altri le proprie convinzioni, nel pieno rispetto della coscienza altrui, anche per favorirne l’ingresso nella propria comunità di appartenenza religiosa, come sancito altresì da numerosi ordinamenti giuridici odierni e da una ormai diffusa giurisprudenza al riguardo.

    [39] Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, 87.

    [40] Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, n. 46: AAS 69 (1976), 36.

    [41] Cf. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 35.

    [42] Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, n. 22: AAS 69 (1976), 20.

    [43] Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 1; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, nn. 1, 50: AAS 83 (1991), 249, 297.

    [44] Cf. Giovanni Paolo II , Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 34: AAS 83 (1991), 279-280.

    [45] Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 15.

    [46] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), n. 14: AAS 87 (1995), 929.

    [47] Cf. ibidem, n. 28: AAS 87 (1995), 939.

    [48] Cf. Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, nn. 3, 5.

    [49] Originalmente il termine «proselitismo» nasce in ambito ebraico, ove «proselito» indicava colui che, proveniente dalle «genti», era passato a far parte del «popolo eletto». Così anche in ambito cristiano il termine proselitismo spesso è stato utilizzato come sinonimo dell’attività missionaria. Recentemente il termine ha preso una connotazione negativa come pubblicità per la propria religione con mezzi e motivi contrari allo spirito del vangelo e che non salvaguardano la libertà e la dignità della persona. In tale senso, il termine «proselitismo» viene compreso nel contesto del movimento ecumenico: cf. The Joint Working Group between the Catholic Church and the World Council of Churches, “The Challenge of Proselytism and the Calling to Common Witness” (1995).

    [50] Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 4.

    [51] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 4.

    [52] Cf. Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), n. 31 c: AAS 98 (2006), 245.

    [53] Cf. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 11.

    [54] Benedetto XVI, Omelia durante la visita alla Basilica di S. Paolo fuori le mura (25 aprile 2005): AAS 97 (2005), 745.

    [56] Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus caritas est, n. 18: AAS (2006), 232.

     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 18/09/2009 01:05
    Nel Vangelo la salvezza per ogni uomo

    La conversione
    di tutte le genti


    di mons. Inos Biffi


    Che la Chiesa non solo preghi, ma dedichi ogni suo impegno perché tutti gli uomini si convertano a Cristo, fa parte della sua essenziale missione. Gesù risorto, prima della sua ascensione al cielo, ha affidato a essa il preciso mandato:  "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo":  così in Matteo (28, 18-20); e in Marco (16, 15):  "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura".

    Ci sono circostanze e tempi in cui nella stessa Chiesa in qualche misura si annebbiano alcuni passi della Scrittura, e questo può avvenire, e avviene, anche in epoche in cui se ne proclama enfaticamente tutta l'importanza. Ebbene, questo è uno dei passi che sembrano, se non rimossi, piuttosto dimenticati o sottaciuti.

    Un discepolato cristiano, o una evangelizzazione in ogni luogo, di "tutti i popoli" e di tutte le creature - senza che ne sia esclusa alcuna - fa quindi parte dell'intenzione di Cristo, e infatti da subito la Chiesa si è sentita radicalmente missionaria. Essere in missione permanente e universale è proprio della sua natura:  se questo venisse meno, non sarebbe più la Chiesa di Gesù Cristo.

    Ma forse occorre chiarire che annunziare il Vangelo significa proclamare che soltanto in esso, e nella sua accoglienza, è possibile la salvezza. Le parole di Gesù sono perentorie:  "Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato" (Marco, 16, 16).

    Pensare diversamente significherebbe rendere superfluo Gesù Cristo o annoverarlo tra altri "salvatori":  né basterebbe, tra questi stessi, riconoscergli un primato.


    Egli è assolutamente l'unico. Secondo le parole di Pietro:  "In nessun altro c'è salvezza:  non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (Atti degli Apostoli, 4, 12):  anche questo è un passo biblico che non appare oggi molto citato.

    In ogni caso, secondo la fede cristiana, non ci sono, né mai ci poterono essere, religioni aventi in sé una grazia salvifica, a prescindere da Gesù Cristo.

    Affermare che chi in buona fede, con retta e trasparente coscienza, aderisce a una religione si può salvare, non significa affatto attribuire a quella religione come tale una capacità salvifica. Significa, invece, riconoscere che la volontà di salvezza universale, tutta raccolta in Cristo, predestinato dall'eternità come Salvatore assoluto e universale, opera nell'esistenza di quanti compiono il bene proposto da tale retta e trasparente coscienza. È la conseguenza del primato di Gesù, che sa diffondere la grazia della Croce, senza condizionamento di tempo, dal momento che Gesù è il Signore del tempo. Si direbbe che, da questo profilo, ogni religione giunga sempre in ritardo rispetto appunto alla "precedenza" di Gesù Cristo, nel quale ogni uomo, "prima della creazione del mondo", è stato scelto a essere figlio di Dio (Lettera agli Efesini, 1, 2-3).

    Quanto di vero, di santo, ci sia in ogni religione è oggettivamente, di là dalla coscienza che se ne possa avere, un'impronta o un desiderio di Cristo.

    Ne consegue quanto sia fuorviante ritenere che, per il rispetto dovuto a tutte le religioni, si debba evitare di annunziare il Vangelo come la sola via di salvezza, ed eludere la predicazione di Gesù Cristo come l'unico Salvatore, e semmai solo contribuire a che ciascuno rimanga nella piena e coerente fedeltà al suo "credo".
    Certo le religioni vanno rispettate, in particolare va scrupolosamente rispettata la coscienza di quanti vi appartengono:  nessuno può essere costretto, nell'una o nell'altra forma, a credere al Vangelo; Dio stesso è custode dell'interiore libertà religiosa. Ma questo non comporta l'equiparazione delle religioni al Vangelo, o l'annebbiarsi di Gesù come l'unico Salvatore per sempre e per tutti, o l'estenuarsi dell'urgente missione evangelizzatrice della Chiesa. Per questa strada, come già accennavo, Gesù Cristo viene completamente dissolto.

    Del resto, il Verbo di Dio si fece uomo non perché gli uomini continuassero nelle loro religioni e nei loro culti, ma, al contrario, perché credessero al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. E, neppure, il Verbo si è fatto uomo per mettersi a "dialogare" con gli uomini, e trovare un punto comune di intesa con loro. Egli si è in esclusiva proclamato "Via, verità e vita" (Giovanni, 14, 6), dichiarando per tutti indistintamente la necessità della conversione a lui. Ad altro non intese la sua predicazione, la sua morte e la sua risurrezione.

    La passione del cuore di Cristo era che i figli di Abramo accogliessero lui come Messia, come l'"Inviato" (cfr. Giovanni, 9, 7); e, infatti, proclama:  "Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia" (Giovanni, 8, 56), insieme affermando:  "Proprio le Scritture danno testimonianza di me" (Ibidem, 5, 39).

    Di fatto il cristianesimo si istituisce proprio per la fede degli ebrei credenti in Cristo, come lo furono sua madre, Maria, Giuseppe, Zaccaria, Elisabetta, Giovanni il Battezzatore, Simeone e Anna, gli apostoli e tutta la "Chiesa di Dio" (Lettera ai Galati, 1, 13) degli inizi, che vide in Gesù il compimento o il fine della Legge (Lettera ai Romani, 10, 4).

    Troppo facilmente si dimentica - ma gli Atti degli Apostoli lo attestano chiaramente - che questa "Chiesa di Dio" nasce dalla fede degli ebrei credenti in Cristo, e che non si limitano solo a Paolo:  se essi - compresa "una grande moltitudine di sacerdoti [che] aderiva alla fede" (Atti degli Apostoli, 6, 7) - non avessero accolto Gesù come il Messia, il cristianesimo si sarebbe spento fin dal principio.

    Ed è la ragione per la quale il rapporto tra il cristianesimo e l'ebraismo è incomparabile rispetto al rapporto con le altre religioni. Il Dio dei cristiani - l'unico Dio, rispetto al quale ogni altra divinità è soltanto un idolo, che non può salvare - è esattamente il Dio della Genesi, che "in principio creò il cielo e la terra" (Genesi, 1, 1) e che in Gesù è stato rivelato come Padre, Figlio e Spirito Santo.

    Ed è il Dio che la Chiesa annunzia a tutti gli uomini, dichiarando Gesù, il Figlio suo Unigenito, unico Salvatore di tutti. In questa proclamazione la Chiesa prosegue la stessa missione di Gesù e quindi l'intenzione profonda della Rivelazione iniziata con la Genesi. Essa ha la viva consapevolezza che, se ammettesse altri salvatori accanto a Gesù, porrebbe la propria confidenza negli idoli; e che, se rifiutasse la piena rivelazione del Dio che ha creato cielo e terra nella Trinità manifestatasi in Gesù di Nazaret, rigetterebbe lo stesso Dio creatore.

    Risaltano così l'origine, la causa e il contenuto della missionarietà della Chiesa, la quale è chiamata a rispondere solo a Gesù Cristo, e a condividere con lui l'opera dell'evangelizzazione.

    Con questo non si rigetta il "dialogo" con le religioni, che ci fu nel cristianesimo fin dagli inizi, e che appare ovvio e in certo senso preliminare. In ogni caso, comunque si intenda il "dialogo" - abitualmente molto chiacchierato e poco precisato - questo non potrà mai minimamente incrinare la persuasione della Chiesa che solo nel Vangelo c'è, identicamente per tutti, la salvezza; che il mandato ricevuto da Cristo è quello di proclamarlo come necessario e imprescindibile per ogni uomo; né potrà mai mettere in dubbio che la stessa Chiesa dovrà porre in ogni tempo il proprio totale impegno per rendere tutti - e rigorosamente tutti - gli uomini discepoli del Signore.

    Del resto, fu così dal principio della vita della Chiesa. Fossero allora prevalsi un dialogico Vangelo "debole"; o la preoccupazione dei cristiani per l'edificazione dei templi pagani con le sue divinità; o la ricerca del minimo che unisce, senza il chiaro risalto della "differenza" cristiana, non avremmo avuto la testimonianza dei martiri:  il dialogo non comporta il rischio del martirio, che, pure, è sempre un dramma.

    Insieme, però, non avremmo più né la fede cristiana né la Chiesa, che fatalmente si stempera e scompare quando in essa si estenuino il vigore missionario, l'ansia dell'evangelizzazione, la sicurezza che c'è "un solo Dio" - il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - di fronte al quale c'è spazio unicamente per gli idoli, e "un solo Signore" e Salvatore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, che la stessa Chiesa è chiamata a predicare in tutto il mondo, accompagnando la predicazione con l'orazione perché tutti si convertano.


    (©L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)



    ottimo!


    Fraternamente CaterinaLD

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    00 18/09/2009 07:34
    Instaurare omnia in Christo”....

    con queste parole san Pio X iniziava il suo Pontificato all'inizio del '900....
    quale significato hanno per noi oggi? ce lo dice Giovanni Paolo II quando nel 1993 andò a visitare la Parrocchia a LUI DEDICATA a Roma....e nei tre incontri avuti sia con i bambini, che con i giovani che con il CONSIGLIO PASTORALE......ebbe a portare a tutti quale esempio SAN PIO X sottolineando l'importanza di avere certo una parrocchia ma che fosse anche intitolata a QUALCUNO CHE SIA DI ESEMPIO A NOI OGGI....
     Occhiolino

    http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1993/january/documents/hf_jp-ii_spe_19930131_par-s-pio-x_it.html

    diceva Giovanni Paolo II:

    San Pio X ha trovato queste parole: “Instaurare omnia in Christo”. “Instaurare”, innovare, cercare in Lui sempre il recupero, l’instaurazione, la restaurazione di quello che è giusto, che è umano, che è pacifico, che è bello, che è sano e che è santo.

    “Instaurare omnia” e “omnia” vuol dire la vita personale, la vita delle famiglie

    **********

    INSTAURARE OMNIA IN CHRISTO fu anche il motto tanto caro a don Orione....TANTO DA RICEVERE una indulgenza a chi lo recitasse...

    Don Orione chiese una particolare indulgenza legata alle "parole "Instaurare omnia in Christo" dell'apostolo Paolo, si pronuncino esse da una sola o più persone con frase tutta unita, o si pronuncino staccate e da più individui, (come si suole nelle Case della Congregazione, dicendo: Instaurare omnia e rispondendosi: in Christo!), avendole come una aspirazione e un voto delle anime nostre che Cristo risusciti in tutti i cuori, e rinnovi in sé tutto l'uomo e tutti gli uomini". Già il giorno seguente la domanda di Don Orione, Mons. Bandi rispondeva accordando l'indulgenza all'"invocazione "Instaurare omnia in Christo "; sia che si reciti da una sola o più persone, con frase tutta unita, e separata; e ciò toties quoties nella giornata, purché recitata devotamente".

    Quest'uso del motto "Instaurare omnia in Christo" come giaculatoria fu tanto caro e inculcato da Don Orione perché sintesi di identità e di programma della Piccola Opera della Divina Provvidenza. E' bello che continui ancor oggi nella Famiglia orionina, sia nelle preghiere che in incontri comunitari o pubblici, sia da parte di religiosi che di laici: instaurate omnia in Christo......

     Sorriso
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 18/10/2009 14:38
    PRIMA DELL’ANGELUS 18.10.2009

    Cari fratelli e sorelle!

    Oggi, terza domenica di ottobre, si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, che costituisce per ogni comunità ecclesiale e per ciascun cristiano un forte richiamo all’impegno di annunciare e testimoniare il Vangelo a tutti, in particolare a quanti ancora non lo conoscono.
    Nel Messaggio, che ho scritto per questa occasione, mi sono ispirato a un’espressione del Libro dell’Apocalisse, che a sua volta riecheggia una profezia di Isaia: "Le nazioni cammineranno alla sua luce" (Ap 21,24).
    La luce di cui qui si parla è quella di Dio, rivelata dal Messia e riflessa sul volto della Chiesa, rappresentata come la nuova Gerusalemme, città meravigliosa dove risplende in pienezza la gloria di Dio. E’ la luce del Vangelo, che orienta il cammino dei popoli e li guida verso la realizzazione di una grande famiglia, nella giustizia e nella pace, sotto la paternità dell’unico Dio buono e misericordioso. La Chiesa esiste per annunciare questo messaggio di speranza all’intera umanità, che nel nostro tempo "conosce stupende conquiste, ma sembra aver smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza" (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 2).

    Nel mese di ottobre, specialmente in questa Domenica, la Chiesa universale pone in rilievo la propria vocazione missionaria. Guidata dallo Spirito Santo, essa sa di essere chiamata a proseguire l’opera di Gesù stesso annunciando il Vangelo del Regno di Dio, che "è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). Questo Regno è già presente nel mondo come forza di amore, di libertà, di solidarietà, di rispetto della dignità di ogni uomo, e la Comunità ecclesiale sente premere nel cuore l’urgenza di lavorare, affinché la sovranità di Cristo si realizzi pienamente. Tutte le sue membra ed articolazioni cooperano a tale progetto, secondo i diversi stati di vita e i carismi.

    In questa Giornata Missionaria Mondiale voglio ricordare i missionari e le missionarie - sacerdoti, religiosi, religiose e laici volontari - che consacrano la loro esistenza a portare il Vangelo nel mondo, affrontando anche disagi e difficoltà e talvolta persino vere e proprie persecuzioni. Penso, tra gli altri, a don Ruggero Ruvoletto, sacerdote fidei donum, recentemente ucciso in Brasile, al Padre Michael Sinnot, religioso, sequestrato pochi giorni fa nelle Filippine. E come non pensare a quanto sta emergendo dal Sinodo dei Vescovi per l’Africa in termini di estremo sacrificio e di amore a Cristo e alla sua Chiesa? Ringrazio le Pontificie Opere Missionarie, per il prezioso servizio che rendono all’animazione e alla formazione missionaria. Invito inoltre tutti i cristiani a un gesto di condivisione materiale e spirituale per aiutare le giovani Chiese dei Paesi più poveri.

    Cari amici, quest’oggi, 18 ottobre, è anche la festa di san Luca evangelista che, oltre al Vangelo, ha scritto gli Atti degli Apostoli, per narrare l’espandersi del messaggio cristiano fino ai confini del mondo allora conosciuto. Invochiamo la sua intercessione, insieme con quella di san Francesco Saverio e di santa Teresa di Gesù Bambino, patroni delle missioni, e della Vergine Maria, affinché la Chiesa possa continuare a diffondere la luce di Cristo tra tutti i popoli. Vi chiedo, inoltre, di pregare per l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che in queste settimane si sta svolgendo qui, in Vaticano.

    [01511-01.01] [Testo originale: Italiano]


    DOPO L’ANGELUS

    L’Angélus me donne la joie de vous saluer, chers pèlerins francophones. Nous célébrons aujourd’hui la Journée Mondiale des Missions. Le Christ dans l’Évangile nous redit que le Fils de l’homme est venu pour servir. Notre fidélité au Christ ne doit pas nous conduire à rechercher les honneurs, la notoriété, la célébrité, mais elle nous convie à comprendre et à faire comprendre que la vraie grandeur se trouve dans le service et dans l’amour du prochain ! Au cœur du Synode pour l’Afrique, invoquons la Vierge Marie, Notre-Dame d’Afrique, pour qu’il porte des fruits abondants ! Que Dieu vous bénisse ! Bon dimanche !

    I extend a cordial welcome to all the English-speaking pilgrims present for this Angelus. Today’s liturgy reminds us that Jesus, fully sharing in our humanity, sympathises with our weakness and understands our struggle against temptation. On this World Mission Sunday, let us turn to him in prayer and approach his throne of grace, so that we may receive his mercy and proclaim the Gospel of Love throughout the world!

    Mit Freude heiße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache willkommen. Der heutige Weltmissionssonntag erinnert uns daran, daß die Mission die Grundlage für das Leben der Kirche ist. In Treue gegenüber dem Sendungsauftrag des Herrn ist für uns die Verkündigung seiner Frohbotschaft vorrangig und unaufschiebbar. Es liegt an uns getauften und gefirmten Christen, den Völkern der Erde und den Menschen um uns heute Jesus Christus, das Heil der Welt, nahezubringen, der Frieden, Einheit, Versöhnung und neues Leben schenkt. Bitten wir den Heiligen Geist, daß er in uns die Leidenschaft, den Mut und Elan zur Verkündigung des Evangeliums neu entfache. Gott segne euch alle.

    Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la Hermandad del Señor de los Milagros, de Roma, a los miembros de la Hermandad de la Virgen de la Amargura, de Lorca, y al grupo de jóvenes españoles y latinoamericanos que trabajan pastoralmente en la defensa de la vida. En este domingo, la Iglesia celebra la Jornada Mundial de las Misiones. Os invito a todos a orar por tantos sacerdotes, religiosos y laicos, que han entregado su vida a la evangelización de los pueblos. Encomiendo a la protección maternal de María Santísima, que durante este mes invocamos especialmente con el título de Nuestra Señora del Rosario, a todos los misioneros del mundo, para que no les falte nunca nuestro apoyo espiritual y material en su difícil tarea apostólica. Feliz domingo!

    Bracia i Siostry, Drodzy Polacy! „W jego świetle będą chodziły narody" (Ap 21,24). W duchu motta tegorocznego Światowego Dnia Misyjnego prosimy w modlitwie, by cała wspólnota ludzka została oświecona światłem Chrystusa. Niech Jego Ewangelia pomoże ludziom na wszystkich kontynentach stać się jedną wielką rodziną, by wszyscy odnaleźli w Bogu miłującego Ojca. Dziękując wam za duchową i materialną pomoc misjom, z serca wszystkim błogosławię.

    [Fratelli e sorelle, cari polacchi! «Le nazioni cammineranno alla sua luce» (Ap 21,24). Nello spirito del motto della Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno, chiediamo nella preghiera che tutta la comunità umana sia illuminata dalla luce di Cristo. Il suo Vangelo aiuti le genti di tutti continenti a diventare una grande famiglia, affinché tutti i popoli scoprano in Dio un Padre che li ama. Ringraziandovi per l’aiuto spirituale e materiale per le missioni, a tutti voi imparto di cuore una benedizione.]

    Rivolgo un cordiale saluto ai Chierici Regolari della Madre di Dio, venuti per la conclusione del IV centenario della morte del loro Fondatore, san Giovanni Leonardi. Cari fratelli, con voi ci sono anche gli alunni di tutti i Collegi di Propaganda Fide, accompagnati dal Cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, come pure i rappresentanti dei Farmacisti, dei quali san Giovanni Leonardi è Patrono. Vi esorto tutti a seguirlo sulla via della santità e ad imitare il suo zelo missionario. Accolgo con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare la Comunità Cenacolo, che da tanti anni aiuta i giovani, specialmente quelli caduti nel baratro delle droghe, a ritrovare la via della vita incontrando Gesù Cristo. Saluto inoltre i partecipanti al convegno sul Motu proprio Summorum Pontificum, svoltosi in questi giorni a Roma, l’Associazione Nazionale Piccoli Comuni d’Italia, la Banda musicale "Valletiberina" e la sezione di Pontedera dell’Associazione Nazionale Carabinieri. A tutti auguro una buona domenica.

    [01512-XX.01] [Testo originale: Plurilingue]

    www.vatican.va




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 13/01/2010 22:40
     Sorriso Vi propongo una riflessione interessante che riprendo da Agenzia Fides:

    La Nuova Evangelizzazione secondo il Cardinale Ratzinger

    Compito dei sacerdoti è anche quello di istruire i catechisti affinché insegnino la dottrina cattolica in modo esauriente.
    Fu in occasione del Grande Giubileo del 2000 che l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, dettò le linee di questo insegnamento.

    Fu un intervento che rimase come pietra miliare per la missione dei catechisti e quindi per la missione sacerdotale. Ratzinger, infatti, parlò di nuova evangelizzazione. Spiegò il Cardinale Ratzinger che «la vita umana non si realizza da sé». «La nostra vita è una questione aperta, un progetto incompleto ancora da completare e da realizzare. La domanda fondamentale di ogni uomo è: come si realizza questo - diventare uomo? Come si impara l'arte di vivere? Quale è la strada alla felicità?».

    Ecco, dalla risposta a queste domande, cosa significhi evangelizzare: «Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada - insegnare l’arte di vivere. Gesù dice nell’inizio della sua vita pubblica: Sono venuto per evangelizzare i poveri (Lc 4, 18); questo vuol dire: Io ho la risposta alla vostra domanda fondamentale; io vi mostro la strada della vita, la strada alla felicità - anzi: io sono questa strada. La povertà più profonda è l'incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria. Questa povertà è oggi molto diffusa, in forme ben diverse sia nelle società materialmente ricche sia anche nei paesi poveri. L'incapacità di gioia suppone e produce l'incapacità di amare, produce l'invidia, l'avarizia - tutti i vizi che devastano la vita dei singoli e il mondo. Perciò abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione - se l'arte di vivere rimane sconosciuta, tutto il resto non funziona più. Ma questa arte non è oggetto della scienza - questa arte la può comunicare solo chi ha la vita - colui che è il Vangelo in persona».

    Prima di parlare dei contenuti fondamentali della nuova evangelizzazione il Cardinale Ratzinger volle dire una parola sulla sua struttura e sul metodo adeguato della evangelizzazione. «La Chiesa – disse -
    evangelizza sempre e non ha mai interrotto il cammino dell'evangelizzazione. Celebra ogni giorno il mistero eucaristico, amministra i sacramenti, annuncia la parola della vita - la parola di Dio, s'impegna per la giustizia e la carità. E questa evangelizzazione porta frutto: dà luce e gioia, dà il cammino della vita a tante persone; molti altri vivono, spesso senza saperlo, della luce e del calore risplendente da questa evangelizzazione permanente.
    Tuttavia osserviamo un processo progressivo di scristianizzazione e di perdita dei valori umani essenziali che è preoccupante. Gran parte dell'umanità di oggi non trova nell'evangelizzazione permanente della Chiesa il Vangelo, cioè la risposta convincente alla domanda: Come vivere? Perciò cerchiamo, oltre l'evangelizzazione permanente, mai interrotta, mai da interrompere, una nuova evangelizzazione, capace di farsi sentire da quel mondo, che non trova accesso all'evangelizzazione “classica”.
    Tutti hanno bisogno del Vangelo; il Vangelo è destinato a tutti e non solo a un cerchio determinato e perciò siamo obbligati a cercare nuove vie per portare il Vangelo a tutti.

    Però qui si nasconde anche una tentazione - la tentazione dell'impazienza, la tentazione di cercare subito il grande successo, di cercare i grandi numeri. E questo non è il metodo di Dio. Per il regno di Dio e così per l'evangelizzazione, strumento e veicolo del regno di Dio, vale sempre la parabola del grano di senape (cf Mc 4, 31 - 32).
    Il Regno di Dio ricomincia sempre di nuovo sotto questo segno.

    Nuova evangelizzazione non può voler dire: Attirare subito con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa. No - non è questa la promessa della nuova evangelizzazione.

    Nuova evangelizzazione vuol dire: Non accontentarsi del fatto, che dal grano di senape è cresciuto il grande albero della Chiesa universale, non pensare che basti il fatto che nei suoi rami diversissimi uccelli possono trovare posto - ma osare di nuovo con l'umiltà del piccolo granello lasciando a Dio, quando e come crescerà (Mc 4, 26 - 29). Le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo ed i movimenti di massa sono sempre effimeri. Nella sua visione del processo dell'evoluzione Teilhard de Chardin parla del “bianco delle origini” (le blanc des origines): L’inizio delle nuove specie è invisibile ed introvabile per la ricerca scientifica. Le fonti sono nascoste - troppo piccole. Con altre parole: Le realtà grandi cominciano in umiltà. Lasciamo da parte, se e fino a che punto Teilhard ha ragione con le sue teorie evoluzioniste; la legge delle origini invisibili dice una verità - una verità presente proprio nell'agire di Dio nella storia: “Non perché sei grande ti ho eletto, al contrario - sei il più piccolo dei popoli; ti ho eletto, perché ti amo..." dice Dio al popolo di Israele nell'Antico Testamento ed esprime così il paradosso fondamentale della storia della salvezza: Certo, Dio non conta con i grandi numeri; il potere esteriore non è il segno della sua presenza. Gran parte delle parabole di Gesù indicano questa struttura dell'agire divino e rispondono così alle preoccupazioni dei discepoli, i quali si aspettavano ben altri successi e segni dal Messia - successi del tipo offerto da Satana al Signore: Tutto questo - tutti i regni del mondo - ti do... (Mt 4, 9).

    Certo, Paolo alla fine della sua vita ha avuto l'impressione di aver portato il Vangelo ai confini della terra, ma i cristiani erano piccole comunità disperse nel mondo, insignificanti secondo i criteri secolari. In realtà furono il germe che penetra dall'interno la pasta e portarono in sé il futuro del mondo (cf Mt 13, 33). Un vecchio proverbio dice: "Successo non è un nome di Dio". La nuova evangelizzazione deve sottomettersi al mistero del grano di senape e non pretendere di produrre subito il grande albero. Noi o viviamo troppo nella sicurezza del grande albero già esistente o nell'impazienza di avere un albero più grande, più vitale - dobbiamo invece accettare il mistero che la Chiesa è nello stesso tempo grande albero e piccolissimo grano. Nella storia della salvezza è sempre contemporaneamente Venerdì Santo e Domenica di Pasqua...».

    Dopo aver enucleato la struttura della nuova evangelizzazione, ecco il metodo. Il metodo giusto, infatti, discende proprio da questa struttura. Disse il Cardinale Ratzinger: «Dobbiamo usare in modo ragionevole i metodi moderni di farci ascoltare - o meglio: di rendere accessibile e comprensibile la voce del Signore... Non cerchiamo ascolto per noi - non vogliamo aumentare il potere e l'estensione delle nostre istituzioni, ma vogliamo servire al bene delle persone e dell'umanità dando spazio a Colui, che è la Vita. Questa espropriazione del proprio io offrendolo a Cristo per la salvezza degli uomini, è la condizione fondamentale del vero impegno per il Vangelo. "Io sono venuto nel nome del Padre mio, e non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste" dice il Signore (Gv 5, 43).
    Il contrassegno dell'Anticristo è il suo parlare nel proprio nome. Il segno del Figlio è la sua comunione col Padre.
    Il Figlio ci introduce nella comunione trinitaria, nel circolo dell'eterno amore, le cui persone sono "relazioni pure", l'atto puro del donarsi e dell'accogliersi. Il disegno trinitario - visibile nel Figlio, che non parla nel nome suo - mostra la forma di vita del vero evangelizzatore - anzi, evangelizzare non è semplicemente una forma di parlare, ma una forma di vivere: vivere nell'ascolto e farsi voce del Padre. "Non parlerà da se, ma dirà tutto ciò che avrà udito" dice il Signore sullo Spirito Santo (Gv 16, 13).

    Questa forma cristologica e pneumatologica dell'evangelizzazione è nello stesso tempo una forma ecclesiologica: Il Signore e lo Spirito costruiscono la Chiesa, si comunicano nella Chiesa. L'annuncio di Cristo, l'annuncio del Regno di Dio suppone l'ascolto della sua voce nella voce della Chiesa. "Non parlare nel nome proprio" significa: parlare nella missione della Chiesa... Da questa legge dell'espropriazione seguono conseguenze molto pratiche. Tutti i metodi ragionevoli e moralmente accettabili sono da studiare - è un dovere far uso di queste possibilità di comunicazione. Ma le parole e tutta l'arte della comunicazione non possono guadagnare la persona umana in quella profondità, alla quale deve arrivare il Vangelo.

    Pochi anni fa leggevo la biografia di un ottimo sacerdote del nostro secolo, Don Didimo, parroco di Bassano del Grappa. Nelle sue note si trovano parole d'oro, frutto di una vita di preghiera e di meditazione. Al nostro proposito dice Don Didimo, per esempio: "Gesù predicava nel giorno, di notte pregava." Con questa breve notizia voleva dire: Gesù doveva acquistare da Dio i discepoli. Lo stesso vale sempre. Non possiamo guadagnare noi gli uomini. Dobbiamo ottenerli da Dio per Dio. Tutti i metodi sono vuoti senza il fondamento della preghiera. La parola dell'annuncio deve sempre bagnare in una intensa vita di preghiera.

    Dobbiamo aggiungere un passo ulteriore. Gesù predicava di giorno, di notte pregava - questo non è tutto. La sua intera vita fu - come lo mostra in modo molto bello il Vangelo di S. Luca - un cammino verso la croce, ascensione verso Gerusalemme. Gesù non ha redento il mondo tramite parole belle, ma con la sua sofferenza e la sua morte. Questa sua passione è la fonte inesauribile di vita per il mondo; la passione dà forza alla sua parola. Il Signore stesso - estendendo ed ampliando la parabola del grano di senape - ha formulato questa legge di fecondità nella parola del chicco di grano che muore, caduto in terra (Gv 12, 24). Anche questa legge è valida fino alla fine del mondo ed è - insieme col mistero del grano di senape - fondamentale per la nuova evangelizzazione. Tutta la storia lo dimostra. Sarebbe facile dimostrarlo nella storia del cristianesimo.

    Vorrei ricordare qui soltanto l'inizio dell'evangelizzazione nella vita di S. Paolo. Il successo della sua missione non fu frutto di una grande arte retorica o di prudenza pastorale; la fecondità fu legata alla sofferenza, alla comunione nella passione con Cristo (cf 1 Cor 2, 1 - 5; 2 Cor 5, 7; 11, 10s; 11, 30; Gal 4, 12 - 14). "Nessun segno sarà dato, se non il segno di Giona profeta" ha detto il Signore. Il segno di Giona è il Cristo crocifisso - sono i testimoni, che completano "quello che manca ai patimenti di Cristo" (Col 1, 24). In tutti i periodi della storia si è sempre di nuovo verificata la parola di Tertulliano: E' un seme il sangue dei martiri. Sant'Agostino dice lo stesso in modo molto bello, interpretando Gv 21, dove la profezia del martirio di Pietro e il mandato di pascere, cioè l'istituzione del suo primato sono intimamente connessi. Sant'Agostino commenta il testo Gv 21, 16 nel modo seguente: "Pasci le mie pecorelle", cioè soffri per le mie pecorelle (Sermo Guelf. 32 PLS 2, 640). Una madre non può dar la vita a un bambino senza sofferenza. Ogni parto esige sofferenza, è sofferenza, ed il divenire cristiano è un parto. Diciamolo ancora una volta con parole del Signore: Il regno di Dio esige violenza (Mt 11, 12; Lc 16, 16), ma la violenza di Dio è la sofferenza, è la croce. Non possiamo dare vita ad altri, senza dare la nostra vita. Il processo di espropriazione sopra indicato è la forma concreta (espressa in tante forme diverse) di dare la propria vita. E pensiamo alla parola del Salvatore: "... chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà..." (Mc 8, 36)».


    Dal Dossier di Agenzia Fides segue infine una piccola classifica, sempre tratta dalle parole dell'allora card. Ratzinger, che tre i nodi essenziali per questa evangelizzazione e che io condenserò all'essenziale:



    1. Conversione: «Quanto ai contenuti della nuova evangelizzazione - disse il cardinale Ratzinger - è innanzitutto da tener presente l'inscindibilità dell'Antico e del Nuovo Testamento. Il contenuto fondamentale dell'Antico Testamento è riassunto nel messaggio di Giovanni Battista: metanoe‹te - Convertitevi! Non c'è accesso a Gesù senza il Battista; non c'è possibilità di arrivare a Gesù senza risposta all'appello del precursore, anzi: Gesù ha assunto il messaggio di Giovanni nella sintesi della sua propria predicazione.

    2. Il Regno di Dio: «Nella chiamata alla conversione - disse il Cardinale Ratzinger - è implicito, come sua condizione fondamentale, l'annuncio del Dio vivente. Il teocentrismo è fondamentale nel messaggio di Gesù e dev'essere anche il cuore della nuova evangelizzazione. La parola-chiave dell'annuncio di Gesù è: Regno di Dio. Ma Regno di Dio non è una cosa, una struttura sociale o politica, un'utopia. Il Regno di Dio è Dio. Regno di Dio vuol dire: Dio c'è. Dio vive. Dio è presente e agisce nel mondo, nella nostra - nella mia vita. Dio non è una lontana "causa ultima", Dio non è il "grande architetto" del deismo, che ha montato la macchina del mondo e starebbe adesso fuori - al contrario: Dio è la realtà più presente e decisiva in ogni atto della mia vita, in ogni momento della storia. (...) Insegnare a pregare. La preghiera è fede in atto.
    . Perciò la liturgia (i sacramenti) non è un tema accanto alla predicazione del Dio vivente, ma la concretizzazione della nostra relazione con Dio. In questo contesto mi sia permessa una osservazione generale sulla questione liturgica.
    Il nostro modo di celebrare la liturgia è spesso troppo razionalista. La liturgia diventa insegnamento, il cui criterio è: farsi capire - la conseguenza è non di rado la banalizzazione del mistero, la prevalenza delle nostre parole, la ripetizione delle fraseologie che sembrano più accessibili e più gradevoli per la gente. Ma questo è un errore non soltanto teologico, ma anche psicologico e pastorale. L'onda dell'esoterismo, la diffusione di tecniche asiatiche di distensione e di auto-svuotamento mostrano che nelle nostre liturgie manca qualcosa. Proprio nel nostro mondo di oggi abbiamo bisogno del silenzio, del mistero sopra-individuale, della bellezza. La liturgia non è l'invenzione del sacerdote celebrante o di un gruppo di specialisti; la liturgia (il "rito") è cresciuta in un processo organico nei secoli, porta in sé il frutto dell'esperienza di fede di tutte le generazioni. Anche se i partecipanti non capiscono forse tutte le singole parole, percepiscono il significato profondo, la presenza del mistero, che trascende tutte le parole. Non il celebrante è il centro dell'azione liturgica; il celebrante non sta davanti al popolo nel nome proprio - non parla da se e per se, ma "in persona Cristi". Non contano le capacità personali del celebrante, ma solo la sua fede, nella quale si fa trasparente Cristo. "Egli deve crescere, e io invece diminuire" (Gv 3, 30).

    3. Gesù Cristo: «Con questa riflessione il tema Dio si è già esteso e concretizzato nel tema Gesù Cristo: Solo in Cristo e tramite Cristo il tema Dio diventa realmente concreto: Cristo è Emanuele, il Dio-con-noi - la concretizzazione dell'"Io sono", la risposta al Deismo. Oggi la tentazione è grande di ridurre Gesù Cristo, il figlio di Dio solo a un Gesù storico, a un uomo puro. Non si nega necessariamente la divinità di Gesù, ma con certi metodi si distilla dalla Bibbia un Gesù a nostra misura, un Gesù possibile e comprensibile nei parametri della nostra storiografia. Ma questo "Gesù storico" è un artefatto, l'immagine dei suoi autori e non l'immagine del Dio vivente (cf 2 Cor 4, 4s; Col 1, 15). Non il Cristo della fede è un mito; il cosiddetto Gesù storico è una figura mitologica, auto-inventata dai diversi interpreti. I duecento anni di storia del "Gesù storico" riflettono fedelmente la storia delle filosofie e delle ideologie di questo periodo.

    4. La vita eterna: «Un ultimo elemento centrale di ogni vera evangelizzazione è la vita eterna. Oggi dobbiamo con nuova forza nella vita quotidiana annunciare la nostra fede. (....)
    Così ritorniamo al nostro punto di partenza: Dio. Se consideriamo bene il messaggio cristiano, non parliamo di un sacco di cose. Il messaggio cristiano è in realtà molto semplice. Parliamo di Dio e dell'uomo, e così diciamo tutto».


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 11/02/2011 11:02
     EVANGELIZZARE TUTTI!


    di padre Pedron Lino

    "Evangelizzare tutti" va inteso nel duplice senso che tutti dobbiamo evangelizzare e che tutti devono essere evangelizzati.

    Ci troviamo a una svolta della storia di proporzioni inedite. Quindi, come prima cosa, occorre prendere coscienza di questa novità.

    Globalmente la situazione può essere qualificata con il termine "stato di missione". Alle spalle abbiamo la "cristianità" medievale con la sua simbiosi tra fede e società, che lentamente si è sfaldata e non ne sussistono che i frammenti.

    Cerchiamo di vedere chiaro in questa situazione di crisi, dal momento che l’evangelizzazione deve fare i conti con essa.

    La CEI ha detto che il mutamento delle condizioni di vita è stato così "vertiginoso" che esso "ci è largamente sfuggito di mano" (CEI, La Chiesa italiana e le prospettive del paese, 23 ottobre 1981, n. 3).

    Tale mutamento ha provocato una crisi religiosa. Tale crisi ha due connotati. Da una parte la caduta della pratica religiosa e l’aumento degli indifferenti: quelli per cui Cristo non significa più nulla e che non chiedono più nulla alla Chiesa.

    Dall’altra la diminuzione dei credenti convinti che aderiscono con la vita ai valori cristiani.

    È grande il numero di coloro che, pur conservando qualche legame con la religione cristiana, tuttavia escludono la fede dalla propria vita e dal proprio pensiero; non fanno cioè nessun riferimento alla religione nell’atto di fare una scelta concreta: la fede non è più il criterio del pensare e la norma dell’agire.

    E questo non perché abbiano preso una posizione di fronte al problema di Dio dando una risposta negativa: il problema non si pone neppure.

    Molti sono così immersi nei problemi rnateriali che non hanno più spazio per pensare ad altro. Far soldi e godersi la vita è il grande scopo che sembra coprire tutto il loro orizzonte.

    E tutto questo può coesistere con una certa pratica religiosa legata alle tradizioni dell’ambiente. Si tratta evidentemente di una pratica saltuaria, connessa con alcune circostanze della vita: grandi feste, sacramenti dei figli, matrimoni, funerali...

    Certo non ci sono solo le ombre. Ci sono anche segni di speranza. C’è l’aspirazione verso una nuova qualità di vita: molti si pongono la questione del senso della vita.

    Contro la tendenza del riflusso nel privato crescono le persone in cui è vivo il bisogno di solidarietà.

    Nel matetialismo asfissiante che infiacchisce la società molti avvertono il bisogno di ristabilire il primato dell’essere sull’avere, dello spirituale sul materiale, dell’uomo sulla tecnica.

    Mentre cresce il numero degli indifferenti, una minoranza viva e dinamica tende a un’adesione matura, personale e convinta alla fede e la traduce in pratica. Dalla situazione descritta sommariamente derivano tre conseguenze:

    1. Non si può affrontare la mutata situazione di oggi e i problemi nuovi che essa pone, con gli strumenti di ieri. Già nel 1964 Paolo VI diceva ai vescovi italiani:

    "L’ordinaria ammistrazione del governo pastorale non è più sufficiente a pareggiare la misura dei nostri doveri e delle altrui necessità".

    2. Oggi per l’evangelizzazione non si può contare molto sulla collaborazione fattiva della famiglia, della scuola, delle istituzioni pubbliche, perché in gran parte sono attraversate dalla crisi. Bisogna partire dalle forze interne della Chiesa perché diventino fermento della società e perché offrano, in spirito di servizio, proposte di soluzione alla crisi in atto.

    3. II problema è troppo grave per pensare di risolverlo in tempi brevi. Bisogna cominciare subito, mettendo tutto l’impegno e la generosità, ma occorre allo stesso tempo guardare lontano. Ci vogliono programmi pastorali a largo respiro.

    E le virtù che più ci occorrono sono la speranza, la pazienza e la tenacia.

    Non è per nulla scontato che i cristiani conoscano il vangelo.

    Credono di conoscerlo. E sotto questo aspetto la loro situazione è peggiore di quella dei pagani. Per questo bisogna ribadire che il primo compito della Chiesa, sempre e dovunque, è l’evangelizzazione.

    II punto di partenza di ogni iniziativa della Chiesa è sempre la Parola e il Pane spezzato.

    Le caratteristiche della nuova evangelizzazione

    In una società come la nostra, anche il cristiano che ha accolto l’annuncio è rimesso continuamente in crisi e ha bisogno continuo di rigenerarsi.

    Da qui l’esigenza di un "catecumenato permanente", cioè di una catechesi che dura tutta la vita. Di fronte a questa esigenza indiscutibile sta un fatto: l’interruzione, quasi generale, della catechesi dopo l’età dell’iniziazione cristiana. Ne consegue che la catechesi per adulti, al di fuori delle associazioni, dei movimenti e dei gruppi impegnati, è quasi totalmente trascurata.

    Nelle molteplici esperienze della Chiesa in questi duemila anni viene espressa un’esigenza di fondo: il cammino della fede deve durare tutta la vita. Il mistero cristiano è così grande che non

    abbiamo mai finito di scoprirlo.

    Da qui nasce l’esigenza di mettere in atto una serie molto varia di "cammini" che aiutino i cristiani a progredire nell’itinerario di fede. Ma nessuno inizia un cammino se prima non ha un’esigenza da soddisfare e un traguardo da raggiungere.

    Nessuno s’incammina sulla strada di Cristo se prima non ha incontrato Cristo. "Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato" (Pascal).

    "La catechesi suppone sia avvenuto un incontro tra Gesù e la libertà dell’uomo. La novità del vangelo splende davanti alla libertà e ne accoglie l’assenso responsabile e operoso.

    A questo punto interviene la catechesi per dare decisione, chiarezza riflessa, organicità, attualità, forza operativa al rapporto che si è instaurato tra la verità del vangelo e la ricerca di verità da parte della libertà.

    Se manca l’evento iniziale dell’annuncio del vangelo, della provocazione e dell’assenso della libertà, la catechesi rimane senza punto di aggancio...

    Si trasforma allora in ammaestramento, indottrinamento, trasmissione di abitudini e di comportamenti cristiani, senza riferimento vitale al fatto che li fonda e li giustifica come comportamenti cristiani".

    (C.M.Martini, Partenza da Emmaus, 1983, p. 77).

    L’adulto accetta Cristo solo se coglie il fascino della sua persona e il suo vangelo come la somma di tutti i valori umani e divini. L’unico metodo che "riesce" è quello che interpella la persona, rispettando la sua natura, facendo cioè appello alla sua intelligenza e alla sua libertà.

    Questa, d’altra parte, è anche la natura della fede, che non può essere imposta, ma proposta e liberamente accettata.

    Non avremo mai comunità vive senza adulti nella fede. L’identikit di tale adulto ha questi tratti:

    1. Egli ha una fede motivata, capace di dar conto di se stessa, di "dar ragione della speranza che c’è in lui" (cfr 1 Pt 3, 15).

    2. Per nutrire questa fede si rapporta costantemente alla Parola. Di lì attinge i criteri di discernimento, le motivazioni del suo essere e del suo agire cristiano.

    3. Perciò sa investire la sua fede nella vita e la testimonia tra gli uomini là dove il Signore lo manda. La coerenza è la sua costante aspirazione perché l’essere è per l’agire.

    4. Ha coscienza di essere Chiesa e di avere in essa un ruolo preciso. Partecipa perciò alla vita della comunità sentendosi responsabile dei suoi impegni e delle sue scelte.

    Assume le sue responsabilità nella famiglia, nella comunità cristiana, nella società. La sua vita è un servizio.

    5. È capace di dialogo e di comunione. Non si chiude in se stesso, ma si apre allo scambio con gli altri, nella gioia di progettare insieme per il bene di tutti.

    6. È animato dall’inquietudine apostolica. Sente che la fede è una cosa troppo bella perché possa tenersela per sé, e comunica agli altri il Cristo che lo ha reso felice.

    7. Non si lascia fagocitare dall’azione, ma è capace di contemplazione e di preghiera, e di Iì attinge energie per il suo impegno quotidiano.

    II documento della CEI "Rinnovamento della catechesi" afferma in modo sintetico:

    "Gli adulti sono in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano perché essi possono conoscere meglio la ricchezza della fede, rimasta implicita o non approfondita nell’insegnamento anteriore.

    Essi poi sono gli educatori e i catechisti delle nuove generazioni cristiane. Nel mondo cristiano pluralista e secolarizzato la Chiesa può dar ragione della sua speranza, in proporzione della maturità di fede degli adulti" (n. 124).

    Dall’insieme risulta chiaro che il criterio per definire adulto un cristiano non si basa sull’età, ma sul cammino di fede che ha percorso e sull’impegno con cui investe questa fede nella vita. Senza comunità rinnovata non c’è pastorale degli adulti e senza adulti maturi non è possibile rinnovare la comunità.

    Dunque, evangelizzare tutti, ma soprattutto gli adulti. Ma come? L’evangelizzazione è un’azione complessa che implica tanti elementi: in particolare include catechesi e sacramenti che sbocciano nella testimonianza personale e comunitaria.

    L’evangelizzazione non è una dottrina da propagandare ma l’annuncio di una Persona: Gesù Cristo che è morto e che il Padre ha risuscitato.

    dice ancora padre Pedron Lino

    L’evangelizzazione non è una dottrina da propagandare ma l’annuncio di una Persona: Gesù Cristo che è morto e che il Padre ha risuscitato.

    Cristo Parola definitiva del Padre e Salvatore unico del mondo. Una bella notizia che cambia tutto il senso della storia e della vita umana.

    II cristianesimo non consiste in "cose da fare", o in un egocentrismo di un gruppo, ma è una "Persona da incontrare" per stabilire una condivisione di vita e di amore che confluisce nella comunione ecclesiale per ricevere dalla Chiesa, in qualità di Maestra e Madre, i Sacramenti per la propria santificazione.

    Il cristianesimo è lo stile di vita di Cristo Signore, che il cristiano assume liberamente, per maturazione della fede in un costante cammino di rinnovamento soprattutto sacramentale, non è invece l'impostazione all'interno di gruppi tendenti a chiudersi in se stessi.

    Evangelizzare dunque significa celebrare una Parola che è Cristo, che si incarna nel Sacramento sia della Confessione, indispensabile per questo incontro, sia con l'Eucarestia, fondamentale per il completamento di questo incontro, gesto personale di Cristo, il quale a sua volta tende a trasformare tutta l’esistenza che diventa "sequela di Cristo".

    L’annuncio deve nascere dalla scoperta personale di chi lo reca. Se infatti è "bella notizia", deve risuonare come qualcosa di nuovo, suscitare sorpresa, riempire il cuore di gioia, scuotere l’uditore dalla sua abitudine, rendendolo veramente libero.

    È notizia antica e sempre nuova che va riscoperta nella preghiera con infinito stupore. Deve toccare il nostro cuore prima di toccare quello degli altri. Se parte da una sincera vibrazione interiore, prenderà sul nostro labbro sapore di novità. Le novità non consistono nel modificare le dottrine o i riti della Chiesa, ma nel modificare il nostro atteggiamento e la nostra libertà di adesione a ciò che la Chiesa ha già trasmesso e continuerà a trasmettere rinnovandosi.
    Non si rinnova la Chiesa modificandola, bensì è la Chiesa che continuamente reformanda, rinnova, riforma e trasforma l'uomo dal suo interno.


    Allora si che l'evangelizzazione del nostro tempo avrà una forza d’urto: sarà un annuncio che scuote e converte per davvero, imprimendo cioè, un orientamento nuovo a tutta l’esistenza.





     ricordiamo così di aggiornarvi anche in questo:


    ATTENZIONE: NUOVO DICASTERO PER L'EVANGELIZZAZIONE CON MOTU PROPRIO DI BENEDETTO XVI





    [Modificato da Caterina63 11/02/2011 11:24]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)