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DIFENDERE LA VERA FEDE

Drammatica (ed anche speranzosa) situazione della Chiesa in Belgio

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    Caterina63
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    00 21/12/2009 23:23
    Molto interessante questa intervista al cardinale Godfried Danneels

    che riporto da 30GIORNI

    Una Chiesa senza bambini non è la Chiesa di Gesù

    Il Natale e il battesimo dei bambini. Paolo VI e Benedetto XVI. Agostino e Damiano di Molokai. Intervista a tutto campo con il cardinale Godfried Danneels, primate del Belgio. Mentre sta per finire la sua lunga stagione alla guida dell’arcidiocesi di Mechelen-Brussel
     

    Intervista con il cardinale Godfried Danneels di Gianni Valente


          Pioviggina un po’ e tira un po’ di vento a Malines, mentre anche nei negozi gli addobbi e le luci annunciano il Natale che già arriva. Oltre il portone dell’arcivescovado regna il solito laborioso, monastico silenzio. Così, facendo le cose di sempre, il cardinale Godfried Danneels attende la festa che – come ripete spesso – lo commuove di più, fin da quando era bambino. Perfino il suo motto episcopale, tratto da un versetto della Lettera di Paolo a Tito, vibra dello stupore davanti alla mangiatoia: Apparuit humanitas Dei nostri. È apparsa l’umanità del nostro Dio. Quest’anno, poi, sarà l’ultima volta che attende il Natale come arcivescovo di Malines-Bruxelles, Mechelen-Brussel nella lingua fiamminga, e primate della Chiesa belga. Niente bilanci, per carità. Ma qualche domanda su come vede le cose, da questo punto particolare del suo cammino, la si potrà pur fare.
     
          Eminenza, siamo in Avvento. La Chiesa lo celebra come un “tempo forte”. Cos’ha di diverso dagli altri?

          GODFRIED DANNEELS: L’Avvento per noi è un tempo un po’ speciale. Siamo sempre occupati a fare tante cose da noi stessi, a fare sforzi per essere all’altezza, per dimostrare la nostra competenza. Arriva l’Avvento, ed è il tempo della grazia. Il tempo in cui ci si può accorgere che le cose vengono da Dio, che la salvezza viene a visitarci, viene da fuori di noi, perché non è già a disposizione dei nostri tentativi e delle opere umane. Siamo disabituati a pensare a questo. Poi c’è un’altra cosa, che per me è la stessa cosa: l’Avvento è il tempo della speranza. Mi ha sempre colpito che durante l’Avvento mettiamo nelle case degli abeti che sono alberi sempreverdi, che passano l’inverno senza spogliarsi delle loro foglie, mentre la natura dorme. Come la speranza di Israele, che attende per secoli e secoli che accada la venuta di Dio. Quel lungo tempo di pazienza che ha custodito la promessa del Signore. Lui viene presto. Non lo vediamo adesso, ma a Natale lo vedremo.

          Per lei soprattutto si tratta di un Avvento particolare. Attende anche di terminare il suo tempo come arcivescovo di Mechelen-Brussel. Come è arrivato fin qui?

          DANNEELS: Non lo so. Tutte le cose importanti nella mia vita sono capitate. Non le ho prodotte io. Anche la mia vocazione non è stata una scelta, l’ho trovata in me, non l’ho creata io. Dopo gli studi secondari sarei dovuto andare al seminario di Bruges, e invece sono andato a Lovanio, perché quell’anno, per la prima volta, il vescovo aveva deciso di mandare subito all’università quelli che avevano finito la scuola superiore. Dopo l’università sarei dovuto tornare a Bruges, al seminario maggiore, e invece sono stato mandato a studiare a Roma. Anche quello era imprevisto. Poi, tornato a Bruges, mi sono trovato a essere il direttore spirituale degli studenti. Avevo ventisei anni. C’erano studenti più grandi di me. Per combinazione, tante cose importanti mi sono capitate proprio nel mese di dicembre. Sono stato consacrato vescovo di Anversa il 18 dicembre 1977. Due anni dopo, sempre a dicembre, sono venuto da Anversa alla sede primaziale di Mechelen-Brussel. E adesso, probabilmente, sarà ancora a dicembre che cambierò posto.

          Lei, come arcivescovo, è rimasto trent’anni nello stesso posto. Di questi tempi sembra un record. Avrebbe accettato di cambiare ancora, magari di venire a Roma, come hanno fatto anche di recente tanti arcivescovi di diocesi importanti?

          DANNEELS: Se il Papa chiede qualcosa, la si fa. Questo non è un problema. Ma penso che la stabilità, in una diocesi, è molto importante. Cambiare sede ogni cinque o dieci anni, lo fanno un po’ in Francia: diventano vescovi in una piccola diocesi, poi in una più grande, poi in una ancora più grande… Per carità, è successo anche a me. Ma penso che stare in un posto per un tempo lungo sia importante. Essere rimasto solo due anni ad Anversa è stato un po’ frustrante. Per me, e anche per i fedeli di quella diocesi.

          Lei proprio quest’anno ha avuto modo di celebrare i 450 anni dalla fondazione della sua diocesi. Così la sua vicenda personale di arcivescovo ha avuto modo di incrociare i tempi lunghi della vita della Chiesa. Nei suoi discorsi, all’inizio delle celebrazioni giubilari, ha anche valorizzato la scelta del Concilio di Trento di istituire diocesi più piccole.

          DANNEELS: Dal Concilio di Trento in poi c’è stata la scelta di diminuire l’estensione delle diocesi e fare diocesi più piccole, per favorire la prossimità. La mia arcidiocesi ancora adesso è abbastanza grande, ma prima lo era ancora di più: anche Anversa faceva parte di Malines-Bruxelles. Mi sembra importante, soprattutto adesso, nelle circostanze attuali, in cui la Tradizione sembra dissiparsi. Il pastore deve conoscere un po’ il suo gregge.

          Lei, di questa prossimità, quale esperienza ha avuto?

          DANNEELS: I momenti più importanti sono sempre stati quelli vissuti andando il sabato sera e la domenica mattina in parrocchia, dove la gente va alla messa, per celebrare la liturgia eucaristica con loro, impartire le cresime, e poi rimanere lì a parlare per un’oretta. L’ho fatto per trent’anni. Per me è stata la cosa più confortante. Così ho sperimentato la comunione del vescovo con la sua Chiesa. Si prega insieme, c’è la liturgia, l’omelia, si celebrano i sacramenti. In questa realtà ordinaria della vita delle parrocchie, dove la Chiesa si raggiunge facilmente, fa parte del vicinato, e non bisogna fare percorsi complicati per raggiungerla e prender parte alla vita di fede. Dove magari vai e non trovi “truppe scelte”, persone dotte e sottili ragionatori, ma solo anziani, donne e bambini, qualche poveretto. Come accadeva già a san Paolo, che scrive ai cristiani di Corinto: tra di voi non ci sono molti sapienti secondo la carne, molti potenti, molti nobili. Ma è stato Dio stesso a scegliere i piccoli e i poveri, perché «nessun uomo possa gloriarsi» davanti a Lui. Per questo è il popolo che col suo sensus fidelium porta la Chiesa, e non il clero.
     
          Questa prossimità ordinaria, questa raggiungibilità della Chiesa, tanti la sperimentano quando vanno a chiedere il battesimo per i propri figli piccoli. Lei, di recente, ha spiegato che in questa pratica non è in gioco solo il rispetto delle consuetudini.
     
          DANNEELS: Quando Tertulliano ha detto a un certo punto della sua vita che non si sarebbero più battezzati i bambini, che chi voleva il battesimo doveva aspettare di diventare adulto, Roma ha risposto: no, perché è stato Gesù stesso a dire agli apostoli: «Lasciate che i piccoli vengano a me». L’argomento fondamentale a favore del battesimo dei bambini è che lo chiede Gesù stesso. Mi pare importantissimo. La presenza dei bambini battezzati nella Chiesa è una ricchezza che non possiamo mai dimenticare. È una grazia e un privilegio immenso, quello di vivere già dalla prima infanzia in un’atmosfera di preghiera, ma anche di culto, partecipando alla messa. Io ho ancora con me la memoria di quando avevo tre, quattro, cinque anni, prima della prima comunione, e andavo in chiesa coi miei genitori e vedevo tutta questa gente che pregava e cantava. C’è una corrente protestante, quella dei rimostranti, dove non c’è il battesimo dei bambini. Ho sentito un bravo pastore di questa comunità lamentarsi del fatto che la chiesa era vuota di bambini, e c’erano solo gli adulti. Lui diceva: è un’altra cosa. Non è la stessa cosa. Una Chiesa senza bambini non è la Chiesa di Gesù.

          Invece alcuni dicono che battezzare i bambini non serve, perché in loro non c’è ancora la consapevolezza. Lei che ne dice?

          DANNEELS: Il battesimo dei piccoli mostra fino a che punto la Chiesa crede che il venire alla fede è l’opera di Cristo in noi. E nello stesso tempo manifesta che la Chiesa è il luogo dove i piccoli e i poveri hanno il primo posto. La Chiesa non è un’assemblea di perfetti, tutti consapevoli e autonomi. Non è una riserva d’élite. Spesso noi crediamo che l’opera di Dio in noi si misuri in base al grado di consapevolezza che ne abbiamo: quanto più noi saremo consapevoli, tanto più la grazia potrà impregnarci. Ma non è così che funziona. Il lavoro della grazia non si manifesta in una presa di coscienza psicologica. La grazia precede la coscienza, e non ne è condizionata. Dio ama la sua creatura così com’è, cosciente o meno. Lui sa come lavorare le anime, anche quelle di chi non ne è consapevole. Quella del bebè come quella del moribondo o del malato terminale che ha perso coscienza. Solo la volontà malvagia prova a fare resistenza alla grazia. Non l’incoscienza innocente. E poi, chi può resistere alla mano di Dio, quando Lui ci vuole attirare a sé? Paolo, con tutta la sua volontà negativa, non è riuscito a resistere, alle porte di Damasco.

          Eppure molti dicono che, vista la crisi di fede del nostro tempo, sarebbe meglio serrare i ranghi. Che le richieste di battesimo e degli altri sacramenti vanno vagliate ed è meglio respingere chi non è idoneo e non s’impegna.

          DANNEELS: Questa posizione mi fa sempre venire in mente l’episodio biblico di Naaman, il capo dell’esercito del re di Siria, malato di lebbra, che va dal profeta Eliseo per chiedergli la guarigione. Il profeta gli manda a dire di immergersi sette volte nelle acque del fiume Giordano, se vuole essere guarito. E allora lui si infuria: gli sembra ridicolo che per lui, così potente, venuto dalla Siria per vedere il profeta, tutto si risolva con un bagno nel fiume. Alla fine viene convinto dai suoi servi, si getta sette volte nel Giordano e ne esce guarito. Allora ritorna da Eliseo per ricompensarlo con del denaro: vuole pagare in qualche modo la sua salvezza. Ma il profeta rifiuta i suoi soldi: la grazia di Dio è offerta gratuitamente a tutti. Per me Naaman è l’immagine di tutti quelli che non riescono ad accettare che la grazia sia così semplice.

     
          Torniamo a lei. Per quel che la conosco, non farà chissà quali bilanci e rendiconti.

          DANNEELS: Se paragono la situazione di adesso a quella di quando ero ragazzo, tante cose sono cambiate. Allora c’era ancora un cattolicesimo sociologico, dove si era cristiani per tradizione, quasi si può dire che si nascesse cristiani. Adesso non è più così. La fede è diventata spesso un fatto personale, a volte personalistico. Io non dico niente di male di quel cristianesimo come tradizione di famiglia, perché come ho già detto sono molto riconoscente verso i miei genitori, dei quali ho conosciuto la fede che ero piccolino. È un vantaggio. Ma questo è quello che capita, e bisogna starci. Attraversando tempi in cui tutto sembra cambiare, il Signore ha continuato a starmi vicino. E quando le cose cambiano come sono cambiate in questo tempo, diventa più evidente che si può sperare solo in Lui. Ho dedicato la mia ultima lettera pastorale proprio alla differenza tra quel tempo e il tempo presente. Il titolo della lettera è La petite fille Espérance. Quella di cui parla Charles Péguy. La speranza come una piccola bambina, che avanza tra le due sorelle grandi, la fede e la carità. Il popolo cristiano crede che siano le grandi a portare per mano la piccola. E invece è lei che tira le altre due.

          Secondo lei qual è adesso il più grande ostacolo all’annuncio del Vangelo? L’ostilità del mondo scristianizzato? L’egoismo dei singoli? Il laicismo?

          DANNEELS: L’ostacolo più grande non è la resistenza della società, o l’ostilità del mondo. Il mondo è sempre stato lì. La resistenza più grande è la mancanza di confidenza di chi vuole evangelizzare e non ha fiducia nella forza propria della Parola di Dio. Ai discepoli che erano disperati per le difficoltà che incontravano, Gesù racconta le tre parabole presenti nel Vangelo di Marco: quelle sul seminatore, sul seme che germoglia da solo, sul granello di senape. Così cerca di far capire loro come vanno le cose. I germogli non fioriscono perché si mette più abbondanza di semi nella terra, o in virtù dell’impegno di chi semina. Il seme è forte e porta frutto da sé stesso.
     
          In una delle parabole che ha citato si parla dell’uomo che dopo aver seminato va a dormire tranquillo, perché «che dorma o vegli, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa». Tante volte anche lei è stato criticato per non essere salito sulle barricate, in nome dei valori cristiani. O per non aver riempito i suoi preti e i suoi fedeli di istruzioni e direttive. È solo questione di carattere?
     
          DANNEELS: Certo, il mio temperamento c’entra qualcosa. Ma anche nella Bibbia c’è scritto che il servo di Dio non levava la voce nelle strade. Di questo non parlano mai, non lo ricordano mai. Io sono convinto della forza silenziosa, misteriosa della Parola di Dio. Non è che non si deve far niente. Io ho lavorato dalla mattina alla sera. Ma non ho gridato. Per gridare ci sono gli urlatori. Io non lo sono. E poi c’è il metodo di Paolo, che comincia a profetizzare nelle piazze. E va bene. Ma c’è anche il metodo di Maria. Che è come quello della stufa, che senza dire niente riscalda tutti quelli che le sono intorno.


    continua..............

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 21/12/2009 23:24
    continua da sopra..........

     Vorrei leggerle una frase di Paolo VI. Era il 1968. Anche nella Chiesa c’era aria di bufera. Papa Montini va in visita al Seminario lombardo, e dice: «Tanti si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a qualunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta». Non si tratta, aggiunge più avanti, «di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione, che Gesù stesso ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza».

          DANNEELS: Potrei averla scritta io stesso. È vero che il Papa con cui ho sentito personalmente più affinità è Paolo VI. Lui mi ha nominato vescovo. Con Paolo VI mi sento a casa.

          L’ha citata anche Benedetto XVI, nella sua visita a Brescia.
     
          DANNEELS: Anche Benedetto XVI ha la stessa attitudine a non gridare, a dire le cose proponendole con un po’ di fiducia. Non è il modello atletico di Giovanni Paolo II, che è stato un altro tipo di Papa. Importante, anche lui. Ma diverso da Paolo VI.
          Benedetto XVI negli ultimi tempi sembra insistere su questo punto. Aprendo il Sinodo africano, citando gli apostoli, ha ricordato che anche loro hanno aspettato l’azione dello Spirito Santo, perché sapevano che «la Chiesa non si può fare, non è il prodotto della nostra organizzazione». La Chiesa, adesso, ha bisogno di essere richiamata a questa realtà?

          DANNEELS: La Chiesa ha bisogno di sant’Agostino. Che dice che la grazia fa tutto. Anche noi dobbiamo collaborare. Ma è Dio che opera, e noi cooperiamo. Invece ci siamo votati troppo a un certo pelagianesimo, pensiamo che le cose in fondo dipendono da noi, e che ci basta solo un piccolo aiuto da parte di Dio. E così neghiamo l’onnipotenza della grazia. Proprio come succedeva ai tempi di Agostino.

          Questa tentazione dove l’ha vista affiorare, nella Chiesa?
     
          DANNEELS: Negli anni Sessanta e Settanta, questa tendenza ha assunto un colore più politico. Molti avevano in mente di realizzare il Regno di Dio inteso come rivoluzione sociale. Adesso, alcuni della Teologia della liberazione sono passati a fare l’ecologia. Sono gli stessi combattenti, hanno solo cambiato armamentario… Poi, negli anni Ottanta e Novanta, è prevalso un certo modo di interpretare l’evangelizzazione come impresa della Chiesa, come frutto del suo protagonismo nella società. Oggi la stessa tendenza un po’ pelagiana ha assunto forme più restauratrici. Ci sono quelli che dicono: dopo il Concilio c’è stato un certo smarrimento, si sono dissipate tante cose buone, ma adesso ci pensiamo noi a rimettere a posto le cose, a raddrizzare il cammino. Chiamano sempre in causa cose essenziali: la liturgia, la dottrina, l’adorazione eucaristica… Ma a volte, nei loro discorsi, queste cose sembrano solo parole d’ordine di un nuovo corso, usate come bandiere. Cambiano gli slogan, ma la linea di fondo rimane sempre la stessa.

          Quale?

          DANNEELS: Siamo sempre tentati di fare da noi stessi. Prima nell’Azione cattolica, e dopo nei movimenti. Prima nel rinnovamento conciliare, e adesso nella restaurazione. Gli attori siamo sempre noi. Rimandiamo sempre a noi stessi: guardate me, come faccio bene le cose. Invece non serve a niente essere un grande predicatore, se l’attenzione del mondo si ferma sul predicatore. Vedere l’uomo di Chiesa non conta nulla, anzi, quell’uomo di Chiesa fa da schermo se dietro di lui non s’intravvede Gesù. San Paolo dice: potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri. Ecco, questo è un tempo in cui ci sono tanti pedagoghi che parlano a nome di Cristo, danno lezioni a tutti nel nome di Cristo, ma non danno la loro vita. Non sono padri in Cristo, perché non sono figli.
     
          Vorrei farle qualche domanda su questioni specifiche. Come ha vissuto dal Belgio la liberalizzazione dell’uso del Messale di san Pio V?

          DANNEELS: Tutti i riti sono buoni quando sono riti cattolici. Ho sempre pensato che attraverso le disposizioni di tolleranza liturgica contenute nel motu proprio Summorum pontificum, il Papa abbia voluto mostrare la sua disponibilità affinché tutti i tradizionalisti rientrino nel seno della Chiesa cattolica. Non sono sicuro che sia sufficiente a risolvere la questione, perché il problema coi lefebvriani non è il rito, il problema è il Concilio Vaticano II. La questione della liturgia è come la locomotiva. Bisogna vedere cosa c’è dentro i vagoni che essa trasporta.

     
          Proprio qui a Malines, negli anni Venti, erano iniziati i primi contatti ecumenici tra cattolici e anglicani, favoriti dal cardinale Joseph Mercier, suo predecessore. Come giudica la recente istituzione di ordinariati per accogliere comunità anglicane che vogliono stabilire la piena comunione col vescovo di Roma?

          DANNEELS: Anche questo è stato un segno di disponibilità del Papa, per ricevere quelli che vogliono venire nella Chiesa cattolica. E anche su questo, bisognerà aspettare qualche anno per vedere se quella presa sarà stata la soluzione migliore. Vedremo dai risultati. In generale, mi sembra che nelle relazioni tra cattolicesimo e anglicani si registri una certa sfiducia. La visita di Rowan Williams al Papa è stata importante, ma ho letto il discorso di Rowan alla Gregoriana, e ci ho trovato una certa nota di disillusione. Non era certamente entusiasta.

          Lo scorso 15 novembre, al Te Deum per la festa del re, lei ha rinnovato l’invito a pregare per i governanti. Una cosa insolita, in tempi in cui tanti vescovi si applicano a tenere lontani i politici dall’eucaristia.

          DANNEELS: Ho ricordato che di tempo in tempo è cosa buona ringraziare quelli che si prendono la responsabilità della politica, perché stiamo sempre a criticare, ma ci sono anche dei politici che si sono dedicati al proprio lavoro con grande senso di gratuità. San Paolo dice: anche se i nostri governanti sono contro di noi, bisogna pregare per loro. A quel tempo i governi non garantivano certo privilegi per i cristiani, anzi avveniva piuttosto il contrario. Ma san Paolo dice lo stesso: pregate e rendete grazie per i magistrati e per tutti quelli che stanno al potere, affinché possiamo vivere una vita calma e tranquilla. Perché il potere dipende da Dio e sorpassa l’individualità di colui che ne porta la responsabilità. La responsabilità è molto più grande dell’uomo che la porta.

          A proposito, lei conosce bene Herman Van Rompuy, e si è congratulato pubblicamente per la sua nomina a presidente del Consiglio europeo…

          DANNEELS: È un uomo molto capace. Uno che non ha mai fatto manovre per arrivare fin dove è arrivato. E questa è una posizione di forza. Alcune settimane fa ha parlato a Liegi sull’enciclica sociale Caritas in veritate, e ha detto esplicitamente che quella è la dottrina cui si ispira nella sua attività politica. È un onore per lui e per noi che sia stato chiamato alla carica di presidente del Consiglio europeo. Ma per il Belgio è anche un problema. Lui, come primo ministro, aveva dato prova di saper condurre i rapporti tra nord e sud del Paese con competenza e conoscenza storica. Adesso si deve ricominciare tutto con qualcun altro.

          Nelle ultime settimane lei si è molto coinvolto nelle celebrazioni per la canonizzazione di padre Damien de Veuster. È volato perfino nell’isola di Molokai, nelle Hawaii, dove padre Damien visse e morì curando i lebbrosi. Cosa ha riportato con sé da quel posto così lontano?

          DANNEELS: Damien è un santo della mia diocesi. Il primo dopo quattro secoli, dopo il gesuita san Giovanni Berchmans, vissuto all’inizio del XVII secolo. La cosa che mi ha più impressionato a Molokai era la natura così rigogliosa, coi fiori, gli alberi, il sole, l’oceano, tutto quell’azzurro, tutto così bello, e proprio quello era lo scenario dove vivevano i lebbrosi, gli uomini più sfigurati. Un contrasto paradossale tra la bellezza e la miseria umana. In quell’isola tra le più belle del mondo c’erano gli uomini più ributtanti. Si passeggia nell’isola, e ci sono tombe dappertutto, più di ottomila. In un luogo dove la vita appare così esuberante, regna la morte. E proprio in quel posto faceva impressione immaginarsi padre Damien, e la fede immensa che ha avuto, vivendo e testimoniando la speranza in quella situazione.

          Eppure lei ha detto che non bisogna guardarlo come un eroe.
     
          DANNEELS: È un eroe, tanto che gli hanno anche dedicato una statua al Campidoglio di Washington. Ma è anche molto di più. È un santo. E questo l’avevamo quasi scordato. Tanti mi chiedono perché mai Damien ha aspettato un secolo per fare il primo miracolo. La mia risposta è sempre la stessa: è colpa nostra, perché noi non abbiamo domandato la sua intercessione. L’abbiamo ammirato, ma non ci siamo rivolti a lui nella preghiera. Lui, da noi, non ha avuto lavoro, non ha avuto niente da fare. Avrà pensato: se voi non chiedete niente, io non faccio niente.
     
          Riguardo ai processi di beatificazione, cosa pensa della velocità con cui va avanti la causa di Giovanni Paolo II?

          DANNEELS: Io penso che si doveva rispettare la procedura normale. Se il processo di per sé avanza velocemente, va bene. Ma la santità non ha bisogno di passare per corsie preferenziali. Il processo si deve prendere tutto il tempo che serve, senza fare eccezioni. Il Papa è un battezzato come tutti gli altri. Dunque la procedura di beatificazione dovrebbe essere la stessa prevista per tutti i battezzati. Certamente non mi è piaciuto il grido «santo subito!» che si è sentito ai funerali, in piazza San Pietro. Non si fa così. Qualche tempo fa hanno anche detto che si trattava di una iniziativa organizzata, e questo è inaccettabile. Creare una beatificazione per acclamazione, ma non spontanea, è una cosa inaccettabile.

          Ha qualche preoccupazione riguardo alla sua successione alla guida della diocesi? Teme che possano fare una scelta sbagliata?
     
          DANNEELS: Penso che chiunque verrà nominato, quello sarà il pastore della diocesi. E basta. Non penso mai a chi sarà. Sarà quello che sarà. Probabilmente, e fortunatamente, sarà diverso da me. Non c’è bisogno di fare il clone del proprio predecessore. Non lo sono stato nemmeno io. Se dovessi dare un consiglio, gli direi: rimani quello che sei. Non si può fare un buon lavoro quando si ha il problema di paragonarsi e di assomigliare a qualcun altro. Bisogna essere quello che siamo, e lavorare coi carismi che abbiamo, che non sono quelli che hanno gli altri, perché ognuno ha i propri». E poi è una cosa buona che di tempo in tempo si cambi il temperamento di colui che ha la responsabilità della diocesi. Se rimanesse in vigore sempre lo stesso stile, la cosa diventerebbe anche noiosa.
     
          Cosa farà, dopo?

          DANNEELS: Spero di riuscire a fare quello che non ho avuto il tempo di fare negli ultimi anni di episcopato. Per esempio, la preghiera, ché quando sei vescovo è davvero un combattimento quotidiano riuscire a trovare il tempo per pregare. Poi vorrei riprendere a studiare un po’ la Bibbia. Con un’esegesi non troppo scientifica, ma piuttosto spirituale. Alla Gregoriana ricordo che abbiamo avuto un buon corso di Esegesi del Nuovo Testamento… E poi, anche riposarmi un poco. Avere il tempo di guardare gli alberi, i fiori, la natura. E di ascoltare un po’ di musica. Mi piace tutto quello che comincia con la b: Bach, Beethoven, e i Beatles.

          Venendo qui, ho visto che stanno ristrutturando la Cattedrale. Vuole lasciare le cose a posto.

          DANNEELS: Ma no, la Cattedrale è sotto la sovrintendenza dello Stato. E la Cattedrale è sempre in costruzione, da secoli... Ci saranno sempre lavori da fare, magari ancora per trent’anni. Probabilmente, nemmeno il mio successore ne vedrà la fine.


    *********************************************

    Biografia breve:

    Riceve l' ordine sacro il 17 agosto 1957, successivamente insegna e diviene poi professore di Teologia e Direttore spirituale del Seminario.

    Il 4 novembre 1977 venne nominato da papa Paolo VI vescovo di Antwerpen, Anversa e viene consacrato il 18 dicembre 1977.

    Creato cardinale da papa Giovanni Paolo II nel concistoro del 2 febbraio 1983, è arcivescovo di Malines-Bruxelles, Primate e ordinario militare per il Belgio. Dal 1980 è anche Presidente della Conferenza Episcopale Belga. È inoltre membro del Consiglio della II Sezione della Segreteria di Stato, della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, della Congregazione per l' Evangelizzazione dei Popoli, della Congregazione per l' Educazione Cattolica e della Congregazione per le Chiese Orientali.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 18/01/2010 15:15
    Bollettino Santa Sede

    Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Malines-Bruxelles (Belgio) S.E. Mons. André-Mutien Léonard, finora Vescovo di Namur (Belgio).

     S.E. Mons. André-Mutien Léonard


    S.E. Mons. André-Mutien Léonard è nato il 6 maggio 1940 a Jambes, nella diocesi di Namur (Belgio). Dopo gli studi secondari presso il "Collège Notre-Dame de la Paix" a Namur, ha compiuto gli studi filosofici presso l’Università Cattolica di Louvain, ottenendone la Licenza, e quelli teologici presso la Pontificia Università Gregoriana fino alla Licenza. Ritornato in Belgio, ha conseguito il Dottorato in Filosofia a Louvain-le-Neuve.

    Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 19 luglio 1964 per la diocesi di Namur.

    Dal 1970 al 1991 è stato Professore di Filosofia all’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve. Dal 1978 è stato anche Rettore del Seminario Universitario "Saint-Paul" a Louvain-la-Neuve. È stato membro della Commissione Teologica Internazionale.

    Eletto Vescovo di Namur il 7 febbraio 1991, è stato ordinato il 14 aprile successivo.

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    Ricordiamo a chi legge l'importanza di questa nomina a causa del declino e della devastazione alla quale è giunta la Chiesa in Belgio, cliccate qui, S.E. Mons. André-Mutien Léonard



    così riportava padre Marcello Stanzione su Petrus nel 2008:

    è esemplare la vicenda di Monsignor Andrè Mutien-Lèonard, vescovo di Namur, in Belgio, che è stato ufficialmente incriminato per il reato di “omofobia” ai sensi della Legge Anti-discriminazione del 2003, per aver espresso punti di vista contrari alla pratica dell’omosessualità. Adesso rischia fino a 12 mesi di carcere. In un’intervista al settimanale ‘Tèlè Moustique’, dopo aver ribadito che “per definizione, il matrimonio è un’unione stabile fra uomo e donna”, il vescovo aveva affermato che la sua posizione in tema di omosessualità coincide con la teoria di Freud, secondo il quale questo comportamento è frutto di uno sviluppo psicologico bloccato: “L’omosessualità corrisponde ad uno stato imperfettamente sviluppato della sessualità umana, che contraddice la sua logica intrinseca”.
    Accusato di essere “retrogrado”, il vescovo belga ha invece denunciato la cultura omosessualista di tornare indietro nei secoli: “La promozione dell’omosessualità attraverso delle manifestazioni come i gay pride ci fanno ritornare all’antichità greco-romana. La glorificazione dell’omosessualità implica un salto indietro di 2000 anni”. Parlare male della potentissima lobby omosessualista oggi in Europa è molto pericoloso. Non a caso, le dichiarazioni del vescovo sono state addirittura stigmatizzate dal Parlamento Europeo. Una mozione presentata dal gruppo socialista, chiedendo “la fine di ogni discriminazione nei confronti degli omosessuali”, criticava come “ inaccettabili le continue dichiarazioni di leader religiosi, come quelle del vescovo di Namur”.



    Comunque non solo Tornielli ma anche Paolo Rodari scriveva il 5 dicembre 2009:

    C’è bagarre nella chiesa belga in attesa del nome del successore del cardinale Godfried Danneels (76 anni), arcivescovo di Malines-Bruxelles, primate e presidente della conferenza episcopale del paese. Il Papa deciderà entro Natale. La chiesa è divisa al suo interno: da una parte chi vuole continuità con la conduzione degli ultimi anni, dall’altra chi si augura un cambio di rotta deciso. Chi appoggia la continuità spinge per la nomina di monsignor Jozef De Kesel, ausiliare dello stesso Danneels. Chi sostiene la linea della discontinuità ha in mente il nome dell’arcivescovo di Namur, André-Mutien Léonard.
    La chiesa cattolica belga sta attraversando una crisi profonda: i seminari sono vuoti, i fedeli praticanti ridotti all’osso, i vescovi non godono più del prestigio e della presa sulla vita pubblica del paese che avevano un tempo. Soltanto pochi mesi fa il cattolico Re Alberto II ha promulgato, senza dare peso alle critiche dei vescovi, una legge che definisce embrioni e feti “materiale corporeo umano” disponibile per le applicazioni mediche. In sostanza, è una débâcle. Una sconfitta che faceva già dire a Giovanni Paolo II: “La speranza della chiesa non è in Europa, è altrove”. E ancora, ad alcuni porporati di curia: “La chiesa belga è come un cimitero”.
    I dati dicono che le diocesi belghe raccolgono soltanto 71 seminaristi. Ma 35 di questi sono della diocesi di Namur, quella governata da Léonard. A Danneels parte della chiesa locale imputa di non aver fatto altro che portare avanti la linea progressista del suo predecessore, il cardinale Léon-Joseph Suenens: battagliò in aperto contrasto con l’Humanae Vitae di Paolo VI a favore del controllo delle nascite. Danneels è anche accusato di non aver fermato la deriva dottrinale presa dalla prestigiosa (e cattolica) Università di Lovanio: qui si è sostenuta la legittimità delle unioni omosessuali.

     
    Sorriso
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 22/01/2010 18:01

    Mons. Léonard: priorità una liturgia accurata e le vocazioni

    BRUXELLES, giovedì, 21 gennaio 2010 (ZENIT.org). e pubblicato da Messainlatino

    Una liturgia profonda, un'autentica preoccupazione sociale e la promozione delle vocazioni sono tre delle priorità annunciate dal nuovo Arcivescovo di Malines-Bruxelles, monsignor André "Joseph" Léonard. Il giorno in cui è stata resa nota la sua nomina, il 17 gennaio, il primate del Belgio - accompagnato dal suo predecessore, il Cardinale Godfried Danneels - ha concesso una conferenza stampa nella quale ha ricordato che presto compirà 70 anni.“Ciò significa che, se conserverò la buona salute che ho oggi, non avrò che cinque anni per servire questa diocesi di Malines-Bruxelles”, ha affermato nel suo incontro con la stampa questo filosofo e teologo, che è stato Vescovo di Namur per quasi 20 anni.

    “Potrete quindi capire che devo stabilire delle priorità per utilizzare nel modo più efficace possibile gli anni che in teoria ho davanti a me”, ha aggiunto il presule, che in virtù del suo nuovo incarico, secondo un costume proprio del Belgio, diventa anche presidente della Conferenza Episcopale e Vescovo della Diocesi delle Forze Armate. L'Arcivescovo ha annunciato, innanzitutto, che in questi anni desidera compiere una visita sistematica alla diocesi per conoscere la realtà sul campo.

    Tre priorità

    Parlando delle basi del suo futuro ministero arcivescovile, il primate ha affermato di voler promuovere una delle idee centrali proposte dal Cardinale Danneels nelle sue omelie delle ultime settimane: “l'importanza di una liturgia accurata, fedele alla grande tradizione della Chiesa, degna di Dio e degna degli uomini e delle donne che vi partecipano”.

    Nel suo congedo, ha ricordato l'Arcivescovo Léonard, il suo predecessore ha auspicato “che la nostra Chiesa sia sempre più una Chiesa 'orante' e 'adorante', invitando anche in modo esplicito a sviluppare la pratica dell'adorazione eucaristica”. “Vorrei impegnarmi con decisione in questa direzione”, ha aggiunto.

    L'altra priorità pastorale che monsignor Léonard promuoverà, seguendo la via tracciata dal Cardinal Danneels, che lo ha consacrato Vescovo nel 1991, è la “preoccupazione sociale, soprattutto in materia di alloggi. Vorrei, nel modo migliore possibile, seguire i suoi passi, in questo campo come in molti altri”. [Con tutto il rispetto e la comprensione per queste frasi 'dovute': ma che può fare la Chiesa, specie se impoverita come in Belgio, per le case popolari? Non ci pensa il governo?].

    Monsignor Leónard ha poi indicato come priorità “la preoccupazione per le vocazioni, per tutte le vocazioni”. “L'impegno di tanti cristiani – ha sottolineato l'Arcivescovo, che parla sette lingue –, uomini e donne, nella società e nelle nostre parrocchie e movimenti, è una benedizione”. “Ad ogni modo, abbiamo anche bisogno di uomini e donne consacrati, così come di sacerdoti e diaconi”, ha affermato monsignor Léonard, che come Vescovo di Namur è noto per la crescita del suo seminario (nel quale studiano 35 dei 71 seminaristi del Belgio).

    “Chiaramente non ho ricette per suscitare o attirare vocazioni alla vita consacrata o al sacerdozio, ma so che il Signore vuole donarcele e prometto di fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per rispondere alla sua volontà”.

    L'Arcivescovo ha annunciato sulla sua pagina web che, in occasione della sua nomina, ha modificato il suo secondo nome, Mutien (che aveva adottato quando era stato nominato Vescovo di Namur), in Joseph, santo patrono del Belgio. Monsignor André Mutien Léonard si chiamerà ora André Joseph Léonard. Prenderà possesso della sua sede il 28 febbraio.

    [Con informazioni di Anita S. Bourdin]



    Fraternamente CaterinaLD

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    00 06/05/2010 20:02
    A colloquio con l'arcivescovo Léonard, presidente della Conferenza episcopale del Belgio

    La rinascita di una comunità
    radicata in una fede antica


    di Mario Ponzi


    È una Chiesa in sofferenza quella che è in Belgio. Soffre perché nonostante il cristianesimo sia profondamente radicato nella storia del Paese - un tempo la parte fiamminga, in particolare, era considerata una fortezza del cattolicesimo in Europa - il processo di secolarizzazione, iniziatosi ormai da alcuni decenni, si sta inesorabilmente accentuando. Al punto che recenti statistiche indicano un calo del 30 per cento tra i cattolici in tutta la nazione. Ma soffre anche per la deriva bioetica che consegue alla perdita di riferimenti morali certi. Non a caso il Belgio è il secondo Paese europeo ad aver approvato una legge per l'eutanasia. E soffre per lo scandalo degli abusi sessuali, che ha portato alle recenti dimissioni del vescovo di Bruges, sfiorando indebitamente lo stesso presidente della Conferenza episcopale. Proprio con lui, con monsignor André-Mutien Joseph Léonard, arcivescovo di Mechelen-Brussel e primate del Belgio - a Roma in questi giorni alla guida dei presuli in visita ad limina Apostolorum - abbiamo parlato del momento particolarmente difficile nella vita di questa Chiesa. Monsignor Léonard, nell'intervista rilasciata al nostro giornale, parla soprattutto della volontà di riscatto che anima i cattolici del suo Paese. Una volontà fortemente alimentata e sostenuta dai vescovi e dai loro sacerdoti, concretizzatasi in un impegno tale da produrre frutti tangibili. Sono segnali, assicura l'arcivescovo, di un rinnovamento dello spirito che nasce dal seno stesso della comunità ecclesiale.

    È  dunque  l'immagine  di  una  Chiesa in  difficoltà  quella  che  presenterete  al Papa?

    Non direi che si tratta di un'immagine tanto diversa da quella delle realtà cattoliche in altri Paesi d'Europa - penso a quelle in Germania, Francia, Paesi Bassi - che devono confrontarsi con sfide simili. Forse è più forte il contrasto con il passato che, nel nostro Paese, è caratterizzato da una forte presenza e da un'altrettanto forte influenza cristiana. Indubbiamente soffriamo per un processo di secolarizzazione molto duro da arginare. Tuttavia esistono segnali di speranza molto chiari e anche più forti e incisivi che nel passato. Per esempio è vero che si registra un calo sensibile, non tanto nel numero dei cattolici - perché siamo sempre intorno al 73 per cento della popolazione - quanto piuttosto di quelli che si impegnano a vivere realmente una vita da credenti. Di contro però l'opera di chi lavora nella vigna del Signore è molto più determinata e significativa di prima.

    Restano comunque evidenti difficoltà nel far accettare principi etici, soprattutto in tema di aborto, eutanasia e più in generale su questioni bioetiche.

    Sono difficoltà di oggi che nascono nel passato. Tanti anni fa tra i partiti di maggioranza al Governo quasi sempre ne figurava uno di forte ispirazione cristiana, in grado di orientare le scelte. Poi si sono succeduti Governi sostenuti da maggioranze di cui non facevano parte forze politiche cattoliche. È così da diversi anni. Dunque si è approfittato di queste circostanze per riproporre e far accettare tutte quelle leggi che, proprio perché contrarie alla morale cristiana, oltreché alla legge naturale, erano state sempre respinte. Così è stato per l'aborto e così è stato, in tempi più recenti, per l'eutanasia. Lo stesso è avvenuto per legalizzare l'unione tra coppie omosessuali e l'adozione di bambini da parte di omosessuali.

    Per restare sulle questioni legate ad aborto ed eutanasia, quali sono gli spazi in cui possono muoversi le strutture sanitarie gestite da cattolici - oltre il 65 per cento del totale di quelle nazionali - davanti a richieste di simili pratiche?

    Non è questione di numeri. È questione di mentalità della gente che gestisce. È così in tutti i campi. La Chiesa cattolica in Belgio ha promosso la nascita di tante istituzioni. Soprattutto nel campo dell'istruzione. A livello elementare la percentuale è prevalente rispetto agli altri. Ma anche a tutti gli altri livelli di scolarizzazione le istituzioni della Chiesa sono tantissime e ben frequentate. Il problema però è in quale misura rispondono all'identità che deriva dal loro essere istituzioni cattoliche. Una questione che si fa delicata proprio quando si tratta di un'istituzione sanitaria, perché c'è da chiedersi fino a che punto restano fedeli all'etica cristiana. Le istituzioni cattoliche hanno oggi un grande e riconosciuto valore; ma bisogna verificare il loro impegno di testimonianza cristiana, perché tutto dipende dalla coscienza di chi le gestisce e da chi ci lavora. È chiaro che non possiamo obbligare nessuno, con misure disciplinari, perché otterremmo il risultato di peggiorare la situazione. Nostro compito è quello di tentare di convincere del valore della morale cattolica. Per il resto dobbiamo affidarci alla coscienza delle persone, alla possibilità che hanno i medici di esercitare il diritto all'obiezione di coscienza. Più difficile da esercitare per gli infermieri, impossibile al momento per i farmacisti.

    È un problema che riguarda anche le università cattoliche?

    Le università cattoliche mi stanno molto a cuore. Innanzitutto credo che la Chiesa debba riconoscere, e dimostrare di riconoscerlo, il grande valore che hanno le nostre università cattoliche; ma poi è altrettanto necessario fare ricorso con più grande fiducia alle loro competenze in diversi campi. Lavorerò in questo senso proprio per la mia qualifica di Gran Cancelliere delle università di Lovanio (Leuven) e di Louvain-La-Neuve, in quanto arcivescovo di Mechelen-Brussel. Credo che nei loro confronti ci si debba porre in maniera positiva, dobbiamo dare il segnale di quanto abbiamo bisogno di loro se vogliamo poter dare risposte all'uomo di oggi. In un clima positivo potremo discutere di ogni singolo problema che riguarda il rapporto scienza e fede, fede e ragione, o argomenti di bioetica e trovare con loro idee e soluzioni. Del resto nelle nostre università c'è gente competente professionalmente e forte di convinzioni etiche ben radicate. Possono reggere il confronto con qualsiasi altra istituzione universitaria. E vorrei anche sfatare la convinzione che parlare delle nostre università significa solo parlare di questioni di bioetica. Esistono, ma fanno parte di un insieme del quale forse la Chiesa non si è avvalsa pienamente sino a oggi. Dobbiamo cominciare a farlo con maggiore frequenza e impegno.

    In quale modo si potrà riversare questo clima positivo sulle altre componenti della comunità ecclesiale, per esempio nelle parrocchie alle prese con problemi spinosi quali la presenza di diversi gruppi linguistici e l'introduzione di prassi liturgiche definite devianti?

    Quello del bilinguismo, o addirittura delle tre lingue - al fiammingo e al francese bisogna aggiungere in alcune zone il tedesco - è un problema ininfluente nella vita delle parrocchie. Semmai è limitato alle sole comunità delle grandi città dove è più facile la convivenza di diversi ceppi linguistici. Generalmente però è accettato l'uso della lingua prevalente nella regione. Più delicato è invece il problema dell'introduzione di riti a volte rischiosi, che possono fuorviare dal significato della liturgia. A volte, in certe parrocchie soprattutto, si tratta di elementi gravemente devianti. Certo dovremo occuparcene più attentamente. È un problema da risolvere a monte, perché questi comportamenti derivano da una mancata conoscenza o quanto meno da un'incompleta conoscenza della liturgia. Per questo ritengo necessario agire molto sulla formazione dei sacerdoti, permanente e continua. Così il sacerdote saprà come aiutare la gente a partecipare alla liturgia, a farle gustare la liturgia senza accettare pratiche devianti.

    Lei ha parlato di formazione dei sacerdoti. La crisi che ha investito la Chiesa a proposito di abusi sessuali su minori - ha pesantemente toccato anche la Chiesa che è in Belgio e continua in questi giorni a trovare spazio sui media - pensa sia conseguenza di qualche mancanza nella formazione del sacerdote o c'è dell'altro?

    Gli episodi cui si riferisce sono stati per noi motivo di una grande sofferenza, soprattutto pensando alle vittime, alle quali va e deve andare sempre la nostra solidarietà. Certo, quando un vescovo si ritira e rinuncia alla sua missione per fatti gravissimi, anche se avvenuti in un passato più o meno lontano, è e rimane, per noi ma anche per tutti i fedeli, un motivo di inquietudine. Ricercare le cause è sempre difficile. Sono convinto però che non sia corretto ricondurre certi atteggiamenti devianti al celibato dei sacerdoti. Intanto perché ognuno di noi sa bene che gli abusi sessuali sui minori avvengono principalmente tra le mura domestiche, in famiglia. Credo che a nessuno venga mai in mente di accusare il matrimonio come fonte di squilibrio mentale per questi atti. Il problema è semmai lo sviluppo personale dell'individuo. Ed è una ragione in più per concentrarci proprio sulla formazione del sacerdote. Bisogna essere molto attenti all'equilibrio affettivo del candidato al sacerdozio.

    In che modo intendete agire per evitare il ripetersi di simili tragedie?

    Ci concentreremo ancora di più su questo aspetto specifico della formazione sacerdotale, a cominciare dal discernimento. Intendiamo rafforzare le équipe di accompagnamento che, soprattutto nei primi anni, affiancano gli aspiranti sacerdoti, cercano di capire più a fondo la loro indole, le loro personalità, il loro equilibrio. Ma, ripeto, il celibato non è fonte di squilibrio per il sacerdote; è piuttosto fonte di grazia.

    E per le vittime degli abusi?

    Da circa tredici anni la Conferenza episcopale del Belgio ha istituito una commissione alla quale rivolgersi quando si vuole denunciare un comportamento illecito o un abuso subito. Agisce autonomamente, nel senso che una volta raccolta la denuncia, lavora indipendentemente dall'episcopato stesso. È formata da personale altamente specializzato e qualificato che si muove e  opera  senza  alcuna  interferenza. Anche quando si tratta di fatti prescritti accoglie e ascolta quanti sono rimasti vittima di abusi. Li consiglia sul cosa fare e offre, dove possibile, il suo aiuto.

    Com'è cambiato - se è cambiato - il lavoro di questa commissione dopo le dimissioni del vescovo di Bruges?

    Intanto è aumentato. Molti denunciano anche soltanto un sopruso o comunque protestano contro sacerdoti o raccontano fatti accaduti addirittura trenta, quaranta o anche cinquant'anni fa. Ma, seguendo anche il modo di agire della stessa Conferenza episcopale e raccomandato da tutti i vescovi del Paese, invita le vittime, vere o presunte tali, a rivolgersi direttamente e immediatamente all'autorità giudiziaria per denunciare il fatto. Il nostro aiuto può essere solo morale e di sostegno per loro. È molto importante che le vittime siano ascoltate. Ma devono denunciare il fatto alla magistratura. Lo consigliamo a chiunque venga a lamentarsi o anche soltanto a confessare di aver subito un abuso. È una condizione che abbiamo sempre favorito, ma che oggi riteniamo imprescindibile.

    Perché?

    Intanto perché l'autorità giudiziaria ha i mezzi per fare indagini e per accertare la verità dei fatti. E poi perché vogliamo evitare che ci accusino di coprire i colpevoli o tentare aggiustamenti.

    Quale ruolo hanno avuto in queste vicende i media?

    Devo dire che non godiamo, come Chiesa in generale, di buona stampa. Ma - è ovvio - nemmeno posso dire che siamo perseguitati. Per esempio, la nostra decisione di spingere le vittime a denunciare gli abusi alla magistratura è stata molto bene accolta. Come è stato molto apprezzato l'avere convocato, dopo i fatti di Bruges, una conferenza stampa per chiarire bene i fatti senza reticenze e annunciando la nostra politica di trasparenza assoluta.

    Anche per la vicenda che l'ha recentemente sfiorata?

    Si tratta di una vicenda che si è smontata subito e da sola, una vicenda, peraltro già avviata a soluzione, tirata fuori da alcuni giornali fiamminghi che non conoscevano bene i fatti. Significativo è che i media dell'area francofona non l'abbiano né ripresa né rilanciata perché erano a conoscenza della verità e di come sia stato già tutto definito e spiegato. Ma ci può stare anche questo in un clima così.

    Questa vicenda potrà influire anche sul già scarso numero di vocazioni. Come intendete affrontare il problema?

    Lo condividiamo con gran parte delle comunità cattoliche in Europa, alle prese con la scarsità delle vocazioni sacerdotali. Da noi molto preoccupante è anche quello delle vocazioni alla vita religiosa. Certo il riflesso si farà sentire ma non più di tanto. Dal nostro canto stiamo concentrando gli sforzi sui seminari, cerchiamo di rispondere alle richieste di quanti sono convinti realmente di rispondere a una chiamata. Abbiamo dato nuovo vigore alla catechesi. Per esempio non distinguiamo più catechesi per gli adulti, per i bambini, per i cresimandi o per gli sposi novelli. È una catechesi valida per tutti.

    Cosa cambia?

    In realtà cambia poco. Ma la riteniamo una cosa molto positiva, soprattutto in questa grave situazione di scarsità di vocazioni. Abbiamo coscienza di questo problema e già stiamo per adottare misure adeguate che vedranno riunite insieme tutte le forze attive della comunità ecclesiale per un concreto irradiamento della fede, soprattutto tra i giovani. Si sta sviluppando in modo eccezionale proprio la pastorale della gioventù. Si vede un dinamismo tra i giovani che ci dà tanta speranza. Credo che la prossima giornata mondiale a Madrid sarà l'occasione giusta per mostrare quanto sia splendente il volto giovane di questa Chiesa. Ci saranno tanti giovani belgi, ma la cosa che più mi riempie di gioia è che, accanto ai tanti giovani della zona francofona, ve ne saranno altrettanti della zona fiamminga.

    Un segnale anche per la comunità civile in questo momento di profonda crisi per il modello federale belga?

    Per il momento c'è un Governo dimissionario e presto ci saranno nuove elezioni politiche. Noi abbiamo sempre avuto buoni rapporti con le autorità civili. Abbiamo delegato a un vescovo l'incarico di tenere rapporti con loro ma devo dire che tutto si svolge secondo sentimenti di profondo e reciproco rispetto. Tanti sono pronti a collaborare con la Chiesa. Soprattutto in campo accademico. Si aspettano però che siamo noi a muoverci. Forse abbiamo fatto troppo poco, soprattutto proprio nell'ambito accademico. Dobbiamo migliorare e siamo pronti a farlo.


    (©L'Osservatore Romano - 7 maggio 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 27/06/2010 13:04

    nolite tangere christos meos (trivellazioni e trivellazioni)

    Card. Jozef-Ernest Van Roey



    E' stato "un sequestro, un fatto inaudito e grave, non ci sono precedenti nemmeno nei regimi comunisti". Così il segretario di Stato del Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, ha commentato, a margine di un convegno alla Lumsa, il blitz e le perquisizioni nell'ambito dell'inchiesta sulla pedofilia in Belgio. Il blitz nella cattedrale belga con tanto di trivellazioni ai danni delle tombe dei cardinali Jozef-Ernest Van Roey e Leon-Joseph Suenens, defunti Arcivescovi di Malines-Bruxelles ha dell'incredibile. Secondo quanto riferiscono i giornali belgi, i poliziotti, dopo aver interrogato alcuni alti prelati, sono scesi nella cripta alla ricerca di documenti che sarebbero stati nascosti nella tomba di un arcivescovo. Gli agenti avrebbero utilizzato anche martelli pneumatici senza però trovare alcunché. Queste trivellazioni tombali ci hanno ricordato le trivellazioni petrolifere del golfo del Messico con conseguente disastro ambientale di proporzioni gingantesche ed apparentemente innarrestabile. Quel disastro ha colpito e colpisce due grandi nazioni anglosassoni gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che in questi ultimi mesi si sono particolarmente distinte nell'attacco alla Chiesa e al Papa. "Post hoc propter hoc", chissà: ricordiamo la saggezza del detto popolare "non si muove foglia che Dio non voglia".
    Se un domani il Belgio imploderà e finirà ingloriosamente non si cerchino  le cause tanto nell'avanzata dei partiti separatisti fiamminghi quanto in questi colpi di martello pneunmatico: "Nolite tangere christos meos", dice il Signore e Napoleone, dopo averlo provato sulla sua pelle, da Sant'Elena ammoniva "qui mange du Pape en meurt".
    La Segreteria di Stato vaticana finalmente con un comunicato diffuso nella tarda mattinata di oggi, ha espresso il proprio ''sdegno'' per le modalita' con le quali sono state effettuate le perquisizioni in particolare per la violazione delle tombe degli Arcivescovi Primati del Belgio.
    Qui di seguito l'articolo di Avvenire.

    card. Leon-Joseph Suenens

     
    Oltraggio che nulla ripara e molto svela
    di Marina Corradi

    Un blitz nella cripta di una cattedrale, come fosse il cuore di una organizzazione criminale. Forzare le tombe di due vescovi, violarne i sepolcri cercando segreti dossier – che però non ci sono. Ha il sapore di un film di Dan Brown quello che è successo a Mechelen, in Belgio. Nell’ambito di una inchiesta su casi di pedofilia nella Chiesa belga un giudice ha ordinato interrogatori di vescovi, e sequestri di dossier, e anche la perquisizione nella cattedrale, capolavoro duecentesco che da secoli è il simbolo della città vicina a Bruxelles.

    Non è in discussione la liceità delle indagini, né l’esigenza di arrivare alla verità, se abusi ci sono stati: da mesi il Papa insiste sulla necessità di riparare al male fatto. Fatto anche in Belgio. Da singoli uomini. Ma in questo blitz in cattedrale, nella violazione delle tombe di due arcivescovi della diocesi di Bruxelles, si legge qualcosa che va oltre la legittima esigenza di giustizia. Era davvero necessario arrivare, come ha scritto la stampa belga, con i martelli pneumatici in una cripta mortuaria? E non assume invece, un simile assalto, un valore simbolico, il segno di una voglia di attaccare la Chiesa nella sua totalità?

    "Operazione Chiesa", è il nome della inchiesta della magistratura belga, ed è un nome significativo. Un nome che indica il bersaglio. Non i singoli colpevoli, ma "la" Chiesa.

    E non tanto per le colpe terribili e odiose di alcuni suoi ministri, quanto per ciò che la Chiesa stessa rappresenta, per ciò che "è". C’è l’eco, in quel blitz sulle tombe, di un redde rationem, di un rendimento di conti con la pretesa originaria della Chiesa: cioè di portare Cristo, e la sua verità. Che fastidiosamente, e più che mai in un Paese secolarizzato come il Belgio, cozza contro la cultura dominante e il suo idolo – l’Io vezzeggiato, libero da ogni legge che non sia la sua.

    Non si spiega altrimenti la brutalità e la voluta vistosità di questa incursione. Come se si volesse colpire proprio al cuore. Di chiese aggredite nella storia ce ne sono state tante, e con ben altra distruttività. In rivoluzioni e tragedie imparagonabili a questo piccolo blitz di un giudice, incursione legale, protetta dai timbri di un ordine di perquisizione. E tuttavia, violare tombe di cardinali in una cattedrale, pur con i crismi della legge, è un gesto che sa di violenza.

    Cogliendo la circostanza tragica degli abusi pedofili, colpire non i colpevoli, ma mirare al cuore. Al cuore, nelle viscere di una quelle splendenti cattedrali che costellano le nostre città d’Europa. A osservarle dall’alto, appaiono come il centro di una ragnatela di case, di storie, di uomini. Come radici, quei colossi di marmi, della città attorno; e madri, cui comunque anche da lontano, o col ricordo, si ritorna. Segni di pietra delle origini del nostro vivere in comunità.

    Per questo il blitz di un giudice sconosciuto in una piccola città lontana addolora. Quella chiesa è un cuore. Alla gente è stato detto, in un metalinguaggio trasparente, che il cuore comune è depositario forse di vergognosi segreti. Lo si è forzato, violato, per cercarli. E anche se niente è stato trovato il senso di una profanazione rimane, insieme agli indimostrati ma angosciosi dubbi seminati; come se proprio la radice di quella città, di quel popolo si volesse incrinare.

    da Avvenire del 26 giugno 2010

    Aggiungiamo il commento senza peli sulla lingua del barnabita Padre Giovanni Scalese che condividiamo in pieno
    Come muore una Chiesa

    Si potrebbe fare della facile ironia su quanto avvenuto nei giorni scorsi a Bruxelles. Basterebbe citare qualche proverbio. Allo Stato belga si potrebbe rinfacciare: «Il bue dice cornuto all’asino». Ai Vescovi belgi si potrebbe rammentare che «chi pecora si fa, il lupo se la mangia». E alla Segreteria di Stato si potrebbe rimproverare di aver chiuso la stalla quando i buoi erano già scappati. Ma il fatto è di una gravità tale da non permettere sorrisi spensierati. Esso dovrebbe piuttosto stimolare alcune riflessioni.

    1. Ecco come si riduce una Chiesa, che aveva fatto dell’apertura e dell’aggiornamento la sua bandiera. Sembravano i primi della classe. Roma appariva sempre retrograda, legata al passato, incapace di cogliere il nuovo e di camminare al passo coi tempi. Loro invece, ispiratori e artefici del rinnovamento conciliare, avevano capito tutto; loro stavano plasmando una nuova Chiesa finalmente adeguata all’uomo contemporaneo. Abbiamo visto i risultati: una Chiesa moribonda, che non vuole prendere atto del suo fallimento, e preferisce morire piuttosto che riconoscere umilmente i propri errori. L’immagine di quella conferenza episcopale “sequestrata” per un giorno intero e che non sa dire di meglio che «non è stata un’esperienza gradevole, ma tutto si è svolto in maniera corretta», descrive bene l’agonia di una Chiesa che sta morendo e accetta rassegnata la propria fine.

    2. Ecco l’Europa in cui viviamo. Noi pensavamo di vivere in paesi democratici, dove è possibile esprimere liberamente la propria fede e dove la Chiesa gode di piena autonomia. Ci troviamo, in realtà, in un sistema totalitario, dove la libertà di azione della Chiesa si va man mano riducendo. Il potere (che, nonostante le apparenze, non è un potere democratico) non può tollerare che esistano realtà sottratte al suo controllo. La Chiesa può esistere, certo, ma come semplice associazione di cittadini; come il circolo del tennis, tanto per intenderci. La Chiesa deve limitarsi all’organizzazione di alcune attività di culto; per il resto, esiste esclusivamente lo Stato, portatore di un potere assoluto, a cui nessuno può in alcun modo sottrarsi. Questo è il futuro che attende la Chiesa in Europa. Inutile farsi illusioni. Fossi il Papa, ci penserei due volte prima di mettere piede in Inghilterra: si trova sempre un giudice Garzón qualsiasi, pronto a spiccare un mandato di cattura internazionale...

    3. Che si sia arrivati a questo punto è certamente il risultato di una congiura che affonda le radici lontano nel tempo; ma è anche colpa della Chiesa, che ha prestato il fianco a tale attacco. Innanzi tutto, negando che esistesse un complotto ben pianificato contro di lei. Secondo, contribuendo fattivamente alla demolizione di sé stessa. È da decenni che si continua a ripetere che la Chiesa deve liberarsi dal potere, deve rinunciare ai suoi privilegi, deve ridiventare povera, ecc. Evidentemente, i sostenitori di tali suggestive teorie non hanno studiato la storia, e non sanno che, se la Chiesa ha, col passare dei secoli, acquisito anche un certo “potere temporale”, lo ha fatto solo per garantirsi quel minimo di libertà necessario per svolgere la propria missione. Non hanno capito che il mondo ha sempre fatto di tutto per impedire alla Chiesa di muoversi liberamente. Già, ma le anime belle non hanno mai pensato che qualcuno potesse avercela con la Chiesa, con tutto il bene che fa... Guardate che cosa è accaduto in questi giorni in Germania: la corte suprema ha dichiarato legittima l’eutanasia nel caso in cui ci sia la volontà del paziente. Pensate che i Vescovi tedeschi potranno dire qualcosa, dopo quanto accaduto nei mesi scorsi? E se dovesse scoppiare una guerra con l’Iran, pensate che il Papa potrebbe anche solo fiatare? Il messaggio convogliato dalla campagna contro la pedofilia nella Chiesa è stato piuttosto chiaro.

    4. Molti sono convinti che, tutto sommato, questa buriana non possa far che bene alla Chiesa, costringendola alla purificazione. Che tutto rientri in un misterioso disegno divino e che tutto concorra al bene di quanti amano Dio (Rm 8:28), non sarò certo io a negarlo. Che la Chiesa abbia sempre bisogno di purificazione, non si può in alcun modo mettere in discussione. Ma, come ho già avuto occasione di dire, sarebbe illusorio pensare che si possa giungere su questa terra a una Chiesa tutta pura: il peccato nella Chiesa c’è sempre stato e sempre ci sarà. Sappiamo a che cosa ha portato la furia giacobina contro la corruzione: alla ghigliottina (che peraltro è stata incapace di eliminare la corruzione stessa). La Chiesa, nella sua secolare saggezza, ha sempre preferito seguire un’altra strada: ha preferito “gestire” certe situazioni al suo interno, gelosa della sua autonomia, perché sapeva a che cosa avrebbe portato la rinuncia a certi “privilegi”. Meglio correre il rischio di avere al proprio interno qualche elemento indegno, piuttosto che diventare ostaggio di un potere senza scrupoli ed essere con ciò impedita di annunciare il Vangelo e servire l’umanità.

    Inviterei gli appassionati sostenitori di una sconsiderata politica della “trasparenza” e della “tolleranza zero” a guadare a ciò che è accaduto a Bruxelles, per vedere a che cosa porta, inevitabilmente, quel tipo di politica.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 27/06/2010 13:10

    La progressista Chiesa belga riceve la sua ricompensa

    In questa storia abbietta non ci sono i buoni e i cattivi. Sono tutti cattivi e, nel migliore dei casi, men che mediocri. Negli alti ranghi si salva solo mons. Léonard, già vescovo di Namur e da poco arcivescovo di Malines-Bruxelles e nuovo primate, la cui figura giganteggia su tutti gli altri, anche se in buona parte per effetto della bassezza degli altri.

    Sapete ormai tutti che la magistratura belga (la stessa che, ai tempi dell’efferato caso Dutroux, il pedofilo assassino seriale, condusse le indagini in modo da coprire gli ambienti politici colpiti dallo scandalo) ha montato una sceneggiata che è peggio che grottesca: una ‘retata’ di tutta la conferenza episcopale belga riunita in arcivescovado a Malines, tenendo i presuli sequestrati dal mattino alla sera e requisendo loro computer e perfino telefonini; perquisizione domiciliare a casa dell’emerito Danneels; e soprattutto – e la cosa ha davvero dell’incredibile – profanazione delle tombe di due cardinali per cercare chissà quali documenti seppelliti con loro. (Fatti gravissimi che, si dica per inciso, in altri tempi avrebbero comportato la "sospensionse" dei rapporti diplomatici tra S. Sede e Governo del Belgio, col ritiro del Nunzio e la convocazione dell'Ambasciatore Belga).
    E poi i belgi si lamentano di far la figura dei gonzi nelle barzellette: non è venuto in mente ai solerti sbirri e ai loro mandanti togati che per fare sparire documenti ci sarebbero mezzi molto più semplici ed efficaci che infilarli nelle tombe (il fuoco, ad esempio, o semplici trituratori di carta). E infatti, come ovvio, nelle tombe han trovato solo ossa, tra cui quelle del grande protagonista del Concilio, il progressistissimo card. Suenens. Ma, del resto, tutto è stato studiato per assestare il massimo danno di immagine ad una Chiesa, che di immagine da salvare ne ha già poca: dal nome dell’operazione di polizia (“Operazione Chiesa”), alla contestazione del reato di associazione per delinquere. La Chiesa, cioè, viene del tutto ufficialmente accusata di essere un’associazione “di malfattori” finalizzata allo stupro di minorenni.

    Il mondo secolare sferra il suo attacco alla giugulare di una Chiesa che pur da quarant’anni non fa che cantare le lodi di quel mondo, cercando di vellicarlo e adularlo a tutti i costi, e in particolare a costo della Fede. E’ noto infatti che l’episcopato belga dal Concilio in poi gareggia con l’Olanda a chi si fa interprete più audace dello Spirito del Concilio (nel Belgio fiammingo, la percentuale di preti contrari al celibato è l’80%, e il 56% è per l’ordinazione femminile; senza contare il sostegno alle cause gay e divorziste; per contro la pratica religiosa del fu cattolico Belgio ha conosciuto un crollo spettacolare, peggiore perfino della Francia). E ora i vescovi belgi, servi infedeli e rinnegati di Nostro Signore, ricevono la loro giusta ricompensa da quello stesso 'mondo moderno' che hanno indecorosamente corteggiato.

    Siamo ingenerosi ed eccessivi? Giudicate voi, da alcuni fatti che non sono che la punta dell’iceberg.

    - Nelle settimane scorse, si è dovuto dimettere il vescovo di Bruges Roger Vangheluwe che era alla guida di quella diocesi dal 1984 (nella foto: la tenuta già vi dice di che idee progressiste fosse). Ventisei anni di rovina. Ecco che cosa lo stesso ha confessato:
    Quando ero ancora un semplice sacerdote e per un certo tempo all'inizio del mio episcopato ho abusato sessualmente di un giovane dell'ambiente a me vicino”. Attenzione quindi: questo qui non è accusato, come moltissimi suoi colleghi, di avere scriteriatamente trasferito parroci pedofili, o di averli coperti: questo qui lo stupro sodomita su minorenni lo praticava in proprio. E, tra l’altro, sul nipote: anche una pennellata di incesto non guasta in tanto squallore.

    - Nell’ospedale Saint Andrien di Tielt il cappellano, per vent’anni, ha abusato sessualmente di donne con problemi psichici, o addirittura in coma. Quasi un necrofilo, insomma. Un altro prete, Norbert Bethune, ne riferì anni dopo… al vescovo di Bruges. Che non essendo senza peccato, come si è visto, naturalmente non tirò nessuna pietra al colpevole.

    - Il sacerdote Rik Devillé, le cui accuse alla magistratura sono all’origine di questa tempesta, racconta di aver raccolto numerosissime testimonianze e denunce, che ha comunicato all’arcivescovo Danneels senza risultato. Egli riferisce che su 300 casi, solo 15 sono stati debitamente approfonditi e tutti si sono conclusi con semplici spostamenti dei colpevoli.

    - E’ a Liegi che fu istituita nel Medio Evo la processione del Corpus Domini, poi estesa a tutta la cristianità. Dal Concilio in poi, essa è stata ovviamente abolita: tutte le processioni, specie nel Nordeuropa, sono considerate come tipicamente preconciliari, superstiziose, pagane, ostacolo all’abbraccio ecumenico coi nostri fratelli separati (protestanti). Quest’anno però un comitato spontaneo ha voluto riesumare quell’antica tradizione, proprio a Liegi. Ecco come ha reagito il vescovo della città, mons. Jousten, che naturalmente ha rifiutato di partecipare alla processione (attenzione, quelle che seguono sono le sue parole alla lettera, per incredibile che ciò appaia): “Io mi domando semplicemente se hanno riflettuto a sufficienza al significato che potrebbe avere una tale processione. Una processione esprime forse la nostra fede? Oppure si vuole manifestare piuttosto davanti agli altri quale è la nostra fede? Allora, per me, il significato di una processione è in primo luogo una professione di fede dei cristiani, tra cristiani [..] La domanda che mi pongo è, precisamente, quale può essere l’impatto di una tale processione sulla popolazione, che vede sfilare dei cristiani”. Queste affermazioni per noi sono ancora più gravi delle negligenze nel prevenire comportamenti sessualmente devianti: sono la prova che un vescovo ha perso la fede, o quanto meno ogni senso della finalità della sua carica.

    - E sempre sotto questo profilo: che dire del fatto che, a Charleroi, la parrocchia di Saint-Lambert diventa una moschea tutti i venerdì, per consentire ai musulmani di pregare Allah, mentre i simboli cristiani vengono coperti con lenzuola? Senza, naturalmente, che nessuno trovi nulla a ridire?

    - E per concludere: negli anni Novanta il cardinale Danneels ha fatto adottare un abominevole testo di catechismo dal titolo Roeach, scritto dal prof. Jef Bulckens dell’Università Cattolica(!) di Lovanio e dal prof. Frans Lefevre del Seminario(!) di Bruges. Ecco come questo ‘catechismo’ spiega la sessualità dei bambini (che già... cosa c'entra col catechismo?): ad esempio con la fotografia, riprodotta qui sotto,
    di una bambina nuda i cui fumetti dicono: “Stimolarmi la patatina mi fa sentire bene”; “Mi piace togliermi le mutande con gli amici”; “Voglio restare nella camera quando mamma e papà fanno sesso”. Un altro disegno mostra un bambino e una bambina nudi che ‘giocano al dottore’ e il maschietto che dice: “Guarda, il mio pisello è grosso”. Altro disegno mostra tre tipi diversi di genitori. Sono riprovati quelli con atteggiamenti puritani; quelli con la dicitura: “Corretto” sono naturalmente coloro che così reagiscono: “Sì, sentire e stimolare quelle parti è un bel divertimento” (se volete saperne di più di questa vicenda, e del rifiuto sdegnoso di Danneels di ascoltare le proteste dei fedeli, leggete qui).

    Quello era il Catechismo Cattolico della Chiesa belga, ancora dieci anni fa. Niente di meno che una tentata corruzione di minorenni, un’apologia di pedofilia: anziché trasmetter la Fede, serviva a far capire ai ragazzini che “certe cose” sono belle e raccomandabili, anche alla più tenera età.

    Chi osa dunque lamentarsi se la Procura tratta questi vescovi da delinquenti? E dato che la Chiesa non sembra trovare in se stessa forze sufficienti per reagire, ben vengano persecuzioni anche molto più gravi di queste. Saranno forse un aiuto esogeno per l'opera di pulizia intrapresa dal Santo Padre Benedetto XVI. Ma contro di lui la parte corrotta del clero è coalizzata e lo costringe a continue marce indietro: ad esempio, per restare al Belgio, è di pochi giorni fa la nomina a Bruges dell'arciprogressista ex vescovo ausiliare di Danneels, De Kesel. Eppure sarebbe urgentissimo ripulire gl’immondi letamai di Augia: a partire dal piano dottrinale, prima ancora che morale, perché una consimile degradazione è figlia legittima di quella sedicente ‘nuova ecclesiologia’, che l’applicazione di fatto del Concilio Vaticano II ha coerentemente generato.







    Ci sono due aspetti inquietanti nella vicenda Belga...  
     
    1) l'eccessiva foga della sua magistratura la quale NON avrebbe MAI agito come ha fatto se si fosse trattato di andare a controllare in una qualsiasi ambasciata straniera.... in tal caso sarebbe scoppiato il "caso", l'incidente DIPLOMATICO... ma trattandosi della Chiesa, chissenfrega... e questo dimostra come la Chiesa in Blegio abbia perduto la sua autorevolezza, non conti davvero più nulla, NEPPURE IL RISPETTO DOVUTO...NON si tengono IN OSTAGGIO 9 VESCOVI impedendo loro di mangiare e bere e di andare al bagno, come ha rivelato il cardinale Bertone....qui siamo AL SEQUESTRO DI PERSONA e mai sarebbe accaduto ad uno usciere di una qualsiasi ambasciata fosse anche il Tumbctum....e la più povera e sperduta... ma alla Chiesa si, si può farle di tutto... e se la magistratura Belga ha passato davvero i limiti della correttezza (il che non preclude affatto le indagini fatte tra persone CIVILI E NON DELINQUENTI), la Chiesa in Belgio, rappresentata dai suoi Vescovi, è davvero caduta in basso... ha superato se stessa nel peggio...e questo ci fa comprendere il livello di incapacità costituito da Vescovi  che hanno perduto ogni credibilità...  
     
    2) la Chiesa Belga ha una TALPA!  
    si! ragioniamoci un attimo: le perquisizioni sono perfino giunte nella CRIPTA....che cosa cercavano?  
    Qualunque cosa cercassero QUALCUNO deve aver avvisato la Magistratura che li, perfino nella Cripta ci fosse da cercare... cosa poi abbiano trovato, non è dato di sapere, ma solitamente, iniziative di perquisizioni a tappeto, non si fanno a caso... si fanno sempre DIETRO RIVELAZIONI PRIVATE...  
    è inquietante allora che ci sia una TALPA ed è inquietante che la Chiesa Belga abbia qualcosa da nascondere... ed inquietante sarà il fatto che NOI non sapremo mai cosa cercassero di così peccaminoso e semmai lo troveranno o l'abbiano trovato...  
     
    Ancora un motivo in più per elevare il Santo Curato d'Ars, PATRONO dei Sacerdoti!
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 27/06/2010 16:10

    Come muore una Chiesa dal blog senzapelisullalingua di Padre Giovanni Scalese

    Si potrebbe fare della facile ironia su quanto avvenuto nei giorni scorsi a Bruxelles. Basterebbe citare qualche proverbio. Allo Stato belga si potrebbe rinfacciare: «Il bue dice cornuto all’asino». Ai Vescovi belgi si potrebbe rammentare che «chi pecora si fa, il lupo se la mangia». E alla Segreteria di Stato si potrebbe rimproverare di aver chiuso la stalla quando i buoi erano già scappati. Ma il fatto è di una gravità tale da non permettere sorrisi spensierati. Esso dovrebbe piuttosto stimolare alcune riflessioni.

    1. Ecco come si riduce una Chiesa, che aveva fatto dell’apertura e dell’aggiornamento la sua bandiera. Sembravano i primi della classe. Roma appariva sempre retrograda, legata al passato, incapace di cogliere il nuovo e di camminare al passo coi tempi. Loro invece, ispiratori e artefici del rinnovamento conciliare, avevano capito tutto; loro stavano plasmando una nuova Chiesa finalmente adeguata all’uomo contemporaneo. Abbiamo visto i risultati: una Chiesa moribonda, che non vuole prendere atto del suo fallimento, e preferisce morire piuttosto che riconoscere umilmente i propri errori. L’immagine di quella conferenza episcopale “sequestrata” per un giorno intero e che non sa dire di meglio che «non è stata un’esperienza gradevole, ma tutto si è svolto in maniera corretta», descrive bene l’agonia di una Chiesa che sta morendo e accetta rassegnata la propria fine.

    2. Ecco l’Europa in cui viviamo. Noi pensavamo di vivere in paesi democratici, dove è possibile esprimere liberamente la propria fede e dove la Chiesa gode di piena autonomia. Ci troviamo, in realtà, in un sistema totalitario, dove la libertà di azione della Chiesa si va man mano riducendo. Il potere (che, nonostante le apparenze, non è un potere democratico) non può tollerare che esistano realtà sottratte al suo controllo. La Chiesa può esistere, certo, ma come semplice associazione di cittadini; come il circolo del tennis, tanto per intenderci. La Chiesa deve limitarsi all’organizzazione di alcune attività di culto; per il resto, esiste esclusivamente lo Stato, portatore di un potere assoluto, a cui nessuno può in alcun modo sottrarsi. Questo è il futuro che attende la Chiesa in Europa. Inutile farsi illusioni. Fossi il Papa, ci penserei due volte prima di mettere piede in Inghilterra: si trova sempre un giudice Garzón qualsiasi, pronto a spiccare un mandato di cattura internazionale...

    3. Che si sia arrivati a questo punto è certamente il risultato di una congiura che affonda le radici lontano nel tempo; ma è anche colpa della Chiesa, che ha prestato il fianco a tale attacco. Innanzi tutto, negando che esistesse un complotto ben pianificato contro di lei. Secondo, contribuendo fattivamente alla demolizione di sé stessa. È da decenni che si continua a ripetere che la Chiesa deve liberarsi dal potere, deve rinunciare ai suoi privilegi, deve ridiventare povera, ecc. Evidentemente, i sostenitori di tali suggestive teorie non hanno studiato la storia, e non sanno che, se la Chiesa ha, col passare dei secoli, acquisito anche un certo “potere temporale”, lo ha fatto solo per garantirsi quel minimo di libertà necessario per svolgere la propria missione. Non hanno capito che il mondo ha sempre fatto di tutto per impedire alla Chiesa di muoversi liberamente. Già, ma le anime belle non hanno mai pensato che qualcuno potesse avercela con la Chiesa, con tutto il bene che fa... Guardate che cosa è accaduto in questi giorni in Germania: la corte suprema ha dichiarato legittima l’eutanasia nel caso in cui ci sia la volontà del paziente (vedi qui). Pensate che i Vescovi tedeschi potranno dire qualcosa, dopo quanto accaduto nei mesi scorsi? E se dovesse scoppiare una guerra con l’Iran, pensate che il Papa potrebbe anche solo fiatare? Il messaggio convogliato dalla campagna contro la pedofilia nella Chiesa è stato piuttosto chiaro.

    4. Molti sono convinti che, tutto sommato, questa buriana non possa far che bene alla Chiesa, costringendola alla purificazione. Che tutto rientri in un misterioso disegno divino e che tutto concorra al bene di quanti amano Dio (Rm 8:28), non sarò certo io a negarlo. Che la Chiesa abbia sempre bisogno di purificazione, non si può in alcun modo mettere in discussione. Ma, come ho già avuto occasione di dire, sarebbe illusorio pensare che si possa giungere su questa terra a una Chiesa tutta pura: il peccato nella Chiesa c’è sempre stato e sempre ci sarà. Sappiamo a che cosa ha portato la furia giacobina contro la corruzione: alla ghigliottina (che peraltro è stata incapace di eliminare la corruzione stessa). La Chiesa, nella sua secolare saggezza, ha sempre preferito seguire un’altra strada: ha preferito “gestire” certe situazioni al suo interno, gelosa della sua autonomia, perché sapeva a che cosa avrebbe portato la rinuncia a certi “privilegi”. Meglio correre il rischio di avere al proprio interno qualche elemento indegno, piuttosto che diventare ostaggio di un potere senza scrupoli ed essere con ciò impedita di annunciare il Vangelo e servire l’umanità.

    Inviterei gli appasssionati sostenitori di una sconsiderata politica della “trasparenza” e della “tolleranza zero” a guadare a ciò che è accaduto a Bruxelles, per vedere a che cosa porta, inevitabilmente, quel tipo di politica.
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 28/06/2010 08:46
    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE A S.E. MONS. ANDRE’-JOSEPH LEONARD ARCIVESCOVO DI MALINES-BRUXELLES, PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BELGIO, 27.06.2010

    Pubblichiamo di seguito il messaggio inviato dal Santo Padre a S.E. Mons. André-Joseph Léonard, Arcivescovo di Malines-Bruxelles, Presidente della Conferenza Episcopale del Belgio a proposito delle perquisizioni compiute il 24 giugno nella Cattedrale di Malines e nella Sede dell’Arcivescovado.

    TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

    Al Venerato Fratello
    Mons. Mgr André-Joseph Léonard
    Archevêque de Malines-Bruxelles
    Presidente della Conferenza Episcopale del Belgio

    In questo triste momento, desidero esprimere la mia particolare vicinanza e solidarietà a Lei, caro Fratello nell’Episcopato, e a tutti i Vescovi della Chiesa in Belgio, per le sorprendenti e deplorevoli modalità con cui sono state condotte le perquisizioni nella Cattedrale di Malines e nella Sede dove era riunito l’Episcopato belga in una Sessione plenaria che, tra l’altro, avrebbe dovuto trattare anche aspetti legati all’abuso di minori da parte di Membri del Clero.

    Più volte io stesso ho ribadito che tali gravi fatti vanno trattati dall’ordinamento civile e da quello canonico, nel rispetto della reciproca specificità e autonomia.

    In tal senso, auspico che la giustizia faccia il suo corso, a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e delle istituzioni, nel rispetto delle vittime, nel riconoscimento senza pregiudiziali di quanti si impegnano a collaborare con essa e nel rifiuto di tutto quanto oscura i nobili compiti ad essa assegnati.

    Nell’assicurare che accompagno quotidianamente con la preghiera il cammino di codesta Chiesa, ben volentieri invio la mia affettuosa Benedizione Apostolica.

    Città del Vaticano, 27 giugno 2010

    BENEDICTUS PP. XVI

    © Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

    TESTO IN LINGUA ORIGINALE

    Au cher Frère,
    Mgr André Joseph Léonard,
    Archevêque de Malines-Bruxelles,
    Président de la Conférence Episcopale de Belgique


    Je désire vous exprimer, cher Frère dans l’Episcopat, ainsi qu’à tous les Evêques de Belgique, ma proximité et ma solidarité en ce moment de tristesse, dans lequel, avec certaines modalités surprenantes et déplorables, des perquisitions ont été menées y compris dans la cathédrale de Malines et dans les locaux où l’Episcopat belge était réuni en Session plénière. Durant cette réunion, auraient dû être traités, entre autres, des aspects liés à l’abus sur des mineurs de la part de membres du clergé. J’ai répété moi-même de nombreuses fois que ces faits graves devaient être traités par l’ordre civil et par l’ordre canonique dans le respect réciproque de la spécificité et de l’autonomie de chacun. Dans ce sens, je souhaite que la justice suive son cours en garantissant le droit des personnes et des institutions, dans le respect des victimes, dans la reconnaissance sans préjugés de ceux qui s’engagent à collaborer avec elle et dans le refus de tout ce qui pourrait obscurcir les nobles devoirs qui lui sont assignés.

    Vous assurant que j’accompagne quotidiennement dans la prière le cheminement de l’Eglise en Belgique, je vous envoie volontiers une affectueuse Bénédiction apostolique.

    Cité du Vatican, le 27 juin 2010

    BENEDICTUS PP. XVI
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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