Il giorno 11 maggio 1631 il Vescovo di Trieste Pompeo Coronini (1631-1646) benediceva la posa della prima pietra di quella che sarebbe poi divenuta la cappella della Beata Vergine del Rosario, nella Piazza Vecchia, al centro della città, che a tutt’oggi conserva lo stesso nome. La cappella, che sarebbe sorta nel cuore patrizio ed economico della Trieste seicentesca, sarebbe stata destinata alla confraternita del Rosario, già costituita il 1° aprile 1613 per volere di numerosi aristocratici della città, a cui il Vescovo di allora, Ursino de Bertis (1597-1620), aveva dapprima affidato la chiesa di San Silvestro. Dopo quattro anni e mezzo di cantiere, i lavori di costruzione si concludono il 28 ottobre 1635; ma bisognerà attendere fino al 13 agosto 1651 per il rito solenne della consacrazione della chiesa, officiato dal Vescovo Antonio Marenzi, che in quegli anni aveva fatto erigere l’attiguo palazzo signorile.
La chiesa ha una pianta rettangolare ad unica navata (m 20,60 x 11,60), con un’abside pressoché quadrata (m 6 x 5,10), affiancata dalla torre campanaria. Sulla parte alta di ciascuna delle due pareti laterali, scandite da lesene e cornici, di aprono tre finestre a lunetta; sulla facciata, chiusa in alto da un timpano triangolare, si apre il portale principale e, nel registro superiore, due finestre con centina e timpano spezzato. Allora all’interno doveva avere tre altari, provvisoriamente lignei, il maggiore dei quali dedicato alla Madonna del Rosario, e i due laterali a Sant’Antonio da Padova ed alle Anime del Purgatorio; quest’ultimo sarebbe stato poi convertito nel 1693 a San Francesco da Paola, mentre per quello di Sant’Antonio pare sia stata utilizzata come mensa l’arca funeraria romana, ormai perduta, di M. Septimius Rufus, scavata nel 1640 in un podere fuori città, di proprietà del barone Giovanni Francesco de Fin, e da lui donata l’anno successivo alla chiesa del Rosario.
Nel 1784, in conseguenza delle disposizioni dell’imperatore Giuseppe II, l’edificio viene chiuso al culto cattolico e l’anno seguente viene venduto alla comunità evangelica di confessione augustana, che ne muta il titolo, dedicandolo alla Santissima Trinità. La chiesa viene riaperta solennemente il 27 agosto 1786, dopo una serie di restauri: sopra la porta principale, così come pure all’interno sopra l’arco santo, viene applicato un triangolo radiato con l’occhio dell’Onnipotente, tuttora visibili, simbolo del culto trinitario. Su un cartiglio posto sulla facciata si legge: «SS Trinitati / hoc templum sub auspiciis / Iosephi II imperatoris / August(anæ) confess(ioni) addicti / propriis sumptibus acquisitum / et restauratum / dedicant / MDCCLXXXVI» - [“Auspice l’imperatore Giuseppe II, i fedeli di confessione augustana dedicano alla Santissima Trinità questo tempio, acquistato e restaurato a proprie spese 1786”].
Dei tre altari originari viene conservato solamente il maggiore, in marmi policromi, eseguito intorno al 1684 da bottega veneziana e che era stato consacrato dal Vescovo Ferdinando Gorizutti (1672-1691) il giorno 24 aprile 1689. Nonostante le inevitabili modificazioni di culto e quindi di arredo liturgico, il bassorilievo in marmo bianco con la Madonna del Rosario è rimasto intatto al centro del paliotto decorato a geometrie e intarsi marmorei. Vengono tolte le pietre sepolcrali ed interrate le tombe dei fratelli Locatelli (mercanti ed entrambi membri della confraternita) che erano stati sepolti all’interno fin dal 1638.
Due cenotafi marmorei dalle forme neoclassiche vengono posti ad ornare l’interno: nel 1808 lo scultore veneto Antonio Bosa esegue il monumento sepolcrale in memoria di Giovanni E. Dumreicher de Osterreicher, console danese a Trieste, su progetto di Pietro Nobile; nel 1823 lo stesso Bosa realizza il monumento in memoria di Giorgio E. Trapp, illustre membro della comunità augustana, per la cui iniziativa le tre campane originarie erano state fatte rifondere e in seguito ricollocate in loco con i nomi di Fede, Speranza e Amore, ed erano state fatte risuonare di nuovo a festa nel 1817, terzo centenario della Riforma. Entrambi i cenotafi sono stati successivamente rimossi e trasportati nell’attuale tempio luterano augustano di Largo Panfili, inaugurato nel 1874.
Nel 1869 viene demolita la chiesa di San Pietro, che da secoli fungeva da cappella civica: il Comune di Trieste si vede così costretto a riacquistare dalla comunità augustana la chiesa del Rosario, che sarà riconciliata al culto cattolico due anni dopo, nel 1871, dal Vescovo Bartolomeo Legat (1846-1875). Nell’occasione vengono trasportati, dalla chiesa demolita, vari arredi, come ad esempio una pala seicentesca della Madonna del Porto (oggi ridotta ad un quadro di cm 89 x 67,5), gli scanni del Consiglio dei Quaranta e le due lampade pensili d’argento (1764). Sulla parete sinistra, si trova un’altra tela (m 1,50 di base) raffigurante il Crocifisso, recante la scritta Anurée Joan de Herrlein f(ecit), che rimanda con probabilità al pittore Andrea Herrlein, morto a Lubiana nel 1811; forse anche questa tela proviene dalla vecchia chiesa di San Pietro.
L’altare maggiore, addossato alla parete di fondo dell’abside, rimane quello stesso in marmi policromi costruito nel 1684, ed è tuttora inalterato: presenta una mensa (m 2,42 x 1,03 x 0,81) decorata con tarsie marmoree, un’edicola con quattro colonne corinzie su basamento alto; sulla trabeazione si eleva un fastigio con timpano spezzato, che reca al centro una formella con l’immagine di Dio Padre a bassorilievo. Nella nicchia si colloca la pala (m 1,55 di base) con la Madonna del Rosario; tutto intorno corre un passepartout d’argento con i Misteri del Rosario eseguiti a sbalzo.
Sulla parete a destra dell’arco santo è ora collocata una sorta di altare a vetrina, con la statua distesa di Sant’Antonio: si tratta di opera devozionale, eretta nel 1931, settimo centenario della morte di Sant’Antonio d Padova. Ai lati della vetrina si può leggere il primo verso dell’inno in onore al Santo: “Si quæris miracula”. Alla parete sinistra della chiesa è oggi addossato l’altare del Crocifisso, dedicato ai Dispersi e ai Caduti di tutte le guerre, che ha sostituito, nel corso del Novecento, quello dedicato al Sacro Cuore, eretto a sua volta in occasione del ritorno dell’edificio al culto cattolico. La realizzazione di questo altare si deve all’iniziativa promossa dal Comitato Provinciale di Trieste dell’Associazione Nazionale delle Famiglie dei Caduti e dei Dispersi in guerra, presieduta negli anni Cinquanta da Letizia Svevo Fonda Savio, che nel 1953 si era rivolta all’allora sindaco Gianni Bartoli. L’altare sarà consacrato il 31 marzo 1962 dal Vescovo Antonio Santin. La mensa proviene dall’altare della cappella Conti di via di Rena, demolita nel 1939; l’altare (m 2,37 x 1 x 1,02), con marmi intarsiati a disegni policromi, corrisponde per tipologia a quelli ottocenteschi della cattedrale di San Giusto. Sulla parete sopra l’altare è inserita, entro una cornice marmorea, una lunetta bronzea (m 3,89 x 1,90) di Ugo Carà: si tratta di un bassorilievo che sintetizza su due ordini sovrapposti il dramma di chi non ha più fatto ritorno dal fronte di guerra. Nella parte alta è raffigurata la partenza del soldato, fra mare, rocce, boschi, croci, tutti elementi che sottolineano l’asprezza del compito che lo attende; nella parte bassa è raffigurato il ritrovamento di un corpo, fra un coro di donne piangenti. Il Crocifisso bronzeo (cm 112 x 68), che dà il nome all’altare, è opera di Carlo Sbisà, come pure i quattro candelieri e lo sportello del tabernacolo.
Nell’ampia cantoria trova posto un organo a canne settecentesco, che è il più antico della città di Trieste, ed è ancor oggi perfettamente funzionante. Fra gli interventi più recenti si segnala la realizzazione del Fonte battesimale, a sinistra dell’ingresso, con una piccola statua del Battista (cm 44) di Tristano Alberti.