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DIFENDERE LA VERA FEDE

La vera ARTE SACRA per una ermeneutica della continuità....

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    Caterina63
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    00 12/10/2010 09:07

    ARTE SACRA CONTEMPORANEA: PER UN'ERMENEUTICA DELLA CONTINUITA'

    Un'immagine della "bottega" Stuflesser, tra le più importanti realtà italiane
    nella creazione di opere d'arte sacra in linea con la tradizione


    Con grande piacere pubblico un importante contributo di don Matteo De Meo in merito al dibattito su arte e architettura sacra nella contemporaneità. Nonostante il mainstream della riflessione estetica sul sacro continui a vivere di vita propria, alimentato da speculazioni e interessi molto materiali, credo sia fondamentale stimolare le intelligenze dei cattolici attraverso una sana e retta argomentazione. D'altronde gli innumerevoli denari utilizzati per la realizzazione di abominevoli opere di adeguamento liturgico, inguardabili nuove chiese e raccapriccianti mostre sul sacro, stanno a testimoniare quanto sia inutile oltre che cristianamente insano proseguire sullo sfondo delle ideologie della rottura postconciliare che tanti danni hanno inferto alla bellezza del sacro specie nel nostro Paese ricco di storia e tradizioni. Buona lettura.

    Francesco



    di don Matteo De Meo

    Nel 1918 uno fra i più grandi intellettuali russi scrisse:


    Il nostro tempo conosce uno straordinario slancio creativo e una debolezza creativa altrettanto straordinaria. L’uomo dell’ultimo giorno della creazione vuole realizzare qualcosa che non c’è mai stato e nella sua frenesia creativa oltrepassa tutti i limiti e tutti i confini. Ma questo ultimo uomo non è più in grado di creare le opere perfette e
    bellissime che riusciva a realizzare l’uomo più umile delle epoche passate.”

    Anche se da prospettive diverse si nota la crisi della “vecchia arte” e la ricerca di nuove vie, è innegabile che ci si trovi di fronte ad uno sconvolgimento su vasta scala dei canoni estetici che in modo particolare sembra accanirsi sulle arti plastiche. La realtà delle cose non può essere più descritta; gli “involucri materiali del mondo”, vengono considerati provvisori, fluidi, caduchi. Nella “vecchia arte”, che sembrava eterna, la descrizione della realtà, dell’uomo, seguiva dei canoni ben precisi. Ogni cosa aveva dei contorni ben chiari e si distingueva da un altra.

    Ora non è più così. Tutto è confuso, astratto, non definito.

    L’arte deve essere libera”, “La creatività artistica non deve essere sottoposta a delle norme o a dei canoni, siano essi morali, sociali o religiosi.”

    Si tratta di una tendenza che sembra diffondersi in maniera subdola anche nell’ambito dell’arte sacra: “L’architettura contemporanea è fluida, cangiante, proteiforme; così come un liquido si adatta al suo contenitore, essa si conforma alla sensibilità dell’artefice. Tutte le modalità di espressione artistica sono strettamente connesse alla soggettività”- in questi termini si esprime D. Bagliani, docente al politecnico di Torino; opinione riportata in un articolo “Nuove Chiese, progetti da premio” di L. Servadio, in merito ai tre progetti pilota di nuove chiese vincenti alla quinta edizione del concorso Cei, 2009...



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 12/10/2010 09:23
    [SM=g1740733] Alcuni passi salienti del testo di Don Matteo che potrete scaricare integralmente dal collegamento sopra postato:


    Cosa intende il Concilio Vaticano II per arte
    religiosa e arte sacra?
    Cosa intende quando ribadisce una certa libertà degli stili artistici?


    Per quindici secoli, fino alla seconda guerra mondiale, la Chiesa Cattolica
    Romana è stata considerata custode dei più grandi tesori dell’arte e
    dell’architettura. La Chiesa ha sempre formato artisti e architetti
    influenzando non poco la stessa arte e architettura nell’ambito secolare.
    Durante l'ultimo mezzo secolo, però, i ruoli sono cambiati, e la Chiesa si ritrova oggi ad essere influenzata da una certa arte laica e razionalistica con artisti e architetti formati ad una visione del mondo non cattolica e non cristiana. Mentre in precedenza lo sviluppo dell'arte è stato ispirato da e in continuità con le opere del passato, e fecondato dalla fede, (vedi l’audacia di un Caravaggio, di un Bernini, per fare solo alcuni esempi...)
    l’attuale tendenza di un’arte, concepita come "avanguardia", ha
    introdotto una prospettiva di progresso, e di evoluzione artistica
    tendente verso una progressiva rottura con la tradizione e con la fede
    stessa.

    Pio XII, nel 1952, ricevendo gli artisti della Quadriennale Romana rivolse loro queste parole, che mai come oggi si rivestono di una certa attualità e che sottopongo alla riflessione di tutti:

    “Non occorre che spieghiamo a voi — che lo sentite in voi stessi, spesso come nobile tormento — uno dei caratteri essenziali dell'arte, il quale consiste in una certa intrinseca “affinità” dell'arte con la religione, che fa gli artisti in qualche modo interpreti delle infinite perfezioni di Dio, e particolarmente della sua bellezza ed
    armonia.
    La funzione di ogni arte sta infatti nell'infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l'uomo è immerso finché vive quaggiù, e nell'aprire come una finestra al suo spirito anelante verso l'infinito.
    Da ciò consegue che ogni sforzo — vano, in verità — inteso a negare e sopprimere qualsiasi rapporto fra religione ed arte, risulterebbe menomazione dell'arte stessa, poiché qualsiasi bellezza artistica che si voglia cogliere nel mondo, nella natura, nell'uomo, per esprimerla in suoni, in colori, in giuoco di masse, non può prescindere da Dio, dal momento che quanto esiste è legato a lui con rapporti essenziali. Non si dà, dunque, come nella vita, così nell'arte — sia essa intesa quale espressione del soggetto o quale interpretazione dell'oggetto —
    l'esclusivamente “umano”, l'esclusivamente “naturale” od “immanente”. Con quanto maggior chiarezza l'arte rispecchia l'infinito, il divino, con tanta maggior probabilità di felice successo essa s'innalza all'ideale e alla verità artistica. Perciò quanto più l'artista vive la religione, tanto è meglio preparato a parlare il linguaggio dell'arte ed intenderne le armonie e a comunicarne i fremiti.

    Naturalmente siamo ben lontani dal pensare che per essere interpreti di Dio nel senso ora esposto, si debbano trattare esplicitamente soggetti religiosi; d'altra parte, non si può contestare il fatto che forse mai come in essi l'arte ha raggiunto i suoi più alti fastigi. In tal guisa i sommi Maestri dell'arte sacra divennero interpreti oltre che della bellezza, anche della bontà di Dio Rivelatore e Redentore. Meraviglioso ricambio di servigi tra il Cristianesimo e
    l'arte.
    Dalla fede essi attinsero le sublimi aspirazioni; alla fede essi attrassero le anime, allorché, durante secoli, comunicarono e diffusero le verità contenute nei Libri Santi, verità inaccessibili, almeno direttamente, all'umile popolo. A ragione furono detti “Bibbia del popolo” i capolavori artistici, come, per citare noti esempi, le vetrate di Chartres, la porta di Ghiberti (con felice espressione detta del Paradiso) i mosaici romani e ravennati, la facciata del Duomo di Orvieto. Capolavori questi ed altri, che non soltanto traducono in caratteri di facile lettura e con lingua universale delle verità cristiane, ma di esse comunicano l'intimo senso e la commozione con una efficacia, un lirismo, un ardore, quale forse non possiede la più fervida predicazione.

    Ora le anime
    ingentilite, elevate, preparate all'arte sono più disposte ad accogliere la realtà religiosa e la grazia di Gesù Cristo. Ecco dunque uno dei motivi, per i quali i Sommi Pontefici, e in generale la Chiesa, onorano ed onorarono l'arte, e ne offrono le opere quale
    omaggio delle umane creature alla maestà di Dio nei suoi templi, che sono stati sempre in pari tempo dimore di arte e di religione. Coronate, diletti figli, i vostri ideali di arte, con gli ideali religiosi, che quelli rinvigoriscono ed integrano. L'artista è di per sé un privilegiato fra gli uomini, ma l'artista cristiano è, in un certo senso, un eletto perché è proprio degli Eletti contemplare, godere ed esprimere le perfezioni di Dio.
    Cercate Dio
    quaggiù nella natura e nell'uomo, ma innanzitutto dentro di voi; non tentate vanamente di dare l'umano senza il divino, né la natura senza il Creatore; armonizzate invece il finito con l'infinito, il temporale con l'eterno, l'uomo con Dio, e voi darete così la verità dell'arte, la vera arte. Anche senza proporvelo espressamente
    come scopo, studiatevi di educare gli animi — così facilmente inclinati verso il materialismo — alla gentilezza e al gusto spirituale; avvicinateli gli uni agli altri, voi a cui è dato di parlare un linguaggio che tutti i popoli possono comprendere. Sia
    questa la missione a cui tenda la vocazione artistica, della quale siete a Dio debitori; missione così nobile e degna che basta da sé sola a dare alla vostra vita quotidiana, spesso aspra ed ardua, la pienezza e il fiducioso coraggio”.


    ********************************************

    Quindi fra l’arte e la religione esiste un naturale e indissolubile connubio!
    L’arte è in sé espressione di uno sguardo che và oltre il “finito angusto” aprendosi all’infinito mistero che è alla radice di tutte le cose; l’arte, quindi, è in sé religiosa anche se non mette a tema realtà esplicitamente religiose. Quindi è da intendersi come l’espressione più genuina del senso religioso dell’uomo; della sua domanda di verità, di bellezza, di infinito, di eternità. Infatti, fra le più nobili attività dell’ingegno umano - ebbe a dire il Concilio Vaticano II- sono da annoverarsi le belle arti, in
    particolare l’arte religiosa il cui vertice è costituito dall’arte sacra.

    Ma, se è vero che nel post concilio, per un’errata interpretazione dei testi conciliari stessi, si è ingenerata una sorta di confusione fra arte religiosa e arte sacra, le radici di tale confusione vanno ricercate in una crisi globale dell’arte e in uno sconvolgimento dei suoi stessi fondamenti millenari.
    L’antico ideale di bellezza dell’arte classica è tramontato definitivamente e ci rendiamo conto che non ci si rivolge più ad esso; l’arte sta tentando convulsamente di superare i propri confini. Vengono violate le barriere che separano una forma dall’altra e l’arte in generale da ciò che arte non è, che sta al di sopra o al di sotto di essa.
    Anche se da diverse prospettive, allora, si nota la crisi della vecchia arte e la ricerca di nuove vie: quella preferita dall’arte contemporanea è l’astrattismo.

    Ora, una certa espressione artistica, sia essa del passato o
    contemporanea, può anche sorgere da un genuino senso religioso
    dell’artista, quindi, in tal senso autenticamente religiosa, ma non può confondersi con l’arte sacra o, peggio ancora, essere definita arte sacra4.
    Ultimamente questa distinzione sembra sia stata superata. Anche un
    certo preponderante astrattismo contemporaneo può essere in funzione
    della sacralità dell’arte!

    Allora chiediamoci: la figurazione astratta è capace di “indirizzare le menti” dell’uomo a Dio? Di incrementare la fede? Di essere a servizio del culto e della sacralità della liturgia? Può una forma astratta corrispondere alle finalità richieste dall’arte sacra così come essa viene definita da sempre dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa?

    Il Vaticano II - abbiamo detto- definisce arte sacra il “vertice” dell’arte religiosa:

    “Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto le belle
    arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e
    della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare le menti degli uomini a Dio.” (SC 122).


    Quindi il “vertice” dell’arte religiosa consiste nella sua espressione del “sacro”; nella sua capacità di saper creare uno spazio dove l’incontro fra “l’infinita bellezza divina” e l’uomo, in ricerca di essa, diventa un esperienza, un avvenimento, un fatto oggettivo.
    Non più, allora, un’espressione interpretativa del mistero-propria dell’arte religiosa- ma un luogo dove il mistero accade e, accadendo, rivela la sua bellezza, la sua infinita trascendenza. Una trascendenza che si manifesta all’uomo nel Verbum caro factum est, nella sua realtà oggettivamente umana da cui prende forma l’arte propriamente sacra. Quindi l’arte, seppur religiosa, non va confusa con l’arte sacra.

    [SM=g1740733]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 12/10/2010 09:36
    [SM=g1740733] Un altro passo interessante e su cui meditare:

    Ma, cosa succede di fatto? I fedeli si trovano spesso davanti ad opere e a spazi architettonici finalizzati alla culto, alla liturgia - e quindi propriamente sacri - “semplicemente” astratti (informi), dove il trascendente non è più riconosciuto: forme abbozzate, tratti confusi che non esprimono direttamente la realtà che intendono significare ma che richiedono un vero e proprio percorso di iniziazione per essere comprese.

    Insomma un’arte “sacra” per pochi iniziati in cui il rapporto
    tra forma e contenuto, significato e significante viene meno. Uno stile artistico tendente a relativizzare l’oggettività della realtà è finalizzato a condurre direttamente (quasi senza nessuna mediazione) al significato.
    Insomma una nuova “arte sacra” che la Chiesa dovrebbe accogliere e far
    propria.
    Se è vero che il magistero della Chiesa ha ribadito più volte che non vi è uno stile proprio per l’arte sacra, non ha eliminato -come molti
    suppongono- la sua finalità a cui è necessario attenersi: la sacralità
    dell’edificio e dei riti che in esso si esprimono (SC 123). Ovvero, il trascendente (Dio, il Mistero nascosto nei secoli e rivelato a noi nel suo Verbo fatto carne) è il contenuto fondamentale per cui l’arte può definirsi sacra.

    Questo contenuto deve essere semplicemente (ovvero veritativamente)
    visibile e immediato perché la mente dell’uomo possa essere indirizzata ad esso, a Dio.
    Ciò implica una connessione oggettiva e immediata fra l’opera, la forma e il suo contenuto. Solo questo connubio può generare uno spazio dove l’incontro fra “l’infinita bellezza divina” e l’uomo diventa un esperienza, un avvenimento.
    Rivendicando una creatività e una libertà artistica tout court, si propende sempre più a favore di forme astratte e soggettive. Ora questa tipologia potrebbe, forse, essere qualificata come arte religiosa ma certamente non sacra.

    Per prima cosa, non bisogna sottovalutare che oggi - a differenza del
    passato - il progettista, l’artista, non parte più da una reale esperienza di
    fede. Anzi, questa sembra non essere più necessaria per progettare e
    creare uno spazio sacro. Ci troviamo di fronte ad una sensibilità e ad una
    creatività artistica che non muove più dalla fede. Ciò denota una certa
    ambiguità di fondo nella stessa arte religiosa, e una totale estraneità nei
    confronti di un’arte autenticamente sacra.

    Nel Concilio, infatti, il concetto di “creatività” è un elemento
    assolutamente positivo e da accogliere (nella sua fase progettuale), ma
    esso deve essere concepito dall’interno dell’esperienza di fede della
    Chiesa stessa, da cui unicamente possono originarsi “nuovi stili” di
    espressione del bello e del sublime (SC 122).
    Quindi, il problema primario, oggi, non è innanzitutto la “mancanza di stili
    predominanti”, come spesso si afferma, ma quello di un’arte che non è più
    fecondata dalla fede e che tende a prescindere da un rapporto con il
    reale. Per cui credo che non si tratti semplicemente di una questione
    estetica ma ontologica; e questo è un secondo dato da cui non si può
    prescindere.

    Assistiamo spesso ad un assoggettamento dell’arte sacra e religiosa in
    genere alla capacità di comprensione attuale; un edificio può mettere in
    evidenza il silenzio, un’altro un certo connubio fra natura e architettura
    (bioarchitettura), un’altro, un certo collegamento tra passato e futuro;
    oppure con la ricerca di forme stravaganti: una gemma di roccia poggiata
    al suolo, con un ingresso che invita ad un senso di protezione, ecc. Il
    risultato è un vago spiritualismo e un simbolismo figurativo confuso e
    astratto.
    Sicuramente non si tratta nemmeno della mera riproposizione di canoni
    standard passati o presenti. Nella Chiesa i canoni artistici non hanno mai
    implicato una staticità delle forme, neanche nella cristianità bizantina.
    Basta guardare alla varietà delle forme e degli stili susseguitisi nel tempo!

    Nonostante la diversità degli stili si è sempre preservata nel
    passato una continuità sostanziale nei contenuti e nelle stesse
    forme.
    É sicuramente un dato di fatto che molta parte dell’arte contemporanea
    faccia leva sull’arte non figurativa. Conseguentemente la Chiesa non può
    non entrare in dialogo con questo nuovo stile.

    Prima di assumerne i “canoni” bisognerebbe, tuttavia, domandarsi: questo nuovo “stile”
    artistico è capace di esprimere il sacro? Ossia, può, questo “nuovo stile”
    essere in funzione di un incremento della fede e della devozione del
    popolo cristiano?


    Alcuni depongono a favore di un felice connubio. Partendo dal
    presupposto che nella contemplazione e nell’ adorazione del Mistero lo
    sguardo va oltre ciò che è materiale e reale, sarebbe possibile esprimere
    l’invisibile mistero prescindendo dalla categoria della visibilità e della sua
    stessa esprimibilità oggettiva; l’arte nella sua astrattezza e fluidità
    tenderebbe ad esprimere “l’inesprimibilità” del sacro e del mistero.

    É interessante una certa pista - in tal senso - suggerita da Timothy
    Verdon - a proposito dell’astratto che può essere rivestito di forma e di
    colore: “non solo il figurativo tradizionale ma anche questo tipo di figurazione
    astratta può accompagnare il cammino interiore dei cristiani. Cristo stesso, pur nella
    concretezza del corpo assunto da Maria, non esitò a presentarsi in termini lontani da
    ogni possibilità figurativa, identificandosi come "via", "verità", "vita",
    "risurrezione" e "luce" degli uomini. Così l'arte che si riferisce a Cristo, Verbo
    incarnato del Padre, può benissimo rivestire di forma e colore anche le parole più
    "astratte" del Salvatore, soprattutto per incentivare alla preghiera dove ognuno è
    chiamato ad andare oltre le conoscenze sensorie, e massimamente per accompagnare la
    preghiera liturgica, dove il carattere segnico dei riti invita a non soffermarsi sull'aspetto
    esteriore delle cose. La sfida rappresentata da questo tipo d'immagine è duplice: da
    una parte gli artisti devono crescere nella sensibilità scritturistica e liturgica che solo
    permetterà loro di articolare, anche in forme astratte, messaggi autenticamente
    cristiani; sull'altro versante i fedeli devono essere in grado di riconoscere l'autenticità
    del messaggio ed apprezzarne l'originalità, lasciandosi affascinare da bellezze che
    l'occhio non ha mai visto né che sono entrate nel cuore degli uomini. Prima ancora la
    Chiesa deve riappropriarsi del suo storico ruolo di mecenate catecheta, perché sia artisti
    che fedeli vanno educati al senso più che letterale delle parole e dei riti che plasmano la
    nostra fede in Cristo. (Tratto da L’Osservatore Romano - 12 Gennaio 2008).


    Dunque l’astrazione potrebbe “accompagnare il cammino interiore dei cristiani”
    diventando una componente della stessa arte sacra.
    Ma questa possibilità lascia alquanto perplessi se confrontata con la sana
    dottrina della Chiesa, e con i canoni dell’arte sacra ritenuti nella
    Tradizione


    Dice in merito San Teodoro lo Studita:
    "È dunque considerata ed è veramente immagine di Cristo quella fatta artisticamente, avente specie, ossia forma corporea,
    caratteristiche proprie e tutti gli altri segni esterni noti" – "Ea autem duntaxat imago
    Christi et est et dicitur, quae per artem facta, speciei corporae, sive formae, proprias
    notas, et alia quaeque exteriorum gerit indicia" (Contro gli iconoclasti, PG 99,
    496B).

    Quindi un’immagine di Cristo, o di un Santo, o della Vergine, è tale se
    rispecchia le caratteristiche naturali: “forma corporea” di Cristo, del Santo o
    della Vergine e non quelle frutto di un’interpretazione astratta, o
    personale dell’artista.
    Questa, secondo i Padri, non può definirsi,
    immagine di Cristo, finalizzata al culto, e quindi sacra, anche se trattasi di
    un’opera d’arte; anche se l’artista dichiara di aver rappresentato con
    questa sua opera Cristo o quel Santo, o la Vergine; oppure una
    trasformazione simbolica di esso: Cristo via, Cristo verità; Cristo vita.

    Mi spiego meglio.
    Può la figurazione del concetto di Verità esprimere Cristo? Da una
    affermazione di S. Agostino (che Verdon farebbe bene a ricordare)
    si deduce il metodo: Quid est Veritas? - Vir qui adest (Epistola
    155,1).
    Quindi la conoscenza della Verità coincide con un vir, un uomo: Gesù di
    Nazareth. Diciamolo meglio! Non un generico homo ma un vir, nella
    concretezza e nella individualità di una carne: Gesù di Nazareth, figlio di
    Maria, vero Dio e vero uomo, figlio di Dio. In Cristo la Verità si fa
    visibile, conoscibile, incontra l’uomo. Dunque l’uomo può conoscere la
    Verità solo attraverso la persona di Cristo!

    In un altro brano, a coloro che sostenevano l’opinione iconoclasta
    secondo la quale, la Natura Divina di Gesù Cristo sarebbe indicibile, e
    non si permettebbe la Sua raffigurazione, perché la Sua rappresentazione
    (icona) sarà insufficiente, in quanto raffigurazione della sola Sua natura
    umana, San Teodoro risponde: "E' provenuto dalla formazione nel ventre di sua
    Madre, la Theotokos, diversamente sarebbe un aborto, non un uomo avente già una
    forma, o nemici di Dio" — "Expressus enim et efformatus ex utero prodiit Deiparae
    matris suae: sin minus, abortivum quiddam et non formatus homo fuit, o theomachi!"
    (Epistola VIII, PG 99, 1 132D).

    Egli accetta certamente che l’immagine non rappresenta l’indicibile
    Natura Divina – che, altrimenti, non sarebbe stata visibile ai
    contemporanei di Cristo – ma soltanto la Sua natura umana che è stata
    vista, scrivendo quanto segue:
    "Poiché ha avuto persona rappresentata con alcune caratteristiche, allora Cristo è
    raffigurabile secondo la sua visione corporale, com’è anche indicibile secondo la sua
    invisibile sostanza"
    (PG 99, 1 13C).

    Di conseguenza, secondo questa prospettiva, l’artista non è libero di
    attribuire a Cristo o a un Santo una qualsiasi figura fantastica da lui
    desiderata. Al contrario, è obbligato a rispettare le sue caratteristiche
    naturali. Non può, quindi, rivestire di forma e di colore ciò che non si è
    dato attraverso la carne di Cristo
    .

    Il VII Concilio Ecumenico ha pure dichiarato in merito che la "... Santa Chiesa di Dio, come ha ricevuto dai santi Apostoli e Padri, questo genere visto dagli uomini, raffigura" (Mansi 13, 340D).

    Quindi, la libertà dell’artista consiste solo
    nella migliore attribuzione della figura naturale perchè questa
    corrisponda al suo fine: incrementare la fede e indirizzare la mente dell’uomo a
    Dio. Questo non esclude che l’artista possa sviluppare un proprio stile
    artistico. Al contrario, questa libertà è riconosciuta, com’è manifesto dal
    fatto che nella Chiesa lungo i secoli, si siano sviluppate molte maniere
    artistiche o scuole, le quali sono state tutte accettate, solo dopo aver
    rispettato la fedeltà alla forma, alla sacralità e al risultato. Anche se in
    principio potevano suscitare qualche perplessità, in seguito esse venivano
    accolte, e si rivelavano in tutta la loro bontà; nella diversità conservavano
    una loro continuità.

    Detto ciò, può l’attuale tendenza delle arti per l’astratto essere a servizio
    di un’ arte autenticamente sacra? Secondo Verdon, e per molti altri, l’arte
    non figurativa potrebbe divenire un metodo, un “segno”, una “forma”,
    che proietterebbe direttamente al Mistero, nella sua forma indicibile,
    indescrivibile, e invisibile. Quindi, la forma può ricondursi a un ombra
    senza corpo nel tentativo di rivestire di forma e colore anche quei
    termini con cui Cristo stesso avrebbe voluto rivelarsi e che sono lontani
    da ogni possibilità figurativa. Ergo, il segno e il simbolo cedono il posto
    all’allegoria5 Essa può anche essere priva di qualsiasi analogia con la
    natura delle cose e della realtà, con l’oggetto concreto.
    Così - come ben diceva Evdokimov - l’arte non figurativa, informale,
    astratta, sopprime ogni supporto ontologico negando l’oggetto
    concreto6. Si vuol esprimere l’idea nella sua purezza: ex., non la foglia,
    ma il “verde”, attraverso una forma verdeggiante dove l’artista racchiude
    un significato che lui solo comprende.

    Ma il punto è: come per sua natura l’arte astratta può conoscere e quindi
    essere al servizio di un realtà sacra? Come potrà esprimere il “Verbum
    caro factum est”? É come se si volesse esprimere l’incarnazione
    prescindendo dall’oggettività della carne. Ciò è inconciliabile con la stessa
    logica dell’incarnazione su cui poggia tutto il cristianesimo. Cristo, Verbo
    di Dio fatto carne, non è solo la verità ma portatore di essa attraverso la
    sua persona; non è solo bellezza della Verità di Dio, ma portatore di
    questa medesima bellezza. Per cui, il Mistero, la verità, la bellezza, il sacro
    non sono più dei concetti astratti soggetti a interpretazione ma un
    avvenimento, un fatto oggettivo, da riconoscere e non da interpretare.
    Nella riflessione patristica emerge continuamente il fatto che solo
    attraverso la carne di Cristo l’uomo può conoscere e contemplare Dio.
    Quindi, solo attraverso la visibilità del suo esser-ci l’uomo può incontrare
    conoscere e amare l’Essere invisibile, infinito, incommensurabile di Dio.

    Non possiamo conoscere la bellezza di Dio senza la carne di Cristo.
    Il rischio immediato è quello di un ritorno, in arte, anche all'eresia del
    manicheismo risalente al II secolo dopo Cristo e rifiorente nella setta dei
    Catari del secolo XII. Si sa che il manicheismo predicava il dualismo tra
    la materia e lo spirito, tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male, tra Dio
    e satana.
    Qualsiasi tentativo, che miri a prescindere da questo dato fondamentalela
    realtà- diventa ostacolo ad una reale esperienza di conoscenza, e quindi
    di fede.

    Ciò ci induce a porci un’altra questione: la conoscenza e la sua possibilità.
    Ogni conoscenza, infatti, consiste nel risalire dalle cose sensibili
    empiriche alla loro struttura intellegibile. Se dovessimo far leva
    sull’astrattismo per una nuova arte sacra, bisognerebbe rivedere, se non
    eliminare, un fondamentale assioma aristotelico che Tommaso d’Aquino
    ha formulato in questi termini: “nihil est in intellectu quod non prius fuerit in
    sensu” (nulla può essere “compreso” nell’intelletto che non sia entrato in esso attraverso i sensi; cfr. S. Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, IIII,
    82, 3, ad2).

    Secondo questo assioma, la percezione sensibile costituisce la porta
    necessaria della nostra conoscenza in generale.
    Cosa vuol dire questo? Vuol dire che la mente dell’uomo è indirizzata a
    Dio, conosce e ama Dio, attraverso le cose sensibili: abbiamo bisogno di
    vedere, toccare, sentire... Perchè? Perchè l’oggetto proprio dell’intelletto
    umano è l’essenza astratta delle cose sensibili: quindi se esistono cose
    non sensibili (non figurative), l’uomo non le capisce, perché non sono
    corrispondenti alla sua intelligenza, e quindi non sono corrispondenti alla
    sua natura. Ogni conoscenza umana deve dunque necessariamente
    comportare una struttura sensoriale: essa ha dunque bisogno di trovare il
    suo inizio nell’esperienza, nella percezione da parte dei sensi, e questo
    vale per qualsiasi modalità della conoscenza. Per cui anche la conoscenza
    di Dio non può svolgersi in noi escludendo l’intervento dei sensi, e che
    pure la strada per pensare a Dio passa attraverso la percezione sensoriale
    e viene mediata dai sensi. Se ciò è vero, questo significa che ogni
    introduzione alla fede, con segni, simboli, spazi, deve passare attraverso
    l’esperienza aperta dei sensi.
    Ora, l’arte astratta separa la percezione sensoriale dalla sua sorgente, dalla
    sua origine. Per esempio, com’è possibile una forma di orazione davanti
    a uno spazio semplicemente luminoso, o ad una semplice
    rappresentazione di una esplosione di luce che sostituisce il volto di
    Cristo, il suo corpo risorto, per esprimere direttamente la resurrezione?

    Un’ opera, in tal senso, potrebbe sicuramente essere accolta in un galleria
    d’arte, ma non in una chiesa!
    Anche le parole più “astratte” del Salvatore,- “via”, “verità”, “vita”-, si
    conoscono nel loro accadere e sono indissolubilmente connesse con la
    Sua carne e la Sua persona… L’esperienza, il fatto, precedono il concetto
    astratto, e quest’ultimo non può essere dissociato da ciò che lo precede.

    Se la forma esteriore è assente, in mancanza di questa è impossibile un
    percorso verso il suo contenuto; non si può più passare da un piano
    (umano) ad un altro (divino). Pertanto il percorso della conoscenza della
    verità che passa attraverso la ragione dell’uomo, che muove dalla realtà e
    giunge alla contemplazione (fede) della Verità, subisce un drastico
    arresto.

    Così intesa, l’arte sacra in genere diventerebbe un vero e proprio
    percorso per pochi iniziati, una realtà astratta e totalmente scollata dalla
    realtà, un fatto cerebrale; verrebbero meno, in definitiva, quei canoni
    fondamentali propri di un’arte che può definirsi sacra: funzione
    veritativa,(perché imago e quindi fondata sull’incarnazione), e universale
    (cioè possibile per l’intelligenza dell’uomo). Ciò ingenera una rinuncia
    per qualsiasi forma iconica tradizionale deponendo a favore di una
    continua fluidità, contingenza e provvisorietà dei significati sacrali. Per
    cui è inevitabile una rottura con le forme tradizionali del passato, e la
    conseguenza più immediata di tale prospettiva è certamente la loro
    estraneità al magistero della Chiesa e allo stesso Vaticano II.

    [SM=g1740722]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 12/10/2010 09:59
    Un breve riflessione.....

    Dice ragionevolmente Don Matteo (che ringrazio di cuore, ed anche a Francesco per averlo pubblicato):

    Ma, cosa succede di fatto? I fedeli si trovano spesso davanti ad opere e a spazi architettonici finalizzati alla culto, alla liturgia - e quindi propriamente sacri - “semplicemente” astratti (informi), dove il trascendente non è più riconosciuto: forme abbozzate, tratti confusi che non esprimono direttamente la realtà che intendono significare ma che richiedono un vero e proprio percorso di iniziazione per essere comprese.

    *****************************

    stupendo epilogo attraverso le cui parole è impossibile non comprendere la drammaticità del problema se non per volere proprio di ignorarne il dramma...

    "DOVE IL TRASCENDENTE NON E' RICONOSCIUTO" o peggio ancora, come spiega don Matteo...un'arte PER POCHI INIZIATI....

    In un altro thread più in basso Francesco ha pubblicato l'immagine DEVASTANTE di un Cristo, moderno, morto....ne abbiamo discusso con mio marito che un pò se ne intende...e senza andare a giudicare ciò che può provare l'artista e che dunque per lui quella immagine possa essere davvero Cristo morto, tuttavia non è scontato che tale approccio sia immediato nello sguiardo del fedele soprattutto più semplice che di arte non comprende nulla...

    Insomma, oggi per guardare l'arte liturgica nelle chiese moderne, si è obbligati a seguire IL CRITERIO DELLA CRITICA CHE PROMUOVE O BOCCIA UN ARTISTA seguendo dei canoni, legittimi, che appartengono alla cultura del mondo ma che tuttavia NON seguono i canoni DEL VANGELO...e neppure i canoni della Chiesa...

    Di conseguenza, chi non ha studiato ARTE e l'arte contemporanea NON capisce nulla di queste opere che rimangono appunto ASTRATTE E SOGGETTIVE...

    Non era certo questa l'idea della difesa dell'iconografia, come appunto cita e spiega bene don Matteo nel testo....

    Infine, come abbiamo sottolineato più volte, è fuori dubbio che l'arte di oggi si incarna IN QUELLA INQUIETUDINE che accompagna la nostra società e la nostra cultura finendo per costruire Chiese (e di fatto l'arte che le riveste) che NON esprimono più la Fede della Chiesa, ma bensì l'inquietudine dell'Uomo contemporaneo....facendo perdere alle nostre generazioni, attraverso le immagini, quel contatto diretto che Dio ha permesso attraverso l'iconografia, l'immagine a partire dall'INCARNAZION: Dio si è fatto VEDERE....

    Grazie Don Matteo! con infinita riconoscenza 

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)