IV. Temi fondamentali della teologia di Martin Lutero
alla luce dei dialoghi luterano-cattolici
91. Sin dal XVI secolo, le idee fondamentali di Lutero e della teologia luterana sono state materia di controversia tra cattolici e luterani. I dialoghi ecumenici e gli studi accademici hanno analizzato queste controversie e hanno tentato di superarle individuando le differenti terminologie, le differenti strutture di pensiero e le differenti preoccupazioni che non si escludono necessariamente a vicenda.
92. In questo capitolo cattolici e luterani presentano congiuntamente alcune delle principali affermazioni teologiche elaborate da Martin Lutero. Questa esposizione comune non significa che i cattolici siano d’accordo con ogni affermazione di Martin Lutero qui presentata. Rimane un’incessante necessità di dialogo ecumenico e di comprensione reciproca. Nondimeno, nel nostro cammino ecumenico abbiamo raggiunto una fase che ci consente di presentare questa lettura comune.
93. È importante distinguere tra la teologia di Lutero e la teologia luterana e, soprattutto, tra la teologia di Lutero e la dottrina delle Chiese luterane come viene espressa nei loro testi confessionali. Quest’ultima è il punto di riferimento primario per i dialoghi ecumenici. Tuttavia è opportuno focalizzare qui la nostra attenzione sulla teologia di Lutero, a motivo della ricorrenza che commemora il 31 ottobre 1517.
Struttura di questo capitolo
94. Questo capitolo si concentra solamente su quattro temi nell’ambito della teologia di Lutero: la giustificazione, l’eucaristia, il ministero e il rapporto tra Scrittura e tradizione. A motivo della loro importanza nella vita della Chiesa e a causa delle controversie che originarono per secoli, questi temi sono stati ampiamente trattati nei dialoghi cattolico-luterani. La seguente esposizione riassume i risultati di questi dialoghi.
95. La discussione di ognuno di questi temi procede in tre fasi. Dapprima viene presentata la prospettiva di Lutero su ciascuno dei quattro temi teologici; segue poi una breve descrizione delle preoccupazioni cattoliche riguardo a quel tema; infine un riepilogo mostra come nel dialogo ecumenico la teologia di Lutero sia stata messa a confronto con la dottrina cattolica. Questa sezione pone in evidenza ciò che è stato affermato congiuntamente e individua le differenze che rimangono.
96. Un tema importante per ulteriori discussioni è come possiamo approfondire la nostra convergenza sulle questioni in cui vi sono ancora differenze di accenti, specialmente riguardo all’ecclesiologia.
97. È importante notare che non tutte le dichiarazioni che sono state enunciate nell’ambito del dialogo ecumenico tra luterani e cattolici hanno il medesimo grado di consenso, né sono state recepite allo stesso modo dai cattolici e dai luterani. Il livello di autorità più elevato è rappresentato dalla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, sottoscritta da rappresentanti della Federazione luterana mondiale e della Chiesa cattolica romana ad Augsburg, in Germania, il 31 ottobre 1999 e confermata dal Consiglio metodista mondiale nel 2006. Gli organismi promotori hanno ricevuto altri rapporti da parte di commissioni internazionali e nazionali incaricate del dialogo ecumenico, ma è vario l’impatto di questi rapporti sulla teologia e sulla vita delle comunità cattolica e luterana. I leader della Chiesa oggi condividono la responsabilità permanente di valutare e recepire le conclusioni dei dialoghi ecumenici.
Il retaggio medievale di Martin Lutero
98. Martin Lutero fu profondamente radicato nella cultura del tardo Medioevo. Seppe essere a un tempo recettivo nei confronti delle teologie tardo-medievali, criticamente distante da esse o impegnato nel processo di superarle. Nel 1505 entrò nell’ordine degli eremitani agostiniani a Erfurt e nel 1512 divenne professore di teologia biblica all’università di Wittenberg. In questo ruolo concentrò la sua attività teologica principalmente sull’interpretazione delle Scritture bibliche. Questo accento sulle sacre Scritture era pienamente in linea con ciò che le regole nell’ordine degli eremitani agostiniani si attendevano che facesse un frate, ossia studiare e meditare la Bibbia non solo per proprio beneficio personale ma anche a beneficio spirituale di altri. I padri della Chiesa, specialmente Agostino, ebbero un ruolo vitale nello sviluppo e nella forma finale della teologia di Lutero. «La nostra teologia e sant’Agostino conquistano sempre più spazio»,[xxxii] scrisse nel 1517, e nella Disputa di Heidelberg (1518) si riferì a sant’Agostino come all’«interprete più fedele»[xxxiii] dell’apostolo Paolo. Il pensiero di Lutero, dunque, era profondamente radicato nella tradizione patristica.
Teologia monastica e mistica
99. Anche se ebbe un atteggiamento prevalentemente critico nei confronti dei teologi scolastici, in quanto eremita agostiniano per vent’anni Lutero visse, pensò e fece teologia nella tradizione della teologia monastica. Uno dei teologi monastici più influenti fu Bernardo di Chiaravalle, che Lutero apprezzava molto. Il modo che Lutero aveva di interpretare la Scrittura come il luogo di incontro tra Dio e gli esseri umani mostra chiari paralleli con l’interpretazione della Scrittura propria di Bernardo.
100. Lutero fu profondamente radicato anche nella tradizione mistica del periodo tardo-medievale. Trovò ispirazione e sostegno nei sermoni tedeschi di Giovanni Taulero (m. 1361) e si sentì in profonda sintonia con essi. Inoltre Lutero stesso fece pubblicare il testo mistico Theologia deutsch(«Teologia tedesca», 1518), scritto da un autore ignoto. Questo testo ebbe larga diffusione e fama in Germania proprio grazie alla pubblicazione che ne fece Lutero.
101. Nel corso di tutta la sua vita Lutero fu profondamente grato al vicario generale degli agostiniani, Giovanni di Staupitz, e alla sua teologia incentrata su Cristo, che portò consolazione a Lutero nelle sue sofferenze. Staupitz fu un rappresentante della mistica nuziale. Lutero più volte riconobbe quanto beneficio gli aveva arrecato la sua influenza, dicendo «Staupitz iniziò questa dottrina»[xxxiv] ed elogiandolo per «essermi stato prima di tutto padre in questa dottrina e per avermi fatto nascere in Cristo».[xxxv] Nel tardo Medioevo venne elaborata una teologia per i laici (Frömmigskeitstheologie, teologia della pietà), che rifletteva sulla vita cristiana in termini pratici ed era orientata alla pratica della pietà. Lutero fu stimolato da questa teologia a scrivere delle opere sue proprie destinate ai laici; riprese molti degli stessi temi ma diede loro una sua elaborazione personale.
Giustificazione
L’interpretazione di Lutero sulla giustificazione
102. Lutero raggiunse una delle sue visioni fondamentali proprie della Riforma riflettendo sul sacramento della penitenza, specialmente in rapporto con Matteo 16,18. Nella sua educazione tardo-medievale gli era stato insegnato che Dio perdonerà chi mostri pentimento per il proprio peccato compiendo un atto di amore per Dio al di sopra di tutte le cose, atto al quale Dio risponderà in base alla divina alleanza (pactum) concedendo di nuovo la sua grazia e il suo perdono (facienti quod in se est Deus non denegat gratiam),[xxxvi] di modo che il sacerdote potrà soltanto dichiarare che Dio ha già perdonato il peccato di colui che è pentito. Lutero concluse che Matteo 16 diceva esattamente il contrario, e cioè che il sacerdote dichiarava il penitente giusto e che, attraverso questo atto compiuto in nome di Dio, il peccatore diventava effettivamente giusto.
La parola di Dio come promessa
103. Lutero intendeva le parole di Dio come parole che creano ciò che dicono e che hanno il carattere di promessa (promissio). Una tale parola di promessa viene detta in un particolare luogo e in un particolare tempo, da una particolare persona, ed è rivolta a una particolare persona. Una promessa divina è rivolta alla fede di una persona. La fede, a sua volta, coglie ciò che viene promesso come promesso personalmente al credente. Lutero insisteva sul fatto che tale fede è l’unica risposta appropriata a una parola di promessa divina. A un essere umano si chiede di distogliere lo sguardo da sé e di guardare solo alla parola della promessa di Dio e di fidarsi pienamente di essa. Dal momento che la fede ci fonda nella promessa di Cristo, essa assicura al credente piena certezza della salvezza. Non fidarsi di questa parola renderebbe Dio un mentitore oppure qualcuno sulla cui parola non si possa in ultima analisi fare affidamento. In tal modo, nella concezione di Lutero, il non credere è il più grande peccato contro Dio.
104. Oltre a strutturare la dinamica che si stabilisce tra Dio e il penitente all’interno del sacramento della penitenza, la relazione tra promessa e fiducia dà forma anche alla relazione che si stabilisce tra Dio e gli uomini nell’annuncio della Parola. Dio desidera rapportarsi con gli uomini dando loro parole di promessa – i sacramenti sono anche proprio queste parole di promessa – che mostrano la volontà salvifica di Dio verso di loro. Gli uomini, d’altro canto, dovrebbero rapportarsi con Dio solamente fidandosi delle sue promesse. La fede dipende totalmente dalle promesse di Dio; non può creare l’oggetto in cui gli uomini ripongono la loro fiducia.
105. Ciononostante, avere fiducia nella promessa di Dio non è questione di decisione umana; piuttosto, è lo Spirito Santo a rivelare questa promessa come degna di fiducia e, in tal modo, crea la fede in una persona. La promessa divina e la fede dell’uomo in tale promessa vanno di pari passo. Entrambi gli aspetti vanno messi in rilievo: l’«oggettività» della promessa e la «soggettività» della fede. Secondo Lutero, Dio non solo rivela realtà divine come informazioni che l’intelletto deve approvare; ma la rivelazione di Dio ha sempre anche un fine soteriologico diretto verso la fede e la salvezza dei credenti, che ricevono le promesse che Dio dà «per voi» come parole di Dio «per me» o «per noi» (pro me, pro nobis).
106. L’iniziativa di Dio stabilisce una relazione salvifica con gli uomini; in tal modo la salvezza si attua per mezzo della grazia. Il dono della grazia può essere solo ricevuto e, dal momento che questo dono è mediato da una promessa divina, non può essere ricevuto se non mediante la fede, e non mediante le opere. La salvezza si attua soltanto per mezzo della grazia. Lutero, tuttavia, mise costantemente in evidenza che la persona giustificata compirà opere buone nello Spirito.
Soltanto per mezzo di Cristo
107. L’amore di Dio per gli uomini è incentrato, radicato e incarnato in Gesù Cristo. Perciò, l’espressione «solo per grazia» deve sempre essere spiegata con l’espressione «solo attraverso Cristo». Lutero descrive la relazione degli uomini con Cristo usando l’immagine di un matrimonio spirituale. L’anima è la sposa; Cristo è lo sposo; la fede è l’anello nuziale. Secondo le leggi che regolano il matrimonio, le proprietà dello sposo (la giustizia) diventano proprietà della sposa, e le proprietà della sposa (il peccato) diventano proprietà dello sposo. Questo «felice scambio» è il perdono dei peccati e la salvezza.
108. Questa immagine mostra che qualcosa di esterno, ossia la giustizia di Cristo, diventa qualcosa di interiore. Diventa possesso dell’anima, ma solo nell’unione con Cristo mediante la fiducia nelle sue promesse, non nella separazione da lui. Lutero insiste sul fatto che la nostra giustizia è totalmente esterna perché è la giustizia di Cristo, ma occorre che diventi totalmente interiore per mezzo della fede in Cristo. Solo se entrambi gli aspetti sono equamente messi in rilievo la realtà della salvezza viene intesa in maniera adeguata. Lutero afferma: «È proprio nella fede che Cristo è presente ».[xxxvii] Cristo è «per noi» (pro nobis) e in noi (in nobis), e noi siamo in Cristo (in Christo).
Importanza della legge
109. Lutero inoltre percepiva la realtà umana, riguardo alla legge nel suo significato teologico o spirituale, dalla prospettiva di ciò che Dio esige da noi. Gesù esprime la volontà di Dio con il precetto: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37). Ciò significa che possiamo osservare i comandamenti di Dio solo mediante la totale dedizione a Dio. Questa include non solo la volontà e le corrispondenti azioni esteriori, ma anche tutti gli aspetti dell’anima e del cuore umano come le emozioni, i desideri e gli aneliti umani, ossia quegli aspetti e quei moti dell’anima che non sono sotto il controllo della volontà oppure lo sono solo indirettamente e parzialmente attraverso la pratica delle virtù.
110. Nella sfera giuridica e in quella morale c’è un’antica regola, intuitivamente evidente, secondo la quale nessuno può essere obbligato a fare di più di quanto è in grado di fare (ultra posse nemo obligatur). In tal modo durante il Medioevo molti teologi erano convinti che quel comandamento di amare Dio andasse limitato alla volontà. Secondo questa interpretazione, il comandamento di amare Dio non richiede che tutti i moti dell’anima vadano rivolti e dedicati a Dio. Piuttosto sarebbe sufficiente che la volontà ami (cioè, voglia) Dio al di sopra di tutto (diligere Deum super omnia).
111. Lutero sosteneva però che vi è una differenza tra un’interpretazione giuridica o morale della legge, da un lato, e un’interpretazione teologica dall’altro. Dio non ha adattato i suoi comandamenti alle condizioni dell’essere umano decaduto. Teologicamente inteso, invece, il comandamento di amare Dio mostra la situazione e la miseria degli uomini. Come Lutero scrisse nella Disputa contro la teologia scolastica, «quando una persona non diviene preda né dell’ira né della concupiscenza, spiritualmente quella persona non uccide, non fa del male, non diventa furiosa».[xxxviii] A questo riguardo la legge divina non è rispettata principalmente per mezzo di azioni esterne, di atti o della volontà, ma mediante la dedizione totale della persona tutta intera alla volontà di Dio.
Partecipare della giustizia di Cristo
112. Il punto di vista di Lutero, secondo cui Dio richiede una dedizione totale nell’osservanza della sua legge, spiega perché Lutero abbia sottolineato con tanta forza che dipendiamo totalmente dalla giustizia di Cristo. Cristo è l’unica persona che ha adempiuto totalmente alla volontà di Dio, e tutti gli altri esseri umani possono diventare giusti, in senso stretto cioè teologico, solamente se partecipano della giustizia di Cristo. In tal modo la nostra giustizia è esterna in quanto è giustizia di Cristo, ma deve diventare la nostra giustizia, cioè interiore, per mezzo della fede nella promessa di Cristo. Solo mediante la partecipazione alla dedizione totale di Cristo a Dio possiamo diventare pienamente giusti.
113. Dal momento che il Vangelo ci promette che «qui è Cristo e qui è il suo Spirito», la partecipazione alla giustizia di Cristo non è mai realizzata senza essere sotto la potenza dello Spirito Santo che ci rinnova. Pertanto il divenire giusti e l’essere rinnovati sono intimamente e inscindibilmente connessi. Lutero non criticò i suoi colleghi teologi come Gabriel Biel per l’eccessiva enfasi che ponevano sulla potenza trasformante della grazia; al contrario egli contestava il fatto che non accentuavano con sufficiente forza questa potenza, in quanto è fondamentale per qualsiasi cambiamento reale nel credente.
Legge e Vangelo
114. Secondo Lutero questo rinnovamento non giungerà mai al suo compimento finché saremo in vita. Quindi per spiegare la salvezza dell’uomo Lutero ricorse a un altro modello, tratto dall’apostolo Paolo, che divenne per lui importante. In Romani 4,3 Paolo fa riferimento ad Abramo in Genesi 15,6 («Abramo credette in Dio, che glielo accreditò come giustizia»), e conclude: «A chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia» (Rm 4,5).
115. Questo testo tratto dalla Lettera ai Romani contiene l’immagine forense di qualcuno che in un’aula di tribunale viene dichiarato giusto. Se Dio dichiara qualcuno giusto, questo cambia la sua situazione e crea una realtà nuova. Il giudizio di Dio non rimane «al di fuori» dell’uomo. Lutero usa spesso questo esempio paolino per sottolineare che la persona tutta intera viene accolta da Dio e salvata, anche se il processo del rinnovamento interiore del giustificato in una persona totalmente dedita a Dio non si concluderà in questa vita terrena.
116. Come credenti coinvolti nel processo di essere rinnovati dallo Spirito Santo, non osserviamo ancora completamente il comandamento divino di amare Dio totalmente e non rispondiamo alla richiesta di Dio. Perciò la legge ci accuserà e ci riconoscerà come peccatori. Rispetto alla legge, teologicamente intesa, noi crediamo che siamo ancora peccatori. Ma rispetto al Vangelo, che ci promette che «qui è la giustizia di Cristo», siamo giusti e giustificati, poiché crediamo nella promessa del Vangelo. Questa è la concezione che Lutero aveva del credente cristiano, che è nello stesso tempo giustificato e tuttavia peccatore (simul iustus et peccator).
117. Questa non è una contraddizione, dal momento che dobbiamo distinguere due relazioni che il credente ha con la parola di Dio: la relazione con la parola di Dio come legge di Dio, in quanto essa giudica il peccatore, e la relazione con la parola di Dio come Vangelo di Dio, in quanto Cristo redime. Rispetto alla prima relazione noi siamo peccatori; rispetto alla seconda relazione siamo giusti e giustificati. Quest’ultima è la relazione che prevale. Ciò significa che Cristo ci introduce in un processo di continuo rinnovamento poiché ci fidiamo della sua promessa che siamo salvati in eterno.
118. È per questo che Lutero sottolinea con tanta forza la libertà del cristiano: la libertà di essere accolti da Dio soltanto per mezzo della grazia e soltanto per mezzo della fede nelle promesse di Cristo, la libertà dall’accusa della legge mediante il perdono dei peccati e la libertà di servire il proprio prossimo spontaneamente, senza cercare di ottenere dei meriti nel farlo. La persona giustificata, naturalmente, è obbligata a osservare i comandamenti di Dio, e lo farà sotto l’impulso dello Spirito Santo. Come Lutero dichiarò nel Piccolo catechismo: «Dobbiamo temere e amare Dio, e dunque…», dopo di che seguono le sue spiegazioni dei dieci comandamenti.[xxxix]
Preoccupazioni cattoliche riguardo alla giustificazione
119. Anche nel XVI secolo vi era tra le posizioni dei luterani e dei cattolici una notevole convergenza riguardo alla necessità della misericordia di Dio e all’incapacità degli uomini di conseguire la salvezza mediante le proprie forze. Il concilio di Trento decretò in maniera chiara che il peccatore non può essere giustificato né mediante la legge né mediante le proprie opere, pronunciando un anatema contro chiunque affermasse che «l’uomo può essere giustificato davanti a Dio con le sue sole opere, compiute mediante le forze della natura umana, o grazie all’insegnamento della legge, senza la grazia divina che gli viene data per mezzo di Gesù Cristo».[xl]
120. I cattolici, tuttavia, considerarono problematiche alcune posizioni di Lutero. In certi casi il linguaggio usato da Lutero suscitò nei cattolici il timore che egli negasse la responsabilità personale delle azioni dell’uomo. Questo spiega il motivo per cui il concilio di Trento pose grande accento sulla responsabilità del singolo individuo e sulla sua capacità di cooperare con la grazia di Dio. I cattolici sottolinearono che coloro che sono giustificati dovrebbero essere coinvolti nel dispiegarsi della grazia nella loro vita. In tal modo, per coloro che sono giustificati, gli sforzi umani contribuiscono a una crescita nella grazia e a una comunione con Dio più intense.
121. Inoltre secondo l’interpretazione cattolica la dottrina dell’«imputazione forense» di Lutero sembrava negare il potere creativo della grazia di Dio di annientare il peccato e di trasformare il giustificato. I cattolici vollero mettere quindi l’accento non solo sul perdono dei peccati, ma anche sulla santificazione del peccatore. Nella santificazione, pertanto, il cristiano riceve quella «giustizia di Dio» per mezzo della quale Dio ci rende giusti.
Il dialogo luterano-cattolico sulla giustificazione
122. Lutero e gli altri riformatori considerarono la dottrina della giustificazione dei peccatori come «l’articolo primo e fondamentale»[xli] che «governa e giudica tutti gli altri aspetti della dottrina cristiana».[xlii] Questo è il motivo per cui una divisione su questo tema era particolarmente grave, e lavorare per sanare questa divisione divenne una questione della massima priorità per le relazioni luterano-cattoliche. Nella seconda metà del XX secolo questa controversia fu oggetto di ampie analisi da parte di singoli teologi e di numerosi dialoghi nazionali e internazionali.
123. I risultati di queste analisi e di questi dialoghi sono riassunti nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, e nel 1999 sono stati ufficialmente recepiti dalla Chiesa cattolica romana e dalla Federazione luterana mondiale. La sintesi che segue si basa su questaDichiarazione, che offre un consenso differenziante costituito da enunciazioni comuni accanto ad accentuazioni differenti di ciascuna parte, con la specificazione che queste differenze non invalidano i punti di vista comuni. Si tratta, pertanto, di un consenso che non elimina le differenze, ma piuttosto le include in maniera esplicita.
Solo per grazia
124. Insieme cattolici e luterani confessano: «Non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere» (Dichiarazione congiunta, n.15; EO 7/1845). L’espressione «soltanto per mezzo della grazia» viene ulteriormente spiegata in questo modo: «Il messaggio della giustificazione (…) ci dice che noi, in quanto peccatori, dobbiamo la nostra vita nuova soltanto alla misericordia di Dio che perdona e che fa nuove tutte le cose, misericordia che noi possiamo ricevere soltanto come dono nella fede, ma che non possiamo meritare mai e in nessun modo».[xliii]
125. È all’interno di questo quadro che si possono riconoscere i limiti e la dignità della libertà umana. L’espressione «soltanto per mezzo della grazia », a proposito del cammino dell’uomo verso la salvezza, viene interpretata in questo modo: «Insieme confessiamo che l’uomo dipende interamente per la sua salvezza dalla grazia salvifica di Dio. La libertà che egli possiede nei confronti degli uomini e delle cose del mondo non è una libertà dalla quale possa derivare la sua salvezza» (Dichiarazione congiunta, n.19; EO 7/1849).
126. Quando i luterani asseriscono che una persona può solo ricevere la giustificazione, essi in tal modo intendono negare «con ciò ogni possibilità di un contributo proprio dell’uomo alla sua giustificazione, senza negare tuttavia la sua personale e piena partecipazione nella fede, che è operata dalla stessa parola di Dio» (Dichiarazione congiunta, n.21; EO 7/1851).
127. Quando i cattolici parlano di preparazione ad accogliere la grazia in termini di «cooperazione», essi con ciò intendono un «personale assenso» dell’uomo che considerano «non come un’azione derivante dalle forze proprie dell’uomo, ma come un effetto della grazia» (Dichiarazione congiunta, n.20; EO 7/1850). Di conseguenza, essi non svuotano la comune asserzione che «in quanto peccatore, (l’uomo) è soggetto al giudizio di Dio, e dunque incapace da solo di rivolgersi a Dio per la sua salvezza, o di meritarsi davanti a Dio la sua giustificazione, o di raggiungere la salvezza con le sue proprie forze. La giustificazione avviene soltanto per opera della grazia» (Dichiarazione congiunta, n.19; EO 7/1849).
128. Dal momento che la fede viene intesa non solo come conoscenza positiva, ma anche come la fiducia del cuore che si fonda sulla parola di Dio, possiamo ulteriormente affermare insieme che «la giustificazione avviene “soltanto per mezzo della grazia” (Dichiarazione congiunta, nn.15 e 16); soltanto per mezzo della fede, la persona è giustificata “indipendentemente dalle opere” (Rm 3,28, cf. Dichiarazione congiunta, n.25)» (Dichiarazione congiunta, Allegato 2C).[xliv]
129. Quanto spesso è stato isolato e attribuito all’una o all’altra confessione religiosa, ma non a entrambe, viene ora compreso in una coerenza organica: «Quando l’uomo partecipa a Cristo nella fede, Dio non gli imputa il suo peccato e fa agire in lui un amore attivo mediante lo Spirito Santo. Entrambi questi aspetti dell’azione salvifica di Dio non dovrebbero essere scissi» (Dichiarazione congiunta, n.22; EO 7/1852).
La fede e le buone opere
130. È importante che luterani e cattolici abbiano una visione comune del modo d’intendere la coerenza tra fede e opere: il credente «nella fede giustificante che racchiude in sé la speranza in Dio e l’amore per lui, confida nella sua promessa misericordiosa. Questa fede è attiva nell’amore e per questo motivo il cristiano non può e non deve restare inoperoso» (Dichiarazione congiunta, n.25;EO 7/1855). I luterani, quindi, confessano anche la potenza creatrice della grazia di Dio che «riguarda tutte le dimensioni della persona e conduce a una vita nella speranza e nell’amore» (Dichiarazione congiunta, n.26; EO 7/1856). La «giustificazione soltanto per mezzo della fede» e «il rinnovamento della vita» devono essere distinti ma non scissi.
131. Nel contempo, «la giustificazione non si fonda né si guadagna con tutto ciò che precede e segue nell’uomo il libero dono della fede» (Dichiarazione congiunta, n.25; EO 7/1855). Questo è il motivo per cui l’effetto creativo che i cattolici attribuiscono alla grazia giustificante non è inteso come una qualità senza alcuna relazione con Dio, né come un bene di cui l’uomo può impossessarsi: «L’uomo non potrà mai appropriarsi della grazia giustificante né appellarsi a essa davanti a Dio» (Dichiarazione congiunta, n.27; EO 7/1857). Piuttosto questa concezione tiene conto del fatto che nella nuova relazione con Dio i giusti vengono trasformati e resi figli di Dio, vivendo in tal modo in una nuova comunione con Cristo: «Questa nuova relazione personale con Dio si fonda interamente sulla sua misericordia e permane dipendente dall’azione salvifica e creatrice di Dio misericordioso, il quale rimane fedele a se stesso e nel quale l’uomo può quindi riporre la propria fiducia» (Dichiarazione congiunta, n.27; EO 7/1857).
132. Riguardo alla questione delle buone opere, cattolici e luterani insieme affermano: «Parimenti confessiamo che i comandamenti di Dio rimangono in vigore per il giustificato» (Dichiarazione congiunta, n.31; EO 7/1861).«Gesù e gli scritti apostolici esortano i cristiani a compiere opere d’amore» (Dichiarazione congiunta, n.37; EO 7/1867). Affinché il valore vincolante dei comandamenti non possa essere frainteso, viene specificato: «Sottolineando che il giustificato è tenuto all’osservanza dei comandamenti di Dio, i cattolici non negano che la grazia della vita eterna è stata misericordiosamente promessa ai figli di Dio mediante Gesù Cristo» (Dichiarazione congiunta, n.33; EO 7/1863).
133. Sia i luterani sia i cattolici possono riconoscere il valore delle buone opere al fine di un approfondimento della comunione con Cristo (cf. Dichiarazione congiunta, n.38s), anche se i luterani sottolineano che la giustizia, in quanto accettazione da parte di Dio e partecipazione alla giustizia di Cristo, è sempre perfetta. Il controverso concetto di merito viene spiegato così: «Quando i cattolici affermano il “carattere meritorio” delle buone opere, essi intendono con ciò che, secondo la testimonianza biblica, a queste opere è promesso un salario in cielo. La loro intenzione è di sottolineare la responsabilità dell’uomo nei confronti delle sue azioni, senza contestare con ciò il carattere di dono delle buone opere, e tanto meno negare che la giustificazione stessa resta un dono immeritato della grazia» (Dichiarazione congiunta, n.38; EO 7/1868).
134. Riguardo alla questione assai discussa della cooperazione dell’uomo nella giustificazione, nell’Appendice alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione viene inserita una citazione tratta dalle Confessioni luterane, al fine di sottolineare nella maniera più evidente la posizione comune dei luterani e dei cattolici su questo punto: «L’opera della grazia di Dio non esclude l’azione umana: Dio produce tutto, il volere e l’operare, pertanto noi siamo chiamati ad agire (cf. Fil 2,12ss). “Immediatamente quando lo Spirito Santo ha iniziato in noi la sua opera di rigenerazione e di rinnovamento, attraverso la Parola e i santi sacramenti, è certo che noi possiamo e dobbiamo collaborare per mezzo della potenza dello Spirito Santo (…)”».[xlv]
Simul iustus et peccator
135. Nel dibattito sulle differenze che emersero nell’affermare che il cristiano è «al tempo stesso giusto e peccatore» apparve evidente che le due parti del dialogo non davano esattamente lo stesso significato ai termini «peccato», «concupiscenza» e «giustizia». È necessario concentrare la nostra attenzione non solo sull’enunciazione ma anche sul contenuto per arrivare a un consenso. Con Romani 6,12 e 2 Corinzi 5,17, cattolici e luterani proclamano che nei cristiani il peccato non deve e non dovrebbe regnare. Inoltre affermano con 1 Giovanni 1,8-10 che i cristiani non sono senza peccato. Essi parlano dell’«opposizione a Dio che proviene dalla concupiscenza egoistica del vecchio Adamo» anche in colui che è giustificato, il quale non «può esimersi dal combattimento di tutta una vita» (Dichiarazione congiunta, n.28; EO 7/1858) contro tale opposizione.
136. Questa inclinazione «non corrisponde al disegno originario di Dio sull’uomo» e si pone «oggettivamente in opposizione a Dio» (Dichiarazione congiunta, n.30; EO 7/1860), come affermano i cattolici. Poiché infatti per essi il peccato ha il carattere di un atto, i cattolici qui non parlano di peccato, mentre i luterani vedono in questa inclinazione a opporsi a Dio un rifiuto ad abbandonarsi interamente a Dio e perciò chiamano questa inclinazione peccato. Tuttavia entrambi pongono l’accento sul fatto che questa inclinazione a opporsi a Dio non separa il giustificato da Dio.
137. Sulla base dei presupposti del proprio sistema teologico e dopo aver studiato gli scritti di Lutero, il card. Caietano giunse alla conclusione che l’interpretazione di Lutero riguardo alla garanzia assoluta data dalla fede implicava l’istituzione di una nuova Chiesa. Il dialogo cattolico-luterano ha messo in luce le divergenti forme di pensiero che causarono la reciproca incomprensione tra il card. Caietano e Lutero. Oggi possiamo affermare che «i cattolici possono condividere l’orientamento dei riformatori che consiste nel fondare la fede sulla realtà oggettiva della promessa di Cristo, a prescindere dalla personale esperienza, e nel confidare unicamente nella promessa di Cristo (cf. Mt 16,19; 18,18)» (Dichiarazione congiunta, n.36; EO 7/1866).
138. Luterani e cattolici hanno ciascuno condannato la dottrina dell’altra confessione, perciò il consenso differenziante rappresentato nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione contiene un duplice aspetto. Da un lato nella Dichiarazione si afferma che le reciproche condanne della dottrina cattolica e di quella luterana come descritte nella Dichiarazionenon si applicano all’altra confessione. Dall’altro lato la Dichiarazione afferma in senso positivo un consenso nelle verità fondamentali della giustificazione: «La comprensione della dottrina della giustificazione esposta in questa Dichiarazione mostra l’esistenza di un consenso tra luterani e cattolici su verità fondamentali di tale dottrina della giustificazione» (Dichiarazione congiunta, n.40; EO 7/1870).
139. «Alla luce di detto consenso sono accettabili le differenze che sussistono per quanto riguarda il linguaggio, gli sviluppi teologici e le accentuazioni particolari che ha assunto la comprensione della giustificazione (…). Per questo motivo l’elaborazione luterana e l’elaborazione cattolica della fede nella giustificazione sono, nelle loro differenze, aperte l’una all’altra e tali da non invalidare di nuovo il consenso raggiunto su verità fondamentali» (Dichiarazione congiunta, n.40; EO 7/1870). «Con ciò, le condanne dottrinali del XVI secolo, nella misura in cui esse si riferiscono all’insegnamento della giustificazione, appaiono sotto una nuova luce: l’insegnamento delle Chiese luterane presentato in questa Dichiarazione non cade sotto le condanne del concilio di Trento. Le condanne delle Confessioni luterane non colpiscono l’insegnamento della Chiesa cattolica romana così come esso è presentato in questa Dichiarazione» (Dichiarazione congiunta, n.41; EO 7/1871). Questa è una risposta di grande rilievo ai conflitti sorti su questa dottrina e che si protrassero per quasi 500 anni.
Fraternamente CaterinaLD
"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)