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DIFENDERE LA VERA FEDE

MA CHI SONO I FALSI MAESTRI, COME RICONOSCERLI? (qui alcuni esempi) (2)

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    Caterina63
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    00 28/09/2011 12:36

    [SM=g1740733] Visto il successo di visite del thread: MA CHI SONO I FALSI MAESTRI, COME RICONOSCERLI? (qui alcuni esempi)

    per comodità di lettura ne apriamo uno nuovo con questa notizia che ha veramente dell'assurdo....


    LA NUOVA CHIESA GLOCAL

    Il Vescovo Bruno Forte dice di se stesso: "Progressista fedele ai valori"

    Vaticanista de La Stampa 27.9.2011
     
    «Un progressista, dalla mentalità aperta, ma fedelissimo nei valori fondamentali». Così si autodefinisce monsignor Bruno Forte - nel libro-intervista 'Una teologia per la vita.
    Fedele al cielo e alla terrà, scritto con Marco Roncalli per l'editrice 'La Scuolà - e confida: «è ciò che io sento nella mia identità profonda». Rispondendo alle domande di Roncalli, l'arcivescivo di Chieti e celebratissimo teologo si smarca da parecchi colleghi soprattutto dell'area progressista e, ad esempio, definisce «inaccettabile la proposta di Hans Kung dove la differenza del cristianesimo sparisce».

    Si sofferma a lungo sull'idea di 'glocal': l'unione tra gli aspetti positivi della globalizzazione, global, e quelli della valorizzazione del territorio, local «nessuna realtà al mondo è glocal quanto la Chiesa cattolica».

    Rievocando la sua formazione napoletana, Forte ricorda la preparazione del documento «Memoria e Riconciliazione», nel 2000 (occasione, tra l'altro, per conoscere da vicino il cardinal Ratzinger), e gli Esercizi al Papa con Giovanni Paolo II che lo volle vescovo (nel 2004, anno di cesura). E da qui l'intervista passa in rassegna i rapporti della teologia con il magistero, la psicologia, la comunità credente«. Sull'identificazione delle sfide nella trasmissione della fede oggi, dice: »
    La questione di Dio, la dignità e la libertà dell'uomo, i vincoli di comunione e l'arcipelago delle solitudini, l'identità e il dialogo.
    «Infine, la conversazione con Marco Roncalli sfocia in un tour geoteologico: dall'Asia al Nord America, dal Sud del mondo all'Oriente, l'Ortodossia, l'ebraismo, l'islam»

    **************************

    Uno leggendo:
    «Un progressista, dalla mentalità aperta, ma fedelissimo nei valori fondamentali». Così si autodefinisce monsignor Bruno Forte
    non può che restare senza parole e indignato, perchè la frase, priva di senso, viene da un vescovo che dovrebbe essere un maestro....

    Partiamo dal termine "progressista", quale elemento identificativo del cattolico moderno, mai piaciuto sia a Giovanni Paolo II quanto a Benedetto XVI.... detto da un vescovo su se stesso non è affatto un complimento!
    Il "progrssista" è di fatto una sorta di "movimento moderno" attraverso il quale con la scusa del PROGRESSO (progresso della fede nel nostro caso) di fatto sfrutta il concetto di progresso per avanzare un progressismo atto invece a MODIFICARE LA FEDE... e di conseguenza essere "progressisti" non è affatto un bene per un cattolico, figuriamoci per un vescovo!

    Negli anni '70 prende vita dai Media questa differenza fra cattolici: progressisti e tradizionalisti.
    Va detto che il Cattolico per sua natura è sempre stato un TRADIZIONALE nel senso puro della parola, ossia, colui che ricevendo UNA TRADIZIONE la conserva (conservatori) per custodirla e al tempo stesso LA TRASMETTE (trasmissione della fede).
    Naturalmente poichè non parliamo di oggetti o di un museo, diciamo che la Tradizione E' VIVA e di conseguenza essa stessa usa IL PROGRESSO per arricchirsi in ogni tempo, guidata dallo Spirito Santo che suggerisce alla Chiesa, a Pietro in particolare, il come proggredire nella fede (dottrine)....memori appunto, del monito di Cristo:
    "Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito di verità, Egli vi guiderà alla Verità (Conoscenza) tutta intera, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà." (Giovanni, 16,12-14), questo è il vero PROGRESSO che non ha nulla a che vedere con il progressismo o con l'essere progressisti... al contrario, in queste parole non si può essere che CONSERVATORI E TRADIZIONALI, fedeli alla parola del Cristo che per mezzo dello Spirito Santo PARLA ED ISTRUISCE LA CHIESA, IL PAPA IN PARTICOLARE..... vi ricordiamo anche questo thread sull'argomento ! [SM=g1740733]

    La regola dello sviluppo nella Chiesa tra il concetto di PROGRESSO E TRADIZIONE, la troviamo formulata fin dall’anno 434 in un’opera di S. Vincenzo Lirinense, scrive:

    “Dirà forse qualcuno: Non si dà, dunque, progresso alcuno della religione nella Chiesa di Cristo? Altroché se si dà, e grandissimo! Chi vorrà essere tanto ostile agli uomini e tanto odioso a Dio da tentare di impedire un simile progresso? Però avvenga in modo tale da esser veramente un progresso della fede e non un’alterazione.
    Progredire, infatti, significa che una cosa si amplifica rimanendo se stessa; mutamento, invece, significa che una cosa passa a diventare un’altra cosa.
    È necessario, dunque, che crescano — e crescano molto gagliardamente — col passare delle generazioni e dei tempi l’intelligenza e la scienza e la sapienza della fede sia nel singolo sia presso la comunità, sia in ciascun cristiano sia in tutta la Chiesa: però la crescita della fede avvenga soltanto ferma restando la sua propria natura, cioè entro l’ambito dello stesso dogma, nel medesimo significato e nella medesima sentenza — in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia” (Commonitorium,23 -PL50,667)


    Mi colpiscono due aspetti di questo quadro che riporto dal libro "Nova et Vetera di mons. Luigi Maria Carli del 1969, che tratta appunto di questo TRADIMENTO alla Tradizione ed al vero Progresso da dopo il Concilio Vaticano II....ed è riportato in questo thread :

    1) il primo aspetto è la serenità attraverso la quale tale san Vincenzo espone, meravigliosamente, una verità talmente logica, talmente razionale da farla diventare davvero divina (come il Verbo era Dio ma anche veramente Uomo!) di cui, per altro, era già frutto maturo della conoscenza della Chiesa, altrimenti tale santo non avrebbe potuto esprimersi così chiaramente, ossia, ciò che scrive è leggibile chiaramente già come pensiero assunto e maturato dalla Chiesa....
    Mi appare pertanto una gravissima REGRESSIONE ciò che stiamo vivendo da 40 anni a questa parte...un tradimento al vero senso del Progresso...

    2) il secondo aspetto è quello della FEDE, la sua progressione associata indissolubilmente alla Tradizione....anche questo aspetto, così magnificamente espresso nell'Anno Domini 434 è stato grandemente tradito ed assistiamo ad una regressione della fede come non si era mai visto neppure al tempo dell'arianesimo, perchè Ario almeno in qualcosa credeva!

    In entrambi gli aspetti da me analizzati, e senza pretesa alcuna, la Fede non è più associata alla Tradizione ma al "GESU' SOLO", slogan di protestante memoria...non importa a quale Cristo si faccia poi riferimento, non importa se Egli ha il viso di Kiko o di Simba, o di Gandhi....l'importante è che NON abbia il volto PURAMENTE CATTOLICO...

    E' QUESTO IL VERO PROGRESSO DELLA FEDE NELLA TRADIZIONE creduta sempre dalla Chiesa come ci dimostrano le parole di san Vincenzo?


    Non è un caso che Benedetto XV ebbe a ricordare al Cattolico la sua identità dicendo:
    «Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo»(28); o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina.
    "AD BEATISSIMI APOSTOLORUM" di Papa Benedetto XV




    Ora, seguendo le parole di mons. Bruno Forte: "Progressista fedele ai valori"
    che senso possono mai avere queste parole? [SM=g1740729]

    nella medesima enciclica di Benedetto XV riportata, diceva ancora il Papa:
    "
    Né soltanto desideriamo che i cattolici rifuggano dagli errori dei Modernisti, ma anche dalle tendenze dei medesimi, e dal cosiddetto spirito modernistico; dal quale chi rimane infetto, subito respinge con nausea tutto ciò che sappia di antico, e si fa avido e cercatore di novità in ogni singola cosa, nel modo di parlare delle cose divine, nella celebrazione del sacro culto, nelle istituzioni cattoliche e perfino nell'esercizio privato della pietà. "

    Se uno è "progressista" non può essere fedele ai valori se non attraverso una pruriginosa "novità" tendente a modificare il valore stesso che pretende difendere o esserne fedele..... [SM=g1740733]

    Facciamo alcuni esempi concreti:
    il progressista può restare fedele al valore in quanto tale, per esempio il matrimonio fra l'uomo e la donna verso il quale moltissimi progressisti sono fedeli.... ma egli vi aggiunge UNA NOVITA', uno spirito nuovo, ossia, che pur restando "fedele" a questo valore ve ne aggiunge un altro, il suo, nel quale anche l'unione che non sia fra uomo e donna, può rientrare in un "nuovo valore da aggiungere".... qui si spiega perchè il progressista cattolico è favorevole non tanto al matrimonio omosessuale in quanto tale giacchè non sussiste, ma alla benedizione dei due definendoli persino "coppia"..... il progressista giunge ad un sincretismo tale da non rendersi spesso conto della gravità delle sue opinioni assunte come nuove verità.... Il "tradizionale", invece, assume l'immagine di una persona severa e poco "dolce" perchè sa perfettamente che il matrimonio e l'unione di due persone è possibile solo fra persone con sesso diverso, e di conseguenza non può e non benedice alcuna altra unione che non sia legittimamente inscritta nella legge naturale...

    Il progressista USA I COSIDDETTI VALORI come base, furbamente non li rinnega perchè sa che rinnegandoli non avrebbe più le fondamenta della ragione stessa, per poi aggiungervi ulteriori valori che di fatto vanno a destabilizzare le fondamenta stessa, definendo il tutto come PROGRESSO DELLA FEDE, ma che in verità è progressismo e non progresso, anzi, diventa un REGRESSO perchè mimando le fondamenta della verità sui valori che non possono essere modificati, di fatto si va verso un sincretismo dei valori dove alla fine tutto va bene....

    «Un progressista, dalla mentalità aperta, ma fedelissimo nei valori fondamentali». Così si autodefinisce monsignor Bruno Forte -

    la domanda che viene spontanea è: [SM=g1740733] perchè il progressista avrebbe una mentalità aperta e il tradizionale no? Forse che un san Pio X che denunciò il progressismo e condannò il modernismo non aveva la mentalità aperta?
    la risposta l'abbiamo riportata sopra dalle parole di Benedetto XV.....

    Veniamo al punto "forte" di mons. Bruno Forte, egli
    si sofferma a lungo sull'idea di 'glocal': l'unione tra gli aspetti positivi della globalizzazione, global, e quelli della valorizzazione del territorio, local  e dice: «nessuna realtà al mondo è glocal quanto la Chiesa cattolica».

    [SM=g1740771] Glocalizzazione o glocalismo è un termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman (di origini ebreo-polacche, ma vissuto in Inghilterra) per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali....
    a primo impatto in questa frase è racchiusa una realtà Bimillenaria della Chiesa, la Chiesa infatti parte da una realtà locale (Gerusalemme, il Cenacolo) e da alcuni fatti concreti: Incarnazione di Dio, fondazione della Chiesa, Morte e Risurrezione, Ascensione del Fondatore, da qui la Chiesa partendo da una realtà locale e da fatti reali locali, diventa UNIVERSALE, globale...ma il termine "globalizzazione", come ben sappiamo, viene ritenuto equivoco e contraddittorio nel suo universo semantico usato e abusato; per tale motivo Bauman ha voluto introdurre "glocalizzazione", senza volervi trovare un senso politico di opposizione alla globalizzazione (come ad esempio fanno i no-global).....
    "Un errore frequente è quello di credere che la glocalizzazione ponga l'accento soprattutto sul locale e la globalizzazione sul globale. Non è esatto in quanto la glocalizzazione, pur ponendo idealmente il micro gruppo alla base della sua analisi, è cosciente che esso cresce, si sviluppa, interagisce con gli altri gruppi sempre più complessi fino ad arrivare alle complesse realtà globalizzanti di oggi. Il significato della parola "locale" si espande di fatto inglobando senza confondere realtà locali che rimangono a tutti gli effetti sottosistemi significanti".

    [SM=g1740771] mi fermo e rifletto: ma nel CREDO non diciamo: Credo la Chiesa, una, santa, CATTOLICA(=UNIVERSALE) ed apostolica? che senso ha PIEGARE la Chiesa, la sua cattolicità-universalità all'interno di nuove terminologie che servono solo a confondere i semplici?
    Forse che da "domani" potremmo dire:
    Credo la Chiesa, una, santa, CATTOLICA(=UNIVERSALE), GLOCALIZZATA ed apostolica?

    [SM=g1740733] Di fatto si.... sono nate le Chiese Glocal
     e sono fondate sulla "necessità di chiese spirituali di credenti e non".... parola di "Ecobihum" ... un progetto culturale e sociale che al di là delle buone intenzioni che nessuno gli nega, di fatto esordisce con un progetto devastante per il Cristo stesso e per l'uomo stesso, esso infatti ha per progetto una NUOVA ERA E UN NUOVO UMANESIMO con questo programmino:
    Eco = dimora
    Eco = principio sistemico
    Eco = libertà per la propria genealogia
    Bios = elemento primario della genetica, della microfisica, del digitale
    Hum = un umanesimo dove l’unico centro è l’uomo


    ...dove l'unico centro E' L'UOMO... e Dio? e il Cristo? Chiese senza Cristo dove l'uomo diventa dio di se stesso, il centro di se stesso.... così si possono spiegare anche i devastanti progetti delle nuove chiese svuotate dei simboli cristiani, svuotate da stuatue di Madonne e Santi, svuotate del Tabernacolo, oppure messo in nicchie anonime o in cappelle esterne tanto da non disturbare la centralità che deve essere l'uomo...

    L’Ecobihum impone un nuovo concetto di Bene Comune.
    "Si passa dalla visione novecentesca di una equa distribuzione delle ricchezze, ad una visione atta all’equa diffusione della dignità umana con il superamento di tutto ciò che è insicurezza".
    IMPONE? impone un NUOVO concetto di BENE COMUNE.... ancora una volta la Dottrina Sociale della Chiesa viene offuscata e schiacciata....
    Naturalmente questa Nuova Era NON rinnega affatto Dio... e spiega:
    "L’ecobihum sarà uno di questi strumenti e la fronesofia (l’insieme delle discipline che compongono la saggezza e la sapienza) la palestra di pensiero.
    Dobbiamo dare all’uomo la possibilità di partecipare insieme al Creatore alla creazione conformandola anche a sua immagine e somiglianza, con l’in-nesto ed il co-nesto senza interrompere la propria come l’altrui natura.
    E'’ il “Nuovo Mondo” da noi auspicato dove ogni uomo può diventare Re, e dove ogni creatura può migliorare se stessa senza il senso di chiedere elemosina".....

    L'utopia finisce per sostituire colui che ha detto: IO SONO LA VIA, LA VERITA' E LA VITA, chi vuol venire con me, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua... Cristo è l'unica misura del vero umanesimo, ovviamente questo non significa non trovare nuovi progetti per il futuro dell'uomo, al contrario, come abbiamo dimostrato il PROGRESSO è alla radice della vera maturazione dell'Uomo, ma il punto è: perchè non seguire il progetto di Dio, il progetto del Cristo?

    Infine il concetto di CHIESA SPIRITUALE non ci scandalizza, perchè la Chiesa è anche spirituale... ci impensierisce tuttavia l'interpretazione che se ne vuole dare....
    nel programma Ecobihum la questione viene spiegata con una serie di citazioni, cattoliche, ma con una conclusione contraddittoria che fa capire dove si vuole arrivare:
    Citazioni
    - In una chiesa veramente spirituale sono azzerate le distinzioni di ordine terreno, tanto che possono divenire maestri coloro che a stento altrove avrebbero potuto essere discepoli. (Ambrogio)
    - Ad una chiesa spirituale spetta un compito assoluto: non estinguere mai lo Spirito calato da Dio nel suo popolo. (Lumen Gentium)
    - L’Apostolo Giovanni è talmente convinto dell’importanza dello Spirito, che afferma che una volta ricevuto non avrete più bisogno che alcuno vi ammaestri purché rimaniate continuamente saldi a Lui.
    - Quindi dobbiamo essere consapevoli del fatto che la chiesa spirituale deve trovare il coraggio dell’integrazione della moltitudine, separando il Magistero dalla propria giurisdizione. (Hermann Pottmeyer)
    - Il nuovo ruolo della chiesa è quello di divenire Glocal, molto locale, con un’apertura della propria struttura ai laici, con la salvaguardia di tutte l’esperienze spirituali laiche, a cui si deve aggiungere una continua comunione universale tra tutte le strutture territoriali e apostoliche.
    Sancire il diritto di completa dimora di tutti i laici nella chiesa.

    ****
    l'interpretazione al passo giovanneo è spaventosa... gli si attribuisce  "che una volta ricevuto (lo Spirito Santo) non avrete più bisogno che alcuno vi ammaestri purché rimaniate continuamente saldi a Lui ".... ma questo è assurdo!!
    è come dire che una volta ricevuta la Cresima, io non avrò più bisogno di studiare il Magistero della Chiesa! capite dove si vuole arrivare? Nessun uomo può fare a meno di Colui che ammaestra e Cristo ha scelto LA CHIESA per ammaestrare le genti...Come si può rimanere saldi a "LUI" senza i Sacramenti e tutto il Magistero che ne consegue? è ovvio allora che tale Magistero verrebbe semplicemente SOSTITUITO....

    ed ecco la ciliegina sulla torta: " la chiesa spirituale deve trovare il coraggio dell’integrazione della moltitudine, separando il Magistero dalla propria giurisdizione " ... una Chiesa spirituale fatta di cattolici  E NON, SEPARANDO IL MAGISTERO DALLA PROPRIA COMUNITA' LAVORATIVA... ma poichè l'uomo, la giurisdizione, la chiesa locale e spirituale, la famiglia, ecc... non può essere maestra di se stessa, separando il Magistero non avremo altro che una sostituzione ad esso: l'Ecobihum sarà il nuovo MAESTRO...

    La Chiesa dovrà così AVERE UN NUOVO RUOLO, perchè quello "vecchio" papale, pontificio, della Tradizione, non va più bene ovviamente per una chiesa che contenga una moltitudine di cattolici e NON... deve diventare GLOCAL, aprire la sua struttura ai laici (preti-laici, eliminazione del sacerdozio ministeriale se non l'aveste capito) salvaguardando, si badi bene, non l'esperienza spirituale ECCLESIALE E RELIGIOSA BIMILLENARIA, ma bensì salvare l'esperienza spirituale LAICA, alla quale si deve unire una buona dose di SINCRETISMO per mezzo del quale TUTTE le strutture territoriali "apostoliche", devono avere una COMUNIONE UNIVERSALE....

    Questa è la Chiesa che vuole mons. Bruno Forte?

    [SM=g1740771]

    Un grazie al sito di papalepapale per aver pubblicato in modo inedito l'articolo :

    L’ORACOLO DI CHIETI

    BRUNO FORTE: “IO PROGRESSISTA,

    CREDO LA CHIESA

    UNA,

    GLOCAL

    E APOSTOLICA”

      (Pensiero debole del teologo Forte: come superare il magistero senza darlo a vedere)



    [Modificato da Caterina63 30/09/2011 11:17]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 30/09/2011 12:00

    I Cappuccini in Amazzonia: missionari? No, non vogliono nè evangelizzare nè battezzare. Parola di Frà Paolo

    La Chiesa in Amazzonia ha il volto di Frà Paolo [speriamo non solo sua!n.d.r.]
    da Vatican Insider 16/09/2011

    Cento anni fa i cappuccini sono arrivati in questo spicchio della grande "Foresta" per stare in mezzo alla gente. Dopo un secolo, l’entusiasmo delle origini non si è ancora placato
    di Sante Altizio - Torino

    Assomiglia a Jovanotti. Se invece del saio e sandali, vestisse jeans, t-shirt e scarpe da ginnastica, potrebbe fare la controfigura di Lorenzo Cherubini. Si chiama Paolo Braghini è un frate cappuccino (foto), nato a Varese 35 anni fa, missionario nell’amazzonia brasiliana dal 2005.

    «Mi sono laureato in missiologia con una tesi sugli indios Tikuna. Io mi sono fatto frate per fare il missionario e per andare a vivere in mezzo alle popolazioni indigene».
    Frà Paolo ha sempre avuto gli indios in testa. Indios Tikuna, per la precisione. Vivono nell’Alto Solimoes, nella regione più occidentale dell’Amazzonia, quasi al confine tra Brasile e Perù. Sono alcune decine di migliaia. I frati cappuccini Umbri che sono arrivati in Amazzonia all’inizio del Novecento, hanno iniziato ad andare tra i Tikuna all’inizio degli Anni Trenta. Pagine epiche. Con due protagonisti: Padre Fedele da Alviano e Padre Arsenio Sampalmieri. Non c’è due senza tre. Il terzo cappuccino-tikuna è lui, frà paolo Braghini. Parla la loro lingua, ne conosce usi e costumi.
    «Il nostro compito qui è uno solo: aiutarli a recuperare e mantenere la propria identità. Noi non evangelizziamo i ticuna, noi viviamo in mezzo ai ticuna».
    La comunità indigena più numerosa è a Bèlem do Solimoes, a un giorno di barca dal confine peruviano. A tre da Manaus. Qui ci si muove solo scendendo o risalendo la corrente del Rio Solimoes. In tutta la regione sono circa 30 mila.

    Paolo Braghini, sostenuto dai suoi confratelli, in tra anni di lavora tra i ticuna ha smosso animi sopiti da tempo e contribuito a dare vita a un festival di danza e cultura indigena (il primo del suo genere in Brasile) e alle prime olimpiadi indigene (tiro con l’arco, tiro alla fune, gara di canoa, braccio di ferro, gara di abbattimento degli alberi), che hanno catturato l’attenzione del gigante della tv brasiliana Globo, che ha mandato un inviato della redazione sportiva a seguire quotidianamente le gare.
    Belèm do Solimoes è diventata la culla della rinascita indigena di tutta l’amazzonia orientale. E frà Paolo Braghini ne è il principale artefice.
    Ora che è stato anche nominato vice-provinciale, quindi responsabile di tutta l’attività pastorale della missione, ha deciso di allargare le frontiere e di spostare ancora più all’interno della foresta, il raggio d’azione del suo lavoro.
    «La nuova frontiera si chiama Javarì». E quando lo dici gli brillano gli occhi. Non saranno le Colonne d’Ercole, ma poco ci manca. Il Rio Javari, affluente meridionale del Rio Solimoes, che percorre 1100 chilometri tra Brasile e Perù, si perde letteralmente nella foresta. Foresta inesplorata, o quasi, dall’uomo bianco.
    «E’ terra indigena, punto. Lì nessun altro aveva praticamente messo piede. Fino al luglio scorso». Già, nel luglio scorso, frei Paolo ha vestito i panni dell’esploratore e insieme a una mezza dozzina di studiosi brasiliani è andato a prendere contatto con le popolazioni indigene di quell’area.

    «Vogliamo aprire una missione nello Javarì, fare ciò che hanno fatto i cappuccini un secolo fa qui nell’Alto Solimoes. Camminare accanto agli indios, condividerne la quotidianità. Dare una mano se e quando possibile».

    La piccola spedizione ha incontrato una delegazione di anziani indigeni. Si tratta di gruppi che di fatto vivono da sempre isolati, individuati da poco dalla FUNAI, l’agenzia governativa che si occupa della tutela del mondo indigeno. L’obiettivo è monitorare la situazione. Comprendere le dimensioni del fenomeno di isolamento.
    Inutile chiedere a Paolo Braghini quali sono i suoi progetti. «Il mio sogno, lo confesso, è andare laggiù e vivere in mezzo a loro».

    *************************

    «Il mio sogno, lo confesso, è andare laggiù e vivere in mezzo a loro».

    [SM=g1740733] senza dubbio che tale "sogno" sarebbe anche quello del Cristo salvo il fatto che Gesù vi desidera andarvi per un altro motivo: perchè l'altro conosca il vero Dio, si converta, si faccia BATTEZZARE e viva di Lui.... è fuori dubbio che pertanto questo "sogno" del frate è l'ennesimo INGANNO, è infatti il SUO sogno e non quello del Cristo, neppure quello di Francesco, il suo fondatore...che sognò di andare in Terra Santa dal Sultano, e vi andò, ma per tentare di convertirlo anche se non vi riuscì... ed infatti se ne ritornò a casa sua...




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 03/10/2011 10:04
    [SM=g1740733]SPENDIAMO DUE PAROLE PER SPIEGARE UN'ASPETTO MOLTO IMPORTANTE:

    CHE DIFFERENZA C'E' FRA LA TEOLOGIA PROGRESSISTA E LA TEOLOGIA DELLA TRADIZIONE?

    Rispondiamo con un piccolo esempio concreto.....

    ho trovato l’ultima omelia di mons. BrunoForte, di questo settembre, sull’educazione e la pastorale…la trovate su Zenit , di per se la predica non è una eresia, dice cose molte corrette, ma dove sta l’inghippo? per esempio in questa affermazione:

    L’educazione avviene attraverso la condivisione, la comprensione e il dialogo: l’essere genitori nella relazione ai figli, l’insegnamento vissuto nel porsi accanto e di fronte a chi apprende, la testimonianza resa a chi vorremmo condurre all’incontro con Cristo, esigono compagnia della vita e della parola… Il fallimento di un’educazione solo autoritaria, che neghi il valore del dialogo e dell’ascolto dell’altro, si dimostra da sé. Sarebbe parimenti sbagliato, però, pensare che l’educazione possa realizzarsi solo fra pari: l’egualitarismo educativo ha combinato disastri.

    **********
    tutto giusto per carità… ma manca una dimensione di questo rapporto e progetto educativo: LA PREGHIERA, I SACRAMENTI… attraverso i quali impariamo che Dio non è soltanto un educatore, un MORALISTA… MA E’ UN DIO DA ADORARE e che nella dimensione della Preghiera e dei Sacramenti è il vero cuore EDUCATIVO PER UN CRISTIANO…dove si imapara L’UMILTA’, la pazienza per l’attesa di un “sì” da parte di Dio alle nostre esigenze di vita, l’umiliazione dei tanti “no” che ci svelano però il progetto che Dio ha su di noi quando pretendiamo tutti dei “si”….
    La Preghiera IN FAMIGLIA, il Rosario in Famiglia, I SILENZI da imparare perchè non è vero che solo dialogando si cresce
    [SM=g1740733]

    C’è una significativa storiella di sant’Antonio: una donna disperata dei maltrattamenti del marito e del suo fare sgorbutico, va dal santo supplicando di fare qualcosa… il Santo le dice:
    prendi quest’acqua, ed ogni volta che tuo marito comincerà la discussione, tu bevine un sorso, ma non ingoiarla…tienila saldamente in bocca e MENTALMENTE PREGA….poi fra quelche settimana ritorna da me.
    Così fa la donna, osservando scrupolosamente le indicazioni del santo.
    Tornando da lui è tutta raggiante: padre mio, quale acqua santa m’avete dato! è davvero prodigiosa! Mio marito non è più violento, è diventato gentile, premuroso, ora ci intendiamo….
    e il Santo:
    Figliola, non è l’acqua ad essere prodigiosa, MA E’ STATO IL TUO SILENZIO ORANTE ad aiutare tuo marito a comprendere che le discussioni non spesso servono a risolvere i problemi…
    Tu con l’acqua in bocca NON potevi parlare e non potevi rispondere agli insulti, ma invece di vendicarti o rispondere a tono PREGAVI MENTALMENTE e così il Signore stesso poteva agire attraverso il tuo silenzio!

    E così la predica di Forte va forte, senza dubbio, ma resta DEBOLE sul piano della CONVERSIONE…. ciò che mancano non sono le parole… piuttosto continua a MANCARE QUELLA PAROLA UNICA CHE DEVE PRENDERE VITA IN NOI e deve convertirci… in questa teologia progressista, ammantata di tante cose belle, di fatto manca di quella più necessaria: la dimensione SACRA, il silenzio, l’adorazione, LE VIRTU’, il MORIRE A SE STESSI mentre qui viene incitato l’uomo a non morire mai a se stesso, al contrario, a trovare nel dialogo LE PROPRIE RAGIONI D’ESSERE… e in questo modo continueremo ad avere fallimenti su fallimenti: migliaia di parole, ma pochi convertiti!

    ...che differenza c'è, dunque, fra la Teologia della Tradizione e la teologia progressista? [SM=g1740732]

    A quando abbiamo detto fino a qui, quale prova della differenza, possiamo dire che nella Teologia della Tradizione l'incontro fra Dio e l'uomo, sulla - possiamo dire - cartina tornasole dell'Incarnazione che ci riconduce sui sentieri dei Discepoli di Emmaus, è una reciproca esperienza, una reciproca "penetrazione", una trasformazione ontologica (ossia trasformazione, discorso dell'essere); avviene una conversione, un moto continuo che sfocia in Dio, un moto che Dio pur "muovendo ed azionando per primo" attende da Maria il "sì" della compiutezza, affinchè tale moto si attivi, e da questo "sì" dipenderà il sì o il no di tutti gli uomini con tutto ciò che esso comporta.

    Nella teologia progressista, al contrario, pur partendo dal "sì" di Maria, l'incontro fra l'uomo e Dio diventa sentimento e sentimentale, superficiale e mediocre, non chiede all'uomo il massimo dello sforzo, ma il minimo, non chiede necessariamente una conversione, ma una sorta di stabilimento di un "sì-ma" racchiuso nelle capacità esclusivamente umane senza la necessità di dottrine.. (dialogare, discutere, METTERSI SEMPRE AL CENTRO per difendere le proprie opinioni)... [SM=g1740732]

    La Teologia della Tradizione non viene citata dai teologi progressisti quale valida dottrina per affrontare le tematiche odierne, gli scritti dei Santi, dei Padri e dei Dottori della Chiesa, vengono re-interpretati a seconda della situazione del momento, del tempo e delle mode, e vi è una ostinazione all'archeologismo cristiano denunciato da Pio XII, un modo difettoso di ritornare alle radici cancellando però lo sviluppo dottrinale e teologico di certi periodi della Chiesa, specialmente del Medioevo e dei tempi di san Tommaso d'Aquino e dei suoi scritti, preferendo una re-interpretazione della Bibbia libera da vincoli dottrinali e dogmatici...

    [SM=g1740771]

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    [SM=g1740733] 
    Un cattolico ha il diritto di rimanere in silenzio di fronte a certi scandali?
    Secondo la teologia cattolica, no! piuttosto ha il dovere di parlare...

    La stessa teologia cattolica ce lo ricorda.

    1 – San Paolo si permette di riprendere pubblicamente San Pietro che per un comportamento ambiguo (non si tratta neanche di dottrina ambigua!) rischiava di rimettere in questione l’insegnamento del Concilio di Gerusalemme sulla salvezza dei pagani (le pratiche della legge mosaica erano abrogate). «Mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto» (Gal. 2, 11), così fece San Paolo con Pietro, il Papa.
    2 – San Tommaso commenta così: «Se vi fosse pericolo per la fede, i superiori dovrebbero essere ripresi dagli inferiori, anche in pubblico. Così Paolo, che era sottomesso a Pietro, lo riprese per questo motivo» (II II 33, a. 4). E altrove (II II 104 a. 5), parlando dell’obbedienza: «È detto negli Atti (6, 29): «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini». Ma talvolta gli ordini dei superiori sono contrari a quelli di Dio. Dunque non bisogna obbedire loro in tutto».
    3 – In che modo l’inferiore potrà concludere che certi insegnamenti, certe azioni dei superiori sono contrari a quelli di Dio o vanno a discapito della Chiesa? Esprimendo non le proprie opinioni, o personali giudizi sulle persone, ma argomentando sempre le risposte, avanzando con umiltà, carità e prudenza usando, per rispondere e smascherare la menzogna,  il Catechismo della Chiesa, il Magistero bimillenario della Chiesa e di tutti i Pontefici legittimamente succeduti, in una parola: la santa Tradizione viva della Chiesa.



    [Modificato da Caterina63 10/10/2011 18:37]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 03/10/2011 23:40

    CERTI PRETI

    SONO CAPACI DI GUASTARE PERSINO…

    GLI ATEI

     

    [Non è un articolo Papalepapale ufficiale, è un prestito dalla mia rubrica La Cuccia del Mastino]

    Don Franco Lanzolla: l'arciprete della cattedrale di Bari, fissato con le danze pagane

    Danze macabre e fiat 500 sull’altare, a Bari. Toninobellismo nella Chiesa di Puglia. L’isola… di don F. In diocesi induista di Bari. Il seminario catto-induista barese è all’agonia. Ma andate a divertirvi piuttosto, e fate figli. La liceità dell’anticlericalismo.

     

     

     

    Dunque riflettevo su un punto, un paradosso se vogliamo. Talora mi capita di dire in giro che sono “papista e anticlericale”. E in fondo è vero: do retta solo a quel che dice e scrive il papa. E obbedisco a prescindere. Mi chiedevo perciò sino a che punto fosse lecito essere “anticlericali” pur restando cattolici fedeli.

    Mi sono anche dato una risposta.

     

     

     

    di Antonio Margheriti Mastino

     

     

     

    DANZE MACABRE E FIAT 500 SULL’ALTARE

    Settembre. Danza induista nella cattedrale di Bari. "Regista", l'arciprete; "produttore" l'arcivescovo

    Stavo pochi minuti fa parlando su facebook con amici. Avevo postato un video, girato da Francesco Colafemmina nella cattedrale di Bari.

    L’autore così lo presenta:

    Quando vai a messa, dopo aver sentito il sacerdote versare fiumi di parole sulla vite e i tralci, sullo Spirito Santo che dovrebbe respirare in noi, su noi che dovremmo lasciarci potare da Cristo come la vite, etc. etc. etc., dopo aver sentito tutto ciò con grande spirito di sopportazione per la propagazione costante di insulse verbosità, non ti aspetti di dover vedere in pochi minuti la cattedrale trasformata nel teatro di danze indiane, eseguite in occasione dell’anniversario della nascita del Mahatma Gandhi, il “Gandhi Jayanthi”! Questo mi è accaduto questa sera in Cattedrale, a Bari, e ho deciso pertanto di filmare lo “spettacolo” per voi… […] Su quello stesso presbiterio dal quale il sacerdote tuonava in merito alla necessità per il cristiano di assumersi le proprie responsabilità comunitarie, ecco che una coreografa italiana esperta di danze indiane, balla e si agita al ritmo del sitar. C’è chi ha il coraggio di affermare che queste danze sono intimamente legate alla preghiera e la stessa danzatrice lo spiega mostrando il significato dei gesti che compie con le mani. Sì, lo spiega molto bene, e infatti sul libretto distribuito dalla Diocesi troviamo anche le seguenti indicazioni: “per rappresentare la Madre del Redentore si usa lo stesso gesto che gli indù usano per indicare una divinità femminile.” Perbacco! Povera Santa Vergine, parificata alle divinità indù proprio nel tempio che custodisce una sua venerata icona!

    I sacerdoti che hanno organizzato questa pagliacciata davanti all’altare, il Vescovo di Bari che l’ha autorizzata, dovrebbero piuttosto rileggere con maggiore attenzione il Vangelo di oggi: “Ideo dico vobis, quia auferetur a vobis regnum Dei et dabitur genti facienti fructus eius”. Come si può pensare di far fruttificare il regno di Dio introducendo simili iniziative nella casa di Dio?

    E per concludere in bellezza, vuoi che manchi una maikbongiornata?…un quiz? Eccovi accontentati:

    E così le chiacchiere di certi preti se le porta il vento, mentre in Cattedrale va in scena un’ulteriore intrusione mondana… Seguita, peraltro, da una lotteria per l’estrazione di una Fiat Panda! Il tutto per chiudere in bellezza la manifestazione “Notti Sacre”…. Che manica di patetici pagliacci!”.

    Manco a dire che era la prima volta: lo stesso arcivescovo nella stessa cattedrale, prima di questa ennesima idiozia, la danza indiana e induista, aveva in giugno approvato già la danza pagana del “solstizio d’estate”. Promotore sempre lui, una specie di prete, arciprete della cattedrale per la precisione. Un certo don Franco Lanzolla, che si è fissato con le cose orientali e le ballerine esotiche, e la domanda è cosa gli impedisce mai di andare a fare il beduino o il bramino con gli aghi puntati sul deretano in quel di Nuova Delhi. Può essere che gli animisti o cosa diavolo sono, non passino assegni mensili sicuri, specie se fai come ti pare. Invece, se fai il prete cattolico (o fai finta), non solo hai trovato un lavoro sicuro, non solo senza lavorare ti passano un assegno mensile, non solo puoi dire tutto quello che ti pare, ma puoi anche fare tutto quel che ti pare e piace, anche usare la tua parrocchia per esercitare i tuoi hobby esotici. Tanto è tutto pagato: dalla CEI.

     

     

    TONINOBELLISMO NELLA CHIESA DI PUGLIA

    Giugno. Danza pagana nella cattedrale di Bari. Scenografo l'arciprete; regista l'arcivescovo

    Niente di nuovo sotto il sole. Né mi meraviglio. Del resto, so per esperienza diretta che ovunque le messe in Puglia sono ridotte a intrattenimento, qualche volta in puro varietà. Il chiasso e i battimano si sprecano: risparmiando, per compensare, sul momento della consacrazione dove è quasi del tutto caduto in disuso il vizio di inginocchiarsi. Non mi meraviglio, dicevo: visto lo scarsissimo livello anzitutto culturale, e poi anche di fede, del clero; clero che sembra ignorare ogni basilare concetto di ecclesiologia: in pratica non sanno più cosa è la Chiesa, a cosa serve, quali sono i suoi significati escatologici. Va da sé che non sappiano più neppure cosa sia davvero e nel profondo lo stato sacerdotale; ma bisogna pure ammettere che in questi ultimi anni di sbandieramenti del pessimo Tonino Bello (ecco che un cattivo esempio di pastore, elevato a modello e imitato, centuplica i cattivi esempi), nei seminari nessuno glielo ha più insegnato.

    I preti in Puglia navigano a vista, si regolano in base al telegiornale: lo vedono, si fanno una idea dei fatti, in genere ricalcata su quella del tuttologo opinionista ingaggiato dai talk-show, politicamente corretto (che è quanto più di anticristiano vi sia, più del comunismo stesso); aggiungici qualche reminescenza di sociologia, una spolverata di trombonismo mondialista piagnone e buonista, ed ecco bella e pronta ‘na predica di 35 minuti buoni. Insulsa persino come sociologia: è telesociologia generalista. E stracciona. Con la stessa dignità dei pensierini baci-perugina dello psicologo da mauriziocostanzosciò Morelli.

     

     

    L’ISOLA… FELICE DI DON F., IN DIOCESI INDUISTA (A BARI)

    L'arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci. Applaude. All'ennesima picconata autodemolitoria. Poche settimane prima si era preoccupato siamai "la celebrazione della messa in latino laceri la comunità cristiana". Un pastore equilibrato e imparziale, come vedete.

    Dicevo del mio facebook. Dove, con la massima serenità, avevo definito il vescovo di Bari, esagerando (per mantenere viva l’attenzione dei miei amici online, amanti di cose forti): “Il satrapo della diocesi che proibisce le messe in rito antico nella sua cattedrale, dove poi autorizza i balli indiani”. E quanno che ce vo’ ce vo’! Inutile ricordare che è lo stesso episcopo che or sono due mesi, aprì una questione sui giornali nella quale col cuore pastorale lacerato (sì, ok, crediamoci) si domandava se per caso “la messa in latino non avrebbe creato fratture nella comunità cristiana”. La messa antica, crea fratture, le danze induiste pro-Gandhi sull’altare, quelle uniscono. Non fu per un caso che Cristo disse: “Chi crede che io sia venuto per unire, si sbaglia: io sono venuto per dividere”. E’ quella evangelica spada di giustizia che cade dal cielo sulla terra, e spacca in due “le pietre e gli uomini”. E’ lo scandalo tremendo della croce, la follia della croce. Che è sempre la storia di quel bambino nazareno, che, presentato al Tempio, il vecchio Simeone lo guarda attento e poi sgomento, e ammette: “Questo bambino qui, è segno di contraddizione!”. E aggiunge: “E ora Iddio può anche chiudere per sempre i miei occhi”. Aveva visto tutto!

    Una mia amica, del barese, commenta:

    Proprio oggi l’arcivescovo di Bari ha detto messa nella nostra parrocchia in quanto era in visita pastorale…la messa è stata cantata, e con canti corali in latino. Direi che ha apprezzato. Poi ci ha fatto la paternale perchè noi siamo troppo isola felice e che dovremmo partecipare di più agli incontri diocesani (!!!!!)… “perchè è solo così che ci possiamo definire Chiesa”…il nostro parroco gli ha risposto che secondo Ratzinger il problema odierno non è essere Chiesa ma è la mancanza ormai di fede nella Chiesa.

    Questo prete mi piace, sembra quasi uno in esilio dentro la Puglia passata dall’ideologia toninobellista a quella del suo allievo prediletto, la vendoliana, che riscuote molto consenso nel clero indigeno. Chiedo, e mi informano che questo prete si chiama don F., (personaggio schivo, mi si raccomanda di non fare il nome). Un nome che suona giocondo. Un nome, un destino.

    Naturalmente, spiega l’amica, qui pure confermando ciò che immaginavo: “E’ un prete atipico nella diocesi di Bari…che molti altri preti non riescono a digerire”. E’ chiaro. Non capiscono di cosa si occupi, che significano tutte quelle cose che dice e fa (cose da vero prete) e ciò che non si capisce appare sempre minaccioso. E poi c’è il solito discorso del conformismo clericale: conformi nell’obbedienza, o tutti conformi nella disobbedienza; o tutti conformi nell’ortodossia o tutti conformi nell’eterodossia. Un classico. So’ preti!

    Per la verità, l’amica aggiunge un altro particolare, più inquietante questa volta. Veramente, dice, non è che è solo il prete, don F., ad essere “atipico”: “Infatti, pure noi siamo una parrocchia atipica: siamo tutti fuggittivi di altre parrocchie della diocesi!”. Ah ecco: uno pensa, ringraziando san Nicola, che c’è un fenomeno autoctono e spontaneo di comunità parrocchiale immune da autopersecuzione e autodemolizione, e poi scopri che quella altro non è che una rimpatriata di patrioti del cattolicesimo, che nelle loro parrocchie (tutte le altre) si sentivano stranieri. E hanno chiesto asilo religioso a quest’isola… di  “felice”, di don F..

     

     

    IL SEMINARIO CATTO-INDUISTA DI BARI E’ ALL’AGONIA

    Il "messalino" novus ordo della diocesi di Bari

    Quindi, sempre l’amica, tentando di dire comunque una parola buona sull’arcivescovo Cacucci che ha approvato quella danza macabra dentro la sua cattedrale, involontariamente risponde a tutti i nostri dubbi: quante legioni ha il papa?, chiedeva Stalin; in questo caso, quanti seminaristi ha il vescovo delle danze indiane?

    Il vescovo Cacucci non è una cattiva persona…anzi. Ma penso che sia veramente difficile governare quel guazzabuglio che è diventata la diocesi di Bari-Bitonto, dove il rettore del seminario sforna ormai pochissimi preti (quei pochi glieli ha forniti la nostra parrocchia), e che è amico di Vendola, così si dice”.

    Tralasciamo l’amicizia canonica del rettore con Vendola: se un prete in Puglia è contro Vendola, è contro Tonino Bello, se è contro Bello è contro la “pace”, se è contro la “pace”, non solo è per la guerra ma è pure contro san Francesco, ed essendo contro san Francesco, visto che padre Pio era figlio di san Francesco, è contro padre Pio, ed essendo contro padre Pio è contro San Giovanni Rotondo, ed essendo contro San Giovanni Rotondo è pure contro l’Ospedale, ed essendo contro tutte queste cose assieme è contro l’economia locale, capace pure contro i turisti. Ergo: è un sabotatore, e un fascista! Bene, tralasciamo tutto questo. E guardiamo a un solo dato: il seminario della diocesi dove si balla la danza induista (pure taroccata, oltretutto) per celebrare il natale di Gandhi (fa parte del repertorio da circo equestre di Tonino Bello), quel seminario lì è ormai prossimo a svuotarsi. Dice: qual è la novità? Nessuna, ordinaria bancarotta.

     

     

    MA ANDATE A DIVERTIRVI PIUTTOSTO, E FATE FIGLI

    Il "mandante" di don Franco Lanzolla: don Tonino Bello. Questa è la biografia encomiastica e populistica che gli ha dedicato

    Riflettiamo: uno che  forse ha una particolare sensibilità religiosa, entra quel giorno in cattedrale a Bari, e vede sull’altare una donna scosciata che balla cose indù e celebra come una divinità Gandhi. Ora, questo ragazzo dalla particolare sensibilità religiosa, il minuto dopo che fa? Entra in seminario? Perchè mai dovrebbe farlo, se non è mezzo spostato?

    Ma che ci vai a fare, fesso, in seminario? Esci, prendi aria, vai a donne, cercate ‘na ragazza, vai in discoteca, vai al mare e divertiti… salamone che non sei altro! Se devi sacrificare tutta la tua vita a una cosa, che almeno sia una cosa seria, radicale, che il gioco ne valga la candela. Altrimenti è meglio, come direbbe san Paolo, che ti diverti, ti cerchi una donna e fai figli, un po’ per piacer tuo un po’ per dare figli a Dio. Non vale la pena rinunciare a tutto questo, non per entrare in seminario. Non è una cosa seria. Rischi di diventare un intrattenitore come tutti gli altri, senza avere il talento dei professionisti del genere, oltretutto. Ma che senso dell’onore hai se ti riduci vestito strano a fare il pagliaccio sul pulpito? Non ti vergogni? E’ meglio che ti cerchi un lavoro serio.

    E giustamente, i ragazzi della diocesi di Bari-Bitonto, che non sono sciocchi, disertano sempre più il seminario. E’ questo il punto. Il seminario è semideserto. E con un po’ di pazienza chiuderà del tutto negli anni a venire.

    Ma vi racconto tutto questo, perchè poi l’amica ha detto una cosa che è più emblematica delle altre. Certo, sì, quando amareggiata mi ha riferito che il seminario barese “si svuota”, io le ho chiesto perfido: “qual è la cattiva notizia?”.

    Vi riporto direttamente il dialogo:

    LEI: Con la carenza di preti che c’è in giro i seminari vuoti sono sicuramente una cattiva notizia!

    IO: Bah, sarà una cattiva notizia… prendiamola per buona. Ma non ci credo.

    LEI: Nella mia parrocchia abbiamo sfornato al momento tre sacerdoti (uno è cappellano militare e adesso è in Afghanistan) altri 4 sono in seminario…

    IO: Ce ne sta uno cattolico fra questi?

    LEI: Tutti cattolici doc!

    IO: Ma che fate, li ipnotizzate?

    LEI: E’ tutto merito di don F., parla di Verità e di Fede, non di ecclesiologia.

    IO: Davvero un prete “atipico”. Allora vedi che ho ragione io? Se i preti tornano alla radicalità della fede le vocazioni arrivano. Se mettono una indiana raccattata per strada a ballare sull’altare e fare esibizione di sincretismo (confusione fra induismo e cattolicesimo), idolatria (culto di Gandhi) cretineria (confusione della divina liturgia con il circo equestre), il seminario chiude. Grazie a Dio!

    LEI: Sicuramente sì …di questo penso sia convinto anche don F., che è un ratzingeriano di ferro. Ma anche dove non arrivano nuove vocazioni la radicalità della fede fa migliorare anche i parrocchiani…cioè noi scappati da altre parrocchie!!

    Già, nulla di nuovo sotto il sole. Non servono dunque altre parole: le quasi uniche vocazioni di quel preagonico seminario sul quale regna Cacucci e il suo rettore, vengono dall’unica parrocchia che alle mode toninobelliste e vendoliane non ha ceduto. Dall’unica parrocchia che vive radicalmente la follia della croce, il cattolicesimo. Vendola, allievo di Bello, come vedete, preti non ne fa. E a conti fatti, è questo il primo miracolo di Tonino Bello: averci risparmiato ulteriori proseliti. Servono altre parole? Se non vi ho convinto vuol dire che siete allergici alla più trascurata delle virtù cristiane: il realismo.

     

     

    LA LICEITÀ DELL’ANTICLERICALISMO

    Manco a dirlo: l'ospite d'onore delle sagre liturgiche della diocesi di Bari: il falso monaco e vero eretico, Enzo Bianchi. DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE. MA ANCHE DAI LORO OSPITI

    Salto di palo in frasca, ma mica tanto. Riflettevo pure su un’altra cosa. Nella stessa discussione, un amico del barese, sentendo di queste ultimissime, ha argomentato sinteticamente: “Certi preti sono capaci di guastare persino gli atei”. Ma come fai a no ride’?

    In realtà si ride dell’eccezione, non della regola. E noi che siamo uomini di chiesa e di chiese ne conosciamo tante, con annessi preti, sappiamo bene essere regola e non eccezione tutto questo.

    Dunque riflettevo su un punto, un paradosso se vogliamo. Talora mi capita di dire in giro che sono “papista e anticlericale”. E in fondo è vero: do retta solo a quel che dice e scrive il papa. E obbedisco a prescindere. Mi chiedevo perciò sino a che punto fosse lecito essere “anticlericali” pur restando cattolici fedeli.

    Mi sono anche dato una risposta.

    NON E’ LECITO: Quando l’anticlericalismo si basa sui peccati individuali del prete o del vescovo; peccati ai quali tutti siamo soggetti e solo a Dio spetta giudicare.

    E’ LECITO: Quando il peccato viene ostentato e rivendicato come “diritto” dal peccatore consacrato, anzi come “non-peccato”; quando questi dirottano dalla retta dottrina o compiono abusi e sacrilegi, onde, a norma del diritto canonico, vanno denunciati alla gerarchia competente. Infine, quando preti e vescovi non solo disobbediscono alla legge canonica, ma si contrappongono al papa: in tal caso non vi è più magistero, da parte loro non del papa. Ma solo scandalo. E allora, in questo caso, è dovere e obbligo morale del fedele e dei preti rimasti fedeli, disobbedire e negare autorità a chi per primo l’ha negata al papa, sia parroco o vescovo. E dirglielo anche in faccia.

    E’ correzione fraterna. E in ogni caso, il prete o il vescovo disobbediente, a sua volta disobbedito dal suo gregge, può sempre consolarsi con le interviste ai giornali laicisti, gli inviti ai talk-show a fare i tuttologi, i convegni pagati in cui può demolire minimo due dogmi per volta, i best-seller. Si campa, persino meglio, a consacrarsi alla nuova religione del “secondo me”. Tanto lo sappiamo, come scriveva Flaubert, “è Dio che ha creato il mondo, ma è il diavolo che lo porta avanti”. Il fatto è che poi si muore: e il cielo è solo di Dio.






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    [SM=g1740729]

    …. Don Franco Lanzolla crede di essere una star… la posa sulla montagna lo ritrae molto…. vabbè dai mi autocensuro :-)

    ah! questa LUSSURIA oggi mascherata dalla falsa LIBERTA’ E DALLA FALSA CREATIVITA’….
    Il rapporto tra lussuria e immaginazione diviene ancora più evidente qualora si prendano in considerazione i disturbi che spesso provengono da una eccessiva creatività delle personali capacità nell’attivismo mondano….

    Un’articolo di Civiltà Cattolica spiega:

    Nell’uomo, l’organo sessuale per eccellenza è il cervello, il suo universo culturale; in tale sede trovano la loro radice i comportamenti devastanti della lussuria che non sono racchiusi esclusivamente nel sesso, una cosa d’altronde ben nota alla tradizione filosofica: “L’appetito che gli uomini chiamano concupiscenza, e la frustrazione che ad esso è relativa, è un piacere sensuale, ma non solo quello (…), ma un piacere o gioia della mente consistente nell’immaginazione del potere del piacere, che essi posseggono in tanta misura”.

    La lussuria è dunque il vizio della quantità, spesso smodata, non del piacere sessuale, della compulsione, non dell’amore, dell’atto, non del corpo, non del sesso, ma molto più di arrivare a fare ciò che piace; (…) Ci può essere certamente una passione sessuale irrefrenabile, ma questo sarà semmai proprio di una caduta occasionale, non del ripetersi continuo di un atto, fino a diventare vizio, come nella lussuria la quale esprime il proprio piacere usando ciò che può, anche del piacere a se stesso, soddisfazione delle proprie idee in modo smodato, appagamento delle proprie idee. Si potrà avvertire la passione per una persona, ma in tal caso essa avrà piuttosto i connotati dell’innamoramento e dell’interesse personale il che, di nuovo, è ben diverso dalla “collezione anonima” del lussurioso, che cerca il piacere, non necessariamente in una specifica persona, per altro subito dimenticata, ma soprattutto partendo attraverso un personale progetto idealistico, che lo possa far sentire appagato.
    Il fatto che la lussuria non cessi con l’arrivo della “pace dei sensi”, senile o virtuale come nelle dipendenze da internet, mostra il carattere spirituale di questo vizio, vizio intellettuale, di fantasia e di immaginazione perché malato di assolutismo idealistico, malato di attivsmo, malato di “superuomo”, malato nel proprio “ego”, ma un malato dipendente dalla completa assenza di vita spirituale, è malato perchè crede solo in se stesso, fino a credersi un dio, credendosi potente scatena la lussuria, scatena il senso del piacere in ogni atto.
    È una conseguenza della cultura detta del narcisismo, in cui l’essere umano vorrebbe mettersi al posto di Dio, credendosi il centro dell’universo: “I rapporti personali sono diventati sempre più rischiosi, perché non offrono più alcuna garanzia di stabilità. Uomini e donne avanzano reciprocamente richieste esagerate e se a tali richieste non corrisponde una risposta adeguata si abbandonano a sentimenti irrazionali che possono scadere nell’odio e nell’astio, oppure nel suo contrario attraverso un fare delle attività che possano uscire dall’ordinario, dalle regole, dalle responsabilità, purchè ci si senta appagati e soddisfatti di aver fatto ciò che piace”.

    Forse è anche per questo che Gesù disse AI SUOI: prostitute e pubblicani VI PRECEDERANNO NEL REGNO DEI CIELI? [SM=g1740733]
    meditiamo cari Sacerdoti, meditiamo!

     

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    Vi proponiamo anche l'approfondimento di Francesco Colafemmina dal suo Blog dove intita il responsabile dei fatti a discutere pacatamente sulla gravità dell'evento... [SM=g1740733]

     


     


     

    [Modificato da Caterina63 05/10/2011 22:48]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 07/10/2011 10:34
    [SM=g1740733]Cari vescovi.... i falsi maestri sono proprio quelli che dalla vostra cattedra, INVIATI DA PIETRO, GLI REMATE CONTRO.....

    CRITICARE IL PAPA : ORA TOCCA A MONS.DOMENICO MOGAVERO. AVANTI IL PROSSIMO, C'E' POSTO PER TUTTI !



    Il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero ( foto ) in un libro critica la liberalizzazione della messa antica e dice: «Da Benedetto XVI eccessiva condiscendenza con i lefebvriani»




    ANDREA TORNIELLI
    Città del Vaticano

    Alcune decisioni di Papa Benedetto, come la liberalizzazione della messa antica e la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani generano «perplessità e turbamenti». Lo afferma il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, già sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, in un libro-intervista che porta la prefazione del cardinale Dionigi Tettamanzi e che arriva in questi giorni in libreria.

    Il volume, intitolato La Chiesa che non tace, è dialogo che il vescovo ha scritto con il vaticanista de La Stampa Giacomo Galeazzi (BUR, pp. 208, 14 euro). «Non mi nascondo – dice Mogavero – che in questi anni si siano verificate anche situazioni di imbarazzo a seguito di pronunciamenti del Papa, addebitabili, secondo me, a qualche distrazione dell’entourage che non ha saputo accompagnare con la dovuta accortezza certi passaggi piuttosto impegnativi dei suoi insegnamenti».

    Uno di questi, per il vescovo di Mazara, è il motu proprio Summorum Pontificum. «Qualche scelta papale – afferma – l’ho percepita come una poco comprensibile marcia indietro rispetto alle indicazioni maturate negli anni precedenti come frutto del Concilio Vaticano II. Osservo che negli ultimi tempi si sono registrate con sempre maggiore insistenza e petulanza all’interno della Chiesa orientamenti neotradizionalisti che tentano di svuotare di senso taluni punti nodali della riforma liturgica… Il ripristino del messale latino di san Pio V non è risultato coerente con il cammino fatto, sia perché è apparso come una concessione immotivata ai contestatori della riforma conciliare, sia perché rischia di creare tensioni e divisioni all’interno della Chiesa, delle quali non si avverte alcun bisogno».

    Il vescovo cita poi un secondo «momento di perplessità», riferito a quando «Benedetto XVI ha tentato di far rientrare lo scisma dei lefebvriani». Papa Ratzinger «ha tentato in tutti i modi di risanare quella ferita alla comunione che, sicuramente, gli pesava tantissimo. Ha ritenuto, perciò, di derogare alla disciplina ecclesiastica che impone il pentimento e l’abbandono della condotta contraria alla normativa canonica, previamente all’assoluzione della pena».

    «Nel tentativo di vincere le resistenze che si opponevano alla riconciliazione – afferma Mogavero nel libro-intervista – Benedetto XVI, con gesto di buona volontà, il 24 gennaio 2009 ha tolto la scomunica ai seguaci di Lefebvre, frattanto deceduto nel 1991. Guardando i fatti dalla prospettiva canonistica e convinto del valore pedagogico del diritto penale canonico, ho ritenuto eccessiva la condiscendenza del Papa. L’epilogo della vicenda, che non ha portato affatto al pentimento e alla riconciliazione dei seguaci di Lefebvre, ha finito con il vanificare il gesto di buona volontà del Papa e confermare, purtroppo, le mie perplessità».

    Il vescovo di Mazara spiega che «non è in discussione» da parte sia l’accettazione delle decisioni papali, ma aggiunge: «Mi piacerebbe se si potesse avere un confronto più diretto e più franco con il Papa, considerato che in quanto vescovi siamo tutti successori degli apostoli e che con lui portiamo insieme la sollecitudine verso tutte le Chiese».

    ( A.C.)
    Sito di riferimento : http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/benedetto-xvi-benedict-xvi-benedicto-xvi-8730/



    ***************************

    VERGOGNA!! [SM=g1740729]

    Embarassed  mi consolano due aspetti della vicenda:  
     
    1) finalmente escono allo scoperto.... almeno li conosci...  
     
    2) usciti allo scoperto, qualunque Vescovo remasse contro il Papa, perde il diritto di essere ascoltato ed obbedito dai fedeli....  
     
    infatti, riporta queste parole il documento Communionis Notio: l'unità dell'Episcopato con Pietro e sotto Pietro  non sono radici indipendenti dell'unità della Chiesa...  
     
    Cari Vescovi che vi sentite al di sopra del Papa, ma perchè non ve ne andate a crearvi una chiesa tutta vostra?  
    quando la finirete di confondere il gregge, di ingannarlo e di parlare male del Papa?  
    Com'è che quando siete davanti al Papa vi chinate, gli baciate l'anello, vi fate le foto fra sorrisetti vari? TUTTA APPARENZA?  
    allora non siete meglio dei Farisei ai quali Cristo ripete più volte: IPOCRITI!!  


    [SM=g1740771]



    [Modificato da Caterina63 07/10/2011 10:46]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 08/10/2011 12:09

    I vertici della Chiesa in Germania scontenti del Papa. Eccoli allo scoperto i veri nemici del Papa



    Dopo aver visto le dirette della visita del Papa in Germania, gli abbracci dei Vescovi e il bacio al sacro anello, dopo aver ascoltate le sviolinate dei discorsi di benvenuto al Papa, la lettura dell’articolo proposto da Korazim ha davvero dell'incredibile. Il giornalista, con estrema puntuialità, ci mostra l’inaudita sfacciataggine attraverso la quale certi Vescovi vorrebbero imporre al Papa il governo della Chiesa. Ed è ancor più incredibile che certe critiche vengono mosse da quella Gerarchia che più di tutte dovrebbe dimostrare oggi più di ieri una fedeltà incondizionata al Successore di Pietro! Ci poniamo una sola domanda: ma se questi Vescovi agiscono così contro il Pontefice, come pretendono poi l'obbedienza? Qui non siamo più alla critica ma alla contestazione! Tutto ciò è assurdo e vergognoso! Ma eccoli allo scoperto i veri nemici del Papa ! L'articolo di Andrea Gagliarducci, in un sito certamente non tradizionalista come Korazym, pone molti interrogativi soprattutto a quei curiali, tedeschi ma anche romani, che sembrano voler risolvere tutti gli insidiosi e gravi problemi con i soliti e inutili sorrisi pre-stampati che sembrano voler dire ai fedeli sempre lo stesso ritornello : " Va tutto ben ...". (V.video allegato). Andrea Carradori


    Il Papa punge la Chiesa di Germania. Che invece si orienta sull'agenda progressista. di Andrea Gagliarducci Giovedì 06 Ottobre 2011 da Korazym

    È stata un’intervista del cardinale Karl Lehmann a riportare alla luce tutta l’amarezza dei vertici della Chiesa di Germania per le parole di Benedetto XVI nel suo recente viaggio. Invece di lodare le iniziative di una Chiesa ricca – grazie anche alla Kirchensteuer, la tassa sulla religione inventata da Hitler che impone a qualunque cittadino austriaco o tedesco di pagare un’altissima imposta alla sua religione di appartenenza, altrimenti non può nemmeno avere un funerale nella sua confessione – Benedetto XVI ha puntato su quanto l’eccedenza di strutture possa far perdere di vista l’obiettivo principale della Chiesa, cioè di Dio. Ha fatto di più: ha affermato che la secolarizzazione è persino provvidenziale, perché restituisce la Chiesa alla sua novità missionaria.

     Lehmann non attacca direttamente le parole di Benedetto XVI. Però allo stesso tempo fa notare che c’è stata “una certa amarezza” nei confronti delle parole del Papa. Una critica velata e sofisticata, che racconta molto dell’umore con cui le parole di Benedetto XVI sono state accolte dalla parte alta della Chiesa di Germania, e non solo. Le sue parole hanno graffiato anche lo Zdk, il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi, di fatto il “braccio armato” di una lobby che in Germania spinge la Chiesa verso un forte progressismo, caratterizzato dalle parole d’ordine: revoca del celibato sacerdotale, sacerdozio femminile, comunione ai divorziati risposati e coinvolgimento del popolo nella scelta dei vescovi. Zdk al quale lo stesso Lehamann è indirettamente legato.
    Da molti Lehamn è considerato “il cardinale creato da Kohl”.

    Divenuto presidente della Conferenza Episcopale Tedesca nel 1988, dovette attendere a lungo la berretta cardinalizia. Arrivò nel 2002: Giovanni Paolo II fece un concistoro monstre, nel quale non compariva il nome di Lehmann. Ma poi ci fu un intervento personale di Helmut Kohl – che già era fuori dalla politica, ma aveva ancora una certa influenza – e Giovanni Paolo II aggiunse due nomi alla lista dei nuovi cardinali: quello di Lehmann e quello di Degenhard, vescovo di Pandendorm, di diverso orientamento teologico. E si definisce così anche il perché dell’agenda del Papa in Germania: l’incontro con Kohl, e quello con lo Zdk bilanciato poi da quello domenicale con i cattolici tedeschi impegnati in società della domenica. Incontri delicati. In questi giorni la Conferenza Episcopale tedesca è riunita in assemblea.

    Robert Zoellitsch, il presidente, considerato da alcuni una “marionetta” nelle mani dei potenti vescovi dall’agenda progressista, nelle celebrazioni di martedì e mercoledì ha cercato di equilibrare le parole del Papa, che vuole “riportare tutti a Dio”. Le parole d’ordine del progressismo della Chiesa di Germania sono state reiterate l’anno scorso nel documento di circa150 teologi tedeschi in Germania, e nella “Iniziativa Parroci” promossa dall’ex vicario di Vienna Helmut Schuller, che prima ha coadiuvato il cardinal Schoenborn quando questi ha preso la guida della diocesi di Vienna, e ora lo attacca dall’altro lato.

    Per tutta risposta, Schoenborn lo scorso anno ha fornito pure lui ai media la sua agenda progressista. Un tentativo maldestro di equilibrare una Chiesa austriaca fortemente modellata sulla Chiesa tedesca. Se in Germania il braccio armato del progressismo è lo Zdk, in Austria è l’Azione Cattolica a fare un movimento di lobbying molto forte. Molti dei suoi quadri sono stati formati in Noi Siamo Chiesa, movimento progressista creato nel 1995 con un “Appello del popolo di Dio”, che già prima della visita aveva sostenuto come “non si possono mettere l’una contro l’altra la crisi di Dio e la crisi della Chiesa” Benedetto XVI però ha spiazzato tutti. Le sue parole hanno puntato direttamente al concetto di Dio. Addirittura, nel suo intervento con i seminaristi ha usato il termine “Noi siamo Chiesa”. E ne ha rovesciata l’interpretazione: da un noi separato, a un noi che comprende la globalità della Chiesa.




    [SM=g1740733] alcuni commenti dal blog Messainlatino raggiungibile dal link del titolo notizia:

    memory
    Quando si avrà finalmente  il coraggio di scomunicare chi cattolico di fatto non lo è più?    
     
    ma  CHI dovrebbe usare le scomuniche, se la Chiesa attuale, dal concilio in poi le ha abolite,   salvo per usarle SOLO contro i veri cattolici,  testimoni fedeli di Gesù Cristo e custodi   indefettibili della Dottrina, come mons. Lefebvre ?  
    stiamo ancora a ripetere fino alla nausea che ormai la Verità è detronizzata e il mondo va alla rovescia,  e gli obbedienti a Dio e alla Chiesa si sempre sono detti  nemici della Chiesa fraterna-conciliar-ecumenista ?  
    ma se il Papa stesso porta avanti la continuità col concilio che ha ESAUTORATO il papato, di che cosa ci meravigliamo ?  
     
    se il Papa, che ne ha FACOLTA', per incarico di Nostro Signore, non riafferma la Dottrina contro le eresie, e non  scomunica  coloro che gli si ribellano,   CHI dovrebbe usare l'autorità di Pietro  ?  
    noi pecore forse ? siamo noi che dobbiamo condurre  il Gregge  ?  
    Non è il pastore che deve farlo, col bastone e col vincastro, come si diceva ieri e si ripete  inutilmente da 46 anni ?  non è lui che deve difendere se stesso e il Gregge dai lupi in veste di agnelli  ?  
    ma come al solito, chi tace acconsente....


    ****************

    Andrea Carradori
    Ci sono delle situazioni contingenti , la storia della chiesa ce lo insegna e noi dobbiamo farne tesoro per non ripetere gli stessi errori, in cui un atto di scomunica potrebbe fare  l'effetto contrario e minare l'unità della chiesa.  
    Ut unum sint ! Ci ripete accorato il Divin Redentore !  
    Tutto il nostro essere ci dice che quei figuri, consacrati o no, delle ricche regioni del nord Europa debbono essere cacciati dai loro potenti troni...  
    Poi loro si porteranno milioni di fedeli che saranno ben lieti di seguire, per il proprio tornaconto, una relgione camuffata come cattolica ma che in realtà proclama lo stesso linguaggio del mondo.  
    Forse Lei mi risponderà che l'equivoci c'è fin d'ora, ed ha ragione.  
    Un atto di scomunica sancirebbe solo ufficialmente ciò che esiste : uno stato di scisma e di eresia latente.  
    Non so però se potrebbe giovare alla Chiesa e soprattutto alla salute dei fedeli .


    ****************

    LDCaterina63
    Embarassed  memory.... comprendo l'amarezza e soprattutto la frustrazione che ci perviene perchè a certe domande le risposte che ci sembrano scontate (scomuniche ed altro ) non sembrano avere seguito, sembrano come essere bloccate....  
    ma ciò che deve maggiormente tenerci ancora più saldi a Pietro, ai piedi della Croce con MARIA che è appunto l'immagine stessa della Chiesa che posta ai piedi di quella Croce riceve ogni giorno le gocce di quel Sangue potente che cade dal Costato aperto....deve essere NON la risoluzione ai problemi MA IL PROBLEMA STESSO.... Wink  
    E' giusto e doveroso che noi in un Blog ne parliamo, ne affrontiamo i problemi ma non per dire al Papa come deve agire... quanto piuttosto e innanzitutto correggere NOI stessi, e da questa autentica conversione nostra e personale, auspicare che i Vescovi ribelli facciano altrettanto, SUPPLICARE DIO AD INTERVENIRE in qualche modo più diretto....  
     
    [SM=g1740722]  Santa Caterina da Siena ci rammenta: DIO PURIFICHERA' LA SUA CHIESA... e così diceva al beato Raimondo da Capua quando con lei si lamentava per la gravissima corruzione che aveva colpito la Chiesa....il buon frate si lamentava con Caterina e le chiedeva: "QUALI MALI POSSONO ESSERE PIU' GRAVI DELLA RIBELLIONE E DEL DISPREZZO AL SUPREMO CAPO E PASTORE DEL POPOLO CRISTIANO? "  
    rispondeva santa Caterina da Siena: "Padre mio, oggi fanno questo i secolari, i religiosi e i laici, ma fra non molto vedrete quanto peggio faranno gli Ecclesiastici contro il Santo Padre e contro l'unità della Chiesa di Dio, quando il Papa vorrà correggere i loro disordinati costumi che saranno di grave scandalo universale a tutta la Chiesa, la quale resterà divisa come da una vera e propria eresia. Perciò, padre mio, preparatevi fin da ora di armarvi della santa pazienza, perchè non noi, ma Dio purificherà la Sua Chiesa!"  
     
    I fatti andarono come aveva predetto santa Caterina, una grave crisi e il bello è, che dopo questi fatti, il Padre Raimondo si lamenta ancora con la santa perchè vede anch'egli un'altro pericolo all'orizonte, e santa Caterina gli dice: " Padre mio, come vi dissi della ribellione al Papa, allora sappiate che questo scisma era latte e miele confronto a ciò che il Demonio sta preparando contro la Chiesa e contro il Pontefice", un pò spaventato padre Raimondo chiese alla santa di essere più precisa e che se sapeva qualcosa di metterlo al corrente, rispose Santa Caterina da Siena: "Terminate queste tribolazioni, Dio purificherà la Sua Chiesa, suscitando un ardente zelo nel cuore dei suoi servi  edegli eletti. Ad ogni tribolazione, infatti, ne consegue che Iddio intervenga con il rinnovamento dei cuori dei Pastori suscitando una grande riforma per la Chiesa. Padre mio, l'amore non si prova che con l'amore ela santa Chiesa, che ne è il recipiente, si arricchisce sempre di molte virtù suscitando nuovi santi e martiri per riformare la Chiesa sulla quale sempre vi si abbatteranno le tempeste. Padre mio, rendete per questo grazie a Dio poichè vi ha benignamente annoverato fra gli eletti, l'amor che con amor si paga esige martirio, suppliche e costanti preghiere, digiuni e sacrifici, ma alla fine Dio benigno, quando lo vorrà, donerà alla Sua Sposa la pace e la tranquillità affinchè la Chiesa si riprenda e si prepari a combattere altre nuove battaglie..."  
    Wink  
    Io credo che in queste parole ci viene suggerito da Santa Caterina come dobbiamo agire, reagire e lavorare oggi noi, per affrontare queste tempeste....




    ****************
    [SM=g1740771]



    [Modificato da Caterina63 08/10/2011 12:11]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 01/11/2011 17:35

    Ravasi e il cortile dei gentili. Ma quali 'gentili'?

    di Francesco AGNOLI


    Da tempo il cardinal Ravasi porta avanti il celebre Cortile dei gentili. Con successo mediatico non indifferente. Il cardinale non troverà mai sulla sua strada oppositori urlanti e giornalisti acidi. Flirta con il mondo, nel senso evangelico del termine, e questo gli procura amici, a destra e a manca. Non è, lui, come altri, un cattolico “oscurantista”.

    Poco fa al Corriere si tifava per la sua elezione a cardinale di Milano. Come successore di quel cardinal Martini che piace tanto in via Solferino perché contrario alla
    Humanae vitae e alla disciplina bimillenaria della Chiesa. Ravasi insomma, “piace alla gente che piace”.

    Il perché si può capire facendo un salto nel sito dedicato al Cortile dei gentili, in cui campeggia una citazione di padre Turoldo, quel prete che un giorno stracciò in pubblico il rosario, perché, a suo dire, superstizione del passato. Eccola: “
    Fratello Ateo, nobilmente pensoso, alla ricerca di un Dio che io non so darti, attraversiamo insieme il deserto. Di deserto in deserto andiamo oltre la foresta delle fedi, liberi e nudi verso, il Nudo Essere e là dove la parola muore abbia fine il nostro cammino”.

    Non ho nulla da dire contro il “fratello ateo”, anche se non userei la maiuscola; moltissimo, però contro l’idea che Dio si sia rivelato, a me, credente, perché io non abbia nulla da dire su di Lui. Moltissimo contro un confuso irenismo che sacrifica Cristo stesso dietro termini astrusi, fintamente poetici, ma chiaramente non cristiani.


    A me sembra che se i preti e i cardinali non additano Cristo, non servono a niente.


    Ma andiamo al sodo. Il 27 aprile, durante la giornata di Assisi, che forse il poverello che partì per convertire il Sultano, stenterebbe a comprendere, Ravasi ha invitato degli atei, su suggerimento di Benedetto XVI.


    Idea interessante se è per dire che ciò che può essere terreno di confronto non sono le fedi - ché quella cristiana è in un Dio “geloso” e ben differente dagli “dei delle genti”-, ma la comune umanità che ci caratterizza tutti. Però, tra atei ed atei, ci sono comunque differenze.


    Ravasi, giustamente, le fa. Però, a mio modo di vedere, all’opposto di come dovrebbe. Ha invitato, per esempio, non Marcello Pera o Giuliano Ferrara, che un bel po’ di strada insieme ai credenti la hanno fatta e la fanno di continuo, con l’uso della ragione, ma Julia Kristeva e Remo Bodei.


    Perché Ferrara e Pera, direbbe subito qualcuno, sono schierati politicamente. Sbagliato: anche Bodei e Kristeva lo sono, e molto apertamente: a sinistra. Non è questo, dunque, il punto.


    Il fatto è che per Bodei e Kristeva Ravasi nutre una certa simpatia che per gli altri soggetti citati non ha. Dovuta a cosa? Un cardinale, con degli atei, difficilmente concorderà su Dio. Però potrebbe trovare punti di accordo, almeno, sull’uomo.


    La relazione della Kristeva ad Assisi, infatti, porta un titolo eloquente: “Regole per un nuovo umanesimo”. Peccato solo che quell’umanesimo contempli la “liberazione sessuale”, il divorzio, l’aborto e “la biologia che emancipa le donne”. Tutte cose che per un credente sono l’esatto contrario di un vero umanesimo. Nella lunga trattazione della Kristeva, in pellegrinaggio verso che cosa non si sa, compaiono l’elogio del materialista Diderot, del feroce anticristiano Voltaire, di Rousseau, persino del marchese de Sade e del femminismo della de Beauvoir. Conditi, è vero, con citazioni di  Dante, san Francesco e santa Teresa d’Avila, purtroppo non compresi e storpiati. Compaiono poi affermazioni esilaranti, del tipo: “Non c’è più un Universo; la ricerca scientifica scopre e indaga continuamente il Multiverso”. A cui si aggiunge la conclusione, anch’essa molto dogmatica e definitiva: “non dobbiamo avere paura di essere mortali”. Kristeva quindi dà per certo che esista il Multiverso (pura ipotesi filosofica, sperimentalmente indimostrabile, sorta con l’unico fine di negare Dio) e che invece sia una sciocchezza l’immortalità dell’anima. Infine la Kristeva afferma che tale “multiverso”, certamente spoglio di Dio e di senso, sarebbe “circondato di vuoto” (come tutta la nostra esistenza).


    Nessuna possibilità di dialogo, dunque: la Kristeva ha le idee molto chiare e le esprime senza tentennamenti e senza quei dubbi che tanto gli piacciono nei credenti.


    Andrà meglio, si può pensare, con Remo Bodei. Mi sono cercato un po’ dei suoi scritti, per capire da dove partire, se un giorno mai mi invitassero ad Assisi come esponente del vecchio “cattolicesimo pacelliano”, come avrebbe detto Giovanni Guareschi. Non ho trovato nulla. Neppure un chiodino cui appendere una piccolissima speranza. Bodei, infatti, non solo è ateo; ma è anche favorevole all’aborto, soprattutto nei paesi in cui “il problema è di limitare le nascite”, causa una presunta “bomba demografica”.


    Bodei è uno che mette spesso i puntini sulle i: per esempio insiste spesso sulla malvagità degli “atei devoti che strumentalizzano la religione”, in quanto dimostrano interesse verso di essa (Avvenire, 22 ottobre 2011).


    In una lunga intervista su l’Unità, del 19/672005, poi, attaccava violentemente l’espressione ratzingeriana “dittatura del relativismo”, per affermare: “
    Una tale dittatura non c’è, né potrebbe essere imposta a qualcuno”. La verità, continuava Bodei, è che la Chiesa è folle ad opporsi alla selezione della specie, schierandosi contro l’aborto e la diagnosi pre impianto: “La cultura laica vanta delle ottime ragioni e malgrado tutto non deve lasciarsi mettere nell'angolo. Deve passare all'offensiva, come dicono Giorello e Salvadori. Senza atteggiamenti beceri o contundenti verso la Chiesa, che fa il suo mestiere. Ma il punto è questo: la Chiesa invade uno spazio neutro che è a garanzia di tutti. Perciò bando alle timidezze dei laici, via via divenuti subalterni o addirittura devoti. Quello che non si capisce nella posizione di questi ultimi, ma anche in quella dei cattolici, è il rifiuto del buon senso. Ad esempio, come si fa a rifiutare la diagnosi prenatale? Non si può obbligare una donna a far nascere da un embrione un figlio gravemente malformato”.

    Se un bambino è malformato, insomma, bisogna ucciderlo. Fa parte dell’umanesimo, contro il cattolicissimo “rifiuto del buon senso”. Vogliamo continuare? Per Bodei gli “atei devoti” Pera, Ferrara e Fallaci, per quanto riguarda la loro posizione sul referendum del 2005, sono “patetici” ed arroganti; “proibire la ricerca sulle staminali embrionali (leggi: uccisione di embrioni umani, ndr) è un atto di oscurantismo”; la Chiesa è sempre indietro, come dimostra il Sillabo (bellissimo documento che condannava il comunismo ben prima che facesse oltre 100 milioni di morti), per cui quando occorre, bisogna combattere doverose “battaglie”; la Chiesa, ormai, non più frenata dalla Dc, “tracima” aiutata dall’ “attivismo dei devoti neocon”…


    Se incontrassi Bodei, sempre che non sia “all’offensiva”, mi sa dire caro Cardinale, da dove partire, nel dialogo? Perché io, mi perdoni, sono un cattolico senza “buon senso”, che, per dirne una, non ucciderebbe mai suo figlio, sano o malato che fosse, sia perché crede in Dio, sia perché lo ha visto con quello strumento laicissimo che si chiama ecografo. Basterebbe questo, se ho capito bene, per farlo imbestialire….

    ******************************************

    [SM=g1740771] Ringrazio di cuore il prof. Agnoli per questa diretta analisi, condividendola e soffrendo per il suo contenuto!  
    E' umiliante per il Cristo stesso e Maria Santissima, e deleterio affermare, come Turoldo, che "non abbiamo un Dio da dare..." Surprised  
    umiliante persino per santa Elisabetta che nel solo a vedere la santa Cugina, che portava il Verbo Incarnato, il bambino che lei portava, san Giovanni Battista, in grembo sussultò di gioia....  
    e allora cosa andò a fare la Vergine da santa Elisabetta?  A PRENDERE UN TE'?  A DIALOGARE?  
     
    Emerge, dall'impegno del cardinale Ravasi, una pericolosissima situazione: incoraggiare IL RIFIUTO DEL VERBO INCARNATO e lasciando tal "gentili" ad auto-incensarsi in questo rifiuto CON TANTO DI SPIEGAZIONI loro... la piazza ideata da san Paolo, il vero Cortile dei Gentili, l'Agorà...  scaturiva dall'idea di Paolo di FAR INCONTRARE IL DIO DEI CRISTIANI AI NON CREDENTI.... e non di far gestire l'agorà ai non credenti... al contrario di Turoldo san Paolo aveva le idee molte chiare, e aveva un Dio da proporre, testimoniare, portare al centro della discussione... e non sarebbe mai entrato nel deserto con l'altro a fare la scampagnata, al contrario, avrebbe tirato fuori l'altro dal suo deserto nel quale viveva...  
     
    Da un anno  Ravasi gestisce il cortile dei suoi gentili... quante CONVERSIONI A CRISTO sono scaturite? Embarassed  
    perchè alla fine della fiera, del circo e dei mercanti in fiera..... le chiacchiere stanno a zero....  
    Senza dubbio che neppure io "porto frutti"... e che si semina ma non si sa quando si raccoglie, ma resta palese che le impostazioni del cardinale Ravasi io non riesco a ricondurle al Cattolicesimo.... e al Cattolicesimo queste non porteranno nulla...  
    a meno che non si muova Cristo a compassione o la Beata Vergine Maria come fece per il luterano Bruno Cornacchila e l'ebreo Ratisbonne.... ma difficile è seminare se si crede di non avere un Dio da dare.....

    [SM=g1740717] [SM=g1740720]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 04/11/2011 15:48

    Quando un Vescovo “scivola” su preti sposati e preservativi







    «Metti nella mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone»: l’invito, contenuto in Ester 4, 17s, andrebbe sempre tenuto presente. Specie se si è Vescovi e se si parla con la stampa. Per non sollevare polveroni, come quello capitato lo scorso 15 settembre dopo il titolo apparso sul quotidiano “Il Giorno”: Il Vescovo di Cremona: «Anche chi è sposato, può diventare prete».

    Titolo, subito rilanciato da tutte le agenzie. «Non c’è nessun ostacolo dogmatico all’ordinazione di uomini sposati di provata fede, che godano di buona reputazione nel popolo di Dio», si legge nell’intervista al prelato, mons. Dante Lafranconi. Un’ipotesi, insomma, a suo giudizio, «da valutare». Come tante altre. Salvo poi rettificare, accusando il giornalista d’aver diffuso in modo «incompleto» le sue parole.

    Poiché nel testo originale, lui avrebbe precisato: «Io però non sono favorevole, come scelta per sopperire all’attuale diminuzione del clero». Quindi, fa capire mons. Lafranconi, è no, se vi si voglia vedere una sorta di “salvagente” alla crisi delle vocazioni. Ma qualora se ne voglia discutere in linea di principio, perché no? Una botta nello stomaco: solo lo scorso 21 agosto, Papa Benedetto XVI alla Giornata Mondiale della Gioventù invitò oltre mille seminaristi a «vivere nel celibato per il Regno dei Cieli». Lo stesso Gesù Cristo parlò di «eunuchi per il Regno dei Cieli», San Paolo di “carisma” ed il Catechismo della Chiesa Cattolica di «sviluppo della grazia battesimale» (n. 1619).

    Ma il Vescovo di Cremona preferisce pensare ai «cattolici di rito orientale» che contemplano l’“opzione”. Definiti, infatti, «eccezioni» contrarie alla Tradizione da padre Laurent Touze, docente alla Pontificia Università della Santa Croce, in un’intervista a “Zenit” del 7 marzo 2010. Quanto al fatto che la Chiesa latina del passato avesse «già conosciuto l’esperienza di un clero uxorato», come ricorda il Vescovo di Cremona, è ancora padre Touze a rettificare: perché «nei primi secoli», chi – ammogliato – avesse accettato di diventare sacerdote o Vescovo, doveva prima «chiedere il permesso» alla consorte e poi, «dal momento dell’ordinazione», praticare l’assoluta «continenza».

    Proprio recentemente il card. Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, ha definito il celibato uno dei «doni più grandi» fatti alla Chiesa dal Signore. Ed un confratello di mons. Lafranconi, il Vescovo di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri, parlando due anni fa ai suoi preti, lo ha dipinto come l’«espressione», anzi «l’esplosione della nostra affezione unica al Signore Gesù Cristo». Ma c’è stato un secondo scivolone, nell’intervista senza rete di mons. Lafranconi, scivolone sfuggito anche ai media: il prelato ha dichiarato di non sentirsela «di condannare gli sposi, che, per soddisfare il legittimo desiderio dell’unione intima, decidessero di utilizzare il preservativo», nel caso uno dei due sia affetto da Hiv. Posizione non nuovissima per lui: sostanzialmente identica la espresse in difesa del card. Martini, che sostenne la stessa cosa sul settimanale “L’Espresso” nel 2006.

    All’epoca mons. Lafranconi parlò di una «protezione dal contagio generalmente ammessa, nella pratica pastorale». Pur affrettandosi a precisare come «in pubblico la Chiesa» faccia «benissimo ad insistere sulla fedeltà coniugale e la castità». Come dire? Vizi privati e pubbliche virtù. Il solito metodo del passo avanti ed uno indietro. Anche tollerando che in questa unione, definita «intima» da mons. Lafranconi, manchino di fatto i connotati previsti per tali atti dal Catechismo: la donazione totale di sé e l’apertura alla vita. Lo stesso Catechismo, che bolla come «intrinsecamente cattivi» i metodi contraccettivi (n. 2370), proponendo la continenza come alternativa.

    Di certi “incidenti di percorso”, per la verità, già ne erano capitati altri in passato al Vescovo di Cremona: il 18 marzo 2005 scatenò un vespaio, quando ad un convegno organizzato dalla Cei presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, presupponendo come certa la prospettiva di una «sostanziale equiparazione delle convivenze di fatto anche omosessuali alla famiglia legittima», sollecitò i cristiani ad «elaborare proposte sotto il profilo giuridico per la regolamentazione di un dato di fatto, che non può essere ignorato dal legislatore, senza però intaccare l’unica figura naturale della famiglia, che è quella fondata sul matrimonio».

    Altro caso da manuale di un passo avanti ed uno indietro. Ma la cosa non fu del tutto indolore, anche perché all’epoca era Presidente della Commissione episcopale della Cei per la Famiglia e la Vita. Incarico che oggi non riveste più, se non a livello lombardo. Anche in quell’occasione i quotidiani nazionali si scatenarono: sul “Corriere” il presidente onorario dell’Arcigay e deputato Ds, Franco Grillini, parlò di un «importante passo in avanti da parte della Chiesa», cogliendo l’assist episcopale per rilanciare la sua proposta di legge sui Pacs. Eppure, ancora in una Nota della Cei del 28 marzo 2007 si ribadisce come «la legalizzazione delle unioni di fatto» sia «inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo» e tale da provocare un «effetto inevitabilmente deleterio per la famiglia», ancor «più grave» se riferita ad «unioni di persone dello stesso sesso».

    Non meglio in “casa propria”, in diocesi di Cremona, dove da due anni giace inascoltata e disattesa la petizione fatta pervenire a mons. Lafranconi da oltre un centinaio di fedeli, per ottenere la celebrazione della S. Messa di San Pio V. Niente chiese, né preti per loro. Nonostante il Motu Proprio di Benedetto XVI, possono attendere. Evidentemente in agenda, per lui, è più urgente “valutare” il celibato dei preti… o no? (M.F.)

    [SM=g1740729]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 10/11/2011 12:22

    Aristotele e i cattolici democratici

    Cattolici democratici e principio di non contraddizione



    [SM=g1740733]



    Nella Metafisica, Aristotele enuncia il seguente principio (poi denominato «di non contraddizione»): «è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo», che – detto in soldoni – significa: A è A e non può essere il suo contrario.
    Su Vatican Insider, leggo che i “cattolici democratici” si sono dati appuntamento a Roma «per riflettere sul futuro dell'Italia, ripartendo dalla Costituzione e dal Concilio». Ecco presentate le vacche sacre del cattolicesimo democratico: la Costituzione e il Concilio (in quest’ordine, ovviamente, in nome di Santa Laicità).
    Il giornalista di Vatican Insider prende l’aire spiegando che i cattolici democratici «sono stati la spina dorsale della prima Repubblica, l'asse portate di un cattolicesimo adulto in grado di coniugare l'ispirazione cristiana alla modernità, attraverso la mediazione culturale e tenendo al centro l'uomo i suoi bisogni e le sue attese, senza essere travolti da una insano clericalismo».
    Cerchiamo ora di capire se realmente esistano i cattolici democratici o se, più semplicemente, siano solo democratici che si sono dimenticati di Cristo.

    Identikit del cattolico

    Come insegna il catechismo di san Pio X, il vero cristiano è colui che è stato battezzato, che crede e professa la dottrina cristiana – «dottrina che Gesù Cristo nostro Signore ci ha insegnato per mostrarci la strada della salute» – e che obbedisce ai legittimi Pastori della Chiesa. Quindi, il buon cristiano deve conoscere ciò che la Chiesa ha sempre insegnato ed insegna, e obbedire ai legittimi Pastori. Vediamo se i cattolici democratici corrispondono a queste due caratteristiche-base dell’essere cattolico.

    Cristianesimo e modernità

    L’elogio dei cattolici democratici risiede nell’aver coniugato modernità e cattolicesimo, ossia diavolo e acqua santa. Il cattolico, infatti, non può assimiliare i principi del mondo, ma deve far sì che la modernità si converta a Cristo. E, in quest’ottica (ripetiamo: l’unica ottica possibile per un cattolico), l’unico che si preoccupò di coniugare la modernità al cattolicesimo fu san Pio X, che assunse, come motto e progetto del suo Pontificato, «instaurare omnia in Christo».
    Così, Pio XII spiega il rapporto tra Chiesa e società moderna: «senza dubbio lo scopo della Redenzione è la santificazione personale possibilmente di tutti gli individui. Però, secondo il piano salvifico di Dio, la santificazione dei singoli uomini deve mettere radici e deve fiorire e fruttificare nella comunità in cui essi vivono, la quale è, anch’essa vivificata dalla fede in Dio e dallo spirito di Cristo. Qui si apre la missione della Chiesa Cattolica per la vita pubblica. Quale principio vitale della società umana, essa deve estendere il suo influsso in tutti i campi della esistenza umana, attingendo alle sorgenti profonde delle sue ricchezze interiori» (Pio XII, Radiomessaggio al congresso di Bochum, 4 settembre 1949). Del resto, le parole dei Pontefici riprendono l’insegnamento di Cristo Stesso: «voi siete la luce del mondo. […] Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt., 5, 14).
    Ma poiché i cattolici democratici si rifanno sempre al Concilio Vaticano II e fanno orecchie da mercanti al Magistero “preconciliare”, ecco una frase di Lumen gentium di cui spesso ci si dimentica: «è dei laici cercare il regno di Dio trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali». Inoltre, nel documento conciliare Apostolicam actuositatem, si legge che «la testimonianza della vita cristiana e le buone opere compiute con spirito soprannaturale hanno la forza di attirare gli uomini alla fede e a Dio».

    Antropocentrismo VS teocentrismo

    La visione cattolica del mondo non è antropocentrica, ma teocentrica. A tal proposito Nostro Signore Gesù Cristo, e non una Rosy Bindi o un documento conciliare qualsiasi, è stato chiaro: «chi rimane in Me e Io in lui, fa molto frutto, perché senza di Me non potete fare nulla» (Gv., 15, 5). Solo in Cristo, infatti, l’uomo trova compimento.
    Come scrive Lorenzo Scupoli, «ogni grazia e ogni virtù ci vengono da Lui solo, fonte di ogni bene». […] «Noi non siamo capaci di nulla, neppure di un solo pensiero che gli sia gradito».
    E basterebbe anche solo sfogliare il Catechismo della Chiesa Cattolica, per sapere che Dio è il fine ultimo dell’uomo e che «per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente» in quanto «una visione puramente storica e materialistica finirebbe per trasformare il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente ovvero della sua più profonda ragion d’essere».
    L’errore del cattolicesimo democratico risiede nell’essere un cristianesimo senza Cristo, ma – così facendo – rimane solo ciò che Robert Hugh Benson, ne Il padrone del mondo, definisce “umanitarismo”. Una sorta di religione laica il cui obiettivo è quello di raggiungere «una pace che nasce dalla conoscenza, non dall’ignoto, una pace che nasce dalla consapevolezza che l’uomo è tutto e che, solo con la cooperazione solidale di tutti, egli può evolversi al meglio». Ma da dov’è possibile ricavare una visione antropocentrica del cristianesimo?

    Conclusione

    Abbiamo dimostrato come i princìpi dei cattolici democratici siano in netto contrasto con l’insegnamento della Chiesa. Secondo il principio di non contraddizione enunciato da Aristotele, quindi, tali cattolici non sono più tali. Se i cattolici democratici non dovessero essere d’accordo, si prega di prendersela con Aristotele.


    Matteo Carnieletto

    **************************************************************************

    [SM=g1740733] un piccolo esempio di questa incompatibilità....

    Una nostra cara lettrice ci segnala questo articolo, dello stesso autore del bellissimo saggio apologetivo sul Card. Ottaviani (pubblicato sempre sul blog di Raivaticano e riportato da noi in questo post).

    Roberto

    Dio è mio e lo gestisco io
    di Antonio Cannarozzo
    dal blog.raivaticano.rai.it, 29.11.10


    Il comportamento del cristiano d’oggi che spazia dall’impegno sociale al politicamente corretto alla responsabilità
    ecologica, fino a sfociare nel ridicolo, trattando anche dell’obbligo di non fumare o di attraversare sempre sulle strisce pedonali…

    Giorni fa sono stato invitato a parlare, con altre due persone, ad una conferenza sulla storia del cristianesimo in una parrocchia della periferia romana. Purtroppo, come dice spesso mia moglie, su certi argomenti di Chiesa non mi faccio mai gli affari miei e creo sempre guai: così è stato anche quella sera.
    La conferenza, durata un po’ più a lungo del previsto, è finita con un applauso per noi relatori e subito dopo si è aperto un dibattito sull’impegno costruttivo dei cattolici sui temi trattati.

    Gli interventi non troppo tardi sono diventati abbastanza ripetitivi e monotoni: il comportamento del cristiano d’oggi che spazia dall’impegno sociale al politicamente corretto alla responsabilità ecologica, fino a sfociare nel ridicolo, trattando anche dell’obbligo di non fumare o di attraversare sempre sulle strisce pedonali…
    A questo punto sono intervenuto: ”Scusate, ma con tutto questo Dio che cosa c’entra? Prima di parlare d’impegno verso la società forse, se siamo cattolici, bisognerebbe impegnarsi verso Dio, magari con le preghiere del catechismo…”. Mentre pronunciavo queste parole alcuni mi guardavano come se appartenessi a una specie in via d’estinzione. Solo i bambini mi dimostravano un certo interesse, tanto che avevano smesso di parlare tra di loro.

    Approfittai di questa momentanea attenzione per rivolgermi ad uno di loro, con una domanda che mi sembrava innocente: “Reciti mai il Rosario?”.
    Il bambino mi guarda stupito, come se parlassi un’altra lingua e intanto nella sala si diffondeva un mormorio.

    Sinceramente non capivo cosa stesse succedendo. Visto il mio stupore, il parroco, con fare molto dialogante e amichevole, mi illustra pazientementeil lavoro che stavano portando avanti come comunità ecclesiale, alla luce di un non meglio identificato Vaticano II.
    Dopo questi fumosi concetti aggiunge che in tutto ciò la preghiera ha un ruolo fondamentale, però come qualcosa di spontaneo, di autentico e non già definito da altri, come accadeva nelle vecchie preghiere.
    Capivo solo adesso cosa poteva aver suscitato la mia domanda in merito al vecchio e sorpassato Rosario. Così, in maniera un po’ ironica, avanzai l’idea che un domani anche la Messa poteva essere “inventata” quotidianamente, sempre avendo come riferimento,
    aggiunsi in modo ancor più sarcastico, “un percorso formativo per l’assemblea”.

    Mi aspettavo una rispostaccia ed invece tutto questo era per lui auspicabile, ma i tempi non erano ancora maturi. Sono rimasto di stucco. “Ognuno di loro, ragazzi e adulti – prosegue con soddisfazione il parroco – è invitato ad inventare una libertà ed una spontaneità sempre più aperta all’- ascolto”. ”Ma all’ascolto di chi? ”, è stata la mia domanda rivolta al pubblico.
    Mi ha risposto una signora dalla sala: “Ma della parola di Dio, è ovvio”.
    “E mica tanto! – ho replicato -. Se voi parlate di libertà, di crescita interiore, di nessuna costrizione, di un mondo dove tutto è spontaneo, allora questo Dio chi è? Attenzione, perché non sempre si ascolta Dio. Spesso, proprio per la nostra natura, è il diavolo che ci parla, ed è solo grazie alla conoscenza della dottrina e alla fede che noi possiamo sapere con chi abbiamo realmente a che fare”.
    Parole che non credevo potessero offendere qualcuno, ma il parroco e gli altri presenti non la pensano così.

    Cominciano a non avere più un’aria tanto amichevole nei miei confronti, anzi sono abbastanza seccati. Ho creato, mi ammoniscono, solo problemi al “percorso di crescita evolutiva dei ragazzi, dando un immagine miope e sbagliata sul valore del cristianesimo”.
    Inutile dire cosa mi passava per la testa.
    Comunque, per non dilungarmi sulla serata, salto altri interventi sempre sull’impegno e sull’ascolto per dirvi che il clou è stato un altro mio intervento con dure rimostranze tra il pubblico, parroco compreso. Ma che cosa avevo detto di tanto terribile?
    Mi sono permesso di ricordare, rispondendo ad alcune persone, che per ogni anima c’è alla fine il Giudizio di Dio il quale non è solo amore ed accoglienza ma è anche giustizia, e ciò pone inevitabilmente ogni cristiano nella grandezza del libero arbitrio e gli conferisce una grande responsabilità per ogni suo atto.
    Si è levata dal pubblico una voce per dire: “E adesso ci parla pure del Paradiso e dell’Inferno voluti da una Chiesa oscurantista e classista”, mentre un’altra donna, qualificatasi come catechista, quasi strillando, mi dice con aria di sfida: “Dio è mio e lo gestisco
    io”. Solo allora nella sala si è creato un po’ d’imbarazzo, nel ricordo di celebri slogan femministi degli anni ‘70…
    In ogni modo, dopo quest’ultima “dotta” affermazione teologica, mi sono dovuto sorbire una lavata di testa da parte di due sacerdoti della parrocchia, ormai né dialoganti né amichevoli, che mi contestavano in tutto. A nulla è valso citare la dottrina della Chiesa, gli scritti di San Francesco di Sales, di San Bonaventura, di San Tommaso…

    Nulla da fare, per loro ero solo un reazionario che voleva riportare sul trono, potendolo fare, niente di menoche il Papa Re, il tutto condito con altre amenità del genere.
    Allontanandomi dalla sala, compresi che forse senza accorgermene ero stato ospite di qualche assemblea pseudosettaria cristiana e che, per la mia solita sbadataggine, non me ne ero accorto.
    Questo pensiero ha ridato serenità al mio animo, ricordandomi che per fortuna la Chiesa, quella vera, è ben altra cosa.

    A.Cannarozzo




    [Modificato da Caterina63 20/11/2011 23:17]
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    00 23/11/2011 22:26

    Irene – simulazione del castigo divino

    Pubblicato ilsettembre 3, 2011

    2


    Guai ad affermare che Dio ci castiga: è una bestemmia che ha creato più atei che certe filosofie dell’800 su cui abbiamo scaricato la colpa dell’ateismo militante e dell’indifferenza attuale. I Cristiani, con l’immagine di un Dio che va in collera, di un Padre che era peggiore e più esigente dei padri umani, hanno creato il rifiuto di Dio in molti…

    Affascinante, energico, sconvolgente, dirompente, assoluto e imbarazzante. Sì, lo gnosticismo ingenuo di Fratelenzo a volte è proprio imbarazzante (Enzo Bianchi 11.03.99 – meditazione sul Figlio prodigo… pardon, sul Padre Misericordioso).

    Insomma la ritrita tesi per cui la Chiesa è all’origine dell’apostasia, mentre Nietzsche – se solo lo avessimo lasciato leggere ai nostri adolescenti – avrebbe rinvigorito la fede dei popoli. Imbarazzante ed ingenuo. Ingenuo ed assurdo. Così assurdo da parer vero, degno erede di Deridda e Foucault il decostruzionismo di Fratelenzo acceca i semplici e ammutolisce i dotti. [SM=g1740721]

    Io però mi salvo perché sono un grezzo complicatissimo, sopravvissuto all’apostasia nonostante il doppio colpo di due preti giudaizzanti e perfettamente martiniani negli anni della mia adolescenza, dotato di uno specialissimo fiuto per le boiate teologhesi, e di una curiosità sufficiente a farmi leggere cose diverse dai foglietti che si trovano in fondo alla chiesa, tra i quali ‘Parola di vita’ e ‘Con te ce la faremo’ (che non è una testimonianza di fede di Gianni Morandi, ma il pieghevole da cui traggo l’illuminata confessio bosiana).

    Dunque, parlavamo di Castigo di Dio.

    Il problema è che dire castigo di Dio significa impegnarsi in un discorso complesso, cioè pieno di significati e sfaccettature, tale da richiedere un minimo di sforzo per essere colto e compreso. Ammetto che non sia da tutti. Calza a pennello un evento recente che ce ne dà l’immagine sintetica: Irene.

    Eh già, proprio lei, la tornado che ha investito settimana scorsa gli USA offrendo, parrebbe, più spavento che altro, e salvando i TG dalla disperata caccia di notizie di fine agosto.

    Irene e il castigo di Dio.

    A tal riguardo, mi lascia scettico anche il servizio della Bussola Quotidiana, in cui un ondivago Fabio Spina, apprezzabile per le recensioni geo-tecniche sulla realtà dei fatti, si dedica a un’esegesi spirituale a mio avviso opaca e poco comunicativa.

    Vada col dire che di fatto non c’è stato nulla, vada col denunciare inutili allarmismi sociologici di Avvenire, ma non colgo in che senso il brano di Elia sia istruttivo sul tema del castigo: altro genere letterario, altro scopo illustrativo, altra dinamica spirituale in atto; le due prospettive non si escludono, casomai si calibrano.

    Calibrare. Questo serve.

    Il buon Fratelenzo scaccia la significatività del Castigo al modo in cui il nevrotico rimuoverebbe edipicamente il padre; Spina si abbandona al devozionismo localistico e tace del senso universale della cosa (implicito, sottinteso o negato?).

    Eppure è un fatto di ragionevolezza, e nessun’invocazione di misericordia lo può adombrare; tanto più che

    Questa verità della misericordia fa appello a quella che ne è il completamento: la maestà e la giustizia di Dio (R. Guardini, Lo spirito della liturgia, Morcelliana, 22)

    Ragionevolezza e spirito di comunità (che Spina evoca ma poi affonda nel particolarismo) uniti nella riflessione sul male: perché il Male c’è, e lo sappiamo, ma dove lo pensiamo? In Dio o fuori di Lui?
    Temi caldi, sui quali non per caso si trovano a loro agio solo i vecchi tomisti, i cosiddetti ‘medievali’, in realtà abituati più di noi a riflettere secondo certe angolature universali.

    Ma è proprio così? E’ davvero irragionevole pensare al castigo in ottica contemporanea? Forse no, o almeno non del tutto.

    E allora torna istruttivo Umberto Galimberti, quando ci ricorda che

    Lo Stato… ha riempito la società di doni, senza la possibilità del contro-dono…
    Avendo così ridotto i soggetti sociali da contraenti a oggetti sociali gratificati dai doni, il sistema ha preparato il terreno all’irruzione del simbolico, che ritorce conro il sistema il principio stesso del suo potere. 
    (L’ospite inquietante, Feltrinelli 2007, 125-126)

    L’ambiguità di una società che tratta i cittadini come bimbi viziati sfocia nell’incapacità di crescita dei suoi membri, e si traduce in reazioni contraddittorie e malate. Ché dunque, forse i processi fallimentari del vivere comune si possono trasformare in opportunità nella realtà ecclesiale? O non stiamo trattando anche noi i fedeli come bimbi, cui impediamo di crescere, perché temiamo che la verità possa traumatizzarli?

    Ancora Galimberti.

    Disarticolata ed epocale sventura. Dico epocale perché è la prima volta nella storia che, come vuole l’indicazione di Hegel, un servo non ha davanti un signore con cui prendersela, perché i loro padroni sono diventati, come i loro dipendenti, a loro volta semplici funzionari di un sistema (ivi, 136)

    Più che una verità, il teologhese progressista ci offre un sistema teorico inoffensivo, perfettamente supino rispetto al trend decadente della critica società occidentale. Un trend che costruisce immaturità e vi rimedia col formare personalità irresponsabili. Non vi pare?

    La soluzione sarebbe presentare la verità tutta intera, quella verità che ci farà liberi – come diceva un tale. E allora, mancando i teologi che se ne incarichino, vi accontenterete dei blogger. E di due brevissime su Irene.

    Già, tuttosommato proprio Irene, proprio l’uragano che non ha fatto danni, si prestava a riflettere sul castigo di Dio. Un castigo che non è ripicca brutale, che non è minaccia freudiana, che non è spauracchio apocalittico di qualche telepredicatore protestante. Il castigo che è doloroso ma necessario intervento di Giustizia, che è delicatissima premura di un Padre innamorato che tutto opera per rendere sempre più ininfluente il male nel mondo e per salvare quante più anime verso l’eternità.

    Irene ha funzionato bene: un ordine tempestivo, obbedienza pronta della gente, capacità di arginare i danni. Dire castigo di Dio non è dire qualcosa di molto diverso da questo. Non è furia improvvisa che miete cinicamente i suoi avversari; è extrema ratio, è avviso e incitamento alla conversione, è Parola forte perché in un popolo senza profeti e senza santi il sussurro di Elia non lo sente più nessuno. Chi vi presta orecchio si salva. Chi lo ignora vi resta travolto.

    E’ stata una manovra politica – mi direte – è stato un diversivo di Obama per distogliere dalla catastrofe finanziaria in atto.

    E chi lo nega?

    Quello che affermo è che, se si vuole si può uscire dignitosamente da ogni catastrofe – quelle rare e misericordiose dovute agli interventi di Dio per far giustizia attraverso la natura e la storia; quelle sempre più frequenti e strazianti che nascono dal cuore dell’uomo fatto scimmia di Satana – posto che l’autorità pensi al bene comune, che la gente impari a rinunciare al peccato, che la comunità si organizzi e metta da parte gli egoismi di rito,…

    Irene è passata innocua, ma come affronteremo la crisi ormai imminente senza una schietta conversione?

     

    [SM=g1740771] 


    Fraternamente CaterinaLD

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    00 23/12/2011 15:56

    Enzo Bianchi critica chi collega la tragica situazione della chiesa olandese agli anni del post Concilio. Gli abusi sarebbero avvenuti prima. Perché non ha parlato e scritto nel 2010?

    Clicca qui per leggere il commento che, francamente, mi ha strappato piu' di un sorriso.
    Con tutto il rispetto per Enzo Bianchi, mi chiedo come mai non abbia usato la stessa determinazione e la stessa indignazione per sostenere, lo scorso anno, il Santo Padre accusato di ogni tipo di silenzio ed occultamento. Perche'? Perche'?
    Perche' parla solo ora per difendere la chiesa olandese da quei "cattivoni" dei media che hanno usato parlare degli anni del post Concilio?
    Come mai queste distinzioni temporali non sono state fatte prima?
    Eppure bastava cosi' poco...bastava ricordare a gran voce che la maggiorparte degli abusi si sono verificati ben prima dell'elezione di Papa Benedetto, ben prima della sua nomina a prefetto della CDF, ben prima di quella ad arcivescovo di Monaco...invece silenzio!
    L'anno scorso tutto taceva perche' a tutti faceva comodo che Benedetto XVI facesse da capro espiatorio. Ovviamente non mi riferisco solo ad Enzo Bianchi ma alla maggioranza dei media, dei vescovi, dei cardinali e ad una fetta di semplici cattolici ed a una buona parte dei commentatori.
    Quanto al merito dell'editoriale di Bianchi, mi limito a fare alcune osservazioni.
    Puo' essere vero che la maggiorparte degli abusi si e' consumata prima del Concilio ma e' anche vero che la ultraprogressista chiesa olandese, ben fiera di essere lontana dal Papa di Roma, per orgogliosa della sua autonomia, non ha fatto nulla per denunciare quelle violenze.
    E, naturalmente, le coperture non riguardano solo gli anni precedenti al Concilio ma anche, e soprattutto, quelli successivi.
    E' questo che Papa Benedetto ha denunciato nella Lettera agli Irlandesi.
    Un malinteso senso di misericordia ha permesso e giustificato molte coperture (non gli abusi in se').
    Questo e' il punto! Contro questo inaccettabile perdonismo si e' sempre battuto Joseph Ratzinger e la prova sta nella documentazione risalente al lontano 1988.
    Nel commento di Bianchi non ho letto nemmeno di sfuggita un cenno all'immane lavoro di pulizia operato da Benedetto XVI.
    Peccato ma nessuna sorpresa.
    La colpa degli abusi non e' del pre o post Concilio ma dei preti infedeli e di coloro che li hanno coperti. Punto.
    R.



    [SM=g1740722] un grazie al commento di Raffaella....ma ci aggiungerei dell'altro....

    Enzo Bianchi è semplicemente DISONESTO E ABERRANTE e sta criticando il Papa che così si è espresso nella Lettera alla Chiesa d'Irlanda sull'argomento e che naturalmente vale per TUTTA la Chiesa....
    Gli abusi ci sono sempre stati nella Chiesa è verissimo, ma è DIABOLICO il Bianchi che pretende assolvere il fatto che interpretando in un certo modo il Concilio, i frutti sono stati devastanti, anche immorali... [SM=g1740730] così spiega il Papa:

    4. Negli ultimi decenni, tuttavia, la Chiesa nel vostro Paese ha dovuto confrontarsi con nuove e gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese. Si è verificato un velocissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all'insegnamento e ai valori cattolici. Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali, sono state disattese. Fu anche determinante in questo periodo la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo.
    Il programma di rinnovamento proposto dal concilio Vaticano ii fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt'altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da una buona intenzione ma errata, a evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. È in questo contesto generale che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell'abuso sessuale dei ragazzi, che ha contribuito in misura tutt'altro che piccola all'indebolimento della fede e alla perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti.

    ripetiamo con il Papa:
    è in questo CONTESTO di una falsa interpretazione del Concilio che sono maturati in modo più grave gli abusi sui minori...
    PAROLA DEL PAPA...
    del resto con il Mea Culpa del 2000 la Chiesa fece già richiesta di perdono per gli abusi del passato... manca il mea culpa di oggi, quello che proviene dalla falsa interpretazione del Concilio alla Enzo Bianchi che ha permesso il peggioramento della situazione... [SM=g1740729]



    *************************************

    Enzo Bianchi: un eretico

    (di Francesco Agnoli, Il Foglio) Sono reduce dalla lettura dell’ultimo libro di Enzo Bianchi, Per un’etica condivisa (Einaudi), e non posso non riflettere sulla distanza che esiste tra il pensiero di questo famoso monaco mediatico e l’ortodossia cattolica. L’errore di fondo, che inficia tutto il ragionamento di Bianchi, è quell’ ottimismo mondano che si è insinuato profondamente nel pensiero ecclesiastico e cattolico nell’epoca del post Concilio. Mondano, intendo, perché ignora o sminuisce del tutto l’esistenza del peccato. “Quando la Chiesa, scriveva parecchi anni fa il Cardinal Journet al cardinal Siri, prenderà coscienza sino a che punto lo spirito del mondo è penetrato dentro essa, si spaventerà”.
    Ma come è penetrato questa mentalità, di cui Bianchi è oggi uno dei massimi alfieri? A mio modo di
    vedere all’epoca del Concilio, allorchè in molti si diffuse l’idea che col mondo, inteso in senso evangelico, occorresse trovare un modus vivendi pacifico e conciliante, sempre e comunque. Bisognerebbe anzitutto ritornare a quegli anni, per evitare di costruire leggende e miti come quelli che piacciono ai vari Melloni, Mancuso e, appunto, a Enzo Bianchi: il concilio non fu una pacifica e simpatica riunione di vescovi e periti, tutti in perfetto accordo tra loro, ma fu una lotta dura, che vide la presenza di posizioni problematiche e critiche, rispetto alla volontà di “aggiornamento” e “innovazione”, di molti uomini di grande spessore, dal cardinal Siri, più volte papabile, ai cardinali Ottaviani, Ruffini, Bacci, sino al Coetus Internationalis patrum, formato da centinaia di padri conciliari, e raccolto intorno a mons. Marcel Lefebvre.

    I documenti conciliari sorsero dunque in mezzo alla tempesta, agli scontri, talora veramente aspri, tra “conservatori” e “progressisti”, con correzioni, emendamenti, e ambiguità, inevitabili laddove un documento nasca come mediazione, come compromesso tra posizioni divergenti. A mio modo di vedere, l’ambiguità più grande fu quella sull’atteggiamento da tenere, appunto, rispetto al mondo, allo spirito moderno e alle sue filosofie. Il concilio volle essere pastorale, e quindi soffermarsi proprio e soprattutto, in questo caso senza godere dell’infallibilità, sui modi, le strategie, per una nuova evangelizzazione, efficace e fruttuosa. Il principio guida, che fu indicato da Giovanni XXIII, fu quello di utilizzare, rispetto alla “severità” del passato, la “medicina della misericordia”.

    Ci fu insomma un cambio di passo, che Romano Amerio, oggi riscoperto e finalmente ristampato da Fede & Cultura, commentò tra l’altro con queste profetiche parole: “Questo annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola il fatto che, nella mente della Chiesa, la condanna stessa dell’errore è opera di misericordia, poiché, trafiggendo l’errore, si corregge l’errante e si preserva altrui dall’errore. Inoltre verso l’errore non può esservi propriamente misericordia o severità, perché queste sono virtù morali aventi per oggetto il prossimo, mentre all’errore l’intelletto repugna con un atto logico che si oppone a un giudizio falso. La misericordia essendo, secondo S. theol., II, II, q. 30, a. 1, dolore della miseria altrui accompagnato dal desiderio di soccorrere, il metodo della misericordia non si può usare verso l’errore, fatto logico in cui non vi può essere miseria, ma soltanto verso l’errante, a cui si soccorre proponendo la verità e confutando l’errore. Il Papa peraltro dimezza un tale soccorso, perché restringe tutto l’officio esercitato dalla Chiesa verso l’errante alla sola presentazione della verità: questa basterebbe per sé stessa, senza venire a confronto con l’errore, a sfatare l’errore. L’operazione logica della confutazione sarebbe omessa per dar luogo a una mera didascalia del vero, fidando nell’efficacia di esso a produrre l’assenso dell’uomo e a distruggere l’errore” (Romano Amerio, Iota unum, Fede & Cultura).

    Questo brano magistrale mi sembra possa essere utile per far fronte anche oggi a questo ottimismo mondano, che nasce all’interno del mondo cattolico, e che si presenta con alcune caratteristiche costanti: la condanna più o meno aspra delle decisioni e della pastorale della Chiesa del passato; il ripudio della Tradizione e il tentativo di presentare il Vaticano II come una sorta di nuova Pentecoste, di vero e proprio atto di nascita della cosiddetta “Chiesa conciliare”. Ottimismo mondano di cui il citato Bianchi costituisce uno degli esempi più solari, in quanto espressione di un tipo di cattolicesimo adulterato che ritiene che l’essenziale sia raggiungere una posizione condivisa, una mediazione, un punto di incontro, quale esso sia, tra la Verità di Cristo e le posizioni, anticristiche, del mondo. Se analizziamo il libro citato ne troviamo subito, nell’incipit, il significato di fondo: Bianchi vuole fare pulizia, anzitutto all’interno del mondo cattolico, mettere i puntini sulle i, spiegare quale debba essere il comportamento dei suoi fratelli di fede. Costoro, scrive Bianchi, debbono smetterla di riunirsi in “gruppi di pressione (sic) in cui la proposta della fede non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro, per diventare intransigenza e arrogante contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori”. La lettura del seguito fa capire bene il significato di queste parole, del tutto simili a quelle di un Augias o di un Odifreddi: esse sono una condanna chiara, anche se un po’ ipocrita nelle modalità, della posizione della Chiesa e dei cattolici, riguardo al referendum sulla legge 40 e alla questione dei pacs-dico.

    Una condanna, in generale, di ogni tentativo legale e leale da parte dei cattolici, e non solo, di affermare valori non negoziabili in politica. Bianchi lo ripete più volte, spiegando quello che è ovvio, e cioè che “il futuro della fede non dipende da leggi dello stato”, ma dimenticando che i cattolici, come tutti gli altri cittadini, sono chiamati ad esprimere la loro visione di società, qui e oggi, e non a ritirarsi nelle sagrestie. Il cattolicesimo che Bianchi vorrebbe è invece insignificante e inesistente sul piano culturale e politico, e finisce addirittura per delineare una religiosità amorfa, astratta, spiritualista, che è lontanissima dall’idea originaria del cattolicesimo.

    Ogni scontro e polemica attuale, ogni rinascita odierna dell’anticlericalismo, continua il monaco, è sempre colpa dei credenti, “è sempre una reazione a un clericalismo che si nutre di intransigenza, di posizioni difensive e di non rispetto dell’interlocutore non cristiano”. A parte che non si capisce bene, a leggere queste parole, a quale dibattito abbia assistito Bianchi in questi anni, il punto centrale è un altro: nel togliere al cristianesimo la sua capacità di incarnarsi nella realtà, per plasmarla concretamente, Bianchi finisce per negare cittadinanza al cristianesimo stesso e per scegliere come punto di riferimento assoluto e ingiudicabile, quasi metafisico, la Costituzione repubblicana. Da essa deriverebbe, udite, udite, “l’assoluto diritto dello stato di legiferare su tutte quelle realtà sociali fondate o meno sul matrimonio (sia religioso che civile)”. “Diritto assoluto”, scrive Bianchi: una affermazione, a ben vedere, che oggi, dopo l’esperienza delle statolatrie totalitarie, neppure il più laicista tra i giuristi arriverebbe, almeno nella teoria, a sostenere. In tutto il suo argomentare Bianchi annulla il concetto di Verità, affermando un relativismo pieno; sostiene la perfetta equivalenza tra fede e ateismo (“l’uomo può essere umanamente felice senza credere in Dio, così come può esserlo un credente”); nega di fatto in più passaggi, con linguaggio equivoco, ma chiaro, il primato petrino, a vantaggio del “primato del Vangelo”, e propone come unico riferimento del suo argomentare, da buon protestante, solo e soltanto la bibbia, la sua “lettura personale e diretta” (sic), etsi Ecclesia non daretur.

    “Per un’etica condivisa” è appunto un inno ad un “modo”, ad uno “stile”, al “come”, con cui i cristiani dovrebbero presentarsi oggi ai non credenti: un modo, uno “stile”, inaugurato dal Concilio Vaticano II, che sarebbe “importante quanto il messaggio”. Coerentemente, in tutto il libro manca, appunto, il messaggio! Non vi è mai una affermazione chiara di una verità teologica o morale: si parla di “etica condivisa”, si lanciano sfrecciatine piuttosto velenose ai cattolici, al centro destra, a Berlusconi, a Maroni, a Mel Gibson, a Ferrara, come fossero loro i problemi della cristianità, ma poi non si arriva mai ai contenuti: tutto puro stile, buonismo a buon mercato, mai una parola, una posizione, quale che sia, sulla clonazione, la fecondazione artificiale, le famiglia, l’eutanasia, la sessualità, e tutti i problemi più scottanti dell’etica odierna. Al massimo qualche vago riferimento alla pace, e un accenno, velatissimo, per carità, alla 194, la legge che legalizza l’aborto, ricordando però, anzitutto e soprattutto, che i cattolici dovrebbero rispettare ogni legge nata dal “confronto democratico”, e proclamata, lo si ricordi, da quello Stato che ha potere “assoluto” di vita e di morte.

    A Bianchi sfugge, come avrebbe detto Amerio, che lo stile è questione secondaria, nel senso che viene dopo, logicamente e non cronologicamente, perché l’Amore procede dalla Verità, e non viceversa. Gli sfugge, inoltre, che il suo irenismo indifferentista e relativista è stato già bollato da san Pio X, allorché deprecava quanti alla sua epoca si adoperavano per un “adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai per i miscredenti”, all’apparenza, ma in realtà priva di vera misericordia, perché spoglia di verità. A chi continuava a sponsorizzare una “conciliazione della fede con lo spirito moderno”, Pio X indicava il crocifisso, e ricordava che certe idee “conducono più lontano che non si pensi, non soltanto all’affievolimento, ma alla perdita totale della fede”. Perché se io non fossi un credente, e leggessi, per cercavi una parola di verità, il libro di Bianchi, arriverei alla conclusione che la verità non esiste, e che la mia sete di verità è roba da persone senza “stile”. Caro Bianchi, la verità, nella carità, mi dice sempre un’amica pro life, ma: la verità, per carità! Questo è l’unico stile, della Chiesa, di Cristo e del suo Evangelo, cioè della buona novella (vede che la novella, il messaggio, è importante?) (Il Foglio, 26 aprile 2009).

    [SM=g1740733]



    [Modificato da Caterina63 22/01/2012 19:05]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 31/12/2011 09:31
    “Non c’era posto per loro”… nella cattedrale

    Gesù, Maria, Giuseppe…

    “Non c’era posto per loro”… nella cattedrale

        di Antonio Socci
     

    Benedetto XVI, nella messa di mezzanotte di Natale, quest’anno, ha pronunciato un’omelia tutta incentrata su san Francesco per la sua meravigliosa “invenzione” del presepio, a Greccio, nell’anno 1223. Spiegando che quell’umile rappresentazione coglie il cuore del cristianesimo.

    Incredibilmente, proprio quest’anno, il vescovo di Rieti, che è il vescovo di Greccio – cioè del luogo dove Francesco inventò il presepio – ha deciso: niente più storico presepio nella cattedrale.
    Gesù bambino, la Madonna, san Giuseppe, con i pastori e i magi… Come a Betlemme duemila anni fa, “non c’era posto per loro” nella cattedrale di Rieti.

    Negli anni scorsi su queste pagine più volte abbiamo criticato certe crociate ideologiche contro il presepio, soprattutto nelle scuole, dovute a professori o presidi imbevuti di “politically correct” che consideravano quella tradizione cristiana una discriminazione verso alunni di religione islamica.
    Ma non era mai capitato che fosse un vescovo ad “abolire” il presepio e soprattutto sta facendo clamore – nella rete – il fatto che si tratti proprio del vescovo di Greccio.

    PAROLE SCONCERTANTI

    Più ancora della decisione in sé, hanno sconcertato le motivazioni che sono state fornite dal settimanale diocesano di Rieti per giustificare la scelta.
    La toppa è stata molto peggiore del buco.
    Infatti il giornale ha scritto che si tratta di “una scelta di sobrietà” e “un segno tangibile di condivisione”. Condivisione di cosa? Con chi? Il presepio lo fanno tutti. E poi perché “scelta di sobrietà”?
    In omaggio al governo Monti, “sobrio” per definizione? Siamo a tal punto alla mercé delle mode politiche da svendere il presepio?

    Allora il papa che anche quest’anno (come tutti i parroci della Chiesa Cattolica) ha fatto allestire il presepio in piazza San Pietro non avrebbe fatto una scelta “sobria” e “di condivisione”?
    La Curia reatina sembra considerare il presepio un segno di “edonismo”. Ma ignora – proprio lei – la storia del presepio? Esso nasce dal santo della povertà come segno di amore al Salvatore da parte dei più poveri e dei più semplici.
    L’ineffabile settimanale diocesano reatino sostiene che sarebbe “superficiale” (oltreché “edonista”) chi giudicasse criticamente la cancellazione del presepio.
    Dunque la Curia reatina – unica nella cristianità – avrebbe dato un segno di profondità e di ascesi? Negando il presepio ai fedeli?
    Il giornale diocesano dice che dobbiamo “contribuire a recuperare risorse”. Abolendo il presepio? Non sarebbe un risparmio maggiore abolire il giornale diocesano visto che – anche in questo numero – sembra preoccupato soprattutto di difendere le esenzioni dall’Ici della Chiesa?
    Il settimanale motiva la “cancellazione” del presepio invitando a “rinunciare a quello che ci sembra necessario per concentrarci su quello che è essenziale”.
    Ebbene, la difesa dell’esenzione dell’Ici sarà “necessaria” per la Chiesa, ma davvero non sembra “l’essenziale” della sua missione nella storia. Oppure tutto si è capovolto?

    GESU’ CACCIATO

    Un fedele ha scritto: “La Cattedrale senza presepe non è per nulla più sobria, è solo più brutta, e la bruttezza non salverà certo il mondo… se si deve rinunciare ad usare la bellezza per parlare al mondo di Dio, cosa che costituisce l’unica ragione di essere di una cattedrale, allora è la cattedrale ad essere superflua”.
    In realtà dal 1997, su direttiva dei vescovi, è stato sfrattato dalle chiese italiane lo stesso Gesù eucaristico (si è infatti imposto di relegare il tabernacolo in qualche sgabuzzino) per cui non c’è da sorprendersi che ora venga sfrattato anche il presepio.
    C’è il rischio che quello di Rieti sia solo l’inizio di un altro crollo a catena.
    Notevole è un altro sofisma della Curia reatina, secondo cui “l’assenza in questo caso vale più della presenza”.
    Un lettore ha ribattuto: “Non ho parole… nemmeno il governo Monti nella manovra pensioni ha avuto il coraggio di usare boutade di questo genere…”.
    Del resto se questa “assenza” voleva essere una “provocazione” alla serietà della fede ha risposto a tono Riccardo Cascioli, sul giornale cattolico online La bussola quotidiana: “Chissà che bella provocazione alla nostra fede quella domenica che entrando in chiesa, trovassimo l’avviso: ‘La messa non si celebra per richiamare all’essenziale’. Chissà quante conversioni fulminanti”.

    SOBRIETA’ E ROTARY

    Dei lettori di Rieti ci scrivono mail indignate: “il vescovo vuole che teniamo solo l’essenziale e cancelliamo via, per ‘sobrietà’ e ‘solidarietà’, tutto ciò che non è essenziale. Sarà per questo che quest’anno è andato al Rotary Club di Rieti a ricevere il Premio ‘Sabino d’oro’ consistente in una placca d’argento dorato su cui è incisa l’immagine di un Guerriero Sabino stilizzato? Era proprio essenziale per la fede?”.

    Dal reatino ci segnalano altre iniziative con cui quest’anno la Chiesa di Rieti ha mirato all’ “essenziale”.
    Per esempio, durante i festeggiamenti di S. Antonio, conclusi dalla solenne celebrazione del vescovo, segnalano – oltre all’illuminazione delle maggiori vie cittadine (fatta forse per “recuperare risorse”) – l’”essenziale” festa del “Bertoldo show”, lo spettacolo dell’Orchestra Sonia e il Duo di Pikke, il fondamentale (per la fede) spettacolo “Pizzica e Taranta” con i tamburellisti di Torrepaduli, il concerto della Rino Gaetano band, quello della banda di Poggio Bustone, l’imperdibile (per il bene delle anime) concerto Erosmania, con Antonella Bucci e il comico Gabriele Cirilli, per non dire della distribuzione della “tradizionale cioccolata calda” che è un tocco di ascesi e di spiritualità.
    Il tutto concluso dalla processione solenne col vescovo seguita, a ruota, dallo spettacolo pirotecnico della ditta pirotecnica Morsani.
    E dopo ciò invocano la “sobrietà” per far fuori il presepe.
    Si dirà: suvvia, quello della Curia di Rieti è stato uno sbaglio, ma non facciamola lunga, in fondo è solo un presepio. E’ vero.

    MENTALITA’ PROTESTANTE

    Ma dietro questa scelta in realtà fa capolino una mentalità purtroppo assai diffusa nel mondo ecclesiastico-episcopale, la quale intimamente disprezza la devozione popolare, ritenendola preconciliare e fastidiosamente “materialista”, mentre sarebbe da preferire una presunta purezza della spiritualità incarnata dai discorsi degli “addetti ai lavori” (da qui anche l’ostilità verso santi popolari come padre Pio o verso realtà come Medjugorije).
    Ora, a parte la somiglianza di questa mentalità clericale, un po’ iconoclasta, con quella protestante, c’è da dire che il presepio e la venerazione dei santi e della Madonna sono quanto c’è di più cattolico, proprio perché esprimono il desiderio di toccare con mano e vedere il Dio che si fa uomo e che entra nella carne della nostra vita, si prende sulle spalle le nostre sofferenze e le nostre miserie.

    LA LEZIONE DEL PAPA

    E’ precisamente per questo che il papa, la notte di Natale, ha pronunciato quella poetica meditazione sul presepio di san Francesco a Greccio, dove si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale”.
    Francesco di Assisi “baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano … attraverso di lui e mediante il suo modo di credere” ha aggiunto il papa “è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù… Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio”.

    Il Papa ha concluso:

    Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. .. ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato”.

    Da “Libero”, 30 dicembre 2011


    Si legga anche qui:

    Mons. Lucarelli, Vescovo di Rieti, abolisce il presepe in cattedrale. VERGOGNA!

    Di seguito le vibranti parole di Andra Tornielli e la sua pacata ma ferma invettiva contro il Vescovo di Rieti, Mons. Lucarelli, contro l'arciprete e il clero della cattedrale per la scandalosa e vergognosa (queste sono parole nostre) decisione di non preparare lo storico presepe nella cattedrale e per le assurde e ridicole pseudo motivazioni.
    Riportiamo alcuni brani dell'articolo del Vaticanista de LaStampa, che potrete leggere nella versione integrale nel suo blog "Sacri Palazzi" a questo link.
    Roberto

    **************************

    Riflessione:
    [SM=g1740733] Eccellenza Reverendissima, mons. Lucarelli...  
    oggi è morto "don" Verzè, travolto dagli scandali, sospeso a divinis....  
    quanto siamo fragili Eccellenza! Eppure, quanta forza ci viene da quel Divino Bambino che ogni Famiglia rievoca ad ogni SUO Natale nelle proprie Case....  
    Ci rifletta!  
    Lei non è il padrone della Cattedrale, ma il custode.... ci rifletta!  
    Buon Natale e Buon Anno!




    Cari Vescovi.... non ne possiamo più delle vostre opinioni dissociate dalla Tradizione e dall'insegnamento del Papa... [SM=g1740749]
    e come ricordava Giovanni Paolo II: CONVERTITEVI!! prima o poi arriverà il giudizio di Dio!! [SM=g1740733]

    **************

    attenzione, c'è un aggiornamento:

    AGGIORNAMENTO
    Sembrerebbe che ad essere stato "eliminato" è lo storico presepe monumentale. La "rettifica" proviene dal sito
    Cantuale Antonianum "
    Niente presepio a Rieti? Ma è proprio così...?"

    Sembra che un presepe sia stato preparato (SOLTANTO) il 23 dicembre sui gradini del presbiterio in fretta e furia dopo -parrebbe- le proteste dei fedeli.


    A conferma alleghiamo una mail che il segretario del Vescovo ha inviato ad un sacerdote, nostro lettore, in risposta alla sua nella quale manifestava il proprio disappunto e la sua indignazione per la notizia della mancanza del presepe storico in Cattedrale:


    Rev.do don B.A.,

    Le scrivo in ordine alla e-mail ricevuta questa mattina, con la quale manifestava il suo disappunto per il mancato allestimento del Presepe in Cattedrale.
    Tempestivamente Le rispondo che Le è giunta una notizia errata in quanto il Presepe che presenta la scena della Natività del Signore Gesù con Sua Madre Maria e Giuseppe contornata da pastori e altri personaggi (secondo tradizione) è stato realizzato nel Duomo dal 23 dicembre.
    La "polemica", amplificata dai media, di cui presumibilmente è venuto a conoscenza, è nata dal fatto che il Presepe differentemente dagli anni passati non è stato realizzato in una cappella laterale della Basilica dove venivano utilizzati "effetti" di luci, ruscelli e suoni.
    Il richiamo all'essenziale non è riferito al mistero dell'Incarnazione, ma all'apparato che lo ricorda.
    La saluto con cordialità augurandole ogni bene dal Signore Gesù.
    Don Emmanuele
    Segretario del Vescovo

    Roberto
    [Modificato da Caterina63 31/12/2011 16:29]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 20/01/2012 21:34

    Caro mons. Urso, sulle coppie gay si sbaglia


    di Massimo Introvigne



    18-01-2012





    Eccellenza Reverendissima mons. Paolo Urso, vescovo della bella città siciliana di Ragusa,

    Le indirizzo questa lettera aperta dopo avere letto non solo la Sua discussa e ormai famosa intervista al Quotidiano.net – uscita con il titolo «Il vescovo Urso: “Lo Stato riconosca l’unione gay”» –, ma anche le precisazioni che ha ritenuto opportuno fornire al sito locale Ragusa News.

    La ringrazio, anzitutto, per le precisazioni. Mi fa piacere leggere che come pastore condivide la posizione del «Catechismo della Chiesa Cattolica» e del Magistero in genere, e ribadisce che «quella dell’omosessualità è oggettivamente una cosa disordinata». Lei ha ragione: non si deve confondere l’accoglienza e l’accompagnamento delle persone omosessuali, che fanno parte della grande misericordia e capacità di ascolto della Chiesa, con gli atti omosessuali, che rimangono «oggettivamente disordinati». Considerata la grande confusione che regna sul punto, affermare che quello degli omosessuali è semplicemente «un percorso differente» può forse prestarsi a interpretazioni ambigue. Ma aiuta a fare chiarezza la Sua precisazione che «Gesù avvicinava le prostitute, i peccatori, ma non per questo li condivideva».

    D’accordo, dunque. E non mi verrebbe mai in mente di mettermi a dare lezioni di morale a un vescovo. Come ho scritto ad altro proposito su questo giornale, nutro viva antipatia per chi tira i vescovi per la veste episcopale cercando d’insegnare ai presuli a fare il loro mestiere.
    Tuttavia, nella Sua intervista, Lei fa una distinzione che mi permette, sempre – ci mancherebbe altro – con il dovuto rispetto dovuto a un successore degli Apostoli, d’intervenire come laico. Afferma infatti che altro è il giudizio morale, altra è la valutazione politica, su cui Ella si esprime come cittadino italiano. In quanto cittadino, «educato alla laicità dello Stato», Lei afferma che lo Stato deve riconoscere le unioni di fatto: «Uno Stato laico come il nostro non può ignorare il fenomeno delle convivenze, deve muoversi e definire diritti e doveri per i partner. Poi la valutazione morale spetterà ad altri».

    E questo riconoscimento dovrebbe estendersi anche alle unioni omosessuali. «Quando due persone decidono, anche se sono dello stesso sesso, di vivere insieme, è importante che lo Stato riconosca questo stato di fatto. Che va chiamato con un nome diverso dal matrimonio, altrimenti non ci intendiamo».

    Qui, naturalmente, non stiamo più parlando di teologia morale – di cui i vescovi sono per definizione maestri – ma di politica, un ambito dove l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale, come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II, è compito primario dei laici. Non mi sembra dunque di commettere un’invasione di campo segnalandoLe alcuni elementi di fatto e di principio che sembrano militare oggettivamente contro la Sua posizione.

    Parto da un tema di fatto. È apprezzabile che Lei ribadisca che, comunque, una unione omosessuale non è un matrimonio, e che se si arrivasse a chiamare «matrimonio» un’unione fra persone dello stesso sesso questo causerebbe seri problemi sociali. Di fatto, tuttavia, la maggioranza dei Paesi che hanno concesso forme di riconoscimento alle unioni fra persone dello stesso sesso hanno poi introdotto leggi che hanno effettivamente creato un «matrimonio» omosessuale, chiamato proprio con questo nome. Il Magistero cattolico ha parlato più volte di una «legge del piano inclinato»: se si apre la porta al riconoscimento di queste unioni con il nome di PACS, DICO o simili, il matrimonio è dietro l’angolo come tappa successiva.

    Mi permetto di consigliarLe la lettura del libro sul matrimonio omosessuale del filosofo francese Thibaud Collin. Collin si definisce un sostenitore pentito dei PACS (Patti Civili di Solidarietà), nati in Francia e da qui esportati in tanti altri Paesi. Aveva accettato i PACS, scrive, perché lo avevano convinto che questi erano l’alternativa al matrimonio omosessuale, che Collin considera un rischio mortale per la famiglia. Date agli attivisti omosessuali i PACS, gli dicevano i suoi amici: avranno risolto i loro problemi, e non chiederanno più il matrimonio. Senonché non si era ancora asciugato l’inchiostro della firma dell’allora presidente Jacques Chirac sulla legge sui PACS che già quegli stessi che avevano usato questo argomento si affrettavano a presentare proposte di legge per il matrimonio omosessuale, che hanno fatto il loro cammino e ora ritornano nella campagna elettorale francese. Dunque mentivano: i PACS (o DICO, o come altro li si chiami) non sono l’alternativa ma l’apripista al matrimonio omosessuale. Dopo il quale verranno – la Gran Bretagna insegna – il diritto delle coppie gay ad adottare bambini, e l’obbligo per gli enti anche privati (compresi quelli cattolici, a pena di chiusura) che si occupano di adozioni a non discriminare fra coppie etero e omosessuali quando si tratta di scegliere a chi dare in adozione un bambino. «Legge del piano inclinato», appunto.

    In realtà, lo scivolamento sul piano inclinato comincia prima del riconoscimento delle coppie omosessuali. Comincia quando si riconoscono le coppie di fatto, anche se composte da persone di sesso diverso. Contrariamente a quanto Lei afferma, questo riconoscimento è una vera minaccia per il matrimonio. Il 12 gennaio 2006 il Papa ha ricordato agli amministratori di Roma e del Lazio che è «un grave errore oscurare il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei quali non vi è, in realtà, alcuna effettiva esigenza sociale». L’11 gennaio 2007, parlando di nuovo agli stessi amministratori romani e laziali, Benedetto XVI è tornato sul punto, definendo «pericolosi e controproducenti quei progetti che puntano ad attribuire ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, finendo inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia legittima fondata sul matrimonio».

    Temerei di annoiarla, eccellenza, elencando le molte altre volte in cui il Pontefice ha ripetuto lo stesso concetto. Questi riconoscimenti sono «impropri», «pericolosi», «controproducenti»; destabilizzano i matrimoni; sostenerli è un «grave errore». Ma forse il Papa continua a ripetere le stesse cose perché molti non le ascoltano.

    Quanto poi al riconoscimento delle unioni omosessuali, nel discorso di auguri natalizi alla Curia romana – come sa, un genere letterario che offre sempre l’occasione al Pontefice per interventi particolarmente importanti – del 22 dicembre 2006, Benedetto XVI ha osservato che il problema è ancora più grave, perché tocca la natura stessa della persona umana. In effetti, tali riconoscimenti non propongono nulla di meno che «la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso. Con ciò vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui l’uomo – cioè il suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe autonomamente che cosa egli sia o non sia. C’è in questo un deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l’uomo, volendo emanciparsi dal suo corpo – dalla “sfera biologica” – finisce per distruggere se stesso».

    Anche in questo caso, il Papa ha risposto all’obiezione consueta, che ormai suona come un disco rotto, secondo cui la laicità dello Stato imporrebbe tali riconoscimenti, e la Chiesa dovrebbe tacere. «Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo? Non è piuttosto il loro – il nostro – dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio?».

    Ecco, Eccellenza, Lei è noto ai Suoi diocesani per alzare la voce per molte cause, fra cui nella recente intervista ricorda come a Lei particolarmente care la lotta contro la base NATO di Comiso e quella per un «raccordo stradale migliore tra Ragusa e Catania». Quest’ultima causa è certamente popolare a Ragusa. Ma, vedendo le cose da più lontano, mi piacerebbe – con il dovuto rispetto – che ci fosse un raccordo migliore pure fra le Sue prese di posizione sul riconoscimento delle unioni di fatto, anche – o in particolare – fra persone dello stesso sesso, e quelle del Magistero pontificio: a chiarezza ed edificazione dei cattolici, a illuminazione della politica che ne ha tanto bisogno, e a maggior gloria di Dio, anche sociale.

    [SM=g1740771]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 20/03/2012 23:14
    perchè suocera intenda....?
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    Diario Vaticano / Preti contro il celibato. In Austria si replica
    La prima ondata di disobbedienza tra il clero è di un secolo fa. Roma reagì con durezza e tutto finì con un piccolo scisma. Il cardinale Brandmüller propone che si faccia così anche oggi, contro i nuovi ribelli

    di ***

    CITTÀ DEL VATICANO, 20 marzo 2012 – “Come nacque uno scisma”: è questo il titolo di un articolo apparso nei giorni scorsi su "L'Osservatore Romano" a firma del cardinale bavarese Walter Brandmüller (nella foto).

    Un articolo di taglio storico ma con espliciti riferimenti all’attualità.

    Un articolo che fin dall’inizio si richiama al movimento antiromano "Los von Rom", nato in Austria tra l'Ottocento e il Novecento, che "riuscì a spingere circa centomila cattolici austriaci ad allontanarsi dalla Chiesa".

    Questo movimento – prosegue il cardinale entrando nell'attualità – "venne ripreso all'indomani del Concilio Vaticano II". Ma non solo. "Tendenze analoghe sembrano di tanto in tanto riemergere anche ai nostri giorni in taluni appelli alla disobbedienza nei confronti del papa e dei vescovi".

    L'evidente riferimento del cardinale è a quanto sta succedendo a Vienna e dintorni con la "Pfarrer Initiative" promossa nel 2006 da monsignor Helmut Schüller – fino al 1999 vicario generale del cardinale Christoph Schönborn nella capitale austriaca e già presidente della Caritas nazionale – che ha tra i suoi obiettivi qualificanti l’abolizione del celibato e il reintegro nell’esercizio sacerdotale di preti “sposati” e concubini.

    Questo movimento è sostenuto da oltre 400 tra preti e diaconi ed ha lanciato una aperta “Chiamata alla disobbedienza” nei confronti di Roma che vuole allargarsi al di là dei confini austriaci creando una rete internazionale. Vi hanno già aderito frange di clero in Germania, Francia, Slovacchia, Stati Uniti, Australia. In Irlanda, lo scorso ottobre, si è recato lo stesso Schüller, per far proseliti.

    L’iniziativa è seguita in Vaticano con parecchia apprensione, tanto che ad essa è stata dedicata lo scorso 23 gennaio una riunione riservata tra una rappresentanza dei vescovi austriaci e i vertici dei più importanti dicasteri romani. All’incontro, che si è svolto nel palazzo del Sant’Uffizio, hanno preso parte per l'Austria il cardinale Schönborn, l’arcivescovo di Salisburgo Alois Kothgasser, i vescovi di Graz e Sankt Polten, Egon Kapellari e Klaus Küng. Mentre per il Vaticano c’erano, tra gli altri, i cardinali prefetti della congregazione per la dottrina della fede, William J. Levada, dei vescovi, Marc Ouellet, e del clero, Mauro Piacenza.

    Il cardinale Schönborn, assieme ad altri vescovi, ha preso fermamente le distanze dalla "Pfarrer Initiative" criticando sia la forma che i contenuti dell'appello. Finora comunque non ha promosso azioni canoniche contro di essa.

    Ma torniamo allo scritto del cardinale Brandmüller.

    L’articolo analizza inoltre lo scisma che si consumò in Boemia dopo la prima guerra mondiale col movimento di protesta "Jednota". Che aveva anch'esso come suo cavallo di battaglia "l’abolizione dell’obbligo del celibato". E che aveva come leader Bohumil Zahradnik, "sacerdote e romanziere, che dal 1908 viveva in rapporto matrimoniale illegittimo".

    Lo scisma portò l’8 gennaio 1920 alla proclamazione di una “Chiesa cecoslovacca”. Ma quello che più interessa al cardinale è l’analisi di come la Santa Sede guidata da Benedetto XV reagì a quella ribellione del clero boemo.

    La causa principale fu individuata nella "formazione insufficiente del clero nei decenni precedenti, dal punto di vista sia teologico sia spirituale", dalla quale era derivata "una crisi che scuoteva la fede cattolica nelle sue fondamenta".

    Da qui il rifiuto, da parte di Roma, di ammansire i preti ribelli con concessioni. Il Sant'Uffizio li colpì "immediatamente" con la scomunica, ottenendo dai vescovi il pieno appoggio. E Benedetto XV troncò ogni illusione circa un allentamento della "sacrosanta e oltremodo salutare" legge del celibato.

    Così lo scisma interessò alla fine solo una piccola frazione dei cattolici boemi. Conclude l'autore dell'articolo: "Questo modo di agire della Santa Sede, non determinato da riflessioni politiche e pragmatiche, ma soltanto dalla verità della fede", si è rivelato "l’unico giusto" da seguire.

    Qui si ferma la riflessione di Brandmüller, che su "L'Osservatore Romano" viene qualificato semplicemente come "cardinale diacono di San Giuliano dei Fiamminghi", ma che è molto in più. Accademico, per quasi trent'anni professore di storia della Chiesa medievale e moderna all’Università di Augsburg, dal 1998 al 2009 ha presieduto la pontificia commissione di scienze storiche, di cui era entrato a far parte nel 1981, chiamato a subentrare a Hubert Jedin, il grande storico del Concilio di Trento scomparso l’anno precedente.

    Nato nel 1929, Brandmüller è stato sempre molto stimato dal collega professore e conterraneo bavarese Joseph Ratzinger che, diventato Benedetto XVI, lo ha conservato alla guida del comitato fino al compimento degli 80 anni e lo ha voluto onorare del cardinalato nel concistoro del 20 novembre 2010.

    Grande esperto di storia dei Concili, Brandmüller non disdegna la dotta polemica, come quando con un articolo apparso il 13 luglio 2007 contemporaneamente su "L'Osservatore Romano" e sul quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire" criticò a fondo l’impostazione dell’opera “Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta” curata dalla scuola storiografica di Bologna.

    Né egli disdegna di parlare dell’oggi richiamando le analogie col passato. Come avviene nell’articolo sul quotidiano vaticano dell’11 marzo 2012, che è riprodotto integralmente qui di seguito.

    Che poi in questo caso la storia possa diventare davvero “magistra vitæ”, e che Benedetto XVI voglia ripetere oggi – nei confronti della "Pfarrer Initiative" e di altri movimenti di preti ribelli – i passi compiuti da Benedetto XV quasi un secolo fa, è... un’altra storia.

    __________



    COME NACQUE UNO SCISMA

    di Walter cardinale + Brandmüller


    "Senza Giudea, senza Roma costruiamo il Duomo tedesco". Così sosteneva il movimento del cavaliere Georg von Schönerer per il distacco dalla Chiesa di Roma, "Los von Rom", nato a cavallo tra il XIX e il XX secolo in Austria. Si fondava su idee pangermaniste, anticlericali e antisemite. Da tale serbatoio ideologico attinsero poi anche i nazionalsocialisti.

    Di fatto, all’epoca, l’intensa propaganda, appoggiata dall’associazione protestante tedesca "Gustaf Adolf Verein", nel giro di quasi un decennio riuscì a spingere circa centomila cattolici austriaci ad allontanarsi dalla Chiesa.

    Mezzo secolo dopo, all’indomani del Concilio Vaticano II, questo movimento venne ripreso. E tendenze analoghe sembrano di tanto in tanto riemergere anche ai nostri giorni in taluni appelli alla disobbedienza nei confronti del papa e dei vescovi.

    *

    [Più a nord,] furono il disfacimento della monarchia asburgica e la creazione della Repubblica Cecoslovacca, il 28 ottobre 1918, a fare esplodere le tensioni, già da tempo virulente, di gran parte del clero ceco dalle idee nazionaliste, a favore dell’emancipazione dal mal sopportato dominio statale ed ecclesiastico austriaco.

    Ben presto prese a delinearsi il programma del movimento di protesta Jednota, entità che già esisteva dal 1890. All’inizio era rivolto contro l’episcopato fedele agli Asburgo. Poi passò a voler realizzare "una Chiesa nazionale democratizzata e nazionalizzata indipendente da Roma" [così Emilia Hrabovec in "Der Heilige Stuhl und die Slowakei 1918-1922 im Kontext internationaler Beziehungen", 2002]. A ciò si aggiunse la richiesta di una liturgia nella lingua nazionale, di una semplificazione della preghiera del breviario e – soprattutto – dell'abolizione dell’obbligo del celibato.

    Poiché a Praga ancora non esisteva una rappresentanza vaticana, verso la fine del febbraio 1919 il nunzio a Vienna, Teodoro Valfrè di Bonzo, decise di recarsi a Praga per farsi un’idea personale della situazione. Tra l’altro, già prima di ciò, l’irreprensibile arcivescovo di Praga, il non autoctono conte Pavel Huyn, aveva ricevuto istruzioni dal cardinale segretario di Stato, Pietro Gasparri, di abbandonare la sua sede e di non ritornarvi. A portare a ciò erano state motivazioni prettamente politiche.

    Dunque il nunzio si recò a Praga, dove incontrò anche i dirigenti di Jednota. Gli fu presentato un elenco di richieste, stilato da Bohumil Zahradník, sacerdote e romanziere, che dal 1908 viveva un rapporto matrimoniale illegittimo, e che il governo aveva chiamato a capo della sezione per la Chiesa del ministero dell’istruzione.

    Le richieste riguardavano soprattutto l’abolizione del diritto di patronato dell’aristocrazia, la scelta dei vescovi da parte del clero e del popolo, la dotazione economica del clero, l’uso della lingua ceca nella liturgia, la democratizzazione della costituzione ecclesiastica, ma, soprattutto, l’abolizione del celibato e degli abiti clericali.

    Di fatto, con la fine della monarchia, il diritto di patronato dell’aristocrazia era diventato obsoleto, e la nomina di vescovi autoctoni cechi o slovacchi era certamente in linea con la visione di Benedetto XV.

    Anche la questione della lingua usata nella liturgia poteva essere presa in considerazione, mentre la situazione economica dei sacerdoti esulava dalla competenza di Roma.

    Tutto il resto, però, era inconciliabile con la fede e con il diritto della Chiesa. Il nunzio non aveva spazio di trattativa. Perciò anche la delegazione di Jednota, che verso la metà di giugno del 1919, d’accordo col governo e a spese di quest’ultimo, si recò a Roma per essere ricevuta dal papa, non ebbe alcun successo.

    In ogni modo, la nomina ad arcivescovo di Praga dello stimatissimo professore ceco František Korda?, nel settembre 1919, fu la risposta a una giustificata attesa. Proprio qui, però, si rivelò il vero volto degli agitatori, ai quali non interessava solo la nomina di un ceco a capo dell’arcidiocesi di Praga – una richiesta del tutto lecita e riconosciuta da Roma – ma anche di avere un vescovo secondo il loro desiderio e le loro idee.

    Infatti, non appena fu resa pubblica la nomina di Korda?, dalle idee sinceramente nazionali ceche, ma altrettanto sinceramente cattoliche e fedeli al papa, si sollevò contro di lui un’ondata di malumore da parte dei riformisti, i quali potevano contare sull’appoggio del governo di orientamento laicista.

    L’esito della missione a Roma della delegazione di Jednota, ritenuto da molti insoddisfacente, comportò tra il clero una divisione degli animi. La facoltà teologica dell’università Carlo IV di Praga prese le distanze dal suo decano, che aveva fatto parte della delegazione.

    In una parte si ebbe una radicalizzazione, il cui nocciolo duro era costituito da un gruppo che si chiamava Ohnisko, punto focale. I suoi membri, ben prima del viaggio a Roma, erano decisi a mettere in pratica le loro richieste di riforma anche nel caso di un rifiuto da parte della Santa Sede.
    Pertanto, nell’agosto 1919 esortarono i sacerdoti a contrarre pubblicamente matrimonio. Uno dei primi a farlo fu il già citato Zaradník, che con un matrimonio civile non fece altro che legalizzare un concubinato che andava avanti da anni. I preti che seguirono il suo esempio furono assunti in prevalenza al servizio dello Stato, e a settembre furono consegnate al nunzio a Vienna milleduecento richieste di dispensa dal celibato da parte di sacerdoti.

    Poi, sotto l’influenza di un nuovo governo anticlericale, si arrivò a una ancor più aspra radicalizzazione di Jednota, i cui protagonisti si avviarono decisi verso lo scisma. "La questione del celibato si dimostrò ancora una volta una delle molle più forti del movimento scismatico" (Hrabovec). L’8 gennaio 1920 fu proclamata la “Chiesa cecoslovacca”, e poco dopo fu scelto un suo "patriarca" nella persona del sacerdote Karel Farský.

    Come mostra il censimento del 1921, a questa Chiesa aderì il 3,9 per cento dei cechi, mentre il 76,3 rimase fedele alla Chiesa cattolica. Nove anni dopo, il 5,4 per cento aderiva allo scisma e il 73,5 per cento alla Chiesa cattolica. Oggi, la comunità che si definisce Chiesa ceca-hussita dovrebbe avere circa 100 mila membri. Fin qui i fatti storici.

    *

    Ora occorre però domandarsi come la Santa Sede reagì a questi sviluppi. È interessante osservare che il nunzio Valfré di Bonzo per prima cosa ricercò i motivi che avevano portato a tutto ciò.

    L’analisi del nunzio non si fermò certo alla superficie. Indubbiamente egli riconobbe anche in quale misura il movimento di protesta fosse dovuto al risentimento antiasburgico e antiromano di ampie cerchie ceche, nutrito dalla glorificazione di Jan Hus quale simbolo del sollevamento nazionale contro Roma, e in che modo esso rispecchiasse le tendenze generali alla secolarizzazione della società post-bellica.

    Individuò le cause principali dell’allontanamento di questi sacerdoti, però, nella formazione insufficiente del clero nei decenni precedenti, dal punto di vista sia teologico sia spirituale, dalla quale era poi derivata l’incapacità, da parte di tanti, di resistere alle idee di progresso nazionaliste e liberali dominanti.

    Dal punto di vista attuale bisogna aggiungere che ebbero una certa influenza anche le idee del cosiddetto cattolicesimo riformista tedesco. D’altronde, il movimento di riforma non era cosa di professori o intellettuali, ma del clero semplice di campagna. Il successivo sviluppo della Chiesa nazionale ceca testimonia anche la forte influenza del modernismo. Così, per esempio, il catechismo compilato da Karel Farský affermava che Gesù era figlio di Dio solo nel senso in cui tutti gli uomini sono figli di Dio. Gesù non era Dio, bensì il più grande tra i profeti.

    Fu facile capire come il problema affondasse le sue radici più in profondità e non solo a livello di una qualche riforma pratica, disciplinare. È evidente che grandi parti del clero stavano attraversando una crisi che scuoteva la fede cattolica nelle sua fondamenta. Il catechismo di Farský del 1922 confermò questa diagnosi.

    A Roma si comprese, in breve, tutta la gravità della situazione. Esisteva il pericolo acuto di "un rimodellamento della Chiesa cattolica secondo il modello presbiterale-sinodale, in una organizzazione ecclesiastica nazionale costruita dal basso, dotata di ampia autonomia da Roma, alla fin fine sottoposta alla sovranità statale" (Hrabovec).

    Su questo sfondo, in vista dell’imminente arrivo della delegazione di Jednota a Roma, il nunzio Valfrè di Bonzo aveva già consigliato al cardinale segretario di Stato Gasparri un atteggiamento inequivocabile e deciso dinanzi alle richieste ceche. Riteneva che i protagonisti di Jednota non potessero più essere conquistati neanche con delle concessioni, mentre quanti ancora esitavano sarebbero solo stati destabilizzati se si fosse ceduto. Un gesto sensato per andare loro incontro fu il richiamo definitivo dell’arcivescovo di Praga, il conte Pavel Huyn, e dei vescovi di origine ungherese nelle diocesi slovacche. Ma comunque a Roma si era già deciso di fare questo.

    Il resto delle richieste di Jednota, in particolare l’abolizione dell’obbligo del celibato, non ammetteva altro che un rifiuto deciso.

    La raccomandazione di Valfré di Bonzo – che in fondo non sarebbe stata nemmeno necessaria – fu accolta nell’agire della curia e del papa. Prima ancora che si giungesse allo scisma, il 3 gennaio 1920, il papa aveva invitato il nuovo arcivescovo di Praga, Korda?, a convocare immediatamente una conferenza dei vescovi del paese che – salute permettendo – doveva essere presieduta dall’arcivescovo di Olomouc, il cardinale Leo Skrbensky.

    Pur consapevoli che gli agitatori costituissero solo una parte del clero, si sapeva quanto fosse grande la loro influenza sugli altri. Occorreva quindi valutare se il movimento Jednota fosse risanabile o se occorresse scioglierlo. È indicativo dell’atteggiamento dei vescovi il fatto che nel frattempo avessero già preso l’iniziativa e si fossero riuniti in conferenza.

    Quando poi – l’8 gennaio 1920 – avvenne lo scisma, il Sant’Uffizio reagì immediatamente. Con un decreto del 15 gennaio la "schismatica coalitio" fu condannata senza indugio e colpita dalla scomunica.

    I sacerdoti che aderivano a quella Chiesa scismatica, a prescindere da posizione e dignità, dovevano essere considerati "ipso facto" scomunicati. Conformemente al canone 2384 del "Codex iuris canonici", questa scomunica era riservata alla Santa Sede "speciali modo". I vescovi furono invitati a rendere immediatamente noto ai fedeli questo decreto e a metterli in guardia dal sostenere in qualsiasi modo lo scisma.

    Poco dopo il papa stesso si rivolse all’arcivescovo Korda? con una lettera datata 29 gennaio 1920, nella quale esprimeva il massimo compiacimento per l’iniziativa dei vescovi cechi, per il loro atteggiamento univoco e per il loro stretto vincolo con la Santa Sede. Con apprezzamento, prendeva atto dello scioglimento di Jednota da parte dei vescovi e della sua suddivisione in associazioni diocesane sotto l’autorità e il controllo del vescovo del luogo.

    Benedetto XV sottolineava in modo molto deciso che non sarebbe mai stato approvato un allentamento della legge sul celibato, "qua ecclesia latina tamquam insigni ornamento laetatur". Il papa ricordava poi con grande stima i vescovi, che si erano dimostrati all’altezza della sfida in quella difficile situazione.

    Verso la fine di quell’anno tanto drammatico e funesto Benedetto XV riprese ancora una volta l’argomento, più precisamente in un’allocuzione al concistoro del 16 dicembre. In quel discorso il papa osservò che fino ad allora non erano stati in molti a voltare le spalle alla Chiesa, e che un numero ben più grande di persone, pur tentate dal cattivo esempio, erano rimaste fedeli.

    Ricordò ancora una volta le sottigliezze dell’argomentazione degli scismatici, che avevano parlato di qualche errore procedurale che doveva essere individuato da parte di Roma, e respinse come fuorvianti le affermazioni secondo le quali Roma stava contemplando di mitigare la legge sul celibato. Secondo il papa era superfluo precisare quanto ciò fosse lontano dalla verità. Piuttosto, era certo che la vitalità e lo splendore della Chiesa cattolica dovevano gran parte della loro forza e della loro gloria al celibato dei sacerdoti, che pertanto doveva essere mantenuto intatto. Ciò non era mai stato tanto necessario quanto in quei tempi di corruzione morale e di cupidigie sfrenate, in cui le persone avevano urgente bisogno del buon esempio di sacerdoti esemplari.

    E Benedetto XV proseguì: "Riaffermiamo ora solennemente e formalmente quanto già più volte abbiamo avuto occasione di dichiarare, e cioè che giammai questa Sede Apostolica sarà indotta non solo ad abolire, ma nemmeno a mitigare, attenuandola in parte, la sacrosanta e oltremodo salutare legge del celibato ecclesiastico".

    Lo stesso valeva per le modifiche alla costituzione della Chiesa. E con ciò la Santa Sede aveva detto l’ultima parola.

    Quanto la Santa Sede considerasse seria la situazione è dimostrato anche dall’invio a Praga, nell’ottobre 1919, del promettente giovane monsignore Clemente Micara, prima ancora di essere nominato nunzio nel giugno 1920.

    Anche lui, come in precedenza Valfrè di Bonzo, aveva capito da tempo che le richieste dei riformatori avevano radici più profonde che non la mera insoddisfazione per la situazione della Chiesa. Erano piuttosto espressione di una crisi della fede che si stava sempre più diffondendo, addirittura di un movimento di distacco.

    Anche a Roma erano giunti alla stessa conclusione, come dimostrano la chiarezza e la decisione con cui sia il Sant'Uffizio sia lo stesso papa risposero ai riformatori cechi. Avevano capito che essi non potevano più essere conquistati attraverso trattative. I riformatori avevano abbandonato i fondamenti della fede cattolica, addirittura del cristianesimo stesso.

    Come questo modo di agire della Santa Sede, non determinato da riflessioni politiche e pragmatiche ma soltanto dalla verità della fede, fosse l’unico giusto, lo dimostrano non soltanto i già citati censimenti, ma anche la manifestazione di massa di centinaia di migliaia di persone durante la consacrazione, il 3 aprile 1921, del nuovo arcivescovo di Olomouc, Antonín Cyril Stojan, che si trasformò in una impressionante dimostrazione di fedeltà al papa e alla Chiesa.

    [SM=g1740733]

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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 22/03/2012 11:19

    Falsi profeti

    Da La Bussola di Antonio mons. Livi 17-03-2012
    http://www.antoniolivi.com/it/?page_id=3

    Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose, che i cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il Vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo.


    Ecco, ad esempio, come Enzo Bianchi commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto: «Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture all’affermazione di sé; al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità» (Avvenire, 4 marzo 2012). Insomma, un’esplicita negazione della divinità di Cristo, i quale è ridotto a simbolo dell’etica sociale politically correct, l’etica dell’uomo che – come scriveva Bianchi poco più sopra – deve «avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo: “Mai senza di te”» (ibidem).


    Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi veste i panni del “profeta” che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico); quando invece si rivolge ai cosiddetti “laici” (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo), Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di “quinta colonna” posso ricorrere alla metafora, ideata da Dietrich von Hildebrand, di “cavallo di Troia nella Città di Dio”).


    Ora, che i media anticattolici (il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, L’Espresso) ospitino volentieri i sermoni del profeta della fine del cattolicesimo (così come ospitano i sermoni di tutti i piccoli e grandi intellettuali, cattolici e non, che auspicano una Chiesa cattolica senza più dogma, senza morale, senza sacramenti, senza autorità pastorale) non desta meraviglia, visto che si tratta di gente che porta acqua al loro mulino; invece, che i media ufficialmente cattolici si prestino (da almeno dieci anni!) a operazioni del genere fa comprendere fino a qual punto di confusione dottrinale e di insensibilità pastorale si sia arrivati nella Chiesa, almeno in Italia (anche se forse negli altri Paesi di antica tradizione cristiana le cosa stanno pure peggio).


    Ho parlato di “insensibilità pastorale”, perché è evidente che organi di informazione che sono istituzionalmente al servizio della pastorale (penso a Famiglia Cristiana, che fu fondata da chi voleva promuove l’apostolato della “buona stampa” e che per decenni è stata diffusa soprattutto nelle chiese; penso ad Avvenire, quotidiano voluto da Paolo VI e gestito dalla Conferenza episcopale) non dovrebbero contribuire alla diffusione di ideologie che sono per l’appunto l’ostacolo massimo che oggi la pastorale si trova davanti. La pastorale infatti è costituita essenzialmente dalla catechesi e dall’evangelizzazione, ossia dall’offerta della verità e della grazia di Cristo a chi già crede e a chi ancora deve arrivare alla fede. Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte della vita soprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino, se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini (e “comunione” vuol dire solo solidarietà, accoglienza, “fare comunità”).


    Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, «colonna e fondamento della verità», se viene messo in ombra il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso? Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori (per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi. Il quale, peraltro, non fa mistero della sua piena condivisione delle proposte riformatrici di Hans Küng, che con il linguaggio tecnico della teologia dogmatica ha enunciato e continua a enunciare le medesime eresie che Bianchi enuncia con il linguaggio retorico della saggistica letteraria. Nessuno si è sorpreso infatti leggendo sulla Stampa di Torino un recente articolo di Enzo Bianchi (13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng, prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani.


    Hans Küng, che è il più famoso (meglio si direbbe famigerato) di tutti i falsi teologi che hanno diffuso nella Chiesa cattolica, a partire dalla seconda metà del Novecento, le ideologie secolaristiche che oggi costituiscono quell’ostacolo alla pastorale del quale parlavo. Lo esalta presentandolo come una specie di “dottore della Chiesa” ingiustamente inascoltato, guardandosi bene dal ricordare (ma lo sanno persino molti lettori della Stampa) che il professore svizzero ha sempre negato la verità dei dogmi della Chiesa e il fondamento teologico della morale cattolica, disconoscendo sempre la funzione del magistero ecclesiastico (a partire dal libro intitolato Infallibile?). Küng non è stato scomunicato né è stato messo a tacere (peraltro, tutti gli editori più importanti dell’Occidente scristianizzato hanno pubblicato e diffuso le sue opere), e non c’è ragione alcuna per la quale egli debba presentarsi ed essere presentato come una vittima della repressione da parte della gerarchia ecclesiastica.


    Per disegnargli intorno alla testa l’aureola della santità, Enzo Bianchi parla di Küng come di un protagonista del Vaticano II, facendo finta di ignorare che un concilio ecumenico è un’espressone solenne del magistero ecclesiastico (protagonisti ne sono soltanto i vescovi, e i documenti approvati al termine dei lavori hanno un eminente valore per la dottrina della fede in quanto convocato, presieduto e convalidato dai Papi) e non un convegno internazionale di teologi (Hans Küng, come “perito”, non ha avuto nel Concilio né voce né voto). Insomma, Enzo Bianchi vorrebbe far credere che Küng, malgrado i suoi meriti teologici, non avrebbe ottenuto dall’autorità ecclesiastica la benevolenza e i riconoscimenti che gli spettavano; addirittura, insinua Bianchi, alla Chiesa conveniva mettere Küng, piuttosto che il suo collega Ratzinger, a capo della congregazione per la Dottrina della fede.


    Sono assurdità che possono andar bene solo per i lettori della Stampa (quotidiano di collaudata tradizione massonica), ai quali non importa nulla della fede cristiana ma sono ben contenti di vedere la Chiesa cattolica in preda a una profonda crisi dottrinale e disciplinare, sperando che tutto ciò affretti la sua definitiva scomparsa dalla scena sociale e politica. Ma Bianchi è ospitato anche dalla stampa cattolica, e in quella sede l’assurdità di cui parlavo dovrebbe essere percepita da qualcuno.


    Qualcuno dovrebbe rinfacciare a Bianchi l’ipocrisia di presentare come vittima del potere ecclesiastico senza dire che il teologo svizzero non ha mai voluto riconoscere la legittimità (cioè l’origine divina) di questo potere, che ad altro non serve se non alla custodia fedele e alla interpretazione infallibile della verità che salva. Bianchi si guarda bene dal riferire tutte le contumelie e gli insulti che Hans Küng è solito scrivere (anche in italiano, sul Corriere della Sera) contro quei papi (soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II) che non gli hanno dato ragione (e come avrebbero potuto?).


    [SM=g1740733] SE LO SAI.... LO EVITI....


    Le tesi di Fratel Bianchi
    http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-le-tesi-di-fratel-bianchi-4872.htm
    22-03-2012


    Caro direttore,
    ho letto con attenzione quanto scritto da monsignor Antonio Livi a proposito di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose. E ho trovato conferma alle sue critiche in un articolo pubblicato il 20 marzo dal giornale diocesano di Pescara, La Porzione, che sintetizza un intervento dello stesso Bianchi in un incontro pubblico a Pescara. Credo non ci sia bisogno di ulteriori commenti. Buona lettura (si fa per dire).

    Lettera firmata

    LA NECESSARIA "UMANIZZAZIONE" DEI CRISTIANI

    Banchi pieni, navate stracolme, confessionali occupati da giovani ascoltatori muniti di taccuino. Così Pescara ha accolto, ieri, nella chiesa dello Spirito Santo del centro cittadino, fratel Enzo Bianchi, il priore del monastero di Bose. Non è il primo anno che il piccolo e tenace monaco raggiunge la città adriatica, ma, evidentemente, l’esigenza di “umanizzazione” tocca ancora il cuore dei fedeli e i loro bisogni primari.

    Banchi pieni, navate stracolme, confessionali occupati da giovani ascoltatori muniti di taccuino. Così Pescara ha accolto, ieri, nella chiesa dello Spirito Santo del centro cittadino, fratel Enzo Bianchi, il priore del monastero di Bose. Non è il primo anno che il piccolo e tenace monaco raggiunge la città adriatica, ma, evidentemente, l’esigenza di “umanizzazione” tocca ancora il cuore dei fedeli e i loro bisogni primari.
    «Bisogna rendersi conto – ha esordito il carismatico priore – che la crisi è di fede e fiducia a livello di società prima che di una crisi di fede e fiducia in Dio. Gli uomini devono ripigliare ad aver fiducia nella terra, nel futuro, nella società, tra di loro. Perché se non c’è fiducia nell’uomo che si vede, come si può aver fiducia nel Dio che non si vede?».


    La “grammatica umana” è essenziale anche per attraversare la più tacita, ma evidente crisi della e nella Chiesa. «I cristiani che sono nella Chiesa – ha continuato Bianchi – sono in questo mondo, sono in questa società e quando appare una crisi come quella attuale che è una crisi globale, non solo economica, ma culturale, morale, etica dei valori, anche nella Chiesa se ne sentono le conseguenze. Siamo in un momento di trapasso, per la società e per la Chiesa, in un momento in cui abbiamo lasciato dei lidi e siamo a metà del guado del fiume e non sappiamo bene dall’altra parte quale sarà la forma anche della nostra vita cristiana. Tuttavia in questo orizzonte il cristiano ha la fede, quella bussola per il millennio che Giovanni Paolo II indicava nel Concilio Vaticano II. Si tratta per noi di saper rinnovare quella eredità attraverso uno spirito di profezia che guardi in avanti, con simpatia, agli uomini e alla società di oggi e di saper tramette la notizia del Vangelo anche in una realtà secolarizzata».


    Avvicinato prima della relazione, fratel Enzo ha analizzato anche l’anelito conservatore di alcuni fedeli. «Ci sono stati qua e là dei nostalgici che fanno passare la messa prima della riforma come una identità culturale. Questo non è bene né per la messa, né per la liturgia e non è secondo le intenzioni del Papa che voleva dare maggiore unità alla Chiesa e richiamare alla comunione quelli che ne erano usciti».


    Nonostante la riapertura di armadi impolverati di sagrestie, non c’è “preoccupazione”. Poche sono le celebrazioni “preconciliari”. I problemi sono assolutamente altri. «È sotto gli occhi di tutti – ha analizzato fiducioso Bianchi – che c’è un calo non solo nella pratica, ma nell’interesse verso il cristianesimo. L’indifferenza, oggi, è sempre più attestata. Lo si nota in molte maniere; non c’è la contestazione di un tempo, ma sovente la gente lascia la Chiesa anche senza fare rumore. Ci sono migliaia e migliaia di persone che passano dal tralasciare la pratica, al tralasciare poi una appartenenza di fede; ciò che è accaduto in Francia, in Austria, in Germania sta accadendo da noi negli ultimi quattro cinque anni­».


    La consapevolezza di essere minoranza fa certamente paura, a volte rabbia, e si rischia di preferire lo sgranar rosari a riparazione dei peccati al confronto e all’incontro tra persone, con i loro dubbi, le loro difficoltà, le loro sofferenze.

    «Più che un cristiano arrabbiato c’è un cristiano impaurito – ha spiegato Bianchi, rispondendo alla provocazione e analizzando un editoriale di laPorzione.it che tanto ha fatto discutere – e la paura è cattiva consigliera. Di conseguenza porta a posizioni difensive, a posizioni in cui ci si chiude in una cittadella e anziché dialogare con gli altri si finisce per avere posizioni indurite, sia di identità che di atteggiamenti. Questo succede sempre, soprattutto quando si prende coscienza che si passa in uno stato di minoranza, quando si vede avanzare la presenza di altre religioni, altre etiche. La paura va razionalizzata e come cristiani non dobbiamo aver paura nel dialogo con altri religioni e con uomini non cristiani. Proprio perché il cristianesimo ha nel centro non solo Dio, non tanto il fenomeno religioso, ma l’uomo, luogo dell’incarnazione di Dio».


    Insomma, per far sintesi, «quando noi parliamo di fede – ha concluso il “profeta dell’umanizzazione” – dobbiamo riprendere quei concetti che appartengono alla grande tradizione perché la fede è innanzitutto un atteggiamento e esercizio umano su cui poi si innesta il dono di Dio e della fede teologale. Ma se non c’è questo humus nemmeno Dio può innestare la fede in una persona, la quale non ha fiducia in se stessa e negli altri. Dobbiamo predisporre tutto per il dono della fede, cominciamo, allora, a predisporre la fiducia tra gli uomini, perché senza fiducia neanche l’umanizzazione è possibile­».



    [SM=g1740733] Al Bianchi possiamo rispondere con la Sacra Scrittura non manipolata dalle sue idee moderniste:

    Questo dice il Signore:"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo....(Ger. 17,5)

    ...quell’uomo “maledetto” di cui ci parla Geremia significa che, confidando nell’umano, si “pone nella carne il suo sostegno, e il cui cuore si allontana dal Signore”, per questo è "male-detto" cioè "detto-male" poichè la nostra fiducia non può che essere in Dio. Quando si dice avere fiducia in Cristo Gesù, non è una fiducia in un uomo che ha dei poteri eccezionali, ma nel Dio di cui Egli afferma essere: io e il Padre siamo una cosa sola; chi ha visto me ha visto il Padre; nessuno va al Padre se non per mezzo del Figlio... e così via.
    In senso contrario, vengono subito in mente le parole del Salmo 1,  “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia sulla via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte”.
     Dunque la nostra vera fortuna, o buona sorte, o per uscire da ogni crisi è confidare in Cristo-Dio, meditare la sua legge giorno e notte, metterla in pratica, mettere in pratica tutti e dieci i Comandamenti, e allora si seguire, come suggerisce san Paolo, gli uomini che agiscono correttamente verso Dio e "abbandonare i reprobi" ossia, i peccatori incalliti che rifiutano di seguire Gesù....

    e...ciliegina sulla torta:
    Oggi parliamo dell'autonominato priore di Bose:

    http://satiricus.wordpress.com/2012/03/18/eretico-o-erotico-purche-sia-fratelenzo/



    [SM=g1740733]



    Lettera aperta di Antonio Livi 

    http://www.formazioneteologica.it/index.php?categoria=12&sezione=15

    a Marco Tarquinio, Direttore di Avvenire



    Il 23 marzo scorso Lei sul Suo giornale mi ingiunge di vergognarmi per quello che avevo scritto su La Bussola Quotidiana a proposito di Enzo Bianchi, accusandomi di aver orchestrato squallide manovre diffamatorie basate sulla menzogna. Siccome alcuni lettori (anche se non tutti) e i cattolici italiani in generale possono aver pensato che queste accuse (che costituiscono – queste sì – denigrazione e diffamazione nei miei confronti) siano fondate, mi vedo costretto a fornire loro pubblicamente alcune spiegazioni.

    1. Io non ho scritto contro Enzo Bianchi come persona ma contro la sua “fama di santità”, ossia contro la presentazione che se ne fa come di un vero mistico, di un autorevole interprete della Scrittura, di un venerato maestro di dottrina cristiana, di un eroico combattente per la riforma della Chiesa e per l’ecumenismo. [SM=g1740721] Io vorrei invece richiamare l’attenzione di chi ha responsabilità pastorale sul fatto che i suoi scritti e i suoi discorsi – che certa stampa utilizza come se potessero essere dei validi sussidi per la catechesi ― sono inficiati di un’ideologia neognostica, incentrata sul progetto di una religione universale a carattere etico (la
    Welthethik), secondo la prospettiva del suo autore di riferimento, che è Hans Küng.

    2. Per questo preciso motivo ho deprecato lo spazio e il rilievo che il Suo giornale ha dato a una meditazione biblica di Bianchi, pubblicandola in un paginone a colori di “Agorà” della domenica. Io l’ho visto distribuito in alcune chiese di Roma assieme ai foglietti della Messa, e mi è sembrato assurdo che quel commento di Bianchi al Vangelo della prima domenica di Quaresima fosse presentato ai fedeli quasi come un sussidio per la pastorale liturgica. Quale approfondimento della dottrina cristiana e quale edificazione nella fede eucaristica – mi domandavano – possono venire da discorsi che presentano Gesù come un modello (umano) di quella morale umanitaria che ritiene di poter prescindere dalla grazia del Redentore? Il mondo è pieno di gente che parla di Gesù in termini che sono più propri dell’umanesimo ateo che del dogma cattolico: non è questo che mi turbava: mi turbava i fatto che ancora una volta fosse presentato come un autorevole maestro della fede, con l’autorevolezza che può conferire il “giornale dei vescovi italiani”, un personaggio che, a mio avviso, la vera fede non contribuisce affatto a diffonderla. Non si tratta di un problema personale o ideologico, ma di un problema esclusivamente pastorale, e io come sacerdote lo considero l’unico problema importante.


    3. Lei, Direttore, non ha ragione quando scrive che io avrei potuto criticare Bianchi o altri collaboratori di Avvenire «su ciò che è opinabile: valutazioni storiche e socio-culturali, opinioni artistiche, scelte lessicali, giudizi politici…», mentre invece mi sarei «azzardato» a «porre in dubbio la fede altrui e l’altrui indiscutibile adesione alla buona dottrina cattolica su ciò che è opinabile non è». Lei non ha ragione perché io critico appunto il modo di commentare il Vangelo in un giornale ufficialmente cattolico, e in questa materia nella Chiesa c’è sempre stata e sempre ci sarà il diritto di critica (la teologia cattolica e lo stesso dogma nascono dal confronto critico con i diversi modi di presentare il contenuto della rivelazione divina). Ciò che per un cattolico «opinabile non è» è solo il dogma enunciato dalla Chiesa con il suo magistero solenne. Le interpretazioni del dogma e la sua presentazione catechetica, così come le scelte pastorali, sono invece materia di libera discussione. Non c’è nulla di criminoso e di vergognoso nel fatto di aver voluto manifestare la mia opinione circa l’inopportunità pastorale di presentare alla meditazione dei fedeli dei discorsi, come quelli di Bianchi, così ambigui rispetto al dogma cattolico. Da quando è diventato «indiscutibile» il fatto dell’«adesione alla buona dottrina cattolica» da parte dei collaboratori dell’
    Avvenire? Basta la parola del Direttore? È un nuovo caso di «Roma locuta, quaestio finita»? [SM=g1740721]

    4. Nel fare quei rilievi dottrinali e pastorali, peraltro, io non ho minimamente voluto «porre in dubbio la fede altrui», cioè di Enzo Bianchi. Sembra che Lei, dottor Tarquinio, non abbia presente la fondamentale distinzione tra la fede come
    atto interiore del soggetto che aderisce con tutto se stesso a Cristo e alla sua dottrina (e di questo atto interiore è consapevole solo il soggetto stesso) e la fede come enunciazione esteriore (professione di fede, proclamazione della fede, catechesi, evangelizzazione, teologia); io so bene di non dover giudicare la sincerità e la fermezza della fede degli altri (della coscienza di ciascuno di noi è giudice solo Dio, il quale «scruta i reni e il cuore» degli uomini), ma so anche che ho il dovere di giudicare la rispondenza di un discorso sul Vangelo alle verità fondamentali contenute nella dottrina della Chiesa: è un dovere che in primis spetta al collegio episcopale, con a capo il Papa, ma spetta, per partecipazione sacramentale, anche a un semplice sacerdote come me, impegnato da sempre nella formazione cristiana dei fedeli con il mio lavoro pastorale e con la docenza nell’«Università del Papa». Certo, il mio giudizio – di approvazione o di critica – è soggetto a errore dal punto di vista dottrinale, e anche dal punto di vista della prassi può risultare meno opportuno o conveniente: ma è pur sempre un atto legittimo, anzi doveroso, quando uno come me ritiene in coscienza che il bene comune della comunità ecclesiale lo richieda.

    5. Lei scrive che il mio è «un testo feroce, nel quale si procede con metodi degni della peggiore “disinformatsja”: estrapolando frasi, selezionando concetti, amputando verità, distillando veleni». In realtà, le frasi dello scritto di Bianchi che ho citato sono testuali, e in un breve scritto non potevo certamente riprodurre tutto il testo pubblicato nel paginone di
    Avvenire (chi no crede alla sintesi che io ho fatto potrà confrontarla con l’originale); sono però frasi emblematiche, che nemmeno il contesto può contribuire a “salvare” (anzi, a me sembra che tutto il discorso che Bianchi fa sul potere e sul denaro ha senso solo presupponendo che Gesù sia solo un modello morale, un uomo esemplare). Nessuno scrittore dei primi secoli, nessun letterato cristiano moderno, nessun teologo intenzionato a rispettare il dogma si è mai sognato di parlare di Gesù come di una «creatura», di un uomo cioè che insegna agli altri uomini come si deve rispettare Dio, che è il Creatore. Bianchi è un biblista: ma dove mai si trova nella Bibbia la definizione di Gesù come «creatura»? Che cosa avranno pensato quei fedeli che hanno letto il testo di Bianchi sull’Avvenire e poi a Messa hanno recitano il Credo, dicendo di Gesù che Egli è «Dio da Dio» e che è «generato, non creato»? Devono pensare che la professione di fede della Chiesa è una formula antiquata e che è meglio credere alle spiegazioni moderne e aggiornate di Bianchi? Questo è il vero problema: un problema che interessa necessariamente chi ha sensibilità pastorale e si sente responsabile dei messaggi dottrinali che vengono proposti da personaggi che (non sempre meritatamente) godono di credito presso i fedeli, soprattutto se sono veicolati dalla stampa che si presenta come la voce (almeno ufficiosa) della Chiesa italiana.


    [SM=g1740722]  GRAZIE MONS. LIVI GRAZIE DI CUORE.... [SM=g1740721]

    [SM=g1740766]

    [Modificato da Caterina63 27/03/2012 10:49]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 30/03/2012 19:57

    Se un cardinale dissente dalla Chiesa
    http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-se-un-cardinaledissente-dalla-chiesa-4930.htm

    di Mario Palmaro
    28-03-2012



    Il cardinale Carlo Maria Martini si dichiara a favore del riconoscimento dei “matrimoni” tra omosessuali da parte dello Stato. Così hanno scritto nei giorni scorsi molti giornali italiani, dando alla notizia grande rilievo.

     

    Di fronte a questo genere di faccende, il mondo cattolico "ufficiale"abbozza una serie di reazioni che in ordine logico e temporale si possono riassumere così: primo, chissà che cosa avrà detto esattamente il cardinale, e che cosa gli hanno fatto dire i giornali; secondo, il card. Martini è un uomo profetico, quindi le sue parole vanno inserite nel contesto e non estrapolate in modo strumentale; terzo, visto che la materia scotta, meglio far finta che non sia successo niente; quarto, se anche il card. Martini avesse detto davvero quello che ha detto, bisogna far finta di niente perché non si può criticare un cardinale, per evitare scandalo e divisioni nella Chiesa; quinto, se qualcuno fra i cattolici critica Martini, peste lo colga, perché così facendo rompe la consegna del silenzio e disturba la quiete della buona gente cattolica.

     

    Purtroppo, si tratta di un protocollo terapeutico francamente fallimentare: una sequenza di manovre che farà immancabilmente morire il paziente, cioè il cattolico normale. Perché il cattolico di Voghera si merita ben altro, di fronte al fenomeno, ormai diventato rituale, di uomini di Chiesa che si alzano la mattina, ne dicono una grossa confidando nella “immunità clericale”, e chi si è visto si è visto. Purtroppo, il caso dell’arcivescovo emerito di Milano è, in tal senso, esemplare. Che cosa ha scritto, esattamente, il card. Martini? Il testo è tratto dal libro Credere e conoscere, in uscita per Einaudi, scritto in dialogo con l’ex senatore del Pd Ignazio Marino. Il card. Martini ogni tanto ama questa forma letteraria: qualche tempo fa, per esempio, aveva scritto un libro analogo con don Luigi Verzè (il patròn del San Raffaele), dal significativo titolo, Siamo tutti nella stessa barca. Ma torniamo alla cronaca di questi giorni. Ecco qua il brano incriminato: «Io ritengo che la famiglia vada difesa perchè è veramente quella che sostiene la società in maniera stabile e permanente e per il ruolo fondamentale che esercita nell'educazione dei figli. Però non è male che, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli». Il campionato mondiale di arrampicata sugli specchi non finisce mai, e i cattolici pronti a parteciparvi sono sempre numerosissimi. Ma temo che questa volta anche un fuoriclasse del settore debba arrendersi all’evidenza: il card. Martini scrive proprio che lo Stato deve aiutare gli omosessuali a stabilizzare il loro rapporto. Teorizza una pagina inedita del catechismo cattolico, sostenendo che - insomma -, piuttosto che avere rapporti occasionali e superficiali, le persone omosessuali si impegnino in maniera seria e prolungata, grazie anche a un istituto messo a punto dallo Stato. Più chiaro di così. [SM=g1740730]

     

    La Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato non uno, ma due documenti per insegnare il contrario, e per dire che un politico, vieppiù se cattolico, non può sostenere proposte di legge che prevedano il riconoscimento di unioni omosessuali. Ergo: Martini e la Chiesa insegnano cose diametralmente opposte. Può essere anche doloroso scriverlo, ma ammetterlo è facile facile. Questione di logica elementare. Le uova sono rotte e la frittata è fatta. Ed è qui che si inserisce il grave errore operativo del mondo cattolico ufficiale: fatto di silenzi imbarazzati, e di difese penose che arrancano nel tentativo impossibile di rendere omogeneo quanto detto dal cardinale e quanto insegnato dalla Chiesa in tutti questi anni. Ovviamente, non ignoriamo le ragioni della prudenza, il timore degli scandali, la necessità del rispetto dovuto ai principi della Chiesa, cui si aggiunge nel caso di Martini la pietas dovuta a un uomo di veneranda età, per di più colpito dalla malattia. Ma qui c’è un punto che non può sfuggire a nessuno: e cioè che lo scandalo è già accaduto, ed è pubblico. Ed è lo scandalo provocato da una presa di posizione eterodossa a opera di un vescovo cattolico, che quando parla raggiunge attraverso i mass-media milioni di persone.

     

    I fedeli cattolici hanno un diritto che è più forte di ogni altra esigenza, e che riposa nella legge suprema della Chiesa cattolica: la salus animarum, la salvezza delle anime. Se un pastore insegna cose sbagliate in materia non opinabile – e questa, indubbiamente, non lo è - i fedeli hanno il diritto di essere aiutati a riconoscere l’errore, e l’errante deve essere smascherato per il bene di ogni singolo fedele. Di più: solo le persone in mala fede o gli allocchi possono far finta di non vedere che le sortite “aperturiste” - cui il card. Martini non è nuovo - scuotono la Chiesa in tutte le sue pieghe locali, e rendono ancor più fertile il già rigoglioso sottobosco delle piccole e grandi eresie parrocchiali. Adesso i sacerdoti e catechisti, le suore e i teologi che vogliono essere possibilisti sulle unioni fra persone dello stesso sesso hanno la pezza d’appoggio delle parole autorevoli del “biblista Martini”; adesso regaleranno il libro scritto a quattro mani con Marino ai consigli parrocchiali, “perché così almeno si fanno un’idea e raccolgono la provocazione”. E inviteranno anche il medico Marino (“che è cattolico, intendiamoci”) a tenere qualche bella conferenza, insieme a Enzo Bianchi. Che ci sta comunque sempre bene.
    Ecco: questo è il quadro della situazione. Senza forzature e senza animosità, noi cattolici di Voghera diciamo: Roma, abbiamo un problema.
    Fate presto, aiutateci.

    ********************
     
    [SM=g1740733] ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE....
     
    ATEISMO: UN TERMINE “DESUETO”?

    - di P. Giovanni Cavalcoli, OP da RiscossaCristiana


    L’Avvenire del 17 scorso dà notizia che il Card. Gianfranco Ravasi, presidente del programma “Il cortile dei gentili”, dedicato ai colloqui tra credenti e non credenti, ha dichiarato che il termine “ateo” è diventato “desueto”, per cui va sostituito col termine “umanista”. [SM=g1740729]
     
    Ora devo dire con tutta franchezza e rispetto per il noto Porporato che questa sua idea mi pare completamente sbagliata e controproducente, a prescindere da quella che può essere la buona intenzione di trovare negli atei quegli elementi positivi che possono permettere un contatto ed una discussione costruttiva. [SM=g1740721]
     
    Tale idea infatti mi pare in linea con una certa tendenza di celare il male o l’errore sotto termini eufemistici, senza che peraltro il male o l’errore vengano cancellati, così come è avvenuto per esempio con i termini “eutanasia”, che significa “buona morte” o “interruzione della gravidanza” per nascondere che in realtà si tratta di un omicidio.

    Ammetto senz’altro che il nostro linguaggio per quanto è possibile deve evitare le crudezze o certe espressioni polemiche che possono irritare o addirittura giungere all’insulto. Ma dovere del linguaggio è anche la precisione e la franchezza, che pure costituiscono un servizio e un richiamo per chi, trovandosi nell’errore o compiendo il male, dev’esser reso cosciente con esattezza della sua situazione al fine di aiutarlo, se egli acconsente, a liberarsene.
     
    Ora il termine ateismo ha una storia antica, e fortemente consolidata già presso la cultura pagana e, come è noto, per quanto riguarda la tradizione biblica, fa riferimento ai famosi versetti dei Salmi: “lo stolto pensa: non c’è Dio” (14,1) e: “lo stolto pensa: Dio non esiste” (53,2).
     
    L’ateismo quindi obbiettivamente è un grave peccato di stoltezza, a prescindere dalle intenzioni intime del soggetto che ne è l’autore. Il Concilio Vaticano II dedica molto spazio all’esame ed alla confutazione dell’ateismo giudicandolo “uno dei fenomeni più gravi del nostro tempo”. Paolo VI, dopo il Concilio, dette alla Compagnia di Gesù come compito precipuo quello di combattere l’ateismo.

    Del resto in tutta la storia del pensiero umano, mai come oggi abbiamo, soprattutto in Occidente, la diffusione dell’ateismo. Esiste in merito e giustamente una ricchissima letteratura, un’infinità di studi scientifici, corsi accademici, numerosissimi insegnamenti, soprattutto degli ultimi Papi compreso quello attuale. Esistono associazioni atee internazionali che non intendono assolutamente rinunciare alla loro professione di ateismo, ne vanno fiere e intendo convincere tutti del valore dell’ateismo.
     
    Stupisce molto quindi come improvvisamente compaia un Card. Ravasi, per quanto competente in materia, a dichiarare l’opportunità di sostituire “ateo” con “umanista”. Nasce da ciò un gravissimo equivoco, che va incontro esattamente all’impostura propria dell’ateismo, il quale nasce proprio, come è ben noto, dalla superbia e dalla stoltezza dell’uomo che pretende di sostituire se stesso a Dio, come già diceva Marx: “l’uomo è Dio per l’uomo”.

    Come sanno bene gli storici della filosofia, l’ateismo moderno non è che il frutto estremo dell’antropocentrismo rinascimentale, dell’esaltazione sperticata della dignità umana, partendo pretestuosamente, come già fece Pico della Mirandola alla fine del sec.XV, dal fatto che la stessa Bibbia dice che l’uomo è creato “ad immagine e somiglianza di Dio”. Ma poi gradatamente dalla somiglianza si è passati all’identità e all’uguaglianza (panteismo) e infine alla sostituzione, con tutte le tragiche conseguenze nichilistiche e criminali del secolo scorso, note a tutti, e che vorremmo mai più si ripetessero. Ma se poniamo ancora una volta le premesse, non meravigliamoci poi se sorgono le conseguenze.
     
    Il guaio è che stiamo sottovalutando la gravità del fenomeno ateistico. C’è la tendenza anche in campo cattolico a considerare l’ateismo come una semplice opinione dotata di qualche ragionevolezza. Oppure crediamo con Rahner che in fondo gli atei non esistano, perché tutti aprioricamente e necessariamente, anche se inconsciamente ed implicitamente tendono a Dio e sono in grazia, anche coloro che negano Dio a parole, i cosiddetti “atei”.
     
    Facciamo fatica a vedere dove sta la “stoltezza” dell’ateismo e quindi a considerare l’ateo come uno stolto o una persona che non sa ragionare in materia, nel timore, in linea di principio fondato ma non in questo caso, di lanciargli un insulto. Se il medico a ragion veduta dice al paziente che ha un cancro, non si può dire che l’insulta, ma che semplicemente che gli dice le cose come stanno.
     
    Il problema quindi non è quello di sminuire la gravità del male per un malinteso rispetto della persona o della sua suscettibilità, ma di dire la cosa nel modo o nella forma o nel tempo dovuti, appunto per evitare il più possibile reazioni controproducenti. Certo in alcuni casi sarà meglio tacere e rinunciare al dialogo, come riconosce lo stesso Ravasi nei confronti di certi atei arroganti e spavaldi che ricorrono allo scherno o all’insulto.
     
    Ma se noi chiamiamo “umanista” l’ateo, abbiamo già ceduto in partenza le armi al nemico, siamo già sconfitti concedendogli proprio quello che lui vuole: esser lui il vero sostenitore e difensore dell’uomo contro la bigotteria e la stupidità di noi credenti. Ma, allora che cosa ci ricaviamo? Vogliamo farci atei anche noi per sostenere la dignità e la libertà umane? Sarebbe questa la testimonianza cristiana? Sarebbe questa la “nuova evangelizzazione”? Sarebbe questo il dialogo con i non-credenti?
     
    Il punto centrale del problema dell’ateismo sta proprio qui: l’ateismo costruisce o non costruisce l’uomo? E’ ragionevole o è irrazionale? Se la ragione dimostra, come dimostra, l’esistenza di Dio in modo inconfutabile, come può poi esser altrettanto ragionevole o “scientifico” l’ateismo? Per questo, se ci facciamo caso, coloro che non sanno difendersi contro l’ateismo o che lo considerano una forma di “umanesimo”, sono gli stessi che non sono capaci di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio o dichiarano impossibile o inutile la cosa perché a loro dire quella convinzione nasce dalla “fede” e non dalla ragione.

    Ma questo atteggiamento è proprio quello che scalza le basi razionali della fede trasformandola da “ossequio ragionevole”, per dirla con S.Paolo, in vera e propria bigotteria, superstizione, fanatismo, fondamentalismo, fideismo e via discorrendo, che nulla hanno a che fare con la vera fede cattolica.
     
    E’ vero che c’è un nesso stretto fra il problema dell’uomo e il problema di Dio. A seconda che Dio esista o non esista, il destino dell’uomo cambia completamente: se Dio esiste, l’uomo certamente gli deve obbedienza, deve accettare per amore suo sacrifici e rinunce, però sa di avere in cielo su Signore buono e onnipotente che lo protegge, la salva, lo consola e gli dona una vita eterna dopo la morte. Ma se Dio non esiste, l’uomo certo può stabilire il bene e il male come gli pare e piace, tuttavia deve arrangiarsi da solo in tutte le circostanze della vita e resta completamente indifeso nella tragedie dell’esistenza, con la prospettiva del nulla dopo la morte.
     
    Tuttavia la questione dell’ateismo dev’esser posta in termini più radicali. L’ateismo è un nemico così forte dell’intelligenza e della morale, che può esser vinto solo con un atteggiamento radicale e con una forte energia della ragione e della volontà. In particolare occorre ricostruire oggi, come l’ha detto anche Benedetto XVI, le basi stesse della ragione, della conoscenza e della morale: occorre recuperare l’attitudine realistica della conoscenza contro visioni relativistiche e soggettivistiche, bisogna ritrovare il senso dei valori “non negoziabili”, recuperare l’amore per il vero e l’odio per il falso, l’amore per il bene e l’odio per il male, ed infine ritrovare l’autentico senso dell’essere ovverosia una buona metafisica che trova in S.Tommaso d’Aquino il suo grande maestro, superando altre proposte metafisiche contemporanee, come per esempio l’ontologia della “relazione”, l’ontologia dell’“amore”, o la cosiddetta “ontologia trinitaria”, le quali se possono contenere dei valori non sono assolutamente all’altezza di contrastare efficacemente la tendenza ateistica, che dipende da una metafisica che contamina l’essere con il non-essere. [SM=g1740721]

    Infatti l’ateismo pone il problema radicale, che è appunto quello dell’essere negando l’essere divino, per cui rispondere con valori secondari, seppure elevati, non è una risposta decisiva e quindi non porta ad una sicura affermazione dell’esistenza di Dio.
     
    Occorre allora viceversa ordinare tutte tutti questi valori secondari, ossia le proprietà trascendentali dell’essere, attorno a quello che S.Tommaso chiama l’Ipsum Esse per Se subsistens, che è quel Nome di Dio che l’Aquinate ricava dalla Rivelazione che Dio fa di Sé a Mosè (Es 3,14). Soltanto così l’Essere divino, ovvero l’esistenza di Dio può contrastare inconfutabilmente la sua negazione che viene dall’ateismo o certe posizioni compromissorie, come quella hegeliana che abbina l’essere al non-essere e che in qualche modo ricompare nella visione dell’essere che Romeo Castellucci ci ha recentemente riproposta nelle sue dichiarazioni relative al suo ormai ben noto spettacolo teatrale.
     
    Pertanto, se mi è permesso di dare un suggerimento all’Em.mo Card. Ravasi, direi che la soluzione del problema dell’ateismo non sta nell’abolire la parola per sostituirla col termine “umanismo”, ma sta nel prendere di petto la questione riallacciandosi ai poderosi studi sull’argomento dei quali siamo già a disposizione, come per esempio l’opera magistrale del P. Cornelio Fabro Storia dell’ateismo moderno o i suggerimenti che ci vengono dal teologo domenicano, il Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP, il quale nel secolo scorso sperimentò sulla sua stessa carne nella sua Patria Cecoslovacca gli effetti terribili dell’ateismo tradotto nei fatti.
     
    E’ giusto e doveroso accordarsi con gli atei circa quelle istanze umanistiche che accomunano noi credenti con loro, ma poi è compito sacrosanto di noi credenti proporre ad essi la vera soluzione con spirito di carità nella vera sapienza cristiana che attinge alle fonti perenni della Parola di Dio e della Tradizione ecclesiale.
     

    Bologna, 22 febbraio 2012

    [SM=g1740733]
     
    [Modificato da Caterina63 09/04/2012 23:30]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 13/04/2012 16:20

    Gay, Schoenborn trova una sponda in Buttiglione

    Pubblichiamo questo articolo uscito sul Foglio di oggi

    di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

    I fatti sono noti: il giovane austriaco Florian Stangl, che vive pubblicamente una relazione omosessuale, è stato eletto a capo del consiglio pastorale di Stützenhofen, a nord di Vienna. Il parroco ha eccepito, ma il suo vescovo, il cardinale Cristoph Schönborn, è intervenuto per sconfessare il sacerdote e benedire la nomina.
    La vicenda continua a far discutere dentro le mura vaticane con prudenza e preoccupazione proporzionali alla caratura del porporato in questione. Ai “placet” progressisti si oppongono “non placet” conservatori in un dibattito che, a rigore, non avrebbe titolo di esistere, dato che Santa Romana Chiesa ha sempre censurato fatti come quello in oggetto.
    Ma ora si fa strada la terza via del “placet iuxta modum” che riafferma la dottrina e, insieme, giustifica l’operato dell’arcivescovo di Vienna. Su queste pagine ne ha dato un esempio Rocco Bottiglione attraverso l’unica via possibile: fraintendendo l’iniziativa del cardinale Schönborn fino a farla sembrare una prova di carità cristiana. Il discorso di Buttiglione si articola in sei punti. Primo: Dio vuole la salvezza di tutte le anime, e dunque anche delle persone che vivono comportamenti omosessuali. Secondo: un omosessuale può essere benissimo un cristiano. Terzo: il cardinale non ha detto che l’omosessualità non sia un grave disordine morale. Quarto: la Chiesa non è il luogo dei perfetti, ma dei peccatori. Quinto: ciò che esclude dalla Chiesa non è il peccato ma l’eresia. Sesto: l’intransigenza contro l’omosessualità deve andare di pari passo con l’accoglienza umana per le persone omosessuali.
    Tutte cose vere, ma nulla hanno a che fare con la condotta di Schönborn. Essere chiamati a far parte di un consiglio pastorale non significa essere riconosciuti dal parroco e dal vescovo come “perfetti”, categoria ignota al diritto canonico, ma come persone sufficientemente stimabili agli occhi della comunità. Il problema ha una doppia direzione: il consiglio pastorale “si” legittima grazie alla qualità dei suoi membri e, allo stesso tempo, “legittima” i suoi membri. Se un giovane negazionista con simpatie naziste venisse eletto in un consiglio pastorale, sarebbe difficile trovare nell’orbe cattolico un vescovo e un filosofo disposti a difenderlo in nome della carità e dicendo che nessuno è perfetto.
    Il clamoroso e teatrale intervento di Schönborn non ha nulla a che vedere con l’incontro del cardinal Federigo con l’Innominato, non è un atto di doverosa elargizione del perdono che Cristo ha promesso a ogni peccatore pentito. Quello del porporato viennese è un gesto politico e dall’inevitabile significato magisteriale. E’, inequivocabilmente, un mettersi in ginocchio davanti al mondo. Le lobby gay premono alle porte della Chiesa affinchè sia abbandonato il tradizionale insegnamento morale sulla condotta omosessuale e il cardinale le ha accontentate.


    Schönborn crede di cavarsela dicendo che ha incontrato il giovane a pranzo e ha capito che merita quel posto. Ma così facendo dimostra di ignorare la severa disciplina che la Chiesa applica, per esempio, ai divorziati risposati, ai quali è interdetto l’accesso alla Santa Comunione, è proposto di vivere “come fratello e sorella”, e anche in tal caso, è caldamente consigliato di non comunicarsi in parrocchia per non dare scandalo alla comunità. Perfino in assenza del peccato si deve aver riguardo allo scandalo che può derivare dall’apparenza. Il male si può tollerare, ma non può essere portato a modello.
    Per finire, una considerazione tutt’altro che marginale: con quale autorità il parroco sconfessato dal suo vescovo potrà svolgere il suo ministero tra la sua gente?

     

     

     

    [SM=g1740733]appello riflessione

     

    Intanto Buttiglione farebbe bene a RISARCIRE in qualche modo, le centinaia di persone tratte in inganno dal suo essere testimonial di una università fasulla, ora indagata, e dalla quale ricevette una laurea Honorem causa, e per la quale si è sbracciato in elogi senza rendersi conto della truffa.... lui c'ha rimesso la faccia, che è così tanto tosta che neppure gli interessa più di tanto, ma molti giovani c'hanno rimesso i soldi e i corsi....  
    detto questo allora vediamo come dovrebbe regolarsi la Chiesa PER I PADRINI E LE MADRINE i quali e le quali non possono vivere condizioni ADULTERATE rispetto ai Sacramenti, proprio per evitare di ingannare i fedeli....  
     
    Qui siamo alla GIUSTIFICAZIONE del peccato mascherandola con l'amore e la carità che si deve al peccatore... e ancora, si continua a confondere l'essere omosessuale con il far filtrare L'ATTO omosessuale che inacettabile per la Chiesa... si scambia ormai ciò che è male in bene, chiamano bene ciò che è male.... (cfr Isaia)  
     
    Il problema non è rifiutare l'incarico a tal persona perchè è omosessuale, ma semmai perchè VIVE L'ATTO DISORDINATO e non intende rinunciarvi!! questa deve essere la motivazione della rimozione del peccatore...e non perchè è un peccatore MA PERCHE' GLI PIACE RESTARE NEL PECCATO!  
    Se il peccatore promettesse che da questa nomina farà il possibile, a cominciare da subito, per evitare l'atto e il peccare, allora la nomina potrebbe essere accolta.... [SM=g1740733]  
     
    Certo che la Chiesa è fatta di peccatori, caro Buttiglione, ma che si sforzano di non peccare più.... o che almeno ci provano....  
    qui invece si vuole la botte piena e la moglie ubriaca!!  
    La Chiesa NON può accettare IL RIFIUTO A NON PECCARE PIU'.... e non può accogliere nomine di persone che non intendono cambiare vita.... l'atto omosessuale è un peccato, non l'essere tale, di conseguenza la Chiesa non può tacere davanti a coloro che intendono giustificare l'atto del peccare!  
     
    All'adultera Gesù è vero che dice "neanch'io ti condanno..." ma aggiunge: "VA E NON PECCARE PIU'"..... la condizione per lavorare nella vigna del Signore è UNA CONVERSIONE, dallo stato di peccatore allo stato del discepolo  CHE LASCIA TUTTO, LASCIA IL PECCARE per cercare di essere testimone di UN PERDONO PIENO che lo si acquisisce resistendo al peccato, non giustificandolo!!   [SM=g1740730]
     
    Buttiglione mi ascolti, dopo il fallimento delle sue politiche (non mi risulta che abbiano mai prodotto frutti), si dia all'ippica e lasci la dottrina a chi è competente, ossia al Magistero BIMILLENARIO della Chiesa, senza alterazioni....!  
     
    dice la CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE: 3.6.2003  CONSIDERAZIONI CIRCA I PROGETTI  DI RICONOSCIMENTO LEGALE DELLE UNIONI TRA PERSONE OMOSESSUALI:  

    Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. (..) Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali « sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati », senza se e senza ma.

     

    [SM=g1740771]

     

    ******************************

    Per comprendere su cosa e dove poggiano i piedi i "falsi maestri" è bene andare per un attimo alle sorgenti del problema....

     

    L’errore di Mounier

    di Augusto Del Noce

    Un'acuta disamina di Del Noce sugli errori di Emmanuel Mounier, iniziatore del «progressismo cattolico», e la sua interpretazione equivoca del fenomeno ateistico.

    [Da «Il Tempo» del 2 aprile 1974, ora anche in «L’eurocomunismo e l’Italia», Editrice Europa Informazioni, Roma 1976, pp. 29-34]

    La lettura di un recente, assai interessante libro di un giovane studioso (Lucio Pala, I cattolici francesi e la guerra di Spagna, Argalia, Urbino) mi ha riportato alle questioni che fervevano nel 1937, in ambienti, in quel tempo molto ristretti, di giovani cattolici. Ne era occasione la guerra di Spagna col suo duplice aspetto; perché erano innegabili le persecuzioni antireligiose stimolate, prima della guerra civile, dalle forze radicali e socialiste al potere, continuate poi dai comunisti e dagli anarchici; e altrettanto innegabile il fatto che gli aiuti alle forze tradizionaliste avessero dato al conflitto le sembianze di momento decisivo della marcia, che allora appariva irresistibile, del fascismo. Per la maggior parte dei cattolici si trattava di una «guerra santa», di una «crociata»; una minoranza, in Italia davvero minima, attenta al secondo aspetto, vi vedeva invece una lotta mortale tra «coloro che volevano servirsi di Dio, fingendo di servirLo» e «coloro che combattevano contro la religione confondendola con “quella religione di cui i potenti si servono”».

    Apparvero in quell’anno le encicliche di condanna del comunismo (Divini Redemptoris, 19 marzo) e del nazismo (Mit brennender Sorge, 14 maggio). Il 1° maggio Mounier pubblicò nella sua rivista, Esprit, un commento alla prima. Possiamo fissare in quella lontana data l’inizio di ciò che poi maturò come «progressismo cattolico».

    Non che fosse un commento particolarmente audace. Ma mentre, almeno dalla conclusione delle controversie sul modernismo in poi, le encicliche pontificie venivano lette dai fedeli come documenti infallibili, nell’articolo di Mounier si vedeva, come ben osserva il Pala, l’intenzione di.«ridurre la portata del documento pontificio al livello di un contributo, e neppure di primaria importanza, ad un dibattito in corso che continuava a restare aperto». In questa accettazione condizionata, in forma di limitazione del significato, si può scorgere un sia pur lontano germe di quel rifiuto dell’infallibilità, che è oggi pronunziato da certi teologi.

    Non che Mounier fosse un cattolico-marxista, nel senso che ha oggi il termine, né che lo sia diventato negli anni successivi. Anche la sua posizione nei riguardi della Spagna era tutt’altro che oltranzista; in conclusione, si limitava a proporre una mediazione internazionale, non dissimile da quella auspicata dall’ortodossissimo Sturzo. Potrebbe anzi sembrare che le sue idee non differissero nella sostanza dalla condanna correlativa di comunismo e di nazismo pronunziata dal Papa. Eppure a ben guardare, la diversità c’era. Ce ne accorgiamo se portiamo l’attenzione su una frase, poco ricordata, della Divini Redemptoris: «Per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta e accuratamente preparata dall’uomo contro tutto ciò che è divino» (la sottolineatura, che è nel titolo, significa l‘importanza che il Pontefice le annetteva). Ossia, la storia contemporanea è prima che storia sociale e politica, storia dell’espansione dell’ateismo.

    Mounier pensa invece esattamente l’opposto. Non sottovaluta certo il fenomeno dell’ateismo, ma ne spiega la genesi con motivazioni sociali. Ridotto all’essenziale il suo ragionamento è il seguente:

    1) Ci sono dei cristiani per cui esiste una sorta di vincolo necessario tra la religione e il rispetto dell’ordine costituito. Soggettivamente la loro fede può essere fuori di discussione; possono essere esemplari nell’esercizio delle virtù private, nell’osservanza dei Comandamenti. Resta però che il loro è un cattolicesimo conservatore; lo vogliano o no, sono di conseguenza «dalla parte dei ricchi». Quando quest’ordine vacilla, essi finiscono con l’allearsi con avventurieri, miscredenti a ogni senso del sacro, che accorrono a difendere, per padroneggiarla, questa società «chiusa»; dopo che essa è caduta nelle loro mani, l’aspetto per cui la religione è strumento di conservazione balza in primo piano. I cattolici dell’«ordine costituito» si identificano nel consenso ai fascismi; e poco importa se di buona o di cattiva voglia.

    2) Il difetto della riduzione della vita religiosa alla pura interiorità si manifesta nella sua dissociazione dalla politica; quel che ne consegue non è però una religione «pura», ma ridotta, sotto il riguardo politico, a strumento di conservazione. Ed essa non può non essere vista come tale da coloro che, sensibili alle ingiustizie e alle miserie sociali, vedono «l’organizzazione del disordine» là dove gli altri scorgono un ordine che la legittimità esteriore basta, se non a rendere sacro, almeno a porre al di fuori della critica. I ribelli contro i’ingiustizia sono dunque portati, al limite, ad unire rivoluzione e ateismo.

    3) Per uscire da questo dilemma, che è la tragedia del nostro tempo, occorre che così i religiosi come i rivoluzionari rinunzino ai rispettivi «integralismi» (per servirci di un termine che diventerà di uso comune negli anni successivi): che i religiosi rinuncino a unire «religione» e «conservazione», e i rivoluzionari «rivoluzione» e «ateismo». Ma il primo passo devono muoverlo i religiosi; i rivoluzionari sono infatti dei «cristiani anonimi», e quando il carattere cristiano delle loro rivendicazioni sarà riconosciuto, comincerà il loro, sia pur lento, processo di conversione.

    Tutto questo può sembrare persuasivo. L’ateismo può essere convinzione di intellettuali; ma essi non possono parlare al popolo se non secondando la sua sete di giustizia (qui il motivo populista che associa Mounier a Péguy). Ma vediamo, a distanza di decenni, se le cose siano così semplici, o se il presente non confermi invece il pensiero dell’Enciclica.

    Sono almeno quindici anni che queste tesi sono diventate i presupposti pressoché indiscussi dell’ordinaria pubblicistica cattolica; basta sfogliare le riviste o guardare le vetrine delle librerie. Si è andati, nel progressismo, molto oltre a quelle che erano le intenzioni di Mounier. Quanto ai cattolici della «sacralità dell’ordine costituito», della rassegnazione, del sacrificio, delle virtù ascetiche, sono scomparsi e sarei grato a chi sapesse ancora mostrarmene un esemplare schietto, deciso, intransigente. Domandiamoci dunque se, da quando questo periodo ha avuto inizio, siano scomparsi i segni di una rinascita religiosa, o almeno quelli di un progresso di coscienza morale che possa preludervi, negli anni che verranno.

    La risposta alla prima domanda e lampante: i cosiddetti «cristiani anonimi» hanno tratto dalla loro parte molti cristiani «progressivi», mentre neppur uno di loro si è aperto alla fede e alla morale religiosa. O, se lo ha fatto, non è perché sia passato al progressismo cattolico, ma perché ha ravvisato il carattere catastrofico dell’ateismo rivoluzionario. Quanto alla seconda, i più ottimisti continuano a parlare di «crescita», guardandosi però bene dallo specificare verso che cosa sia diretta. Si osservi: di «crescita», neppur più di «progresso».

    Se i cattolici possono trarre qualche insegnamento da quel che è avvenuto negli ultimi quindici anni, esso mi par consistere proprio in questo: l’errore di Mounier e del gruppo «Esprit», si è fatto manifesto. La sua analisi dell’odio antireligioso, della lotta contro «tutto ciò che è divino» era affatto superficiale; pure curiosamente intoccabile, anche se raramente formulata, continua a sottendere quella cultura cattolica che si professa «aperta».

    L’odio contro il divino, presente in ogni uomo sotto forma di tentazione, sperimentabile da ognuno quando si abbandona alla fantasticheria, ha radici ben più profonde di quelle che possono essere cercate nella socialità. Non consegue in alcun modo ad un amore frustrato della giustizia. Anche se, in chi lo assume, deve giustificarsi con una promessa menzognera di beni terreni: la liberazione, il progresso, la felicità, la realizzazione della persona, eccetera. Possiamo accorgercene se portiamo l’attenzione sulla forma d’irreligione che, proprio in questo periodo, si è straordinariamente diffusa: lo scientismo, da ben distinguere, naturalmente, dalla scienza. Il suo primo asserto, «non esiste che quel che è sperimentalmente verificabile», non è suscettibile di alcuna prova. Esso è perciò tanto più intollerante in quanto, pur avendo la gratuità della fede, non può riconoscerlo, e deve presentarsi come espressione della ragione: ha l’intolleranza della ragione mistificata. Ora è ben difficile vedere in questo scientismo una protesta «morale» contro il «mondo cristiano», e le ingiustizie che esso può aver storicamente coperto e coprire. In quel farsi storia dell’ateismo in cui la Divini Redemptoris vedeva il tratto che caratterizza il nostro tempo, bisogna distinguere degli stadi: lo stadio raggiunto oggi non permette più le illusioni che erano spiegabili al tempo in cui Mounier pensava.

    Albert Béguin, che fu suo successore nella direzione di Esprit, vedeva il maggior merito di Mounier nell’aver liberato il cattolicesimo francese dalla tracce del pessimismo giansenista. Sarebbe più giusto dire che cadde nell’errore opposto e più pericoloso. C’era già in germe nella sua opera quella perdita del senso del peccato, che caratterizza certo cattolicesimo secolarizzato e «demitizzato» di oggi; e la cui natura difficilmente può essere compresa se non si risale alle sue prime origini, e alle occasioni storiche che spiegano come qualcuno possa essere giunto a tale benevola interpretazione, senza riscontro nella tradizione dell’ateismo.



    [SM=g1740733]

     

    [Modificato da Caterina63 16/04/2012 17:43]
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    00 22/04/2012 22:57

    Bergamo, canzoni di Ligabue durante il funerale e il nuovo rito delle esequie della CEI

     
    Da sabato scorso l'attenzione mediatica è stata rivolta alla prematura scomparsa di un giovane calciatore professionista avvenuta durante una partita di calcio . Tutti i mezzi televisivi , come ovvio, giovedì 19 aprile hanno poi ripreso le fasi dei funerali  nella chiesa di San Gregorio Barbarigo di Bergamo, la Parrocchia dello sfortunato giovane che tutti ricordano per il suo carattere buono e sereno. 
    Le agenzie di stampa, corredate dalle TV presenti ai funerali, hanno subito sottolineato un particolare del rito : l’esecuzione durante la Messa di alcuni canti del noto cantante rock Ligabue. 
    Dal sito di Repubblica TV possiamo proprio sentire come due canti di Ligabue hanno accompagnato il momento della Comunione dei fedeli. ( Video allegato).
    Un fedele ha voluto inviare la lettera che viene postata, con  i testi delle canzoni di Ligabue eseguite durante la Messa esequiale, alla Curia Vescovile di Bergamo , alla Congregazione per il Culto Divino e all’Ufficio Liturgico Nazionale della CEI , che poco più di un mese fa ha presentato la riforma del rito di Paolo VI ( che sarà resa obbligatoria dal 2 novembre 2012 ) che vieta, espressamente, musiche e riferimenti vari  di carattere profano .
    Ricorrendo oggi il settimo giorno della morte del giovane calciatore eleviamo al Signore Onnipotente preghiere di suffragio nella cristiana certezza che « ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo».  A.C.
    Rev.ma Curia Vescovile di Bergamo 
    p.c. Congregazione per il Culto Divino 
    p.c. Ufficio Liturgico Conferenza Episcopale Italiana 
    p.c. Stampa e Informazione Cattolica Nazionale 
    Giovedì 19 aprile scorso l’intera Nazione ha seguito i funerali del giovane calciatore Piermario Morosini , celebrati nella chiesa di San Gregorio Barbarigo di Bergamo, attraverso i mass media  presenti in chiesa. I servizi, anche quelli su Internet, han fatto vedere che persino durante la Santa Comunione, sono stati eseguiti alcuni canti di Luciano Ligabue, noto cantante di musica rock , citando i titoli delle canzoni eseguite, i cui testi allego (All. 1). Le parole del Magistero condannano da sole il grave abuso liturgico sopra descritto reso ancor più esecrando perché è stato fatto conoscere a tutta la Nazione dai mass media con l’ausilio dei mezzi televisivi, della cui presenza si sapeva considerato anche l’interesse mediatico  per la tragica morte “in campo” del giovane. Non mi aspetto alcun tipo di risposta da parte degli Ecclesiastici destinatari di questa lettera ma chiedo che questa missiva venga regolarmente protocollata ed archiviata a ricordo di una delle più gravi violazioni delle norme liturgiche vigenti compiute in Italia di recente. Unendomi volentieri alle preghiere di riparazione per quanto avvenuto, cordialmente saluto.
    ( firma ) 
    ALLEGATI
     I TESTI DI DUE CANZONI DI LIGABUE ESEGUITE DURANTE LE ESEQUIE DEL GIOVANE : 
    Quando tutte le parole sai che non ti servon più quando sudi il tuo coraggio per non startene laggiù quando tiri in mezzo Dio o il destino, o chissà che che nessuno se lo spiega perché sia successo a te quando tira un po' di vento che ci si rialza un po' e la vita è un po' più forte del tuo dirle "grazie no" quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà. Sopra il giorno di dolore che uno ha. 
    Tu ru ru... 
    Quando indietro non si torna quando l'hai capito che che la vita non è giusta come la vorresti te quando farsi una ragione vorrà dire vivere te l'han detto tutti quanti che per loro è facile quando batte un po' di sole dove ci contavi un po' e la vita è un po' più forte del tuo dirle "ancora no" quando la ferita brucia la tua pelle si farà. Sopra il giorno di dolore che uno ha. 
    Tu ru ru... 
    Quando il cuore senza un pezzo il suo ritmo prenderà quando l'aria che fa il giro i tuoi polmoni beccherà quando questa merda intorno sempre merda resterà riconoscerai l'odore perché questa è la realtà quando la tua sveglia suona e tu ti chiederai "che or'è?" che la vita è sempre forte molto più che facile quando sposti appena il piede, lì il tuo tempo crescerà 
    Sopra il giorno di dolore che uno ha 
    Tu ru ru... 
    Ci han concesso solo una vita
    Soddisfatti o no qua non rimborsano mai
    E calendari a chiederci se  stiamo prendendo abbastanza abbastanza
    Se per ogni sbaglio avessi mille lire  Che vecchiaia che passerei
    Strade troppo strette e diritte  Per chi vuol cambiar rotta oppure sdraiarsi un po'
    Che andare va bene pero'  A volte serve un motivo, un motivo
    Certi giorni ci chiediamo e' tutto qui?  E la risposta e' sempre si'
    Non e' tempo per noi che non ci svegliamo mai  Abbiam sogni pero' troppo grandi e belli sai
    Belli o brutti abbiam facce che pero' non cambian mai  Non e' tempo per noi e forse non lo sara' mai
    Se un bel giorno passi di qua  lasciati amare e poi scordati svelta di me
    che quel giorno e' gia' buono per amare qualchedun'altro  qualche altro  dicono che noi ci stiamo buttando via  ma siam bravi a raccoglierci.
    Non e' tempo per noi che non ci adeguiamo mai  Fuorimoda, fuoriposto, insomma sempre fuori dai
    Abbiam donne pazienti rassegnate ai nostri guai  Non e' tempo per noi e forse non lo sara' mai
    Non e' tempo per noi che non vestiamo come voi  Non ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voi
    Forse ingenui o testardi  Poco furbi casomai
    Non e' tempo per noi e forse non lo sara' mai
     Ci han concesso solo una vita Soddisfatti o no qua non rimborsano mai 
     E calendari a chiederci se stiamo prendendo abbastanza abbastanza Se per ogni sbaglio avessi mille lire Che vecchiaia che passerei Strade troppo strette e diritte 
    Per chi vuol cambiar rotta oppure sdraiarsi un po' Che andare va bene pero' A volte serve un motivo, un motivo Certi giorni ci chiediamo e' tutto qui? E la risposta e' sempre si' 
    Non e' tempo per noi che non ci svegliamo mai Abbiam sogni pero' troppo grandi e belli sai Belli o brutti abbiam facce che pero' non cambian mai 
     Non e' tempo per noi e forse non lo sara' mai Se un bel giorno passi di qua lasciati amare e poi scordati svelta di me che quel giorno e' gia' buono per amare qualchedun'altro qualche altro dicono che noi ci stiamo buttando via ma siam bravi a raccoglierci. 
    Non e' tempo per noi che non ci adeguiamo mai Fuorimoda, fuoriposto, insomma sempre fuori dai Abbiam donne pazienti rassegnate ai nostri guai Non e' tempo per noi e forse non lo sara' mai Non e' tempo per noi che non vestiamo come voi Non ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voi Forse ingenui o testardi Poco furbi casomai Non e' tempo per noi e forse non lo sara' mai

    **********************************************

     

    [SM=g1740771]riflessione:

     

    La Chiesa, il così detto RITO è uno spettacolo? se è così allora non cia siamo, c'è una chiesa PARALLELA che usa i luoghi di culto per fare spettacolo.... e che ha trasformato il RITO ne più né meno che in uno SPETTACOLO per il quale i Vescovi tacciano e al tempo stesso impongono ai fedeli una Chiesa come si vuole, con i riti che si vogliono, con le Messe arrangiate a seconda dei gusti, con spettacoli fatti passare per incontri sacri... sacri perchè si fanno in un luogo CONSACRATO, ma... consacrato a Dio o alle opere degli uomini?  
     
    Il Vescovo TACE!  
    noi saremo quelle pietre che urlano e che sapranno trovare in Cristo la giustizia, magari anche voci che urlano nei deserti di certe Curie vescovili... Gesù ci aveva avvisati che gli scandali sarebbero stati persino necessari, ma come rammenta il cardinale Biffi: fulmina gli scandalizzatori!  
    Il Vescovo di Bergamo ha taciuto sul caso del giornalista Alessandro Gnocchi, un funerale nella forma straordinaria vietato e rifiutato... ma tace anche su questo funerale che non ha nulla neppure di ordinario, oppure l'ordinario è diventato questo?  
    Il Vescovo Beschi ha deciso di agire come Pilato: se ne lava le mani! come in fondo ha fatto anche il cardinale Caffarra a Bologna tacendo sul fatto che si sono fatti dei funerali di domenica.... un sacerdote mi ha risposto: come siete esagerati! Gesù stroncò i Farisei sulla questione del Sabato, perciò Egli è anche padrone della Domenica, si può fare un funerale anche di Domenica, la legge della Chiesa non è superiore al Fondatore!  
    la scia protestante del Sola Scriptura è diventata legge della chiesa moderna: tutto mi è lecito, dice, dimenticando le parole finali della frase paolina: ma non tutto giova! a che serve un Codice di Diritto Canonico se poi lo si pretende solo per le comunità tradizionaliste?  
     
    Troppi Pilato ultimamente, troppi Vescovi che tacciono o che se ne lavano le mani....  
     
    Insomma: volete libera la Tradizione della Chiesa (Gesù) o volete libero il progressismo (Barabba) ?  
    - il progressismo!!!  
    si sente gridare dalle folle che con gaudio dei vari sommi sacerdoti, finalmente RIEMPIONO le chiese...  
    Al vedere la Tradizione avanzare, i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Progressismo, progressismo!». Disse loro Pilato: «Prendetela voi la Tradizione e crocifiggetela; io non trovo in lei nessuna colpa».  
    Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare».... non abbiamo altra legge che quella del progressismo....  
    Cari Vescovi, che frutti sperate di ricavare da queste oscenità?  
     
    Un giovane ragazzo è morto, e voi avete permesso che l'ultimo saluto, invece di dare un messaggio autentico del PASSAGGIO fra la vita e la morte che Cristo ci ha conquistato, lo avete trasformato davvero IN UNA TOMBA.... in uno spettacolo triste e volgare, in uno spettacolo dove il prete era il protagonista della sceneggiata, il sommo sacerdote del momento che ai tempi di Pilato avrebbe preteso di liberare Barabba cercando di fare qualche compromesso per salvare anche il Cristo: "su, datti per pazzo e finiamola qui! diciamo a tutti che sei incapace di intendere e di volere, LASCIA FARE A NOI! ti tireremo fuori noi da quella bara!"  
     
    Complimenti! a breve è la Festa di santa Caterina da Siena, rileggetevi il Dialogo per il quale s'è conquistata il titolo di Dottore della Chiesa... leggetelo nel capitolo in cui parla della superbia del Clero!

     

    [SM=g1740729]

     

     

     

     

     

     

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    00 23/04/2012 15:33

    giovedì 19 aprile 2012

    Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede rivolta alle Superiore Maggiori degli Stati Uniti (Radio Vaticana)



    Rinnovare per offrire un più solido fondamento dottrinale: questo l’obiettivo sotteso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nella Valutazione dottrinale delle attività della Leadership Conference of Women Religious. Il documento è stato al centro ieri di un incontro tra i superiori del dicastero vaticano e le rappresentanti della Conferenza di Superiore di Ordini religiosi presenti negli Stati Uniti. Il servizio di Roberta Gisotti.

    “Rafforzare una ecclesiologia di comunione” è l’intento principale della Valutazione, condotta fin dal 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nei confronti della Conferenza di Superiore Maggiori negli Stati Uniti, spiega in una nota il cardinale William Levada, prefetto del dicastero vaticano. Il documento, pubblicato ieri, ha lo “scopo – sottolinea il porporato – di incoraggiare un rinnovamento paziente e collaborativo di questa Conferenza”, “per dotare le sue molteplici e lodevoli iniziative ed attività di un più solido fondamento dottrinale”. E l’incontro svoltosi in Vaticano è stato “il primo passo – osserva il cardinale Levada - per attuare i risultati della valutazione”, offrendo “la possibilità di esaminare il documento in uno spirito di rispetto reciproco e collaborazione, nella speranza di evitare ogni eventuale incomprensione degli intenti e degli scopi del testo.”

    La Valutazione – chiarisce un comunicato del dicastero – “riguarda l’Associazione delle Superiore Maggiori e non si occupa della fede e della vita delle religiose negli Istituti membri di tale Associazione”. Sono però emersi “problemi dottrinari seri che toccano molti nella Vita consacrata”. Nella Valutazione si riferisce di posizioni non accettabili manifestate nelle Assemblee annuali dell’Associazione e di posizioni di dissenso – ad esempio in tema di ordinazione delle donne e di approccio pastorale all’omosessualità - o di affermazione di femminismo radicale incompatibili con l’insegnamento cattolico.

    Ricorda il dicastero che “le Associazioni di Superiori maggiori sono espressione della collaborazione tra la Santa Sede, i Superiori generali e le Conferenze episcopali a sostegno della Vita consacrata”. Da qui la necessità di prevedere per l’Associazione “un solido radicamento dottrinale nella fede della Chiesa”. A tal fine la Santa Sede ha nominato mons. Peter Sartain, arcivescovo di Seattle “Delegato per l’esame, la guida e l’approvazione, se necessario, del lavoro dell’Associazione (LCWR)”, lavorando insieme alle sue rappresentanti “per realizzare gli obiettivi delineati nella Valutazione.”
     
    Il delegato riferirà poi alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che informerà e consulterà gli altri due dicasteri interessati quello per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e quello per i Vescovi. “La Santa Sede – conclude il cardinale prefetto Levada – spera in questo modo di offrire un contributo di rilievo per il futuro della vita religiosa negli Stati Uniti”.
     
     Radio Vaticana
     
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    E' L'ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA!! ATTENTE SUORE A NON CADERE IN QUESTA TRAPPOLA INFERNALE DELLA DISOBBEDIENZA!
     
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    DA LA BUSSOLAQUOTIDIANA
     
    Suore americane "commissariate"

    di Massimo Introvigne
    20-04-2012


    I lettori della Bussola Quotidiana, in grande maggioranza cattolici, pensano che il buon cattolico metta al centro delle feste comandate la Messa. E che chi ha scelto la vita religiosa lo faccia con particolare zelo e solennità.

    Se pensate questo, però, non conoscete le suore americane. In molti ordini di suore negli Stati Uniti le buone sorelle si pongono la questione se sia opportuno o meno che «l'Eucarestia sia al centro delle loro celebrazioni comunitarie solenni», perché purtroppo «la celebrazione della Messa richiede un sacerdote ordinato, qualche cosa che alcune suore giudicano "discutibile"». Detto in altri termini, vedere un maschio sull'altare è intollerabile per suore intrise di «femminismo radicale», le cui superiore nazionali da anni e sistematicamente «protestano contro gli insegnamenti della Santa Sede in materia di ordinazioni delle donne», anzi li «rifiutano pubblicamente», benché si tratti d'insegnamenti che - come il Papa ha ribadito di recente - dichiarano il rifiuto di queste ordinazioni definitivo e irrevocabile. Può darsi che la presenza di un maschio che celebra Messa dia fastidio a queste suore anche per un'altra ragione, in quanto - sempre spalleggiate e anzi guidate dalle loro superiori nazionali - hanno adottato un atteggiamento sulle «persone omosessuali» - trattandosi di suore, particolarmente persone lesbiche - che, per usare forse un eufemismo, «non corrisponde all'insegnamento della Chiesa in materia di sessualità umana».

    Il problema se si debba o no ammettere il prete a celebrare la Messa nelle feste dei conventi di suore non dev'essere occasionale, se è vero che se ne occupa il «Systems Thinking Handbook», che è «un manuale per la formazione dottrinale delle superiori religiose». E quale soluzione propone il manuale? Una bella discussione democratica, convento per convento, dove si esclude che scopo del «dialogo» sia «accettare l'insegnamento della Chiesa». Si tratta invece d'imparare a dare spazio non solo alla «mentalità occidentale» - che procede per dottrina e per logica, e potrebbe portare a concludere che sulla Messa va seguito quanto la Chiesa insegna - ma anche al «modello mentale organico», più tipico delle religioni orientali, dove ciascuna sorella va dove la porta il cuore.

    Naturalmente, una volta adottato questo «modello mentale organico» - il cui nome più preciso sarebbe relativismo - per decidere che cosa è bene pensare e insegnare nei conventi di suore americani, non c'è nessuna ragione di fermarsi alla Messa. Il rifiuto della dottrina della Chiesa in tema di sessualità, omosessualità, ma anche «famiglia», «aborto» e «eutanasia» è dato per scontato. Ma ormai non ci si ferma più alla morale. In molti casi la franca e democratica discussione condotta secondo il nuovo modello porta a rifiutare «la Trinità, la divinità di Cristo e il carattere ispirato della Sacra Scrittura». E neppure qui ci si arresta.

    Nel corso dell'assemblea annuale delle superiore religiose statunitensi del 2007 una delle oratrici principali, la suora e teologa domenicana Laurie Brink, ha affermato che molte suore ormai hanno deciso di andare «al di là della Chiesa» e ora anche «al di là di Gesù», verso un orizzonte di vaga religiosità dove Gesù è un maestro fra tanti altri e «lo spirito del Sacro» vive in tutte le religioni, anzi «in tutta la creazione».

    È vero che molte congregazioni di suore fanno un buon lavoro caritativo e promuovono pratiche a sostegno dei poveri che spesso sono «conformi alla dottrina sociale della Chiesa». Ma questo non basta, e non distingue le suore da una comune associazione umanitaria, se rischia di andare perduto «il fondamentale centro e punto focale cristologico della consacrazione religiosa, il che porta a sua volta a perdere il senso costante e vivo della Chiesa».

    Se tutto quanto avete letto finora tra virgolette derivasse da un'inchiesta giornalistica sarebbe già abbastanza grave. Ma viene da un documento del Magistero. Si tratta della «Valutazione dottrinale della Conferenza delle Superiore Religiose Femminili [degli Stati Uniti]», resa pubblica dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 18 aprile 2012, come si precisa su ordine e con l'approvazione di Benedetto XVI. Si tratta del risultato di un lavoro iniziato nel 2008, condotto sotto la guida del vescovo di Toledo, nell'Ohio, mons. Leonard Blair, il quale ha esaminato le assemblee annuali, le politiche e i documenti della Conferenza delle Superiore, la Leadership Conference of Women Religious (LCWR). Il documento dà atto delle risposte fornite dalla LCWR al vescovo Blair e alla Congregazione, che giudica «inadeguate».

    Le superiore da una parte hanno risposto che tutti gli interventi alle loro assemblee sono pronunciati a titolo personale: il che non convince, risponde il documento vaticano, perché anni di interventi vanno tutti nello stesso senso e perché le Conferenze delle Superiori Religiose sono esplicitamente regolate dal diritto canonico e «approvate dalla Santa Sede», e come tali hanno «una responsabilità positiva per la promozione della fede e per offrire alle comunità che ne fanno parte e al più vasto pubblico cattolico una posizione chiara e persuasiva a sostegno della visione della vita religiosa proposta dalla Chiesa».

    Dall'altra parte, le suore hanno utilizzato un vecchio argomento che - per coincidenza - all'estremo opposto della teologia si sente ripetere in questi giorni anche da alcuni «tradizionalisti». Le suore, cioè, affermano che è obbligatorio per i cattolici, religiose comprese, seguire solo tra gli insegnamenti del Magistero quelli infallibili o che almeno «sono stati dichiarati insegnamenti autorevoli». Il documento vaticano risponde che, a parte il fatto che alcuni degli insegnamenti pubblicamente rifiutati dalla LCWR, tra cui quelli che negano il sacerdozio alle donne, per non parlare della Trinità o della divinità di Gesù Cristo, rientrano certamente in questa categoria, il buon fedele cattolico, e tanto più la religiosa che ha fatto voto di obbedienza, sono tenuti a seguire anche il Magistero ordinario e non solo quello straordinario.

    Alla diagnosi - secondo cui la situazione della LCWR è «grave», «davvero preoccupante» e su alcuni punti perfino «scandalosa» - segue nel documento vaticano la terapia. La Congregazione per la Dottrina della Fede nominerà un Arcivescovo Delegato, assistito da due vescovi, sotto la cui guida la LCWR dovrà riformare i suoi statuti. Il famoso «Systems Thinking Handbook» sarà «ritirato dalla circolazione mentre si procederà alla sua revisione». Il materiale formativo sarà rivisto per renderlo conforme al «Catechismo della Chiesa Cattolica». Gli oratori alle assemblee annuali e ai principali convegni della LCWR dovranno essere approvati dall'Arcivescovo Delegato. Si procederà a una revisione della vita liturgica, assicurandosi che «l'Eucarestia e la Liturgia delle Ore abbiano un ruolo centrale». L'Arcivescovo Delegato resterà in carica «fino a cinque anni». I danni prodotti sono tali che potrebbero non bastare.
     
     
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 12/05/2012 14:23

    IL POETA MALEDETTO 

     

    David Maria Turoldo 

     

     Prete, “cattolico adulto”, divorzista, abortista, liberale.

    Più poeta che… “profeta”.

    E per giunta, spezzò il rosario.

     

     

    RITAGLI

    Naturalmente, per restare fedele alla sua idea liberal-radicale, il suo sì al divorzio diventerà poi il “sì” all’aborto! Erano gli anni della contestazione, è vero… Padre Turoldo non sembra essersi mai pentito… L’errore di Padre Turoldo fu nel definire la battaglia contro il divorzio e l’aborto un “problema politico”. Di conseguenza, secondo la sua opinione, la Chiesa non avrebbe dovuto schierarsi né pro né contro. Dal momento che la Catholica, però, aveva preso la decisione di schierarsi contro, Turoldo decise di battersi a favore del divorzio, definendo la questione non un problema ecclesiale o religioso, ma di coscienza, una “battaglia sbagliata” che andava perduta “in difesa della libertà di coscienza – per una laica libertà della persona“. Parole davvero incomprensibili, inaccettabili diremmo, se pronunciate da un sacerdote che non dovrebbe occuparsi di laicità, ma di Sacramenti!… Invece ecco la bella pretesa turoldiana: la Chiesa, con a capo il Papa, aveva “sbagliato battaglia”, mentre lui, sacerdote, conduceva la battaglia “giusta” contro la Chiesa e il Papa, contro l’indissolubilità del matrimonio, che è un Sacramento, e a favore dell’aborto. E’ in questa polemica che David Maria Turoldo compie l’atto vandalico e sacrilego di spezzare pubblicamente, lui dei Servi di Maria, la sua Corona del Rosario in segno di sfida contro laposizione della Chiesa sui Referendum.

     

     

     

    di Tea Lancellotti

     

     

     (come sempre: foto, titoli e didascalie a cura del Mastino)

    NESSUN PROCESSO

    Padre David Maria Turoldo è diventato un’”icona” della sofferenza che, ci teniamo a sottolineare, non intendiamo assolutamente scalfire. Era un uomo di fede – e anche questo è fuori discussione –, un sacerdote devoto e fedele alla propria vocazione (e neppure questo vogliamo discutere). Allora, che cosa vogliamo far emergere da questa “icona” del nostro tempo? Semplicemente desideriamo dare voce anche a non pochi tra i suoi confratelli che parlano di un lato “scomodo” di Turoldo, un lato un pò contraddittorio, non perfettamente dottrinale e dogmatico.

    Certo, non è compito mio né del sito aprire o fare alcun processo – e questo infatti non lo è – ma abbiamo il dovere di chiarire quei lati oscuri che dagli anni ’50, a partire dai quali inizia una dura contestazione in campo cattolico, hanno purtroppo coinvolto anche sacerdoti le cui “icone” da “martiri”, incollate loro addosso da non pochi discepoli, non sono del tutto luminose come appaiono. Ci muoviamo senza contestare la persona, come è avvenuto per i ben quattro articoli che abbiamo dedicato alle idee di mons. Tonino Bello, senza metterne in discussione la bontà delle intenzioni.

    Senza dubbio, nel ricostruire la vita di una persona, se si dovessero esclusivamente riportare i difetti, non saremmo corretti e commetteremmo un atto di ingiustizia. È per questo motivo – e ci preme ri-sottolinearlo – che in questo articolo non intendiamo avanzare alcun processo, né giudicare la fede di questo sacerdote. Del resto i suoi pregi sono abbondantemente conosciuti, mentre sono forse poco noti quei difetti che, se fossero rimasti solo “suoi”, non ci fornirebbero le motivazioni di questo articolo. Tuttavia, poiché certi difetti hanno coinvolto non pochi cattolici, facendoli deviare dalla retta dottrina della Chiesa, riteniamo un dovere ed un servizio riportare su “papalepapale” il resoconto di alcuni danni provocati dalle idee di Padre Turoldo. Non è del resto raro oggi trovare molte persone di fede che pretendono di portare avanti le proprie opinioni o una fede “personalizzata”, spesse volte imponendola proprio attraverso atteggiamenti da buon fedele.

    Spetta al lettore prudente, cattolico e che riesce a vagliare con un sano discernimento, saper comprendere i fatti che seguono, fedele al monito di san Paolo: “esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Tess 5,21).

    Noi ci apprestiamo a presentare quanto segue, riportando alcune idee liberali e in libertà di Padre Turoldo, che influirono su molti cattolici ingannandoli sulla corretta dottrina, per rigettarle.

     

    UN PROFETA RICONOSCIUTO TROPPO TARDI? NON DICIAMO… ERESIE!

    Accoppiate... profetiche... di sventure. Col più ostinato degli apostati post-conciliari: Balducci. Da 50 anni gli eretici, i ribelli, i rinnegati, persino gli atei... si chiamano tutti "profeti". Purchè demoliscano almeno un dogma. Beata la chiesa e la società che non ha bisogno di "profeti". Di questo genere almeno.

    Di padre David Maria Turoldo – su cui la rete e il mondo editoriale offrono materiale in abbondanza – non poche librerie presentano i libri di poesie, ma anche quelli di esegesi poetica sui salmi. Tra questi ultimi, alcuni sono davvero belli (ho scoperto di averne letto uno, rendendomi conto solo dopo di chi fosse l’autore): si dice che lo stesso cardinale Joseph Ratzinger tenesse sul comodino uno di questi testi poetici sui salmi, almeno secondo quello che ha rivelato il cardinale Ravasi, naturalmente grande amico e probabilmente discepolo del Turoldo.

    Anche il cardinale Carlo M. Martini fu catturato dalla vena poetica di questo sacerdote tanto che, ai suoi funerali, ebbe a dire una frase, a mio parere infelice perché detta da un Principe della Chiesa: “La Chiesa riconosce la profezia troppo tardi“. Con una frase del genere si millanta l’incapacità della Chiesa nell’interpretazione delle Scritture stesse e nel discernimento degli spiriti buoni e santi, compromettendo quella infallibilità che invece riguarda proprio tale discernimento, tale riconoscimento. Fare queste affermazioni – come accade anche nel caso di san Pio da da Pietralcina, per il quale molti dicono “la Chiesa lo ha riconosciuto tardi…” – è un fatto grave perché non si tiene conto dei “tempi di Dio”. E’ Dio che stabilisce quando e come un suo servo debba o non debba essere riconosciuto santo dal momento che è Lui ad elargire, tenendo conto anche delle preghiere e delle suppliche che vengono elevate al Cielo dai fedeli, quel miracolo necessario per far chiudere positivamente un processo di beatificazione o di canonizzazione. Senza dubbio spetta alla Chiesa sollecitare la Divina Misericordia ed essere vigile verso le profezie; allo stesso modo, però, spetta sempre e solo alla Chiesa riconoscerle come vere o come false. Proprio per questo motivo, non si può dire che le riconosce “troppo tardi”: piuttosto Essa è prudente e saggiamente paziente. Si sa, però: oggi la pazienza è una virtù diventata assai rara.

    Padre Turoldo fu “osservato” a lungo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che prima del Concilio si chiamava Sant’Uffizio. La più nota tra le Congregazioni, pur non contestandogli nulla di particolare, tuttavia guardava con sospetto le sue idee liberali. Dobbiamo dire, però, che fu proprio la Congregazione dei Serviti – che aveva accolto il sacerdote – a rimuoverlo da diversi incarichi, spostandolo da una Casa all’altra, fino a che, dopo il Concilio e dopo che furono modificate le stesse azioni disciplinari della Chiesa diventate nel frattempo assai più concilianti, Padre Turoldo poté fermarsi grazie anche all’interessamento di Giorgio La Pira, suo amico, discepolo e collaboratore. Padre David Maria fu un sacerdote dal cuore sensibile, senza dubbio: fu sostenitore del progetto Nomadelfia, il villaggio nato per accogliere gli orfani di guerra “con la fraternità come unica legge”, fondato da don Zeno Saltini (un progetto sofferto e riconosciuto dalla Chiesa nel 1962, come parrocchia, e dopo la modifica della costituzione normativa); fu anche amico di Pier Paolo Pasolini, ma di lui non gli interesserà la “sua conversione personale”, quanto piuttosto la collaborazione per realizzare il suo unico film: Gli Ultimi, nel 1962.

     

    A LUI NON INTERESSA LA CONVERSIONE MA IL “DIALOGO”. PER QUESTO SCEGLIE IL DIVORZIO. E ANCHE L’ABORTO

    Sentimentalismo umanitario straccione e farlocco. Oltre che modaiolo. Qui Turoldo con la premio nobel per la pace, la peruviana Rigoberta Menchù: solo dopo si scoprì che questa corpulenta donna era una simulatrice e una millantatrice, ma i "suoi" scritti, che gli fruttarono il nobel, erano roba posticcia, metà inventata e in gran parte copiata da altri autori

    Qui intravediamo già un primo spunto di riflessione: a padre Turoldo non interessava la conversione del singolo, quanto piuttosto il “dialogo” con il singolo attraverso il quale maturare un rapporto esclusivamente umano, dove il trascendente rimaneva un fatto privato e personale.

    A molti cattolici, oggi, questo aspetto potrebbe sembrare superficiale. Operando però un sano discernimento, comprendiamo come questa idea abbia influito negativamente su uno dei referendum che portò il mondo cattolico ad una prima chiara apostasia dalla dottrina di Cristo e della Chiesa, quello sul divorzio.

    Il 12 maggio 1974, con il referendum abrogativo sul divorzio, gli italiani furono chiamati a decidere se abolire la legge Fortuna-Baslini che istituiva in Italia il divorzio: partecipò al voto l’87,7% degli aventi diritto; votò “no” il 59,3%, mentre i “sì” furono il 40,7%: la legge a favore del divorzio rimase così in vigore.

    David Maria Turoldo si schierò per il “no” e non risparmiò critiche e attacchi contro i cattolici che erano a favore dell’abrogazione.

    Naturalmente, per restare fedele alla sua idea liberal-radicale, il suo sì al divorzio diventerà poi il “sì” all’aborto!

    Erano gli anni della contestazione, è vero. Per esempio, fratel Carlo Carretto, della comunità fondata dal beato Foucauld, a pochi giorni dal voto referendario fa una esternazione allucinante su La Stampa del 7 maggio 1974: “Voto no! E tu, Signore, per chi voti? Mi par di saperlo dalla pace che sento dentro di me…”. Naturalmente fratel Carretto ritratterà questa affermazione la notte di Pasqua del 3 aprile 1975, nella gremita cattedrale di Foligno, davanti a tutti i fedeli, riconciliandosi con il vescovo Siro Silvestri, ma intanto il danno era fatto. Almeno, però, lui fece abiura dell’errore, pentendosi, mentre padre Turoldo non sembra essersi mai pentito del danno recato alle menti ed alle coscienze di tanti cattolici. E alla sua stessa, schierandosi, lui prete, a favore del riconoscimento legale di due peccati mortali: contro il sacramento del matrimonio e a favore dell’infanticidio con l’aborto.

    L’errore di Padre Turoldo fu nel definire la battaglia contro il divorzio e l’aborto un “problema politico”. Di conseguenza, secondo la sua opinione, la Chiesa non avrebbe dovuto schierarsi né pro né contro. Dal momento che la Catholica, però, aveva preso la decisione di schierarsi contro, Turoldo decise di battersi a favore del divorzio, definendo la questione non un problema ecclesiale o religioso, ma di coscienza, una “battaglia sbagliata” che andava perduta “in difesa della libertà di coscienza – per una laica libertà della persona“. Parole davvero incomprensibili, inaccettabili diremmo, se pronunciate da un sacerdote che non dovrebbe occuparsi di laicità, ma di Sacramenti! In sostanza, egli era convinto che la scelta della Chiesa di schierarsi contro queste “legittime” scelte dei cattolici, era un’imposizione, e poiché non si può imporre la religione né ai battezzati e men che meno a chi non crede, si schierò in favore di questa presunta “libertà” – quella di divorziare – andando contro il Papa e contro la Chiesa in campo etico e morale. La quale, a differenza di come la pensava Turoldo, aveva ed ha tutto il dovere e il diritto di guidare i fedeli riguardo ad una sana e corretta interpretazione dell’etica e della morale. Invece ecco la bella pretesa turoldiana: la Chiesa, con a capo il Papa, aveva “sbagliato battaglia”, mentre lui, sacerdote, conduceva la battaglia giusta contro la Chiesa e il Papa, contro l’indissolubilità del matrimonio, che è un Sacramento, e a favore dell’aborto.

     

    PER TUROLDO, FEDE E MORALE CATTOLICA SONO UN “FATTO PRIVATO”. COME PURE DIVORZIO E ABORTO

    "Libertà di coscienza" l'avrebbe chiamato a suo tempo il "profeta" Turoldo.

    Tuttavia il vero e proprio snodo della questione stava e sta nel fatto che Turoldo non era né a favore del divorzio né a favore dell’aborto: in verità, egli aborriva entrambi e sosteneva che “erano e sono un male ma che deve essere vissuto solo a livello della fede e della coscienza, nel rispetto di chi non crede che aborto e divorzio siano un male”.

    In sostanza siamo davanti ad uno degli errori madornali di questa società e che ha prodotto una delle più gravi apostasie del nostro tempo: definire la fede Cattolica e la morale, con tutto quello che ne deriva, un “fatto privato”. Esattamente il contrario di ciò che insegna la Chiesa, di ciò che predicò Giovanni Paolo II e di quanto lo stesso Benedetto XVI oggi denuncia ripetutamente: la fede della Chiesa, la sua etica e la sua morale non sono un fatto privato. La morale cattolica non è un monopolio del singolo fedele, ma appartiene alla Legge di Dio, a ciò che nel mondo laico è la Legge naturale. Non esiste la Legge di Dio e la legge naturale in contrapposizione o in contraddizione: questa Legge è unica e vale in tutto il mondo e in tutto l’Universo. Non a caso al termine dell’Anno Liturgico proclamiamo la vittoria di Cristo Re dell’Universo: un sacerdote non dovrebbe mai dimenticarlo, ed essere coerente con tale dottrina.

    Padre Turoldo era cosciente di mettersi contro l’insegnamento della Chiesa. Affermò limpidamente che, con grande sofferenza, decise di sostenere “il suo pensiero” cercando di “sbagliare il meno possibile“.

    Per Turoldo ha più valore la legge della coscienza che non la legge politica. Senza dubbio, ciò è vero. Tuttavia questo è possibile solo se la coscienza è retta ed è ordinata verso il vero Bene, verso la Legge di Dio con la quale non si può entrare in conflitto o che non deve essere usata per votare o vivere contro di essa.

    Il voto di Turoldo (che non è stato certamente l’unico voto cattolico contrario alla fede) ha contribuito a spezzare milioni di vite innocenti, uccise nei ventri delle madri, e contribuisce ancora oggi a questo olocausto che sembra non finire mai. La coscienza di un sacerdote non dovrebbe mai sostenere una simile carneficina che, nel caso in questione, prosegue anche dopo la sua morte.

    Che valore ha l’aver sostenuto il progetto Nomadelfia, la casa per i bambini orfani, se poi quella stessa coscienza decide, con il suo voto, di far massacrare per legge milioni di vite umane? Forse è anche il caso di citare il noto proverbio, senza estremizzare: “La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”.

     

    IL SOLITO PAPPONE DEL “CATTOLICO ADULTO”. OSSIA… ADULTERATO

    Il giovane padre servita David Turoldo. Sin dall'inizio -molto prima del concilio- cominciò a creare problemi al suo Ordine, che lo spostò di convento in convento

    Se fosse stato anche vero (ma Giovanni Paolo II lo smentisce) che la Chiesa non avrebbe dovuto sostenere quei referendum, resta contraddittorio il fatto che Turoldo, per dire alla Chiesa che sbagliava nell’essersi schierata, di fatto si schierò contro la vita nascente… Fu questo il suo “sbagliare il meno possibile”?

    Turoldo che poneva “l’Uomo avanti a tutto” finì per contraddirsi votando e sostenendo questi due referendum; ingannò se stesso e chi lo ascoltava e ancora oggi, purtroppo, molti cattolici ritengono che ciò sia giusto, legittimo, lecito.

    I suoi “difensori”, sulla vicenda, dicono: “Turoldo non era a favore del divorzio e dell’aborto, ma si sentiva cattolico adulto e voleva matrimoni cristiani convinti, voleva che si facessero i figli con amore…”. Ebbene, ci perdonerete se non riteniamo “cattoliche” certe difese. Al contrario, le possiamo ritenere a ragione “perniciose” – come direbbe anche oggi l’Apostolo delle genti – e dalle quali stare alla larga. Avranno imparato oggi i cattolici, dall’insegnamento di Benedetto XVI, che il termine cattolico adulto è proprio l’essenza dell’apostasia, dell’abbandono della corretta dottrina e dell’innamoramento nei confronti di varie ideologie alla moda?

    Come può un cattolico, e per giunta sacerdote, battersi contro gli insegnamenti evangelici e votare a favore della libertà di coscienza? Libertà dalle Leggi di Dio? Suvvia!

     

    RIFIUTANO L’INSEGNAMENTO INFALLIBILE DELLA CHIESA. POI PRETENDONO L’INFALLIBILITÀ DELLE LORO OPINIONI

    Dimmi con chi vai... Con Don Milani. Altro "ribelle", altro, ennesimo "profeta".

    E’ vero che nella sua biografia si conservano atti gloriosi. Il beato cardinale Schuster lo volle come predicatore in Duomo per la messa domenicale delle 12,30. A Turoldo si deve l’iniziativa di una raccolta fondi, durante quelle messe, per le famiglie disagiate o colpite dalla guerra: un modo nuovo, per quel tempo (siamo ancora nel periodo della messa nella forma antica) di vivere la messa ed essere coinvolti attivamente con il Mistero che viene celebrato. È anche vero, però, che se il Card. Schuster avesse ascoltato le sue esternazioni durante gli anni di quei due referendum (non accadde perché il beato morì nel ’54), non lo avrebbe mai chiamato a predicare in Duomo. Si dice, infatti, che il cardinale Colombo (arcivescovo di Milano dal ’63 al ’79) lo volle allontanare proprio a causa delle sue idee politiche referendarie.

    C’è da dire con assoluta franchezza, onestà ed anche serenità che padre Turoldo aveva ricevuto due grandi doni da Dio: la fede e la poesia. Era un poeta e seppe armonizzare esteticamente la sua fede e la passione per la Sacra Scrittura, ma tuttavia non seppe fare discernimento tra ciò che era il vero contenuto della fede e ciò che non lo era e difenderlo poi come tale; non seppe, inoltre, andare in profondità nel “servire l’uomo”, che non può essere lasciato a se stesso, ma deve essere condotto a Cristo. In sostanza, l’uomo ha bisogno di essere guidato, la sua coscienza ha bisogno dell’istruzione, non può essere abbandonato senza alcun punto di riferimento. Del resto egli stesso, Turoldo, “insegnava”, pretendeva di farlo almeno. Non si comprende allora perché certi insegnanti, quando devono apprendere dalla Chiesa, Magistra per antonomasia, la criticano, ne cambiando e modificano gli insegnamenti, e la ritengono fallibile e persino capace di errori anche gravi; mentre invece, quando sono loro a parlare da un pulpito, pretendono di essere ascoltati, di essere considerati infallibili o, se non lo fanno loro, pretendono l’infallibilità per tali “maestri” i loro discepoli.

     

    CONVERTIRSI A CRISTO? “ROBA SUPERATA”

    Il primo, e per fortuna ultimo, film di Turoldo: "Gli Ultimi". Pesantissimo, mediocre, noioso, trombonesco, retorico. La sua carriera di regista finì qui.

    Il cuore del pensiero di Turoldo era che l’uomo non dovesse fare altro che “convertirsi alla sua stessa umanità”: il fatto di “convertirsi a Cristo”, seguendo la dottrina cattolica, era per lui un discorso superato, finito, obsoleto. Semmai la conversione a Cristo si sarebbe raggiunta convertendosi semplicemente alla propria umanità.

    Se il discorso vi appare confuso o poco chiaro, non siete i soli. La stessa Chiesa non si è mai inoltrata nel pensiero di Turoldo: alcuni sostengono che sia troppo cavilloso, preferendo fermarsi semplicemente sulla superficie delle sue poesie.

    Del resto va detto che, nel post Concilio, ci sono stati anni in cui la Chiesa, per evitare di dover scomunicare gran parte del clero, vescovi compresi, finì per tacere e sopportare pazientemente il ritorno di alcuni suoi figli “controversi” alla ragione della fede, quella dottrinale e della Tradizione, non per nulla cuore stesso di questo pontificato benedettiano.

    In uno dei suoi famosi Racconti, Padre Turoldo scrive:

    Anche in fatto di sentimenti, è difficile dire una parola precisa. C’è sempre qualcuno che la vuole calda… Ad ogni modo mi son detto: o creduto o non creduto, io la vendo com’è. E chi vuol leggermi mi legge; chi non vuole, mi metta pure da parte. La predica non la faccio più a nessuno“. C’è da chiedersi, però, fino a qual punto egli sapeva che, come dice oggi Papa Benedetto XVI:

    “… il sacerdote non insegna idee proprie. il sacerdote non parla ‘da sé’, non parla ‘per sé’, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito. Non parla di cose proprie. Il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la Verità che è Cristo stesso, la Sua Parola, il Suo modo di vivere” (Udienza del 14.4.2010).

    Le battaglie di padre Turoldo, fuori e dentro la Chiesa, e soprattutto quelle contro l’insegnamento morale della Chiesa, furono tante e diverse. Egli stesso riconobbe “molte sconfitte”. A riguardo viene spontanea una domanda: la Chiesa ha fatto proprie le battaglie di Turoldo? No! Già questo dovrebbe farci comprendere molte cose…

     

    L’ “ORA DEI PIPISTRELLI”

    Il dramma in diretta dell'autodemolizione post-conciliare... annotata a caldo da Tito Casini, con penna sanguinante, ne "La Tunica Stracciata"

    Tra il 1972 e il 1976, il grande Tito Casini, autore anche de La Tunica stracciata (http://www.latunicastracciata.net/) scrisse una specie di diario, in tempo reale, su ciò che stava avvenendo nella Chiesa di quegli anni rinchiudendo il tutto sotto il titolo:

    Nel fumo di satana verso l’ultimo scontro (http://www.latunicastracciata.net/ultimo_scontro/index.htm)

    In questo diario, fece anche la bellissima profezia (è davvero curioso che all’annuncio di Paolo VI del cambiamento della liturgia avveniva un’eclissi di sole) avveratasi in quel luglio 2007 a firma del Motu Proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI:

    Risorgerà, vi dicevo… la Santa Messa Tridentina risorgerà, come rispondo ai tanti che vengono da me a sfogarsi (e lo fanno, a volte, piangendo), e a chi mi chiede com’è che io ne sono certo, rispondo (da poeta, se volete) conducendolo sulla mia terrazza e indicandogli il sole… (…) Così, aggiungevo, è e sarà della Messa – la Messa “nostra”, cattolica, di sempre e di tutti: il nostro sole spirituale, così bello e santo e santificante – contro l’illusione dei pipistrelli, stanati dalla Riforma, che la loro ora, l’ora delle tenebre, non debba finire; e ricordo: su questa mia ampia terrazza eravamo in molti, l’altr’anno, a guardar l’eclisse totale del sole; ricordo, e quasi mi par di risentire, il senso di freddo, di tristezza e quasi di sgomento, a vedere, a sentir l’aria incaliginarsi e addiacciarsi via via, ricordo il silenzio che si fece sulla città, mentre le rondini, mentre gli uccelli scomparivano, impauriti, e ricomparivano svolazzando nel cielo i ripugnanti chirotteri. A uno che disse, quando il sole fu interamente coperto: – E se non si rivedesse più? – rammento che nessuno rispose, quasi non si addicesse, in questo, lo scherzo… Il sole si rivide, infatti, il sole risorse, dopo la breve diurna notte, bello come prima e, come ci parve, più di prima, mentre l’aria si ripopolava di uccelli e i pipistrelli tornavano a rintanarsi“.

     

    FOSSE STATO VIVO, PAPA GIOVANNI GLI AVREBBE RIFILATO UNA PEDATA: LA CORONA DEL ROSARIO SPEZZATA

    Regista. Primi anni '60

    In mezzo a tanto dolore per le questioni prettamente ecclesiali come la liturgia, Tito Casini non si risparmia nel denunciare cardinali, vescovi, sacerdoti e religiosi che, nell’euforia degli anni della contestazione, sposarono la morale del mondo. Fra questi, egli rivolse un’aspra ma anche caritatevole critica proprio a padre David Maria Turoldo, nel capitolo “la conta”, nel quale è riportato l’atto vandalico e sacrilego di Turoldo che spezza la sua Corona del Rosario in segno di sfida contro laposizione della Chiesa sui Referendum. E’ un commento lungo ma vale la pena di leggerlo:

    “Lasciando anche lui il suo Sahara a Sotto il Monte (dove pare che abbia messo le tende per sentirsi più vicino a papa Giovanni… che lo allontanerebbe volentieri con una pedata) e affiancandosi nella corsa al carrettiere principale, il nostro Turoldo (nostro, ce lo consenta, perché lo abbiamo avuto concittadino quando serviva ancora Maria al suo convento della Santissima Annunziata), il compagno padre Turoldo, ‘il frate scomodo che si batte per il divorzio’, come lo chiama elogiosamente con un titolo a cinque colonne in prima pagina quel giornale dei poveri comela Stampa, ch’è il Corriere della Sera, ha detto infatti (con esemplare divorzio dalla grammatica, e palese accordo con Pellegrino): Qualunque che sia il risultato del referendum, esso non costituirà affatto la conta dei cattolici, e perché il risultato fosse quello ch’è stato egli s’è battuto in tal modo, con un tal dispendio di forze, da farci pena e confondere col suo il nostro cervello nell’insolubile problema di saper con qual mai visto animale, di quale mai vista specie, egli intenda identificarsi dicendo, sullo stesso giornale dei poverelli, quanto abbia fatto e, qualunque che sia il bisogno, qualunque che sia in esso la forza, non gli sia possibile far di più: Non ho tempo, non ho più tempo. Sono come un cavallo da tiro al quale ieri staccano i finimenti neppure di notte. Io ho due gambe e una sola testa…”.

    “Un cavallo bipede monocefalo…? No, io non conosco una simil bestia da tiro o da zoo, e nel dubbio s’egli vorrebbe aver più piedi, rinunziando ad aver più teste, così da diventar del tutto un quadrupede ovvero un quadrumane, gli auguriamo di ridiventare un cristiano (sinonimo, una volta, d’uomo), di tornare il religioso e poeta padre Davide Maria, con la sua divisa, la sua cintola, la sua corona (i suoi finimenti di servita), come noi lo abbiamo conosciuto e ascoltato e letto, con nostra edificazione e piacere, quando era dei nostri”.

    “Che la Madonna lo aiuti, in questo, perdonandogli la sua aberrazione, perdonandogli quella rottura che più di tutto ci ha fatto male nel leggere, su quel giornale di Como, questa spiegazione della sconfitta: ‘Abbiamo perduto perché non si prega più. Se si pensa che Padre Turoldo, a Tirano, sulla piazza del santuario, per indicare che col Concilio tutto si rinnova, ha rotto la corona del Rosario come una sfida, si possono capire tante cose, ossia come la Misericordia di Dio ci possa abbandonare, perché nella Chiesa sono in voga gli pseudocristi e i falsi profeti’”.

    “Non lo abbandoni, no, per questo, la divina Misericordia, e se non lo spronerà a meditare quel buon papa di Sotto il Monte, che del Rosario faceva la sua quotidiana gioia, sproni, lui artista, la visione di quel tremendo Giudizio del pio Michelangelo, dove, per non cadere nell’abisso, quelle anime stanno attaccate alla corona con cui l’angelo le tira al cielo, ansiose ch’essa non si rompa”.

     

    ABBASSO LA TALARE. SE SERVE PER MOTIVI POLITICI, PERÒ, LA RIPRENDE

    Turoldo, in un raro momento in cui indossa l'abito del suo Ordine

    Prosegue Tito Casini descrivendo l’abbandono dell’abito talare e le manifestazioni politiche con la partecipazione di Padre Turoldo ed altri frati e preti:

    “Glielo auguriamo e ce lo auguriamo, anche per cancellar dalla nostra mente quell’altra immagine di lui, il già nostro padre Turoldo, con la sua tonaca, sì, con la sua cintola e la sua corona di servita, ma al servizio di un’altra causa che non quella di Maria, e diciamo pur della poesia, come indicava il cartello che i comunisti gli avevano appeso al collo e fatto portare, in corteo, con altri frati e preti, tali alla veste, per le strade di Roma: corteo e cartello di protesta contro il Papa che avendo ricevuto il Xuan Thi, il degno capo-delegazione dell’inumana banda nord-vietnamita, s’era creduto lecito di ricevere anche il cattolico Van Thieu che all’avanzar della banda tentava di resistere anche a nome della sua fede, della civiltà cristiana. Così, e così avevano precisamente disposto, perché più redditizio fosse per il servizio al Comunismo, i capi-compagni, nella convinzione che l’abito facesse nel caso il monaco: che li credessero autentici sacerdoti quelli che sotto tale abito, in tale veste di agnelli, li vedevano pecorilmente sfilare, tristo branco di rinnegati, ignari, come i loro padroni, di quale onore rendessero, così adoprandolo per ingannare gli onesti, all’abito sacerdotale. Tali gli ordini, ed essi, quei preti e quei frati, avevano obbedito riprendendo volenterosamente, ai fini dei senza-Dio, ciò che con tanto disprezzo avevan buttato disobbedendo a chi chiedeva che almeno in chiesa, almeno all’altare, fossero anche esteriormente, agli occhi degli uomini, ciò ch’erano realmente e indelebilmente agli occhi e ai fini di Dio”.

    “L’appello a indossare l’abito talare e religioso, da parte di chi spesso e ostentatamente non se ne serve più nemmeno durante i riti sacri, appare come un controsenso, dal quale potrebbero nascere anche abusi di travestimento e di usurpazione di indebita qualifica”.

    “Così, a commento del fatto, il giornale del Vaticano, ed è per questo che ‘la conta’ s’impone: affinchè non inganni il travestimento: perché il manto dell’agnello non mimetizzi il lupo, ai danni del gregge: perché la qualifica di cattolici, usurpata da chi lo fu, non induca a crederli ancora, a confonder coi discepoli i Giuda, per differenti che questi siano da quello d’Iscariot”.

     

    SE UN SACERDOTE NON SA PORTARE DIO AGLI ATEI È UN AMEBA

    Nel suo celebre studio mille volte baciato dai flash dei fotografi. Quelli di Famiglia Cristiana e dei giornali cattocomunisti in primis.

    Di recente il cardinale Ravasi ha citato una delle tante poesie di Turoldo, che dice:

    Fratello Ateo, nobilmente pensoso, alla ricerca di un Dio che io non so darti, attraversiamo insieme il deserto.

    Di deserto in deserto andiamo oltre la foresta delle fedi, liberi e nudi verso il Nudo Essere e là dove anche la Parola muore abbia fine il nostro cammino”.

    Come fa un sacerdote a parlare de “la ricerca di un Dio che non so darti“?

    Senza dubbio “attraversiamo insieme questo deserto”, ma il sacerdote è l’Alter Christus. Come nell’incontro con i discepoli di Emmaus, Cristo è in mezzo a due persone che cercano risposte. Un sacerdote deve perfettamente sapere cosa dare: è il “fratello ateo” che deve essere spronato e convinto che ciò che il sacerdote gli sta offrendo è il Dio che cerca. L’ateo non può essere semplicemente lasciato alla sua idea del divino. Un sacerdote può incontrare delle difficoltà nell’essere convincente riguardo a quello che predica, ma il Dio che porta si fa riconoscere, come ci insegnano molti santi. Il “fratello ateo” deve essere sospinto verso la certezza che ciò che il sacerdote gli offre non è una idea di Dio, ma è Dio che già sta operando attraverso lui che è Suo ministro, che non per nulla viene detto “santificatore”.

    E poi: “andiamo oltre la foresta delle fedi? liberi e nudi verso quel Nudo” che certamente è Cristo ma, a questo punto, è un Cristo al di fuori della fede cattolica vista, per altro, come una fra le tante fedi. Un luogo dell’anima dove “anche la Parola muore”: ma ciò non avviene, incruentemente, sull’Altare, dentro la Chiesa? Certo avviene anche in mezzo ai moribondi disperati, ma lui è il sacerdote che deve portare la certezza di questo Dio, non il fratello ateo che spesso lo rifiuta, rigettando l’Istituzione del Corpo di Cristo.

    Non si può fare esegesi biblica-dottrinale, come pretende Ravasi, partendo da una poesia… O, per lo meno, occorrerebbe spiegarla dottrinalmente nell’ortodossia, perché è ovvio che una poesia può essere interpretata in diversi modi e il suo linguaggio, volutamente sfuggente, può creare confusione.

     

    LA CRITICA DI MONS. LIVI AL “PROFETA” TUROLDO

    Il rigoroso teologo cattolico mons. Antonio Livi

    Vale la pena di citare come ultima parola, perché ultima non sia mai la “mia”, l’altrettanta interessante, e recentissima, riflessione di mons. Antonio Livi: (http://www.antoniolivi.com/it/?page_id=3) [il testo integrale lo trovate qui: http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-turoldo-e-il-mito-del-profeta-inascoltato-4619.htm“Turoldo e il mito del profeta inascoltato”, del 25.2.2012, in occasione dei vent'anni dalla morte del prete-poeta].

    Mons. Livi non ci sta a ricordare Turoldo con le solite frasi trite e ritrite usate come slogan e che abbiamo ricordato in apertura dell’articolo, come quella frase del cardinale Martini, che mons. Livi chiarisce correggendo l’errore (e l’orrore). Scrive infatti:

    “Dal punto di vista teologico, si tratta di assurdità, perché pretendono di costruire un’ecclesiologia arbitraria, dove l’opinione (più o meno plausibile, e quindi sempre criticabile) viene spacciata per dogma, mentre il dogma è considerato come se fosse una mera opinione (da criticare perché recepita come espressione di un’ideologia avversa)”.

    “È una dialettica che ho illustrato nel mio trattato su Vera e falsa teologia, ma qualunque fedele cristiano adeguatamente formato è in grado di smascherare coloro pretendono di imporre le proprie posizioni ideologiche come se fossero una rivelazione diretta di Dio alla quale dovrebbero adeguarsi anche i Pastori della Chiesa. La commemorazione di padre David Maria Turoldo è stata l’occasione per ripresentarlo come un’icona del profetismo progressista, ossia di quella ‘Chiesa del dissenso’ che si rivolge all’opinione pubblica cattolica con false ragioni teologiche malamente mascherate dai clichés retorici”.

    “La retorica è l’arma principale delle ideologie. È per questo che, a partire dagli anni del Concilio Vaticano II, certa religiosità cattolica ‘di sinistra’ si è costruita i suoi idoli, i suoi oggetti di culto e i suoi riti. Ai riti cattolici ‘di sinistra’ è essenziale presentare i propri esponenti non solo come ‘profeti’, cioè come autentici araldi del vangelo, ma anche come ‘martiri’, come ‘preti scomodi’ che sono stati vittime della repressione da parte del potere ecclesiastico. Come già padre Balducci e don Milani e oggi don Gallo (ma l’elenco è lungo, e comprende anche l’ex abate di San Paolo, dom Franzoni), anche la figura e l’opera (soprattutto poetica) di padre Turoldo sono stati utilizzati dalla propaganda ideologica. Le sue iniziative pastorali e culturali sono state presentate come se questo buon religioso fosse davvero soltanto la ‘voce degli oppressi’, un paladino della lotta di classe all’interno della società civile e della comunità ecclesiale”.

    Antonio Borrelli, in Santi, beati e testimoni, ha scritto di lui: Uomo di grande sensibilità, combatté con sdegno le ingiustizie, rifiutando ogni compromesso con il potere; gli aggettivi che meglio lo qualificarono furono, ‘ribelle’ (nel senso nobile del termine), ‘impetuoso’ (nelle sue reazioni ed atteggiamenti), ‘drammatico’ (per le sue vicissitudini), ‘fedele’ (a Dio, alla sua vocazione, alla sua origine)”.

    Gli ultimi giorni di Turoldo. Minato da anni dal cancro al pancreas. Restò famosa la messa in diretta televisiva celebrata dinanzi a lui ormai quasi agonizzante (morì una settimana dopo). Ma si narra pure, che attorno al suo letto di morte, ordinò che si smettesse di recitare il rosario.

    “Già il fatto di distinguere tra fedeltà a Dio e fedeltà alla propria vocazione e alle proprie origini è nonsenso teologico. Ma per la retorica tutto fa brodo.

    La sua fu, insomma, la vita di un religioso stimato, di uomo di cultura politicamente impegnato, di un poeta più volte premiato. Solo strumentalizzandola può presentarsi come la vita di un profeta inascoltato. Turoldo non poteva essere ed effettivamente non fu un ‘profeta’: fu semplicemente un uomo di fede, con iniziative pastorali e proposte teologiche che qualcuno potrà giudicare positivamente (ma senza canonizzarle), mentre altri possono legittimamente criticarle”.

    “Io, ad esempio, nei discorsi di Turoldo vedo i limiti teologici di quel ‘biblicismo’ che è stato esplicitamente stigmatizzato da Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio. Come molti teologi del tempo egli riduceva la ‘Parola di Dio’ non alla Rivelazione proposta infallibilmente dalla Chiesa ma alla sola Scrittura recepita con il ‘libero esame’, e quindi filtrata attraverso le precomprensioni suggerite dalle categorie ideologiche delle filosofie di moda”.

    La più insidiosa di queste categorie filosofiche è quella hegeliana della negatività in Dio, assurdità logica che si ritrova spesso nel linguaggio dei pretesi ‘mistici’ e anche in questi versi di Turoldo: Dio e il Nulla – se pur l’uno dall’altro si dissocia… / Tu non puoi non essere / Tu devi essere, / pure se il Nulla è il tuo oceano“.

     

    CHE LA MADONNA GLI ABBIA TESO UN CAPO DI QUELLA CORONA SPEZZATA. MA RIFIUTIAMO LE IDEE DI TUROLDO

    Tomba di Turoldo

    Padre Turoldo, nella sua fede come vediamo, esce illeso da questo breve articolo, ma non si può tacere sulle sue idee, non si poteva tacere sulla grave tentazione per cui, da parte dei suoi discepoli, ancora una volta, si torni a sventolare un mito di cartapesta. Abbiamo parlato “papale papale” senza giudicare l’anima del defunto, per la quale preghiamo e che, con grande fiducia, affidiamo alla Vergine Maria, certa che avrà sostenuto un capo di quella Corona spezzata in un momento di euforia modaiola.

    Non è da sottovalutare, però, che sia nella Lettera Apostolica Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II, sulla sofferenza dell’uomo, che è del 1984, sia nella enciclica di Benedetto XVI Spe Salvi del 2007, sulla speranza cristiana dell’uomo, i due pontefici non citino mai padre Davide Maria Turoldo che della sofferenza umana, quanto della speranza ricercata, è stato “cantore”.

    Questo non significa una condanna – dobbiamo stare attenti a non equivocare – ma è chiaro che il silenzio non può diventare neppure un’approvazione o, peggio, una canonizzazione, come pretenderebbero i suoi discepoli. Questo tacere significa semplicemente che ben due pontefici, di cui uno beatificato, non hanno ritenuto opportuno citarlo in opere magisteriali, neppure ricorrendo ad una sua poesia. Certo, i papi, nei documenti ufficiali, citano la Scrittura, i Padri e i Dottori della Chiesa, i santi, per dare al documento stesso il carattere ufficiale del Magistero, della sua infallibilità dottrinale, perché essi non scrivono le proprie opinioni. Proprio questo atteggiamento, però, dovrebbe essere osservato ed imitato da tutti i sacerdoti, specialmente quanti si dicono e sono teologi. Un Papa è anzitutto un sacerdote e, in quanto tale, è allo stesso pari dell’ultimo prete di campagna: sono i ruoli che sono differenti. Padre Davide Maria Turoldo, avrebbe dovuto attenersi semplicemente molto di più di come ha fatto all’ortodossia dottrinale e mai separare la dottrina liturgica dalla dottrina sociale della Chiesa, la teologia morale da quella fondamentale, etc. Esse sono inscindibili: chi la pensa diversamente dalla Chiesa Cattolica nell’una, finisce con il falsificare anche l’altra. Chi dissente inizialmente anche in una sola materia dalla Chiesa, finisce per assumere una visione non prettamente cattolica e per insegnare il falso.

    [SM=g1740733]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 15/05/2012 18:29

    Mons. Livi: incompatibilità tra teologia cattolica e filosofia hegeliana

     
    mons. Livi antonio

     
    Mons. Livi e Benedetto XVI all'Università Lateranense 





    Mons. Antonio Livi, decano emerito di filosofia alla Pontificia Università Lateranense, allievo di Etienne Gilson, offre a Disputationes una riflessione sulle conseguenze del dilagare della filosofia hegeliana in ambito teologico.  La familiarità con la philosophia perennis che ha lungamente insegnato ne fa uno dei maggiori epistemologi tomisti; ha recentemente dato alle stampe un testo che vuole andare alle radici concettuali dell’attuale crisi dottrinale: il problema prima ancora che teologico è filosofico. Nel suo recentissimo “Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica scienza della fede da un’equivoca filosofia religiosa denuncia la “teologia” di Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Hans Küng e Klaus Hemmerle; egli afferma che è suo compito di filosofo quello di mostrare “falsa” la teologia di chi è nell’incoerenza logica coi principi filosofici essenziali, esprimendo un giudizio sui presupposti filosofici che inficiano qualsiasi trattazione teologica e lasciando al Magistero il compito di condannare.

    Nel presente articolo Mons. Livi analizza scientificamente il pensiero del noto teologo italiano Piero Coda, proponendo alcune dense citazioni. Ne emerge un bagaglio d’ispirazione hegeliana e l’improponibile conciliazione con la scienza teologica, che ad esso viene sottomessa; è dunque lecito parlare di “falsa teologia” per chiare ragioni epistemologiche. Ma mons. Livi denuncia anche un aspetto da pochi rilevato nell’attuale confusione immanentista: la comparsa del teologo-vate, oseremmo dire. Ovvero del teologo che non è non più servitore della Verità rivelata, ma autonomo interprete - e addirittura quasi organo - della Rivelazione, trascurando il dato oggettivo della Tradizione, del Magistero della Chiesa e persino della Scrittura. 

    S. C.


     
     
    La “falsa teologia” di Piero Coda
     
    di Mons. Antonio Livi
     
     
     
     
    La teologia, in  quanto “scienza della rivelazione divina”, presuppone necessariamente la fede nella rivelazione stessa, e quindi può essere praticata con coerenza e rigore epistemologico solo da quei credenti che intendono mettere i frutti della loro riflessione al servizio delle finalità pastorali della Chiesa. La teologia, infatto, ad altro non deve mirare se non ad allargare i confini dell’interpretazione razionale del dogma, per l’edificazione di tutti i credenti nella fede comune. Di conseguenza, come la filosofia giunge a proposizioni che possono esibire una pretesa di verità solo se queste risultano conformi alle “prime verità” costituite dal senso comune[1], così la teologia giunge a proposizioni che possono esibire una pretesa di verità solo se queste risultano conformi alle “prime verità” costituite dal dogma, ossia dalla Parola di Dio custodita e interpretata infallibilmente dalla Chiesa e che ogni cristiano è tenuto a credere come l’unica verità che salva.
     Il disconoscimento (almeno implicito) di questo fondamentale principio epistemologico ha portato in questi ultimi anni molti teologi di professione ad adulterare la teologia cattolica; i principali errori di metodo della “falsa teologia” sono questi:
     
    1) l’oltrepassamento sistematico del “limite ermeneutico”;
     
    2) la relativizzazone del “dato rivelato”, mentre viene assolutizzata l’ipotesi teologica;
     
    3) l’infondata interpretazione del ruolo ecclesiale del teologo come finalizzato alla ri-formulazione del dogma;
     
    4) la negazione del carattere soprannaturale della Rivelazione (ne è esempio l’evoluzionismo materialistico nella cristologia del gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, e poi anche l’a priori trascendentale nella teologia fondamentale del gesuita tedesco Karl Rahner);
     
    5) l’adozione di categorie gnoseologiche che pregiudicano il carattere razionale dell’atto di fede nei misteri rivelati (tra queste, il pregiudizio anti-fondazionistico e anti-metafisico, che ha prodotto l’attuale deriva fideistica e la perdita del realismo teologico conseguente all’applicazione del metodo fenomenologico;
     
    6) l’adozione delle categorie dialettiche dell’idealismo, con la conseguente storicizzazone della dottrina cristiana (ciò è evidente nello svizzero Hans Küng, ma si rileva anche nel tedesco Klaus Hemmerle e nei suoi epigoni italiani, Piero Coda e Vito Mancuso);
     
    7) l’assolutizzazione della logica pragmatica a scapito della logica aletica, con il che la scienza teologica è ridotta a retorica in funzione di talune scelte pastorali (come nel campo dell’ecumenismo e del dialogo inter-religioso;
     
    8) la manipolazione della teologia dogmatica in funzione delle contrapposte ideologie religiose del “conciliarismo” e dell’anticonciliarismo;
     
    9) la creazione del mito di un presunto “pensiero moderno” in base al quale la dottrina della fede dovrebbe essere radicalmente re-interpretata (ciò è avvenuto a partire dal modernismo del primo Novecento fino ad arrivare alla cosiddetta teologia “post-conciliare”;
     
    10) la manipolazione della teologia morale manipolata in funzione delle contrapposte ideologie politiche (ciò è evidente soprattutto nella cosiddetta “teologia della liberazone” e in altre forme di “teologia politica”. 
     
           Ho citato, tra gli autori che hanno prodotto una teologia di impianto idealistico, Piero Coda, che da Hemmerle ha ripreso il progetto di una «ontologia trinitaria». Nei suoi saggi indirizzati a sviluppare questa metodologia teologica  (cfr Il Logos e il nulla. Trinità, religioni, mistica, del 2003; Dio Uno e Trino. Rivelazione, esperienza e teologia del Dio dei cristiani, del 2009;Della Trinità. L’avvento di Dio tra storia e profezia, del 2011) Coda ha ripetutamente prospettato una re-intepretazione del dogma cristiano sul modello speculativo della dialettica di hegeliana (Hegel è stata la sua prima e fondamentale fonte di ispirazione: cfr Il Negativo e la Trinità. Ipotesi su Hegel,  del 1987 e La percezione della forma. Fenomenologia e cristologia in Hegel, del 2007)e con il ricorso programmatico agli schemi concettuali che Massimo Cacciari, Emanuele Severino, Massimo Donà e altri autori di tradizione idealistica e fenomenologica vanno oggi proponendo, schemi con i quali ha tentato anche di re-interpretare il pensiero metafisico di un tomista come Jacques Maritain (cfr Piero Coda, Ontosofia. J. Maritain in ascolto dell’essere, Mimesis, Milano – Udine 2009), che pure ne Le Paysan de la Garonne (1966) aveva denunciato l’errore teologico derivante dalla pretesa di utilizzare gli schemi idealistici e la metodologia fenomenologica nell’interpretazione del dogma cristiano.
     
     Del suo maestro Hemmerle Coda ha scritto che «è un pensatore autenticamente “contemporaneo”, incastonato nel presente, ma proprio per questo ricco di memoria storica e proteso verso il nuovo e il futuro. C’è fin dall’inizio come una vocazione all’unità, nel suo pensiero. Non solo sotto il profilo dell’Oggettoda pensare (in definitiva, Dio e l’uomo in Lui), ma – come un tutt’uno – sotto quello del méthodos (la “via”) del pensare stesso. La scuola del grande filosofo della religione B. Welte (di cui è stato successore per qualche anno a Freiburg) gli ha dato i primi strumenti intellettuali per far sì che l’esperienza umana, nella polivalenza delle sue espressioni e insieme nell’irriducibile singolarità dei suoi eventi, gli si dischiudesse nei suoi molteplici significati riconducendoli all’unità del loro riferimento a Dio. La fenomenologia di E. Husserl e l’analisi esistenziale di M. Heidegger – le due forse più grandi lezioni della filosofia tedesca nella prima metà del nostro secolo – gli giungevano così mediate e illuminate dalla limpida fede cristiana del suo “maestro”, che lo riconobbe ben presto come il discepolo più acuto e originale. L’incontro col pensiero di F. Rosenzweig, con la sua tematizzazione della “conoscenza messianica” in cui il darsi dell’Oggetto (che, essendo Dio, è il Soggetto assoluto) implica il darsi “sino alla fine” di me a Lui; e quello con l’ontologia strutturale di H. Rombach, con la sua acuta fenomenologia della libertà e della relazione “polare” tra i soggetti, arricchiscono quel suo tipico approccio fenomenologico alle profondità dell’essere che resterà sempre come un marchio di originalità del suo pensiero.

    Ed è di qui, dalla contemporaneità di questo ri-pensamento dell’ontologia in prospettiva fenomenologica esistenziale e intersoggettiva, che Hemmerle legge e valorizza le grandi lezioni della metafisica greca della
    “ousía” (soprattutto Aristotele), di quella medioevale dell’actus essendi (Tommaso), di quella moderna dell’”io penso (Kant), comprendendole nel loro significato particolare e insieme collocandole nel percorso dell’approfondimento del pensiero umano nel suo accesso al mistero di Dio» (Piero Coda, in Gens. Rivista di vita ecclesiale, 1995).
    Quanto alla sua personale metodologia teologica, in un suo saggio del 2006 Coda si identifica  volutamente con il metodo di quella “filosofia religiosa” moderna e contemporanea che ho denunciato altrove come fonte dell’inquinamento metodologio della teologia cattolica del Novecento[2]. Scrive infatti il teologo piemontese, nel contesto della sua re-interpretazione del “mistero pasquale” di Cristo crocifisso e risorto: «Si può seguire la presenza della realtà del Crocifisso come via alla conoscenza di Dio, pur in forme diverse e persino distanti, in tre grandi filoni che attraversano la modernità giungendo fino a noi: quelle filosofico (da Meister Eckhart a Hegel e Schelling  e a Heidegger], quello teologico (da Lutero ai grandi teologi del Novecento: K. Barth, S. Bulgakov, H.U. von Balthasar] e quello mistico.
     
       a) Per quanto riguarda il filone filosofico, e, in particolare, la concezione stessa del pensare, si può individuare un percorso che va da Meister Eckhart […] a Hegel […] e Schelling […] sino a Heidegger […]. È in qualche modo l’istanza dell’intelligentia fidei di Agostino e Tommaso che viene ripresa, ma con un forte riferimento all’experientia fidei, al silenzio mistico di Dionigi e alla novità, anche sul livello del pensare, del Crocifisso. Si vuole conoscere Dio, al di là della semplice rappresentazione concettuale, in un rapporto di immediatezza che permetta però di dirlo e di viverne nel mondo. Diversamente, a che “serve” un Dio inaccessibile del quale in definitiva si può, ed anzi è persino meglio fare a meno? Così ragiona il pensiero moderno. Si intuisce che il Cristo crocifisso, in cui Dio stesso vive la morte (il “ Gott ist tot ”, Dio è morto, che attraversa la modernità), è la chiave d’accesso a un pensare/vivere nuovo in cui Dio è nell’uomo e l’uomo in Dio. Anche se, smarrita la regula fidei, si rischia di cadere nell’abisso del nichilismo e di vanificare l’evento di Gesù Cristo.

       b) Anche nel filone teologico si assiste alla riscoperta della centralità del Crocifisso nella conoscenza di Dio. Un ruolo importante lo gioca Martin Lutero […] che nelle famose tesi 19 e 20 della disputa di Heidelberg contrappone la via della conoscenza esistenziale di Dio, propria della fede, a quella proposta dalla teologia speculativa della scolastica. […] Questo filone, interagendo per vie diverse con il primo, porterà lentamente importanti frutti, che emergeranno sicuri nella teologia del XX secolo (penso, in particolare, come già accennato, a K. Barth, S. Bulgakov, H.U. von Balthasar). Tra essi, due sono fondamentali: la riscoperta che l’evento pasquale vissuto da Gesù (la morte di croce, la resurrezione, l’effusione dello Spirito) è il luogo culminante della rivelazione e della comunicazione di Dio Amore all’umanità; e l’intuizione che l’amore tra le tre Persone della Trinità, come appunto manifesta l’evento pasquale, implica il totale dono-di-sé, e perciò una kénosi(svuotamento), una morte che non ha nulla di negativo, ma manifesta piuttosto l’infinita pienezza della vita di Dio partecipata alla creature umane.

       c) Nel filone mistico non ci troviamo di fronte a semplici intuizioni filosofiche e teologiche, ma all’esperienza coinvolgente e trasformante di Gesù crocifisso come via alla comunione vissuta con Dio Trinità» (Piero Coda, «L’esperienza e l’intelligenza della fede in Dio Trinità da sant’Agostino a Chiara Lubich», in Nuova umanità, 28 [2006], pp. 527-553; qui pp. 542-544).
     
    Faccio notare come qui il teologo ignori di proposito ogni differenza epistemologica tra filosofia e teologia, e poi anche le differenze dottrinali tra  cattolicesimo, ortodossia e protestantesimo; inoltre, pur non potendone fornire alcuna giustificazione  scientifica (né personale né di studiosi alla cui autorità potrebbe appellarsi), azzarda giudizi storiografici del tutto inaccettabili: come quando racconta di un filone speculativo che unirebbe Meister Eckhart a Hegel e a Schelling  e infine a Heidegger, quando si sa che senza Spinoza e senza Kant  non si comprenderebbe la genesi dell’idealismo tedesco, così come non si comprenderebbe la genesi della fenomenologia esistenziale di Heidegger senza Nietzsche da una parte e senza Husserl dall’altra. Ma Piero Coda vuole dimostrare che c’è un filone di pensiero filosofico che presta attenzione al tema della conoscenza di Dio non metafisica ma esperienziale, ricorrendo a espressioni e figure della fede cristiana; ma allora perché non parlare di Kierkegaard? E poi: considerare tutta la teologia, prima di quei pensatori moderni, incapace di «conoscere Dio, al di là della semplice rappresentazione concettuale, in un rapporto di immediatezza che permetta però di dirlo e di viverne nel mondo», significa ignorare il pensiero e la vita di teologi come Anselmo d’Aosta, Bonaventura, Tommaso d’Aquino e Giovanni Duns Scoto, nonché di mistici come Angela da Foligno[3].

    Ma questo accumulo di dati falsi è comprensibile in un sistema di pensiero che mira unicamente a giustificare retoricamente una ben precisa scelta metodologica, quella appunto della filosofia religiosa di ispirazione hegeliana. Ne è conferma questa affermazione di uno dei discepoli di Coda: «Qual è il rapporto tra filosofia e teologia? È evidente che non si tratta di riproporre tout court la sintesi di pensiero greco e cristianesimo così come è culminata nel Medioevo, dal momento che è proprio essa all’origine della successiva divaricazione tra filosofia e teologia. Ma neppure si tratta di riproporre altri tentativi di sintesi, per quanto significativi, avanzati dai secoli posteriori (penso, per un esempio, al tentativo di Rosmini). Oggi è richiesto un passo ulteriore, che nasce dal comprendere una verità di fondo: la Rivelazione non solo illumina la filosofia, ma è essa stessa filosofia, in quanto è rivelazione dell’essere, partecipato in noi nella sua realtà uni-trina, e del suo senso profondo e ultimo.  Questo è il contributo filosofico precipuo che la Rivelazione apporta, così come già Hegel, filosofo e teologo insieme, aveva intuito e cercato di trasporre in chiave filosofica dialettica, avente il suo paradigma nella Trinità, che diventa per lui l’elemento propulsore dell’intera realtà e della storia» (Pasquale Foresi, «Filosofia e teologia», in Nuova umanità,  28 (2006], pp. 521-525; qui pp. 524-525).
    Le radici idealistiche di una filosofia religiosa che ritiene di poter utilizzare Hegel si notano anche per l’identificazione, che qui fa Foresi, della teologia con la filosofia, dicendo che «la Rivelazione non solo illumina la filosofia, ma è essa stessa filosofia»; si tratta infatti della medesima nozione di «cristianesimo-filosofia» che caratterizza la filosofia religiosa di Teodorico Moretti-Costanzi, rappresentante illustre della scuola neo-idealistica di Pantaleo Carabellese. Certamente, la ripresa da parte di Coda dei procedimenti hegeliani nell’interpretazione del dogma cristiano non è senza molte distinzioni, che però si limitano a rilievi concettuali e non toccano il tema che a me qui interessa, che poi è l’essenziale in rapporto alla teologia. Infatti, egli dichiara di considerare teologicamente condivisibili le critiche formulate da Pannenberg circa l’arbitrario primato che Hegel avrebbe concesso al «Geist» (che poi finisce per essere identificato con il «Begriff») rispetto alla «Liebe»[4].

    A commento di quelle osservazioni, Coda scrive: «Proprio questa scelta “prova che Hegel non aveva coscienza della differenza strutturale tra l’idea dell’amore e la struttura monologica della coscienza di sé” (meglio ancora sarebbe dire dello spirito interpretato come concetto), per cui diventa comprensibile, da un punto di vista hegeliano, “la tesi dell’analogia strutturale tra il concetto e il soggetto” (inteso come spirito), il che ― d’altronde ― “conduce del tutto naturalmente a una descrizione dell’attività del soggetto assoluto come auto-dispiegamento del concetto dell’assoluto”. E ciò significa, inscindibilmente, un tradimento dell’originaria e originale “forma” personalistico-comunionale della rivelazione cristiana in uno schema oggettivisticamente impersonale, e dunque il tradimento del principio cristiano dell’unità nella libertà» (Piero Coda, Il negativo e la Trinità. Ipotesi su Hegel, Città Nuova Editrice, Roma 1987, p. 363). In definitiva, Coda è comunque persuaso che l’utilizzo di Hegel in teologia sia oggi non solo possibile ma anche necessario, come rilevava con soddisfazione un filosofo cattolico: «La filosofia hegeliana […]  può certamente fornire un impulso geniale allo svolgimento della comprensione teologica della rivelazione»[5]. E così Coda ritiene possibile, anzi necessaria, una riformulazione razionale della dottrina cristiana della Trinità sulla base della dialettica hegeliana: Hegel ― pensa il teologo italiano ― ha ragione nel sostenere che, per ottenere la sua pienezza, l’«idea di Dio» (che non è lo stesso che dire semplicemente “Dio”) deve includere la «sofferenza del negativo», e proprio tale negatività come Denkform può far comprendere il significato dell’Assoluto trinitario. In tal modo, il Padre ammette in sé il male e il dolore mediante l’annichilimento (kenosis) del Figlio («Gesù «abbandonato»), lo Spirito (trattato linguisticamente come se si trattasse del «Geist» hegeliano) è la coscienza dei credenti; l’Incarnazione è reciproca inclusione del divino nell’umano e dell’umano nel divino; infine, la Chiesa stessa è dialettica dello Spirito che si fa anima della comunità dei credenti in cammino verso l’unione spirituale di tutti gli uomini, e i sacramenti sono soltanto segni o simboli  di questo agire dello Spirito nella Chiesa.

    Ecco un passaggio di un suo scritto nel quale la trascendenza di Dio, la gratuità del soprannaturale (la grazia), la struttura allo stesso tempo carismatica e gerarchica della Chiesa, il dogma come formulazione irreformabile dell’unica fede ecclesiale sono considerati retaggi di una coscienza cristiana ancora immatura: «La prima e decisiva figura in cui la comunità dei discepoli si struttura e si ostende al mondo, con ciò volendo e dovendo attestare la presenza di Gesù, è quella che nasce a partire dall’Eucaristia e attorno alla celebrazione dell’Eucaristia si costruisce. Il linguaggio eucaristico, se per sé propizia un peculiare linguaggio teologico, ancora prima e originariamente propizia un preciso linguaggio ecclesiale. Esso, per la logica intrinseca del segno eucaristico nella correlazione dei diversi soggetti ecclesiali cui dà forma nella peculiarità del loro ministero, non può in prima istanza qualificarsi come gerarchico e piramidale, uniforme e massificante, cerimoniale e identitario, ma piuttosto come fraterno e pericoretico, sinfonico e pluriforme, conviviale e ospitale: espressione e maturazione progrediente dell’essere/diventare uno, nella libertà dello Spirito, in Cristo Gesù, per la salvezza del mondo» (Piero Coda, «Quale rapporto fra la scienza che indaga sul divino e la comunità dei discepoli?», in Avvenire, 30 agosto 2011, p. 22).
     
    Si noti, a conferma di quanto vado dicendo, come il metodo teologico venga collegato esclusivamente a presunte esigenze culturali di una «contemporaneità» che sembra  progredire di anno in anno (ma sempre nella medesima direzione) e nella quale hanno il medesimo rilievo le «prospettive maturate in ambito teologico, filosofico e delle scienze umane» e gli orientamenti  dottrinali della Chiesa cattolica: questi e quelli rispondono ugualmente a una sollecitazione dello Zeitgeist (visto come voce dello Spirito Santo), che  solo il teologo è in grado di interpretare infallibilmente e di tradurre in azione pastorale (la riformulazione del «linguaggio teologico ed ecclesiale»);  missione del teologo, infatti, non è tanto il «servizio alla fede» della Chiesa quanto al pieno compimento delle istanze culturali del “mondo” di oggi. Nemmeno si pone il problema di come possa sapere che cosa pensano gli uomini di oggi ― tutti, in ogni luogo in ogni situazione esistenziale ― e di come possa giustificare, teologicamente, che certe categorie culturali siano «la voce dello Spirito che parla alle chiese».
    Il problema nemmeno si pone, perché è appunto un problema di epistemologia teologica; ma Coda si muove in un contesto di mera filosofia religiosa (non è casuale il riferimento al concetto di «empatia» di Edith Stein, che rappresenta una delle espressioni più tipiche del pensiero filosofico-religioso del primo Novecento), e in tale contesto ogni arbitraria interpretazione, sia della fede cristiana che del mondo esterno ad essa, non ha altra giustificazione che la propria pretesa superiorità “spirituale”, sicché chiunque esprima una diversa opinione  è considerato sordo alla «voce dello Spirito».
     



     

    [1] Cfr Antonio Livi, Perché interessa la filosofia e perché se ne studia la storia, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2007; Idem, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2010.
    [2] Cfr Antonio Livi, Vera e falsa toelogia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.
    [3] Cfr Domenico Alfonsi –Mario Mesolella (ed.), La Beata Angela da Foligno, la metafisica della mistica, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2010.
    [4] Cfr Wolfhart Pannenberg, Subjectivité de Dieu et doctrine trinitaire, in L. Rumpf – A. Bieler [ed.], Hegel et la théologie contemporaine, Delacheux et Nestlé, Neuchatel – Paris 1967, pp. 171-189.
    [5] Aniceto Molinaro, Annotazioni intorno a una «teologia hegeliana», in Mysterium Christi. Symbolgegenwart und theologische Bedetung. Festschrift für Basil Studer, Studia Anselmiana, Roma 1995, pp. 329-347; ora in Idem, Frammenti di una metafisica, Edizioni Romane di Cultura, Roma 2000, pp. 103-116, qui p. 112)

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 22/05/2012 17:05
    [SM=g1740729] VERGOGNA!!!! [SM=g1740730]


    Loreto/ Non si confessa, c'è lo 'strizzacervelli'...

    Lunedì, 21 maggio 2012 - 14:50:00
    http://affaritaliani.libero.it/static/upload/lore/0000/loreto-1.jpgGuarda la gallery - foto da agerecontra.it

    di Matteo Castagna, portavoce del Circolo cattolico Christus Rex



    “QUI NON SI CONFESSA” a caratteri cubitali e “Qui non confessioni, ma dialogo e ascolto”, sono i cartelli appoggiati sulla balaustra della “Cappella Slava” nel Santuario di Loreto, che vedete in foto qui a lato. Poi, ancora, un tabellone con ritratto della Madonna titolato “PUNTO DI ASCOLTO” e la scritta “IN ASCOLTO CON MARIA” davanti alla balaustra, che potete vedere assieme alle altre foto in fondo all’articolo. Di fronte all’altare, a pochi metri dalla Santa Casa della Sacra Famiglia, c’è un tavolino con due sedie contrapposte e altre dietro, come una sorta di sala d’attesa.

    Non c’è il classico lettino da clinica psicanalitica, ma gli orari delle “visite” non mancano: dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 18.00. La Casa di Nazareth fu qui miracolosamente traslata il 10 Maggio 1291. Milioni di pellegrini in tutti questi anni hanno lasciato la loro testimonianza in questo Santuario, dove si sono verificati molti e grandiosi miracoli, mirabili conversioni. La preghiera e la penitenza di tante persone hanno trovato dopo la Confessione Sacramentale il vero conforto cristiano, attraverso l’intercessione della Santa Vergine Maria, alla quale hanno affidato le loro angoscie, le loro sofferenze e tribolazioni. Questa è una delle Meraviglie della Misericordia e dell’Amore di Dio per i peccatori contriti dal dolore e desiderosi del perdono che si impegnano a non più offenderLo.

    Il Sacramento fondamentale della Confessione, che salva dalle pene eterne dell’inferno e attraverso le parole dei sacerdoti dona al penitente sincero i suggerimenti necessari per il grande e unico conforto spirituale in Cristo, attraverso la Sua Parola, attraverso l’esempio dei Santi e dei Martiri, con le istruzioni del Magistero Perenne della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, che fornisce ogni mezzo spirituale per accrescere la Fede, per perseverare nella Speranza e non cadere nella disperazione dei momenti difficili, per praticare la Carità, viene oggi messo sullo stesso piano di un fantomatico “punto di incontro per il dialogo e l’ascolto”, addirittura in una cappella del Santuario, cui si giunge dopo aver paradossalmente attraversato un corridoio fatto solo di antichi e inutilizzati confessionali lignei.

    L’antropocentrismo che rifiuta la Grazia e misconosce lo spirito soprannaturale, la “religione del dubbio” codificata dai nemici interni della Chiesa nel Concilio Vaticano II per contrapporla alla Rivelazione del Dogma, la giustificazione dell’ agnosticismo, secondo lo spirito modernista di Assisi, la psicologia, la sociologia hanno forse sostituito l’inestimabile valore e la straordinaria efficacia del Sacramento? Se queste cose avvengono in un grande Santuario Mariano, con tutta la Sua tradizione di devozione, non sa forse di sacrilegio?

    E allora, abbiamo chiesto delucidazioni ad un chierico del Santuario di Loreto, non poco imbarazzato di fronte alle domande. A che cosa serve aver cambiato la “destinazione d’uso” di quella splendida cappella a pochi passi dalla Santa Casa?

    “E’ un luogo dove possono accedere tutti indistintamente, parlare, discutere, eventualmente sfogarsi” - ci viene risposto- “ma senza che questo sia assolutamente una confessione”! L’ultima frase viene sottolineata con enfasi.

    E, allora, a che cosa serve la Confessione?

    “Mica tutti la chiedono e la desiderano. Ci sono persone che vogliono solo essere ascoltate da qualcuno”.

    Beh, se si tratta di una semplice chiacchierata, uno la può fare in canonica, per strada, a casa propria, perché una cappella ad hoc?

    “Oggi molta gente preferisce così. Abbiamo esaudito il desiderio di chi ce l’ha chiesto”.

    Ecco, quindi, un’altra perla di quella “Chiesa” auspicata fin dai tempi di Giovanni XXIII, che scende a patti con i desideri del mondo, che, però, troppo spesso, non hanno nulla a che fare o che sono contrapposti alla “Casa di Dio”. Il semplice dialogo è deresponsabilizzante e sicuramente meno vincolante e impegnativo di una Confessione Sacramentale, ove occorrono sincero pentimento e ravvedimento. In più, in tal caso, non c’è neppure il vincolo del segreto da parte di chi ascolta i discorsi della persona che si accosta al tavolino.

    A prescindere dal fatto che troviamo strano che un sacerdote non desideri almeno proporre la Confessione Sacramentale, cosa che dovrebbe essere peculiarità del suo ministero per il bene e la salvezza delle anime, è opportuno che un luogo di culto che si dice ancora Cattolico venga adibito a questo scopo specifico?

    “Perché no, dimostriamo di essere aperti a tutti”.

    Ma essere sacerdoti e custodi di un Santuario significa lavorare come si fosse degli psicologi? Quando si va dal prete si cerca lo “strizzacervelli” o l’uomo di Dio che impartisce i consigli principali in Confessionale? Questo “colloquio alla luterana” (lo chiamiamo così adesso, col chierico ci siamo limitati alla parola “colloquio”) è una procedura Cattolica?

    “Anche cattolica. Le ho già detto che qui vengono tutti per dialogare”.

    Questa conciliarissima parola ha sostituito quella bimillenaria e seriamente Cattolica, che è convertirsi! Con chi dialoga un laico qui dentro?

    “Con preti e anche tante suore; ce ne sono tante sa?”

    Anche con medici specializzati, psichiatri o psicologi?

    “Magari ci fossero anche medici! Non ne abbiamo ancora trovati”.

    Confessare i propri peccati non è mai facile perché se ne prova vergogna, tanto che il Demonio cerca sempre di porre qualche ostacolo al fine di procastinare i tempi di una buona riconciliazione con Dio, come hanno scritto e predicato tutti i grandi Santi, Mistici e Padri della Chiesa. Con la vostra iniziativa di “dialogo psicanalitico” e, forse, anche sincretista ed ecumenico, non si aiuta un tantino il Serpente nella sua nefasta volontà di far perire le anime?

    “Siamo tutti figli di Dio, che perdona tutti, abbiamo tanto bisogno di parlare e di ascoltare per capirci”.

    Bah! Ci scusi, ma non essendo pratici né avendo mai visto niente di simile in una chiesa, la “seduta” (diciamo così) ha un costo?

    “Guardi, non lo so, per approfondire deve rivolgersi al Rettore”…



    *************************

    COSA INSEGNA LA CHIESA A PROPOSITO?

    da Norme Pastorali circa l'assoluzione sacramentale:

    IV. Disponibilità dei sacerdoti

    Gli Ordinari di luogo e, per quanto li riguarda, anche i sacerdoti, sono obbligati in coscienza ad adoperarsi perché non diventi insufficiente il numero dei confessori per il fatto che alcuni sacerdoti trascurano questo nobile ministero,(5) mentre attendono ad occupazioni secolari o ad altri ministeri non egualmente necessari, soprattutto se tali compiti possono essere svolti dai diaconi o da laici idonei.




    è vero che il Documento NON affronta l'argomento nei termini postati dal chierico interpellato, ma questa Norma sopra sottolinea che compito del Sacerdote E' CONFESSARE.... e di delegare ai diaconi o ai laici competenti altri compiti non finalizzati alla Confessione...

    e poi ci chiediamo perchè c'è la CRISI DELLA FEDE?
    davvero questi sacerdoti dentro il Santuario di Loreto credono di risolverla in questo modo?
    Perchè non ci mettiamo anche un piano-bar? non è forse più comodo e più UMANO dialogare davanti ad un caffè o ad una buona birra?


    [SM=g1740733]

    [Modificato da Caterina63 22/05/2012 17:28]
    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 17/06/2012 22:29

    QUEL BORGHESE CHE PER PRIMO

    SFRATTÒ IL CROCEFISSO DALLE AULE

    (E IN QUESTO SÌ CHE FU “PROFETA”…)

     

     DON LORENZO MILANI

     

    superbia, vanagloria, ingenuità, illusioni,

    vizi e ideologia borghesi

    nel Priore di Barbiana, marxista immaginario…

      ANALISI D’UN ARCHETIPO DELLA MITOLOGIA PROGRESSISTA

     

     

     RITAGLI

    Senza dubbio, alcune circostanze della sua vita pongono don Milani già lontano dalla tradizione dottrinale della Chiesa. E’ pronipote del filologo Domenico Comparetti e di sua moglie Elena Raffalovich, sostenitrice e creatrice di giardini d’infanzia froebeliani; è nato in una famiglia agiata, intellettuale, non cattolica praticante e con tendenze anticlericali; è stato battezzato solo per timore delle ripercussioni fasciste, visto che la madre è ebrea, anche se lontana dalla pratica religiosa. Tutte queste circostanze devono aver giocato un ruolo formativo nella coscienza di Milani.

    I santi usavano il metro ecclesiale e del Vangelo per misurare i problemi sociali e culturali del proprio tempo e per affrontarli; don Milani invece usava il metro dell’ideologia borghese, quel metro a lui così famigliare perché dalla classe borghese proveniva… Spiega così padre Tito Centi: “Il metro col quale egli misurava i valori della vita era quello della borghesia: la cultura, il successo personale, la fiducia in se stessi, la capacità di reggere il confronto con le opinioni e la dialettica altrui, la perfetta autonomia e autosufficienza. Questi, i beni supremi…”.

    I libri di don Milani si rivelarono deleteri per molti cristiani e per non pochi sacerdoti, giovani e non più giovani. Fu il primo focolaio di un pericoloso contagio che, dal classismo, li avrebbe portati addirittura al marxismo. Non per nulla i marxisti furono pressoché unanimi nell’esaltare le idee del Priore di Barbiana. Si potrà, forse, denunziare l’appropriazione indebita, perché contraria alla volontà del legittimo proprietario; ma, in casi del genere, le intenzioni non contano. Idee e fatti hanno la loro logica inesorabile…

     

     

     

    di

    Tea Lancellotti

    &

    Antonio Margheriti Mastino
    dal sito papalepapale.com

    [SM=g1740733]

     

    Ancora non è scoppiato il post-concilio. Ancora non c’è neppure il concilio, non è finito almeno. Eppure sembra esplodere, ancora vivente, il mito di don Milani, sino a diventare un’icona del movimento studentesco del 68, benché fosse già morto. Questo è il prete che vuole “formare coscienze” alfabetizzando i fedeli, proponendo le letture e i commenti collettivi dei giornali. Sembra il primo a dichiarare l’insufficienza del vangelo. I suoi peccati sembrano ancora solo peccati contro la comunità, peccati politici, non ancora dottrinali. Sembra tutto buona volontà. Uomo di buona volontà. Sembra.

    Eppure Milani anticipa, in piccolo e in modo edulcorato, l’impazzimento clericale, la contestazione intraecclesiale che seguì il ’68. Egli sembra davvero l’antesignato di tutto ciò. Senza che si togliesse di dosso una sola volta la talare. Dopo, se fosse sopravvissuto, probabilmente l’avrebbe gettata alle ortiche pure lui e si sarebbe dato forse al comunismo, forse al socialismo, magari al radicalismo, pensiamo. Quel che è certo è che don Milani diventa subito un prete popolarissimo, celebratissimo da tutta l’intellighenzia radical, di sinistra, anticlericale, anticattolica. Persino la sorella della Fallaci, Neerea, gli dedica un enorme libro encomiastico, dove, in 800 pagine, non c’è più nulla di cattolico e c’è, invece, molto di “chiesa nuova”, di superamento della “chiesa”; e, da un certo punto in poi, di “superamento” dello stesso cristianesimo. Ma chi è don Milani?

     

    ALLE ORIGINI DEL FENOMENO “DON MILANI”. LA MITOLOGIA DEI “PROFETI INASCOLTATI”

    Lorenzo Milani (sul muretto) giovane seminarista a Firenze. Fu travagliata e molesta già quella sua prima avventura ecclesiale

    Per capirlo, è utile partire da un punto ben preciso. Prendere coscienza, cioè, del fatto che, sia prima che dopo il Concilio, assistiamo ad una serie di esternazioni di sacerdoti che hanno poi fomentato e fornito gli slogan del dissenso all’insegnamento della Chiesa.

    Nel momento in cui san Pio X condannò apertamente il modernismo, non fece altro che portarlo allo scoperto e far emergere, in tal senso, coloro che erano animati da questo spirito falso e bugiardo. E’ da quel momento che cominciano ad affermarsi e a formarsi taluni sacerdoti che, a partire dal pontificato di Pio XII, si metteranno in una situazione ambigua. Cavalcando l’onda del rinnovamento e dei “tempi nuovi” – l’aria di un Concilio imminente – seppero tenersi in un gran gioco di equilibrio che permetteva loro di farsi sopportare dalla Chiesa, senza essere scomunicati come eretici, anche se venivano emarginati per le loro idee moderniste: da questa postazione apparentemente precaria diedero origine al mito dei “profeti inascoltati”.

    Si parla di Nouvelle Theologie, di modernismo, di cambiamenti, di rinnovamento dottrinale, di marxismo, ecc… In poche parole, parliamo del tarlo dell’eresia (che letteralmente significa “pensare diversamente”), tanto antico quanto nuovo, che ha sempre messo a dura prova la pazienza della Chiesa, ma anche richiamato la sua materna attenzione a non gettare via tutto, trattenendo ciò che è buono (cfr 1Tess.5,21); i nomi pure sono oramai noti, così come è nota la patetica difesa dei loro discepoli: preti incompresi, profeti inascoltati, sacerdoti umiliati (dalla Chiesa), e via dicendo!

    Come abbiamo specificato nell’articolo dedicato a Padre Turoldo, è importante che anche questo scritto non si focalizzi esclusivamente sui difetti, sulle idee errate di questi sacerdoti e magari sul giudizio relativo alle loro persone. E’ importante, invece, che, salvaguardando la loro fede personale e la loro vita sacerdotale, ci dedichiamo esclusivamente alla Dottrina della Chiesa e, in base a questa, valutiamo ciò che venne di buono dal loro operato e ciò che, invece, bene non fu e che venne dalle loro predicazioni infarcite di modernismo e marxismo. Il lettore attento non mancherà di notare questo nostro modo di procedere.

     

    UNA VECCHIA STORIA: LA CHIESA MATRIGNA E I SACERDOTI “PROFETI” GLI UNICI “BUONI E ALTRUISTI”

    il servo di Dio, cardinale Elia Dalla Costa: commise l'imprudenza di tollerare e poi consacrare don Milani, nonostante fossero palesi sin dall'inizio le sue bizze e l'insubordinazione

    Per comprendere meglio le origini della popolarità e del mito di questi sacerdoti, sarebbe interessante andarsi a leggere la prima enciclica della Chiesa sulla questione sociale, la Rerum Novarum di Leone XIII del 1891, e di lì a seguire tutto l’iter dottrinale e pastorale proclamato e abbracciato dalla Chiesa fino ad oggi. Qui non abbiamo lo spazio necessario, ma vi consigliamo di studiare a fondo la dottrina sociale della Chiesa.

    E’ importante per capire la sostanziale differenza tra il reale insegnamento magisteriale e le deformazioni che subisce in certe pretese clericali, che diventano “critiche”. Che mai sono avanzate contro le mode sociali del momento, vere responsabili dei danni che l’uomo e le famiglie subiscono, ma sempre “contro” la Chiesa. Come se davvero la colpa di determinate situazioni mondane fosse sua, a prescindere solo “sua”. Tanto è vero che tutta questa schiera di sacerdoti – chi più, chi meno, chi in buona fede e chi meno – simpatizzeranno sempre con il socialismo, con il comunismo. Fino al radicalismo di una pretesa di “rinnovamento della Chiesa” che nelle loro intenzioni doveva essere un “demolire” anche la dottrina, l’etica e la morale cattoliche: in una parola, a interpretare in modo “nuovo e moderno” i Dieci Comandamenti. Che poi, come la storia contestataria ha dimostrato, qui pure, si riduce a una “demolizione” degli stessi Comandamenti.

    Nasce così il prete operaio, il prete popolare, come se, fino a quel momento, la Chiesa non fosse mai stata operaia e popolare, ma piuttosto una matrigna con la puzza sotto il naso, snob e indelicata verso i poveri, verso gli operai, verso gli oppressi.

     

    DA UNA FAMIGLIA AGIATA E INTELLETTUALE. UN PRETE CHE NESSUNO VUOLE

    Don Milani e don Pugi, l'unico parroco che lo accettò nella sua parrocchia. Molte cose fanno pensare che se ne pentì amaramente..

    Il primo parroco di don Milani, don Pugi, dopo ripetute pressioni al suo vescovo per avere un aiuto, si sente rispondere in questo modo dal vicario generale: “Abbiamo tra gli altri sacerdoti novelli anche un tipo che nessuno vuole: una vocazione adulta. Un ragazzo (..) ricuperato da don Bensi, e che già in seminario ha fatto un po’ confondere. Se tu te la senti di prenderlo e di provare!“. Don Pugi replica: “A me va bene in tutti i modi: purché dica Messa e confessi. Per il resto, ci arrangeremo”.

    Senza dubbio, alcune circostanze della sua vita pongono don Milani già lontano dalla tradizione dottrinale della Chiesa. E’ pronipote del filologo Domenico Comparetti e di sua moglie Elena Raffalovich, sostenitrice e creatrice di giardini d’infanzia froebeliani; è nato in una famiglia agiata, intellettuale, non cattolica praticante e con tendenze anticlericali; è stato battezzato solo per timore delle ripercussioni fasciste, visto che la madre è ebrea, anche se lontana dalla pratica religiosa. Tutte queste circostanze devono aver giocato un ruolo formativo nella coscienza di Milani. Riguardo alla sua stessa conversione, non ha mai parlato di un evento particolare, di un fatto specifico: si sa solo che il lungo dialogo con don Raffaele Bensi, suo direttore spirituale, lo portò a diventare cattolico praticante e, nello stesso anno, il 1943, ricevette la cresima ed entrò in seminario.

    Nel 1947 divenne sacerdote a Firenze: una conclusione alquanto anomala che sottolinea la responsabilità dei formatori nei seminari dal momento che Milani espresse, fin dal primo anno, insofferenza ed inquietudine per l’obbedienza; malcelata indisposizione verso la gerarchia; critiche al cerimoniale ecclesiastico, molti elementi del quale erano per lui inutili, falsi, e ben lontani dal messaggio del vangelo.

    Altro non si sa, ma appare evidente che un sant’Alfonso M. de Liguori non avrebbe mai approvato un simile candidato senza aver tentato, con ogni mezzo, di fargli comprendere le ragioni di un certo cerimoniale ecclesiastico e l’importanza della liturgia e dell’obbedienza, prime virtù del cattolico, del sacerdote soprattutto. Obbedienza che, per altro, don Milani pretenderà poi dai suoi ragazzi (anche se cercò di non usare mai il termine con loro), senza ricordare che questa sarebbe arrivata spontaneamente se egli per primo ne avesse dato testimonianza. Suo, del resto, il nuovo motto – l’obbedienza non è più una virtù – che analizzeremo più avanti.

    Tra questa sfiducia dei superiori e la fiducia del povero parroco bisognoso di aiuto “perdire Messa e confessare” comincia la missione di Don Milani. Come ripeteva Madre Teresa di Calcutta e come ripete Benedetto XVI oggi, si sa che il Signore sa scrivere dritto su “righe storte” e sa portare avanti il Suo progetto anche con strumenti poveri. Don Milani avrebbe dovuto cominciare così, semplicemente confessando e dicendo Messa, ma non gli basterà. Del resto, è anche vero che nel cristianesimo si deve osare, si deve azzardare, si deve progredire ma anche lasciarsi correggere, avanzare con mansuetudine, affidarsi alla Chiesa che è maestra: solitamente, però, si prende per buona solo la prima parte e si omette la seconda.

     

    MANSUETO. MA CRITICA LA CHIESA E TRASCURA O FA RESISTENZA PASSIVA ALLA LITURGIA

    Giovane priore a Barbiana. Dai tratti del viso trasuda il carattere fortissimo

    Don Milani era mansueto, buono, come la gran parte di questi sacerdoti i quali erano davvero mossi da uno spirito umanitario che potesse soccorrere i più bisognosi, gli emarginati. Ciò che questi sacerdoti non comprendevano, però, è che il nemico non era la dottrina della Chiesa ma il cambiamento della società che andava sempre più secolarizzandosi e, in quegli anni, comunistizzandosi. Una società in cui la “questione sociale” prendeva il posto dell’autentico messaggio del Vangelo sull’essere operatori di pace. Messaggio che travisarono: trasformando il tutto in un pacifismo ideologico e a tratti, paradossalmente, violento. Un pacifismo in cui la nemica della pace nel mondo e della risoluzione dei problemi dei deboli diventava – in una incredibile rilettura della realtà – la Chiesa con il suo insegnamento.

    Secondo questi nuovi “profeti”, sarebbe stato sufficiente che la Chiesa modificasse le sue dottrine e i poveri non sarebbero stati più poveri. Bella utopia.

    In un libro assai interessante, Incontri e scontri con Don Lorenzo Milani (che citeremo spesso in questo articolo), che ha tanto di imprimatur sia dell’Ordine Domenicano quanto ecclesiastico, edito nel 1977 e scritto dal domenicano fr. Tito Centi, che lo conobbe personalmente, si comprende l’origine del problema riguardo a questo sacerdote cappellano che lo condurrà poi ad agire per conto proprio: “Don Milani aveva un gran cuore, una disponibilità quasi illimitata, quando si trattava di aiutare il prossimo. Si occupava volentieri dei ragazzi e dei giovani, per i quali aveva organizzato una specie di scuola serale. S’interessava dei malati, ed era molto sensibile alla benevolenza e all’amicizia.

    “Scarso era, invece, il suo impegno per la vita liturgica della parrocchia, la quale avrebbe avuto bisogno di un buon cappellano per risorgere dal suo stato di languore intollerabile. Per questo aspetto, però, il prevosto, nonostante la sordità galoppante, doveva arrangiarsi da solo: il cappellano non se la sentiva di aggiungere una sola nota agli stonatissimi vespri domenicali, ai canti delle benedizioni o delle processioni.

    Il prete giovane non aveva né voce né voglia di cantare.

    “Don Pugi ne tollerava paternamente la resistenza passiva, ben sapendo di non avere i mezzi per vincerla. Apprezzava l’intelligenza e la cultura del suo giovane aiuto, ma non se la sentiva di sposarne le tesi azzardate e pericolose”.

     

    NON È MARXISTA, MA PROPONE DOTTRINE CATTO-COMUNISTE

    Un non ritorno. Da questo libro parte la sua sfida alla Chiesa. Sarà uno dei libri cult della contestazione del '68, laica, laicista e "cattolica"

    Don Milani cominciò così a camminare controcorrente (ma sembre in direzione di colà dove lo spirito del mondo soffiava). Una domenica in cui si teneva la Giornata della stampa cattolica, durante l’omelia aveva osato paragonare l’Avvenire d’Italia (giornale all’epoca cattolico) all’Unità. A quel punto Don Pugi non poté tacere e finita la predica disse ai fedeli: “Non date retta a quel che ha detto il cappellano!”. Milani, che era di buona indole, non reagì, sapendo di dover essere riconoscente all’anziano parroco che lo aveva accolto nella sua parrocchia quando nessuno lo voleva, 

    Milani non era neppure comunista.

    Il punto è che era come padre Turoldo, don Bello, ed altri. Essi non si schieravano affatto nelle file comuniste o socialiste, ma ne sposavano le idee, facendo un bel sincretismo con la dottrina cristiana e dando origine ad una formazione nuova che si ponesse nel mezzo fra la “rigida” – secondo loro – dottrina sociale della Chiesa e le estremizzazioni politiche della sinistra. Pensando, dunque, ad una sorta di centro che potesse andare bene a tutti, il loro desiderio era cambiare la Chiesa e naturalmente cambiare il mondo! Non bastava la DC (e qui non possiamo dare loro torto anche se le motivazioni sono ben diverse): per loro la Democrazia Cristiana era insufficiente ed incapace di dissociarsi dalla guida della Chiesa la quale, secondo un pensiero diffuso tra questi sacerdoti, patteggiava per un proprio tornaconto e non per il bene dei più deboli. Erano necessari, inoltre, preti capaci di uscire dalle sagrestie, capaci di togliersi la casula delle liturgie e scendere in piazza accanto ai “deboli”.

    Don Milani contestava alla Chiesa l’irrigidimento contro i comunisti, egli voleva una pastorale ecclesiale più “comprensiva” nei loro confronti. Che, per conto loro, in Italia e soprattutto nei paesi dell’Est non lo erano affatto con i cattolici (e per la verità neppure con tutti gli altri: ormai è storia).

     

    A SENTIRE LUI, LA CHIESA SAREBBE DOVUTA ANDARE MANO NELLA MANO COL COMUNISMO

    Purtroppo!

    Qui va aperta una brevissima parentesi di carattere storico: la Chiesa – come ricorda Pio XI (1857-1939) nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937 (n. 4) – ha condannato il comunismo già prima che fosse pubblicato, nel 1848, il Manifesto del Partito Comunista. Precisamente lo ha fatto nel 1846 con l’enciclica Qui pluribus del beato Pio IX (1792-1878).

    La stessa Divini Redemptoris – pubblicata cinque giorni dopo l’enciclica sul nazional-socialismo Mit brennender Sorge per evitare l’uso propagandistico della condanna dell’avversario da parte di entrambi i regimi – costituisce la più articolata analisi del fenomeno comunista.

    La Chiesa, però, non si è certo fermata a questa enciclica: i documenti sono letteralmente centinaia e, fra i più recenti, spiccano l’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede (allora presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger) Libertatis nuntius, del 1984, su alcuni aspetti della “teologia della liberazione”, e i riferimenti al fallimento marxista nelle encicliche Deus Caritas est (2005) e Spe salvi (2007), scritte da Benedetto XVI.

    Tornando a don Milani, egli, fondamentalmente, non contestava la condanna alle idee marxiste ma la chiusura della Chiesa al dialogo con i comunisti.

    E’ vero che la differenza è enorme ed oggi siamo tutti d’accordo sull’efficacia di un certo dialogo; ma è altrettanto vero che Milani condannava “l’apertura prudente” della Chiesa – alla fine del pontificato di Pio XII e poi con Giovanni XXIII, in difesa della dottrina cattolica – per pretendere una “collaborazione” più marcata, nella quale le idee comuniste potessero essere in qualche modo cattolicizzate, approvate, e, per farlo, è ovvio, era la Chiesa a dover cambiare. Milani giustificava la tolleranza che bisognava avere con chi non la pensasse come i cattolici. Così, secondo lui, se la Chiesa avesse modificato le sue dottrine, se le avesse almeno ammorbidite, si sarebbero accorciate le distanze e sarebbe venuta meno la reciproca incomprensione. Storia vecchia, inganno vecchissimo: sappiamo tutti come è andata a finire, ovunque, questa “tolleranza” cattolica, questi “ammorbidimenti” dottrinali, verso i comunisti, che don Milani propugnava. E che più che “tolleranza” erano e si dimostrarono, ove praticati, vera connivenza e collusione. E i cattolici “tolleranti”, ossia collusi col comunismo, finirono molto più a sinistra dei comunisti stessi. E riuscì ciò che ai comunisti non era riuscito: distruggere la chiesa che ricadeva sotto la loro responsabilità; demolendo la fede dei credenti.

    Furono quei cattolici “tolleranti” e cioè conniventi, che persino quando il PCI, caduto il Muro, dichiarò il suo fallimento e ammise il suo “errore storico” – ossia il comunismo internazionale che avevano professato fin lì con tutti i suoi crimini – sciogliendosi per la vergogna e trasmutando in PDS; ebbene, anche allora, furono quei “cattolici tolleranti” e collusi come li voleva Milani, che entrati nel PCI si erano fatti più comunisti ortodossi degli stessi comunisti storici, sostituendo una religione (la dogmatica comunista) all’altra (la dogmatica cattolica); quei “cattolici tolleranti” lì, divenuti nel frattempo marxisti intolleranti, furono proprio loro i soli a opporsi allo scioglimento del PCI. E furono molti di questi a proporre, con un anacronismo tutto clericale, una “rifondazione del comunismo”. È storia!




    [SM=g1740771]  continua......
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 17/06/2012 22:36
    [SM=g1740771] continua da sopra.....

    DI MALE IN PEGGIO: L’ANTICLERICALISMO TARGATO “CLERO”. LUI PRENDE LE DISTANZE… FORSE

    Tuttavia, non era solo questo il punto più caldo. In quegli anni si generò un crescente e preoccupante anticlericalismo che nasceva spesso per opera degli stessi predicatori, sacerdoti, parroci, i quali, dai loro pulpiti lo fomentavano, attaccando le “ricchezze della Chiesa”, sposando le accuse degli anticlericali (che, successivamente, saranno riprese anche dai contestatori peace&love), i quali denunciavano come tale “sperpero” fosse causato dall’ attenzione per la liturgia, considerata elemento “accessorio e inutile”. Soprattutto perché tale sperpero – secondo loro – avveniva a danno del povero, a cui queste ricchezze avrebbero potuto essere devolute. Tuttavia anche in questo caso don Milani prende le distanze: per lui, “spogliare la Chiesa” non rappresentava la soluzione dei problemi e, quando udiva qualche predicatore parlare così, ai suoi ragazzi, che lo guardavano con fare interrogativo, rispondeva “non dategli retta!”.

    Questo non significa che egli non condividesse del tutto questo modo di pensare. Qui sta forse uno dei nodi della questione: questi sacerdoti inquieti fanno intuire pensieri talmente confusi, al fondo, che spesso risultano contraddittori. Peggio: ambivalenti. Così, a volte, questi “profeti secondo il mondo” danno l’impressione di riuscire incomprensibili persino a se stessi.

     

    I SACERDOTI CONTESTATORI: SE C’È UN PROBLEMA, È COLPA DI ROMA. MA PAOLO VI SCOPRE GLI ALTARINI

    Milani era convinto che le obiezioni della piazza fossero valide, ma riteneva che non ci si dovesse scagliare contro il clero: piuttosto – tanto per cambiare – occorreva rivolgersi verso Roma, incapace di saper cogliere nel modo giusto quelle rivendicazioni, di non saperle affrontare, di non essere in grado di metterle a tacere opportunamente con iniziative caritatevoli adeguate. Per lui non era sufficiente condannare e basta: bisognava aprirsi al “dialogo” per far comprendere come vivesse la Chiesa e, naturalmente, apportare dei “cambiamenti”.

    Il problema con questi sacerdoti e con il clima di quel tempo, che sembrò infinito, consiste nel fatto che la Chiesa si trovò di fronte davvero a “nuove problematiche”. Se è vero che la condanna all’ideologia comunista era ben chiara ed inamovibile, era anche evidente che il protrarsi di una persistente voglia di comunicare “col nemico” non poteva considerarsi una nuova eresia: non potevano essere scomunicati centinaia di sacerdoti, fra i quali don Milani, solo perché volevano tentare con altri metodi ed altre strade di comunicare il Cristo Risorto! In fondo, è questo genere di apertura al dialogo che il Concilio Vaticano II farà propria.

    Diciamocelo, però, con franchezza: era davvero il Cristo Risorto che si voleva comunicare oppure ciò che si pretendeva era diventare protagonisti dei nuovi cambiamenti, usando come scudo il povero e il bisognoso? Fu questione di cuore o di testa? Di moto della coscienza o di prurigini ideologiche? Eppure bastava ricordare che in Italia quasi sempre solo la cattolica si era occupata dei bisognosi: la prima e la sola a lungo che fonda ospedali, orfanotrofi, mense, scuole, che permette a figli di contadini di diventare principi della chiesa e papi anche, la sola, a Roma, che durante i rastrellamenti nazisti si premura di nascondere gli ebrei persino in casa del papa. E questo solo per fare un esempio. Ma allora di cosa si sta parlando? Siamo al solito schema ideologico che ignora la realtà pur di avere “ragione”, la quale per essere tale deve per forza prescindere dagli elementi di fatto che altrimenti la smentiscono? Sta di fatto che per questi qui, ad un certo punto, per un incantesimo degli arcana imperia, la Chiesa oltre che la Grande Prostitura, la Gran Cieca e Sorda, la Gran Ignava, la Gran Aristocratica, la Gran Sazia e Indifferente, è diventata pure non solo la Grande Egoista, ma pure, forse, quasi, si direbbe: la causa di tutti i mali, di tutte le menzogne, di tutti i silenzi, e i peccati in omissioni, opere e parole. Cosa significa tutto questo? Che senso ha? Perchè all’improvviso sono proprio dei preti a sostenere tutto questo, ossia le più viete calunnie del peggiore anticlericalismo da manuale volterriano?

    C’è un aneddoto significativo su Paolo VI, raccontato dal suo segretario personale: stanco delle ripetute richieste di riduzione allo stato laicale da parte di membri del clero, volle incontrare uno di questi e in privato cercare di capire le motivazioni reali dietro a tante dolorose richieste. Inizialmente, il prete comincia la sua tiritera in difesa dei poveri, del prete operaio, di una maggiore comprensione verso gli atei, della rinuncia alla talare, rea di non consentire certe azioni libere, ecc…. Mentre parla, cita più volte don Milani come maestro, ma Paolo VI avverte che qualcosa non va e insiste con le sue domande. Alla fine, il prete, come si fosse sentito scoperto, cede: “Rivoglio la mia libertà, ho conosciuto una donna…”. Paolo VI s’irrigidisce, è avvilito e si sente tradito. Così gli dice: “Tu sei stato sempre libero! Non puoi accusare ora la Chiesa di schiavitù. L’hai sposata liberamente, ed ora sei tu a tradirla. Sii almeno coerente e non dare la colpa alla Chiesa. Don Milani non avrebbe mai approvato un simile tradimento (..) ti concederò lo stato laicale, quanto alla libertà l’avevi, la Chiesa non te l’ha mai tolta, sei tu che l’hai tradita…”.

     

    SE L’OBBEDIENZA SMETTE DI ESSERE UNA VIRTÙ. IL “PECCATO” SMETTE DI ESSERE E BASTA

    (foto sotto)
    Uno dei disgustosi filmetti sedicenti "cattolici" della tv di stato con attorini statali. Che fanno capo al giro democattocomunista di Ettore Bernabei. E che hanno con le loro forzature agiografiche e politicamente corrette, quanto storicamente fantasioae, smagliato gli ultimi fili e reminescenze di retta dottrina popolare nel cattolico teledipendente. Canonizzando, con voto unanime del Cda tutte le più viete figure clericali di cattocomunisti, facendo diventare tali anche quelle che affatto lo erano: l'importante è che sputino addosso a qualche papa, a una trentina di cardinali "conservatori" e a un paio di dogmi, nelle scene. Don Milani ha avuto unanime consenso perchè riuscì a saldarsi con il realismo tattico e politico dei comunisti, che in era repubblicana erano i signori incontrastati di ogni mezzo di informazione e cultura. Onde la fortuna di figure come Milani, persino manipolate in senso peggiorativo, ossia a loro totale favore. Ad un certo punto il PCI smise di attaccare i preti e cominciò a farli propri: se non potevano distruggere la chiesa dall'esterno, potevano però corrompere i preti gonzi, distruggendola dall'interno....

    Lo stile di Milani era quello caratteristico del dissenso, crescente contro l’apparato ecclesiale e i reggenti della politica: in sostanza, contro chi non gli dava ragione. Non parlava mai – soprattutto nelle lezioni morali e di etica – di quella responsabilità e di quel disagio di cui soffriamo e che hanno una sola origine, che egli pareva volesse dimenticare: il peccato originale, col corteo dei vizi capitali, e la cattiva volontà personale. A proposito del dissenso, una delle frasi più famose di don Milani è “L’obbedienza non è più una virtù”. Questa frase, usata indebitamente come slogan, deve essere spiegata.

    Nel 1965, a seguito del comunicato di congedo di un gruppo di cappellani militari, nel quale ci si dissociava dall’obiezione di coscienza e si difendeva il militarismo in difesa dello Stato e della patria, don Milani scrive una lunga lettera in risposta.

    Egli anticipa i tempi nei quali – e lo vediamo oggi – l’obbligo al servizio di leva non c’è più e si batte per un’ obiezione di coscienza che, per la verità, è sempre stata difesa nella Chiesa, fin dai primi secoli. La stessa conversione al cristianesimo di non pochi legionari romani interpellava la Chiesa e gli stessi cristiani sul comportamento da tenere laddove la difesa di uno Stato prevedesse la soppressione di innocenti, specialmente in tempi in cui i perseguitati erano proprio i cristiani.

    Tuttavia, don Milani sbaglia quando in questa lettera dice: “È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa”. È vero che Gesù non accettò per sé la legittima difesa (del resto è Lui stesso che dice che era venuto proprio per questo, per essere crocefisso), ma non ha mai detto ai suoi di non difendersi, soprattutto non ha mai detto che è lecito lasciare morire un popolo inerme in balia di dittature, sopraffazioni e quant’altro.

    Egli, il Signore non Milani, dice: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?” (cf. Mt 26,25).

    Gesù non vuole la difesa per se stesso, ma non la impedisce nei riguardi della Chiesa, delle comunità, delle città, visto che l’autorità di Cesare proviene da Dio e lo Stato ha il diritto di difendersi. Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica afferma il legittimo ricorso alla difesa, naturalmente dopo aver specificato che si deve tentare ogni strada per il dialogo. Come ultima istanza, però, si può ricorrere alla legittima difesa per tutelare i propri cari, i più deboli, e, nel caso di uno Stato, coloro che ne fanno parte: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.” (CCC 2265)

     

    ANALOGIE CON PADRE TUROLDO. UNA COSCIENZA NON SI FORMA DA SOLA

    Dio li fa e il diavolo li accoppia: Milani con l'abortista, divorzista e nemico del culto mariano padre Turoldo

    Come abbiamo spiegato nell’articolo su Padre Turoldo – che andrebbe riletto dopo questo per comprendere fin a dove può condurre il dissenso – l’errore madornale di simili sacerdoti non stava nel farsi araldi del valore della carità, per altro già vissuto dalla Chiesa nel precetto dell’amore per il prossimo, ma nell’imporlo come nuova dottrina. Tentando di scalzare, sostituire, modificare la dottrina stessa della Chiesa, in nome di una nuova visione dell’uomo, di un umanesimo poco cattolico e molto laico, dove la fede diventava un fatto quasi esclusivamente personale. E molto presto accessorio, sino all’irrilevanza finale (che sbocca naturaliter nel sincretismo e nell’indifferentismo).

    Turoldo fa lo stesso errore. Del resto, è stato un grande estimatore di Milani, il quale, con le sue idee, ha proposto un’obiezione di coscienza tale da condurre alla disobbedienza contro l’insegnamento della Chiesa. Alla contrapposizione persino.

    In fondo, è proprio questa una delle condanne del Modernismo fatte da san Pio X: rifiuto dell’immanentismo secondo il quale “ogni conoscenza avviene attraverso la coscienza”. Non a caso abbiamo visto come questo errore sia comune anche a mons. Tonino Bello, a padre Turoldo e a molti altri. Nessun uomo è in grado di formare la propria coscienza da se stesso: se così fosse stato, Gesù non avrebbe istituito la Chiesa, né avrebbe detto di dare a Cesare ciò che è di Cesare (il potere civile che purtroppo non lo si difende con le belle parole, le prediche e i sermoni, perché l’uomo ha bisogno di leggi e purtroppo anche di difendersi con le armi quando è necessario). Né, infine, avrebbe consegnato a Pietro ben tre poteri: confermare gli altri nella fede; il potere delle chiavi nel legare e sciogliere; la Successione Apostolica che conferisce il mandato e l’autorità di insegnare, quando Lui stesso ha detto “andate e ammaestrate tutte le genti.. chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”.

    Senza dubbio il Signore lavora anche per vie straordinarie, ma questa è la via ordinaria, è la via scelta dal Signore ed affidata a Pietro e ai suoi legittimi successori. La via straordinaria, per la quale il Signore in certi casi opera, non può mai essere contraria alla via ordinaria, né contraddire l’insegnamento della Chiesa. Lo sforzo che la Chiesa fa in ogni tempo – e noi con Lei – è quello di individuare i semi della condivisione (“trattenere ciò che è buono”) e condannare senza se e senza ma ciò che è contrario a questo insegnamento. Soprattutto quello sull’umanesimo, tipico del nostro tempo, che pretenderebbe un’umanità nella quale Dio viene messo da parte e trattato come fatto privato; o persino giudicabile e magari “condannabile”, cassabile o corretto dalla stessa umanità che reputando di avere in se medesima ogni legittimazione, autorità, verità e fine ultimo, si costituisce a tribunale del divino. Che condanna o assolve a secondo dei venti di dottrina e delle mode ideologiche che in un determinato periodo la percorrono.

     

    E MILANI SE LA PRESE CON LE VACANZE ESTIVE. MA ALLA CHIESA E AI CATTOLICI PIACCIONO…

    Il domenicano padre Tito Centi, amico di Milani, che con lui, in nome della sana dottrina tante volte fraternamente si scontrò

    Ed è incredibile come, portando avanti la disobbedienza alla Chiesa, certi sacerdoti impongano poi proprio ai giovani, con i quali spesso si fanno schermo, le loro visioni distorte. A pag. 67 del libro citato (Incontri e scontri con don Milani), Padre Centi O.P., parla di un incontro serale dall’esito quasi devastante con il priore di Barbiana, e aggiunge: “Poi, non ricordo perché, se la prese con le vacanze, che servono soltanto a sfruttare la gente che va a divagarsi o a curarsi al mare o in montagna. Per i suoi ragazzi, lui aveva abolito le vacanze: la scuola del prete a Barbiana funzionava anche d’estate, e persino la domenica. Come si faceva a stare zitti?”. Un’imposizione ben strana e certamente mai chiesta dalla Chiesa, la quale, piuttosto, ha da subito accolto questa nuova moda delle vacanze, dandole un senso meno legato allo svago e più all’arricchimento interiore, organizzando ritiri spirituali, incontri vocazionali, pellegrinaggi nei Santuari… colonie estive. E persino seminari estivi: tutt’oggi molti seminari hanno una sede estiva vicino al mare o in montagna laddove mare non c’è.

    Concludendo questa parentesi, possiamo dire con certezza che don Milani ha ragione quando afferma che l’obbedienza non è più virtù. Non lo è quando, per servire delle dittature, si fanno massacrare migliaia di innocenti o anche solo cinque persone; del resto, lo stesso sant’Agostino parla della liceità, pur fra mille premesse, persino del tirannicidio. Ha torto, invece, quando allarga il discorso della disobbedienza civile a quegli stati che si fondano sulle costituzioni con indirizzo democratico, sull’autorità costituita e legittima, per la quale lo stesso Vangelo a chiarissime lettere si esprime a favore del “rispetto”; o quando applica il suo “slogan” a certe guerre del nostro tempo che sono state ingaggiate contro il terrorismo internazionale e ritenute legittime dai recenti pontefici e per le quali si utilizza il termine missioni di pace.

    Comprendo che potremmo dibattere a lungo, senza giungere ad alcuna conclusione, perché certe guerre sono ancora in atto e perché ognuno può pensarla come vuole, ma ci fermiamo qui perché questo è materiale per altri argomenti non dottrinali, non dogmatici. A noi preme sottolineare che l’obbedienza alla Chiesa, quale Maestra, è fondamentale anche nel discernimento delle trattative fra popoli e stati, pure quando non comprendiamo scelte che magari non ci piacciono o non condividiamo. Questo non significa cedere sulle proprie idee ed ignorare i problemi sociali, ma piuttosto affrontarli seguendo le indicazioni della Chiesa, grazie alla quale, se fosse più ascoltata e se venisse applicata la sua dottrina sociale, avremmo probabilmente già risolto anche la crisi che stiamo vivendo. Anzi: non ci sarebbe stata crisi alcuna.

     

    IL PRIMO CHE SFRATTÒ IL CROCEFISSO DALLE AULE: DON MILANI. BASTAVA LUI, IL “CONTORNO” (IL CROCIFISSO) ERA SUPERFLUO

    Un vecchio trombone. Enzo Biagi, il ripetitivo giornalista che andò per anni blaterando -come suo costume, senza cognizione di causa nè informazione esatta- di una presunta "santità" di Milani. Anzi, era convinto l'avrebbero fatto santo.

    Ritornando al profilo di don Milani, Enzo Biagi, che tutto era (o non era: nemmeno laureato era, anche se mai lo ammise: uno “specialista in nulla”, questo invece ebbe il coraggio di dirlo) meno che teologo, ma socialista lo era senz’altro e “nenniano” per giunta; ebbene, questo Biagi qui, fan di tutti i preti purchè “contestatori” e di sinistra, e quindi fan di don Milani, ebbe a dire che “prima o poi lo faranno santo”. Ignorante di religione era, ignorante rimase pure in punto di morte: tuttavia volle fare la confessione generale il Biagi. Ancora una volta con un cattivo maestro, che – aridaje – a Biagi “piace tanto”: Gianfranco Ravasi, ossia l’agnosticismo coperto di porpora.

    Per rispondere a Biagi, è necessario porci alcune domande: don Milani era un cattivo prete? Quanto era in buona o cattiva fede? In lui è proprio vero che tutto si risolve in ambito umano, politico, sociale e che i suoi scritti introducono ad una “marxistizzazione” del cattolicesimo e ad un buonismo ideologizzato?

    Che il tutto, per Milani, si risolva in ambito umano è dimostrato da quanto segue: nel Pro-memoria – 1953, a pag.102, così scrive: “Mi si accusa di non avere, in classe, il Crocifisso e che, in classe, non parlo mai, ex-professo, di religione. Prima di trovarci a che ridire, bisognava esaminare con serenità gli scopi e i risultati. Il numero dei giovani che frequentavano i Sacramenti e il loro venirci da sé, senza organizzazione né invito né occasione festiva o periodica, prova che l’influenza della scuola è stata profondamente religiosa, anche senza quel contorno esteriore”.

    Apriamo una parentesi. La prima cosa che ti salta alla memoria, a conoscere bene le storia del cristianesimo è una: appena c’è stato nella Chiesa qualche contestatore, qualche progressista o addirittura qualche scismatico eretico (prendi il protestantesimo, Lutero e specie i vari calvinismi), la prima cosa che ha fatto è cedere all’inococlastia, aggredire i simboli e le immagini sacre; vedi anche che la prima cosa che fecero gli invasati, i tantissimi “spiritati” dal Concilio, fu proprio accanirsi sulle chiese, tirando giù e devastando, dando alle fiamme o svendendo le immagini più sante e venerabili del Sacro Edificio, altari maggiori e reliquie comprese. Chiusa parentesi. Torniamo al Milani.

    Don Milani è così fra i primi difensori dello sfratto del Crocefisso dalle aule scolastiche e dagli ambienti di lavoro. Padre Tito Centi scrive saggiamente: “Non ho motivo per negare questi fatti, tuttavia non mi pare che se ne possa accettare la spiegazione del Cappellano, che, per difendere la propria causa, era portato ad attribuire alla propria azione pastorale tutto ciò che di positivo si riscontrava nella parrocchia. Ma è doveroso ricordare, qui, che molti giovani di S. Donato, attratti in canonica dalla presenza della scuola, avvicinavano volentieri anche il vecchio Prevosto, il quale, a suo modo, colmava le lacune del Cappellano”.

    Don Milani oggi non c’è più, ma noi possiamo dimostrare quanto errata fosse la sua idea contro la presenza fisica del Crocefisso e contro l’ora di catechesi, di religione… e possiamo dimostrare che era una presunzione attribuire ai propri metodi pastorali eventuali successi nell’evangelizzazione. Non utilizziamo però a caso il termine “eventuali”: perché questi successi sono tutti da provare. Se dobbiamo guardare ai fatti, il suo stile pastorale non ha fatto altro che dare origine a dei veri “comuni divisori” fra la gente e il Cristo vivo ed operante nella Chiesa. Sono state create migliaia di immagini di Cristo dissociato dalla Chiesa, un Dio creato ad immagine nostra, ad immagine del gruppo, ad immagine delle proprie coscienze, del proprio immanentismo. Siamo sicuri che si possa parlare di successo?

    [SM=g1740771]  continua....

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 17/06/2012 22:39
    [SM=g1740771] conclusione dell'articolo:


    ANDAVANO ALLA SCUOLA DI BARBIANA PER UNA RACCOMANDAZIONE NON PER “FAME DI CULTURA”. E LA SANTITÀ È ALTRO

    Ci voleva giusto un prete per proporre una scuola "finalmente laica e aconfessionale". Siccome poche ce ne stavano in Italia di scuole "laiche e aconfessionali"...

    La famosa scuola di don Milani non è poi così lucente come appare!

    Se è vero che la scuola di Milani si riempiva di giovani studenti, è anche vero che la sua era spesso una illusione. Molti giovani non vi andavano perché affamati di cultura, come egli soleva affermare: alcuni, per esempio, vi andavano perché Milani aveva trovato loro un posto in fabbrica e perciò una discreta sicurezza economica (una raccomandazione possibile per quei tempi ma che se provate a farla oggi vi ritrovate con una accusa di reato e di sfruttamento). Del resto, lo sapeva bene il buon prevosto Pugi, che raccoglieva le confidenze di questi giovani, dai quali veniva a sapere che andavano alla scuola di don Milani per convenienza, “per una individualistica e immediata promozione sociale“.

    Occorre, tuttavia, sottolineare in tutta onestà il bene fatto da questa scuola, attraverso la quale i ragazzi meno abbienti avevano l’occasione di riscattarsi, opportunità che la scuola pubblica e lo Stato non davano loro.

    Va anche detto, però, che questo modo di agire è tipico anche di molti santi.

    Basta leggere le loro vite per comprendere quanto siano stati difficili e penosi i loro inizi, quanto venissero spesso osteggiati sia dall’autorità ecclesiastica che da quella civile e politica. Tuttavia, la differenza tra don Milani (e altri come lui) e i santi consiste nel fatto che questi ultimi non si opposero mai all’obbedienza alla Chiesa ed ai propri superiori. Così, mentre le loro opere sono cresciute e si sono moltiplicate portando frutti, l’opera di questi sacerdoti è stagnante, non produce frutti ecclesiali ma, al contrario, continua ad alimentare divisioni e contese, continua a creare gruppi di discepoli che parlano dei loro maestri come di “vittime” (della Chiesa, è chiaro!), di “profeti incompresi” (dalla Chiesa, è chiaro!), di “perseguitati” non dall’uomo o dal Cesare di turno, ma dalla Chiesa… gran farabutta, è chiaro! Non corpo mistico di Cristo ma “sovrastruttura” tutta romana, e va da sé tiranna, sadica, burocratica, arbitraria, prevaricatrice e reazionaria. Magari anche “fascista”, che ci stava sempre bene quando uno non si “sdraiava sulla linea” del PCI.

     

    IL METRO DI MILANI NON ERA IL VANGELO. MA L’IDEOLOGIA BORGHESE. E DELLA BORGHESIA AVEVA TUTTI I TIC E VIZI

    "La chiesetta di don Milani". Fortuna che non c'era stata ancora la riforma liturgica: figuriamoci, fosse sopravvissuto a Bugnini, cosa avrebbe combinato...

    I santi usavano il metro ecclesiale e del Vangelo per misurare i problemi sociali e culturali del proprio tempo e per affrontarli (come si può leggere dalle vite, per esempio, di santa Caterina da Siena o di santa Giovanna d’Arco); don Milani invece usava il metro dell’ideologia borghese, quel metro a lui così famigliare perché dalla classe borghese proveniva… Spiega così padre Tito Centi: “Il metro col quale egli misurava i valori della vita era quello della borghesia: la cultura, il successo personale, la fiducia in se stessi, la capacità di reggere il confronto con le opinioni e la dialettica altrui, la perfetta autonomia e autosufficienza. Questi, i beni supremi…”. Questo ci riporta a quell’umanesimo da Novelle Theologie, che non trattiamo qui per problemi di spazio, rimandando ai due articoli – presenti in questo sito – dedicati proprio ai nuovi teologi e al Concilio.

    L’operare di don Milani era paternalistico. In questo modo, infatti, questi maestri vedono i propri discepoli, non andando oltre il loro insegnamento, ma stagnandosi in un paternalismo dottrinale chiuso in se stesso: per questo non riescono ad espandersi, riescono solo a sostituire se stessi in vecchiaia con altri più giovani che li seguono, ma senza mai andare oltre.

    La personalità di Milani, a quanto abbiamo detto, va associata ad un certo senso di colpa che egli aveva nei confronti della “classe operaia”: la “colpa”, di essere nato e cresciuto in una famiglia borghese, benestante, istruita, che non gli permetteva di accettare l’idea che potessero esistere classi “inferiori” alla sua… In sostanza egli si addossò sulle spalle le colpe della “marcia borghesia“, come soleva additarla, facendo la sua scelta di classe. Un atteggiamento tipico di quell’epoca che vedeva i figli della borghesia abbandonare la politica democratica (ma non gli agi dovuti al loro stato) per abbracciare la lotta di classe ed iscriversi numerosi nelle file del P.C.I.

    Aprendo una parentesi. Non serve neppure a questo punto, per sottolineare la loro ributtante ipocrisia, ripetere la famosa poesia di Pasolini che parteggiava per i “veri proletari”, i poliziotti, “figli di contadini”, che a Valle Giulia le prendevano dai figli della borghesia sazia e viziosa che, per vezzo, si erano costituiti a rivoluzionari e paladini di un “proletariato” che avevano sentito parlare solo al cinema e in testi dozzinali di sociologia schierata, non conoscevano (come non conoscevano il mondo del lavoro) e del quale, intimamente, ne provano segreto ribrezzo intellettuale. Da quella mandria di marxisti immaginari che erano, col vizio di scherzare col fuoco… chè tanto a bruciarsi le chiappe sarebbero stati sempre gli altri: ossia chi borghese non era: le loro chiappe borghesi, invece, comunque, a prescindere, erano belle riparate da quel denaro paterno sul quale sputavano sopra, prima di intascarlo per giocare a fare la rivoluzione. E giocando giocando, cominciarono a sparare sul serio… sui funzionari dello stato, sui poliziotti, sui semplici militanti, infine sugli stessi operai. Sui “proletari” che volevano “salvare”, senza che nessuno glielo avesse chiesto. Chiusa parentesi.

    Assai inquietante è la lettera che don Milani scrive alla madre negli anni ’50: “Il film a lieto fine è il mio lavoro a S. Donato. Mi sono tolte tutte le soddisfazioni; ho potuto lavorare come mi è parso e piaciuto; non sono mai stato costretto a compromessi; sto divertendomi un mondo a fare un finale di fuoco… Io ho la superba convinzione che le cariche di esplosivo che ci ho ammonticchiato in questi cinque anni, non smetteranno di scoppiettare, per almeno cinque anni, sotto il sedere dei miei vincitori” (Cfr. Lettere alla mamma, pp. 109, 111). Ogni commento è superfluo: possiamo solo dire che non è questo il parlare di un santo, né il modo d’agire! Pure lui era uno che si divertiva a giocare col fuoco e a giocare con lo stato sacerdotale: certo che non ne avrebbe risposto in prima persona. Proprio come ogni “bravo figliolo” della viziosa e sediziosa borghesia intellettuale italiana di quegli anni. Proprio come i “ragazzi borghesi” di Valle Giulia e i “poliziotti proletari”, del succitato Pasolini. I poliziotti presi a pietrate rimasero “proletari” a vita con lo stesso (basso) stipendio; i “contestatori del sistema”, quei ragazzi borghesi, come nulla fosse di strada ne fecero parecchia, e a stipendio crescente, passando illesi attraverso tutti i fuochi come salamandre. E proprio in quel “sistema” che contestavano e che i poliziotti, loro malgrado, difendevano facendo. Ma tant’è!

     

    I POVERI, SE È NECESSARIO, POSSONO MENTIRE: MA QUESTO È CATTOLICO?

    Nel giugno del 2007, in occasione dei 40 anni dalla morte di Milani, è stato fatto un appello al Papa per chiedere di eliminare la condanna del 1958 contro “Esperienze pastorali“, il testo-base della missione sacerdotale di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana (Firenze). Sembra, tuttavia, che il Papa non abbia dato alcuna risposta.

    In questo testo è importante leggere, dall’esperienza diretta di padre Tito Centi, un fatto accaduto, non poco grave:

    “Un mio confratello, educato, come domenicano, al culto della verità, mi dichiarava tutta la sua indignazione per il libro Esperienze Pastorali, nel lontano 1958, puntando su un fatterello quasi insignificante, in esso raccontato, a p. 207. Secondo don Milani, il giovane studente di cui parla, trovato in corriera senza biglietto, avrebbe dovuto dire una bugia per difendere il pane del fattorino, di fronte all’inchiesta del controllore: così come avevano fatto certi operai che viaggiavano con loro. E per il fatto che quel ragazzo insisteva ad affermare, secondo verità, di non aver ricevuto il biglietto, don Lorenzo ci costruisce sopra delle considerazioni di una severità incredibile. E conclude: È troppo più sana, più equilibrata, più umana, e, in conclusione, più cristiana, l’atmosfera in cui respira il povero.

    “L’ottimo sacerdote, scomparso ormai da una ventina d’anni, mi domandava con stizza: Vorrei sapere che razza di morale è stata insegnata a questo prete, che mi esalta la menzogna quando fa gli interessi dei poveri. La verità non è, forse, un valore assoluto e irrinunziabile per tutti? (…)

    “La breve replica del predicatore non andava a genio al cappellano, priore di Barbiana, come non gli andava la mia maniera di affrontare pastoralmente il problema del comunismo. A me non occorrevano molte parole per difendere la logica della coerenza: bastava richiamarsi ai principi della morale cristiana. Don Milani, invece, vedendo l’enorme prezzo che codesta logica avrebbe richiesto nella pratica, nonché il probabile insuccesso di un richiamo pastorale di questo tipo, cercò di adeguarsi alla realtà. Continuò sulla via del compromesso, cercando le ragioni o i pretesti che parevano giustificarlo…”.

     

    NON SI SALVANO NEMMENO LE QUARANTORE. ANCHE RONCALLI NON LO AMAVA

    Il patriarca Roncalli con il cardinale di Firenze Dalla Costa. Due beati. Uno consacrò don Milani, l'altro lo biasimò

    Per don Milani l’unica ancora di salvezza per la Chiesa e per l’Italia è la sua “scuolapopolare” (così come per don Ciotti, oggi, è la sua associazione che promuove allarme sociale “Libera”). Senza toglierle merito a questa scuola e ad alcune ottime iniziative, è bene rammentare gli insuccessi, le difficoltà e l’improponibilità (e la presunzione) di renderle obbliganti.

    Riguardo alle sue “Esperienze Pastorali”, condannate appunto nel 1958 dal Sant’Uffizio ed ancora oggi non liberate da quella condanna, appaiono ancor più evidenti le motivazioni in questa risposta che mons. Vallainc scrisse a padre Tito Centi:

    “Il suo nome ben noto, la sua esperienza dei problemi religiosi in Toscana, la serenità del suo giudizio nel condannare alcuni punti e motivi insistenti del libro di don Milani, sono tutte ragioni più che sufficienti per presentare col dovuto rilievo su Settimana del Clero il suo articolo di critica meditata. Spero che, a sua volta, vorrà consentirmi alcune osservazioni dettate unicamente dalla mia coscienza di sacerdote, poiché so di avere non poche responsabilità nei confronti dei lettori miei confratelli. Ho accuratamente evitato di essere un critico sbrigativo, come dice Lei: perciò, con profonda convinzione – dopo aver attentamente letto il libro e confortato dalla mia modesta esperienza del mondo ecclesiastico – affermo che il libro di don Milani non solo non è un libro di edificazione ma è un libro che può fare molto più male che bene. Soprattutto ai sacerdoti giovani che sono, per natura, facilmente indotti da episodi marginali alla critica demolitrice e sono spesso sprovvisti di quelle informazioni esatte che assicurano una visione ampia e totale dei problemi. (..)

    “Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che vi siano, nel libro di don Milani, molte e belle e grandi verità degne di meditazione. Ma, purtroppo, anche le verità sono presentate in una forma paradossale e a volte caricaturale, che le diminuisce e le ridicolizza. (..)

    “Ecco, a scanso di equivoci, le sue idee: le feste, le processioni, le quarantore et similia devono essere abolite, perché inutili e perché permeate di superstizione e di profano. (…)

    Tutti i poveri sono buoni o almeno giustificabili anche nei loro difetti, mentre tutti i ricchi sono usurai, sfruttatori, pezzi da galera. Un giovane, solo perché studente, appartiene già alla categoria dei ricchi e, quindi, il parroco può benissimo lasciarlo perdere. Le sembra poco tutto questo, caro padre?

    “(…), che dall’età apostolica ai nostri giorni, non vi sia mai stato alcuno che abbia fatto qualche po’ di bene nella Chiesa; né che il Papa, i vescovi, il clero e il laicato cattolico abbiano, oggi, un minimo di sensibilità circa i mali che angustiano il nostro tempo e tanto meno abbiano il desiderio di porvi rimedio… solo la scuola popolare di don Milani potrà essere questo rimedio. Ma, e gli adulti? e il settore femminile? e gli studenti? Sono domande che, nel libro Esperienze pastorali, non hanno risposta. E gli operai stessi che non frequentano la scuola popolare? Don Milani li ‘infama’ e li ‘fa verdi’ alla prima occasione… se la loro colpa fosse un rifiuto personale ad andare a questa scuola! Le Esperienze Pastorali sanno di troppa foga e di troppa ‘inesperienza’ giovanile per poter portare un positivo contributo alla soluzione della crisi della parrocchia.

    “(..) Il libro ha il merito di aver toccato alcuni problemi e di aver buttato all’aria alcuni cenci; ma è inquinato di troppa superbia ed è viziato di troppa sicurezza di sé e disprezzo degli altri per poter recare un messaggio validamente costruttivo ai sacerdoti che, con uguale generosità, anche se con maggiore silenzio e modestia, lavorano nelle ventiquattro mila parrocchie d’Italia…

    “(…)Per quanto mi riguarda, non ho mai messo in dubbio le buone intenzioni di don Milani: il suo libro, però, sta a dimostrare, con prova inoppugnabile, la sua errata impostazione di troppi problemi e la sua assoluta mancanza del sensus Ecclesiae…”.

    A proposito del suo sensus Ecclesiae, sono emblematiche le pubbliche arroganti, vanagloriose, superbissime, insolenti e tutto sommato volgari che rivolse per iscritto (nelle Lettere) al suo cardinale arcivescovo Ermenegildo Florit e dove il Milani vien fuori in tutta la sua boria: “Ho badato a accettare in silenzio perchè volevo pagare i miei debiti con Dio, quelli che voi non conoscete. E Dio invece mi ha indebitato ancora di più: mi ha fatto accogliere dai poveri, mi ha avvolto nel loro affetto: Mi ha dato una famiglia grande, misericordiosa, legata a me da tenerissimi e insieme elevatissimi legali. Qualcosa che temo lei non ha mai avuto. E per questo m’è preso pietà di lei e ho deciso di risponderle”. Parole che vennero accolte con un boato di applausi dai comunisti. Parole che tuttora i cattocomunisti sbandierano in faccia alla Gerarchia. A cominciare dagli “allievi” del Nostro, che le hanno piazzate a caretteri cubitali sul sito della Fondazione don Milani.

    Nell’ultimo incontro del clero veneziano, il patriarca Roncalli, pochi mesi prima di diventare pontefice, aveva parlato del libro di don Milani, sostenendo di averlo letto con attenzione, approvando e leggendo al suo clero la dura condanna del Sant’Uffizio e la severa asserzione, presentata sulla Settimana del Clero, dall’autorevole suo direttore, ossia parte del testo che abbiamo appena riportato.

     

    INGIUSTA CONDANNA? DAI FRUTTI RICONOSCERETE L’ALBERO…

    Michele Gesualdi, allievo di don Milani, poi capo della giunta rossa della provincia fiorentina. Qui nella casa di don Milani a Barbiana con l'allora capo dei rossi d'Italia Veltroni. Che da Milani mutuò l'"I Care" per la sua campagna elettorale. Affinità elettive. Da notare che tutti gli "studenti" di don Milani diventeranno socialisti e comunisti

    Come possiamo concludere queste riflessioni?

    Intanto guardando alla poca sostanza che ha l’appello di Michele Gesualdi, uno dei primi 6 allievi di Barbiana, sindacalista Cisl, per 2 legislature presidente della provincia di Firenze, ora presidente della Fondazione “Don Lorenzo Milani”. Costui, con lo stesso metodo del “politicamente scorretto”, tenta di far annullare, sempre in quel giugno 2007, la condanna all’opera scritta da Milani e dice:

    “Dopo 40 anni, quella condanna suona come un evidente controsenso, va cancellata. Sarebbe bello che dal Vaticano, magari dal Papa o dal prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, venisse una parola definitiva per cancellare quella ingiustizia, anche perché è risaputo che don Milani non ha mai detto niente, nemmeno una sola parola, in contrasto con gli insegnamenti ecclesiali”

    Ingiustizia? Controsenso? Possiamo parlare di una scelta fatta chiaramente da don Milani, ma non certo di una ingiustizia o persino controsenso da parte della Chiesa solo perché i suoi discepoli, fra cui sacerdoti e vescovi, continuano a disobbedire alle indicazioni date dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ossia dal Magistero. Che don Milani non abbia detto “nulla in contrasto” con gli insegnamenti ecclesiali è tutto da dimostrare – come si dimostra da sé qui il livello, infimo, di comprensione di cos’è la Chiesa e la dottrina da parte di questo “allievo” del Nostro – mentre sono abbastanza chiare, leggendo il suo testo, le motivazioni della ripetuta condanna dell’ex Sant’Uffizio. Reiterata da ogni Prefetto e da ogni pontificato.

    Non a caso, lo stesso libro di Padre Tito Centi, che abbiamo già citato e il cui autore si era reso pure aperto e tollerante nei confronti delle idee pastorali di Milani, conclude a pag. 51 con queste parole durissime:

    “Il libro di don Milani si rivelò deleterio per molti cristiani e per non pochi sacerdoti, giovani e non più giovani. Fu il primo focolaio di un pericoloso contagio che, dal classismo, li avrebbe portati addirittura al marxismo. Non per nulla i marxisti furono pressoché unanimi nell’esaltare le idee del Prioredi Barbiana. Si potrà, forse,denunziare l’appropriazione indebita, perché contraria alla volontà del legittimo proprietario; ma, in casi del genere, le intenzioni non contano. Idee e fatti hanno la loro logica inesorabile…

    “Dovetti anch’io convincermi assai presto che un libro come quello di don Milani non doveva essere stampato”.

    E’ davvero incredibile che ancora nel 2007 un cattolico che fa il sindacalista pretenda l’assoluzione di un tale testo (non è neppure un caso che lo stesso “allievo” del Nostro sia stato presidente della giunta rossa della provincia rossissima di Firenze).

    Lo sventato e un po' patetico pretino di Brindisi: don Francesco Caramia. Sguaiato, pittoresco e fuori tempo massimo emulo di don Milani

    Abbiamo l’ennesima prova di questa assurdità, di questi paradossi, di questi contagi, con un articolo uscito il 12 aprile sulla Gazzetta del Mezzogiorno, nel quale tal don Francesco Caramia – banalissimo giovane parroco di “periferia” a Brindisi, con la tipica superficialità (e diremmo anche ignoranza) trombona della marea montante di preti che, stante la loro grave crisi di identità, alla loro irrilevanza morale e intellettuale sopperiscono con la vanità esibizionista ai limiti del circo equestre – tal don Caramia, dunque, cita don Milani. Per spingere i propri fedeli ad una presa di posizione, “coscienziosa e responsabile, nei confronti di una concreta politica democratica”. Fratello mio, la cultura tua, vabbè è quella che è, ma porcaeva!, sei giovane, vuoi fare il giovanilista, vuoi risultare “controcorrente” (ma contro quale corrente? Del mondo? Non si direbbe, visto che ne assecondi tutti luoghi comuni!), simpatico, persino aggiornato e magari “futurista”, “moderno” in ogni caso… e parli così verboso, cervellotico, con ‘ste frasi fatte che sanno di imparaticcio accademico, di fraseologia mandata a memoria su testi retrò di sociologia anni ’70… e infatti come un vecchio ideologo spostato di testa ma con la testa fermissima a quell’epoca ragioni e parli. A riprova dell’inesorabile, mortale, inguaribile anacronismo tutto clericale, di quando questo clero si sforza di fare il moderno, ossia di scopiazzare il mondo. Precipitando nel ridicolo. Nel macchiettistico. Nell’irrilevanza sociale.

    Che poi sia chiaro, le cose che dice sono banalissimi luoghi comuni triti e ritriti, un patetico conato di grillismo dei poveri, di cinguettante demagogia facilona fuori tempo massimo alla periferia dell’impero. Niente di che! Di per sé è anzi un appello politicamente corretto, schifosamente correttissimo. Ciò che stona è la citazione che dice testualmente: “Amare le creature ogni giorno, come fanno maestre e puttane”.

    Speriamo, anzitutto, come invece abbiamo timore, che questo non sia già un programma, un’esperienza, un’abitudine o un presentimento di questo prete, il cui futuro per tante ragioni ci pare incerto (per non dire: ci pare “certissimo”). Speriamo che dal senso figurato non si passi, prima o poi, a quello letterale. Speriamo! E chi di troppe “speranze” visse… non visse troppo…

    Siamo convinti anche che se il giovane sacerdote non avesse citato il prete di Barbiana e non avesse colorito il suo appello con una bella parolaccia, nessun giornale se lo sarebbe filato. Al di là di questo, è proprio la frase che ha risonanze inquietanti e non certo per la parolaccia, ma per il mestiere espresso con quel termine che contraddice l’Amore autentico, che non chiede soldi, non riceve compensi, e che dobbiamo applicare in ogni cosa che facciamo, compresa la politica…

    Come si può chiamare “amore” verso una creatura quello delle prostitute? Come si fa ad amare come ama chi si prostituisce? E’ una contraddizione in termini. E poi, amare, come continua, “con rabbia e passione” che significato ha? Sadomaso o che? È forse una nuova pagina del Vangelo che ci è sfuggita? È forse una indicazione delle preferenze di questo pretino? È forse una nuova dottrina scaturita dal Concilio? Gesù disse forse alla prostituta di continuare ad “amare” le creature come faceva lei? Le maestre, specialmente oggi, amano le creature come le ha amate Gesù Cristo? No, don Francesco, non ci siamo. Lascia perdere queste citazioni (e queste contraddizioni) e dai ai fedeli il Magistero autentico. Non seminare zizzania, non insegnare il falso. Parla di meno e prega di più. Possibilmente fai penitenza (della lingua specialmente): ne hai bisogno. Anche perchè la lingua è la parte del corpo che anticipa e rivela dove, più presto che tardi, tutte le altre membra, al seguito, saranno trascinate.

    Ma del resto era lo stesso Milani che scriveva nelle Lettere: “Per cui essere maestro, essere sacerdote, essere cristiano, essere artista e essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa”.

    E me cojoni!, direbbe Alberto Sordi. Questo giovane prete banale, ne è soltanto l’ennesimo frutto insapore prima che bacato.

     

    SEMBRA LUTERO…

    Qui giace. Per sua e nostra pace.

    Non ci rimproveri il discepolo di don Milani se al momento ci viene a mente questa associazione di idee: Lutero sosteneva giusta la sua battaglia, tanto da essere convinto che avrebbe spazzato via l’edificio della Chiesa romana. L’ex frate agostiniano diceva: “L’Altissimo mi manda a voi per additare alla vostra esecrazione il pontefice abominevole che vi spoglia e vi opprime. Popolo, giù il papato!”.

    Per carità: non diamo dell’eretico a don Milani – attenzione a non equivocare – e nessuno nega l’appropriazione indebita da parte di un’ideologia politica delle idee di questo sacerdote, come di altri, dall’animo forse (a Dio la sentenza!) buono. Tuttavia, è fuor di dubbio che questi sacerdoti hanno tutti preteso di saper insegnare alla Chiesa come doveva essere cambiato il mondo. Essendo caduti molti preti e molti fedeli nelle spire di queste idee, il dramma è stato che non solo il mondo non l’hanno cambiato, ma è stato reso (non solo per colpa loro, ovvio) anche peggiore sotto i punti di vista dell’etica e della morale che essi vollero disgiungere dalla Tradizione della Chiesa, dissociandole dalla sua dottrina sociale e imponendo una visione idilliaca, paradisiaca e tutta orizzontale della società, “modificabile” secondo i propri schemi mentali, secondo la propria parziale visione evangelica. Che poi è, se vai a vedere, nella prassi e nella logica, nei linguaggi e nei fini ultimi, la stessa “visione” degli ideologi tout-court rotti a tutte le mode, a tutti i venti di dottrina. E che hanno messo a ferro e fuoco per due secoli – ma il secolo di Milani specialmente – il mondo intero e l’umanità tutta.

    All’inizio neppure Lutero fu eretico. Egli cominciò lamentandosi del metodo poco cristiano della “vendita” delle indulgenze. Queste, però, non sono venute meno, Lutero sì.

    La “riabilitazione” dell’opera di un sacerdote (Milani non fu mai sospeso o scomunicato) è sempre auspicabile, ma per farlo occorre prima portare alla luce i difetti, condannarli, estirparli, correggere eventuali statuti e reindirizzare i discepoli. Allora sì sarà possibile, con carismi differenti, parlare ugualmente con un cuor solo e un’anima sola insieme alla Chiesa di Cristo, confermati dal Suo Vicario in terra.

    Del resto, se i suoi discepoli vanno dicendo su don Milani che “è evidente il fatto che si possa avere la liberazione senza tutto l’orpello della teologia a suo carico”, poiché la sua è “una sorta di teologia politica old style solo direttamente applicata alla struttura della conoscenza…”, ci permetterete di dubitare sull’ortodossia di questi pensieri anticattolici? E di dare ascolto, accoglienza, alla condanna della Chiesa di queste idee? Per il resto già condannate dalla storia non solo cattolica ma laica. E, si credeva, naufragate insieme a quel comunismo che molti cattolici illusi vollero “sposare” credondo alla sua “vittoria finale” e alla sua “eternità”, vittorie ed eternità che Cristo aveva promesso solo alla sua sposa mistica, la Chiesa. Preti e cattolici che sposarono il comunismo e ripudiarono lo Sposo mistico e legittimo: Cristo. Credendo di aver fatto, come Giuda, chissà quale grande affare. Mentre per l’ennesima volta avevano solo svenduto Cristo per 30 danari… Almeno, però, l’Iscariota subito dopo si pentì e si suicidò. Questi non solo non si pentono, non solo vogliono l’assoluzione, ma pretendono ancora di stare in cattedra. E insegnare alla Chiesa come si sta al mondo e la papa come si fa il papa. Proprio loro, comunisti, cattocomunisti e contestatori, che su quel mondo e su quella Chiesa – ieri, oggi, sempre – hanno sbagliato ogni previsione. Ormai è storia.


    [SM=g1740758]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 23/06/2012 11:04

    Le mutande e la talare

    giu 23, 2012

     

    LE MUTANDE e LA TALARE

    Vescovo con... "amica d'infanzia". Deve avere avuto una cattiva "infanzia"...ma piacevole

     

     

     

    Ormai l’esperienza me lo ha insegnato: quando senti un prete, un vescovo all’improvviso parlare di cose “liberal”, contro il celibato, la castità, pro-preservativo e contraccezione (peggio del peggio: significa che vuole divertirsi senza prendersi responsabilità), a favore di coppie di fatto e magari omosessuali, non è perché dalla teoria vorrebbe passare ai fatti; ma al contrario, ai fatti è già passato da un pezzo, e ora vorrebbe fare del suo peccato di fatto, teoria e teologia. Autoassolvendosi, magari condannando tutti gli altri, “Roma padrona”, “Roma ladrona” in primis. Abbassa la religione, per innalzare se stesso. Non è la sua testa nè il cuore a parlare, ma, ancora una volta, le mutande. Se non fosse porco e peccatore già da un pezzo, se al contrario fosse puro e santo, timorato di Dio, non ci verrebbe a fare la teologia delle pudenda.

     

     

    di Antonio Margheriti Mastino su papalepapale.com

     

     

    Nessun articolone. Solo un paio di cose voglio dirvi en passant… senza badare troppo alla forma. Sto sulla spiaggia salentina nei pressi di San Pietro in Bevagna: ho un rapporto voluttuoso col mare, queste acque del profondo Sud magnifiche e di smeraldi, bollenti nella loro pancia e gelide sulla superficie della loro pelle vitrea. Immergendomi sano in ogni cosa: in corpo e anima. Oggi ho fatto in questo mare immobile il primo bagno, infatti; vorrei farne ancora e prendere l’ultimo sole prima del tramonto, sorseggiando caffè, scrutando da sotto gli occhiali da sole nei loro anfratti più segreti le vicine femmine in bichini e in topless, al contempo rileggendo qualcosa di Messori. In questo stato di grazia che non amo venga interrotto da nulla, nemmeno da papalepapale, mi piace assai studiare, approfondire, meditare: le capisco più a fondo e senza fatica le cose, la mente mi si schiarisce e libera, vola, lieve e senza sovrastrutture, tutto ridotto com’è all’essenziale. Quindi… vi intrattengo solo 5 minuti… e mi rituffo.

    Sulla mia bacheca facebook, appena si ha notizia di qualche prete o vescovo – per tacer delle monache – che ha fatto qualche porcata in senso proprio e figurato, tac!, subito scatta il post con domanda retorica “al Mastino” da parte di qualche volenterosa gola profonda fra i miei contatti. Per averne, suppongo, consolatorie reprimende sul porcellino; o solo per scuotere insieme la testa e fasse du’ risate. Talora per ottenere un alibi, una ragione per sperare ancora, non soccombere sotto l’incombente pessimismo che avanza… dinanzi a certe sconcezze.

     

    BARGALLO’ QUELLO DELLA CARITAS

    il vescovo Bargallò

    Ultimamente m’hanno postato il caso del vescovo – se così posso chiamarlo – argentino, vestito da intellettuale finto proletario (finto, sì… stante la fintissima trasandatezza del vero cashmere che aveva indosso), naturalmente ennesimo “vescovo dei poveri”, prete “aggiornato”, teologo progressista, uomo di sinistra e, va da sé, presidente della Caritas dell’America Latina. Caritas che difficilmente, dall’Italia o da qualsiasi paese civile, si distinguerebbe dalla marxista TdL, e che ai presunti poveri dà da “mangiare” ideologia e sedizione più che pane e preghiere. Un Tonino Bello in terra peronista, questo vescovo. Di quelli che sta sfornando da qualche anno il disastroso primate argentino Jorge Bergoglio, che a momenti lo scorso conclave per un castigo divino non ci ritrovavamo papa… e che ora, superata una certa età, sta precipitando di netto e velocemente, da buon gesuita, nella sindrome gesuitica del carlomariamartinismo puro e duro.

    Insomma, questo vescovo così “aggiornato”, dicevo, “amico dei poveri”, vestito da finto operaio e senza nessun segno che ricordasse il suo stato sacerdotale, questo mons. Fernando Maria Bargallò, vescovo di Merlo, intorno a Buenos Aires, si andava a fare le vacanze nel mare nientemeno dei Caraibi, alloggiando anche in hotel di lusso. Pagati con i soldi destinati a quei “poveri” che nella teoria – e solo in questa, da buon ideologo – sembrava “difendere”, magari anche “sfamare”.

    Ma il punto non è questo. È che toltosi di dosso il cashmere da “vescovo dei poveri” e “figlio del popolo” – sono gli stessi che poi accusano di “trionfalismo” la Chiesa per le liturgie se non sontuose almeno decorose per la maggiore gloria di Dio… dimentichi che se il culto deve essere “ricco”, al contrario, il prete deve essere povero; mentre invece questi hanno spogliato la Chiesa per rivestire se stessi e le loro puttane – , questo sedicente “vescovo dei poveri”, dunque, smesso il cashmere, rimasto in mutande, si infilava nel mare dei Caraibi e poi nel lettone con materasso ad acqua (ottimo per lo smorzacandela) dell’hotel extra-lusso. Purtroppo insieme a una bella troia. È qui il punto.

    Preso in castagna, con tanto di foto e video resi pubblici dai giornali, il vescovo progressista e liberal, il capo della Caritas latinoamericana, il prete operaista che aveva mandato al macero la talare e tutto il resto, ha mostrato lo stesso coraggio da leone di quando doveva sfidare la Dottrina e Roma: ha negato. Ha negato l’evidenza. Come un coniglio mannaro. E non si è accontentato di negare l’evidenza: ha voluto pure precipitarsi nel ridicolo dicendo che trattavasi di “amica d’infanzia”… un’infanzia finita da 40 anni, però: un po’ troppo per cacciarle impunemente e innocentemente ancora la lingua in bocca, le braccia al collo immersi nel mare, e chissà che altro infilati nel lettone acqueo dell’hotel.

    Perché vi racconto questo? Per due cose.

    La prima è mettervi in guardia dai tromboni, dalle “anime belle” e a la page, da chi predica bene ma naturalmente in barba alla dottrina; dagli ideologi dei buoni sentimenti,insomma: di trombonismi e di buone intenzioni è lastricato l’inferno. Quelle “buone intenzioni che”, avvertiva il sulfureo Longanesi, “favoriscono sempre le peggiori cose”.

    Un gran opportunista e vigliacco anche, questo vescovo, non c’è che dire: quando gli si è prospettato il pericolo di perdere lo stipendio ecclesiastico, le provvigioni Caritas in seguito a rimozione; quando gli si è delineata la minaccia di dover guadagnare soldi andando davvero a lavorare… e addio Caraibi, puttane e hotel di lusso a spese dei fedeli e senza una sola goccia di sudore, quando ha intuito tutto questo, ha negato. L’evidenza. Almeno i mariti che “negano” a prescindere lo fanno per non perdere la moglie a causa dell’amante: questo lo fa per non perdere la pagnotta a causa della mignotta. “E’ un’amica d’infanzia”… Certo, sì. Bella infanzia che hai avuto.

    Ma è l’altra, la seconda cosa che vorrei sottolineare.

    È curioso scoprire (ne ho tutta una casistica abbondantissima) come questi vescovi progressisti, liberal e contestatori, va da sé, “vescovi dei poveri”, scava scava… tutti hanno avuto figli a destra e manca. E che la loro contestazione ecclesiale, alla prova dei fatti, altro non era che stato di peccato mortale e nasceva più dalle segrete prurigini sessuali che non dall’ideologia in sé: avevano scoperto il pelo, e si sa che per certa gente tira più un pelo che un carro di… dogmi. Spesso in loro sono le mutande a parlare più che il cuore.

     

    FERNANDO LUGO QUELLO DEL TdL

    Il vescovo presindente del Paraguay, Fernando Lugo

    Curioso pure che fanno tanto i progressisti, parlano contro il celibato dei preti e la castità, a favore del condom… però quando mettono incinta una sgualdrina – causa l’astensione dal condom o dal contraccettivo che pure altrimenti magnificavano – mica poi hanno il coraggio di rivendicare ciò che nelle loro teorie (e, purtroppo, omelie) magnificavano: al contrario, lo negano. Salvo non vengano poi presi in castagna…

    Come Fernando Lugo, per esempio, il vescovo “dei poveri” paraguayano, che di povero in povero è finito presidente della repubblica, socialista anche, per candidarsi alla qual carica aveva gettato alle ortiche le insegne episcopali e sacerdotali. Solo quando nella campagna elettorale gli hanno rinfacciato un figlio segreto avuto da una segreta “compagna”, e senza dispensa da Roma, solo allora, non potendo negare l’evidenza – se non a rischio di disastri elettorali – il bravo “vescovo dei poveri” lo ha ammesso. Così come solo allora si è capito che il progressista che teorizzava generose “aperture” in fatto di morale sessuale (e tutto il resto), le teorizzava misurando la dottrina della chiesa attraverso la generosissima apertura di gambe della sua concubina. Ancora una volta: erano le sue mutande a parlare dal pulpito, non la sua coscienza. Coniglio nell’intimità e coniglio in pubblico. Prima che la fogna venisse scoperchiata, da vescovo, faceva il ruggito da leone con Roma… da coniglio mannaro, anzi.

     

    ZAVALA QUELLO DI PAX CHRISTI

    il già vescovo Zavala: ispirato più dal gentil sesso che da Cristo

    Stesso storia per il presidente della toninobellista Pax Christi statunitense, associazione sulla carta “cattolica” in realtà sponsorizzatrice un tempo del marxismo, oggi dell’umanitarismo sostanzialmente ateo, liberal in fatto di costumi e sincretista conclamata in fatto di religione, “progressista” in ogni caso. Parliamo del vescovo ausiliare di Los Angeles, Gabino Zavala.

    Pure questo vescovo americano contestatore, pacifista e “amico dei poveri”, apertissimo sulla morale sessuale, che in bocca a lui diventava a-morale, una porcheria praticamente, pure questo è stato colto in castagna: aveva amante e nientemeno due figli illegittimi, già adolescenti. Anche costui era un altro che abbassava la Chiesa per innalzare se stesso, che parlava con le mutande in mano invece che col cuore: cioè, l’ennesimo che del suo peccato mortale e del suo sacrilegio aveva fatto teologia, e della teologia maialata. Ma senza mai dire da quale fogna sorgessero le sue prediche. Un altro coniglio in privato e coniglio in pubblico. Un altro che aveva ceduto a Satana e a tutte le sue opere e seduzioni, diventandone suo dottore: un teologo genitale. Un ipocrita, praticamente.

    Potrei citare decine e decine di altri casi simili, protagonisti sempre i soliti vescovi liberal, i progressisti, insomma. Ma cito solo questi tre. Bastano e avanzano per capire quali dinamiche e costanti invariabili li muovono a predicare bene (bene… secondo il mondo e certo cattolicesimo post-cattolico), razzolando malissimo, ma sempre innalzandosi una spanna sopra tutti gli altri. Finché Dio poi non spiega la potenza del suo braccio e “disperde i superbi nei pensieri del loro cuore”.

    Tutto questo per dire come la “contestazione” nella Chiesa nasca sempre e comunque prima che dall’ideologia, dal peccato individuale, che si traveste da pubblica virtù, magari da “nuova teologia”. E giunti a questo punto, perde ogni pudore e diventa finanche, nella fase ultima, rivendicazione al “diritto” di peccare. E il privato peccatore si trasforma nella figura abietta, e tanto più lo è se si tratta di un consacrato, del pubblico peccatore, maestro di perversione: una sfida diretta a Dio.

    In sintesi.

    Ormai l’esperienza me lo ha insegnato: quando senti un prete, un vescovo all’improvviso parlare di cose “liberal”, contro il celibato, la castità, pro-preservativo e contraccezione (peggio del peggio: significa che vuole divertirsi senza prendersi responsabilità), a favore di coppie di fatto e magari omosessuali, non è perché dalla teoria vorrebbe passare ai fatti; ma al contrario, ai fatti è già passato da un pezzo, e ora vorrebbe fare del suo peccato di fatto, teoria e teologia. Autoassolvendosi, magari condannando tutti gli altri, Roma padrona, Roma ladrona in primis. Abbassa la religione, per innalzare se stesso. Non è la sua testa nè il cuore a parlare, ma, ancora una volta, le mutande. Se non fosse porco e peccatore già da un pezzo, se al contrario fosse puro e santo, timorato di Dio, non ci verrebbe a fare la teologia delle pudenda.

     

    QUELL’ABITO CHE RICORDA AL MONACO DI ESSERE TALE. E A RESTARCI

    Oh cara talare, seconda pelle

    Ho notato un’altra costante: tutti i preti e i vescovi che andavano in giro a commettere atti impuri, avevano premura di farlo sempre senza indossare (nonostante la presenza di molti feticisti del genere) le insegne del proprio stato di consacrati, dal clergy alla (figuriamoci!!) talare. Anche perché, diciamocelo, spesso l’abito lo hanno del tutto abbandonato anche nell’esercizio delle loro funzioni, semmai ne han portato uno. Cosa strana, anomale per una secolarizzazione così furiosa: diplomatici, medici, magistrati, militari, avvocati, professoroni laicisti, salumieri, chiunque (persino i capi delle altre religioni), si son ben guardati bene dall’abbandonare le loro divise e livree, e nel loro caso per senso di corpo, pavoneria e poi perché sanno bene che la divisa fa il professionista e spesso uno si sceglie una professione per indossare proprio quella divisa. Nessuno al mondo vi ha rinunciato, nessun pazzo, tutta se la tengono ben attaccata addosso. Tutti tranne i soliti preti cattolici. Un vero mistero! Eppure la veste talare, le insegne del sacerdozio tutto sono tranne che vanità: semmai è segno di castigatezza e penitenza, di pietà, di dimenticanza e nascondimento di sé per lasciare tutto lo spazio al servo dei servi, all’Alter Christus, al sacerdote.

    Ma la talare è anche una seconda pelle: sperimentare il peccato su di essa, avendola indosso, risulta arduo, inibente psicologicamente per il prete peccatore e per il suo complice, tanto palese e osceno è il sacrilegio. Perché sta lì a ricordarti sempre e a ricordarlo agli altri, che non appartieni più solo a te stesso, ché tu sei sacerdos in aeternum, sposo di Cristo, e che le tue mani sono consacrate, e che insieme alla tua persona insozzi lo stesso sacerdozio regale, che quella talare ti ricorda: violandola trascini con essa nella sozzura la Sposa e il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa. Davvero troppo da sopportare psicologicamente.

    Molte, troppe volte, quasi sempre l’abito fa davvero il monaco. O almeno lo costringe a rimanere tale. Lo obbliga a ricordarsi del suo stato ogni momento. Ad avere rispetto per se stesso, anzitutto; e gli altri di lui. Quell’abito è prodigioso. Per questo la Chiesa vi ha sempre insistito nella sua millenaria sapienza, e l’attuale codice canonico lo annovera, parlando al muro, come “obbligatorio”. Anche per questo, i contestatori, gli apostati, gli spiritati del post-concilio, la prima cosa che fecero fu di strapparsi furiosi di dosso la talare, poi anche il clergy. Nello stesso momento – un attimo dopo, anzi – un terzo del clero mondiale lasciò dopo la talare anche il sacerdozio, spesso anche il cattolicesimo, e la fede stessa. Quasi sempre per convivere o convolare a nozze con le ex “perpetue” diventate nel frattempo amanti, fidanzate, mogli, ex mogli.

    Ma allora davvero quell’abito fa il monaco. O ricorda al monaco di esserlo. E rimanerci.



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    [SM=g1740733]

    In queste situazioni, onestamente ragionando da donna, ricordo sempre a me stessa che la corruzione, la tentazione, insomma quella mela all’uomo, l’abbiamo data noi…. e trovo davvero pazzesco che gli uomini ancora ci cascano, soprattutto quegli Uomini che, ricevendo una Consacrazione particolare, ricevnono una grazia speciale che tendono spesso a soffocare e a calpestare!! [SM=g1740732]
    In altri casi tale tentazione al femminile, dal corpo di una donna, si è trasformata in IDEOLOGIA… poveri uomini! davvero! delle volte ho pena per loro e per la loro debolezza, ma non eccedo in pietismi o compassioni di sorta quando a cascarci sono i Vescovi… ed oggi non c’è più la scusa “io non lo sapevo”, l’informazione è talmente vasta e facilmente reperibile che tali situazioni sono solo frutto di una perversione volontaria..
    Che Dio abbia pietà di loro!

    Ma prego anche affinchè queste donne che, come l’antico serpente, si insinuano nelle carni di questi Vescovi, prendano atto di quanto sono schifose, maledettamente schifose, che sono peggio delle prostitute e peggio delle adultere, sono solo viscidi serpenti, sono peggio delle scrofe in calore, e che sono animate da una schifosa perversione, guardandosi allo specchio possano vedere la loro anima riflessa e crollare davanti a cotanta bruttezza, crollare e piangere di vergogna, crollare ed implorare da Dio la misericordia e il perdono per aver portato nel porcile delle loro perversioni Uomini di Chiesa e Consacrati… perchè se è vero che l’uomo è in fondo del suo essere “cacciatore” è anche vero che la donna è una tentazione e che le sue pratiche naturali di persuasione non hanno nulla a che invidiare alle persuasioni pervertitrici più erotiche d’ogni tempo nel mondo pagano ed oggi laicista….

    P.S. è di questi giorni un’altro grave scandalo che colpisce la Chiesa in Italia:
    Il fondatore della comunità missionaria di Villaregia (Rovigo), padre Luigi Prandin, 73 anni, è stato rimosso dall’incarico dalla Santa Sede perchè accusato di “gravi atti immorali nei confronti di alcune missionarie”, avvenuti in passato. Al termine dell’indagine del Pontificio Consiglio per i Laici, scrive Il Gazzettino, è stata rimossa anche la cofondatrice della comunità, Maria Luigia Corona, che sarebbe stata a conoscenza dei fatti ma li avrebbe taciuti. L’organismo vaticano ha nominato al posto di Prandin un commissario, il sacerdote canossiano Ameceo Cencini, cui spetterà il compito di guidare le 14 case della comunità nel periodo di transizione.
    I gravi “atti immorali”, ovvero atti sessuali con missionarie, secondo la ricostruzione del quotidiano, sarebbero avvenuti in alcune delle sedi al’estero della comunità, presente soprattutto in Sud America. Padre Luigi è stato per lunghi anni in Amazzonia. La comunità di Villaregia, intanto, si è chiusa nel riserbo: “Viviamo nella sofferenza, ma nulla è cambiato nella vita giornaliera” hanno detto alcuni missionari. “Alla fine emergerà la verità – aggiungono altre fonti – speriamo che i calunniatori si pentano”. Lo scandalo sarebbe scoppiato dopo l’invio di alcune lettere anonime indirizzate anche al vescovo di Chioggia, diocesi della quale fa parte la comunità di Villaregia, la cui casa madre è a Porto Viro (Rovigo). La comunità missionaria polesana conta circa 500mila simpatizzanti.

     

    ****

     

    fa davvero preoccupare che il riservo si trinceri in un “nulla è cambiato nella vita giornaliera”… e che si attaccano i presunti calunniatori dimenticando che, se e qualndo interviene direttamente la Santa Sede, ossia Roma, significa sempre che loro hanno le prove dei fatti e che la rimozione di un Superiore è sempre giustificato da prove certe…. [SM=g1740732]
    Qualcosa DEVE invece cambiare nella vita giornaliera… devono aumentare preghiere e penitenze, sacrifici ed atti riparatori, mai che si dica: ABBIAMO PREDISPOSTO DELLE MESSE DI RIPARAZIONE…. abbiamo avviato momenti di PENITENZA, pregate per noi e perdonateci per lo scandalo! No! macchè, si preferisce accusare gli informatori!!
    VERGONA!!! [SM=g1740730]

     

    [Modificato da Caterina63 23/06/2012 12:34]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 16/07/2012 23:40

    SCHILLEBEECKX E IL CONCILIO VATICANO II - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

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    di P. Giovanni Cavalcoli, OP

    schill

     

    L’Osservatore Romano del 30 maggio scorso pubblica un articolo di Riccardo Burigana “La versione di Schillebeeckx”, per presentare la recente pubblicazione di un “Diario” del teologo olandese da lui redatto quando lavorò come perito del Concilio Vaticano II. La recensione ha un tono molto distaccato, meramente informativo, senza entrare nel merito dei temi e delle questioni trattati dall’Autore. Si limita solo a dire che egli lavorò per la revisione dello schema preparatorio esprimendo la posizione di “teologi del centro-nord Europa”.

    Credo che l’idea di pubblicare tale articolo su l’Osservatore sia stata senz’altro buona, data la notorietà di Schillebeeckx. Tuttavia l’operazione, secondo me, è tale da destare qualche perplessità o qualche punto interrogativo. Si sa come il teologo domenicano olandese più volte negli anni ’80 fu confutato da Roma su punti della fede senza che poi egli abbia dato alcun segno di ravvedimento. Il fatto che Roma non abbia ulteriormente insistito nelle critiche ha dato a molti la falsa impressione di poter liberamente assumere le sue dottrine. E forse questo è stato un segno di debolezza pastorale da parte di Roma.

    Certamente Roma non prese provvedimenti disciplinari nei suoi confronti, ma resta sempre il giudizio negativo. In tal senso è vero che Schillebeeckx “non è stato condannato”. Ma il fatto che Roma non prende provvedimenti disciplinari contro un teologo ribelle, non vuol dire che il giudizio negativo che dà su quel teologo circa le sue dottrine non sia vincolante per la coscienza del credente. Altrimenti che cosa ci stanno a fare le sentenze della Congregazione per la Dottrina della Fede? Per esprimere le opinioni private del Card. Ratzinger?

    In realtà, ad un attento esame non è troppo difficile elencare tutti i punti dove il pensiero dello Schillebeeckx si trova in contrasto con la dottrina della Chiesa e lo stesso dogma cattolico: nel concetto di teologia, di dogma e di Rivelazione, nella sacramentaria, in cristologia, nella liturgia, in ecclesiologia, in escatologia, nella stessa concezione del cristianesimo[1].

    Nessuno negherà i meriti teologici dello Schillebeeckx, evidenti soprattutto nel periodo giovanile: e questo è certamente stato uno dei motivi che gli hanno meritato la chiamata ad essere perito del Concilio. Lo Schillebeeckx eterodosso si è rivelato successivamente.

    Oggi che ferve il dibattito sull’interpretazione del Concilio e che sempre più appaiono evidenti gravi difficoltà nelle quali si trova la Chiesa sia in campo dottrinale, che morale e pastorale, citare Schillebeeckx certo può essere interessante e importante. Ma il limitarsi ad una specie di annotazione bibliografica come ha fatto Burigana non può portarci a chiederci se questo atteggiamento anodino non voglia in qualche modo nascondere una segreta approvazione per la teologia di Schillebeeckx? Vorremmo non pensarlo, data l’autorevolezza del Quotidiano nel quale scrive.

    Tuttavia, non era questa l’occasione buona per ricordare, con tutta delicatezza e discrezione ma anche con franchezza e chiarezza, i gravi errori del teologo, oggi in cui appaiono evidenti le false interpretazioni del Concilio che tanto danno hanno fatto e stanno facendo da cinquant’anni a questa parte nel Popolo di Dio?

    E Schillebeeckx non è per nulla esente da responsabilità in questo campo, a cominciare dalla sua stessa gnoseologia, di impronta kantiana ed empiristica, per la quale, secondo le sue stesse parole, il concetto “non coglie la realtà”, ma la “indica soltanto” come “interpretazione” mutevole, simbolica e metaforica della originaria “esperienza atematica della realtà”, nella quale soltanto sarebbe contenuta la verità, che però nel momento in cui viene tradotta nel concetto, perde la sua oggettività, immutabilità ed universalità, per trasformarsi in una veduta soggettiva, relativa e storicamente mutevole. Si capisce bene che cosa diventano il dogma e la dottrina della Chiesa, espresse in concetti, in una visione del genere.

    Schillebeeckx è uno di quei teologi che hanno frainteso l’aggiornamento conciliare. Giovanni XXIII aveva voluto un mutamento nel linguaggio della Chiesa perché il messaggio evangelico fosse più comprensibile agli uomini del nostro tempo, ma non certo un mutamento nei contenuti della fede. Schillebeeckx, invece, col pretesto dell’aggiornamento del linguaggio, ha cambiato anche i contenuti e ciò per una falsa teoria del concetto, il quale, secondo lui, non può essere una fedele rappresentazione del reale, ma è una specie di “modello interpretativo” contingente, mutevole e relativo di una precedente “esperienza atematica” della realtà in se stessa ineffabile, secondo quanto ho già detto sopra.

    E’ evidente a cosa porta una simile teoria della conoscenza: il progresso dottrinale nella Chiesa non suppone alcuna continuità perché i dogmi mutano, ed anzi Schillebeeckx parla esplicitamente di “discontinuità” della dottrina odierna della Chiesa con quella dei secoli passati, portando esempi che, per la verità, ad un attento esame, non tengono assolutamente.

    Il Papa, dal canto suo, come sappiamo bene, sul solco dei Papi che lo hanno preceduto, insiste nell’affermare che le dottrine del Vaticano II non sono in “rottura”, ma in “continuità” con quelle del Magistero precedente, benchè indubbiamente si tratti di dottrine nuove che ci fanno conoscere meglio il perenne patrimonio della fede.

    Ebbene uno Schillebeeckx ci presenta invece, come ho detto, una gnoseologia fatta apposta per affermare la rottura e negare la continuità. E non sarebbe bene ricordarle queste cose? Altrimenti il Papa non sembra forse parlare al vento? Vogliamo liberarci una buona volta dei gravi equivoci dei quali stiamo soffrendo da cinquant’anni, equivoci i quali tra l’altro hanno condotto alcuni, benchè ingiustamente ma comprensibilmente, ad incolpare il Concilio di un “modernismo” che in realtà è quello dei suoi falsi interpreti come Schillebeeckx?

    Finchè soggetti come Schillebeeckx saranno presentati come i grandi protagonisti del Concilio e modelli di teologo, speriamo forse di far chiarezza e di rispondere adeguatamente alle obiezioni dei lefevriani? Speriamo che le trattative con loro possano aver successo?

    E che cosa all’Osservatore Romano dovrebbe stare a cuore maggiormente che sostenere gli insegnamenti del Santo Padre contrastando e confutando ciò che ad essi si oppone, non importa se di teologi di fama mondiale che passano per essere le punte avanzate della Chiesa? [SM=g1740721]

     

     

     

    Bologna, 30 maggio 2012

     

     


    [1] Studi critici su Schillebeeckx: Luigi Iammarrone, La cristologia di E.Schillebeeckx, Edizioni Quadrivium, Genova 1985; Giovanni Cavalcoli, IL CRITERIO DELLA VERITA’ SECONDO SCHILLEBEECKX, Sacra Doctrina, 2, 1984,pp.188-205; LA CRISTOLOGIA DI SCHILLEBEECKX, Sacra Doctrina, 1, 1987, pp.65-80.




    [SM=g1740758]  un grazie al sito RiscossaCristiana
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 22/09/2012 11:26
    Riporto la riflessione qui a seguire a dimostrazione di come dilaga LO SCANDALO a causa del quale i fedeli SONO CONFUSI e disorientati per colpa di questi vescovi o cardinali.....

    Ma te ne accorgi?

    «Tu, prete, puoi fare ciò che vuoi: anche venderti al diavolo, se vuoi.

    Però, questo è certo: che dal giorno dell’ordinazione a quello della morte,

    resti immerso nel soprannaturale. Ma te ne accorgi?»

    (Domenico Giuliotti)

    La crisi della Chiesa è, innanzitutto, crisi del sacerdozio. Preti, vescovi e cardinali che ridicolizzano i Sacramenti sono ormai la norma. Tutta gente che, in tempi più civili, sarebbe stata pregata di ravvedersi o di passare sotto la bandiera di Lutero. Ma, si sa: da cinquant’anni a questa parte viene somministrata la medicina della misericordia e chi riesce a spararla più grossa degli altri viene creato cardinale (la cosa non è facile come sembra, dato il gran numero di eretici che aspirano ad una berretta).

    Tutto questo è necessario per parlare dell’ultima vaccata – con tutto il rispetto per le mucche, animali nobilissimi – del card. Schoenborn. Già noto alle cronache per aver celebrato una “Messa dei giovani”, in cui l’Ostia – bianchissimo corpo di Nostro Signore – è stata distribuita come un hot-dog e, infine, schiacciata dalla maggior parte dei presenti, Schoenborn ha – pochi mesi fa – ratificato la nomina di un omosessuale, che “regolarmente” convive con un altro uomo, a consigliere pastorale. Ma, fin qui, nulla di nuovo.

    L’ultima vaccata di Schoenborn (prometto – per tutelare il buon nome dei bovini – di non usare più questo termine per parlare delle corbellerie del porporato) è stata affermare che «dobbiamo liberarci dell’immagine tradizionale secondo la quale la Chiesa c’è solo quando è presente un sacerdote».

    L’idea è quella di accorpare (entro i prossimi dieci anni) le parrocchie per darle in gestione ai laici. I piani quinquennali per rilanciare l’economia sovietica sono nulla rispetto ai piani decennali del card. Schoenborn per protestantizzare la diocesi.

    Ma una parrocchia senza prete è come un corpo senza l’anima. Senza un sacerdote che celebri il Santo Sacrificio della Messa, che confessi, che – insomma – faccia il curato, ovvero si prenda cura delle anime, la parrocchia sarà solamente un centro ricreativo. Una sorta di ARCI, ma molto meno cattolico.

    Così facendo, Schoenborn non si accorge che il suo, più che un accorpamento è un accoppamento: uccide la vita spirituale dei fedeli e chiama la propria apostasia “superamento di un’immagine tradizionale della Chiesa”. Rende la parrocchia cattolica una caricatura di quella protestante e chiama il proprio crimine progresso. Crea scandalo appoggiando un omosessuale come consigliere di una parrocchia della sua diocesi e ammanta la propria sfacciataggine di misericordia divina.

    Matteo Carnieletto


      breve riflessione:

    Il paradosso è che per ben due volte il Papa ha risposto alle stravaganti uscite di questo cardinale, e lo ha fatto di recente sia con un messaggio ai Vescovi per la nuova evangelizzazione sottolineando che:

    “Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze, e per questo – aggiungeva – «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”...

    e sia, il giorno prima parlando ai vescovi Francesi in visita ad Limina dove ha detto:

    È dunque necessario che nella riorganizzazione pastorale sia sempre confermata la funzione del sacerdote che «in quanto strettamente vincolata all’ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo» (Presbyterorum ordinis, n. 2).
    Rendo omaggio alla generosità dei laici chiamati a partecipare a uffici e a incarichi nella Chiesa (cfr. cic, can. 228 § 1), dando così prova di una disponibilità per la quale quest’ultima è profondamente riconoscente.
    È però opportuno, d’altra parte, ricordare che il compito specifico dei fedeli laici è l’animazione cristiana delle realtà temporali all’interno delle quali agiscono di propria iniziativa e in modo autonomo, alla luce della fede e dell’insegnamento della Chiesa (cfr. Gaudium et spes, n. 43). È dunque necessario vegliare sul rispetto della differenza esistente tra il sacerdozio comune di tutti i fedeli e il sacerdozio ministeriale di quanti sono stati ordinati al servizio della comunità, differenza non solo di grado ma anche di natura (cfr. Lumen gentium, n. 10). D’altro canto occorre restare fedeli al deposito integrale della fede così come è insegnata dal Magistero autentico e professata da tutta la Chiesa.
    In effetti, «la stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario.
    È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede» (Porta fidei, n. 10). Tale professione di fede trova nella liturgia la sua espressione più alta. È importante che questa collaborazione si situi sempre nel quadro della comunione ecclesiale attorno al Vescovo, che ne è il garante, comunione per la quale la Chiesa si manifesta come una, santa, cattolica e apostolica.

    ****
    pertanto....se dovesse mancare uno solo di questi presupposti, uno solo di questi requisiti ben delineati dal pontefice, verrebbe meno quella PIENA COMUNIONE insegnata dalla Chiesa


    [SM=g1740733] e sia ben chiaro che il problema non sta nell'accorpamento in sè.... del resto se i sacerdoti scarseggiano c'è ben poco da fare  [SM=g1740727] il problema è l'appiattimento, la desolazione, il fatto che ci si ADEGUI alla situazione andando a creare delle situazioni che inevitabilmente porteranno a snaturare il Ministero sacerdotale da quello dei laici....
    Ma dirò di più....
    Schoenborn ha un problema da risolvere, la ribellione di ben 400 sacerdoti che stanno remando contro le dottrine più basilari della Chiesa e lui, ovviamente non vuole perderli, nè rischiare di creare una chiesa parallela.....
    In questo senso ho com-passione per questo cardinale.... ma occorre dire che queste situazioni le sta creando lui, per altro alla guida della diocesi da molti anni, forse anche troppi....
    Tuttavia, per risolvere il problema di 400 sacerdoti ribelli, non si può cedere a delle soluzioni che non porteranno nulla di buono.
    Inoltre la Chiesa stessa insegna, infatti....
    prima del Concilio non esisteva questa frenesia di vedere le CHIESE PIENE.... queste non lo sono mai state in duemila anni.... la gente si RADUNAVA attorno al parroco nelle Feste comandate.... nei cambi di STAGIONE per invocare la Provvidenza divina per il raccolto e le semine....
    si radunava in caso di calamità o per ringraziare di uno scampato pericolo....
    Il Catechismo lo si faceva alla domenica dopo la Messa.... e durante la settimana dopo la Messa del mattino i fedeli andavano avanti con le devozioni come IL ROSARIO che si diceva la sera ion Chiesa al tramontar del sole o nelle famiglie prima di cenare....
    IL CAPO FAMIGLIA LEGGEVA LA BIBBIA o la nonna, o la mamma che sapeva leggere e.... se c'era qualcosa che non si capiva interveniva il parroco CON IL CATECHISMO....

    Vi racconto questo fatto singolare:
    Per un secolo conserva la vera fede [SM=g1740722]

    Un Padre domenicano della Provincia delle Filippine, P. Florentino Castarñon, fu incaricato dal suo Superiore nel 1951 di partire missionario per le isole Babuyanes. Gli abitanti di quelle isole non vedevano infatti un missionario da varie generazioni. L'ultimo era stato ancora un domenicano, che prima di lasciarli aveva detto loro: Se verrà qualcuno da voi a presentarsi come ministro della vera religione, accoglietelo solo se viene col Rosario.

    Quando dunque, dopo circa un secolo, videro arrivare quel Padre, osservarono subito che aveva la corona. Vedendola appesa alla sua cintura, felicissimi lo accolsero tra loro. Il missionario, visitandoli, restò meravigliato anzitutto di vedere che tutti erano regolarmente battezzati e conoscevano bene i principali misteri della fede. Come mai? Tra loro uno era incaricato di riunirli tutte le domeniche per la recita del Rosario. Poi provvedeva a battezzare i bambini. Così per un secolo. La gente, essendo domenica, recitava sempre i misteri gloriosi (e aveva dimenticato gli altri), ma essi erano stati sufficienti per conservare quel popolo nella fede cattolica.

    (Da una lettera del Provinciale domenicano a tutti i religiosi, del 29/10/1972)

    ******************************
    Ecco come devono essere organizzate le Parrocchie senza un prete..... e fa specie che un Schoenborn, DOMENICANO per giunta, non rammenti questo episodio






    [Modificato da Caterina63 22/09/2012 12:32]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 24/10/2012 17:03
    .... non è certo con gioia, questa volta, che ci tocca aprire un terzo thread sui.... CATTIVI MAESTRI..... mentre quello sui BUONI MAESTRI è ancora scarso... segno di una evidentissima piaga nella Chiesa e di una proliferazione di maestri dai quali proprio Cristo ci mise in guardia....

    PER IL TERZO TREAD CLICCATE QUI,

    Non ci divertiamo a fare questa sorta di elenco, ma è necessario per poter fare un sano discernimento, pregare per questi pastori storditi, e proseguire fiduciosi nel Magistero della Chiesa e non in quello dei singoli pastori quando parlano per se stessi....

    [SM=g1740717] [SM=g1740720]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)