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DIFENDERE LA VERA FEDE

MA CHI SONO I FALSI MAESTRI, COME RICONOSCERLI? (qui alcuni esempi)

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 11/07/2010 11:46
     Ecco un tipico esempio di FALSO MAESTRO DA NON SEGUIRE.....un grazie a Messainlatino


    Teologo gesuita: mi rifiuto di pregare per le vocazioni.

    La feroce battaglia per la distruzione della Chiesa, dopo avere attaccato, e con largo successo, la liturgia e la dottrina, si avventa negli ultimi tempi contro l'estremo, ultimo baluardo del cattolicesimo. Il sacerdozio.

    E sono proprio alcuni sacerdoti che si fanno paladini della distruzione di questa istituzione divina. Senza sacerdoti, niente (o quasi) sacramenti, e gli uomini sarebbero così lasciati in balia del Principe di questo mondo, senza gli strumenti della salvezza.

    Abbiamo già riferito tempo addietro (
    vedi qui), di quel vescovo (Lebrun di St. Etienne) che è andato a Roma per fare abolire le parrocchie, che a Pentecoste ha soppresso le messe e che sostiene che occorre "amplificare le proposte catecumenali e diminuire la nostra offerta sacramentale". Si tratta di un'idea diffusa, specie Oltralpe: l'arcivescovo Rouet di Poitiers l'ha perfino teorizzata in un suo libro e poi messo in pratica, desertificando l'arcidiocesi col mettere équipe pastorali di laici al posto dei preti.

    Da ultimo, un teologo gesuita, Michel Rondet
    [nella foto a destra], arriva a scrivere che la crisi delle vocazioni è una benedizione per farla finalmente finita con la "Chiesa di Pio XII", ossia con la Chiesa dei preti. La sua prosa ha almeno il pregio di togliere ogni maschera alle reali intenzioni di questi riformatori. Il gesuita sostiene che ci devono essere solo laici 'in responsabilità', sotto la supervisione di un vescovo. I preti sono praticamente aboliti, soltanto il ruolo episcopale va mantenuto. Ecco forse perché la cosa piace tanto a molti vescovi: è tipico dei progressisti esaltare il loro ruolo. Tra questi vescovi infatuati, il metropolita di Reims, il trad-hater Jordan, che ha fatto inserire nel sito ufficiale della diocesi l'articolo del P. Rondet, che segue (
    link).


    La Chiesa che spero

    Di P. Michel Rondet S.J.

    [..] Io non posso più pregare per le vocazioni, come mi si chiede con insistenza di fare. Io prego che la Chiesa abbia il coraggio di seguire gli orientamenti che rispondono alla situazione e corrispondono ai richiami dello Spirito. Ciò che viene chiamata crisi delle vocazioni non è congiunturale; prolungandosi, ci invita a una riflessione più ampia sulla Chiesa e i ministeri, ci chiama a smettere di guardare ad un recente passato da restaurare per rivolgerci verso l’avvenire. Se questa crisi miracolosamente cessasse, non ci sarebbe maggiore fretta che di tornare alla Chiesa di Pio XII, i preti riprenderebbero tutte le responsabilità che i laici stanno cominciando ad assumere e noi ridiventeremmo una Chiesa clericale, mentre è ad una Chiesa comunione di battezzati responsabili che lo Spirito ci chiama.

    Siamo chiamati a rompere con una tradizione che non ha smesso di imporsi dal V secolo, ma che non è evangelica. Il Cristo non ha affidato il futuro della sua comunità ad una classe di uomini che ne assumessero da soli l’animazione e la guida; eppure è ciò che è accaduto attraverso l'instaurazione di un clero concepito al modo di quelli dei culti pagani. È con questa tradizione che si deve rompere, rendendo alle comunità cristiane la responsabilità della loro vita e della loro animazione, sotto il controllo del ministero apostolico dei vescovi.

    Questo è possibile senza rotture, ritrovando la tradizione dei primi secoli:

    -È necessario restituire alle comunità cristiane la responsabilità per la celebrazione dell'eucaristia. Una comunità cristiana deve poter celebrare l'eucaristia per nutrire la sua vita teologale, senza aver bisogno di ricorrere ad un celebrante esterno. Essa deve proporre al vescovo i nomi di coloro che vorrebbero presiedere le sue celebrazioni e tutto dopo deve aver luogo sotto la supervisione e con la benedizione del vescovo.

    -Bisogna rendere a queste comunità la responsabilità dell'organizzazione dei ministeri di cui esse hanno bisogno: riconciliazione, cura dei malati, preparazioni dei sacramenti (battesimo e matrimonio celebrati dal vescovo o dai suoi collaboratori diretti).

    -Le diocesi possono essere più piccole, il vescovo residente al centro, circondato da qualche collaboratore prete, che vivono in comunità con lui e che condividono la sua missione.

    -Se una comunità cristiana intraprende sotto la sua responsabilità un’opera di assistenza, in supplenza di ciò che la società non fa, la responsabilità potrà essere affidata a un diacono (esempio: la diaconia di Tolone).

    Circa l'ecumenismo. Sono stati compiuti grandi sforzi da un secolo a questa parte, e oggi han raggiunto il culmine. Si è cercato di progredire verso l'unità eliminando a poco a poco i punti di disaccordo. Sembrerebbe che si debba oggi trovare un altro modo per andare avanti. Il Cristo vuole l'unità; questa unità, è già presente nei cuori di molti. Perché allora non invertire il metodo: effettuare dei gesti di unità (intercomunione, confessione comune di Gesù Cristo, riconciliazione) e a partire da là (dall’unità vissuta) affrontare le differenze. E’ un po’ il percorso che vissuto Taizé, che fornisce un esempio.

    Nella sua relazione col mondo, la Chiesa ha un messaggio di felicità e di salvezza per tutti gli uomini. È questo messaggio che si deve annunciare dando fiducia alla coscienza degli uomini e delle comunità per viverlo il meglio possibile.


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    Proviamo a riflettere per riconoscere il perchè questi sono FALSI MAESTRI....

    I preti sono praticamente aboliti, soltanto il ruolo episcopale va mantenuto.  
     
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    mah! l'idea è vecchia e viene dal Protestantesimo sopratutto calvinista...infatti per loro i PASTORI non sono preti, ma in molte zone mantennero i VESCOVI o tali presunti poichè, non dimentichiamolo, al tempo che fu molti vescovi abiurarono al cattolicesimo per ingrassare le file protestanti....  
    Qui siamo all'intecliricalismo peggiore poichè chi parla è un un sacerdote che ha perduto la sua identità....e dunque sta parlando contro se stesso!  
    Questo modo di percepire la Chiesa con i vescovi si, ma senza un clero, si è rafforzata anche da un certo ecumenismo distorto per facilitare una comunione con i protestanti pastori infatti, non poche volte alcune parrocchie cattoliche SONO STATE OBBLIGATE E COSTRETTE DAI LORO VESCOVI AD ESSERE CATECHIZZATE DA PASTORI, ossia, obbligati i fedeli ad ascoltare OMELIE DI PASTORI mentre come sappiamo le Norme della Chiesa sottolineano che l'omelia deve essere fatta dal Prete, e un motivo ci sarà perchè c'è questa regola....  
     
    Dunque una Chiesa "futura" senza preti ma con persone responsabili (pastori LAICI) delle comunità e a servizio del vescovo...  
    Per i Protestanti, l'invito e il comando di Gesù di pregare il Signore perchè mandi OPERAI, non indica i preti-apostoli(=vescovi), ma i DISCEPOLI, ossia LAICI IMPEGNATI=PASTORI Wink  che con il sacerdozio "inventato" dalla Chiesa non avrebbe nulla da spartire....  
    padre Rondet non dice nulla di nuovo, ma ripropone una vecchia eresia sotto ulteriori mentite spoglie....  
    Con l'avvento del Protestantesimo, dentro il quale confluirono a suo tempo, non dimentichiamolo, in massa i cattolici preti e vescovi....che hanno pertanto mantenuto LA MENTALITA' ECCLESIALE tramandondosela, ma nel modo appunto sbagliato, siamo da allora coinvolti in questa TENTAZIONE di fare a meno del sacerdote per poter "cavarcela da soli".... la supervisione di un vescovo non avrebbe altro ruolo che di governare una società religiosa che produce anche beni materiali....ergo, da escludersi ogni rifermento a quel PASCERE GLI AGNELLI, ma semplicemente supervisionare che tale societas righi diritto....(diritto dove non s'è capito!! )  
     
    Infatti le rivendicazioni di Rondet partono dal V secolo....guarda il "caso" è il secolo medesimo che ci accusano i Pentecostali, secondo i quali li la Chiesa Cattolica Romana sarebbe davvero nata, li avrebbe INVENTATO IL CLERO, li avrebbe INVENTATO LA MESSA....  
    E se la prendono tutti con Pio XII il quale avendo invece santamente intuito il pericolo DELL'ARCHEOLOGISMO LITURGICO (in cui sono implicati il Clero) , immediatamente lo condannò mentre, tutte queste "menti" vorrebbero un ritorno della Chiesa  ai primi tre secoli, CANCELLANDO DI FATTO TUTTO CIO' CHE CI FU DAL V SECOLO IN POI fino, naturalmente al Concilio Vaticano II il quale, appunto, avrebbe rivendicato le medesime richieste....  
     
    Una ragione in più per difendere davvero il Concilio, anche se a causa di alcuni partecipanti maldestri non lo meriterebbe.... ma ciò che dice Rondet NON è opera del Concilio.... ma del Protestantesimo moderno....e pentecostale....ancora una volta ingannati dal diabolico "VENTO" che si vorrebbe imporre come una sorta di spugna sulla storia della Chiesa dal V al XIX secolo....  
     
    Interessante leggersi la beata Caterina Emmerich, lo aveva previsto, aveva previsto queste assurde richieste.... Wink

    P.S.  
    mi veniva a mente Carlo Carretto....  
    all'inizio anche lui subì la devestante opera distruttrice contro la Chiesa, ma il Signore gli diede il coraggio di fare abiura delle sue idee in una Notte vigilare della Santa Pasqua, davanti al Vescovo e a tutta la comunità chiedendo perdono per le sue idee....  
    Poi scrisse il suo memorale sulla Chiesa, sul come amarla, sul perchè fratel Carretto avesse ceduto dalle sue idee di Chiesa per tenersi la Vera ed autentica Chiesa quale Madre e Maestra....  
    e scrive:  
     
    Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! (...) Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.  
    No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.  
    E poi, dove andrei? A costruirne un'altra?
     
    Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò sarà la Mia Chiesa, non più quella di Cristo. "  
     
    Oggi invece assistiamo al trionfo della SUPERBIA che guarda caso diede origine al Peccato Originale.... si pretende di CAMBIARE LA CHIESA, di farsi una Chiesa su misura (un esempio legittimato è la chiesa kikiana), e presuntuosamente rimanere dentro la Chiesa e lavorare per CAMBIARLA DAL DI DENTRO....  
     
    «La fede romana - scriveva san Girolamo - è inaccessibile all' errore». Ed è per questo che san Cipriano poteva affermare: «La Chiesa di Roma è radice e madre di tutte le Chiese››. Soltanto chi si trova unito al Papa è sicuro di essere nella verità infallibile di ciò che deve credere e operare per salvarsi.  
     
    Wink Scrivendo a Timoteo, san Paolo insegna questa importante verità: quando non si sopporta più la sana dottrina, ci si procura «una folla di maestri›› che consentano di «assecondare le proprie passioni», e che parlino di fantasie anziché di verità (cf 2 Tm 4,3-4).  Ci siamo. Basta leggere certi libri di teologi ritenuti «grandi e celebri›› per dare ragione a san Paolo a occhi chiusi.

    E questi teologi sono davvero «una folla» e hanno messo su un mercato enorme di libri e riviste che sono pressoché tutti simili a cibi guasti, avariati o sospetti.

    Poveri gli incauti che ci cascano a comprarli!  Questi teologi sono «i falsi maestri» di cui parlano con parole terribili, anzi, spaventose, san Pietro e san Paolo (cf 2 Pt 2,2-ll; l Tm 1,3-7; 4,1-ll; 6,3-5; 2 Tm 3,1-7; 4,1-5). Questi «falsi maestri» vengono chiamati dal papa Paolo VI «teologi da camera» e «autoteologi››, e di essi - dice ancora il Papa - è necessario «diffidare», perché fanno fare «naufragio nella fede» (l Tm l,l9).




    DIFFIDATE DAI FALSI MAESTRI.....

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 30/10/2010 11:39
     IMPORTANTE ANALISI DI MONS. NICOLA BUX SUL RECENTE SINODO PER IL MEDIO ORIENTE..... DA LEGGERE, MEDITARE E FARE PROPRIO....


    Un Sinodo per l’unità tra Oriente e Occidente (I)


    Intervista al teologo e liturgista, don Nicola Bux, chiamato dal Santo Padre a collaborare con l'autentica Riforma.....


    di Antonio Gaspari

    ROMA, mercoledì, 27 ottobre 2010, (ZENIT.org).- Al di là delle polemiche che sono state sollevate da alcuni organi di stampa a favore o contro ebrei e musulmani, il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente è stato un successo e porterà molti frutti.

    Questa la valutazione di don Nicola Bux, professore di Liturgia orientale e di Teologia dei sacramenti alla Facoltà Teologica Pugliese, presente al Sinodo in qualità di delegato nominato dal Pontefice Benedetto XVI.

    Don Nicola Bux che ha insegnato anche a Gerusalemme e Roma è consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi e consulente della rivista teologica internazionale "Communio". E' anche consultore  dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.

    ZENIT lo ha Intervistato.   

    Quali sono i risultati rilevanti di questo Sinodo?

    Don Nicola: Il Sinodo è stata una occasione di incontro tra persone che difficilmente si sarebbero incontrate, così come sono disperse non solo nelle terre del Medio Oriente ma anche in Occidente dove c’è una grande diaspora.

    Si può dire, in termini di numeri, che le Chiese mediorientali sono più presenti in Occidente che sul terreno proprio. Che il Santo Padre abbia fornito questo momento di incontro è già di per sé un fatto significativo.

    Ciascuna di queste Chiese orientali vive la propria vita e le proprie preoccupazioni. Incontrarsi a Roma, sul soglio di Pietro, è stata una occasione di grande conforto e di grande aiuto. Inoltre il  Sinodo ha permesso ai presenti di guardare insieme i problemi al fine di capire che siamo una sola Chiesa la quale nasce e diffonde l’unico Vangelo.

    Il fatto che l’unico Vangelo abbia dato origine a tante comunità in tanti luoghi diversi appartiene al comandamento di Gesù: “andate e fate discepoli tutti i popoli”.

    Più di un Padre ha ribadito al Sinodo che noi siamo una Chiesa cattolica apostolica, poi siamo anche Chiese orientali, ma dovremo andare oltre l’Oriente e l’Occidente e non dobbiamo soffermarci troppo sul particolare, perchè altrimenti corriamo il rischio di identificare la Chiesa e la fede con una nazione, una etnia, una comunità particolare. In questo modo si rischia di soffocare il respiro della fede che è per sua natura universale.

    La situazione in cui vivono i cristiani non è però facile…

    Don Nicola: Non c’è dubbio. Il Sinodo ha confortato i presenti malgrado la situazione molto difficile in cui si trovano. Ci sono problemi seri di confronto di carattere religioso e politico.

    Il Corano riconosce che ebrei e cristiani hanno il Libro, ma sono credenti e cittadini considerati di seconda categoria. Il Corano presuppone che il quadro di riferimento dei cristiani sia la legge coranica (Sharia) e che quindi non c’è bisogno di rivendicare altri diritti  perchè loro garantirebbero anche i diritti dei cristiani

    Ciò non è esattamente vero, e così accade che nel Golfo ci sono 13 milioni di cattolici, lavoratori che vengono dall’estero, che non hanno nemmeno la possibilità di riunirsi per la messa.

    Così in più Paesi i cristiani si trovano a rivendicare il diritto alla libertà religiosa, il diritto alla libertà di coscienza e il diritto alla libertà di culto.

    I cristiani queste rivendicazioni le fanno nell’unica maniera che li contraddistingue, con ragionevolezza, con pacatezza, con mitezza, con coraggio e magari anche con rassegnazione, pronti a subire il martirio. Al Sinodo si è parlato del martirio a cui sono andati incontro molti cristiani  per rimanere fedeli alla loro fede. Un caso di martirio è per esempio quello di monsignor Luigi Padovese, sgozzato in Turchia.

    Per tutte queste ragioni il Sinodo è stato una grande occasione e aiuterà molti cristiani orientali e occidentali a capire l’importanza dell’unità della Chiesa intorno a Pietro, intorno al Papa, perchè l’unità della Chiesa non è un anelito o un desiderio, è un fatto, è una realtà.

    Molti cristiani però non ce la fanno a sopportare ingiustizie e discriminazioni e quindi emigrano. Cosa ha detto a proposito il Sinodo?

    Don Nicola: Emigrare per cercare un futuro migliore è un diritto dell’uomo e non si può impedirlo. Nello stesso tempo la Chiesa richiama a non abbandonare i territori dei nostri padri, quindi non solo invita, ma fa il possibile, aiuta e viene incontro affinché le proprietà dei cristiani non siano alienate, non siano vendute o peggio svendute.

    Purtroppo c’è una tendenza da parte degli ortodossi a vendere a musulmani ed ebrei. Si tratta di un fenomeno deprecabile, e nonostante ciò, la missione permane. Il Signore ha detto: annunciate il Vangelo a tutti, soprattutto in Terra Santa.

    Anche se le modalità di questo annuncio con la parola e la testimonianza sono sottomesse agli spazi di libertà, che vengono concessi. Ecco perchè i cristiani devono avere il coraggio di rivendicare dinanzi al mondo il diritto alla libertà religiosa che è il fondamento di tutte le libertà.

    A questo proposito al Sinodo c’è stata una riaffermazione della libertà religiosa, e indubbiamente dopo questo Sinodo le Chiese mediorientali non saranno più le stesse, si ritroveranno più unite, più sostenute.

    Il Sinodo è stata un'Assise di Chiesa che fa capire come la Chiesa sia unita e come i problemi di una Chiesa particolare siano i problemi di tutta la Chiesa. Credo che in questo senso la lungimiranza del Pontefice Bendetrto XVI sia stata ampiamente riconosciuta.

    Mentre molti cristiani emigrano, cresce la presenza dei movimenti ecclesiali, come per esempio il Cammino Neocatecumenale...

    Don Nicola: I movimenti sono una grande risorsa. La Chiesa  li riconosce anche per lo slancio missionario delle famiglie che con abnegazione sacrificio lasciano tutto e vanno in missione in terre lontane e ostili per far conoscere Gesù Cristo.

    Ma l’attenzione che alcuni movimenti devono avere è quello di sottomettersi umilmente alla Chiesa in quei luoghi, fare riferimento ai Vescovi e accettare di morire e rinascere. Devono conoscere la lingua e poi capire di inserirsi dentro l’alveo culturale, storico e liturgico.

    I movimenti non possono esportare in Oriente usanze occidentali soprattutto quando queste usanze sono l’esito di una creatività liturgica non disciplinata dalla Chiesa romana. E questo potrebbe creare confusione e danni.

    I movimenti devono incarnarsi nella liturgia locale e anche quando provenienti dall’Occidente celebrano la liturgia romana, lo devono fare senza stravaganze.



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 30/10/2010 11:44
    SEGUE L'INTERVISTA DAL POST PRECEDENTE:


    Un Sinodo per l’unità tra Oriente e Occidente (II)


    di Antonio Gaspari

    ROMA, giovedì, 28 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Per don Nicola Bux, docente di Liturgia orientale e di Teologia dei sacramenti alla Facoltà Teologica Pugliese, presente al Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente in qualità di delegato nominato da Papa Benedetto XVI, l'assise episcopale svoltasi dal 10 al 24 ottobre in Vaticano è stata un successo e porterà molti frutti.

    Don Bux ha insegnato a Gerusalemme e Roma, è consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi e consulente della rivista teologica internazionale “Communio”, nonché consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.

    ZENIT lo ha intervistato sui temi affrontati nel Sinodo. La prima parte dell'intervista è stata pubblicata questo
    mercoledì 27 ottobre.

    Come procede il dialogo con le Chiese Ortodosse?

    Don Nicola: In generale il rapporto è buono e di condivisione. Soprattutto in Medio Oriente siamo all’ottimo vicinato. Nello stesso tempo però ci sono delle discrepanze. Molti ortodossi non riconoscono il battesimo cattolico e ribattezzano i cristiani in occasione dei matrimoni misti. Si tratta di un brutto fenomeno che crea difficoltà tra le comunità.

    E’un problema, ma è risibile di fronte al fenomeno dei cristiani che abbandonano quelle terre, quindi per certi versi l’urgenza di una unità tra i cristiani dovrebbe essere considerata prima e più importante della rivendicazione della proprie autonomie.

    E’ noto che nel Medio Oriente i cristiani insieme rappresentano una percentuale minima, circa il 2% dei residenti. Inoltre i cristiani sono sparsi e divisi. In questo contesto il Sinodo è stato una grande occasione per far capire che  prima viene l’unità della Chiesa cattolica e poi vengono le affermazioni identitarie che tra l’altro oggi nella società globale rischiano di sparire se non sono legate a un'identità forte. In sostanza l’essere cattolico aiuta ad andare oltre l’Oriente e l’Occidente, ma aiuta ad essere fino in fondo orientali e occidentali.

    Quali problemi sono stati sollevati al Sinodo circa le relazioni con il mondo giudaico ed il mondo islamico?

    Don Nicola: Il rapporto con il mondo giudaico si muove nell’alveo delle buone relazioni avviate con il Concilio Vaticano II, anche se sappiamo bene che all’interno del mondo giudaico ci sono gruppi più aperti e gruppi più refrattari al dialogo. Complessivamente il rapporto è buono. E’ chiaro che là dove il giudaismo è maggioritario come in Israele la Chiesa cattolica chiede libertà religiosa, e non è sempre facile. Per esempio è noto che in Israele essere un ebreo cristiano è discriminante. Pochi sanno che in Israele ci sono ebrei cristiani e c’è una comunità con un Vicariato per i cristiani di lingua ebraica. Si tratta di fedeli in gran parte provenienti dall’ebraismo. Il fenomeno persiste ma non è riconosciuto dalle autorità israeliane.

    Per quanto riguarda il rapporto con l’islam, i cristiani sono da 1300 anni in mezzo ai musulmani, vivono in convivenza con più o meno diritti. In Libano siamo cittadini allo stesso livello, è l’unico stato in cui siamo riconosciuti a livello di Costituzione, ma ci sono Paesi come l’Arabia Saudita dove non c’è alcun riconoscimento. Anzi peggio. C’è una persecuzione costante nei confronti di sacerdoti che celebrano e praticano la fede cattolica.

    La situazione è complicata dal fatto che l’islam non ha un magistero unico e non esiste una posizione unica del rapporto con i cristiani. Alcuni sostengono che non esista l’islam moderato, c’è un islam e basta che viene applicato e interpretato a seconda di persone e luoghi.

    Così ogni comunità deve rapportarsi e misurarsi con la maggiore o minore disponibilità dell’interlocutore. Ci sono Emirati che permettono di costruire delle chiese pur limitando la libertà di culto, e ci sono luoghi come la Giordania dove ci sono le scuole e le associazioni caritative cattoliche, con un notevole riconoscimento della presenza cristiana.

    La varietà di comportamenti chiede ai cristiani di avere il coraggio della propria identità, di non avere paura, di dichiarare la propria fede senza alcuna imposizione e senza venire a contesa con nessuno, come diceva San Francesco ai suoi frati.

    Gli stessi frati francescani che da oltre sette secoli sono in quelle terre sono la dimostrazione vivente di come si possa essere se stessi e nello stesso tempo essere umilmente a servizio di una realtà che è altra da quella cristiana.

    L’esempio dei francescani deve essere molto considerato dai movimenti. Ci si deve incarnare nei luoghi senza arroganza, con grande umiltà e capacità di ascolto, e al momento dovuto offrire anche il proprio tributo di sangue. I francescani hanno avuto oltre 5000 martiri in oltre 750 anni di presenza in quelle terre.

    E’ vero che i francescani sono più protetti, dopo che San francesco incontrò il Saladino?

    Don Nicola: Il mito di San Francesco che fa i patti con Saladino è stato chiarito dagli storici. San Francesco non è andato per fare il dialogo interreligioso. Era andato perchè voleva convertire il sultano, non lo voleva fare con la forza o con le armi, però voleva parlare con lui di Gesù Cristo, e forse lo ha fatto, anche se su questo episodio le fonti non sono molto esaurienti.

    Il sultano rimase colpito dalla mitezza di San Francesco, anche lui era un uomo aperto alla ragionevole riflessione. Ci fu un dialogo, non si realizzò molto, ma nella regola San Francesco dice ai frati di parlare di Gesù Cristo e che quando il Signore mostra battezzeranno e annunceranno la fede con grande minorità.

    Questa è una grande lezione che i movimenti ecclesiali devono imparare e seguire, l’umiltà l’obbedienza, la semplicità nel far conoscere e servire il Signore Dio nostro.



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 30/10/2010 11:49
    E non dimentichiamo la LETTERA DEI VESCOVI DEL MEDIO ORIENTE  al noto Cammino Neocatecumenale, per RICHIAMARLI ALL'OBBEDIENZA ED ALLA OSSERVANZA DELLE REGOLE DELLA CHIESA....KIKO SOLITAMENTE FA FINTA DI ACCETTARE LE REGOLE DEL GIOCO, SALVO POI DISOBBEDIRE CONTINUAMENTE ED AVANZARE PER CONTO PROPRIO CON LITURGIE SUE INVENTATE E SCHEMI CHE NON HANNO NULLA DI CATTOLICO!!


     

    Lettera al Cammino Neocatecumenale in Terra Santa

    Fratelli e Sorelle del Cammino Neocatecumenale

    1. La pace e l'amore di Nostro Signore Gesù Cristo siano sempre con voi.

    Noi, Ordinari Cattolici di Terra Santa, vi rivolgiamo questa lettera all'inizio della Quaresima, nel quadro del Piano Pastorale comune per quest'anno, che ha come tema la catechesi e l'educazione religiosa nella parrocchia.

    Fratelli e sorelle del Cammino, siete benvenuti nelle nostre Diocesi. Ringraziamo Dio per la grazia che il Signore vi ha data e per il carisma che il Santo Spirito ha effuso nella Chiesa tramite il vostro ministero della formazione post-battesimale. Siamo riconoscenti per la vostra presenza in alcune delle nostre parrocchie, per la predicazione della Parola di Dio, per l'aiuto offerto ai nostri fedeli nell'approfondimento della loro fede e nel radicarsi nella loro propria chiesa locale, in "una sintesi di predicazione kerygmatica, cambiamento di vita e liturgia" (Statuti, Art 8)

    In seguito alla Lettera che il Papa Benedetto XVI vi ha indirizzato il 12.1.2006, e a quella della Congregazione del Culto Divino del 1.12.2005, vi domandiamo di prendere posto nel cuore della parrocchia nella quale annunciate la Parola di Dio, evitando di fare un gruppo a parte. Vorremmo che poteste dire con S. Paolo: " Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero" (I Cor 9, 19).

    II principio al quale dobbiamo tutti insieme restare fedeli e informare la nostra azione pastorale dovrebbe essere ”una parrocchia e una Eucaristia”. II vostro primo dovere perciò, se volete aiutare i fedeli a crescere nella fede, è di radicarli nelle parrocchie e nelle proprie tradizioni liturgiche nelle quali sono cresciuti da generazioni.

    In Oriente, noi teniamo molto alla nostra liturgia e alle nostre tradizioni. E' la liturgia che ha molto contributo a conservare la fede cristiana nei nostri paesi lungo la storia. Il rito è come una carta d'identità e non solo un modo tra altri di pregare. Vi preghiamo di aver la carità di capire e rispettare l'attaccamento dei nostri fedeli alle proprie liturgie.

    2. L'Eucaristia è il sacramento di unità nella parrocchia e non di frazionamento. Chiediamo pertanto che le celebrazioni Eucaristiche, in tutti i riti orientali, nonché nel rito latino, siano sempre presiedute dal parroco, o, nel caso del rito latino, in pieno accordo con lui. Celebrate l'Eucaristia con la parrocchia e secondo il modo della Chiesa locale. "Là dove c'è il vescovo, lì c'è la chiesa", ha scritto S. Ignazio di Antiochia. Insegnate ai fedeli l'amore per le loro tradizioni liturgiche e mettete il vostro carisma al servizio dell'unità

    3. Vi chiediamo inoltre di mettervi seriamente allo studio della lingua e della cultura della gente, in segno di rispetto per loro e quale strumento di comprensione della loro anima e della loro storia, nel contesto della Terra Santa: pluralismo religioso, culturale e nazionale. Inoltre, nei nostri Paesi, Palestina, Israele, Giordania, tutti sono alla ricerca della pace e della giustizia, una ricerca che fa parte integrante della nostra vita di cristiani. Ogni predicazione dovrebbe guidare i nostri fedeli negli atteggiamenti concreti da assumere nel diversi contesti della vita e nella stessa situazione di conflitto che continua in Palestina: atteggiamento di perdono e di amore per il nemico, da un lato, e dall'altro, esigenza dei propri diritti: specialmente la dignità, la libertà e la giustizia.

    Vi chiediamo di predicare un Vangelo incarnato nella vita, un Vangelo che illumini tutti gli aspetti della vita e radichi i fedeli in Gesù Cristo Risorto e in tutto il loro ambiente umano, culturale e ecclesiale.

    Domandiamo a Dio di colmare i vostri cuori della sua forza e del suo amore, e di darvi la grazia affinché possiate colmare i cuori dei fedeli del suo amore e della sua forza.

    Gerusalemme, 25 Febbraio 2007

    † Michel Sabbah, Patriarca Latino di Gerusalemme
    † Elias Shakour, Arcivescovo Greco Melchita Cattolico di Acri, Haifa, Nazaret
    e di tutta la Galilea
    † George El-Murr, Arcivescovo Greco Melchita Cattolico di Filadelfia, Petra
    e della Giordania
    † Paul Sayyah, Arcivescovo Maronita di Haifa e della Terra Santa
    ed Esarca Patriarcale Maronita di Gerusalemme, dei Territori Palestinesi e della Giordania
    † Fouad Twal, Vescovo Coadiutore Latino, Gerusalemme
    † Kamal Bathish, Vescovo Ausiliare Latino, Gerusalemme
    † Selim Sayegh, Vicario Patriarcale Latino per la Giordania
    † Giacinto-Boulos Marcuzzo, Vicario Patriarcale Latino per Israele
    † Pierre Melki, Esarca Patriarcale Siro-Cattolico di Gerusalemme, di Terra Santa
    e della Giordania
    † George Bakar, Esarca Patriarcale Greco Melchita Cattolico di Gerusalemme.
    Rafael Minassian, Esarca Patriarcale Armeno Cattolico di Gerusalemme, di Terra Santa
    e di Giordania


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 14/11/2010 11:31

    Un'errata interpretazione del concetto di "aggiornamento"


    da Cordialiter:

    Siamo in un periodo di lassismo, di contestazione, di inosservanza del codice morale; in un periodo in cui la libertà è invocata, non per fare il bene, come sarebbe nella natura delle cose, ma per non farlo, per godere d’un’emancipazione da ogni norma che sia dal di fuori intimata, e per lasciare la nostra attività nell’indifferenza o forse anche nell’opposizione d’ogni regola prestabilita.

    Per restringere ora la nostra osservazione al campo della nostra religione, interroghiamo noi stessi circa le ragioni per cui la Chiesa incontra nel mondo di oggi tanta avversione, tanta diffidenza, tanta ostilità nell’esercizio del suo ministero di guida morale e di magistero pastorale. E una di queste ragioni sembra a noi che si debba riscontrare nella difficoltà del programma morale, che la Chiesa propone ai suoi figli. Sì, la vita cristiana, e quella cattolica specialmente, non è facile. Ripetiamolo pure: considerata nel suo aspetto normativo, isolato dal suo complesso integrale e vitale, la via di Cristo non è facile.

    [...]

    E il senso della difficoltà ad accettare il codice morale della Chiesa aumenta, oggi, a mano a mano che il processo di secolarizzazione progredisce nell’applicazione radicale della formula sua propria: la religione non deve avere più niente a che fare con la vita autonoma e profana dell’uomo moderno, operante secondo i criteri specifici del suo campo d’azione, il che nessuno per sé, entro certi limiti ragionevoli, gli contesta, ma nemmeno per assegnare all’attività umana la sua finalità suprema, e neppure per conservare quei rapporti ancora superstiti con il sentimento religioso naturale, o tradizionale, che fino ai nostri giorni è pur sopravvissuto in tanti uomini probi ed onesti e nel cuore del popolo, per cui la religione è stata costume storico e glorioso. L’ateismo rivendica a sé anche il dominio della morale.

    [...]

    La vita morale cristiana è difficile perché è forte. E perché, come insegna San Paolo, l’apostolo della libertà, essa è una milizia (Eph. 6 , 17; 1 Thess. 5 , 8). È difficile perché è tesa verso la perfezione! La perfezione, sì, del nostro essere, così debole, così difettoso, così agitato, così insidiato dal mondo circostante, è proposta a tutti come dovere dal recente Concilio (Lumen Gentium, 40), di cui molti abusano interpretandone l’«aggiornamento» come il permesso, l’invito quasi, a rendere secolare, e perfino molle e mondano tanto lo stile esteriore, quanto la mentalità interiore della vita cristiana, non esclusa talvolta quella religiosa.

    Ai forti, ai coraggiosi, ai pazienti, agli ardenti di fede e di carità sono destinate le celebri parole risolutive e consolatrici di Gesù: «Il mio giogo è soave, e leggero il mio peso» (Matth. 11, 30).

    [Brani tratti dal discorso pronunciato dal Sommo Pontefice Paolo VI all'Udienza generale del 6 settembre 1972].


    *******************************************

    IL PENSIERO DEBOLE DEL TEOLOGO FORTE

    Proponiamo una prima analisi critica di alcuni tra i punti perspicui della teologia di Mons. Bruno Forte (nella foto), Arcivescovo di Chieti, il quale, secondo le ultime indiscrezioni “rischierebbe” (il rischio è della Chiesa!) una vistosa promozione. Quanto segue trova la sua ispirazione in un possente articolo di Mons. Prof. Giuseppe De Rosa («Analisi critica di un singolare Saggio di Cristologia», in Divus Thomas, 1986/198, pp.3-133), predecessore di Forte sulla cattedra di Dogmatica della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale e suo maestro; intervento notevolissimo per la densità dei contenuti e l’ampiezza della documentazione. Il giudizio complessivo pronunziato da Mons. De Rosa relativamente alla teologia di Forte è ben sintetizzato in queste righe del citato articolo: «Il contenuto dottrinale del libro […] dal punto di vista dell’ortodossia cattolica si rivela assai discutibile e non certamente innocuo» con «errori e deviazioni […] interpretazioni […] temerariamente personali e antitradizionali dei principali misteri cristiani» (p.4).

    Iniziamo ascoltando alcune parole di Forte, tratte da Gesù di Nazaret, Storia di Dio, Dio della Storia:

    Che senso ha l’evento della Croce per la sofferenza del mondo? Che cosa è avvenuto in quel Venerdì Santo per la storia del mondo? Il Vangelo di Marco, che riferisce probabilmente la tradizione più fedele alla cronaca dei fatti, riporta come parole di Gesù morente il grido del Salmo 22: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». È la “derelictio Jesu”…che ha costituito sempre una pietra di scandalo nella interpretazione cristiana del “Mysterium Crucis”, ed oggi è al centro delle “Teologie della sofferenza di Dio”, che cercano in una più profonda intelligenza del Crocifisso il senso ultimo della passione del mondo. […] La domanda è carica del tormento che attraversa la sofferenza, il travaglio di non comprenderne il senso. Nell’interrogativo del Figlio risuona l’angoscia di tutti i sofferenti della storia: anche per il Crocefisso la sofferenza è un mistero! L’interrogativo nasce dall’esperienza di un reale abbandono, dall’assenza e dal silenzio di Colui, del quale il Nazareno più avrebbe atteso la presenza nell’ora della Croce, a garanzia della sua attestazione messianica…All’abbandono doloroso, però, egli risponde con l’offerta; è l’abbandonato, non il disperato. […] In realtà, il Figlio è stato mandato dal Padre: già in questo invio c’è un distacco doloroso per il Padre…Se il Figlio soffre è perché il Padre soffre, precedendolo sulla via dolorosa…Alla sofferenza del Figlio…fa dunque riscontro una sofferenza del Padre: Dio soffre sulla Croce come Padre che offre, come Figlio che si offre, come Spirito, che è amore promanante dal loro amore sofferente. (pp.28-30, sott. ns.).

    Attraverso un linguaggio che, più che “fluido”, non esiteremmo a definire “scivoloso”, Forte insinua un coacervo di dottrine eterodosse:


    1. L’ignoranza di Cristo relativamente al senso ultimo della sofferenza.
    Tale affermazione presuppone l’ignoranza umana di Cristo ed esclude che Egli abbia avuto sulla terra la “scienza dei beati”; un’ipostesi simile, anche se potrebbe apparire affascinante, nasconde in realtà una comprensione inadeguata dell’unione ipostatica. Forte sostiene che la dottrina tradizionale della perfetta conoscenza umana di Cristo è una “parodia di umanità”, un “monofisismo psicologico” (pp. 200-201). Egli sostiene invece che «sarebbe possibile recepire la “visione immediata di Dio” nell’uomo Gesù interpretandola però nei termini della coscienza preconcettuale irriflessa: in tal modo la “visione di Dio” nel Nazareno verrebbe anzitutto spogliata del carattere di beatitudine, che contrasta in maniera evidente con la sua vera umanità»(pp.204-207). In conseguenza di ciò Forte ammette che Cristo ebbe le virtù teologali di fede e di speranza (p.209).
    La strana tesi di una “visione di Dio non beatificante e irriflessa” proposta da Forte genera dei gravi inconvenienti. Come è possibile che la visione di Dio non sia per se stessa beatificante? In che modo una facoltà naturale, cioè il subconscio umano (sede di ogni conoscenza irriflessa), potrebbe avere in sé un oggetto di conoscenza soprannaturale (quale è l’Incarnazione del Verbo) senza essere elevato dalla grazia? In che modo la scienza di visione potrebbe contrastare con la vera umanità di Cristo (S. Ireneo insegna che vita hominis est visio Dei)? All’origine di questi paradossi sta essenzialmente una comprensione scorretta del rapporto tra ordine naturale e ordine naturale.
    D’altra parte il Magistero della Chiesa, relativamente alla scienza umana di Cristo, ha sempre insegnato diversamente da Forte (Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, DH 3432-3434; Decreto S. Uffizio, 5 giugno 1918, DH 3645-3647).

    2. Il reale abbandono dell’uomo (Nazareno) da parte di Dio sulla Croce.
    Presuppone la separabilità delle due nature di Cristo. È contrario alla Definizione di Calcedonia (DH 302).

    3. Il distacco avvenuto in Dio in seguito alla Missione del Figlio.
    Manda in frantumi l’unità dell’Essenza divina e spazza via il concetto di Missione così come insegnato dall’unanime tradizione teologica. Ammettere un distacco tra le ipostasi divine significa non accettarne la consustanzialità e rinnovare l’errore di Ario.

    4. La sofferenza in Dio.
    “[Questo Concilio] esclude dall’ordine clericale coloro che osano affermare soggetta a sofferenza la divinità dell’Unigenito”: così insegna il Calcedonese (DH 300). Nessuno vorrà negare che le citazioni magisteriali in questo senso sono abbondantissime e unanimi.

    Quest’ultimo punto merita qualche riflessione, giacché oggi si è generalmente inclini a ritenere troppo severo il giudizio di coloro che escludono la possibilità della sofferenza di Dio. La dottrina della sofferenza di Dio ha le proprie radici nell’idealismo tedesco; non però nel sistema panlogistico di Hegel, ma nell’ultima filosofia di Schelling (filosofia della Rivelazione). Proviamo a sintetizzarne il contenuto. Nel mondo esiste il male e la sofferenza; essi sono essenzialmente incompatibili con la bontà di Dio che è amore e dunque appaiono ingiustificabili; l’unico modo per poterne ammettere la possibilità è affermare che il dolore e la sofferenza sono “originariamente” in Dio; l’uomo soffre perché Dio in sé soffre. Questa dottrina nega l’immutabilità e l’impassibilità divine e con ciò rifiuta il concetto stesso di Dio così come è stato da Lui rivelato e proposto infallibilmente dalla Chiesa (Concilio Vaticano I, Dei Filius, DH 3001:“Dio è una sostanza spirituale unica e singolare, assolutamente semplice e immutabile”).
    Notiamo, per inciso, che secondo la teologia cattolica la sofferenza è entrata nel mondo come conseguenza del peccato dell’uomo. Ammettere la possibilità della sofferenza in Dio, significa mutarne l’origine e fondare in Dio la possibilità nonché l’attualità del male: il che è evidentemente assurdo.
    La dottrina della mutabilità di Dio è precisamente il cuore della teologia di Forte: Dio non è l’Ipsum Esse subsistens, bensì il Fieri. Dio è divenire. L’immutabilità divina va intesa “storicamente” come fedeltà di Dio alle proprie promesse e non “metafisicamente” come una perfezione ontologica.

    Il Dio cristiano è un Dio che ha storia, che diviene: è il Signore che si fa servo e servo che diviene Signore […] Letto nell’evento di Pasqua, il Dio cristiano non potrà mai essere interpretato come l’Altissimo immobile e immutabile. È stato il pensiero greco che ha insinuato il sospetto di impurità in un Dio che divenga […] Dio non muta nella fedeltà alle libere promesse che ha fatto all’uomo. (pp. 185-186).

    Il pensiero di Forte è paradossale. Egli accusa la metafisica tradizionale di aver tradito il Dio biblico e di averlo tramutato in un dio greco. Poi, nel rocambolesco sforzo di fluidificare l’asfissiante immobilismo del “Dio metafisico”, afferma che il Dio biblico è «il Dio dell’alleanza e dell’incontro nuziale: un Dio che sa amare e ripudiare, gioire e soffrire, decidersi e pentirsi, un Dio geloso, che si adira, prova disgusto e conosce tenerezza. La pateticità è una sua caratteristica» (p.71): ed ecco che egli stesso ha trasformato il Dio biblico in una “volubile divinità greca” che può recitare una bella parte nell’Iliade, ma che certamente non sta a proprio agio nella Rivelazione biblica del Roveto ardente (Ex. 3,14). È noto che la Sacra Scrittura attribuisca a Dio degli atteggiamenti umani: certamente non l’ha scoperto Forte. Tuttavia bisogna rifuggire da un’interpretazione letterale e reale, pena l’ “antropomorfizzazione di Dio”: tali espressioni sono dovute all’insufficienza del linguaggio umano che, essendo essenzialmente discorsivo, resta costitutivamente inadeguato di fronte al mistero di Dio.

    Ora, se Dio diviene, è chiaro che di Lui non si potrà avere una “Rivelazione definitiva”:

    Sta qui la ragione profonda della struttura tensionale dell’atto di fede. Se il termine ultimo di esso è sempre Dio che si rivela nell’insondabilità del suo mistero, la mediazione dell’assenso è la Parola cui si acconsente, necessariamente precaria ed insufficiente. Ne consegue la tensione della fede ad andare al di là della formula, dell’immagine, del concetto della rivelazione e del dogma, verso una percezione meno imperfetta del suo Dio. (pp.38-39).

    Dunque la Parola di Gesù Cristo – nel quale la Rivelazione è compiuta – alla quale l’intelligenza creata obbedisce nell’atto di fede sarebbe in realtà solo un momento precario e insufficiente che prelude ad una percezione meno imperfetta.
    Non così però insegnano la Sacra Scrittura e il Magistero, per esempio nella Costituzione Dei Verbum 4 del Vaticano II. La Chiesa ha sempre ammesso la possibilità, anzi la necessità di progredire nella comprensione della divina Rivelazione, ma ha costantemente e categoricamente escluso un progresso nella Rivelazione stessa.

    Ovviamente se Dio diviene, se la Rivelazione diviene (dunque muta e si accresce con la storia) segue che la Sacra Scrittura non contiene verità “intemporali”, come dice Forte (o “eterne”, come preferiamo noi in termini più famigliari!) e, dunque, è necessario ripudiare il modo tradizionale di concepire il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento (pp.67-77), cioè il metodo allegorico o tipologico. Notiamo per inciso che tale metodo, utilizzato già da San Paolo (es. Gesù-Adamo, Rm 5,12), coessenziale alla teologia dei Padri e dei Dottori, pacificamente ammesso da tutti i teologi cattolici, è altresì l’asse portante di tutta la Liturgia cattolica.

    La preparazione veterotestamentaria al Nuovo Testamento va cercata…non nel senso dell’allegoria (come ritiene la tendenza dominante nella tradizione cristiana), ma in quello della storia; di un divenire cioè della rivelazione, di una storia della Parola, che non prescinde dalla concreta e contraddittoria progressività del cammino d’Israele, ma si compie in e attraverso di essa, non secondo armoniche anticipazioni del futuro, ma secondo le dure leggi dell’esodo quotidiano verso l’avvenire […] Le Scritture non sono simboli o allegorie di ciò che poi avverrà nell’opera e nel destino di Gesù […] non contengono verità “intemporali”. (69-70).

    Più chiaro di così! La parentesi in cui Forte confessa il proprio strappo con la tradizione (non crediate sia un’ interpolazione nostra!) è un passaggio testuale disarmante. Certo, Forte legittima la propria idea ridimensionando il valore dell’interpretazione allegorica della Scrittura: essa sarebbe solo una “tendenza dominante nella tradizione cristiana”, dunque non necessariamente stringente. Sembra che egli non abbia mai letto Dei Verbum 15: “L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare e a significare con vari tipi (ecco l’interpretazione allegorica! n.d.r.) l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del Regno Messianico”.

    Possibile che un teologo così “avveduto” non si renda conto dell’enormità delle proprie affermazioni? Pare proprio che la lactea ubertas del suo pensiero esondi senza limite alcuno in una facondia tanto prorompente quanto devastante:

    (Il presupposto dell’interpretazione allegorico-tipologica) Sta nel ritenere che lo sviluppo storico non possa toccare le verità “intemporali” contenute nella rivelazione: questo presupposto però è insostenibile per chi prenda sul serio il divenire uomo del Verbo e non confonda la verità-fedeltà del Dio biblico con la verità immutabile ed intemporale del dio greco. (p.69)

    Lo strappo con la tradizione teologica è una vera ossessione per il nostro Forte, una sorta di imperativo morale. Se quanto avete appena letto non è il “manifesto del pensiero relativista”, diteci voi che cos’ è! Duemila anni di teologia liquidati in cinque battute. Anche a Sant’Agostino e a San Tommaso non resta che ritirarsi umilmente o fra i “confusi” o fra i “burloni”, cioè tra coloro che non hanno "preso sul serio" la Verità dell’Incarnazione: questo sì che si chiama “sentire cum Ecclesia”! D’altra parte non c’è di che stupirsi. È caratteristica comune a tutti gli idealisti considerare il proprio sistema filosofico-teologico come la fase culminante del pensiero umano, la luce che squarcia secoli di caligine intellettuale.
    Molti nei secoli hanno creduto che fede e ragione fossero due ali necessarie per elevare l’uomo alla conoscenza di Dio; il magistero recente (Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) ha insistito e insiste particolarmente sull’aspetto razionale della fede. Ma ecco che Forte, attraverso un’esegesi di sapore protestante della Confessione di Pietro a Cesarea di Filippo (egli accoglie come autentica la versione di Marco rifiutando, in linea con i pensatori riformati, l’autenticità storica della versione di Matteo che contiene la formulazione del primato petrino), nega la possibilità stessa della teologia naturale.

    Il Dio-umano, il Signore Gesù dei Vangeli sovverte l’immagine di un Messia che obbedisce all’idea che è possibile farsi razionalmente di Dio, di un Cristo cioè incontaminato nelle sue perfezioni divine, rivelatore di un Dio che non soffre e non spera (come era nei manuali tradizionali di cristologia) (162-167)

    Su che cosa dunque potrà fondarsi la fede del Cristiano se non sulla propria intelligenza illuminata dalla fede? L’intelletto umano appare qui come un inciampo alla fede, piuttosto che un sostrato necessario (qual è veramente, giacché la grazia presuppone sempre la natura!). Se l’intelletto non può giungere alla conoscenza di Dio, tanto meno i concetti filosofici sono utili alla teologia, essendo in fondo delle vuote astrazioni. Ascoltate il lirismo con il quale Forte lancia la proposta di tornare a parlare di Dio nei termini semplici e immediati del dialetto di Gesù:

    La migliore disposizione critica e obbedienziale del credente è quella di affidarsi al “patois de Canaan”, a quel linguaggio, cioè della rivelazione, dove stranamente uomini di tutti i tempi e di tutti gli spazi riescono a stabilire “giovani legami” con quanto viene proclamato. Nel “dialetto di Canaan” vengono messi in risalto categorie e termini sensati, non ancora resi aporetici dall’indefinizione con una cultura o con una filosofia. (p.179)

    È paradossale come la proposta di ritornare alla “freschezza di espressione” del dialetto di Canaan venga da uno che è imbevuto fino al midollo di filosofia idealista e che certo non rifulge per la semplicità del proprio confuso ed involuto argomentare! Che poi il linguaggio della Rivelazione, lungi dall’essere pacificamente accolto da “uomini di tutti i tempi e tutti gli spazi”, crei al contrario gravi difficoltà di interpretazione è un dato di fatto che sta alla base dell’insorgere di tutte le eresie della storia del cristianesimo, nonché degli innumerevoli ed esasperanti problemi di esegesi resi ancor più vividi presso i moderni.

    Forte propugna senza ritegno la necessità di “deellennizzare” il Cristianesimo tanto nel linguaggio teologico quanto nei concetti stessi, che a quel linguaggio sono irrinunciabilmente veicolati. A questo proposito non possono non tornarci alla mente le parole pronunziate da Papa Benedetto XVI nel corso della Lectio magistralis tenuta all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006:

    Il vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. […] Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra […] La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. […] La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. […] Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità.
    In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento.

    Sembra che Papa Benedetto XVI stia parlando precisamente del nostro Autore! “Il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice”, idea che funge da perno di tutto il discorso di Forte, è stata avanzata per la prima volta da Harnack, ci dice Papa Benedetto. Tale idea non è solo sbagliata, bensì anche grossolana e imprecisa.
    A questo punto viene spontaneo domandarci perché Forte sostenga con tanta risolutezza una proposta che, non solo appare erronea, ma financo scientificamente infondata e grossolana. Due sono le risposte possibili: o egli è totalmente inavvertito a riguardo o egli è animato da un’intentio prima che gli preme a tale punto da permettergli di ignorare ogni evidenza.
    Noi propendiamo per la seconda. L’eliminazione del patrimonio concettuale metafisico della teologia, così come è stato trasmesso da due millenni di Cristianità, permetterebbe infatti di appianare una serie infinita di ostacoli teologici che si oppongono al “dialogo ecumenico e interreligioso”, nonché al “dialogo con il mondo”, e di avanzare ignitis rotibus verso quella riconciliazione con le altre confessioni religiose e, in ultima analisi con la modernità, che costituisce l’obbiettivo ultimo di ogni “spirito progressista”, intaccato di modernismo. Il dazio da pagare, patet per se ipsum, è naturalmente la dissoluzione della Verità del Cristianesimo.

    [Modificato da Caterina63 02/10/2011 00:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/11/2010 12:25

    Il papa esalta santa Giuliana di Liegi. Con una stoccata al vescovo

    corpus

    Benedetto XVI ha dedicato l’udienza generale di mercoledì 17 novembre alla figura di santa Giuliana di Cornillon, nota anche come santa Giuliana di Liegi.

    Di lei ha sottolineato l’intensa dedizione al culto eucaristico. Il papa ha ricordato che con alcune sue compagne Giuliana costituì a Liegi una “alleanza spirituale con il proposito di glorificare il santissimo sacramento” e alla fine il vescovo dell’epoca, Roberto di Thourotte, “accolse la proposta di Giuliana e delle sue compagne e istituì, per la prima volta, la solennità del Corpus Domini nella sua diocesi”.

    Presto altre diocesi fecero la stessa cosa e nel 1264, pochi anni dopo la morte della santa, papa Urbano IV estese la festa del Corpus Domini alla Chiesa universale, facendo scrivere a san Tommaso d’Aquino i testi liturgici della messa.

    “Da allora in poi – ha proseguito il papa – la festa conobbe uno sviluppo meraviglioso, ed è ancora molto sentita dal popolo cristiano. Vorrei affermare con gioia che oggi nella Chiesa c’è una ‘primavera eucaristica’: quante persone sostano silenziose dinanzi al tabernacolo, per intrattenersi in colloquio d’amore con Gesù! È consolante sapere che non pochi gruppi di giovani hanno riscoperto la bellezza di pregare in adorazione davanti al santissimo sacramento. Penso, ad esempio, alla nostra adorazione eucaristica in Hyde Park, a Londra. Prego perché questa ‘primavera eucaristica’ si diffonda sempre più in tutte le parrocchie, in particolare in Belgio, la patria di santa Giuliana”.

    Già, in Belgio, nel paese delle “messe senza preti“.
     
    E a Liegi in particolare. Lo scorso giugno “Settimo Cielo” ha dedicato un post al ripristino, avvenuto quest’anno grazie all’impegno di alcuni fedeli, devoti dell’eucaristia, della processione del Corpus Domini nella città di santa Giuliana.

    Lì la processione era caduta in disuso dagli Settanta. E chi si era opposto al suo ripristino? Il vescovo della città, monsignor Aloysius Jousten, il quale aveva dichiarato al quotidiano “Le Soir”: “Riguardo a questa processione ho delle riserve, perché penso che sia di natura tale da dividere invece che unire”.

    Infatti “Settimo Cielo” aveva intitolato il post così: “Il vescovo di Liegi non va alla processione. Preferisce nascondersi“.

    Ma ora papa Benedetto e santa Giuliana l’hanno snidato.



    Un commento a “Il papa esalta santa Giuliana di Liegi. Con una stoccata al vescovo”


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    00 07/01/2011 11:16

    Dossetti, gli ebrei e Nostro Signore Gesù Cristo: una cristologia improponibile


    Pubblichiamo un piccolo stralcio delle memorie del card. Giacomo Biffi (qui), tratte da un interessante post (qui anche per altre notizie sul religioso bolognese) di Sandro Magister, dove si evidenzia chiaramente che padre Dossetti - uno dei cosidetti padri del post concilio - era un convinto assertore che la legge mosaica fosse - ANCHE ATTUALMENTE - la strada di salvezza per gli ebrei: probabilmente si riteneva superiore a S. Paolo e al Magistero della Chiesa. Per fortuna la verità, piano piano, esce dalle cantine e viene fuori!


    UNA CRISTOLOGIA IMPROPONIBILE (card, Giacomo Biffi)


    Alla fine di ottobre del 1991 Dossetti mi ha cortesemente portato da leggere il discorso che gli avevo commissionato per il centenario della nascita di Lercaro. "Lo esamini, lo modifichi, aggiunga, tolga con libertà", mi ha detto. Ed era certamente sincero: in quel momento parlava l’uomo di Dio e il presbitero fedele.
    Purtroppo, qualcosa che non andava ho effettivamente trovato. Ed era l’idea, presentata da Dossetti con favore, che, come Gesù è il Salvatore dei cristiani, così la Torah, la legge mosaica, è anche attualmente la strada alla salvezza per gli ebrei. L’asserzione era mutuata da un autore tedesco contemporaneo, ed era cara a Dossetti probabilmente perché ne intravedeva l’utilità ai fini del dialogo ebraico-cristiano.
    Ma come primo responsabile dell’ortodossia nella mia Chiesa, non avrei mai potuto accettare che si mettesse in dubbio la verità rivelata che Gesù Cristo è l’unico Salvatore di tutti. [...]

    "Don Giuseppe, – gli dissi – ma non ha mai letto le pagine di san Paolo e la narrazione degli Atti degli Apostoli? Non le pare che nella prima comunità cristiana il problema fosse addirittura quello contrario? In quei giorni era indubbio e pacifico che Gesù fosse il Redentore degli ebrei; si discuteva caso mai se anche i gentili potessero essere pienamente raggiunti dalla sua azione salvifica".
    Basterebbe tra l’altro – mi dicevo tra me – non dimenticare una piccola frase della lettera ai Romani, là dove dice che il Vangelo di Cristo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco” (cfr. Rm 1, 16).

    Dossetti non era solito rinunciare a nessuno dei suoi convincimenti. Qui alla fine cedette davanti alla mia avvertenza che, nel caso, l’avrei interrotto e pubblicamente contraddetto; e accondiscese a pronunciare questa sola espressione: "Non pare che sia conforme al pensiero di san Paolo dire che la strada della salvezza per i cristiani è Cristo, e per gli ebrei è la Legge mosaica". Non c’era più niente di errato in questa frase, e non ho mosso obiezioni, anche se ciò che avrei preferito sarebbe stato di non accennare nemmeno a un parere teologicamente tanto aberrante.

    Questo “incidente” mi ha fatto molto riflettere e l’ho giudicato sùbito di un’estrema gravità, pur se non ne ho parlato allora con nessuno. Ogni alterazione della cristologia fatalmente compromette tutta la prospettiva nella “sacra doctrina”. In un uomo di fede e di sincera vita religiosa, come don Dossetti, era verosimile che l’abbaglio fosse conseguenza di una ambigua e inesatta impostazione metodologica generale.


    ******************************************************


    Il cardinale Biffi rompe un altro tabù. Su Dossetti

    Cioè su un protagonista influentissimo del Vaticano II. Bocciato come teologo e per come si comportò allora e dopo. “C’era in lui il monaco nel politico, e il politico nel monaco”. Intanto una nuova storia del Concilio...

    di Sandro Magister



    ROMA, 3 gennaio 2011 – Lo storico cattolico Roberto de Mattei ha dato recentemente alle stampe una nuova storia del Concilio Vaticano II che fa molto discutere, per il metodo e le conclusioni.

    Quanto al metodo, de Mattei si attiene strettamente ai fatti storici, allo svolgimento dell'evento conciliare, poiché – sostiene – i documenti del Concilio possono essere capiti e giudicati solo alla luce delle vicende che li hanno prodotti.

    Quanto alle conclusioni, de Mattei ricava dalla ricostruzione di tale vicenda che i documenti del Concilio Vaticano II sono effettivamente qua e là in contrasto con la precedente dottrina. Chiede quindi al papa attuale di promuovere "un approfondito esame" di tali documenti, "per dissipare le ombre e i dubbi".

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    Fermandoci alla ricostruzione storica fatta da de Mattei, colpisce l'enorme peso che alcuni individui e gruppi hanno avuto nel determinare lo svolgimento del Concilio e la genesi dei suoi documenti.

    Uno dei più influenti è stato sicuramente l'italiano Giuseppe Dossetti (1919-1996, nella foto), nella sua qualità di perito del cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna.

    Prima di farsi monaco, Dossetti aveva studiato diritto ecclesiastico, aveva militato nella guerra partigiana contro fascisti e tedeschi, aveva partecipato alla stesura della nuova costituzione italiana ed era stato un politico di prima grandezza nel partito che governò l'Italia del dopoguerra, la Democrazia Cristiana, dove eccelleva nella padronanza dei meccanismi assembleari.

    Come perito conciliare, Dossetti mise a frutto queste sue capacità. Il 10 novembre 1962, un altro celebre perito, il teologo domenicano Marie-Dominique Chenu, annotò nel suo diario questa frase di Dossetti: "La battaglia efficace si gioca sulla procedura. È sempre per questa via che ho vinto".

    Il suo apogeo fu nel 1963, nella seconda sessione del Concilio, quando per alcuni mesi Dossetti operò di fatto come segretario dei quattro cardinali "moderatori", uno dei quali era Lercaro, divenendo il perno dell'intera assise.

    Era lui a scrivere i quesiti su cui i padri conciliari dovevano pronunciarsi. Il 16 ottobre 1963 quattro di tali quesiti – sulla questione della collegialità episcopale – uscirono, prima ancora d'essere consegnati ai padri, sul giornale di Bologna "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle, amico strettissimo di Dossetti e Lercaro. Irritato, Paolo VI ordinò il ritiro delle 3000 copie di questo giornale che, come ogni mattina, stavano per essere distribuite gratuitamente ai padri.

    Anche dopo il Concilio Dossetti continuò ad esercitare una profonda influenza sulla cultura cattolica non solo italiana.

    È lui che diede vita – con alcuni storici suoi seguaci di cui il primo fu Giuseppe Alberigo – a quell'interpretazione del Vaticano II che ha avuto fino ad oggi più fortuna in tutto il mondo, condensata in cinque volumi di "Storia" tradotti in più lingue.

    Non solo. Dossetti è stato per molti anche un grande ispiratore di visione teologica e politica insieme. Con un forte ascendente tra il clero, tra i vescovi e tra i cattolici politicamente attivi, a sinistra.

    Ma mentre la sua maniera di interpretare il Concilio Vaticano II è da qualche tempo sottoposta a critica crescente – specie dopo il memorabile discorso, a ciò dedicato, di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 –, nessuno, fino a poche settimane fa, aveva osato mettere in dubbio, con autorità e in pubblico, la solidità della sua visione teologica.

    A rompere il tabù è stato il cardinale e teologo Giacomo Biffi, che dal 1984 al 2003 è stato arcivescovo di Bologna, la diocesi di Dossetti.

    Nella seconda edizione delle sue "Memorie e digressioni di un italiano cardinale", pubblicata lo scorso autunno, Biffi ha dedicato a Dossetti una ventina di pagine sferzanti.

    Nelle quali mette a nudo le gravi insufficienze della sua teologia, a partire dal modo con cui egli agì nel Concilio Vaticano II e nei decenni successivi.

    Ecco qui di seguito i passaggi salienti della critica del cardinale Biffi a Dossetti e ai "dossettiani" di ieri e di oggi.

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    LA "TEOLOGIA" DI DOSSETTI

    da Giacomo Biffi, "Memorie", seconda edizione, pp. 485-493



    Giuseppe Dossetti è stato un autentico uomo di Dio, un asceta esemplare, un discepolo generoso del Signore che ha cercato di spendere totalmente per lui la sua unica vita. Sotto questo profilo egli resta un raro esempio di coerenza cristiana, un modello prezioso seppur non facile da imitare.

    È stato anche un vero teologo e un affidabile maestro nella “sacra doctrina”?

    La questione non è semplice, data la complessa personalità del protagonista, e richiede un discorso articolato. Mi limiterò, richiamando qualche notizia utile, a formulare alcune osservazioni che riguarderanno prima di tutto l’ecclesiologia, poi la cristologia e infine la metodologia propria e inderogabile della “sacra doctrina”.


    UNA ECCLESIOLOGIA POLITICA


    Il 19 novembre 1984, in una lunga conversazione con Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, don Dossetti si è lasciato andare a qualche considerazione che deve renderci avvertiti. Egli legge sorprendentemente il suo apporto al Concilio Vaticano II alla luce della sua partecipazione ai lavori della [Assemblea Nazionale] Costituente [tra il 1946 e il 1948]: "Nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare ha capovolto le sorti del Concilio stesso". [...]

    Di più, nella stessa circostanza Dossetti addirittura si compiace di aver "portato al Concilio – anche se non fu trionfante – una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell’esperienza politica fatta". Ma che tipo di “ecclesiologia” poteva scaturire da una tale ispirazione e da queste premesse “mondane”?

    “Anche se non fu trionfante”: questo inciso, sommesso e un po’ reticente, evoca con discrezione la fine della attività conciliare di don Giuseppe; e merita che lo si chiarifichi nella sua rilevanza.

    Egli era stato introdotto nell’assise vaticana con la qualifica di esperto personale dell’arcivescovo di Bologna [Giacomo Lercaro]. Il 12 settembre 1963 il nuovo papa, Paolo VI, comunica la sua decisione di designare quattro “moderatori”, nelle persone dei cardinali Lercaro, Suenens, Döpfner e Agagianian, con il compito di presiedere a turno l’assemblea conciliare per conto del papa. Era, come si vede, un incarico che ciascuno dei designati avrebbe dovuto esercitare soltanto singolarmente.

    Lercaro persuade invece i suoi colleghi ad accettare don Dossetti come loro comune segretario; e con questa nomina si configura in pratica una specie di “Consiglio dei moderatori”, che finisce con l’avere indebitamente una funzione molto diversa da quella prevista e intesa, con un’autorità ben più ampia della sua indole originaria.

    È il momento della massima influenza di Dossetti; ma non poteva durare. Si trattava, in fondo, di un arbitrario colpo di mano che alterava la struttura legittimamente stabilita. Il Concilio aveva già una segreteria generale, presieduta dal vescovo Pericle Felici, il quale non tarda a lamentarsi della situazione irregolare che si era creata.

    Di più, l’attivismo del segretario sopraggiunto e le tesi innovative da lui propugnate cominciano a suscitare qualche naturale inquietudine. “Quello non è il posto di don Dossetti”, è il commento del papa. “Alla fine don Dossetti – afferma il cardinale Suenens – a causa dell’atmosfera ostile e per tatto verso il papa, si ritirò spontaneamente evitandoci una situazione imbarazzante”. [...]

    Le apprensioni di Paolo VI però non erano soltanto di natura procedurale e organizzativa. Egli sentiva acutamente la sua responsabilità di salvaguardare in pienezza, pur nella cordiale accettazione della collegialità episcopale, la verità di fede del primato di Pietro e del suo totale, incondizionato e libero esercizio. Questa è la ragione che lo spinge a proporre la famosa "Nota esplicativa previa", nella quale offriva alcuni criteri interpretativi inderogabili di lettura e comprensione del capitolo III della "Lumen gentium" (che pur veniva da lui accolto integralmente). Così tranquillizzò tutti i padri sinodali e ottenne l’approvazione praticamente unanime del documento nella votazione del 21 novembre 1964: 2151 "placet" e solo 5 "non placet". Con il suo intervento diretto e risoluto aveva evitato il rischio di possibili future interpretazioni contrarie alla dottrina tradizionale; e aveva salvato il Concilio. [...]


    UNA CRISTOLOGIA IMPROPONIBILE


    Alla fine di ottobre del 1991 Dossetti mi ha cortesemente portato da leggere il discorso che gli avevo commissionato per il centenario della nascita di Lercaro. "Lo esamini, lo modifichi, aggiunga, tolga con libertà", mi ha detto. Ed era certamente sincero: in quel momento parlava l’uomo di Dio e il presbitero fedele.

    Purtroppo, qualcosa che non andava ho effettivamente trovato. Ed era l’idea, presentata da Dossetti con favore, che, come Gesù è il Salvatore dei cristiani, così la Torah, la legge mosaica, è anche attualmente la strada alla salvezza per gli ebrei. L’asserzione era mutuata da un autore tedesco contemporaneo, ed era cara a Dossetti probabilmente perché ne intravedeva l’utilità ai fini del dialogo ebraico-cristiano.

    Ma come primo responsabile dell’ortodossia nella mia Chiesa, non avrei mai potuto accettare che si mettesse in dubbio la verità rivelata che Gesù Cristo è l’unico Salvatore di tutti. [...]

    "Don Giuseppe, – gli  dissi – ma non ha mai letto le pagine di san Paolo e la narrazione degli Atti degli Apostoli? Non le pare che nella prima comunità cristiana il problema fosse addirittura quello contrario? In quei giorni era indubbio e pacifico che Gesù fosse il Redentore degli ebrei; si discuteva caso mai se anche i gentili potessero essere pienamente raggiunti dalla sua azione salvifica".

    Basterebbe tra l’altro – mi dicevo tra me – non dimenticare una piccola frase della lettera ai Romani, là dove dice che il Vangelo di Cristo “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco” (cfr. Rm 1, 16).

    Dossetti non era solito rinunciare a nessuno dei suoi convincimenti. Qui alla fine cedette davanti alla mia avvertenza che, nel caso, l’avrei interrotto e pubblicamente contraddetto; e accondiscese a pronunciare questa sola espressione: "Non pare che sia conforme al pensiero di san Paolo dire che la strada della salvezza per i cristiani è Cristo, e per gli ebrei è la Legge mosaica". Non c’era più niente di errato in questa frase, e non ho mosso obiezioni, anche se ciò che avrei preferito sarebbe stato di non accennare nemmeno a un parere teologicamente tanto aberrante.

    Questo “incidente” mi ha fatto molto riflettere e l’ho giudicato sùbito di un’estrema gravità, pur se non ne ho parlato allora con nessuno. Ogni alterazione della cristologia fatalmente compromette tutta la prospettiva nella “sacra doctrina”. In un uomo di fede e di sincera vita religiosa, come don Dossetti, era verosimile che l’abbaglio fosse conseguenza di una ambigua e inesatta impostazione metodologica generale.


    DUE TRAGUARDI, UNA SOLA TENSIONE


    “C’era in Dossetti il monaco nel politico, e il politico nel monaco”. Questa breve espressione, enunciata dal professor Achille Ardigò che gli è stato per diverso tempo vicino e ha collaborato con lui, coglie con rapida sintesi una personalità singolare e complessa.

    Chi ne ha studiato la lunga e multiforme vicenda non può non riconoscere la validità e la pertinenza di tali parole. [...] La coesistenza, se non l’identificazione dei due traguardi – quello “politico” e quello “teologico” –, inseguiti da lui simultaneamente e col medesimo impegno, è all’origine di qualche incresciosa confusione metodologica. Dossetti proponeva le sue intuizioni politiche con la stessa intransigenza del teologo che deve difendere le verità divine; ed elaborava le sue prospettive teologiche mirando a finalità “politiche”, sia pure di “politica ecclesiastica”.

    E qui c’è anche il limite intrinseco del suo pensiero e del suo insegnamento. Perché la teologia autentica è essenzialmente contemplazione gratuita e ammirata del disegno concepito dal Padre prima di tutti i secoli per la nostra salvezza e per il nostro vero bene; e solo in quel disegno si trovano e vanno esplorate le luci e gli impulsi che potranno davvero giovare alla Sposa del Signore Gesù, che è pellegrina nella storia.


    I "TEOLOGI AUTODIDATTI"


    Dossetti ha avuto uno svantaggio iniziale: è stato teologicamente un autodidatta.

    Qualcuno domandò una volta a san Tommaso d’Aquino quale fosse il modo migliore di addentrarsi nella "sacra doctrina" e quindi di diventare un buon teologo. Egli rispose: andare alla scuola di un eccellente teologo, così da esercitarsi nell’arte teologica sotto la guida di un vero maestro; un maestro, soggiunse, come per esempio Alessandro di Hales. La sentenza a prima vista meraviglia un po’. [...] E invece ancora una volta il Dottore Angelico rivela la sua originalità, la sua saggezza, la sua conoscenza dell’indole sia della "sacra doctrina" sia della psicologia umana. Nella sua concretezza egli vedeva il rischio non ipotetico degli autodidatti: quello di ripiegarsi su se stessi e di ritenere fonte della verità le proprie letture e la propria acutezza; più specificamente il rischio di finire col compiacersi di un sapere incontrollato, e perfino di arrivare a un’ecclesiologia incongrua e a una cristologia lacunosa.

    È stato appunto il caso di don Giuseppe Dossetti, che nell’apprendimento della “scientia Dei, Christi et Ecclesiae” non ha avuto maestri.

    A chi gli avesse chiesto da dove avesse preso le sue idee, le sue prospettive di rinnovamento, le sue proposte di riforma, egli avrebbe ben potuto rispondere (e non facciamo che usare le sue parole): "Dalla mia testa e dal cuore".


    I "TEOLOGI IMMAGINARI"


    Don Giuseppe nutriva grande stima per don Divo Barsotti e aveva iniziato a coinvolgerlo nella sua vita spirituale oltre che nella sua presenza attiva entro il mondo cattolico.

    Don Divo però, che era teologo – oltre che geniale – autentico e di solida formazione, si rese conto ben presto delle lacune e delle anomalie del pensiero dossettiano. [...] E mi confidava, alla fine dei suoi giorni, di essere ancora molto preoccupato degli influssi che la “teologia dossettiana” continuava a esercitare su certe aree della cristianità.

    Anch’io, devo dire, mi sono reso conto che l'apprensione di don Barsotti non era priva di fondamento. Nei contesti dove oggi ci si richiama all’eredità e all’ispirazione di Dossetti non sempre ritroviamo la serietà e la sufficiente competenza, doverose quando si discorre su argomenti che attengono alla “sacra doctrina” e alla vita della Chiesa.

    Appunto nell’area dichiaratamente “dossettiana” ci si imbatte talvolta in alcuni “teologi immaginari”, che in genere sono molto apprezzati dagli opinionisti mondani, abbastanza sprovveduti in questa materia, e trovano facile spazio nei più diffusi mezzi di comunicazione.

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    Sul libro da cui è stato tratto questo brano:

    > Le memorie scomode del cardinale Biffi

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    Sul libro-intervista postumo di Dossetti, citato dal cardinale Biffi:

    > Concilio "capovolto" e Opus Dei. Un inedito bomba di Giuseppe Dossetti
    (1.12.2003)

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    Il libro del professor de Mattei:

    Roberto de Mattei, "Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta", Lindau, Torino, 2010, pp. 632, euro 38,00.

    E una sua recensione critica da parte del direttore del CESNUR, Centro Studi sulle Nuove Religioni:

    Massimo Introvigne, "A che serve la storia? 'Il Concilio Vaticano II' di Roberto de Mattei".




    [Modificato da Caterina63 08/01/2011 10:52]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 10/01/2011 21:34

    CONTRO UN TEOLOGO "PROGRESSISTA" RIAFFERMATI I DOGMI MARIANI

    Secondo il teologo dello Sri Lanka (Ceylon) Tissa Balasuriya (membro degli Oblati di Maria Immacolata) i dogmi mariani sono delle "teorie teologiche" proprie del pensiero occidentale; queste affermazioni, assieme ad altre della stessa gravità, sono contenute in un lungo articolo dal titolo Mary ad human liberation (Maria e la liberazione dell’uomo) pubblicato dal teologo in una rivista dello Sri Lanka nel 1990 e condannato dalla Conferenza episcopale del Pese nel 1994.

    Il teologo si era appellato alla Santa Sede (che ha affidato il caso al dicastero competente, la Congregazione per la Dottrina della Fede con il card. Ratzinger in qualità di Prefetto), ma si era poi rifiutato di sottoscrivere il testo della professione di fede che gli era stato proposto, meglio ne aveva firmato uno "corretto" da lui stesso.

    Risultati infruttuosi ogni tentativo di conciliazione e rimanendo il teologo singalese nelle sue posizioni, si è arrivato alla "notificazione" della Congregazione vaticana firmata dal Papa il 2 gennaio scorso. Essa oltre alla condanna delle sue posizioni dottrinali del teologo ("il P. Tissa Balasuriya ha deviato dalla integrità della fede cattolica e pertanto non può essere considerato teologo cattolico"), notifica anche la scomunica latae sententiae: ossia quella che è prevista per quel tipo di reato e che quindi si applica all’atto stesso in cui il reato viene accertato.

    Le posizioni teologiche di P. Balasuriya sono purtroppo molto diffuse, anche se non sempre espressamente manifestate: esse tendono a negare al cristianesimo la sua qualità di evento storico-salvifico, per ridurla ad una dottrina - una delle tante -; per tale motivo Cristo stesso diventa un leader religioso.

    Gli errori mariani, sono conseguenza di errori cristologici, che vengono così sintetizzati nel documento vaticano: "In primo luogo l’autore relativizza il dogma cristologico: Gesù è presentato semplicemente come un "maestro supremo", "uno che mostra la via per la liberazione dal peccato e per l’unione con Dio", "uno dei massimi leaders spirituali dell’umanità", una persona in conclusione che ci comunica la sua "primordiale esperienza spirituale", ma di cui non viene mai esplicitamente riconosciuta la filiazione divina e di cui viene riconosciuta solo in maniera dubitativa la funzione salvifica".

    Per un Cristo che è solo un leader non occorre una Madre di Dio, immacolata, sempre vergine e assunta: verità che il teologo nega.

    Non sta a noi ovviamente giudicare la persona, ma piuttosto pregare, assieme alla sua congregazione (che trae ispirazione da Maria Immacolata) per il suo ritorno pieno nel seno della Chiesa...


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    Nel 1997 in vista anche dei preparativi per il grande Giubileo del 2000, si attivano molte iniziative e pastorali per meglio specificare la Devozione mariana e per correggere gli errori di un ecumenismo che da una parte penalizzava la pietà popolare autentica, cercando di ignorare l'argomento "Maria", e dall'altra parte anche fedeli cattolici avanzavano sempre più confusi sul tema....

    Quanto segue NON va va estrapolato, ma preso in tutto il suo contesto....

     

    "RICENTRARE" SU CRISTO
    LA PIETÀ MARIANA
       

    La devozione a Maria, sia a livello di spiritualità che di atti di culto, è un mezzo per accostarsi a Cristo; a patto però che, Come Maria mostra se stessa sempre tutta proiettata verso suo figlio, così tali gesti esprimano il riferimento a Cristo, unico Salvatore dell'uomo

    di JAN-CLAUDE LAURENÇEAU


    Il documento di Giovanni Paolo II con il quale si indice il prossimo Giubileo afferma che occorre prepararsi al grande Natale del 200 nello spirito dell’Avvento, ossia in comunione con Maria, che attende la nascita del Salvatore nel mondo di oggi. Questo tempo di Avvento, «congiungendo l’attesa messianica e quella del glorioso ritorno di Cristo» (Marialis Cultus, n. 4), possiede una densità liturgica e spirituale tale da darci l’occasione per «ricentrare» su Cristo la pietà mariana e il culto alla Vergine.

    La  Madre di Dio fra i Santi Pietro e Paolo (Particolare - S. Maria in  Trastevere, Roma).
    Pietro Cavallini, la Madre di Dio fra i Santi Pietro e Paolo
    (Particolare - S. Maria in Trastevere, Roma).

    Noi siamo talvolta testimoni e, purtroppo, anche complici, benché involontari, di espressioni alquanto esuberanti circa la pietà mariana, dove il legame con il cuore della fede cristiana – il Cristo, la Trinità, la Chiesa – non è del tutto evidente. Lo schema proposto per la preparazione del Giubileo può rappresentare una magnifica occasione per riporre la Trinità al centro della pietà mariana.

    Nella Lumen Gentium (21 nov. 1964) ci sono delle formulazioni molto forti, come questa, alla quale io faccio spesso riferimento: «La devozione mariana, lungi dall’esser fine a se stessa, al contrario è un mezzo essenzialmente destinato ad orientare le anime verso il Cristo e così unirle al Padre nell’amore dello Spirito Santo». Tutto questo ci potrebbe sembrare evidente, ma in realtà occorre ripeterla incessantemente. E’ proprio per questo che Giovanni Paolo II chiede che non si manchi mai di valorizzare la presenza di Maria in ciascuna tappa della grande catechesi trinitaria in preparazione al Giubileo.

    Immagini mariane «monche»?

    Dal punto di vista pastorale il compito è tutt’altro che facile. Prendiamo ad esempio le immagini delle ultime apparizioni mariane: come le statue di Rue du Bac, di Lourdes, di La Salette, di Beauraing: in esse Maria viene presentata sola, senza il Cristo, mentre tutte le immagini tradizionali della Vergine la mostrano con il Bambino: sulle sue ginocchia, nelle sue braccia o nell’atto di presentarlo al mondo.

    Certo, si può evidenziare questo o quel dettaglio: la croce e i due cuori della Medaglia, il grande crocifisso di Pontmain o di La Salette, il Rosario della Vergine di Massabielle, la quale si inchina al Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo...; ma resta il fatto che l’iconografia della Immacolata Concezione o dell’Assunzione possono offuscare un po’ l’immagine della Madre di Dio.

    L'Immacolata Concezione L'Immacolata Concezione
    (da un dipinto del Murillo -
    Santuario dell'Immacolata,
    Washington, USA)

    Altro esempio: talvolta degli amici polacchi mi inviano delle immagini della Vergine di Czestochowa riproducenti soltanto il viso di Maria (segnata da due ferite e assimilata dai Polacchi al volto della madre-patria perseguitata...); si, invece che nell’icona intera di Jasna Gora Maria regge il Bambino sul braccio sinistro. Io ne ricavo sempre l’impressione di una immagine «monca».

    Ora è sufficiente rileggere il capitolo 8° della Lumen Gentium, «Maria nel mistero di Cristo», integrato con il testo sulla Chiesa, per rilevare che il posto che Dio ha affidato a Maria nel piano della salvezza dipende interamente dal mistero di Cristo: per la sua Concezione immacolata, ad esempio: «Redenta in maniera sublime in vista dei meriti del Figlio suo...» (n. 53); come per la sua Assunzione: «Ella fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo, e dal Signore esaltata quale Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata col Figlio suo, Signore dei dominanti e vincitore del peccato e della morte» (n. 59).

    La Marialis Cultus ha riassunto molto bene tutto questo insegnamento conciliare: «Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende» (n. 25) e «Maria fu la prima e la più perfetta discepola di Cristo» (n. 35?).

    Per una pietà mariana più centrata su Cristo

    Allora, come mostrare ai fedeli che la pietà mariana è un aiuto sicuro, efficace, per vivere di Cristo?

    Prima di tutto lasciandoci compenetrare dalla Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse. E’ assolutamente necessario prendere dalla Bibbia il vocabolario e l’ispirazione per le preghiere e i canti. Sono stati compiuti dei progressi, ma c’è ancora della strada da fare. Quale posto occupa la Bibbia nelle nostre veglie di preghiera, nelle nostre celebrazioni del Rosario, nei nostri articoli di spiritualità? In fin dei conti è lì che sta la chiave per ricentrare la pietà mariana sul mistero di Cristo, come quella di un dialogo ecumenico su Maria.

    Facendo un po’ di teologia - o di catechesi - sul titolo «Madre di Dio», espressione che noi ripetiamo continuamente nell’Ave Maria. I fedeli vogliono che si «perda tempo» e che ci si prenda la briga di spiegare loro le cose. I cristiani d’Egitto hanno attribuito a Maria questo titolo, Theotokos – in copto Mas nouti – che i pagani attribuivano a certe dee-madri, specialmente alla dea Iside, cara agli esoterici. Il Concilio di Efeso nel 431, ha approvato solennemente questo uso, nonostante che ci fosse chi esitava davanti a questo titolo così audace; e se Calvino e il Concilio Vaticano II preferiscono parlare di «Madre del Figlio di Dio», questo avviene senza mai svuotare il titolo di «Madre di Dio». Felici quei laici che possono interessarsi a queste cose. Ma occorre parlarne loro.

    Nicola Poussin,
    Assunzione di Maria
    (Louvre, Parigi)
    Nicola Poussin, Assunzione di Maria (Louvre, Parigi)

    Facendo riferimento alla fede di Maria nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Maria non si è mai posta l’insolubile problema teologico dell’unità tra la divinità del Figlio eterno di Dio e l’umanità di Gesù di Nazareth! Ella è entrata nel modo più semplice in comunione personale, sia dal punto di vista biologico che affettivo, con un essere umano al quale Dio stesso ha dato il nome di Gesù. Lo sguardo di Maria su Gesù è semplice come l’amore; e pertanto attraverso il segno della sua concezione verginale, il suo bambino è portatore di un mistero infinito nella sua origine, nella sua missione, nella sua relazione eccezionale con il Padre. Così la pietà mariana, la comunione spirituale con Maria, è un cammino semplice, sicuro, per entrare progressivamente nel mistero di Gesù Salvatore, vero Dio e vero Uomo. Questo, la pietà popolare lo sa d’istinto.

    Il più perfetto discepolo di Gesù

    Un’altra pista è l’imitazione di Maria, che ha un così grande posto nel Trattato della vera devozione e nel Segreto di Maria di Grignion di Montfort. Amare questa Madre di un amore filiale comporta in fin dei conti imitare le sue virtù, condizione questa per una pietà attiva.

    E’ Gesù che, dandocela come Madre, ce l’ha presentata come modello da seguire. Imitare Maria significa entrare nel piano di Dio e questo avviene nella misura in cui si imita quella che fu la più perfetta discepola di Cristo. Imitarla non significa affatto «appiattirsi» su di lei, ma divenire, con lei, veramente discepolo di Cristo.

    Allo stesso modo occorrerebbe ricentrare su Cristo tutte le virtù tradizionalmente attribuite a Maria, come la preghiera di lode e di azione di grazie del Magnificat (imitazione dell’Eucarestia, dell’azione di grazie permanente di Gesù), la preghiera di intercessione (dove la misericordia materna non è affatto opposta alla giustizia, ma è l’eco più fedele della misericordia divina per i malati e i peccatori), o ancora l’umiltà di Maria, sovente così mal compresa («fatti santa e taci...»), mentre essa «imita» quella di Gesù, che davanti al Padre è il «povero» per eccellenza, colui che non fa nulla per se stesso... Occorre quindi superare tutto un particolarismo mariano.

    La stessa cosa per le feste mariane, come ad esempio quella dell’Addolorata, che si celebra all’indomani dell’Esaltazione della Croce e alla quale tanti fedeli sono molto affezionati. Il rischio, infatti, è quello di rimanere al livello puramente umano del dolore di una madre, mentre colei che soffre è la Madre del Redentore, del Messia, del Figlio di Dio; è colei che partecipa nella fede allo spogliamento di lui, alla sua kenosis totale e alla sua morte redentrice. Pensiamo ai due cuori sulla Medaglia Miracolosa.

    Il Rosario: una preghiera mariana?

    Abbiamo già ricordato i dogmi mariani, ma si potrebbe ricordare allo stesso modo l’aspetto cristocentrico della maternità spirituale di Maria o della sua mediazione: una mediazione di intercessione, «un soccorso materno che ci aiuta ad aderire più intimamente al Mediatore e Salvatore» (Redemptoris Mater, n. 38/48).

    E poi il Rosario! Il Rosario non è una devozione mariana (la corona, forse); essa è una meditazione con Maria del mistero dell’Incarnazione redentrice, nella quale «la ripetizione litanica dell’Ave Maria diviene una lode incessante di Cristo» (Marialis Cultus, n. 45). Altrimenti sarebbe come una ruota eccentrica, che non gira mai attorno al suo asse.

    La riforma del calendario liturgico, con la festa di Maria Madre di Dio al primo gennaio e con le nuove formulazioni (Annunciazione del Signore, Presentazione del Signore) favorisce questo ricentramento.

    Infine, in questo primo anno di preparazione al Giubileo consacrato alla riscoperta del Battesimo, possiamo riflettere sul legame tra la pietà mariana e il Battesimo (cfr l’articolo di aprile). La consacrazione alla Vergine dopo il Battesimo cosa significa esattamente? Si potrebbe ritornare a quanto proponeva Grignion di Montfort: la consacrazione a Cristo per le mani di Maria, come un mezzo efficace per vivere fedelmente le promesse del Battesimo.

    E’ divertente vedere il Padre di Montfort prendere Cristo a testimone (Trattato, n. 63) per compatire quei cristiani, «anche i più sapienti, ma che non sanno niente del legame fra voi e la Santa Madre» e «che credono che si fa ingiuria a te onorando troppo tua Madre».

    «O mio amabile Gesù, queste persone hanno il tuo spirito? ti compiacciono agendo in questo modo? Significa compiacerti se si fanno tutti gli sforzi possibili per evitare di compiacere a tua Madre per paura di dispiacerti? La devozione a tua Madre oscura quella verso di te? Forse che lei attribuisce a se stessa l’onore che le si rende? Forse che lei fa parte a sé? E’ forse un’estranea che non ha alcun rapporto con te? Compiacere a lei significa dispiacerti? Significa separarsi e allontanarsi dal tuo amore donarsi a lei e amarla?».

    (Da una conferenza tenuta al convegno dell’Associazione francese delle opere mariane)

    LA VERA ORTODOSSIA MARIANA:

    Lo Spirito e l'Immacolata secondo Kolbe


    La dottrina del Kolbe sui rapporti tra lo Spirito Santo e la Vergine è ardita ed originale, ma perfettamente ortodossa; lo Spirito trova in Maria il luogo in cui compiere pienamente la sua opera santificatrice a favore degli uomini

    di GIUSEPPE SIMBULA

    San Massimiliano Kolbe, il martire di Auschwitz, è stato uno dei più grandi devoti ed apostoli dell'Immacolata e la sua spiritualità, senza ombra di dubbio, può esserePietro Annigoni, "S. Massimiliano Kolbe" (Basilica del  Santo - Padova)mariana, in quanto in lui la vita cristiana è «esperienza di configurazione a Cristo secondo l'esempio e con l'aiuto di Maria (cf. LG 62)» (A. Amato). denominata

    Tuttavia la spiritualità di S. Massimiliano è più ancora trinitaria: Dio Uno e Trino, infatti, per lui, è la sorgente di ogni bene in qualsiasi ordine; inoltre, tutto ritorna a Lui e a Lui, in fondo, è finalizzata ogni nostra devozione, compresa quella alla Vergine Immacolata, che egli ama e venera in modo del tutto eccezionale, perché eccelsa creatura e figlia del Padre, madre del Verbo incarnato, sposa dello Spirito Santo, modello impareggiabile e mediatrice di vita trinitaria.

    Più specificamente P. Kolbe sottolinea uno specialissimo rapporto della Vergine Immacolata con lo Spirito Santo. Da qui una ricca e originale pneumatologia del nostro Santo. Non a caso, l'aspetto maggiormente studiato della teologia trinitaria kolbiana riguarda indubbiamente la natura e la missione dello Spirito Santo.
       

     L'azione dello Spirito Santo in Maria

    Per il nostro Santo l'opera della redenzione dipende immediatamente dalla seconda Persona divina, Gesù Cristo, «tuttavia - prosegue S. Massimiliano - anche la Terza Persona della Ss. Trinità partecipa a quest'opera, per il fatto che, in virtù della redenzione compiuta da Cristo, trasforma le anime degli uomini in templi di Dio, ci rende figli adottivi di Dio e fa di noi gli eredi del regno dei cieli» (SK 1229).

    Per S. Massimiliano l'azione dello Spirito Santo nell'opera della salvezza si esprime in particolare in Maria e attraverso Maria.

    Lo Spirito Santo agisce in Maria innanzitutto preparandola al suo compito di Madre del Salvatore, vale a dire santificandola fin dal primo istante della sua concezione, impedendo che contragga il peccato originale e colmandola di ogni grazia.

    Per illustrare questo eccezionale intervento dello Spirito Santo nell'Immacolata, il Kolbe usa tante espressioni e si serve di varie immagini: lo Spirito Santo dimora in lei, vive in lei, è unito a lei, regna in lei. E cerca di spiegarne il significato.

    Lo Spirito Santo regna in Maria: «In un'anima giusta è presente lo Spirito Santo; perciò nell'Immacolata, la creatura più giusta, lo Spirito Santo è presente nel modo più perfetto possibile. L'Immacolata non è solo "concepita senza peccato", ma anche "Immacolata Concezione" (Lourdes). Perciò lo Spirito Santo regna in Lei nel modo più perfetto possibile» (SK 1286).

    Regnare, qui, significa orientare, guidare e disporre la mente, il cuore e l'azione della Vergine Maria.

    San  Massimiliano nel 1930, durante il periodo giapponese.
    San Massimiliano nel 1930, durante il periodo giapponese.

    S. Massimiliano specifica ulteriormente la natura della vita dello Spirito Santo nella Vergine: «In che cosa consiste questa vita dello Spirito Santo in Lei? Egli stesso è amore in Lei, l'amore del Padre e del Figlio, l'amore con il quale Dio ama se stesso, l'amore di tutta la Santissima Trinità, l'amore fecondo, la concezione» (SK 1318).

    In Maria Immacolata dunque vive e opera tutta la Trinità nella persona dello Spirito Santo che è tutto l'Amore di Dio. Un amore, come vedremo, fecondo.

       
    L'azione dello Spirito Santo attraverso l'Immacolata

    Dopo aver pienamente santificato la Vergine Maria, lo Spirito Santo prosegue la sua azione salvifica in unione al Padre e al Figlio, coinvllgendo l'Immacolata in tutta la sua opera. Per P. Kolbe lo Spirito Santo agisce ad extra sempre attraverso Maria. Questo non per una insufficienza intrinseca dello Spirito, ma per un disegno mirabile di Dio, che come ha voluto manifestare l'azione del Figlio nell'umanità assunta dal Verbo, così ha voluto che l'azione dello Spirito Santo si manifestasse nell'Immacolata.

    Nel tentativo di far capire quanto sia profonda l'unione dell'Immacolata con lo Spirito Santo, la paragona a quella che si realizza tra il Verbo e l'umanità di Gesù nell'incarnazione, ma precisandone pure la sostanziale differenza: «Egli [lo Spirito Santo] è nell'Immacolata, come la Seconda Persona della Ss. Trinità, il Figlio di Dio, è in Gesù, ma con questa differenza: che in Gesù vi sono due nature, la divina e l'umana, e un'unica persona, quella divina. La natura e la persona dell'Immacolata, invece, sono distinte dalla natura e dalla persona dello Spirito Santo» (SK 634).

    S. Massimiliano usa anche formule più ardite, che tuttavia poi abbandona per descrivere l'unione dello Spirito Santo con l'Immacolata attraverso altre categorie che, pur essendo inadeguate ad esprimere la vera realtà, sottolineano che essa è un'unione d'amore, nell'ordine dell'essere, interiore. È un'unione d'amore, non perché sia solo a livello di volontà o di affettività, ma perché l'essere dello Spirito Santo è Amore, come d'altra parte è amore l'essere della Vergine.

    Ora la Vergine Immacolata è «la creatura totalmente piena di questo amore, di divinità..., senza la benché minima macchia di peccato» (Ivi). Di conseguenza «nell'unione dello Spirito Santo con Lei, non solo l'amore congiunge questi due Esseri, ma il primo di essi è tutto l'amore della Santissima Trinità, mentre il secondo è tutto l'amore della creazione, e così in tale unione il cielo si congiunge con la terra, tutto il cielo con tutta la terra, tutto l'Amore Increato con tutto l'amore creato» (SK 1318).

    Non solo l'una o l'altra facoltà, dunque, ma tutto l'essere di Maria è profondamente unito all'essere dello Spirito Santo. L'Immacolata, inoltre, riassume in sé l'amore di tutte le creature ragionevoli, per cui in Lei tutta l'umanità è unita allo Spirito Santo.

    L’inesprimibile unione di questi due esseri-amore è feconda più di ogni altra comunione d'amore. Tale fecondità per P. Kolbe, prende, per così dire, tre direzioni:

    • l'incarnazione del Verbo,
    • la formazione delle membra del Corpo Mistico,
    • la distribuzione o applicazione dei doni e delle grazie soprannaturali.

    La  madre del Kolbe, signora Maria Dabrowska.
    La madre del Kolbe, signora Maria Dabrowska.

    Lo Spirito, l'Immacolata e la maternità divina

    L'unione sponsale dello Spirito Santo con Maria è innanzitutto finalizzata alla maternità divina. Nell'ultimo suo scritto di carattere speculativo, dopo aver sottolineato l'azione santificatrice dello Spirito Santo nei confronti dell'Immacolata, prosegue: «Pure il grembo verginale del corpo di Lei è riservato a Lui, che vi concepisce nel tempo - come tutto ciò che è materiale avviene nel tempo - anche la vita divina dell'Uomo-Dio» (Ivi).

    Un anno prima aveva scritto: «Lo Spirito Santo forma in Lei in modo prodigioso il corpo di Gesù e prende dimora nella sua anima, sa compenetra in modo così ineffabile che la definizione di "Sposa dello Spirito Santo" è una somiglianza assai lontana della vita dello Spirito Santo in Lei e attraverso Lei» (SK 1310).

    Grazie a tale unione, P. Kolbe può dire che «Gesù, il Figlio di Dio e dell'uomo, l'Uomo-Dio, il Mediatore tra Dio e gli uomini, è il frutto dell'amore di Dio e dell'Immacolata» (Ivi).

    Affermando che Gesù è frutto dell'amore di Dio si vuol sottolineare che l'incarnazione del Verbo è dono gratuito di Dio, espressione altissima del suo amore di Padre. L'aggiunta secondo cui Gesù è anche frutto dell'amore dell'Immacolata, sottolinea l'adesione libera e per amore della Vergine Maria al progetto di Dio.
       

    La formazione delle membra del Corpo Mistico

    Come il Verbo incarnato, così pure le membra del corpo mistico trovano la loro origine nell'unione feconda dello Spirito Santo con l'Immacolata. È quanto il nostro Santo ci fa capire quando scrive che «l'Immacolata, creatura limitata, per l'amore dello Spirito Santo verso di Lei», ha la missione di generare «Cristo e i figli adottivi di Dio» (SK 1284).

    Lo ripete in modo più esteso, qualche mese dopo, nell'articolo L'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria in rapporto alla mediazione di tutte le grazie, dove afferma che «anche dopo la morte di Cristo lo Spirito Santo opera ogni cosa in noi» in Maria e attraverso Maria.

    Non solo la prima nascita alla grazia, ma tutta la crescita nell'ordine dello Spirito e nella conformità a Cristo avviene in Maria e grazie all'azione dello Spirito Santo, come egli afferma in uno scritto del 1940 (cf SK 1295), per poi concludere: «Nel grembo di Maria l'anima deve rinascere secondo la forma di Gesù Cristo. Ella deve nutrire l'anima con il latte della sua grazia, formarla delicatamente ed educarla così come nutrì, formò ed educò Gesù. Sulle sue ginocchia l'anima deve imparare a conoscere e ad amare Gesù. Dal suo cuore deve attingere l'amore verso di Lui, anzi amarlo con il cuore di Lei e diventare simile a Lui per mezzo dell'amore» (SK 1295, III 696-7).

    Alla luce di questo testo si spiega la spiritualità mariana del Kolbe: l'Immacolata favorisce la rinascita spirituale delle anime nutrendole «col latte della sua grazia» (intercessione e distribuzione delle grazie), curandole ed educandole sulle sue ginocchia: guardando Maria, prendendola a modello noi possiamo conoscere, amare ed imitare meglio Gesù.

    Sam  Massimiliano Kolbe al suo tavolo di lavoro in Giappone.
    Sam Massimiliano Kolbe al suo tavolo di lavoro in Giappone.

    Lo Spirito e l'Immacolata nell’azione santificatrice

    Nel nostro Santo la strettissima e inesprimibile unione esistente tra l'Immacolata e lo Spirito Santo, oltre ad essere alla radice di vari misteri, quasi immancabilmente è posta all'origine della materna mediazione delle grazie da parte di Maria.

    Lo schema con cui solitamente tratta questo problema è il seguente: da prima sottolinea la strettissima unione tra Maria e lo Spirito Santo, poi la collega con la mediazione delle grazie: «Questa unione... è così inesprimibile e perfetta che lo Spirito Santo agisce unicamente attraverso l'Immacolata, la sua Sposa. Di conseguenza, Ella è la Mediatrice di tutte le grazie dello Spirito Santo. Dato che ogni grazia è un dono di Dio Padre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, perciò non esiste grazia che non appartenga all'Immacolata, offerta a Lei, a sua libera disposizione» (SK 634).

    In questo e in qualche altro testo sembra quasi voler dire che Dio ha dato in proprietà alla Vergine tutto il tesoro delle grazie, delegando a Lei il compito di distribuirle agli uomini a suo piacimento.

    Nella maggior parte dei testi invece il nostro Santo si esprime in termini più vicini alla teologia del dopo Concilio. Si parla infatti di partecipazione della Vergine alla distribuzione delle grazie perché lo Spirito Santo l'ha unita a sé, l'ha associata alla sua azione. L'attore principale rimane sempre lo Spirito Santo: «L'unione tra lo Spirito Santo e la Vergine Immacolata è così stretta che lo Spirito Santo, che ha compenetrato profondamente l'anima dell'Immacolata, non esercita alcun influsso nelle anime se non per mezzo di Lei. Per questo appunto Ella è diventata la Mediatrice di tutte le grazie, proprio per questo Ella è veramente la madre di ogni grazia divina» (SK 1224).

    Il  sig. Francesco Gajowniczek, il prigioniero salvato dal Kolbe, indica il  blocco della morte del lager di Aushwitz, dove il Santo fu condannato a  morire di fame. Il sig. Francesco Gajowniczek,
    il prigioniero salvato dal Kolbe, indica il blocco della morte
    del lager di Aushwitz,
    dove il Santo fu condannato
    a morire di fame.

    Una teologia ardita, ma ortodossa

    A proposito delle precedenti affermazioni di S. Massimiliano circa la mediazione materna di Maria si rendono opportune due brevi osservazioni.

    P. Kolbe, abitualmente e in modo piuttosto acritico, ripete l'espressione secondo cui Maria è Mediatrice di tutte le grazie. Oggi autorevoli teologi sottolineano che detta affermazione andrebbe per lo meno chiarita, perché la Vergine Maria non può essere mediatrice della prima grazia da Lei ricevuta. Egli invece è particolarmente felice quando fonda la mediazione materna di Maria sulla sua particolarissima unione con lo Spirito Santo. In questo modo, infatti, in qualche modo, viene ad evitare tutte le obiezioni contro tale dottrina, ed in particolare quelle che derivano dall'affermazione paolina (1 Tm 2,5) secondo cui Gesù è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, verità che viene riaffermata chiaramente anche dal nostro autore.

    La mediazione di Maria, secondo P. Kolbe, non solo è dipendente, subordinata e relativa a quella di Cristo, ma si pone su un livello diverso da quella di Cristo. Si radica sulla sua unione con lo Spirito Santo e si sviluppa sullo stesso piano di quella della Chiesa; supera quella degli altri fedeli per la sua maggiore santità (Cf. SK 925, II, 564-5).

    Da quanto esposto è facile concludere che lo studio del rapporto tra l'Immacolata e la Terza Persona della Ss. Trinità da S. Massimiliano è affrontato in parte con il metodo deduttivo della teologia del suo tempo, e in parte con il metodo della teologia mistica. Molte delle affermazioni del Santo infatti, sono frutto della preghiera e della sua esperienza mistica, come egli stesso lascia intendere più volte. Va aggiunto, inoltre, che il rapporto tra l'Immacolata e lo Spirito Santo, così come è descritto dal nostro Autore, è esemplare e modello dell'azione dello Spirito Santo in ogni cristiano.

    Sotto questo aspetto la sua spiritualità mariana è particolarmente attuale. Si sa infatti che uno degli sviluppi più interessanti della mariologia postconciliare è quello di aver collocato la Vergine Maria non più unicamente nell'orbita di Cristo, ma in un contesto trinitario e pneumatologico.

    La grandezza dell'Immacolata, per il nostro Santo, deriva dal fatto che Ella rappresenta il più eccellente modello di disponibilità all'azione dello Spirito e contemporaneamente è mediatrice di tale azione.



    [Modificato da Caterina63 10/01/2011 22:40]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 03/02/2011 13:03

    un libro da leggere

    Quando Paolo VI fu tradito dai suoi migliori amici

    Il romanzo-verità di Rosa Alberoni sul Concilio Vaticano II
    di Antonio Gaspari


    Ha già ricevuto migliaia di prenotazioni ed è appena arrivato nelle librerie l’ultimo romanzo di Rosa Alberoni, Intrigo al Concilio Vaticano II (edizioni Fede & Cultura). Si tratta di un libro appassionante ed avvincente, in cui la realtà inedita e sconosciuta di quanto accadde al Concilio Vaticano II viene raccontata in forma romanzata. Un anziano funzionario della Curia Vaticana ha detto che “c’è più verità in questo romanzo che in mille opere scritte sul Concilio Vaticano II”.

    L’attacco è fulminante: una giornalista, Rachele Vidal, viene inviata a Portovenere per seguire un incontro culturale. Lì conosce padre Robert, un eremita che le racconta verità sconvolgenti su quanto accaduto al Concilio. Già segretario del cardinale Britannico che prese parte alle sessioni conciliari, padre Robert è parte integrante di un gruppo di fedeli servitori del Papa che ha scoperto una cospirazione contro il soglio pontificio e contro la Chiesa. L’esperienza di conoscere i traditori interni alla Chiesa, ha sconvolto padre Robert che, per questo, è diventato eremita. Rachele cerca in padre Robert un confessore che la guidi e le dia speranza, e si ritrova a conoscere la storia segreta del Concilio.

    Le intenzioni del Concilio Vaticano II erano straordinarie e ottimiste. Giovanni XXIII voleva portare a compimento il rinnovamento della Chiesa iniziato da Pio IX con il Concilio Vaticano I ma non sapeva che si erano annidati nella Chiesa dei personaggi pronti a sovvertire il magistero petrino. Non si trattava solo di cardinali, teologi, vescovi, che erano sotto l’effetto di quella ideologia “sessantottina” che da lì a poco avrebbe sconvolto il mondo, ma di un gruppo organizzato, che agiva in maniera coordinata e segreta. I cospiratori avevano le idee chiare: puntavano a ridurre il primato del Pontefice, condizionandolo con la creazione e l’influenza delle Conferenze Episcopali, miravano a cancellare il ruolo decisivo di Maria come madre del figlio di Dio, aspiravano a forme di utilizzazione del potere religioso così come facevano gli “ariani”, e sul piano morale, volevano l’autorizzazione all’utilizzazione delle pillole contraccettive, l’abolizione del celibato e l’apertura verso posizioni meno intransigenti nei confronti della difesa della vita e della famiglia naturale. Alcuni personaggi della Curia compresero il pericolo e denunciarono la deriva protestante, ma il clima esterno ed interno era tale che i cospiratori erano sul punto di riuscire nel loro intento cospiratorio.

    Lunedì 9 novembre 1964, il capo dei cospiratori scrisse una lettera che fece distribuire al suo gruppo, in cui spiegava che votando in un certo modo sarebbe stato possibile far passare nella Costituzione Dogmatica una prassi per cui il Papa avrebbe perso la sua prerogativa di Vicario di Cristo. Nella lettera era scritto che una volta approvato quel passaggio il Pontefice non avrebbe potuto più scrivere le encicliche senza prima aver avuto il permesso dei vescovi e delle conferenze episcopali. Non si sa come e perchè ma quella lettera fu consegnata anche ad uno dei teologi fedeli al Papa. Il romanzo di Rosa Alberoni racconta, che il pontefice Paolo VI “si fece leggere la lettera più volte, lacrime di rabbia e di sconcerto gli rigarono il volto ‘Mi hanno tradito! Mi hanno tradito! Eppure li credevo miei amici. O mio DIO aiutami!, il fumo di Satana è entrato nella Chiesa!’...”.

    Da quella che è stata definita da una certa cultura come “la notte oscura di Paolo VI”, il romanzo prende un ritmo forsennato e si trasforma in un “thrilling” che si svolge all’interno delle mura Vaticane nel bel mezzo del Concilio Vaticano II. I cospiratori che si riuniscono segretamente nella chiesetta di un cimitero teutonico, il pontefice che, in principio, accoglie i cospiratori come suoi amici poi li scopre traditori, la battaglia contro tutto e tutti di una minoranza fedele all’istituzione che all’inizio sembra non avere nessuna possibilità di successo ed infine riesce a impedire che il papato e la Chiesa rovinino nella trappola preparata dai cospiratori, i tentativi ultimi di cambiare anche le parti scritte della Costituzione dogmatica…

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 07/02/2011 10:21
    La protesta dei 143 teologi e la fede nell'Occidente secolarizzato

    di Andrea Tornielli
    07-02-2011



    Era dal tempo della dichiarazione di Colonia, cioè da più di vent’anni, che un cartello così numeroso di teologi non si mettevano insieme per produrre un documento contro il centralismo romano chiedendo riforme per la Chiesa.

    Centoquarantatrè professori delle facoltà teologiche tedesche, svizzere e austriache hanno reso noto nei giorni scorsi un testo intitolato «Chiesa 2011 – una svolta necessaria». Che cosa chiedono? Ovviamente «profonde riforme», come ad esempio l’abolizione celibato obbligatorio per i preti di rito latino e dunque l’apertura all’ordinazione di uomini sposati, l’adozione di «strutture più sinodali a tutti i livelli della Chiesa», il coinvolgimento dei fedeli processo selezione dei parroci e dei vescovi, l’apertura alle donne «nel ministero della Chiesa», l’accoglienza delle coppie gay e dei divorziati risposati.

    I firmatari ritengono che solo aprendosi a queste riforme, per l’appunto «una svolta necessaria», la Chiesa potrà riprendere vigore e tornare a parlare agli uomini e alle donne del ventunesimo secolo. L’elenco non appare affatto sorprendente. Quelle che i teologi firmatari dell’appello ritengono essere svolte necessarie sono infatti proposte arcinote e dibattute da decenni.

    Alcune di queste appaiono molto autoreferenziali e clericali. È vero, ad esempio, che il calo delle vocazioni comincia a essere un problema anche in Occidente, ed è vero che proprio in Germania e Austria ci sono molti casi di preti che convivono con donne e non lo nascondono, ma davvero l’abolizione della regola del celibato è la risposta a questa situazione? Ancora, davvero la risposta alla crisi della fede è l’apertura alle donne nel ministero della Chiesa? Davvero pensiamo che un cambiamento nella dottrina sull’omosessualità porterebbe a riempire nuovamente le chiese semivuote?

    Basta guardare a ciò che è avvenuto nella Chiesa anglicana per rendersi conto che la risposta alla secolarizzazione non può essere un’altra secolarizzazione, come dimostra la costante emorragia di fedeli nonostante le svolte sempre più liberal (dal sacerdozio fino all’episcopato femminile e all’apertura ai preti gay conviventi). Ciò che colpisce nell’iniziativa dei 143 teologi è il fatto che ciclicamente si riaprano questioni senza prendere in considerazione il fatto che su queste questioni il magistero ha riflettuto ed è intervenuto più volte.

    Eppure, nonostante pronunciamenti, encicliche, lettere pastorali, interventi papali, è come se ogni volta si ripartisse da zero. Dei temi proposti nel documento c’è uno soltanto che ha a davvero a che fare con l’esperienza di un numero purtroppo sempre maggiore di persone, ed è quello riguardante l’atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati e il problema dell’accesso al sacramento dell’eucaristia.

    Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata sabato per l’ordinazione di cinque nuovi vescovi, ha detto: «Il pastore non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo. L’essere intrepido, il coraggio di opporsi alle correnti del momento appartiene in modo essenziale al compito del pastore. Non deve essere una canna di palude, bensì — secondo l’immagine del Salmo primo — deve essere come un albero che ha radici profonde nelle quali sta saldo e ben fondato. Ciò non ha niente a che fare con la rigidità o l’inflessibilità. Solo dove c’è stabilità c’è anche crescita».

    Certo, il Papa parlava dei vescovi, non dei teologi. Ma queste parole offrono uno spunto di riflessione per tutti. Siamo davvero sicuri che la «svolta necessaria» per rinvigorire la fede nella società secolarizzata e scristianizzata debba avere a che fare con ministeri ecclesiali, disciplina del celibato, etc.?

    L’11 maggio 2010, a Lisbona, il Papa disse: «Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e di funzioni; ma che cosa accadrà se il sale diventa insipido?».

    Due giorni dopo, a Fatima, aggiunse: «Quando, nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da “divinità” e signori di questo mondo, molto difficilmente essa potrà toccare i cuori mediante semplici discorsi o richiami morali, e meno ancora attraverso generici richiami ai valori cristiani… Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui».


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    Che noia le ideologie clericali

    di Vittorio Messori
    07-02-2011


    Ho ripetuto spesso che una delle conseguenze peggiori dell’invecchiare è la noia. Andrea Tornielli nell’editoriale odierno su La Bussola, parla del documento firmato ormai da un terzo dei professori universitari di teologia di lingua tedesca, che parlano di «svolta necessaria» nella Chiesa ed elencano una serie di proposte che qui non sto a ripetere.

    Vi lascio immaginare quale sia la mia reazione di fronte al riproporsi di questo mantra che da quarantadue anni, cioè dai tempi del mitico ’68 e dalla nascita del clericale «adulto», periodicamente ci sottopone i contenuti del teologicamente corretto. L’unica novità dell’ultimo ventennio, rispetto alle proposte originali, è rappresentato dalla richiesta dell’accettazione delle coppie omosessuali. Ricordo, tra l’altro, che il ’68, predicava non solo la più totale libertà sessuale, ma anche l’iniziazione erotica dei giovanissimi, propagandata da coloro che oggi s’indignano per lo scandalo della pedofilia.

    Tornando ai nostri teologi, non si sa se ridere o piangere leggendo che vogliono «l’apertura di un dibattito» su questi temi. Sì, perché ciò che chiedono – dall’abolizione del celibato all’apertura dei ministeri alle donne e al cambiamento delle regole morali – è stato già ampiamente sviscerato, dibattito, studiato. È stato affrontato durante tutti i pontificati succedutisi dal ’68 in poi, è stato oggetto di commissioni, di interventi, di Sinodi, di documenti delle congregazioni romane, di encicliche, di lettere pastorali, di convegni.

    Allora, cari teologi, permettete la domanda: ma che c’è ancora ancora da dibattere? Che razza di professori siete se ignorate il magistero e i dibattiti che già sono avvenuti? Talvolta, da laico, arrivo a dire che considero un dono della Provvidenza la crisi delle vocazioni sacerdotali in Occidente, perché ogni prete in più rischia di essere un problema in più. Ovviamente è solo una provocazione, e di certo sbagliata. Ma la tentazione è forte…

    Ricordo che un giorno mi trovai seduto accanto a un pastore protestante durante una conferenza stampa di presentazione di un libro di Hans Küng (attenzione a chiamarlo sempre professore, e mai don Küng, perché sennò si arrabbia). A un certo punto il pastore protestante si alzò e disse: «Professor Küng, le novità che lei chiede per la Chiesa cattolica noi protestanti le abbiamo da decenni, eppure i nostri templi sono vuoti. Abbiamo aspettato invano che si riempissero con quei fedeli che attendevano da noi atteggiamenti in accordo con lo spirito del tempo». È proprio vero che le ideologie, soprattutto le ideologie clericali, hanno un grande nemico: la realtà dei fatti.




    fonte LaBussolaQuotidiana


    No dell'episcopato tedesco a un manifesto di 143 teologi


    Abolizione del celibato e sacerdozio femminile, “idee spesso già dibattute”


    BERLINO, domenica, 6 febbraio 2011 (ZENIT.org).- L'episcopato tedesco si è detto in disaccordo con un manifesto sottoscritto da 143 docenti di Facoltà teologiche tedesche, austriache e svizzere, nel quale viene chiesto di porre fine al celibato sacerdotale e si invoca la possibilità del sacerdozio anche per le donne oltre alla partecipazione popolare nella elezione dei Vescovi. 

    È quanto, in sostanza, afferma una nota diffusa il 4 febbraio dal Segretario della Conferenza Episcopale Tedesca, il gesuita Hans Langendörfer, in risposta al memorandum “Chiesa 2011: una svolta necessaria”, in cui, prendendo spunto dal recente scandalo degli abusi sessuali, si chiedono riforme in diversi settori della vita della Chiesa.

    Per padre Langendörfer, che riconosce l'importanza del dialogo con il mondo teologico, “il memorandum in sostanza raccoglie ancora una volta idee spesso già dibattute. In questa misura non è molto più che un primo passo”.

    Ma, si sottolinea, “su una serie di questioni il memorandum è in disaccordo con le convinzioni teologiche e le dichiarazioni della Chiesa al massimo livello”.

    Temi, ha aggiunto, che necessitano di “ulteriore chiarimento” e che verranno approfonditi nella prossima Assemblea plenaria dell'episcopato. 




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     e non si dica che i FALSI MAESTRI non sono riconoscibili!!!!!! Cari "teologi" contestatori....perchè non ve ne andate FUORI DELLA CHIESA a fondarvene una tutta vostra che rispecchi i vostri PRURITI?

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    RICORDIAMO ANCHE:


    Teilhard de Chardin, tra il mito e l'eresia


    da Cordialiter:

    Anni fa acquistai da un mercante di libri antichi un volumetto intitolato "Teilhard de Chardin, tra il mito e l'eresia", scritto da P. Giacinto Scaltriti O. P. e pubblicato con imprimatur ecclesiastico nei primi anni '60. Nel libro, il dotto sacerdote domenicano confutava alcune tesi del noto teologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin, considerato uno dei maggiori esponenti della "nuova teologia".

    Qualcuno dirà che quel che pensava al riguardo Padre Scaltriti gli importa poco, poiché ciò che conta davvero è quel che dice la Santa Sede. Ebbene, la Suprema Sacra Congregazione del Sant'Uffizio, ai tempi dell'eroico Cardinale Alfredo Ottaviani, pubblicò un "Monitum" firmato da Mons. Sebastiano Masala, per mettere in guardia i vescovi, i superiori di Istituti Religiosi, i Rettori di Seminari e i Direttori delle Università, dai pericoli delle opere di P. Theilard de Chardin, poiché (cito) "in materia di Filosofia e Teologia si vede chiaramente che le opere menzionate racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi, che offendono la dottrina cattolica."

    Nello stesso giorno in cui veniva pubblicato il Monitum (30 giugno 1962), “L'Osservatore Romano” pubblicava un articolo in cui confutava alcune tesi teilhardiane. Ecco alcuni passi: “[...] le ambiguità pericolose e gli errori che si riscontrano in certe espressioni del Teilhard riguardanti il concetto cattolico tradizionale di creazione (riportarsi ai Concili Laterano IV e Vaticano I).
     
    […] Nella sua concezione dei rapporti tra il Cosmo e Dio, Teilhard de Chardin ha dei punti deboli che non si possono passare sotto silenzio. Egli, è vero, afferma esplicitamente e più volte la necessità e la personalità trascendente di Dio. Tuttavia, nella logica del pensiero teilhardiano la trascendenza divina non viene espressa in un modo sufficiente. Dio viene raffigurato come suprema unità che in qualche modo s'incorpora l'universo; così l'unità divina in qualche maniera diviene partecipe della molteplicità cosmica e Dio in un certo senso viene reso più perfetto dall'assimilazione del Cosmo.

    […] Nel saggio già citato, “Le Christique”, si legge addirittura - e dice “en sens vrai” - di una “troisième nature” di Cristo, non umana, non divina, ma “cosmica”! Non vogliamo prendere alla lettera e “en sens vrai” quanto scrive il Teilhard a questo punto, altrimenti si tratterebbe di una vera eresia.

    [...] Anche noi sappiamo che il Teilhard ha fatto non poche volte affermazioni non del tutto coerenti, se non talvolta contrarie o contraddittorie; e vogliamo concedere che il pensiero del Teilhard sia rimasto in una fase di problematicità. Tuttavia, i suoi scritti in molti punti rimangono sempre più o meno contrastanti con la dottrina cattolica.
     
    […] Veramente il nostro secolo ha un estremo bisogno di autentici testimoni di Cristo; ma noi ci auguriamo che essi non si abbiano ad ispirare al “sistema” scientifico-religioso del Teilhard. Abbiamo ritenuto necessario formulare le nostre critiche al pensiero, non alla persona - ripetiamo - per mettere in guardia gli studiosi, e specialmente i giovani, contro gli errori e le ambiguità contenute negli scritti del Teilhard. E facendo le nostre riflessioni, riteniamo di avere agito nella mente del Monitum, che viene oggi pubblicato sul nostro giornale.”






    [Modificato da Caterina63 12/02/2011 16:49]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 18/02/2011 13:12

    Sette religiose: quando la proposta di un culto copre truffe e manipolazioni.
    Intervista con don Aldo Buonaiuto

    Sette religiose: quando la proposta di un culto copre truffe e manipolazioni. Intervista con don Aldo Buonaiuto

    Vivere un’esperienza spirituale “liberante”, mentre in realtà si è vittime inconsapevoli di una manipolazione. Sono decine di migliaia le persone che ogni anno finiscono nella rete di sette o gruppi pseudo-religiosi, dalla quale riemergono sovente con profonde ferite psicoemotive. Al problema è stato dedicato ieri un Convegno ospitato dall’Università Lateranense e promosso dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi. Al centro del dibattito, il diritto alla ricerca e alla libertà di espressione religiosa in rapporto a quei culti estremi che utilizzano il sacro a fini strumentali. Fabio Colagrande ne ha parlato con don Aldo Buonaiuto, dell’Associazione Papa Giovanni XXIII:

    R. – Ogni persona è sempre alla ricerca di Dio, è alla ricerca di un senso profondo della vita, è alla ricerca del suo creatore e questa esperienza è un diritto che tutti devono poter vivere liberamente. Però, nello stesso tempo noi - che ormai da quasi 10 anni abbiamo attivato un numero verde denominato “antisette” - vogliamo anche precisare che ci sono delle realtà che non sono religiose, ma che invece vorrebbero entrare nella porta della religione per il raggiungimento di altri obiettivi. Ecco le sette, questa parola scomoda che a volte può anche un po’ turbare ma è importante, perché fa capire la grande distinzione che c’è tra ciò che deve essere garantito e tutelato e ciò che invece deve essere osservato con attenzione e con una prevenzione forte, per far sì che la gente non incappi in queste trappole, in queste realtà falsate.

    D. - Don Aldo, è possibile avere un criterio di orientamento per distinguere una setta religiosa da una vera e propria religione?

    R. – Sicuramente la parola “libertà” è la base: la libertà di professare ma anche la libertà di scegliere senza essere manipolati. Sappiamo che sono diversi anni che non c’è più una legge che possa sottolineare e approfondire l’aspetto della schiavitù psicologica: cioè, quando una persona viene assoggettata in un momento di fragilità, di debolezza e quindi ridotta in una forma di schiavitù psichica. Così, anche, dobbiamo avere quell’attenzione non solo per il mondo delle “psicosette”, ma anche delle sette magico-esoteriche. Sappiamo quanto oggi l’esoterismo sia praticamente l’altra faccia della stessa medaglia dell’occultismo. Allora, bisogna essere molto, molto attenti perché oggi questi "guru" dell’occulto sono presenti specialmente anche nelle fasce dei ragazzi, del mondo giovanile.

    D. – Don Aldo, cosa chiedete voi allo Stato per contrastare questo fenomeno?

    R. – Noi chiediamo che lo Stato prenda coscienza che questo fenomeno non è relegato a poche persone: è un fenomeno purtroppo molto diffuso, che vede intere famiglie distrutte, ragazzi che sono distrutti psicologicamente e con problemi psichiatrici pr via di questi delinquenti, perché poi dobbiamo chiamarli anche per nome. Un buon 80 per cento sono truffatori, delinquenti senza scrupoli, pronti a tutto per il raggiungimento di profitti o di tipo economico o di altro tipo. Questa è un’ingiustizia insopportabile. Vedere che ci sono persone - per non parlare di tutto quello che fanno i maghi - che possono esercitare quella che loro chiamano un’attività lecita quando invece non è riconosciuta come un’attività: è il mondo della menzogna che viene legittimato e purtroppo anche pubblicizzato ovunque. C’è un’istigazione a portare le persone ad affidarsi, a credere a ciò che è veramente irrazionale e senza un minimo di logica e soprattutto di verità. Nulla di tutto questo ha a che fare con l’esperienza spirituale della ricerca dell’uomo del trascendente. (bf)

    © Copyright Radio Vaticana
    [Modificato da Caterina63 18/02/2011 20:01]
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    00 01/03/2011 12:26

    Un uomo chiamato cavillo

    tratto dal libro: "Cattivi Maestri" di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

    Il conservator cortese

    Si deve chiarire subito una cosa: questo cattivo maestro non è un cattivo soggetto. Il conservator cortese è un uomo animato dalle migliori intenzioni, che agisce normalmente in buona fede, e che è sorretto da un inguaribile ottimismo. Ma, proprio per queste ragioni, è capace di pro­vocare danni devastanti. Insomma, è buono e insieme pericolosissimo.

    La sua caratteristica più temibile, però, è la capacità di mimetizzarsi. Gli altri cattivi maestri sono in genere agevolmente identifìcabili. Il conservator cortese no. Tracciare il suo identikit è molto diffìcile. Ed è difficile perché, a ben guardare, non possiede una sua precisa fisionomia. Piuttosto, tende ad adattarsi come un guanto alla realtà che intende difendere e proteggere.

    Ma chi è, in definitiva, questo "conservator cortese"? Si tratta di un cattolico, normalmente sostenuto da una certa formazione dottrinale, formazione che in taluni casi può essere perfino solida e robusta. In ogni caso, la sua storia è estranea al progressismo ecclesiale, o se anche ne proviene, lui ha deciso risolutamente di abbandonarla a un passato di cui un po' si vergogna. In ogni caso, adesso è venuto il momento di lavorare per "conservare" lo status quo, accontentandosi di evitare che le cose peggiorino.

    Per fare questo, è necessario anche mettersi a dire a quattro venti che le cose non vanno poi così male, anzi stanno sensibilmente migliorando. Il cavillo sarà l'arma impropria nelle mani del nostro uomo. Maneggiandolo come un bisturi, egli inciderà con delicatezza i bubboni infetti del pensiero progressista. Ma, con impegno se possibile maggiore, egli orienterà l'arma del cavillo nei confronti dei cattolici tradizionali, i cattolici-cattolici insomma. I quali, per certi versi, sono secondo il conservator cortese gli uomini peggiori e più deleteri, perché con la loro mania della verità e della tradizione mettono a repentaglio tutto il delicato percorso di "restaurazione gentile". Quel buzzurro del cattolico-cattolico, ad esempio, polemizza apertamente, denuncia, critica, stronca: un vero concentrato di stupidità politica, che deve essere fermato a ogni costo.

    Il conservator cortese ha fatto un'analisi della situazione ecclesiale, che più o meno può essere riassunta così: il progressismo cattolico ha iniziato da tempo la sua inesorabile parabola discendente; poco alla volta, il modernismo perde il suo potere all'interno delle istituzioni ecclesiali. Questa "mutazione" si nota soprattutto in certe conferenze episcopali, come quella italiana, "commissariate" e affidate alla guida del presidente, in modo da silenziare le voci stonate presenti nell'episcopato.

    Tuttavia, prosegue il conservator cortese, natura non facit saltus, e ancor di più la Chiesa non può fare salti o consumare strappi; ergo, occorre mettersi docilmente sotto la guida della Conferenza episcopale nazionale, dire e fare soltanto ciò che a essa è gradito, e soprattutto - si badi bene: soprattutto - evitare sempre di muovere anche la più garbata critica a ciò che la Conferenza episcopale dice o scrive. Insomma: il conservator cortese è, prima ancora che un cattolico, un clericale. Di più: un clericalone a 24 carati. Per lui, la Conferenza episcopale, come la Buonanima durante il Ventennio, ha sempre ragione.

    A prima vista, il nostro tipo umano sembrerebbe totalmente innocuo. Anzi: un autentico servitore della Chiesa. Ma, guardandolo più da vicino, si scopre che le cose stanno diversamente.

    Il problema è che questo cattivo maestro ritiene più importante servire la strategia di una Conferenza episcopale nazionale, piuttosto che insegnare e testimoniare i contenuti della dottrina cattolica. E la cosa gli pare cosi ovvia, così buona e giusta, che ve lo dirà anche in faccia. Facciamo un esempio. Una Conferenza episcopale decide di difendere una legge che consente la fe­condazione artificiale. Il ragionamento è: meglio avere una legge non del tutto condivisibile, piuttosto che subire do­mani una legge peggiore. Mettiamo che voi, senza entrare nel merito del ragionamento suddetto, chiediate a un giornalista cattolico di poter spiegare in un articolo perché la fecondazione artificiale, anche nei limiti previsti dalla legge che "piace" ai vescovi, sia intrinsecamente illecita.

    Se il tipo che avete davanti è un uomo chiamato cavillo, cioè un "conservator cortese", ecco che cosa vi risponderà: «Vedi, carissimo,» il tono è sempre conciliante e pedagogico, come quello di un salesiano che sta rimproverando per l'ennesima volta un ragazzo troppo vivace «vedi, carissimo, quello che tu dici è vero: la fecondazione artificiale è sbagliata. Però, in questo momento, noi dobbiamo soste­nere senza se e senza ma la strategia che è stata decisa dai vescovi».

    «Ma è la Chiesa che insegna, per ragione e non per fede, che i figli non si devono mai fare per via artificiale.»

    «Quello che tu vorresti scrivere non è coerente con la linea del nostro giornale.»

    «Ma io volevo soltanto ribadire la verità, la verità non fa mai male.»

    «Carissimo, ci sono momenti in cui bisogna saper tacere, se la strategia lo richiede. Adesso l'obiettivo è difendere la legge sulla provetta così com'è. Se uno non sostiene questa linea, non può scrivere per noi.»

    «E se invece uno fa la fecondazione artificiale rispettando la legge, può scrivere per voi?»

    «Certo. Mi spiace che tu non capisca. Apprezzo davvero molto la tua testimonianza per la verità, ti stimo tantissimo. Ma finché questa è la tua posizione, non puoi scrivere per noi.»

    L'uomo chiamato cavillo è fatto così: flessibilissimo sulla dottrina, inflessibile come una SS sulla "linea" - detta altrimenti "strategia" - sposata dall'episcopato.

    Il conservator cortese si sta diffondendo parecchio nel mondo cattolico. E questo è positivo, in quanto egli è un tipo antagonista-predatore del cattolico democratico, detto anche cattolico progressista. Tuttavia è anche un male perché il conservator cortese è anche un nemico spietato del cattolico-cattolico. Il risultato è una condizione di stallo, nella quale però il nostro conservatore finisce con l'accogliere, senza rendersene conto, proprio i paradigmi del progressismo modernista. Nel senso che misura gli obiettivi della sua buona battaglia sempre in termini di "male minore", perdendo totalmente di vista la stella polare della verità tutta intera.

    In sostanza, l'uomo chiamato cavillo è un democristiano del terzo millennio capace anche di criticare i democristiani del millennio precedente per gli sconquassi che hanno provocato, ma continuandone disastrosamente il metodo.

    IDENTIKT

    Dove opera?
    Prevalentemente nei giornali cattolici. E segnalato anche in ruoli di responsabilità nell'associazionismo cattolico.

    Come riconoscerlo?
    Cavilla, distingue, precisa, raffredda, smorza, sopisce. E si addormenta.

    Come difendersi?
    Non svegliatelo.


    Fraternamente CaterinaLD

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    00 16/03/2011 11:09

    "Fra Volantino verde“ rifiuta di obbedire al Vescovo.
    I frati e le suore non si adeguano alle regolamentazioni disciplinari


    Un resoconto breve, dettagliato e sconvolgente dei motivi riguardanti l'espulsione dei “Piccoli frati e suore di Gesù e Maria, Volantini Verdi” da parte del Vescovo Russotto di Caltanissetta. Nel decreto di regolamentazione il Vescovo "giustamente" allude alle manipolazioni della Sacra Scrittura, alle pressioni psicologiche, agli atteggiamenti ossessivi di reclutamento delle vocazioni e ai comportamenti illeciti adottati da fra Volantino. Per queste e altre ragioni gravissime, il Vescovo ha sottolineato a fra Volantino di non avere i requisiti psicologici, teologici e spirituali per assicurare un esatto e sereno discernimento vocazionale, e gli elementi per garantire ai giovani la formazione secondo le norme della disciplina religiosa, e quindi di lasciare la guida della comunità per almeno tre anni, affidandosi per la verifica a un sacerdote legittimamente delegato dal Vescovo. A prova di quanto è stato detto, il Vescovo chiedendo umiltà, distacco e obbedienza ...
    ... a fra Volantino e ai suoi seguaci, ha avuto dagli stessi l'insubordinata contro-risposta.

    Il fine di questo articolo è l'amore alla Chiesa e a Dio che è verità. Vuole essere anche un invito a fra Volantino, affinché chieda perdono al Vescovo per la disobbedienza, avendo la sua ribellione provocato tra i fedeli ingiusto sdegno verso le autorità costituite da Dio. Lo scandalo ha indotto molti semplici e impreparati al risentimento verso la chiesa gerarchica e apostolica.

    Queste parole sono dirette anche agli Alleati -ADPVV affinché trovino per amore di Cristo e della Chiesa il coraggio di esortare fra Volantino all'obbedienza, obbedienza che nel "Regolamento interno A.D.P-VV" (pag.11) egli promette al Vescovo e raccomanda vivamente ai suoi seguaci come prova se un'opera o un segno viene da Dio o dal Maligno.
    Il fatto che con la sua vita e predicazione abbia ottenuto risultati di conversione, non dice assolutamente niente.
    E' la parola di Dio che produce nel cuore questi risultati.

    La storia è piena di esempi di eretici e insubordinati, e allo stesso tempo trascinatori di folle.
    Le anime semplici sono facili a essere convinte da atteggiamenti di tipo emozionali, non avendo preparazione teologica e spirituale di alcun tipo, e in questo senso la responsabilità di fra Volantino è più grave.
    Offriamo la visibilità degli scritti di fra Volantino, tratti da frammenti della "regola" presente nel sito
    www.fratipoveri.net con evidenti errori e atteggiamenti che hanno motivato il giusto e saggio intervento del Vescovo.

    1. Scrive fra Volantino: Infatti GESU' dice: «Non prendete nulla per il viaggio, "nè bastone", né bisaccia (cf. Mt 10,10), né pane, "né denaro" né due tuniche per ciascuno…» (né la biancheria intima di ricambio) niente! (cfr Lc 9.3). Fra Volantino falsa le parole del Signore; aggiunge agli avvisi sulla missione "il pane e la biancheria intima di ricambio." Ma dove lo ha letto? Primo punto: durante i viaggi, frati e suore, non dovrebbero prendere il pane. Ma il Signore non ha mai dato una simile raccomandazione agli apostoli. E' invece dimostrato dai Vangeli che gli apostoli portavano nella borsa il pane: "Quanti pani avete? Andate a vedere. E accertatisi, riferirono: Cinque pani e due pesci." Mc 6, 38. Gli apostoli dunque portavano con sè i pani. Secondo punto: Fra Volantino obbliga frati e suore, durante i viaggi in autostop, a non portare "la biancheria intima di ricambio". Oltre la spudorata indelicatezza di questa regolamentazione, dimostra avere una struttura psicologica estremamente poco brillante, con elementi di rigidezza e immaturità, congiunta a deforme interpretazione della povertà evangelica e del significato spirituale che il Signore diede alle sue parole. Il Signore non ha detto in quelle parole di estrema rinuncia e libertà di non prendere per il viaggio addirittura neppure le mutande. Soprattutto le donne hanno in natura necessità diverse da quelle degli uomini. Solo uno sciocco può farsi rapire da versi così confusi. C'è da stupirsi come coloro che lo seguono non abbiano occhi per vedere. La ragione di questa oscurità è dovuta probabilmente alla loro debole personalità, e ad un atteggiamento infantile ed emotivo.

    2. Scrive fra Volantino: se dopo che il Vescovo locale gli ordina per lettera scritta qualcosa, e di questo non ne tengono conto, allora molto probabilmente, per non dire certamente, quel veggente, o chi che sia, è imbrogliato da quello del piano di sotto, e dunque dovete cari ADP-VV interrompere subito i rapporti personali.......se non ascoltano i Vescovi nella loro diocesi neanche per lettera, non ascoltano neanche Dio, dato che così dice il Signore: «Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me, e chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato!» Queste parole sono state scritte da fra Volantino nel "regolamento interno ADP-VV" per indurre a cautela i responsabili dei gruppi, nei riguardi di chiunque presumesse avere un mandato o carisma speciale separato però dalla volontà del Vescovo. E' esattamente quello che fra Volantino ha disatteso. Egli non ha dato ascolto alla volontà del suo Vescovo che, ispirato, lo aveva invitato ad attenersi ai consigli e alla corretta disciplina.

    Fra Volantino, l'obbedienza la insegna, ma non la pratica. Perché? Perché non è stato addestrato all'umile obbedienza. Non è obbediente e presume la sottomissione e l'obbedienza dei frati, delle suore e dei responsabili dei gruppi di preghiera? I santi hanno sempre obbedito alle disposizioni dei loro Superiori legittimi. Non è giusto far credere che abbia sbagliato il Vescovo. Il Vescovo ha agito con virtù e responsabilità. E' giusto e santo ricordare ai "Volantini Verdi" le raccomandazioni di Sant'Ignazio successore di San Pietro ad Antiochia: "Siate sottomessi al Vescovo come Gesù Cristo al Padre. Come il Signore nulla fece senza il Padre, così voi nulla fate senza il Vescovo.Tutto quello che il Vescovo approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro. Alcuni parlano sempre del Vescovo ma poi agiscono senza di lui. Quanti sono di Dio e di Gesù Cristo sono con il Vescovo. Se siete sottomessi al Vescovo come a Gesù Cristo, dimostrate che non viene secondo l'uomo ma secondo Cristo. E' necessario non operare nulla senza il Vescovo."

    3. Scrive fra Volantino: questo fratello e sorella – che devono farsi la correzione fraterna o ecc… siano sempre e imperativamente sotto lo sguardo di qualcuno! – all’infuori di questo comando Religioso, si rischia seriamente di incappare nell’immediata espulsione della nostra comuntà! Il Discorso vale anche per chi vede ciò ed essendo dei nostri, non riferisce ad un nostro superiore V.V., secondo la correzione fraterna Evangelica. (cfr Mt 18, 15-17..). Amen ! Fra Volantino, indicando le norme per la regolamentazione interna, vieta in modo imperativo e minaccioso che i fratelli possano adottare la correzione reciproca se non sono sotto lo sguardo di un terzo. Questo metodo lo chiama evangelico, quando invece Il Signore suggerisce proprio il contrario: "Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo.” Mt 18, 15. Solo in casi gravissimi e dopo aver provato la correzione personale, il Signore suggerisce l'intervento di un terzo e addirittura dell'assemblea. Grave è la mancanza di tatto, di carità, di delicatezza richiesta ad un educatore evangelico. Più grave addirittura è la minaccia di "immediata espulsione" dalla comunità per l'esercizio legittimo della correzione fraterna. Questo atteggiamento rivela l'incapacità di condurre all'ordine i fratelli attraverso la sapienza della correzione e la comprensione, rivelando di non conoscere le norme più elementari di pedagogia educativa.

    La pressione psicologica è attuata attraverso la minaccia di espulsione. Il ragazzo vive il timore e l'angoscia della più lieve trasgressione di questo regolamento, sapendo di poter dopo molti anni di vita donata a Dio incappare nelle disposizioni inesorabili di fra Volantino, con conseguenti ferite e delusioni che potrebbero avere ripercussioni psichiche e morali molto serie. Non ci si pone in questo modo di fronte al dono che i giovani hanno fatto della loro vita. Questo atteggiamento non favorisce la pratica e lo sviluppo della virtù in modo sereno e progressivo. L'intimidazione è un atteggiamento immaturo e infantile: la ricerca di un mondo perfettamente rigido che non tiene conto dei tempi di Dio. Fra Volantino rivela una personalità fortemente infantile, egocentrica e manipolatrice come dimostra l'ossessivo modo con cui è continuamente menzionato dai seguaci. Basta ascoltare o osservare attentamente i video per rendersi conto delle motivate preoccupazioni del Vescovo Russotto.

    4. Scrive fra Volantino: cibarsi della sola Comunione Eucaristica (che di già contiene le due specie Eucaristiche e sia del Pane e del Sangue nella sola Eucaristia) Il Vescovo ha ragione quando afferma che fra Volantino non è ferrato nella teologia. Fra Volantino scrive nella regola degli Alleati "regolamento interno ADP-VV” (pag. 6), che le specie eucaristiche sono "il pane e il sangue" cosa evidentemente non vera. Le specie eucaristiche sono il pane e il vino; il pane e il vino sono le caratteristiche sensibili dell'eucaristia. L'eucaristia è il corpo e il sangue di Cristo sotto le specie eucaristiche del pane e del vino. Transustanziazione significa la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Sangue di Cristo. Questa conversione tuttavia conserva inalterate le caratteristiche sensibili del pane e del vino, cioè "le specie eucaristiche". Fra Volantino è in possesso di una teologia confusa, per questo motivo il Vescovo ha vietato che insegnasse privatamente ai frati e alle suore, e pubblicamente ai gruppi di preghiera.

    5. Dice fra Volantino: chi non muore nella grazia di Dio, se ha fatto un minimo di bene prima di morire all'inferno non ci va. Nella video-catechesi sulla Sofferenza pubblicata su MySpace, al minuto 45:24... fra Volantino afferma che chi muore senza la grazia di Dio, si salva, a condizione che abbia fatto un minimo di bene prima di morire. Questa asserzione è falsa. La dottrina della Chiesa dice che all'inferno vanno le anime di tutti coloro che muoiono in stato di peccato mortale, cioè non in grazia di Dio. E non serve un gran numero di colpe gravi, ma basta anche una sola colpa grave di cui non ci si pente. Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere per sempre separati da Lui per una nostra libera scelta. Nel catechismo si legge: "Le anime di coloro che muoiono, in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi dove subiscono le pene dell'inferno". Non basta fare un minimo di bene nella vita per salvarsi, il bene compiuto in stato di peccato mortale, non ha radice nell'amore di Dio, cioè non è amore soprannaturale e per tale non viene ricompensato in modo Eterno ma solo temporale. Coloro che muoiono non in grazia di Dio, non vanno in Paradiso e neppure in purgatorio.

    Carlo Di Pietro & S.L.

    Clicca qui per scaricare il Decreto del Vescovo Russotto


    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 30/03/2011 09:08

     Un'altro nome che va di moda nelle citazioni e preso come esempio è un tale GIULIO GIRARDI..... ebbene DIFFIDATE dei suoi insegnamenti, anzi, non ascoltatelo perchè fa parte integrante della schiera dei FALSI MAESTRI....


    era un sacedorte salesiano, nato nel 1926, ancora vivente, è stato sospeso a divinis....è uno di quei falsi ideologi che unisce il cristianesimo al marxismo e al socialismo, TEOLOGO DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE, ma il dramma è che fu CHIAMATO COME  ESPERTO AL CONCILIO VATICANO II e fu collaboratore per la Gaudium et spes....
    Uno si domanda: nessuno si era accorto delle idee malsane di questo sacerdote, oppure di colpo è diventato eretico solo dopo il Concilio?

    Nel 1962, Girardi viene invitato come esperto al Concilio Vaticano II, in qualità di profondo conoscitore del marxismo e delle problematiche dell'ateismo contemporaneo. Al Concilio, collabora alla progettazione e alla stesura dello Schema XIII, che darà vita alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes.

    Nel 1965, inizia la sua partecipazione al dialogo tra cristiani e marxisti, nelle varie sessioni a livello nazionale e internazionale. Alla sua ricerca filosofica, affianca un impegno sempre crescente con le realtà di base, in Italia e nel mondo, che iniziano a coniugare l'aggiornamento conciliare con l'impegno politico. La sua conoscenza dell'America Latina lo porta sempre più frequentemente in giro per il mondo; è tra i protagonisti della nascente teologia della liberazione, di cui è uno degli divulgatori in Europa.

    Nel 1972, partecipa al primo incontro continentale dei Cristiani per il Socialismo, a Santiago del Cile; in seguito, dopo aver conosciuto dal vivo i più diversi paesi latinoamericani (Cile, Perù, Colombia, Messico, Cuba), trasporta in Europa il suo impegno nel movimento dei Cristiani per il Socialismo (1973-1980).

    Nel 1974 diventa membro del Tribunale Russel II sull'America Latina; dal 1976 ad oggi, è membro del Tribunale Permanente dei Popoli.
    Nel 1977, dopo essere stato espulso da tutte le università cattoliche in cui era docente, viene anche dimesso dalla congregazione salesiana e, successivamente, sospeso a divinis.

    Girardi continua il suo impegno di solidarietà con i popoli latinoamericani e la sua opera di animatore e formatore nelle comunità di base, così come negli organismi di riflessione e di dialogo tra cattolici e comunisti. Nel 1980 compie la sua prima visita in Nicaragua, ove solidarizza con la rivoluzione sandinista e esprime la sua collaborazione con i vari movimenti ecumenici, indigeni e popolari di questa nazione.
    Il Fronte Sandinista gli assegnerà l'ordine Carlos Fonseca per il suo lavoro a fianco della popolazione nicaraguense.

    Dal 1986 si reca anche a Cuba, ogni anno, collaborando con diverse istituzioni culturali ed ecumeniche; dal 1988 è impegnato nella solidarietà con il movimento indigeno, specialmente in Messico, Ecuador e Bolivia, e dal 1992, con il movimento macroecumenico dell'Assemblea del popolo di Dio (Pentecostali), in cui alle tradizionali tematiche della liberazione, si unisce la riscoperta delle origine etniche e indigene dei popoli sudamericani. Fino ai primi anni del nuovo secolo, continua ad occuparsi anche delle tematiche riguardanti l'educazione popolare e il nascente movimento per la pace.

    Nel corso degli anni, non ha trascurato anche l'impegno in Italia, soprattutto nel campo della ricerca partecipativa sulle condizioni del mondo del lavoro e sulle trasformazioni della coscienza cristiana di fronte alle mutazioni del contesto sociale.

    Nel 2005, con il suo ingresso nel movimento Noi Siamo Chiesa, propone in esso l'aggiornamento delle tematiche di impegno politico ed ecclesiale da lui coltivate in tanti anni di studio e di dialogo.

    Assieme a un gruppo internazionale di teologi (unico italiano, assieme a Giovanni Franzoni e al giornalista Filippo Gentiloni), è stato promotore anche di un Appello alla chiarezza, un "manifesto" contro la beatificazione di Karol Wojtila [1], uno dei pochi segnali critici rivolti al grande pubblico sulla figura di Giovanni Paolo II.


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    Cose americane: la suora eretica che piace ai gesuiti e la diaconessa che si pente (Rodari)

    Cose americane: la suora eretica che piace ai gesuiti e la diaconessa che si pente

    Paolo Rodari

    Due donne con due storie diverse mostrano quanto sia vivace la vita della chiesa cattolica statunitense.
    Si chiamano Elizabeth A. Johnson e Norma Jean Coon.
     
    La prima è una suora i cui scritti hanno subìto, non senza polemiche, una censura ufficiale dalle gerarchie. La seconda è una diaconessa pentita e per questo reintegrata dal Vaticano alla piena comunione con la chiesa. Due storie differenti che fanno discutere non solo la galassia cattolica ma anche i media laici del paese.

    Elizabeth A. Johnson ha scritto nel 2007 “In cerca del Dio vivente”. Il libro ha avuto successo fuori e dentro la Fordham University, l’ateneo dei gesuiti dove la teologa insegna. La commissione dottrinale della Conferenza episcopale del paese l’ha letto e l’ha giudicato non conforme alla dottrina. Una censura piena che tuttavia ha contribuito a impennare le vendite. Dice il presidente della commissione, l’arcivescovo di Washington, il cardinale Donald Wuerl, che in più punti il libro è su posizioni eretiche. Tra queste, la buccia di banana sulla quale scivolano la maggior parte dei teologi eretici, ovvero la negazione che la strada per la salvezza dell’uomo sia solo e soltanto Gesù Cristo. Una tesi che cozza con il granitico paletto che nel 2000 la Dottrina della fede mise sul tema, la dichiarazione Dominus Iesus.
    Fin qui Donald Wuerl.

    Ma cosa pensano i gesuiti che da tempo permettono alla Johnson di insegnare Teologia sistematica nella loro università?
    Pensano che sia una grande teologa e che tutti, nonostante la censura, debbano continuare ad accostarsi ai suoi testi. Scrive James Martin su “America”, la prestigiosa rivista newyorchese dei gesuiti, di aver “raccomandato” i libri della Johnson “a decine di amici, parrocchiani e direttori spirituali”. Perché lei “è una teologa eccezionale”.

    La vicenda che riguarda Norma Jean Coon è diversa. Ma il clamore che ha suscitato è simile. Leader dell’organizzazione Roman Catholic Womenpriests che lotta per l’ordinazione sacerdotale delle donne, sposata da 47 anni e madre di cinque figli, nel 2007 venne ordinata e per questo incappò nella scomunica “latae sententiae”. In questi quattro anni ha continuato a studiare teologia. Fino a scoprire, è la sua ammissione, di aver sbagliato. Tanto da riconoscere, col plauso del Vaticano che le ha tolto la scomunica, “l’autorità del Papa nelle questioni relative all’ordinazione” e il fatto che “Cristo ha fondato l’ordinazione solo per gli uomini”.

    Pubblicato sul Foglio sabato 2 aprile 2011







    [Modificato da Caterina63 06/04/2011 13:00]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 15/04/2011 18:25
    blank_pageDichiarazione Direttore sala stampa per la questione dell'ex vescovo di Bruges
     
    CITTA' DEL VATICANO, 13 APR. 2011 (VIS). Di seguito viene riportata la dichiarazione rilasciata ai giornalisti, nel pomeriggio di ieri, dal Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., a proposito della situazione dell'ex vescovo di Bruges (Belgio), Monsignor Roger Vangheluwe.
     
      "Nel quadro del procedimento nei confronti di Monsignor Roger Vangheluwe, ex vescovo di Bruges, la Congregazione per la Dottrina della Fede - come già comunicato dalla Nunziatura in Belgio - ha stabilito che egli lasci il Belgio e si sottoponga a un periodo di trattamento spirituale e psicologico. In tale periodo evidentemente non gli è permesso alcun esercizio pubblico del ministero sacerdotale ed episcopale. Il trattamento psicologico è stato disposto dalla Congregazione per ottenere gli ulteriori elementi diagnostici e prognostici utili per continuare e concludere la procedura in vista della decisione definitiva, che rimane di competenza della Congregazione stessa, e da approvarsi da parte del Santo Padre. Tale decisione naturalmente terrà conto dei diversi aspetti della questione, a cominciare dalla sofferenza delle vittime e dalle esigenze della giustizia. Il procedimento è quindi tuttora in corso e la decisione presa finora dalla Congregazione è interlocutoria e non definitiva".

    ****************************

    PEDOFILIA: VESCOVI BELGIO, SCIOCCATI DA INTERVISTA MONS. VANGHELUWE 
     
    (ASCA) - Roma, 15 apr - ''Stupiti'' ed ''estremamente scioccati'' dall'intervista televisiva rilasciata ad un'emittente belga dall'ex vescovo di Bruges, mons. Roger Vangheluwe, nel corso della quale il presule ha ammesso di essere autore di abusi su minori ma ha detto di non sentirsi un ''pedofilo''.
    Cosi' i vescovi del Belgio in una nota diffusa oggi, nella quale dichiarano ''inaccettabile'' il modo usato da mons. Vangheluwe ''di minimizzare e giustificare i crimini commessi, le conseguenze nei riguardi delle vittime, delle loro famiglie, dei credenti e piu' in generale di tutta la societa'''. Mons. Roger Vangheluwe, aggiungono i vescovi, ''ancora non sembra misurare l'estrema gravita' delle sue azioni'' perche' ''questa intervista non corrisponde a cio' che e' stato chiesto da Roma'' ma e' ''estremamente offensiva per le vittime, per le loro famiglie e per tutti coloro che devono affrontare il problema degli abusi sessuali'' e ''anche per i fedeli, e' uno schiaffo''
     



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 20/04/2011 22:53
    CATTIVI MAESTRI. Inchiesta sui nemici della Verità



    Alessandro Gnocchi & Mario Palmaro, Cattivi maestri. Inchiesta sui nemici della verità, Piemme 2009, pp. 192,  ISBN-13: 9788838410703, euro 16.

    Sconto su: http://www.theseuslibri.it/


    Recensione di Francesco Natale e 1° capitolo del libro.


    Gnocchi e Palmaro mettono a segno un altro centro perfetto con questo gustosissimo e originalissimo libro. Libro che si presenta come unacollatio di 30 schede, legate tra loro da un originale filo narrativo che si ispira al romanzo noir americano. Nelle 30 schede troveremo la «fedina penale», per così dire, delle 30 tipologie di cattivi maestri responsabili della morte dell'«uomo moderno». Abbiamo così l'«Archistar», ovvero l'architetto di grido che non vede l'ora di cementare ed inscatolare ogni residuo di tradizione architettonica o paesaggistica anche solo lontanamente legata alla Civiltà Cristiana, pur essendo a modo suo ecumenicamente devoto. Abbiamo il «Cattonotaio», ovvero l'opposto, per certi versi del «Cattoprogressista» ma altrettanto dannoso, perché il suo conservatorismo si concretizza non tanto nella sana difesa delle sane tradizioni, quanto più nel far della Fede una sequenza infinita ed inutile (nella migliore delle ipotesi) di atti notori: parte in quarta a difesa della vita ma accetta il compromesso sulla Legge 40 in quanto «inevitabile». Ecco poi scendere in campo il «pauperista che veste Prada»: colui che continua a parlare della bellezza del deserto e del suo silenzio ma non rinuncia ad un vernissage o ad un talk show di grido. Poveri i giovani, quindi, che finiscono nelle mani del «catechista ridens», il quale per rendere - bontà sua - più interessante il Credo o il Pater Noster né remixa una versione rap o ragamuffin.



    Per chi volesse poi salvare il pianeta da questo così volgare eccesso di antropizzazione, imperdibile l'«ambientalista illuminato», ennesimo relitto del 1989 berlinese che pensa davvero di salvare il pianeta evitando di tirare lo sciacquone del WC o vivendo in perenne penombra perché l'energia elettrica inquina (ed è prodotta dalle multinazionali, aggiungiamo noi). Colui che a Dio ha sostituito la raccolta differenziata e, come molti altri cattivi maestri ha la caratteristica di «indignarsi» ogni due per tre. Per chi volesse dimagrire senza spendere una fortuna dal dietologo, suggeriamo di aderire alla weltanschauung del «radicale libero», prontissimo a (laici) digiuni quaresimali ogni qual volta una tonaca «ingerisce» (leggi: esprime una legittima e talvolta doverosa opinione) nella politica italiana. Occhio al «predicatore incontinente» che ha due principali caratteristiche: non parla mai del Papa e appena dice qualcosa di pur vagamente ortodosso se ne scusa immediatamente. E' il principale responsabile dell'epidemia di narcolessia che affligge innumerevoli parrocchie in tutto il globo. Doppiamente colpevole, poiché abusa di uno spazio unico è privilegiato: è il solo che possa, a pieno diritto, parlare per venti minuti ad una platea senza contraddittorio alcuno. E via via imparerete a conoscere e a difendervi dal «filosofo postmoderno», dal pericolosissimo «vaticanoterzista», dall'insopportabile «scienziato in talare» e dal pessimo «semi-cristiano».

    Ora, al di là della condivisibilità o meno dell'approccio sicuramente ortodosso (ma mai pedante) degli autori, questo libro, nella sua scorrevolezza e nella sua felicità di contenuti, rappresenta davvero un formidabile vademecum per quanti desiderino smascherare e sbugiardare i tanti, tantissimi falsi profeti che animano televisione, patinate testate giornalistiche, sfilate e prime teatrali. E' un libro scritto di cuore e viscere, galvanizzato da una vis comica degna dell'Asterix di Goscinny e Uderzo. E il grandissimo merito che và ai due autori è soprattutto quello di avere individuato nelle sue molteplici sfaccettature il Grande Nemico dei tempi moderni: la tiepidezza. L'incapacità di osare, il costante timore che le proprie idee, nelle quali si dice di credere, possano sempre e comunque recare offesa a qualcuno, rendendo così ogni confronto potenzialmente gustoso e «futurista» una insulsa passeggiata sulle uova, un assolo (noiosissimo) di burocrazia dialettica. In questo senso appare evidente la valenza metapolitica dell'opera, poiché, pur non parlando quasi mai apertamente di politica, Gnocchi e Palmaro individuano punto dopo punto i limiti e le lacune che affliggono troppo spesso il dibattito politico, sia sui temi cosiddetti «sensibili» che sulle bagatelle da consiglio comunale.

    Cattivi Maestri susciterà un vespaio di polemiche e sarà sicuramente messo all'indice, in particolare nell'ambiente dei cosiddetti «cattolici adulti», o, meglio, secondo la vulgata degli autori, «adulterati». Della qual cosa non possiamo che compiacerci... come se ne compiaceranno gli autori. Niente male davvero, considerando che tutto si concentra in 252 pagine che leggerete in una notte o poco più... per poi tornare a rileggerne paragrafi o capitoli ogni volta che sarete colti dal sospetto (fondato) di aver incontrato sul vostro cammino un cattivo maestro.



    CATTIVI MAESTRI
    Inchiesta sui nemici della Verità
    ALESSANDRO GNOCCHI & MARIO PALMARO

    Istruzioni per l’uso
    Guardatevi dai falsi profeti
    che vengono a voi in veste di pecore,
    ma dentro son lupi rapaci.
    Dai loro frutti li riconoscerete.
    (Mt 7, 15-16)
    Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti
    e faranno grandi portenti e miracoli,
    così da indurre in errore,
    se possibile, anche gli eletti.
    (Mt 24, 24)
    Eppure, ce l’avevano detto
    Se prima d’ora nessuno ci avesse avvisato, questo libro sarebbe uno scoop da premio Pulitzer o, a scelta, un’autocertificazione per il ricovero in manicomio. Ma due millenni or sono, nel Vangelo, Gesù ci ha messi in guardia senza mezzi termini da falsi cristi, falsi profeti, lupi rapaci in veste di pecora che cercheranno di indurre in errore anche gli eletti: in quarantacinque parole ha descritto l’ostilità del mondo in cui il cristiano dovrà servire la Verità sino alla fine dei tempi. E sarebbe difficile sostenere il contrario, visti i frutti che cadono a terra giorno dopo giorno in questo giardino maleolente che si chiama mondo moderno. Dall’aborto all’eutanasia, dal pansessualismo alla corruzione, dallo sfascio della famiglia all’edonismo sono tutti frutti che crescono sulla pianta coltivata con amorevole cura dai Cattivi Maestri della modernità e concimata con la corruzione della fede e della dottrina cattoliche.
    Anche per oggi, niente premi
    Ci era stato detto. Dunque, non può sorprendere più di tanto se ora qualcuno si prende la briga di stilare un repertorio di questi falsi cristi, un inventario dei loro pensieri, una dispensa ragionata delle loro imprese. Non c’è proprio niente di straordinario, può farlo chiunque.
    Basta un pizzico di spirito d’osservazione e un pizzico di senso critico, ingredienti di cui sono dotate tutte quelle persone di buon senso che faticano sempre di più a orizzontarsi nel mondo presente. Perciò, più che altro, quelle che seguono sono pagine di un diario buttate giù un po’ per sfogo e un po’ per trovare conforto tra persone assennate. Nulla di sensazionale, solo semplice, banalissima, normalissima cronaca. Insomma, niente Pulitzer, ma in compenso niente manicomio.
    Sì, però, niente manicomio, ma in compenso niente Pulitzer.
    Naturalmente, si dice Pulitzer tanto per dire, per parlare di qualche cosa di inarrivabile perché, con quello che s’è scritto in queste pagine, non si può puntare neanche all’ultimo premiolino vuoi della parrocchietta fuori mano vuoi dell’Arciqualsiasicosa. A meno di non incappare in qualche premiatore disposto a stilare per se stesso l’autocertificazione di cui sopra. E, per la verità, una volta è persino capitato. I due scriventi sono ancora a piede libero, il premiatore non sappiamo.
    Due libri in uno
    Ora, bisogna sapere che a queste considerazioni si è arrivati quando l’editore si è trovato sul tavolo il cosiddetto manoscritto. «Voi due non cambierete mai…»
    Proprio così, «Voi due non cambierete mai…» con tre sconsolati ed eloquenti puntini di sospensione al termine della frase. E giù con una geremiade che ci ha strappato il cuore: la catena di librerie cattolicamente corretta che si rifiuta di vendere libri firmati Gnocchi & Palmaro, le altre librerie sparse ma non meno cattolicamente corrette che prendono a male parole gli incauti avventori che ne facciano richiesta, le parrocchie e i centri culturali cattolici che disdicono conferenze dei due autori e persino gli amici che si affrettano a spiegare ai medesimi che, insomma, un po’ va bene, ma quando si esagera, si esagera e poi bisogna stare attenti a fare i nomi. «Ma voi perché volete mettere nei guai proprio me?» ha concluso l’editore.
    Come potevamo rispondergli che lo facciamo per amicizia?
    È stato lì che abbiamo avuto l’idea, non diciamo brillante, ma sufficiente per uscire dall’imbarazzante situazione: «Allora facciamo un romanzo».
    Avete mai provato a proporre un romanzo a un editore?
    Se anche foste Alessandro Manzoni redivivo, la prima risposta sarebbe la stessa fornita a ogni aspirante romanziere dal giorno dell’invenzione della stampa a oggi: «La narrativa non funziona».
    Però, il nostro editore ha commesso l’errore di esitare una frazione di secondo di troppo nel dirci che “la narrativa non funziona” e noi l’abbiamo preso per un sì. Chi tace acconsente: ci siamo alzati, gli abbiamo stretto la mano e ce ne siamo andati.
    Terminato il romanzo, ci siamo ripresentati e abbiamo deposto il lavoro sulla sua scrivania.

    Quella che segue è la semplice e asettica trascrizione del dialogo.
    Editore: «E questo cosa sarebbe?».
    Noi: «Un giallo».
    E: «Ah… e come si intitola?».
    N: «Cattivi Maestri».
    E: «E di che cosa parla?».
    N: «È un’inchiesta sui nemici della Verità».
    E: «Inchiesta sui nemici della verità».
    N: «Verità in maiuscolo».
    E: «Va bene, Verità in maiuscolo. Quindi è la stessa solfa del saggio».
    N: «Sì e no».
    E: «E allora che cosa facciamo».
    N: «L’editore è lei».
    E: «Lei in maiuscolo».
    N: «Va bene, Lei in maiuscolo, però adesso sono ugualmente affari suoi».
    E: «Non solo. La firma ce la mettete voi».
    N: «Be’, noi pensiamo che le due cose si possano integrare. Ogni capitolo del giallo può fare da introduzione a una delle sezioni del saggio. Senza contare che chi vuole può leggere solo il saggio oppure solo il giallo. Oltre tutto, in questo modo il lettore prende due libri al prezzo di uno».
    E: «Due libri al prezzo di uno: sai che affare mi avete messo tra le mani…».
    L’obiezione non era priva di senso, e abbiamo pensato bene di abbandonare l’ufficio lasciando i due manoscritti sulla scrivania. Poi abbiamo atteso con calma, fino a quando un corriere ci ha recapitato a casa le bozze: due libri in uno, doppio lavoro.
    Per la verità, le nostre mogli, che continuano a essere una a testa, sono sempre le stesse e non mancano di un certo senso pratico, hanno aggiunto: doppie rogne. Ma si sa come sono le mogli.
    Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro
    Domenica 14 giugno 2009
    Festa del Corpus Domini
    Le inchieste dei fratelli Santommaso
    Primo Capitolo
    «È morto, siamo arrivati tardi» disse Ag Santommaso. Con noncuranza professionale aveva posato due dita sulla carotide del poveretto steso per terra e ne stava certificando il trapasso all’altro mondo. Un colpo di stiletto al cuore, brutta fine per il polacco.
    Già perché il cadavere era quello del polacco, o cos’altro fosse, che aveva comperato gli stiletti di Levousé. Io ero sdraiato poco più in là, su un pavimento fetido, paralizzato dallo spavento e non ancora sicuro di averla scampata veramente. Non avevo un graffio, eppure ero certo che la morte mi avesse sfiorato. Eccome mi aveva sfiorato. La tigre aveva tentato di portarsi via la mia anima.
    «Le è andata bene» biascicò sottovoce Mp. «Se avessimo tardato un minuto, sarebbe all’altro mondo a far compagnia a questo poveretto.»
    «Poveretto un corno» risposi. «Questo signore, qualche giorno fa aveva comperato trenta stiletti d’oro. Non vi dice niente la cosa?»
    «Lo sappiamo, glieli ha venduti Levousé.»
    «Quindi ci siete andati anche voi.»
    «Sì, prima di lei.»
    «Ecco perché quel vecchio malefico sorrideva quando ho inventato la scusa dell’articolo per il giornale…»
    «Ci vada piano coi giudizi, a volte gli uomini e le cose non sono ciò che sembrano.»
    «Cosa vorrebbe dire?»
    «Voglio dire che non è certo nella bottega di Levousé che troverà l’assassino.»
    «E perché?»
    «Perché la bottega di Levousé è il nostro ufficio.»
    «E Levousé sarebbe il vostro capo?»
    «Adesso non esageriamo» intervenne Ag. «A tutto c’è un limite. Diciamo che Levousé è una specie di segretario, di portinaio, di fattorino. Ma, soprattutto, è il miglior informatore che ci sia sulla piazza. Lei non ha idea di quante cose viene a sapere quell’ometto stando chiuso nella sua stamberga.»
    «Ma l’odore selvatico che c’è là dentro…»
    «Glielo diciamo sempre di non esagerare con il grasso di tigre nell’intruglio che bolle in continuazione sul fornello. Ma lui sostiene che fa bene per un sacco di cose. Ha tentato persino di farcelo assaggiare, ma abbiamo declinato. Comunque, vede bene che, anche per gli odori, bisogna fare attenzione. Bisogna avere naso.»
    «Dunque, Levousé non c’entra.»
    «Si metta tranquillo» riprese Mp. «Levousé sta con i buoni. Le concediamo che l’aspetto è piuttosto inquietante, ma, coi tempi che corrono, non si può fare tanto gli schizzinosi.»
    «Però lui non è…»
    «Non è…?»
    «Lui non è… cattolico come voi.»
    «Glielo abbiamo già detto che non sempre gli uomini sono ciò che sembrano. Levousé è cattolico, apostolico e romano.»
    «Convertito?»
    «Convertito e praticante.»
    «Quindi è più a posto di me che a Messa ci vado ogni tanto.»
    «Quindi è più a posto di lei che a Messa ci va ogni tanto. E nel suo lurido portafogli tiene un santino immacolato di san Massimiliano Kolbe. E in quello che lei magari scambia per un portamonete custodisce un rosario preziosissimo che ha pagato molto caro: il disprezzo della sua famiglia, quando ha deciso di farsi cattolico, apostolico e romano.»

    E così, Levousé mi aveva fatto fesso due volte. Per di più, il polacco, o cos’altro fosse, era morto stecchito e adesso bisognava ricominciare da capo. Mi misi seduto per terra, mi grattai la pera e cominciai a pensare. Le mie povere rotelle dovevano fare un gran fracasso, perché i fratelli Santommaso si voltarono contemporaneamente per capire che cosa stessi elucubrando.
    Be’, stavo pensando. Mica l’avranno avuta loro l’esclusiva della messa in moto della materia grigia.
    «Se non è troppo spaventato» mi disse Ag «adesso può venire a caccia con noi. Però l’avvisiamo… la porteremo in un posto ben peggiore di questo, vedrà dei veri e propri mostri.»
    Fui sul punto di rifiutare, ma mi seccava da matti far la figura dello smidollato davanti a quei due damerini.
    «Va bene» dissi «basta che non ci sia la puzza irrespirabile che si sente qua dentro.»
    «Niente paura, la porteremo nel salotto più esclusivo della città.»
    Credo di non aver mai provato in vita mia soddisfazione più grande di quella sera. Avreste dovuto vedere la faccia dei premiati fratelli Santommaso quando, giunti sulla porta del salotto più esclusivo della città, si trovarono davanti a una scenetta che proprio non si sarebbero aspettati. L’attrazione della serata era nientemeno che il cattolico apostolico e romano Levousé. Un Levousé quasi irriconoscibile, elegantissimo, accessoriato, profumato, dall’eloquio perentorio e irresistibile. Stava tenendo banco sulla questione femminile e sui destini del comunismo che, a suo dire, non avrebbe fallito e non sarebbe affatto morto: «La rivoluzione non è finita» diceva davanti a uno stuolo di damazze in adorazione. «La rivoluzione ha solo preso altre vie. Non si può sempre fare con il mitra in mano e impiccando i reazionari…»
    A questo punto risero persino gli uomini: da quello con il pullover di cashmere rosso sangue a quello con il completo antracite alta finanza.
    «Non entriamo» disse sottovoce Mp. «Finché non ci nota nessuno, ascoltiamo e prendiamo nota. Soprattutto, ricordiamoci nomi e facce.»
    «E poi?» chiesi io, che non difettavo di un certo senso pratico.
    «Poi improvvisiamo.»
    «Allora, dobbiamo improvvisare subito» feci io, che non difettavo di un certo senso pratico, mentre alle nostre spalle arrivavano, con studiato ritardo, il Fondatore del giornale più anticattolico sulla piazza e un bonzo buddista tutto pavesato di arancione.
    Senza volerlo, fu il Fondatore a risolvere la situazione.
    Ag, con la sua giacca di velluto e la pipa in bocca, venne subito liquidato come un vetraio che avesse appena finito di stuccare una finestra. A Mp, in uniforme da ordinario di filosofia del diritto, venne spiegato che, se era venuto per le ripetizione del ragazzino, aveva sbagliato orario.
    «Lei, invece, mio caro…» disse voltandosi verso di me il Fondatore «non ci siamo mai visti… Venga, venga, vedrà che ce la spassiamo questa sera».

    E fui risucchiato dal suo charme nel salotto dove tutti, Levousé compreso, ora avevano occhi solo per lui. Non feci in tempo a girarmi per chiedere consiglio ai fratelli Santommaso.
    La porta si era chiusa e, immediatamente, mi assalì un tremendo odore di tigre. Il Fondatore si sedette in poltrona, posò le mani sui braccioli e fece cenno che avrebbe volentieri ascoltato.
    Levousé, che mi aveva riconosciuto, non si perse d’animo.
    Mi ignorò completamente, continuò a parlare e prese a spiegare al comunista in cashmirino rosso e alla signora buddista sull’orlo della menopausa che, in fondo, pensavano la stessa cosa: «Guardate che Marx, dietro al suo materialismo, ha nascosto il fatto che la materia non esiste. È una delle versioni più geniali della gnosi. Attraverso l’esaltazione della materia, viene proclamata la sostanziale esistenza del solo spirito. I corpi non contano nulla, sono creati da un dio cattivo e se ne può fare quello che si vuole. Si possono macellare nelle rivoluzioni o renderli luminosi nella meditazione, ma non cambia nulla».
    Il Fondatore, ammirato, assentiva.
    Ogni tanto, mi lanciava un’occhiata complice e io, bevendo, ammiccavo. Intanto, continuavo a chiedermi perché non mi avesse cacciato con i due Santommaso. Forse, mi stava leggendo nel pensiero, perché alzò un solo dito dal bracciolo e questo, anche per me che non lo avevo mai visto, significava che dovevo avvicinarmi. Non si disturbò a guardare verso di me. Quando annusò la mia presenza e capì che avrebbe potuto parlare sottovoce, disse: «Cravatta ineccepibile, si riconoscono subito le persone di classe». Poi, con lo stesso dito alzato, mi congedò. In effetti, le cravatte erano il mio punto forte. E quella sera ne portavo una uguale a quella del Fondatore.

    Nel frattempo, Levousé parlava, il Fondatore ascoltava e io bevevo cercando di non pensare all’odore di jungla e di tigre che mi avvolgeva. A ogni pensiero di Levousé, il salotto assentiva e a ogni assenso del salotto l’odore entrava sempre di più nel mio cervello. Ecco perché bevevo.
    Devo riconoscerlo, non sono un uomo da cocktail. Posso reggere anche una bottiglia abbondante di whisky, ma gli intrugli proprio non fanno per me. Al quarto Negroni ero completamente partito. Al quinto, quando Levousé disse con aria ilare e trullare «Signori, tutti qua, si gioca a shangai », non riuscii a contenere la fase più sonora della digestione, urlai che sapevo benissimo chi fosse e stramazzai sul tappeto persiano da centomila euro.
    Quando mi risvegliai, il Fondatore era ancora seduto in poltrona, con le mani sui braccioli e mi guardava con lo stesso sorriso complice con cui lo avevo lasciato giusto un attimo prima di rovinare per terra. «La mia cravatta deve proprio averlo colpito» borbottai mentre cercavo di rialzarmi.
    «Più che altro, lo ha colpito uno stiletto. Dritto al cuore» disse Ag Santommaso. «Certo che se, ogni volta che si risveglia, accanto a lei c’è un morto, c’è da sperare di non farle mai la balia…»
    «Non penserete che sono stato io?»
    «No.»
    «È stato Levousé. Quell’omuncolo non mi è mai piaciuto.»
    «Più avanti lo verifichiamo.»
    «Dovevate sentirlo.»
    «Sì, ma ora è meglio sgombrare. Tra poco qui sarà pieno di curiosi.»
    «E gli altri dove sono andati?»
    «Hanno tagliato la corda. Non è molto chic, però è molto radical. Quando hanno scoperto che uno di loro aveva fatto fuori il Fondatore, hanno pensato bene di lasciare un ubriacone sconosciuto sul posto e di chiamare la polizia. Sarà bene togliere subito il disturbo.»
    Ci infilammo giù per le scale di servizio mentre la polizia faceva irruzione dall’ingresso principale.
    «Avreste dovuto sentirlo il vostro amico Levousé. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. Eppure faceva dei discorsi da mistico, parlava del disprezzo dei corpi, del dio malvagio che li ha creati. Pare che non ci sia che l’anima per lui… Un vero teologo.»
    «No, caro amico» intervenne Mp. «Questa è pessima teologia.»
    «Come sarebbe a dire?»
    «Chi disprezza i corpi disprezza Dio che li ha creati. San Tommaso, Somma Teologica, Parte Prima, Questione 65. Secondo la tesi di certi eretici, tutto questo mondo visibile non fu creato dal Dio buono, ma da un primo essere malvagio. Ma tale posizione è assolutamente insostenibile. Tutto ciò che esiste, anche le cose materiali, hanno l’essere e possono averlo solo da un principio unico, cioè da Dio.»
    Non ebbi il tempo di gustarmi san Tommaso come avrei dovuto. In quel momento, nel vicoletto buio, a pochi passi da noi, un Levousé cencioso e dimesso stava camminando malfermo e contrariato verso il suo negozietto. Non riuscii ad agguantarlo, perché quattro mani d’acciaio mi bloccarono appena tentai di scattare.
    «Ogni cosa a suo tempo» disse Ag Santommaso. Aveva ripreso a fumare la pipa e la cosa mi rassicurò. I conti con Levousé erano solo rimandati. Nel frattempo avremmo avuto agio di mettere ordine nelle nostre idee e buttare giù qualche appunto. Facce, tipi, idee, nomi: avevamo tutto in testa. Non avrei mai potuto farne un pezzo per il mio giornale.
    Ma i fratelli Santommaso dissero che sapevano loro a chi passare il materiale. Due loro amici, evidentemente due pazzi della loro risma, ne avrebbero fatto volentieri un libro, un’inchiesta sui nemici della Verità. Be’, qui avevano materiale per cominciare il loro libro alla grande.
    Li ho conosciuti, poi, questi due amici: la fotografia sputata dei Santommaso, simpatici preciso a loro, con il gusto di mettersi nei guai preciso a loro, con la fissa di Tommaso d’Aquino preciso a loro. A ogni modo, con le schede segnaletiche che trovate qui di seguito, devo dire che hanno fatto un buon lavoro.
    Scheda 1
    EUTANASIA DI UNA RIVOLUZIONE
    Il comunista terminale
    A conoscenza di chi scrive, in Occidente è rimasto un solo vero, serio e solido comunista. Si chiama Carlo R. ed è uno che si commuove pensando ai bei tempi di Baffone, piange al suono dell’Internazionale, non vede l’ora di morire per farsi avvolgere nella bandiera rossa con falce e martello e assomiglia a Pino Rauti. Carlo R., che abita nel Levante genovese e recita a memoria brani della Messa in latino e interi capitoli del Don Camillo, quando lo si interpella sulla caduta del muro di Berlino ha un tuffo al cuore e, con enfasi non priva di dolore, proclama: «Per me non è caduto un cacchio». In realtà, Carlo R. non si esprime in linguaggio così urbano, ma in una gustosa parlata ligure che tradurre sarebbe come profanare. Chi ha pratica di mondo può immaginarla.
    Questo capitolo non tratta di lui, che, come Peppone, vive nel sogno di un socialismo profumato dalla redenzione del proletariato. Tratta di coloro che respirano avidamente il fetore nauseabondo dell’idea comunista in putrefazione.
    Qui non si parla di un vivo che teme di morire, ma di moribondi convinti di essere in buona salute.
    Carlo R. non è un comunista terminale. Lui non ha esultato quando, nel novembre 2008, l’ex deputato di Rifondazione comunista Guadagno Wladimiro, meglio conosciuto come Vladimir Luxuria, ha trionfato all’Isola dei Famosi battendo in finale Belen Rodriguez. Non sapeva che la vittoria in un reality show di un omosessuale che si è pompato il seno, rifatto il naso, depilato permanentemente e autodefinito transgender è una vittoria del proletariato.

    Carlo R. è rimasto indietro di due o tre aggiornamenti della rivoluzione. Tanto che, fin dal 2006, all’epoca della candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del suo partito, aveva commentato il fatto con espressioni così colorite e così politicamente scorrette da finire sotto accusa per deviazionismo fascio-clerico-leghista. Nuovo tipo di deviazionismo che, in seguito agli aggiornamenti della rivoluzione, ha sostituito quello borghese, in base al quale oggi anche i cosiddetti probi viri del partito finirebbero diritti sul banco degli imputati.
    Contrariamente a Carlo R., il comunista terminale vede nella causa del transgender Luxuria la nuova frontiera della rivoluzione e, da questo punto di vista, ha perfettamente ragione. Ha capito che la rivoluzione procede di negazione della distinzione in negazione della distinzione. Il comunista terminale ha compreso che il processo rivoluzionario parte dalla negazione delle diversità dovute alla vita sociale, alla cultura, ai costumi, alle tradizioni per arrivare fino alla presunzione di cancellare la diversità più evidente decretata dalla natura: quella tra maschio e femmina. La proclamazione dell’equivalenza tra uomo e donna è l’esercizio massimo e ultimo dell’ideologia rivoluzionaria, oltre il quale c’è solo la negazione della distinzione tra uomo e Dio. Ma, si sa, per il rivoluzionario Dio non esiste, altrimenti non sarebbe rivoluzionario.
    Il comunista terminale vive beato in un mondo infettato dall’ideologia egualitaria in cui esiste una sola eccezione: lui stesso. Lui, secondo la migliore applicazione della prassi leninista, appartiene all’avanguardia che ha il dovere e il diritto di tracciare la strada lungo la quale poi procederà il popolo bue: uguale, ma non del tutto. Le cattedre non gli mancano, perché ha smesso da tempo di fare l’operaio e si è dato alle professioni intellettuali. Insegna nella scuola pubblica e privata, lavora nelle case editrici, ha colonizzato i giornali, fa televisione, non di rado si esibisce dai pulpiti.

    Semina, coltiva, raccoglie. Poi, quando è il momento, proclama la vittoria, come ha fatto «Liberazione» con il trionfo di Luxuria sull’Isola dei Famosi.
    «Un duello epico» ha scritto il quotidiano comunista.
    «Vladimir contro Belen, la trans contro la donna vera. Il risultato, strepitosamente, spariglia le carte. […] Il momento più brutto è stato quando si sono trovate l’una davanti all’altra.
    Belen, la donna bella, secondo il pregiudizio l’unica donna vera, contro Vladimir la pasionaria, la donna che ha scelto di essere donna. Due donne, due storie, due modelli, due culture. Lì siamo rimasti col fiato sospeso, abbiamo temuto che Vladimir non ce la facesse.»
    Ma poi Vladimir ce l’ha fatta. E allora gli italiani, che quando votano alle elezioni sono dei poveri imbecilli perché fanno vincere Berlusconi, quando invece tele votano all’Isola dei Famosi diventano dei raffinati intellettuali perché fanno vincere il compagno transgender Guadagno Wladimiro. Non fa niente se la televisione, fino al giorno prima, è stata considerata spazzatura per minorati mentali: il giorno dopo diventa uno strumento della rivoluzione, una corazzata Potëmkin che spara sui cattivi soldati zaristi del terzo millennio.
    Come aveva scritto Karl Marx: «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta in tragedia e la seconda in farsa». E qui, come si può immaginare, la tragedia è passata da un pezzo. Ma non fa nulla, perché il comunista terminale, con grande sprezzo del ridicolo, vive dei miasmi esalati dalla tragedia in avanzato stato di decomposizione.
    Aiutata da pietosa e farsesca eutanasia, munita del conforto dei suoi cinici cari è morta una fase della rivoluzione e, dal suo stesso cadavere, ne nasce un’altra. Si volta pagina.
    Così, aiutato anche dal fatto che il cashmere logora chi non ce l’ha e che il toscano adesso si fuma nei salotti, il comunista terminale ha sterzato decisamente sul versante “radical”. Visto che “chic” lo era già, come resistere alla tentazione di mettere insieme le due cose? E infatti non ha resistito.

    Al diavolo le volgari rivendicazioni salariali, al diavolo le nuove povertà e al diavolo anche le vecchie. È arrivato il momento di radicaleggiare. Chi meglio del compagno terminale Fausto Bertinotti, nonostante ora sia stato messo un po’ in ombra dalle batoste elettorali, incarna il prototipo del cattivo maestrino dalla penna rossa esperto di rivoluzione permanente? Durante l’ultimo governo Prodi, Bertinotti era presidente della Camera, terza carica dello stato, e da quell’autorevole scranno nel 2007 spiegò che serviva «una grande battaglia politica e culturale in Parlamento e nel paese sui Dico e sui diritti civili. Come ai tempi del divorzio».
    Qui bisogna aprire una parentesi perché il suo successore alla terza carica dello stato, onorevole Gianfranco Fini, pur appartenendo al fronte politico opposto, sostiene gli stessi argomenti. Sarà la presidenza della Camera che produce effetti indesiderati. Ma di questo ci occuperemo nell’apposita sezione.
    Ora chiudiamo la parentesi perché il compagno terminale Bertinotti sostenne che la battaglia culturale e politica sui Dico sarebbe stata possibile solo mettendo insieme «sinistra radicale e riformista, laici e liberali». E, sino a qui, l’onorevole Fini non è ancora arrivato.

    Non sfuggirà che il fondatore di un partito chiamato Rifondazione comunista, riferendosi al suo schieramento, non parlò di “comunisti” ma di sinistra radicale. Tale terminologia spiega un fenomeno del quale bisogna prendere atto: quel che resta del vecchio Pci, nei diversi tronconi che vanno da Fassino a Bertinotti, Diliberto, Luxuria e Nichi Vendola, si è trasformato in una sorta di partito radicale di massa: più agguerrito, più numeroso e persino, se mai fosse possibile, più cinico del plotoncino pannelliano.
    Detto questo, non stupisce se il povero Carlo R. si è trovato alle corde, accusato di deviazionismo fascio-clerico-leghista quando ha espresso il proprio parere sulla candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del partito che avrebbe dovuto rifondare il comunismo. Il povero Carlo R. è rimasto al Pci che faceva il Pci. Al partito che, come ricordava Massimo Caprara che ne fu il braccio destro, ebbe in Palmiro Togliatti un deciso avversario dell’aborto. Al partito che, con l’inserimento della norma sui corpi sociali nella Costituzione, non pensava certo di dare il via libera al matrimonio degli omosessuali. Al partito che espulse per indegnità morale Pier Paolo Pasolini a causa della sua omosessualità.
    Con ciò, non si vuole rimpiangere Togliatti e il suo Pci.

    Ma solo mettere in guardia i gonzi che pensano di poter trattare impunemente con gli eredi di quella storia e di quei metodi. La piazza evocata dal comunista terminale non è altro che un immenso Hotel Lux, l’albergo al civico 10 di via Gorkij a Mosca in cui ai tempi del Komintern dimoravano gli alti funzionari del partito e i capi dei partiti comunisti stranieri. Ruth Fischer von Mayenburg lo ricorda così: «Qui si discuteva, si cospirava e a volte si taceva in preda a un’angoscia di morte. Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie».
    La von Mayenburg fu tra i fortunati che riuscirono a sopravvivere alle purghe staliniane degli anni Trenta. Allora tentò persino di giustificare quella carneficina di compagni traditori in nome dei grandi ideali e del grande fine ultimo della rivoluzione. Se avesse immaginato che i suoi sogni sarebbero naufragati sull’Isola dei Famosi con Vladimir Luxuria al comando di Simona Ventura, avrebbe certamente seguito l’insegnamento marxista completando il suo pensiero all’incirca così: «Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie che un giorno diventeranno farse».
    In effetti, la deriva dei cattivi maestri della sinistra ton sur ton fa pensare a Marx: ma non a Karl, a Groucho.
    Eppure non c’è niente da ridere.
    IDENTIKIT
    • Dove opera
    Parlamento (quando riesce a farsi eleggere), cattedre, scrivanie, strapuntini, reality show, non di rado i pulpiti. Disdegna le piazze, così rozze.
    • Come riconoscerlo
    Cashmere, pantaloni con le pence, scarpe su misura, cravatta all’uncinetto: se parla di operai, è un industriale; se si lamenta perché Cortina è sovraffollata, è lui.
    • Come difendersi
    Avvicinatevi con una pagnotta, un etto di mortadella e un bottiglione di Manduria. Dategli del tu e offrite con generosità. Se per caso accetta, allora dovete anche prenderlo in braccio come fece Benigni con Berlinguer. Ma non ce ne sarà bisogno, fuggirà prima. Voi non siete Benigni.




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 23/04/2011 09:20
    Intervento del cardinale Donald W. Wuerl arcivescovo di Washington

    Il compito dei vescovi
    e quello dei teologi


    WASHINGTON, 22. I vescovi sono i maestri nella fede.
    E il lavoro, per quanto importante, dei teologi può essere correttamente inteso solo nella comunione della fede della Chiesa.

    È la puntualizzazione dei vescovi statunitensi che tornano sull'opera di suor Elizabeth Johnson, teologa e autrice del discusso libro Quest for the Living God. Mapping the Frontiers of the Theology of God. A intervenire, in particolare, è il cardinale arcivescovo di Washington, Donald William Wuerl, presidente della commissione episcopale per la dottrina, il quale, lunedì 18, ha redatto una nota - inviata a tutti i presuli statunitensi - che delinea e chiarisce il rapporto tra vescovi e teologi. Dichiarazione che fa seguito alle preoccupazioni espresse, in un comunicato dell'8 aprile scorso, da alcuni esponenti della Catholic Theological Society of America, scesi in difesa del lavoro della religiosa.

    Circa un mese fa - il 24 marzo - la stessa commissione episcopale ha pubblicato, infatti, un documento in cui sono state espresse severe critiche al libro in questione, ritenuto "non conforme all'autentica dottrina cattolica su punti essenziali". In particolare, si è rimproverato alla religiosa, docente di teologia sistematica presso la Fordham University di New York - ateneo gestito dai gesuiti - di non prendere la fede della Chiesa come "punto di partenza" del suo lavoro e di criticare in maniera "radicale" la "concezione di Dio rivelata nella Scrittura e insegnata dal magistero". La sua opera è viziata da una serie di "travisamenti, equivoci ed errori" e giunge a conclusioni "teologicamente inaccettabili", su questioni fondamentali come, per esempio, il mistero della Trinità, il rapporto con le religioni non cristiane e il linguaggio usato nelle Scritture.

    Il cardinale Wuerl torna adesso a sottolineare che "è specifica competenza e responsabilità dei vescovi insegnare la fede nella sua interezza".

    E, citando un documento del 1992 della stessa commissione per la dottrina - The Teaching Ministry of the Diocesan Bishop - ribadisce che il ruolo dei vescovi è quello di stabilire la "corretta interpretazione della Scrittura e della Tradizione affidate alla Chiesa" e di giudicare "l'accuratezza" della presentazione della dottrina rivelata.

    Il porporato sottolinea poi l'importanza dell'opera dei teologi e la necessità della loro collaborazione con l'episcopato. "È un privilegio dei teologi poter scavare più profondamente e sistematicamente il significato della fede, secondo l'antico adagio, fides quaerens intellectum. Dal momento che questa fede è trasmessa dalla Chiesa attraverso il ministero del magistero, il vescovo e il teologo hanno un rapporto speciale che può e deve essere reciprocamente arricchente". E, citando nuovamente il documento del 1992, si sottolinea che la Chiesa "non può esistere" senza il ministero del vescovo né progredire senza il lavoro del teologo. "I vescovi beneficiano e del lavoro dei teologi, mentre i teologi acquisiscono e una comprensione più profonda della rivelazione, sotto la guida del magistero".

    Il cardinale Wuerl paragona quindi il vescovo a un arbitro in un incontro sportivo, e afferma che è responsabilità del vescovo intervenire in presenza di punti controversi e dichiarare se certe idee teologiche siano o meno in accordo con la fede della Chiesa. In ogni caso, la commissione dottrinale dell'episcopato statunitense "non intende soffocare la legittima riflessione teologica, o impedire il proseguimento del dialogo, ma vuole garantire che l'insegnamento autentico della Chiesa, riguardante la dottrina e la morale, sia chiaramente indicato e affermato".

    E l'intervento sul libro della Johnson è motivato anche dal fatto che il volume in questione non è diretto in maniera particolare ai teologi di professione, bensì viene comunemente utilizzato come "strumento didattico" dagli studenti, molti dei quali alla ricerca dei fondamenti della fede cattolica.



    (©L'Osservatore Romano 23 aprile 2011)








    Il Santo Padre ha sollevato dalla cura pastorale della Diocesi di Toowoomba (Australia), il Vescovo William M. Morris

    Foto : Il Vescovo Mons. William Morris ( al centro ) in un incontro ecumenico



    Papa/ Solleva da incarico vescovo australiano pro preti sposati. Mons. William Morris di Toowoomba: Mie parole equivocate



    Città del Vaticano, 2 mag. (TMNews) – Il Papa ha sollevato dall’incarico mons. William M. Morris, vescovo australiano di Toowoomba.
    Il presule, ieri, aveva inviato ai suoi fedeli una lettera per preannunciare la decisione di non rassegnare le dimissioni.
    Cinque anni fa, il presule aveva espresso l’auspicio che la Chiesa fosse più aperta nei confronti dell’ipotesi di concedere il sacerdozio a uomini sposati e a donne. Nella missiva, mons. Morris ricorda che un gruppo di fedeli che non condivideva le sue idee e che le ha equivocate, negli anni scorsi, lo aveva denunciato alle autorità, inducendo la Congregazione vaticana dei vescovi ad aprire un’indagine.
    Il vescovo americano Charles Chaput ha guidato la visitazione che poi ha portato il Papa alla decisione di sollevarlo.


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    ALTRI ATTI PONTIFICI

    CITTA' DEL VATICANO, 2 MAG. 2011 (VIS). Il Santo Padre ha sollevato dalla cura pastorale della Diocesi di Toowoomba (Australia), il Vescovo William M. Morris.
    .../ VIS 20110502 (30)




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    Gli errori del Prof. Andrea Grillo

    di don Alfredo M. Morselli

    Il prof. Andrea Grillo, ha recentemente espresso, sul blog di P. Augé, grandi perplessità sulla recente istruzione Universae Ecclesiae della Commissione “Ecclesia Dei” (vedi qui).

    L’obiezione più importante - e quella che regge le tutte le altre - è l’affermazione che tutto il complesso di documenti in materia (Summorum Pontificum, Lettera ai Vescovi, recente istruzione) sarebbe un “monstruum” giuridico. Ecco qui una frase che riassume il suo pensiero:

    “Se all’improvviso – e non si sa ancora in base a quale principio giuridico o tradizionale – un rito “non più vigente”, superato dalla versione riformata dello stesso, torna magicamente in vigore e pretende di valere in parallelo rispetto a quello che lo aveva intenzionalmente emendato, rinnovato e superato, tutto subisce una sorta di deformazione irrimediabile”.

    Nonostante le lamentele del prof. Grillo, i principî giuridici e tradizionali per una simile operazione ci sono eccome; e questi principî non sono solo giuridici, ma teologici: e come si sa, il diritto della Chiesa si fonda sulla teologia della Chiesa.

    Il punto debole del nostro autore sta nel fatto che egli ritiene implicitamente il Papa soggetto a una qualche forma di diritto positivo ecclesiastico; cosa teologicamente infondata, perché il Romano Pontefice, compendia in sé e da solo, tutta la Sacra Potestas di Gesù Cristo e tutto il Munus regendi Ecclesiae (nient’altro che il munus petrino delle chiavi).

    Il munus regendi di cui partecipano i Vescovi per via della collegialità, deriva da una divisione analogica, - e non quantitativa - della Sacra Potestas, che, come dicevamo, il Papa ha tota et totaliter: la Sacra Potestas, propria del Papa, è partecipata (quindi non spartita) con il Collegio dei Vescovi.

    Inoltre questi ultimi la esercitano legittimamente solo quando sono cum Petro e sub Petro, perché senza Pietro conterebbero come il due di coppe briscola spade (mi si perdoni il termine terra-terra).

    Anche se la Sacra Potestas dei Vescovi è radicata nella loro ordinazione episcopale (quindi ammettiamo qui la sacramentalità dell’episcopato), in virtù della sacra ordinazione questa potestas costituisce solo uno ius ad rem e non uno ius in re, è solo in potenza e non in atto: è in atto quando è cum Petro et sub Petro e quando non travalica la missio canonica ricevuta dal Romano Pontefice.

    In questo senso San Paolo scriveva ai Corinti: “Noi invece non ci vanteremo oltre misura, ma secondo la misura della norma che Dio ci ha assegnato, quella di arrivare anche fino a voi” (2 Cor 10, 13)

    Si comprende facilmente dunque come è verissima la frase attribuita talvolta al beato Pio IX: “La Chiesa sono io”. E i buoni Gesuiti della Civiltà cattolica così scrivevano:

    “ci ha un senso vero, in cui può dirsi che il Papa è la Chiesa; intendendo per Chiesa non l'aggregazione di tutti i fedeli sotto la guida dei legittimi Pastori (nel qual senso la proposizione sarebbe assurda), ma intendendo per Chiesa la suprema potestà governatrice della medesima e il fonte di tutta l'ecclesiastica giurisdizione. In questo senso come può dirsi che Cristo è la Chiesa, cosi lo stesso può dirsi del Papa, la cui autorità non è che l'autorità stessa di Cristo, di cui il Papa tiene in terra le veci” (XXVII, 26/3/1877, p 289).

    Quindi, anche se – ammesso e non concesso – i predecessori di Benedetto XVI avessero voluto, promulgando i nuovi testi liturgici, abolire i precedenti, non può un Pontefice romano, in materia di diritto positivo ecclesiastico – vincolare i suoi successori.

    Benedetto XVI potrebbe benissimo dire: “Paolo VI ha abolito il vetus?” E allora? Io gli restituisco piena cittadinanza”.

    E, sempre per quanto riguarda le norme di diritto positivo ecclesiastico (e non solo), un Papa è superiore al Concilio, in quanto lo comprende e questo non ha forza se non in quanto è cum Petro e sub Petro

    Né il Pontefice è un capo di governo soggetto a una qualche corte costituzionale, per cui i suoi atti di governo possono essere esaminati da questa. Il Romano pontefice non è giudicato da nessuno: prima sedes a nemine iudicatur.

    Quindi, l’affermazione del prof. Grillo “un rito “non più vigente”, superato dalla versione riformata dello stesso, torna magicamente in vigore”, è tendenziosa. Anche ammettendo - e non concedendo - che la forma extraordinaria del rito romano non fosse più vigente, non è magicamente che torna in vigore, ma per il normale, legittimo, sacrosanto esercizio del munus petrino da parte del Romano Pontefice.


    ***********************************************

    APPELLO!

    Ora, comprendo che al momento il cardinale Bagnasco è alle prese con un tema scottante e becero, tuttavia sarebbe il caso che lo stesso si prodigasse per cominciare a far piazza pulita a Genova anche da chi i bambini e gli adolescenti non li tocca, ma non per questo è meno pericoloso....  
     
    Eminenza reverendissima, come mamma, educatrice e Catechista, le posso assicurare che ci sono molti modi per FARE VIOLENZA A UN MINORE.... LA SEDUZIONE non è solo a sfondo sessuale, molti giovani subiscono LA PERVERSIONE DOTTRINALE, LA PROSTITUZIONE DOTTRINALE NEI DEVASTANTI INDOTTRINAMENTI che li allontano sempre di più dalla Liturgia e dai Sacramenti....  
    Non siate severi solo quando deve intervenire la Magistratura.... SIATE SEVERI anche in casi come questi, LIBERATECI dai teologi del "fai da te" preti o laici che fossero.... preservate L'INNOCENZA dei Bambini nella fede autentica dei semplici, nella bellezza del santo Rosario, nella meravigliosa innocenza delle Ave Maria, nei gesti di adorazione Eucaristica.

    ....ecc..ecc..ecc... 


    [Modificato da Caterina63 16/05/2011 22:03]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 19/05/2011 14:00

    E' iniziato un po' di repulisti episcopale?

    Mons. Morris, ex vescovo di Toowoomba


    Gli episcopati progressisti del mondo intero non nascondono la loro inquietudine e preoccupazione, come traspare ad esempio dalla reazione del quotidiano officioso della Conferenza episcopale francese La Croix al dimissionamento forzato dell'eretico vescovo di Toowoomba (Australia), mons. Morris, il quale propugnava l'ordinazione al sacerdozio cattolico di donne, gay e perfino pastori di confessioni protestanti senza che, naturalmente, questi ultimi dovessere cambiare alcunché della loro fede.

    Magister ha ricostruito la cronistoria precisa delle sfide di questo Morris a Roma e al Papa, e l'infinita durata del procedimento per rimuoverlo: che si è finalmente concluso, senza che al figuro sia stata nemmeno assegnata una nuova sede episcopale in partibus; neppure per Gaillot, il vescovo ribelle francese di Evreux (sede davvero infelice: oggi la regge Nourrichard...) si era arrivati negli anni '90 a tal punto: Gaillot era stato infatti nominato vescovo della diocesi di Partenia (città che non si sa nemmeno più dove fosse, inghiottita dalle sabbie del Sahara). Mettiamola così: oggi Morris è l'unico vescovo cattolico "in comunione" con Roma senza una sede; ci sarebbero, è vero, anche i quattro vescovi lefebvriani senza sede, ma quelli, si sa, non sono "in piena comunione" come invece è a tutti gli effetti l'ex vescovo di Toowoomba; quanto ciò abbia senso, è un altro discorso.

    La rimozione del rifiuto tossico di Toowoomba segue provvedimenti analoghi, sia pure motivati da altre ragioni, che hanno visto il forzato abbandono delle loro diocesi da parte del vescovo di Orvieto (le cui scomposte reazioni successive al dimissionamento sono, per inciso, la migliore dimostrazione dell'opportunità di quell'allontanamento), nonché, l'anno scorso, la quasi inosservata revoca di mons. Loemba, vescovo congolese (di quello che una volta si chiamava Congo-Brazzaville per distinguerlo dal Congo-Leopoldville e ora, sinceramente, non so: tutti i momenti quegli stati cambiano nome).

    Ora nel mirino ci sono, a quanto pare, tre vescovi spagnoli, accusati di non essersi voluti dimettere dal consiglio di amministrazione di due ospedali catalani dove si praticano aborti: il trad-hater cardinale arcivescovo di Barcellona Luis Martinez Sistach e due suoi suffraganei, i vescovi Augustin Cortés Soriano (di Sant Feliu de Llobregat) e Josep Angel Saiz Meneses (di Terrassa). Trovate tutti i particolari sul sito di LifeSiteNews, ripreso da Osservatore Vaticano.

    Per carità, è del tutto impossibile che si arrivi alla loro rimozione; l'accusa è grave ma non al llivello delle colpe del vescovo Morris ed anche politicamente sarebbe controproducente, ma è confortante vedere che le malefatte episcopali ormai diventano, da un lato, conosciute al grande pubblico di tutto il mondo (e ringraziamo per quello internet), dall'altro oggetto di attenzione, non più del tutto impotente, da parte di Roma.

    Inutile però questo pur indispensabile lavoro vaticano di "custodire i custodi", se poi alcune nomine episcopali perpetuano il vecchio errore di scegliere persone il cui curriculum lascia già chiaramente presagire che combineranno alla Chiesa grossi guai (vedi qui).

    da Enrico di Messainlatino

    ***********************************************

    alcune mie considerazioni:

    Caro Enrico....io credo che qui pesino molto alcuni fattori....  
     
    Enzo Bianchi ha scritto un testo ALLARMANTE (per lui ) e drammatico su Jesus di aprile 2011, quindi un mese fa... e nel quale si domanda: DOVE STA ANDANDO LA CHIESA?  
    è ovvio che la sua domanda è per LA DELUSIONE al fatto che il suo "credo" si stia sbriciolando....e tuttavia ci trascina dentro, con ottime ragioni, la Gerarchia....  
    il Bianchi si chiede, sulla Riforma che sta avvenendo:  
     
    Tanta fatica per cambiare, quasi cinquant’anni fa – uno sforzo compiuto con entusiasmo ma a volte anche a prezzo di sofferenza e sottomettendo le nostre nostalgie personali al bene della vita ecclesiale – secondo le indicazioni del concilio e del papa: e oggi? Perché ci sono presenze nella chiesa che vorrebbero spingerci a essere con il papa contro i vescovi oppure con i vescovi contro il papa, persino quando si tratta di celebrare l’eucaristia, luogo per eccellenza della comunione ecclesiale?  
    Si dice che il cammino ecumenico è irreversibile, ma poi vediamo che molti vorrebbero correggere la sua comprensione consegnataci dal Vaticano II.  
     Papi e vescovi ci hanno insegnato che il vero ecumenismo non significava ritorno alla chiesa cattolica, bensì cammino verso un’unità che i cattolici confessano essere un principio già presente nella loro chiesa, ma che deve essere ancora completata, in quanto mai piena nelle diverse forme e convergenze.  
    Abbiamo forse avuto vescovi e papi come “cattivi maestri”? E i “gesti” così eloquenti compiuti dagli ultimi papi erano forse temerari, favole da non prendere sul serio?  
     
    ****************  
    come dargli torto? Embarassed  
     
    gravissimo è quanto dice Bianchi qui, e che è VERO!!  
     
     Papi e vescovi ci hanno insegnato che il vero ecumenismo non significava ritorno alla chiesa cattolica, bensì cammino verso un’unità che i cattolici confessano essere un principio già presente nella loro chiesa, ma che deve essere ancora completata, in quanto mai piena nelle diverse forme e convergenze.  
    Abbiamo forse avuto vescovi e papi come “cattivi maestri”?  
     
    **********  
     
    qui non basta cambiare i vescovi quando ESCONO ALLO SCOPERTO..... è indispinsabile nominare Vescovi INCORROTTI!!!!  
    Vescovi che non insegnano l'ambiguità e il SINCRETISMO....  
    Bianchi avrà tutti i difetti di questo mondo, ma ciò che ha detto è la verità, quella verità SCOMODA che l'amata Gerarchia finge ancora di non vedere....  
    E se vi è per noi GIUBILO per le ammissioni di Bianchi perchè sottolineano UNA DISFATTA palese di certo catto-modernismo, è altrettanto vero che abbiamo poco da giubilare, perchè ciò che dice essendo vero non fa altro che confermare la gravissima CONFUSIONE, AMBIGUITA' in cui viviamo perchè, parlando di SINCRETISMO, questo non si esplica solo nel mondo interreligioso, ma anche DENTRO LA CHIESA quando si fa comprendere ai fedeli, come scrive Bianchi, una via CHE POI RISULTA ESSERE SBAGLIATA... quando mai infatti la Chiesa avrebbe insegnato che NON E' NECESSARIO CONVERTIRSI ALLA CHIESA? eppure non è solo Bianchi ad aver capito che questo la Gerarchia insegnava, ma migliaia di cattolici lo hanno creduto....e chi ha baciato il Corano, firmando in tal modo la credibilità di quanto Bianchi dice, è stato fatto BEATO....  
    in questo modo i fedeli non comprendono più nulla....  
    Bianchi ha ragione da vendere..... gli auguro tuttavia che invece di gettare la spugna, si prodighi per SCOPRIRE LA VERITA', di smettere i panni del novello monaco sincretista e di attivarsi per dire ai VESCOVI DI COME SIAMO STATI TUTTI INGANNATI!

    si legga anche:

    "I silenzi del Priore di Bose" [e le parole contro il Summorum Pontificum, n.d.r.]

    di S. Magister, da Settimo Cielo - l'Espresso blog


    L’ultimo numero del mensile dei paolini “Jesus” ha dedicato la copertina e un trionfale dossier di 33 pagine alla comunità di Bose e al suo fondatore e priore Enzo Bianchi.
    Nei rilanci che il dossier ha avuto sui media, la maggiore evidenza è stata data a un lamento che Bianchi canta e ricanta da anni: sull’afonia del laicato.
    In politica e nella Chiesa, dice, i laici “è come se non ci fossero più”, perché “la voce che spettava loro l’hanno assunta alcuni vescovi”.
    Al silenzio, però, anche Bianchi dà il suo personale contributo, questa volta come le tante volte precedenti. Mai che dica fino in fondo, apertis verbis, con chi se la prende e perché. Mormora e allude. Lascia intuire. Ma nomi e cognomi, zero.
    Eppure i suoi sottintesi bersagli non sono da poco. Sono i vertici della Chiesa italiana e mondiale.
    Nell’intervista che ha dato a “Jesus”, Bianchi applica questo suo dire e non dire prima alla Chiesa universale, alludendo al motu proprio “Summorum pontificum” come a causa aggravante dei suoi mali:
    La Chiesa tutta vive in uno stato di depressione, in cui le convinzioni forti appaiono solo quando sono contro gli altri, in una guerra continua di fazione. Altrimenti, sembra che nessuno sia convinto di niente. La cosa più grave è che il cuore di tutto questo scontro è l’Eucaristia: i servi della comunione ne fanno luogo di divisione”.
    E poi alla Chiesa italiana, con nel mirino la leadership attuale e passata della conferenza episcopale:
    Per ciò che riguarda la Chiesa italiana, in particolare, vedo due mali. Il primo è l’afonia del laicato: i cristiani in politica è come se non ci fossero più, c’è stata sovente una forma di sconfinamento, per cui la voce che spettava loro l’hanno assunta alcuni vescovi. Tutto questo ha provocato nell’ultimo ventennio una situazione un po’ desolata, non c’è più soggettività laicale. Forse oggi si intravede un risveglio. Spero sia un nuovo inizio dopo un tempo di depressione. (omissis)"

    per leggere tutto l'articolo si veda qui





    [Modificato da Caterina63 19/09/2011 12:12]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 30/06/2011 00:45
    LA VERGOGNOSA LETTERA DI UN PRETE PER LA NOMINA DEL CARDINALE SCOLA ALLA SEDE MILANESE

    (don) Di Capitani sulla nomina del Card. Scola ad Arcivescovo di Milano.

    Sulla pagina iniziale del sito dell'Arcidiocesi di Milano (chiesadimilano.it) si legge un gentile (un po' lezioso, ma diplomaticamente dovuto) saluto di benvenuto al nuovo Arcivescovo: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore - Il Card. Angelo Scola è il nuovo Arcivescovo di Milano".



    Sul sito di don (?) De Capitani , si legge quanto segue (e chiediamo perdono a Dio per lui -vergognandocene-). E' superfluo, per ora, ogni commento. Per quanto si conoscano Giorgio De Capitani e le sue farneticazioni deliranti, lo sdegno e l'incredulità per ora ci tolgono le parole.

    La Diocesi di Milano è in lutto
    "
    Benedetto colui che viene nel nome del Signore”:
    così il sito della Chiesadimilano.it
    dà il benvenuto al neo cardinale. [caso mai al neo arcivescovo di Milano, n.d.r.]
    “Benedetto colui che viene nel nome del…”
    Ho letto bene? In nome di quale dio?
    Non può essere benedetto dal Signore
    colui che viene nel nome
    - di un vaticano che si è fatto finora inculare
    dal Porco maledetto,
    sostenuto anche dalla mafia ciellina
    - di un gioco politico di poteri occulti
    - di quella oscena diplomazia gerarchica
    che riesce comunque, col solito metodo machiavellico,
    a risistemare gli squilibri…
    il tutto per rimettere la Diocesi più grande del mondo,
    quella che ultimamente ha ricevuto un’impronta particolare
    da Martini e da Tettamanzi,
    sul binario morto di una religione
    ermeticamente chiusa all’Umanesimo.
    È vero che Tettamanzi ha “scherzato col fuoco”,
    ma a pagarla adesso è l’intera Diocesi.
    Ma noi non lo permetteremo!
    E che dire di tutte le fughe di notizie
    dettagliatissime e puntuali
    sul nome di un nomina che doveva rimanere segreta
    fino alla data del 26 giugno,
    giorno di festa per la beatificazione dei tre milanesi,
    per rispetto di una promessa fatta a Tettamanzi?
    Il nome di Angelo Scola
    - già bruciato precedentemente per diverse ragioni,
    tra cui l’età e la sua appartenenza ciellina –
    è uscito prepotentemente dopo la vittoria di Pisapia.
    Che il vaticano sia pieno di talpe lo sappiamo,
    e sappiamo anche quanto sia inaccessibile
    quando si tratta di coprire scandali, affari loschi,
    quel turpidume che da secoli alberga nella casa di Dio.
    Mi fermo per ora.
    Riprenderò il discorso e non risparmierò nessuno.
    Angelo Scola, patriarca di Venezia,
    a Milano non sei molto gradito.
    Rinuncia,
    sei ancora in tempo.
    Non ti vogliamo come nostro pastore!
    D’ora in poi faremo capire alla Chiesa vaticana
    che non scherzeremo più col fioretto:
    Cristo dovrà pur tornare sulla terra, con la frusta in mano,
    e buttar fuori dal tempio ladri, farabutti ed escort!
    Saremo decisi:
    sorgeranno ovunque comunità di base,
    le parrocchie si auto-gestiranno,
    non ci faremo più condizionare da una pastorale cimiteriale.
    Saremo decisi:
    non ci lasceremo commuovere da parole quali:
    eucaristia, comunione, obbedienza…
    Saremo decisi:
    apriremo finalmente le porte sull’Umanità
    e renderemo le nostre comunità cristiane
    vivamente partecipi di quelle realtà problematiche
    che stanno letteralmente facendo abortire
    ogni speranza per un futuro diverso.
    Qualcuno mi ha invitato a darti una chance:
    cambierò idea se già nel tuo primo discorso ai milanesi
    farai pubblicamente un atto di abiura
    della tua fede ciellina.
    Un primo passo, anche se non basterà.

    NotaBene. ATTENZIONE
    1. Fra poco la Curia sarà invasa dalle cavallette cielline.
    2. Si deve vigilare sui beni immobili della diocesi e delle parrocchie: c’è il rischio che siano preda dei tentacoli della piovra Cdo.
    3. Ora i preti ciellini diocesani potranno respirare, e godersi la possibilità di qualche privilegio e di posti speciali di responsabilità pastorali.
    4. Attenzione ai seminari: potranno accedervi vocazioni portate all’integralismo.
    [o mamma, che pericolo! l' "integralismo" cattolico: retta dottrina, santa liturgia e rifiuto di relativismo. Che pericolosi integralismi, vero? da evitare a tutti i costi! n.d.r.]

    *******************************

    Caro "Don" Giorgio di Capitani, personalmente ho sempre evitato un filo diretto con lei pur leggendo delle sue "imprese" abbastanza note nel web....ma questa volta mi lasci dire che lei è uscito allo scoperto...e non è colpa sua...  
    Lei ha avuto uno scatto d'IRA, lei è iracondo e non perchè si è sfogato, ora, contro il cardinale Scola, lei è iracondo da sempre, usando semmai internet come la sua valvola di sfogo....e trovando ora finalmente, nel cardinale Scola, il suo prezioso capro espiatorio...  
     
    Il punto non è se Scola piace o non piace, questi sentimenti sono legittimi, ma non si addice ad un laico, men che meno ad un Prete, l'iracondia... ma esiste anche il peccato di INDUZIONE, ossia di chi l'ha condotta a questi estremi e qui il cardinale Tettamanzi e lo stesso Vicario che ora le chiede di ritirare il suo sfogo, hanno una gravissima responsabilità.... lei è stato un pessimo maestro seppur, glielo dico con franchezza, in alcune discussioni avrebbe potuto avere o avrebbe tutt'ora alcune ragioni, il danno maggiore lo hanno fatto i suoi Superiori che per anni l'hanno sopportata nonostante le centinaia di segnalazioni di fedeli che lei ha scandalizzato e continua ad ingannare con i suoi metodi sessantottini.... avrebbero dovuto sospenderla da molti anni, un Prete come lei è ciò che santa Caterina da Siena chiamava il "puzzo della Chiesa", "che fa imputridire il giardino".....  
    O forse lei crede che lo scandalo sia solo di natura sessuale o politico? 

    Senza dubbio che il coraggio non le manca, ma forse non ha ben chiara quale sia la vera BATTAGLIA che siamo chiamati a combattere.....  
    la sua immagine di Cristo e della stessa Chiesa non è certo quella di sant'Ambrogio o di san Carlo Borromeo i quali non si sarebbero mai rivolti ad un loro superiore con l'ira che la contraddisti
    ngue....L'ira infatti, non è l'occasionale esplosione di rabbia:  diventa un vizio in presenza di un'estrema suscettibilità che fa sì che anche la più trascurabile delle inezie sia capace di scatenare una furia selvaggia. Nell'iracondo infatti vi è l'impossibilità a dialogare, a saper ascoltare l'altro, non c'è in lui la pazienza e non è in grado di amare il prossimo.... lei ama se stesso e le sue opinioni e con "coraggio" le difende dandosi forza parlando perfino al plurale PER COINVOLGERE I FEDELI CHE LA SEGUONO.... lei istiga all'odio e tutto questo gli è stato permesso dai suoi Superiori....  
     
    Lei parla di un Tettamanzi che faceva "da arbitro" mentre veniva richiamato una volta dal Vicario.... ARBITRO? spero che si renda conto di qual pessimo servizio e pessima pubblicità sta facendo al cardinale uscente.... avrebbero dovuto sospenderla da molto tempo, ora si raccolgono i cocci e il guaio è che, come rammenta san Paolo, li paghiamo TUTTI, TUTTA LA CHIESA SOFFRE e non certo per la scelta del Papa che seppur non piacendo è sempre una scelta legittima e sacrosanta, ma per la grave zizzania che lei ha seminato  e per lo SCANDALO, e non solo oggi... ma da sempre a quanto pare, visto che le sue idee non sono cambiate....  
    c'è infatti da chiedersi perchè il Vicario le ha scritto solo oggi per rimuovere questo testo vergognoso quando in passato ne aveva scritti altri non meno gravi....  
     
    Caro Di Capitani, usi il coraggio che crede di avere per ben altre battaglie.... il suo fallimento è anche il fallimento e la riprova di un grave problema interno alla Chiesa che è fatto di volgarità, di sorprusi, di clericalismo, ossia, quello che a lei piace DI FARE IL PRETE dimenticandosi che lei non comanda nulla.... - le risparmio la battuta nel film del Marchese del Grillo - dimenticando che lei non è stato inviato nel mondo, come prete, per imporre la sua opinione o la sua visione di Chiesa.... lei senza quella REALTA' PETRINA E ROMANA che tanto le fa schifo, non sarebbe nulla, neppure un prete.... quindi usi il suo coraggio per dimettersi e magari per andare a zappare un pò la terra, forse un pò di lavoro forzato l'aiuterebbe a placarsi.... il lavoro manuale delle volte, aiuta molto.....  
    Dio la benedica!



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 07/07/2011 20:43

    Il Papa contro il Concilio? Secondo Andrea Grillo sì

    di Don Alfredo M. Morselli da Messainlatino


    il prof. Andrea Grillo



    Sul settimanale cattolico modenese Nostro Tempo (3 luglio 2011), è apparsa un’intervista di Stefano Malagoli al prof. Andrea Grillo; questi, rispondendo alle domande del giornalista, non ha lesinato critiche al Papa, a motivo della recente istruzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei Universae Ecclesiae.
    Le critiche da parte di Andrea Grillo al nuovo corso liturgico benedettiano non sono certo una novità [1]; ma, tra le ultime dichiarazioni rilasciate al settimanale modenese, ve ne sono alcune particolarmente gravi; l’intervistato infatti sostiene l’incompatibilità della generosa normativa di Benedetto XVI a favore dell’antica liturgia, niente meno che con quanto richiesto dal Vaticano II.
    Se così fosse, proprio Benedetto XVI, che fa dell’ermeneutica della continuità un’architrave del proprio pontificato, cadrebbe nella più clamorosa delle contraddizioni.
    Mi pare quindi doveroso prendere in esame le affermazioni del Prof. Grillo e vedere se queste sono fondate o meno.

    Queste le proposizioni che ci interessano:
    “… il Concilio Vaticano […] addita sette punti in cui il rito del 1962 (di Pio V) doveva essere modificato, mirando a maggior ricchezza biblica, alla preghiera universale, all’omelia, alla lingua parlata, all’unità delle due mense, alla concelebrazione, alla comunione sotto le due specie.
    Il rito di Paolo VI dà risposta esplicita a questa richiesta, mentre il rito del 1962 non può darla, perché è precedente a quella autorevole richiesta. Essere nutriti da questi 7 (sic) elementi nuovi è possibile, sostanzialmente, solo nel regime inaugurato dalla Riforma (sic) liturgica. (N.B.: comunione minuscolo, Riforma maiuscolo; n. d. r.)”.
    Ci sarebbero quindi, secondo Andrea Grillo, sette elementi nuovi, richiesti dal Concilio, di cui sarebbe impossibile nutrirsi con il Messale del 1962. Rispondo a queste accuse con tre nego simpliciter e quattro distinguo.


    1) I tre nego.

    Si tratta della lingua parlata, dell’omelia, e dell’unità delle due mense.


    1.1.) È chiaro e lampante che è la prassi liturgica post-conciliare che contraddice il testo del Concilio, che invece prescrive l’uso della lingua latina nella liturgia.
    S.C. 36. L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.
    Dato però che, sia nella messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.


    S.C. 54. Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale, specialmente nelle letture e nella « orazione comune » e, secondo le condizioni dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a norma dell'art. 36 di questa costituzione. Si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della messa che spettano ad essi. Se poi in qualche luogo sembrasse opportuno un uso più ampio della lingua nazionale nella messa, si osservi quanto prescrive l'art. 40 di questa costituzione.
    Oggi, in pratica, è ai fedeli partecipano alla nuova Messa che è reso impossibile essere nutriti da quanto chiede il Concilio, e non ai fedeli che partecipano alla Messa celebrata nella forma straordinaria; questi sì che sono nutriti da quanto prescrive la Sacrosanctum Concilium.
    Le letture che possono essere proclamate in lingua volgare sia nella Messa letta che in quella cantata, rispondono poi alla richiesta di una parte più ampia alla lingua nazionale, richiesta dal testo conciliare; più ampia non vuol dire esclusiva. L’attuale prassi liturgica costituisce forse il maggior allontanamento da quanto il Vaticano II prescrive in materia.


    1.2.) Per quanto riguarda l’omelia, questa è dichiarata parte integrante della liturgia, niente meno che nell’enciclica Mediator Dei di Pio XII.
    “Dovunque i Pastori possono radunare un nucleo di fedeli, erigono un altare sul quale offrono il Sacrificio, e intorno ad esso vengono disposti altri riti adatti alla santificazione degli uomini e alla glorificazione di Dio. Tra questi riti […] l'omelia con la quale il Presidente dell'assemblea ricorda e commenta utilmente i precetti del Divino Maestro, gli avvenimenti principali della sua vita, e ammonisce tutti gli astanti con opportune esortazioni ed esempi”

    Se mi si obbietta che in molte Messe la predica veniva omessa, rispondo che non è certo necessaria una riforma per dare importanza reale all’omelia; sarebbe bastato insistere – a stretto rigore logico – con quanto era già considerato importante nei documenti ufficiali. In ogni caso, non c’è assolutamente contraddizione tra l’omelia e la forma straordinaria, e niente impedisce a chi celebra con il Messale del 1962 di curare particolarmente la predicazione.


    1.3) L’unità delle due mense.

    Qui proprio non capisco le affermazioni del prof. Grillo: anche se l’espressione unità delle due mense è relativamente recente, non vedo quale opposizione vi possa essere su questo punto tra il Concilio e la forma straordinaria. Tanto più che la stessa espressione non compare neppure nella Sacrosanctum Concilium.


    2. I quattro distinguo.

    Si tratta della maggior ricchezza biblica, della preghiera universale, della concelebrazione e della comunione sotto le due specie.



    2.1.) Maggior ricchezza biblica.

    È senza dubbio vero che il Concilio chiede una lettura della Sacra Scrittura più abbondante nelle sacre celebrazioni:
    S.C. 35. “Affinché risulti evidente che nella liturgia rito e parola sono intimamente connessi:

    1) Nelle sacre celebrazioni si restaurerà una lettura della sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio scelta”.

    S.C. 51. “Affinché la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior parte della sacra Scrittura”.
    Ma ci dobbiamo chiedere se è sufficiente aumentare la quantità delle letture per obbedire al Concilio. Mai si è avuta, in una liturgia cattolica, una lectio continua che rispondesse al solo criterio di leggere tutta o gran parte della Bibbia. E questo non lo dice neppure il Concilio, ma si è verificato nell'applicazione della riforma liturgica. Inoltre dobbiamo chiederci che cosa intende il Concilio con le parole si restaurerà una lettura della Sacra Scrittura più abbondante. Evidentemente si fa riferimento ad antichi lezionari… ma sentiamo cosa dice in proposito Mons. Klaus Gamber:
    "… un gruppo di riformatori liturgici ha preparato un nuovo Lezionario per la messa e ha saputo farlo rendere obbligatorio dall’autorità ecclesiastica. Questo lavoro di alcuni innovatori ha preso il posto di un ordinamento che vigeva da più di mille anni nella Chiesa romana, e di conseguenza lo ha eliminato.

    Era di per sé positivo il fatto che le pericopi del Missale Romanum tridentino venissero arricchite da ulteriori letture. È noto, del resto, che già al tempo dell’Epistolario di san Girolamo, e ancor prima, il rito romano disponeva di una scelta di letture alternative. Talune di queste pericopi aggiuntive, ad esempio alcune per i mercoledì e venerdì per annum, si erano conservate soprattutto nei paesi di lingua tedesca e nel patriarcato di Aquileia fino ai messali a stampa di epoca pretridentina.

    Dal punto di vista del rito romano tradizionale, quindi, non vi sarebbe stato nulla da eccepire sul fatto che anche per i giorni feriali si approntassero letture proprie e per le domeniche si stabilissero cicli di letture aggiuntive. È noto che le pericopi domenicali vennero fissate in epoca relativamente tarda, come mostra le lista delle epistole conservata a Würzburg, la quale risale al secolo VIII.

    A parte il fatto che il nuovo Lezionario ha eliminato il precedente, e che è stata così interrotta bruscamente un’antichissima tradizione, il liturgista è costretto a rilevare che, nella scelta delle nuove pericopi, sono stati determinanti alcuni opinabili criteri di natura esegetica, mentre sono stati troppo poco rispettati quei criteri liturgici in base ai quali erano sempre stati scelti nella Chiesa i brani per le letture. […]

    Inammissibile dovrebbe pertanto essere giudicata la chiusa "Allora si aprirono loro gli occhi ed essi si accorsero di essere nudi", come oggi si può udire in una delle letture della Prima Domenica di Quaresima (anno A), soprattutto se si consideri che, subito dopo, il popolo deve dire "Rendiamo grazie a Dio".

    Un tempo, nella scelta dei brani del Vangelo si aveva cura di badare che in essi non mancasse mai il nesso con la celebrazione del mistero eucaristico - come Pius Parsch sottolinea continuamente nel suo Anno della salvezza. Nell’introduzione egli scrive: "Nel Vangelo il Cristo si manifesta e ci parla. Ravvisiamo nel Vangelo non tanto un insegnamento, quanto una epifania (manifestazione) del Cristo. Così il Vangelo perlopiù indica l’azione principale della celebrazione del mistero".

    Il nuovo Lezionario, invece, serve - coerentemente con lo spirito che informa il culto protestante - in primo luogo all’ammaestramento e alla "edificazione" dell’assemblea. Il Novus Ordo, evidentemente, è stato preparato da esegeti, non da liturgisti. […]

    Gli studiosi della liturgia conoscono (o si suppone che dovrebbero conoscere) i vari lezionari che sono o sono stati in uso nella Chiesa orientale e in quella occidentale. Dovrebbero sapere in base a quali leggi si scelgono le pericopi. Stupisce assai che abbiano trascurato quasi del tutto gli antichi lezionari, alcuni dei quali risalgono ai secoli IV e V. Quale dovizia di ispirazione vi avrebbero trovato! Ma pare piuttosto che consapevolmente abbiano voluto rinnegare la tradizione.

    Al secolo V risale la parte più antica del Grande lezionario della Chiesa di Gerusalemme, tramandatoci da manoscritti georgiani. Tutti i segni di un’alta antichità reca la lista copta dei Vangeli; purtroppo non è stata ancora studiata tutta una serie di antichi lezionari provenienti dall’Egitto. Del più antico ordinamento siriaco di pericopi ha trattato il Baumstark. Quanto all’Occidente, sono da ricordare - tra le testimonianze più antiche - la lista dei Vangeli di Aquileia, e l’antico lezionario campano tramandatoci dal famoso Codice Fuldense (lista di Epistole) e in molti evangeli anglosassoni (lista dei vangeli); infine, una liste di epistole che nella sua forma originaria risale a san Pier Crisologo (morto nel 450). Alquanto più recenti sono i lezionari tramandatici nelle antiche chiese ambrosiana, gallicana e mozarabica.

    Quanto alla Chiesa romana, molto probabilmente già san Girolamo (morto nel 419/420) approntò un libro di epistole, il Liber comitis, documentato per la prima volta nel 471. Esso potrebbe essersi tramandato, in forma appena modificata, nella già ricordata lista delle epistole di Würzburg, e costituisce il fondamento delle pericopi non evangeliche del Missale Romanum insieme con l’antica lista romana dei vangeli (Capitulare evangeliorum), che però era più ricca di quanto sarebbe risultata nel messale posteriore.

    Come nelle altre riforme liturgiche postconciliari, anche nella preparazione dei nuovi lezionari è stata interrotta un’antichissima tradizione (in parte di 1550 anni), senza sostituirla con nulla di migliore. Anche dal punto di vista pastorale, sarebbe stato più prudente conservare l’antico ordinamento del Missale Romanum e, nel quadro di una riforma, consentire la scelta di altre letture ad libitum.

    Questa sarebbe stata una vera riforma, ossia un vero ritorno alla forma originaria, e non sarebbe andata distrutta una ricchezza accumulata nei secoli. Così invece si è abbandonata la tradizione della Chiesa sia occidentale che orientale, e si è imboccata la pericolosa via dello sperimentalismo precludendo la possibilità di ritornare in un qualunque momento, senza difficoltà, al passato” [2].

    In conclusione, possiamo dire che nella riforma dei lezionari, per dirsi veramente obbedienti al Concilio, non è sufficiente addurre il più ampio uso delle S. Scritture [3] che si è realizzato nella nuova Messa; sarebbe stato necessario tener conto degli antichi lezionari e salvaguardare il profondo legame, presente nel proprio di ogni Messa antica e formatosi in secoli di tradizione, tra mistero che si celebra, antifone, eucologia e letture bibliche.
    Inoltre, come afferma Mons. Gamber [4], non sarebbe contrario allo spirito Messale del 1962 un arricchimento dei testi biblici.

    Un’ultima postilla: perché lamentarsi di pochi testi biblici nella Messa antica e non dire nulla sull’impietoso sforbiciamento del breviario romano, reso orfano di alcuni salmi imprecatori e di un tesoro di inni buttato alle ortiche? Forse che i salmi sono una Scrittura di serie B? Oppure l’amor proprio viene molto più gratificato da preci inventate, lunghe omelie, considerazioni varie, piuttosto che l’umile recita nascosta dei salmi, in cui l’uomo vecchio ha ben poco da dire?


    2.2) La preghiera universale

    Anche questa non è contraddittoria con l’antico rito, come prova, ad esempio, la liturgia del Venerdì Santo.
    Inoltre c’è da dire che anche all’interno di un documento conciliare si deve distinguere una diversa importanza delle disposizioni.
    La mancanza della preghiera dei fedeli non è una opposizione al Concilio, come non lo è una S. Messa feriale in cui le preghiere non si recitano, preferendo, ad esempio, una breve pausa dopo le letture.
    E si può anche fare una critica a come la preghiera dei fedeli diventa spesso una raccolta di banalità o di preghiere spontanee, quando invece sia nella liturgia sinagogale (le diciotto benedizioni), da cui in qualche modo derivano le orationes solemnes del rito romano, sia nelle preghiere analoghe nelle liturgie orientali, i testi sono rigorosamente fissati.
    E quindi possiamo dire che la preghiera dei fedeli, come viene realizzata oggi, contravviene il Concilio stesso, in quanto ciò costituisce un novum mai visto prima, mentre i testi raccomandano l’omogeneità con quanto precede.
    SC 4: “il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa considera come uguali in diritto e in dignità tutti i riti legittimamente riconosciuti; vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati; desidera infine che, ove sia necessario, siano riveduti integralmente con prudenza nello spirito della sana tradizione e venga loro dato nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo”.


    2.3) La concelebrazione

    Anche in questo caso non possiamo affermare che un sacerdote che preferisce celebrare da solo piuttosto che concelebrare, sia disobbediente al Concilio; la Sacrosanctum Concilium afferma chiaramente che ogni sacerdote mantiene il diritto di celebrare per conto suo. E niente toglie che un sacerdote che celebra abitualmente secondo l’antico rito, possa concelebrare con i confratelli in casi particolari, quali la S. Messa Crismale, in occasioni di funerali, di convegni pastorali, etc., senza svilire la concelebrazione stessa riducendola ad una abitudine.
    Quando Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Slavorum Apostoli, parlava di cattolicità della Chiesa - sentita come una sinfonia delle varie liturgie in tutte le lingue del mondo, unite in un'unica liturgia, o come un coro armonioso che, sostenuto dalle voci di sterminate moltitudini di uomini, si leva secondo innumerevoli modulazioni, timbri ed intrecci per la lode di Dio da ogni punto del nostro globo, in ogni momento della storia, possiamo considerare come voci di questo coro due geni liturgici differenti e complementari: quello dei riti orientali, che enfatizzano lo splendore della liturgia del giorno di festa con lunghi riti e la concelebrazione: e il genio occidentale che – senza rinunciare allo splendore in momenti particolari – porta avanti l’istanza della necessaria frequente reiterazione sacramentale del santo Sacrifico della Messa.


    2.4) La Comunione sotto le due specie.

    Anche se la moda liturgica imperante presenta la S. Comunione sotto le due specie come chissà quale conquista o necessità, dobbiamo tener presente due cose:

    a) il Concilio è molto equilibrato sull’argomento e parla di concessione della pratica, e non di obbligo o di argomento oggetto di particolare attenzione da parte dei Padri conciliari.
    SC 55. “… la comunione sotto le due specie si può concedere sia ai chierici e religiosi sia ai laici, in casi da determinarsi dalla sede apostolica e secondo il giudizio del vescovo”.
    b) questo modo di comunicarsi non è assolutamente contraddittorio con il rito antico, tanto che fu concesso agli utraquisti moderati, guidati da Giovanni di Rockycana, con le Compattate di Praga, del 30 novembre 1433.

    Teniamo presente che ci sono stati tanti santi infiammati d’amore per la SS.ma Eucaristia (San Francesco, Il Santo Curato d’Ars, S. Pietro Giuliano Eymard…), e nessuno ha mai sentito la necessità di questo modo di comunicarsi. Ai più grandi santi eucaristici della storia della Chiesa non è mai passato per l’anticamera del cervello chiedere la S. Comunione al Calice o vedere un accrescimento della devozione all’Eucaristia o della partecipazione alla Messa, comunicandosi anche con le Specie del vino.
    Se i santi sono coloro che più di altri sono guidati dalla Spirito (Rm 8, 14), questo fatto qualcosa vorrà pur dire.
    Invece è stata tolta - paradossalmente, ma fino a un certo punto - la festa del Preziosissimo Sangue, parallelamente al diffondersi di eresie che negano il valore soddisfattorio del Sangue di Cristo, sparso nel suo Sacrificio.
    La memoria del beato Giovanni XXIII, tanto osannato (tirando abbondantemente l’acqua al proprio mulino) da ambienti progressisti, è in realtà vilipesa in due modi: dimenticando il suo amore per la lingua latina (basta vedere in che conto si tiene la Costituzione Apostolica Veterum Sapientia, firmata dal Beato all’altare della Cenfessione [5]), e la sua devozione al Preziosissimo Sangue (soppressione della festa tanto cara allo stesso Pontefice, come si evince dalla bella eniclica Inde a primis de 30 giungo 1960).
    In base a quanto detto, la S. Comunione sotto le due specie non costituisce in sé un elemento che rende inconciliabili Vaticano II e forma straordinaria della S. Messa. Se si vuole onorare il Sangue Divino, si ripristino anche quei modi che sono stati abbandonati, sì in nome del Concilio, ma contro il pensiero e la devozione di chi il Concilio ha voluto.


    Conclusione.

    L’intervista del Porf. Grillo rivela, oltre agli equivoci sopra denunciati, un vizio di fondo: l’incomprensione radicale che non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto [6], tanto più che il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa considera come uguali in diritto e in dignità tutti i riti legittimamente riconosciuti; vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati [7].




    NOTE


    [1] Cf. ad esempio, tinyurl.com/6adra87, tinyurl.com/6yroo9m, tinyurl.com/6f5dj7g

    [2] Klaus Gamber, «La riforma della liturgia romana. Cenni storici. Problematica», trad. it. in suppl. a Una Voce Notiziario n° 53-54, 1980), Roma, 1980, pp. 49-52 (titolo originale: «Die Reform der römischen Liturgie. Vorgeschichte und Problematik», pro manuscripto, 1979).

    [3] Interessanti alcuni detti dei Padri del deserto, che confutano una non equilibrata considerazione della lettura ampia, in senso solo materiale, del testo biblico: “Abba Abramo raccontava di un abba di Scete che era scrivano e non mangiava pane. Venne dunque un fratello a chiedergli di scrivere per lui un libro. L'anziano, che aveva il suo cuore immerso nella contemplazione, non scrisse tutte le righe e non mise i segni di interpunzione. Il fratello, avendo preso il libro e volendo mettervi i segni di punteggiatura, trovò che mancavano alcune parole e disse all'anziano: "Mancano alcune righe, abba". Gli disse l'anziano: "Va', prima fa' quello che c'è scritto, poi vieni e ti scriverò il resto". AH, Abramo 3

    “Abba Antonio disse: "Al cammello basta poco cibo: lo conserva in se stesso finché non sia rientrato nella sua stalla, poi lo fa risalire, lo rumina finché non entri nelle sue ossa e nella sua carne. Al cavallo invece occorre molto cibo: mangia a ogni momento e subito perde tutto quello che ha mangiato. Ora, dunque, non siamo come il cavallo, cioè non recitiamo le parole di Dio a ogni momento senza compierne nessuna, ma siamo simili al cammello, recitando ciascuna delle parole della santa Scrittura, custodendole in noi finché le abbiamo compiute, perché coloro che hanno compiuto queste parole erano uomini come noi, combattuti dalle passioni" “. Cop Am, 39,10. Testi tratti da S. Chialà – L. Cremaschi (a c. di), Detti editi e inediti dei Padri del deserto, Magnano: Qiqajon 2002, p. 35.

    [4] Interessante quanto nel 1982 l’allora Card. J. Ratzinger scriveva di Mons. Gamber: “On n’a plus voulu continuer le devenir et la maturation organiques du vivant à travers les siècles, et on les a remplacés — à la manière de la production technique — par une fabrication, produit banal de l’instant. Gamber, avec la vigilance d’un authentique voyant et avec l’intrépidité d’un vrai témoin, s’est opposé à cette falsification et nous a enseigné inlassablement la vivante plénitude d’une liturgie véritable, grâce à sa connaissance incroyablement riche des sources. En homme qui connaissait et aimait l’histoire, il nous a montré les formes multiples du devenir et du chemin de la liturgie” J. Ratzinger, «Klaug Gamber, L’intrépidité d’un vrai témoin», in Klaus Gamber, La réforme liturgique en question, Le Barroux: Sainte-Madeleine, 1998, p. 8.

    [5] “Il 22 febbraio 1962, il Papa Giovanni XXIII nella Basilica di s. Pietro, alla presenza di tutto il clero dimorante a Roma e convocato per l'occasione, nonché davanti ad un gran numero di vescovi e cardinali, nella festa della Cattedra di s. Pie­tro, sulla predella dell'altare della Confessione, ossia sopra la tomba del Principe degli apostoli e sotto la splendente cupola di Michelangelo, firmò solennemente la Costituzione apostolica De Latinitatis Studio Provehendo, che dalle prime sue parole sarà conosciuta come la Veterum Sapientia”. Card. Alfons Stickler, «A 25 anni dalla Costituzione Apostolica «Veterum Sapientia» di Giovanni XXIII. Rievocazione storica e prospettive», Salesianum 2 (1988) 367.

    [6] Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi di tutto il mondo per presentare 
il Motu Proprio “Summorum Pontificum cura” sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, 7 luglio 2007.

    [7] SC 4.


    **************************************************

    Prove tecniche di scisma?

    Tempo addietro, ha fatto scalpore l'indiscrezione di Tornielli circa l'esistenza in Vaticano di un 'dossier' che farebbe stato di rischi concreti di uno 'scisma', o comunque ribellione antiromana, nelle chiese di lingua tedesca: essenzialmente, in Germania (dove il Papa si recherà presto in un viaggio che si preannuncia difficile), in Austria e in Svizzera.

    La notizia fu prontamente smentita: addirittura dal cardinale Kasper (vedi qui), che tutti ricordiamo di posizioni non proprio tradizionali né ratzingueriane in materia di ecumenismo, ma che ultimamente non ha lesinato critiche a certi eccessi progressistici dei suoi connazionali; o addirittura si parlò di uno scherzo (vedi qui).

    In effetti la cosa sembra inverosimile; ma che qualcosa di serio bolla in pentola, è ormai difficilmente negabile. Troppi i segnali e gli indizi.

    Non ci sono, infatti, soltanto i soliti vescovi eretico-progressisti (l'impresentabile cardinale Lehmann, ad esempio, per anni presidente della conferenza episcopale; o il suo degno successore Zollitsch, negatore della redenzione); ci sono segnali evidenti di una ribellione montante della nomenklatura delle ricche facoltà teologiche tedesche (ricorderete il manifesto di 143 teologi per una "ripartenza della Chiesa"), che si salda con il potere politico rappresentato da ampi settori delle cristiandemocrazie in Germania e Austria, con i vertici dei gesuiti tedeschi e con i gruppi di 'laici impegnati' che spadroneggiano nelle parrocchie, o in quel che ne resta, e che di solito sono affiliati all'associazione Wir sind Kirche (noi siamo chiesa), che nei paesi teutonici, e specie in Austria, è potentissima: fu l'anima, ad esempio, della efficace resistenza contro la nomina dell'ortodosso Wagner a vescovo ausiliario di Linz.

    Nei giorni scorsi, in Austria, un gruppo di trecento preti (ossia quasi uno su dieci di tutti i preti di quel paese) ha firmato un allucinante proclama intitolato, senza ipocrisie, "Chiamata alla disobbedienza", in cui si incita ad una necessaria riforma bloccata da Roma, che preveda "libertà di parola" nella liturgia - ossia distruggere quel poco che è rimasto della liturgia romana -; dare la comunione a qualunque persona "di buona volontà", anche se non cattolico, risposato, ecc.; limitarsi ad una la messa giornaliera la domenica, da sostituire per il resto con celebrazioni eucaristiche senza prete, affidate ad un 'capo parrocchia' laico, uomo o donna, enaturalmente consentendogli di predicare. E, infine, sfruttare ogni occasione per "parlare apertamente in favore dell'ammissione al sacerdozio di persone sposate e di donne".

    Persino il card. Schoenborn, che pur in passato non s'era rifiutato di portare a Roma una petizione per l'abolizione del celibato ecclesiastico, si è detto "scioccato" da questa iniziativa.

    L'ultima notizia, minore certamente ma significativa, è che una parrocchia nell'arcidiocesi di Friburgo, fin qui (formalmente) cattolica, ha deciso di portare alle logiche conseguenze questi movimenti di opinione ed ha dichiarato di recidere ogni rapporto con Roma, per porre fine (paradossalmente) alla "indicibile divisione tra cristiani". Pertanto, nella parrocchia ora rinominata "Parrocchia ecumenica di S. Pietro in Bruchstal", il consiglio pastorale invita tutti alla "tavola del Signore, dove Gesù Cristo non allontana nessuno", promuovendo "la diversità della vita cristiana in una unita differenziazione". Il consiglio pastorale non manca di ricordare che la struttura sinodale che si dà appartiene alla più antica tradizione della Chiesa.

    Questa la situazione. Possiamo immaginare si tratti solo della punta di un iceberg. Dire: che se ne vadano e fondino qualche setta protestante, è la reazione più immediata, ma forse non la più meditata: sia per il danno alle anime che queste distorsioni porterebbero con sé, sia per l'indebolimento di Roma che, in fin dei conti, è la garanzia di quel che resta di Chiesa, sia infine per i mille problemi pratici ed economici che la perdita di larga parte della Germania causerebbe: giacché la ricca Germania non sostiene economicamente solo l'euro, ma anche il Vaticano...

    E possiamo quindi immaginare le enormi difficoltà del Papa e come si debba muovere con estrema circospezione in questo pantano purulento: avverse reazioni ha ad esempio causato la recente nomina del nuovo vescovo di Berlino, che da noi sarebbe considerato un "centrista", mentre per la Germania è un fascista reazionario, perché ha osato ricordare che per la Chiesa la pratica dell'omosessualità è peccato.

    C'è del marcio, nel reame di Danimarca, e pure un poco più a sud.

    Enrico


    [Modificato da Caterina63 15/07/2011 12:52]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 15/07/2011 19:48

    Cari preti ribelli…

    Il testo qui sotto è una lettera che il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ha scritto nell’edizione estiva del periodico “thema kirche” in risposta all’“Appello alla disobbedienza” della “Pfarrer-Initiative”, un gruppo di circa 300 preti austriaci.

    Nell’Appello la “Pfarrer-Initiative” sfidava apertamente il Vaticano chiamando tutti alla disobbedienza nel nome della libertà di coscienza. I campi sui quali disobbedire sono vari, tra questi il “no” del Vaticano all’ordinazione sacerdotale femminile e il “no” alla concessione della comunione ai divorziati risposati. Ha detto Helmut Schüller, portavoce di “Iniziativa parroci”, che il Vaticano “non può imporre le proprie convinzioni ai preti austriaci”.

    Il Foglio oggi ha tradotto e pubblicato integralmente la lettera dell’arcivescovo di Vienna. Eccola:

    Care collaboratrici e collaboratori, e questa volta in particolare, cari confratelli nel servizio sacerdotale, i vertici della “Pfarrer-Initiative” hanno pubblicato il 19 giugno un “Appello alla disobbedienza” (www.pfarrer-initiative.at).

    Ho aspettato a replicare, non volevo che la mia risposta fosse dettata dalla rabbia e dal dispiacere che questo appello ha suscitato in me. Ma questo appello alla disobbedienza mi ha atterrito. E mi chiedo, che ne sarebbe delle famiglie in questo paese se la disobbedienza diventasse virtù? Molti lavoratori si chiedono come sia possibile che la chiesa inciti a propagare e a praticare la disobbedienza, quando sanno per certo che se lanciassero un appello simile sui luoghi di lavoro avrebbero da tempo perso il loro impiego.

    Nel momento dell’ordinazione, noi sacerdoti abbiamo promesso, liberamente e senza costrizione, nelle mani del vescovo “rispetto e obbedienza”, a voce alta e chiara abbiamo detto davanti a tutta la comunità dei fedeli: “Si, lo prometto”.

    Ma questo impegno verrà osservato? Nella mia veste di vescovo ho promesso anche al Papa fedeltà e obbedienza. Io voglio onorare questa parola data anche se ci sono stati momenti in cui non è facile. L’obbedienza cristiana è una palestra di libertà. L’attuazione nella vita reale di quello che noi recitiamo nel Padre nostro, quando preghiamo che la sua volontà sia fatta, in cielo così come in terra. Questa preghiera si riempie di significato e di forza, attraverso la disponibilità interiore di chi prega, di accettare la volontà di Dio, anche nei casi in cui questa volontà si discosti dal proprio modo di vedere. Questa disponibilità si concretizza inoltre attraverso l’obbedienza ecclesiastica verso il Papa e il vescovo. E a volte può richiedere uno sforzo doloroso.

    Anche il “masterplan” per la nostra diocesi, il processo avviato dall’Apostelgeschichte 2010 e il piano di sviluppo diocesano si concentrano sulla volontà del Signore. Ma cos’è questa volontà di Dio oggi, in tempi di grandi mutamenti, per noi, per l’arcidiocesi? Pregando insieme, celebrando insieme la festa dell’eucarestia, studiando le sacre scritture, osservando lo sviluppo della nostra società ci sforziamo di riconoscere la volontà di Dio. Il “masterplan” vuole essere il piano del maestro, del Signore.
    E proprio qui si inserisce l’“Appello alla disobbedienza”, mettendosi però di traverso. Visto che le riforme chieste dai promotori della “Pfarrer-Initiative” fino a oggi non sono state attuate, e i vescovi, così dicono, non hanno fatto nulla, c’è chi si vede ora costretto “a seguire la propria coscienza e muoversi autonomamente”.

    Ma se la disobbedienza al Papa e al vescovo diventano una questione di coscienza, questo significa che si è saliti un altro gradino, un gradino che costringe a prendere una decisione chiara. Perché alla coscienza va sempre dato ascolto, quando si tratta di una coscienza formata e autocritica. Il beato Franz Jägerstätter aveva deciso in piena solitudine e rispondendo alla propria coscienza di non servire nell’esercito di Hitler, e aveva accettato di pagare questa decisione con la vita.

    Il beato John Henry Newman era giunto, dopo anni di profondo tormento interiore, alla certezza che la chiesa anglicana si era allontanata dalla verità, e che la vera chiesa di Gesù Cristo continuava a esistere in quella cattolica. Per questo abbandonò la propria e divenne cattolico.

    Da ciò consegue che, chi in piena e provata coscienza e convinzione, pensa che Roma abbia imboccato una strada sbagliata, una strada che contraddice gravemente la volontà del Signore, dovrebbe trarne, nel caso estremo le conseguenze estreme, e cioè non percorrere più la via della chiesa romana. Spero e credo però che questa caso estremo non si verifichi.
    Non è necessario essere sempre d’accordo con ogni decisione ecclesiastica, soprattutto in ambito disciplinare; ed è anche lecito prendere in alcuni casi decisioni diverse da parte della curia. Ma quando il Papa ripetutamente indica chiare linee guida, ricordando anche l’insegnamento in vigore – per esempio per quel che riguarda i ruoli – allora l’appello alla disobbedienza mette di fatto in discussione la comunità ecclesiastica nel suo insieme. Perché in ultima analisi, ogni sacerdote, così come tutti noi, dobbiamo decidere se vogliamo continuare a percorrere la strada insieme al Papa, al vescovo e alla chiesa oppure no. Certo, è sempre difficile rinunciare ad alcune idee e visioni. Ma chi dichiara nullo il principio dell’obbedienza, dissolve l’unità.

    Nella mia lettera pastorale ho sollecitato una via comune. Ho indicato una via molto concreta: che si metta l’evangelizzazione al primo posto, che ci si impegni con tutte le forze, cominciando con l’essere, il diventare, noi stessi discepoli nuovi e migliori di Gesù. Perché è alla luce di questo esempio che “il mondo” riconoscerà se vale la pena seguire Gesù; se essere chiesa di Gesù Cristo ha veramente qualcosa di salvifico. Ed è sotto questa egida che si pongono anche gli sforzi di una riforma strutturale.

    Proprio in questa luce non reputo l’“Appello alla disobbedienza” un passo utile. Non appena possibile mi incontrerò per un dialogo costruttivo con i rappresentanti della “Pfarrer-Inititiative”. Farò notare loro alcune contraddizioni insite nel loro “Programma di disobbedienza”, tra queste per esempio il concetto di una “festa dell’eucarestia senza sacerdote” e ancora la definizione sprezzante di “festival liturgici” per gli aiuti sacerdotali. Solo un confronto basato sul reciproco rispetto, come l’abbiamo vissuto con grande soddisfazione durante le tre riunioni diocesane, può aiutarci ad andare avanti.

    Sono vescovo da ormai quasi venti anni. Il compito del vescovo è quello dell’unità: l’unità nella propria diocesi, l’unità con il Papa, l’unità con la chiesa. E io assolvo questo compito con grande felicità. Vivo molti momenti belli, ma anche momenti di dolorose ferite. Una di queste ferite è l’“Appello alla disobbedienza”.

    Io faccio invece appello all’unità, quell’unità chiesta da Gesù Cristo al Padre, e per la quale Gesù fu disposto a sacrificare la vita. Che mi assista ora nel mio compito di mantenere l’unità nell’amore e nella verità.
    Un’estate benedetta vi augura il vostro
    cardinale Christoph Schönborn

    Pubblicato su palazzoapostolico.it venerdì 15 luglio 2011

     

    **********************************

     

    riflessione:

     

    con la medicina della misericordia Schonborn otterrà di CALMARE LE ACQUE.... fare in modo che questi 300 preti RESTINO nei loro posti e SCENDERA' A COMPROMESSI per timore di vedersi di colpo svuotati i Presbyterium....

    dovrebbe leggersi la beata Emmerich.... nelle sue Visioni questa situazione è chiarissima: solo un centinaio di preti resteranno fedeli veramente al Papa, il resto del Clero sembrerà come svanito, CORROTTO, INFEDELE, DISOBBEDIENTE....

    la lettera del card. Schonborn è sciapa e senza midollo... dire a questi preti che anche lui ha SOFFERTO PER OBBEDIRE, non è certo un valido aiuto....
    c'è INCOERENZA in queste prediche: da una parte si dice che OBBEDIRE E' GIOIA, dall'altra che è SOFFERENZA...e detto in questa triste occasione fa davvero pensare...

    Schonborn obbedisce PERCHE' CREDE DAVVERO IN CIO' CHE FA O CREDE SOLO PER NON PERDERE IL POSTO?
    dalla Lettera questo non è chiaro...

    Che Dio lo illumini e che Schonborn RITORNI AD ESSERE UN VERO DOMENICANO...da tanto tempo ha forse dimenticato di esserlo...
    e si vede...
    Solo un anno fa era tutto FIERO DEL SUO CLERO...tanto da permettersi il lusso di lasciare la sua diocesi per correre a destra e a sinistra, da Kiko e a sponsorizzare Medjugorje, era OCCUPATO  a rilasciare interviste strane salvo poi dover SMENTIRE le responsabilità di ciò che andava dicendo...il Papa lo dovette richiamare perfino in Vaticano, non dimentichiamolo, a causa di ciò che rilasciava in queste interviste....e mentre lui così pensava a se stesso  ED ALLE SUE OPINIONI PERSONALI... la Chiesa a lui affidata COMPLOTTAVA LA DISOBBEDIENZA, COMPLOTTAVA NUOVE DOTTRINE...davvero non si era accorto di cosa bollisse in pentola? CHI STA CON LO ZOPPO IMPARA A ZOPPICARE...300 sacerdoti ribelli non sono una cosuccia da nulla... IL PASTORE NON C'ERA...altrimenti avrebbe dovuto provvedere assai prima di arrivare a questi livelli..
     (leggasi anche i suoi interventi strani sopra)

    Preghiamo amici!

    [Modificato da Caterina63 15/07/2011 20:10]
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 19/07/2011 23:29

    Cosa resta dei No Global "cattolici"?


     

    di padre Piero Gheddo*

    MILANO, martedì, 19 luglio 2011 (ZENIT.org).- Dieci anni fa (20-22 luglio 2001) si svolgeva a Genova il G8. Gli otto Grandi del mondo si riunivano per discutere su come, nel tempo della globalizzazione, aiutare i “paesi in via di sviluppo”, specialmente quelli dell’Africa nera. Però in quei giorni vennero alla ribalta non i poveri che soffrono la fame, ma i “No Global” che manifestavano contro gli 8 Grandi e nelle frange estreme mettevano a ferro e fuoco la città di Genova.

    Nel movimento No Global, circa il 60% dei 200.000 manifestanti erano cattolici, venivano da parrocchie e associazioni cattoliche. Le guide, Vittorio Agnoletto, Luca Casarini e altri si proclamavano cattolici, ma l’ideologia che i No Global esprimevano non era certamente ispirata dalla fede.

    D’altra parte, il “Manifesto delle Associazioni cattoliche ai leader del G8”, firmato il 7 luglio da decine di associazioni cattoliche e istituti religiosi e anche missionari, era la chiara prova di una sudditanza dei cattolici alla corrente dei contestatori di professione, che si ispirano al marxismo e al laicismo.

    Si ripeteva lo schema del Sessantotto. I cattolici all’origine della protesta del 1968, come del 2001; all’inizio, in ambedue i casi, le gerarchie cattoliche tentano il dialogo con i giovani contestatori, mostrando una notevole apertura alle loro ragioni. Ma poi, nel 1968 come nel 2001, la Chiesa si accorge ben presto che la buona fede e l’indubbia generosità dei giovani non bastano a moderare gli eccessi della protesta e l’apporto culturale dei cattolici viene fagocitato dalle altre componenti del movimento. Era successo nelle assemblee di occupazione delle università nel Sessantotto, succede nei cortei e nelle manifestazioni del luglio 2001 a Genova.

    Oggi, dieci anni dopo, i No Global sono praticamente scomparsi, la storia ha dimostrato che la globalizzazione non è un’invenzione dei paesi ricchi per opprimere meglio quelli poveri, ma è “il treno dello sviluppo”: i popoli che riescono a salirci sopra si sviluppano (specie in Asia e America Latina), gli altri rimangono indietro, cioè i popoli di gran parte dell’Africa nera, che nel 1970 partecipavano al 3% del mercato globale, oggi fra l’uno e il due per cento!

    Il sociologo cattolico Paolo Sorbi, passato attraverso le esperienze del Sessantotto e di Lotta Continua, stigmatizzava i No Global cattolici perché la loro fede e identità era stata del tutto oscurata: “I contestatori cattolici corrono il rischio di trasformarsi nei reggicoda di una grande razionalizzazione borghese”. Beppe del Colle scriveva su Famiglia Cristiana: “L’impressione più forte suscitata dal terribile G8 di Genova è di generale sconfitta… Hanno perso i Grandi, ma hanno perso anche i piccoli, i presunti ‘nemici della globalizzazione’, che si sono rivelati furiosi demoni del Nulla, vandali odiatori di tutto quello che ha senso per le persone civili”.

    Ferdinando Adornato denunziava su Il Giornale “l’inganno culturale” in cui erano caduti i cattolici:

    “Non si sfugge alla sensazione che alcuni settori del mondo cattolico rischino di restar vittime di un grande inganno culturale già commesso nei dintorni del Sessantotto, quando migliaia di ragazzi furono portati a confondere la Fede con la Rivoluzione, la Testimonianza evangelica con la Violenza… L’inganno consiste nell’annacquare totalmente l’identità cristiana nei riti di una comune e indistinta protesta contro l’egoismo e le disuguaglianze sociali”.

    Il sociologo Giuseppe De Rita si chiedeva ironicamente su Avvenire: “A cosa è servita la presenza cattolica nelle manifestazioni e nei cortei di Genova? E cosa ne resta dopo il calor bianco raggiunto in quei giorni?”. Gianni Baget Bozzo scriveva sul Giornale: “Genova ha raggiunto due vertici: la più violenta manifestazione del nichilismo anti-occidentale e un singolare impegno dei movimenti cattolici italiani per le tesi antiG8… Così la Chiesa ha offerto ai nichilisti anti-occidentali una copertura religiosa e al tempo stesso una massa numerica che è servita a coprire l’azione dei violenti”.

    Ero a Genova nel luglio 2001 (nella casa del Pime a Nervi), ho partecipato all’inizio della prima manifestazione e alla sera ho avuto, allo stadio Carlini, una animata conversazione con un buon gruppo di giovani, sotto uno striscione che dichiarava: “Un altro mondo è possibile”. Io suggerivo: “Il mondo nuovo è possibile, ma solo a partire da Cristo”. Un discorso che suscitava ironia e opposizione: noi crediamo in Cristo, ma cosa c’entra questo nei problemi politici e economici del G8? Mi torna alla mente il grande e caro Davide Turoldo, che in un dibattito sul Vietnam, a Torino nel 1973, tuonava: “Ricordati Gheddo, che il socialismo è l’unica speranza dei poveri!”. Dopo il G8 di Genova, in un dibattito alla televisione su questo tema, alla mia proposta di convertirci a Cristo come modello di amore al prossimo, che ha donato la sua vita per gli altri, una personalità dichiaratamente cattolica (vivente), ha commentato: "La conversione a Cristo è un fatto personale e non è importante. L'importante è amare l'uomo ...". Ma come "amare l'uomo"? Per noi cristiani la verità sull'uomo ha un nome preciso e nessun altro nome: Cristo.

    Ripensando alle discussioni infuocate di quegli anni, il motivo fondamentale di dissenso che ancor oggi mi separa dagli epigoni cattolici del movimento No Global è questo. I cattolici dovrebbero sapere che l’unica vera e decisiva rivoluzione che salva l’uomo e l’umanità l’ha compiuta Cristo duemila anni fa. L’esperienza dei missionari conferma che il contributo essenziale della Chiesa alla crescita di un popolo e alla sua liberazione da ogni oppressione non è l'aiuto materiale o tecnico, quanto l'annunzio di Cristo: una famiglia, un villaggio, diventando cristiani passano da uno stato di passività, negligenza, divisione, ad un inizio di cammino di crescita e di liberazione. Il perché mi pare evidente e andrebbe ripreso e approfondito dai No Global cattolici e portato coraggiosamente alla ribalta nelle manifestazioni.

    Non capisco perché in Italia, anche nelle riviste missionarie, questi discorsi si fanno poco o nulla e sembra quasi che noi ci siamo fatti missionari per distribuire cibo, costruire scuole, condividere la vita dei poveri, protestare contro il debito estero e la vendita delle armi ai paesi poveri... Insomma non mi risulta chiaro, nell'animazione e nella stampa missionaria in Italia, che il primo vero dono che noi portiamo ai popoli è la fede in Cristo, che trasforma la vita e la società, creando un modello nuovo e più umano di sviluppo.

    I cari e illusi confratelli e suore missionarie, che hanno recentemente manifestato in Piazza San Pietro, qualificandosi come tali, contro la politica italiana che vuol privatizzare la gestione dell’acqua, hanno solo contribuito ancora una volta a far apparire i missionari come “operatori sociali”. E’ solo un esempio di una tendenza generale che, nata nel Sessantotto, è riemersa a Genova nel 2001 e continua tuttora.

    Il 2 dicembre 1992 l’arcivescovo di Milano, card. Carlo Maria Martini, parlando ai missionari del Pime impegnati nella stampa e nell’animazione missionaria in Italia, citava le lettere di San Francesco Saverio, dicendo che “ancor oggi quelle lettere hanno una forza comunicativa straordinaria. Noi vorremmo che la nostra stampa missionaria fosse sempre così, cioè che avesse questa forza comunicativa del Vangelo, proprio attraverso le notizie sulla diffusione del Vangelo… Ridateci lo stupore del primo annunzio del Vangelo, ridatelo alle nostre comunità, non soltanto ai cristiani delle terre di missione, ma anche a noi, perché questo stupore riscaldi il cuore di tutti”.

    ----------

    *Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

     

     

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 23/07/2011 17:01
    LO SCANDALO DEL CORPUS DOMINI


    di Guido Villa

    LA DERIVA PROTESTANTE DEL CLERO CATTOLICO DI LINGUA TEDESCA

    Riprendiamo un articolo apparso il 5 luglio 2011 sul gionale “on-line”
    La Bussola quotidiana,
    il cui contenuto non necessita di alcuna aggiunta a ciò che ha detto bene l'Autore



    Dal mondo cattolico di lingua tedesca giungono preoccupanti segnali di una sempre più flebile fede nella presenza reale di Gesù nell’Eucaristia.

    Il primo caso che segnaliamo accade a Magdeburgo, in Germania. In occasione della processione del Corpus Domini, quest’anno l’Ufficio Stampa della diocesi ha fornito agli organi di informazione locali una spiegazione del mistero dell’Eucaristia che lascia allibiti.
    Nel comunicato diramato si afferma infatti che in tale occasione i cattolici celebrano in modo particolare la presenza di Gesù nei segni della cena (il concetto usato in tedesco è «Zeichen des Abendmahls», quindi un linguaggio tipicamente protestante), ovvero nel calice e nel pane benedetti. Quale espressione di questa fede, dal secolo XIII «un tale pane benedetto […] viene portato nelle strade con tutti gli onori affinché sia visibile a tutti».

    Interrogato su questa grave improprietà di termini usata nel descrivere l'Eucaristia, il portavoce della diocesi di Magdeburgo, Thomas Lazar, ha fornito una risposta che rivela la confusione di cui spesso soffre la Chiesa tedesca. Nella processione del Corpus Domini, ha precisato, infatti, Lazar al portale cattolico kath.net, non si porta per le strade «un pane benedetto qualsiasi, bensì Gesù Cristo, presente in questo Sacramento. [ …] Con l'espressione “pane benedetto” non si era inteso fornire una definizione dogmatica dell'Eucaristia, ma avvicinare i lettori non cristiani della regione, che sono l'80% della popolazione, al mistero della solennità del Corpus Domini». Proseguendo: «Sono convinto che noi nell'est della Germania, se vogliamo che la gente ci stia ad ascoltare, dobbiamo usare una lingua che possa interessare e conquistare. Se nell'ambiente in cui viviamo scrivessimo che portiamo per le strade e adoriamo il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio Gesù Cristo, ciò susciterebbe sicuramente irritazione e avversione […]».

    Insomma, per rendersi attraenti, sembra dire il portavoce della Diocesi di Magdeburgo, occorre talvolta attenuare il senso pieno delle verità di fede. Tuttavia, il linguaggio tipicamente protestante di cui è intriso il sopracitato messaggio diffuso alla stampa fa sorgere qualche legittimo dubbio sul fatto che si sia in realtà cercato di evitare di urtare la suscettibilità dei luterani nel cui Duomo - che ovviamente fino alla Riforma protestante era però una cattedrale cattolica… - ha avuto luogo la Santa Messa che ha preceduto la processione del Corpus Domini, conclusasi poi nell’attuale cattedrale cattolica di San Sebastiano.

    Un altro segnale preoccupante giunge poi da San Gallo, nella Svizzera tedesca. Il parroco cattolico del Duomo, Josef Raschle, ha infatti avuto la brillante idea di rafforzare la fede dei propri parrocchiani nel mistero dell’Eucaristia invitando a predicare, sempre in occasione della solennità del Corpus Domini, il pastore protestante Hansruedi Felix della Chiesa riformata svizzera (quella fondata da Huldrych Zwingli), presso la quale, così come presso tutte le comunità protestanti, non si crede nella presenza reale del vero Corpo e del vero Sangue di Cristo nel sacramento dell’Eucaristia, né nel valore sacrificale della Santa Messa che rende presente e attuale il martirio di Cristo sulla Croce.

    Da un predicatore non cattolico non ci si poteva certo attendere un’immersione nel mistero dell’Eucaristia e infatti l’“omelia” di Felix ha avuto come tema principale la cosiddetta “Concordia di Leuenberg”, l’accordo con cui luterani e riformati, e in seguito altre comunità protestanti, hanno finalmente considerato superate alcune controversie teologiche interne al protestantesimo, anche in riferimento a quella che essi chiamano la “santa cena”.

    A questo punto è lecito domandarsi se il messaggio inviato ai credenti dal parroco Raschle e dal vescovo di San Gallo Markus Büchel - quest’ultimo certamente non all’oscuro dell’iniziativa del suo sacerdote - scegliendo di affidare la predicazione al pastore Felix, e quindi ammettendolo a ricevere la Comunione proprio in occasione della solennità del Corpus Domini, sia stato quello dell’equivalenza tra sacerdozio cattolico e pastorato protestante, quello dell’identità tra Santa Messa cattolica e “santa cena” protestante e infine che la “Concordia di Leuenberg” rappresenti il modello per risolvere le controversie teologiche sull’Eucaristia anche tra cattolici e protestanti, con la conseguente abolizione dal credo cattolico degli articoli di fede riguardanti la presenza reale e il sacrificio eucaristico.

    È peraltro triste constatare come in quei mondi la pratica di invitare a predicare pastori protestanti e ammetterli a ricevere la Comunione sia diffusa, tollerata e magari incoraggiata, benché rappresenti un evidente caso di sacrilegio e di profanazione della Santa Messa e dell’Eucaristia.

    È infatti tipico della retorica irenistica e falso-ecumenica affermare che tra cattolici e protestanti è più ciò che unisce di ciò che divide, come se gli elementi di contrasto - quali appunto la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù nell’Eucaristia, il valore di sacrificio della Santa Messa, i dogmi della Chiesa, la venerazione della Beata Vergine Maria, la Vergine Maria quale sancta Dei genitrix, la sua Immacolata Concezione, l’idea propria del sacerdozio, la figura del Papa e altri ancora - fossero questioni di scarsa importanza. È tipico, ma è un cattivo pensiero e un pessimo insegnamento.

    Il neoeletto arcivescovo di Berlino, Rainer Maria Woelki, intervistato nel 2010 dal giornale diocesano di Colonia Kirchenzeitung für das Erzbistum Köln, richiesto di una previsione sullo stato della Chiesa cattolica nell'anno 2035, ha risposto: «Vivremo l’esperienza di un cristianesimo molto deciso. Ciò che oggi è ancora di facciata, crollerà […]. La Chiesa dovrà lasciarsi ricondurre all’essenziale. Questo è un lungo processo, che il Signore ha già avviato […]». Parole sante.




    luglio 2011

    AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 09/08/2011 11:36

    Creatività liturgica delle Suore.

    Di solito quando si pensa alla "liturgia creativa" e agli abusi liturgici, vengono in mente solo S. Messe celebrate da esaltati pretonzoli o bizzarri vescovoni.
    Ma guardate un po' qui: le due foto di seguito mostrano,





    la prima, un allestimento creativo liturgico messo in scensa dalle suore di san Giuseppe di Cuneo, preparato in occasione del Capitolo Generale conclusosi sabato scorso (da notare le scarpette lasciate ai piedi dell'altare e altre cianfrusaglie)





    questa seconda, invece, è più terribile perchè mostra un errore gravissimo e un'arbitrarietà che può indurre nell'errore i fedeli: la professione di voti perpetui di una suora dello stesso istituto (Suore di S. Giuseppe) in Brasile o Argentina (notare un signore e le madame -suore-che impongono le mani durante il rito!)

     

     

     

    ****************************************

    Care suore..... le vostre STRANEZZE, certe stranezze, confondono i fedeli.....


    Embarassed  di strano c'è ed è L'IMPOSIZIONE DELLE MANI.....  
    dal secolo scorso questa abitudine è nata con i PENTECOSTALI riversatosi poi, tal gesto, nel RnS,  famosa la triste foto di padre Cantalamessa E DEL CARDINALE BERGOGLIO che IN GINOCCHIO - arcivescovo di Buonos Aires - si fanno imporre le mani da un PASTORE PROTESTANTE in un incontro ecumenico..... - vedi foto - 

     Bergoglio


    Con il concetto di NUOVA PENTECOSTE, si intendono tutti quei Movimenti che hanno non poco influenzato un certo comportamento da CENACOLO anche nella Chiesa Cattolica.... IMPORRE LE MANI così è diventato anche un gesto DEI LAICI nelle comunità CARISMATICHE....  
     
    Purtroppo, per quanto bello possa apparire all'interno di un SENTIMENTALISMO, il gesto è sbagliato.... specialmente quando ad imporre le mani sono dei Laici sulle persene CONSACRATE, non dimentichiamo che da noi le persone Consacrate lo sono in virtù DEL SACRAMENTO, se sacerdoti appunto, e di un rito liturgico, la Consacrazione, per mezzo del Vescovo, per le Suore...  
     
    Purtroppo questi gesti non sono solo all'estero, ma anche in Italia.... e sono tipici delle comunità che si ispirano a gruppi carismatici.... 

    "L’imposizione delle mani è un gesto tipicamente sacrale, in molti casi, come nella Messa e nel rito dell’ordinazione; un gesto epicletico, ed è condizione necessaria per la trasmissione, “ex opere operato”, dello Spirito Santo, è pertanto nozione catechetica e dottrinale già acquisita dalla Chiesa ed insegnata che, tale imposizione delle mani, è opera esclusiva di chi è a sua volta consacrato.  I Laici non possono imporre le mani!
    Non è un "peccato" farlo, ma è inutile e soprattutto contribuisce, invece, al disorientamento dottrinale dei fedeli.
    Evitare che i Laici impongano le mani è oltre tutto  una necessaria precauzione che libera da possibili spiacevoli conseguenze per sé e per gli altri.
    Gesù del resto è stato chiaro in materia, è stato chiaro nel "distribuire" i ruoli, pertanto il laico deve limitarsi al suo ruolo che è quello di affiancare i Consacrati, i Sacerdoti, egli può pregare, usare il gesto del segno della croce sulla fronte degli altri … parlare di Dio, pregare adoperando formule che gli tornino utili al suo specifico ruolo, adoperarsi con il Rosario mentre il Sacerdote, per esempio sta confessando, usare il Rosario per liberare le Anime dal Purgatorio, usare il Rosario mentre un vescovi o chi da lui mandato, sta compiendo un esorcismo, o se qualche novizio/a sta per prendere i voti solenni della consacrazione religiosa...
    Tutti noi non siamo che strumenti: e tuttavia più siamo consapevoli del nostro specifico ruolo, più il nostro intervento sarà efficace, giacchè in tutto ciò che facciamo chi opera la Grazia e la distribuisce è solo il Signore e il Sacerdote agisce direttamente in Sua Persona, i Laici in modo diverso”.
    (Vescovo Andrea Gemma)

     

     ***************************************************

     

    altra stramberia di questi falsi maestri [SM=g1740730] 


    Nel 2008 il responsabile della riuscita piattaforma-video GloriaTV

     
    , con sede in Svizzera, ha fatto una intervista ad un sacerdote allontanato prima dal suo vescovo e poi dai teologi laici che, insediati nelle Parrocchie (Diocesi di Coira), non permettono ai sacerdoti di andare a celebrare la Messa la domenica....
    Dall'intervista, in italiano, si comprende benissimo il dramma: "i sacerdoti ci sono, ma non ci vogliono, non vogliono che si celebri la Messa..."

    Nel 2009 il Papa ha eletto un nuovo Vescovo a Coira, il responsabile dell'abbazia benedettina St. Otmarsberg di Uznach (SG), Svizzera... il quale, in quest'altra intervista del 2009, sempre in italiano,
    http://www.gloria.tv/?media=42336
     

    spiega la crisi nella comunità e spiega perchè è favorevole alla riconciliazione con la FSSPX...

    *******
    http://www.gloria.tv/
     




     

    [Modificato da Caterina63 19/09/2011 18:36]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 25/09/2011 15:59

    LEGGETE RAHNER:

      

    NON CI CAPIRETE NIENTE MA È IMPORTANTE LEGGERLO”

    Un linguaggio difficile. Un teologare onnicomprensivo.

    La “svolta antropologica” di Rahner.

    Padre del relativismo? Pericolose derive dottrinali?

    Un uso moderato per “non nuocere gravemente alla salute”… dell’anima

     

     

    Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Con questo appello ironico ai suoi studenti, alcuni anni fa, un professore di teologia sintetizzava in modo mirabile due aspetti fondamentali del pensiero di Karl Rahner. Le sue parole si persero nell’aria mite di un pomeriggio. Nel corso degli anni, però, alla luce di questi nuovi studi, sono ritornate in mente. Anche perché, nel frattempo, quel professore, che era pure prete, ha lasciato l’abito sacerdotale ed è convolato a nozze con una donna, con la quale aveva da tempo una relazione segreta.

     

     

     

    di Claudia Cirami

     

    Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Con questo appello ironico ai suoi studenti, alcuni anni fa, un professore di teologia sintetizzava in modo mirabile due aspetti fondamentali del pensiero di Karl Rahner, teologo gesuita del xx secolo, morto nel 1984: la difficoltà di comprendere fino in fondo il suo pensiero dovuta ad un linguaggio ostico e, nello stesso tempo, la rilevanza di un teologare che lo ha reso uno dei più celebrati soloni della teologia degli ultimi tempi.

     

    UN LINGUAGGIO DIFFICILE

    I professori Rahner e Ratzinger

    Quello del linguaggio rahneriano non è un problema indifferente. In un articolo sull’Osservatore Romano del 28 Dicembre del 2009, F. G. Brambilla, preside della facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, lo definisce “tormentata lingua”, tale da renderlo meno leggibile rispetto ad altri teologi. Capire esattamente la portata del suo pensiero non è semplice per chi non si occupa di teologia a tempo pieno (e spesso anche per chi se ne occupa). Non si tratta, infatti, del solito linguaggio da professore teutonico disseminato di termini vigorosi: Christliche Weltanschauung, Formgeschichte, etc. In Rahner è operante invece lo scontro quotidiano tra il desiderio, esplicitato dallo stesso teologo, di rendersi comprensibile all’uomo comune e l’incapacità quasi strutturale di riuscire ad esprimersi in un modo tale da poterlo raggiungere. Una vera eterogenesi dei fini, se leggiamo quello che confessò a Vittorio Messori: “Non sono mai stato un teologo chiuso agli influssi esterni. Se studiavo un argomento è perché dalla mia attività pastorale, dai miei contatti con la gente, mi rendevo conto che quell’argomento faceva problema; che qualcuno poteva essere aiutato da una ricerca”.

     

     

    UN TEOLOGARE ONNICOMPRENSIVO

    Rahner ancora giovane gesuita. Il "suo" concilio era ancora lontano. Indossa ancora un clergymen. Fra poco dismetterà e per sempre i segni esteriori del suo sacerdozio

    Sulla grandezza della sua riflessione teologica non ci sono dubbi. Pensiamo, ad esempio, a quello che gli deve la teologia trinitaria. Rahner ha formulato l’assioma “La Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa”, mostrando che è solo a partire dalla sua manifestazione nella storia – con la rivelazione di Cristo – che possiamo sapere qualcosa del Dio Uno e Trino così come è in sé. La Commissione Teologica Internazionale, nel documento Desiderium et cognitio dei del 1981, ha reso più esplicito questo assioma, evitando alcuni seri rischi. Giustamente, però, Luis Ladaria, attualmente segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha sottolineato che “sono chiare le coincidenze con il modo di esprimersi di Rahner. E’ sua l’intuizione che in fondo si accetta”. E non è solo la teologia trinitaria ad essergli debitrice. Rahner fu chiamato come teologo perito al Concilio Vaticano II e presto divenne un personaggio chiave nell’assise conciliare. Inoltre, basta dare uno sguardo alla sterminata bibliografia del gesuita (circa 4000 scritti) per capire che egli si è occupato di molteplici settori della teologia: Sulla teologia della morte, La gerarchia nella Chiesa, Ascesi e mistica nei Padri della Chiesa, La Trinità, Le dimensioni politiche del cristianesimo, Il sacerdote e la fede oggi, Corso fondamentale sulla fede, Eucaristia, Sul battesimo, etc. E lo ha fatto sempre in modo significativo e mai scontato.

     

     

    LA SVOLTA ANTROPOLOGICA DI RAHNER

    Il padre Cornelio Fabro. Parlò per primo di “svolta antropologica” in Rahner

    E’ stato il padre stimmatino Cornelio Fabro, nel 1974, ad usare l’espressione “svolta antropologica” in relazione alla teologia di Rahner. Uno dei primi, anche, ad esprimere una critica nei confronti dell’osannato gesuita. Rahner parte dall’uomo per il suo discorso su Dio. Egli, infatti, “era persuaso che il dato della fede va messo in rapporto fin quasi a rinascere nell’esperienza che l’uomo ha di sè. Dunque l’antropologia ha da portare alla teologia un contributo fondamentale” (A. Bertani, Jesusn.4 Aprile 2004). Fondamentale, certo, ma anche deleterio nel momento in cui la teologia si ritrova a dover dipendere da questa. Scrive Rahner: “La teologia oggi deve assolutamente tener conto di tutte le scienze antropologiche moderne, che non esistevano in passato, così come deve conoscere e rispettare l’uomo nella prospettiva delle scienze naturali moderne”. In una simile affermazione c’è un che di sinistro: il tono stesso. Sembrerebbe quasi sostenere l’impossibilità per il discorso teologico di essere articolato senza il contributo vincolante dei dati delle moderne scienze antropologiche. Non sembra qui di risentire l’eco della mai sopita tentazione di voler ridurre Dio alla “misura” dell’uomo? Infatti, padre Giovanni Cavalcoli, un teologo domenicano che ha criticato la teologia rahneriana, spiega: “InRahner l’uomo si ripiega sulla sua illimitata autocoscienza perché egli ha assolutizzato se stesso”.

     

     

    PADRE DEL RELATIVISMO?

    In un articolo su Il Foglio del 2009, intitolato in modo molto significativo Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativa, Roberto De Mattei presenta la figura del teologo tedesco come “padre del relativismo teologico contemporaneo”. Un relativismo che drammaticamente è cresciuto in maniera esponenziale dopo il Concilio Vaticano II. Non sono però i documenti conciliari i responsabili di questa deriva ecclesiale. Nel discorso alla curia romana del 2005, Papa Benedetto XVI ha spiegato, infatti, che sono state due le ermeneutiche di questo grande evento: una – quella “della riforma” – che, pur nel silenzio ha prodotto buoni frutti; l’altra – quella “della discontinuità e della rottura” – che ha interpretato il Vaticano II come evento che rompe con il passato preconciliare e la Tradizione. Il già citato padre Cavalcoli non ha dubbi su chi sia uno degli indiziati maggiori all’origine di questa “ermeneutica della discontinuità”: proprio Rahner, perché egli “ha concepito il progresso come rottura, come contraddizione col passato di una tradizione cristiana sacra e perenne” operando non “in nome di una sana modernità, ma di un rinnovato modernismo peggiore di quello dei tempi di san Pio X” (Radici Cristiane, n. 47, Agosto-Settembre 2009). Al teologo tedesco, padre Cavalcoli ha dedicato pure un libro dal titolo emblematico: K. Rahner. Il Concilio tradito, che rincara la dose.

     

     

    PERICOLOSE DERIVE DOTTRINALI?

    Il padre dell'esistenzialismo Martin Heidegger. Una pericolosa passione di Rahner.

    Heinz J. Vogels – che certo non può essere considerato un tradizionalista – ha messo in evidenza i principali pericoli insiti nella teologia rahneriana: Padre, Figlio e Spirito Santo visti come tre modi di manifestarsi di un’unica Persona divina e non come tre Persone distinte (modalismo); Gesù Cristo solo espressione storica del Padre, non Persona divina preesistente (adozionismo); mancato riconoscimento del carattere di persona dello Spirito Santo; una rischiosa tendenza a vedere operante in Gesù Cristo un’unica energia (monoenergismo) e un’unica volontà (monotelismo), quella divina, mettendo in ombra la componente umana; la maternità divina di Maria messa implicitamente in discussione; affermazione della capacità dell’uomo di auto-redimersi. Anche ad una rapida occhiata, è possibile comprendere che qualcosa non va nella teologia dell’illustre gesuita. E non dimentichiamo, infine, l’attrazione fatale di Rahner per Heidegger, padre dell’esistenzialismo che, come ricorda Messori in Vivaio, Edith Stein riteneva non adatto ad un cristiano perché negava l’esistenza di Dio così come lo intende la fede cattolica. Pur nella grande fama riconosciuta al teologo tedesco, c’è, dunque, in Rahner il pericolo implicito di una teologia che, portata all’estreme conseguenze, conduca su binari che si discostano dall’ortodossia cattolica. Non sarebbe il primo caso, nella storia della Chiesa, di un teologo che, pur mantenendo se stesso all’interno della fede cattolica, ha di fatto, suo malgrado, dato il via a rovinose deviazioni dottrinali che hanno poi ripercussioni gravissime nella vita spirituale dei fedeli, e prima ancora nei seminaristi e dunque nei futuri sacerdoti.

     

     

    UN USO MODERATO PER “NON NUOCERE GRAVEMENTE ALLA SALUTE”. DELL’ANIMA

    Karl Rahner negli ultimi anni. Sempre giacca e cravatta. Morì nel 1984

    Torniamo all’appello del professore con cui abbiamo aperto questo scritto: “Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Le sue parole si persero nell’aria mite di un pomeriggio. Nel corso degli anni, però, alla luce di questi nuovi studi, sono ritornate in mente. Anche perché, nel frattempo, quel professore, che era pure prete, ha lasciato l’abito sacerdotale ed è convolato a nozze con una donna, con la quale aveva da tempo una relazione segreta. Ci sarebbe da chiedersi: una pagina di Rahner al giorno toglie la vocazione di torno? Lasciamo perdere una facile ironia: la teologia rahneriana non merita un simile trattamento.

    Una considerazione è tuttavia obbligatoria, a questo punto. In un’epoca in cui le scomuniche sono quasi del tutto scomparse, in cui l’imprimatur, come il saluto, non si nega a nessuno, in cui i teologi cattolici – alcuni fedeli all’ortodossia e altri “allegramente disinvolti” nei confronti di questa – raggiungono facilmente, con i mezzi di comunicazione odierni, l’ignaro popolo cattolico, sarebbe necessario se non altro un punto fermo. Quale? Che almeno una voce autorevole, in ogni seminario, facoltà teologica, istituto di scienze religiose, si prendesse la briga di premettere qualche “avvertenza” e un invito “a non abusare” di certi teologi per “non nuocere gravemente alla salute” della vita spirituale. Non il ripristino di un moderno Indice – che indurrebbe anzi ad una maggiore attenzione verso pagine tanto suadenti quanto pericolose – ma qualche chiara “istruzione per l’uso” per mettere al sicuro la fede di chi si accosta a questi celebrati quanto ambigui teologi. Non sarebbe anche questo amore per il prossimo?




    **********************

    [SM=g1740722]

    Argomento assai complesso i cui nodi stanno venendo al pettine soltanto in questi ultimi anni, grazie anche al contributo di padre Giovanni Cavalcoli O.P. che con il suo libro: Karl Rahner: Concilio tradito… ha divelto parecchie “pentole” contenenti la dottrina rahneriana per nulla ortodossa, anzi, assai nociva per il cattolicesimo…

    Leggo anche nell’articolo, per il quale ringrazio Claudia :

    E non è solo la teologia trinitaria ad essergli debitrice….

    *****

    effettivamente la teologia trinitaria non deve nulla a Rahner… essa, possiamo dire, è stata completata con san Tommaso d’Aquino se, ovviamente, per “completezza” si intende il rigore DOTTRINALE, mentre è naturale che la discussione per l’approfondimento di tale immensa dottrina è sempre aperto….
    Tuttavia il danno di Rahner è stato enorme e spesso anche devastante… spiega padre Cavalcoli O.P. a pag. 277 del libro citato:
    ” (circa il metodo usato da Rahner)… consente a Rahner di ingannare il lettore che non conosce a fondo i suoi scritti, in quanto la mossa iniziale non sembra scostarsi dall’ortodossia. Da qui la fatica che fanno molti a rendersi conto delle eresia di Rahner, mentre nella mossa finale egli rivela chiaramente il suo pensiero…” il quale non è affatto cattolico…

    Ho fatto di proposito questo intervento per richiamare la nostra attenzione prima di tutto SUL METODO usato da Rahner, prima ancora di passare alla dottrina, la sua…
    ;-) perchè purtroppo molti sono coloro che , in buona fede, non riescono a “vedere” l’eresia rahneriana a causa proprio del suo metodo CONCILIATORE tanto da farlo passare per un benemerito della teologia del nostro tempo…
    In verità Rahner ha fatto più danni che bene… la Trinità Santissima non gli è affatto riconoscente avendo egli stravolto il Catechismo Cattolico :-)

    Rahner di fatto è proprio l’incarnazione di quella teologia MODERNISTA profeticamente denunciata da san Pio X… spiega infatti padre Giovanni Cavalcoli a pag. 49:
    “Secondo Rahner Dio trascende i fenomeni, ma non trascende l’autocoscienza, per cui in pratica la gnoseologia rahneriana resta impigliata nel fenomeno denunciato da san Pio X…..”

    e ancora, spiega a pag. 55 (e vi consiglio la lettura di questo libro molto illuminante anche per chi, come me, è completamente digiuna di questi temi fra esperti ^__^ ):
    “Il Dio di Rahner è un dio che si è costruito lui, ma che non ha tutti gli attributi del vero Dio, anzi ne ha di contrari (per esempio “senza forma”).
    Più che al Dio trascendente, Creatore e personale delle tre religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo ed islamismo), assomiglia al Dio “senza volto e senza nome” di Giordano Bruno o di Bohme o di Schelling o, ancor più, al Brahman dell’induismo o al Tao del taoismo o al Dio cosmico della New-Age….”

    Ciò che fa tremare è che nonostante i nodi stiano venendo al pettine, e nonostante il fatto che se ne parli sempre di più, Rahner è ancora INSEGNATO NEI SEMINARI… viene ancora citato nelle sue frasi tipiche di uno slogan degli anni ’60-’70 attraverso i quali la maggiorparte dei cattolici (spesso sono persino suore o insegnanti di religione cattolica) non ne comprendono la gravità eretica…
    Dice ragionevolmente padre Cavalcoli O.P. a pag. 19:
    “Ma il pensiero rahneriano, dopo un primo periodo di falsificazione del pensiero tomistico, nella sua ultima fase non è affatto tomista!…”
    ed auspica, lo stesso padre domenicano, che la stessa Chiesa si affretti a mettere ordine alla questione, a condannare le eresia di Rahner, prima che sia troppo tardi… e non esclude che se la Chiesa di oggi non fosse in grado di provvedere, sarà necessario in futuro un Concilio che condanni esplicitamente la dottrina e il dio di Rahner…

     

     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 02/10/2011 00:56
    [SM=g1740722]Amici,
    ringraziando per la vostra presenza numerosissima alla lettura del thread,  per facilitare la lettura e per la ricchezza degli argomenti, abbiamo aperto un'altro thread con lo stesso titolo....

    MA CHI SONO I FALSI MAESTRI, COME RICONOSCERLI? (qui alcuni esempi) (2)

    continuate a seguirci, a meditare, e a divulgare queste informazioni... e naturalmente conditele con immensa PREGHIERA, sacrifici e tanta carità....fedeltà al Magistero, fedeltà al Cristo nella Tradizione Viva della Chiesa perchè chiunque dissocia Cristo dalla Chiesa e dalla Tradizione, persegue una immagine falsa di Cristo....

    [SM=g1740733]



    [Modificato da Caterina63 02/10/2011 00:57]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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